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Sommario del 20/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa alla Fao: si parla di nuovi diritti, ma chi ha fame chiede dignità

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L’affamato “ci chiede dignità, non elemosina”. Lo ha ricordato Papa Francesco ai partecipanti alla seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione, in corso a Roma alla sede della Fao e voluta dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura e dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità. Accolto dal direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, dal vice direttore l’Oms, Oleg Chestnov, e dall’arcivescovo Luigi Travaglino, osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura, il Santo Padre ha incontrato brevemente anche la Regina Letizia di Spagna. Il servizio di Giada Aquilino

Il diritto all’alimentazione sarà garantito solo se “ci preoccupiamo” della “persona che patisce gli effetti della fame e della denutrizione”, cioè il “soggetto reale” di tale diritto. Lo ha ricordato Papa Francesco ai partecipanti alla seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione:

“La lucha contra el hambre y la desnutrición...
La lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla ‘priorità del mercato’, e dalla ‘preminenza del guadagno’, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria. E mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza, di essere considerato nella sua condizione, di ricevere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina”.

Oggi, ha notato il Pontefice, “si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri”: forse - ha riflettuto - ci siamo preoccupati “troppo poco di quanti soffrono la fame”. D’altra parte “i destini di ogni nazione sono più che mai collegati tra loro, come i membri di una stessa famiglia, che dipendono gli uni dagli altri”:

“Pero vivimos en una época en la que las relaciones entre las naciones...
Ma viviamo in un’epoca in cui i rapporti tra le nazioni sono troppo spesso rovinati dal sospetto reciproco, che a volte si tramuta in forme di aggressione bellica ed economica, mina l’amicizia tra fratelli e rifiuta o scarta chi già è escluso. Lo sa bene chi manca del pane quotidiano e di un lavoro dignitoso. Questo è il quadro del mondo, in cui si devono riconoscere i limiti di impostazioni basate sulla sovranità di ognuno degli Stati, intesa come assoluta, e sugli interessi nazionali, condizionati spesso da ridotti gruppi di potere”.

Eppure le persone e i popoli sono lì ed “esigono che si metta in pratica” la giustizia legale, quella contributiva e quella distributiva. Per questo, ha sottolineato il Santo Padre, i piani di sviluppo e il lavoro delle organizzazioni internazionali dovrebbero tener conto del desiderio, “tanto frequente tra la gente comune”, di vedere in ogni circostanza rispettati i diritti fondamentali della persona umana e, soprattutto, della persona che ha fame. “Quando questo accadrà – ha proseguito il Papa - anche gli interventi umanitari, le operazioni urgenti di aiuto e di sviluppo – quello vero, integrale – avranno maggiore impulso e daranno i frutti desiderati”. Certamente “l’interesse per la produzione, la disponibilità di cibo e l’accesso a esso, il cambiamento climatico, il commercio agricolo” devono ispirare le regole e le misure tecniche di tali azioni, ma non solo:

“La primera preocupación debe ser la persona misma...
La prima preoccupazione deve essere la persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, ai rapporti familiari e sociali, e lottano solo per la sopravvivenza”.

Quindi il ricordo delle parole di San Giovanni Paolo II alla prima Conferenza internazionale sulla nutrizione, il 5 dicembre 1992, con cui Papa Wojtyla “mise in guardia la comunità internazionale contro il rischio del ‘paradosso dell’abbondanza’:

“Hay comida para todos, pero no todos pueden comer...
C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo ‘paradosso’ continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica”.

Questa è un sfida da superare, ha aggiunto, assieme a quella della “mancanza di solidarietà”: “una parola – ha aggiunto – che abbiamo inconsciamente il sospetto di dover togliere dal dizionario”. Le nostre società, ha continuato, “sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione; ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni”:

“Cuando falta la solidaridad en un país...
Quando manca la solidarietà in un paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune”.

Gli esseri umani, quando prendono coscienza di “essere parte responsabile del disegno della creazione”, diventano capaci - ha affermato il Papa - di rispettarsi reciprocamente, “invece di combattere tra loro, danneggiando e impoverendo il pianeta”. Così agli Stati, “concepiti come comunità di persone e di popoli”, viene chiesto di “agire di comune accordo”, aiutandosi reciprocamente “mediante i principi e le norme che il diritto internazionale mette a loro disposizione”:

“Una fuente inagotable de inspiración es la ley natural...
Una fonte inesauribile d’ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguaggio che tutti possono capire: amore, giustizia, pace, elementi inseparabili tra loro. Come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chiamati ad accogliere e a coltivare questi valori, in uno spirito di dialogo e di ascolto reciproco. In tal modo, l’obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa realizzabile. Ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque”.

Garanzie che ogni Stato, attento al benessere dei suoi cittadini, ha il “dovere” di sottoscrivere “senza riserve”, preoccupandosi della loro applicazione. Ciò, ha aggiunto, richiede perseveranza e sostegno. La Chiesa cattolica cerca di offrire anche in questo campo il proprio contributo, “mediante un’attenzione costante alla vita dei poveri, dei bisognosi in ogni parte del pianeta” e su questa stessa linea si muove il coinvolgimento attivo della Santa Sede nelle organizzazioni internazionali.

“Se pretende de este modo contribuir...
S’intende in tal modo contribuire a identificare e adottare i criteri che devono realizzare lo sviluppo di un sistema internazionale equo. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazione tra il diritto all’alimentazione e il diritto alla vita e a un’esistenza degna, il diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame, e l’obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo”.

Se si crede al principio dell’unità della famiglia umana, “fondato sulla paternità di Dio Creatore”, e alla fratellanza degli esseri umani, ha sottolineato il Pontefice, “nessuna forma di pressione politica o economica che si serva della disponibilità di cibo può essere accettabile”:

“Y aquì pienso...
E qui penso alla nostra sorella e madre Terra, al Pianeta. Se siamo liberi da pressioni politiche ed economiche per custodirlo, per evitare che si autodistrugga. Abbiamo davanti Perù e Francia, due conferenze che ci lanciano una sfida. Custodire il Pianeta. Ricordo una frase che ho sentito da un anziano, molti anni fa: ‘Dio perdona sempre le offese, gli abusi; sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La Terra non perdona mai! Custodire la sorella Terra, la madre Terra, affinché non risponda con la distruzione”.

Oltre a superare le pressioni politiche ed economiche, il Pontefice ha invitato ad evitare le discriminazioni:

“Ningún sistema de discriminación, de hecho o de derecho...
Nessun sistema di discriminazione, di fatto o di diritto, vincolato alla capacità di accesso al mercato degli alimenti, deve essere preso come modello delle azioni internazionali che si propongono di eliminare la fame”.

Quindi il Papa ha pregato “affinché la comunità internazionale sappia ascoltare l’appello di questa Conferenza”, considerandolo “un’espressione della comune coscienza dell’umanità”: dare da mangiare agli affamati, ha concluso, per salvare la vita nel pianeta.

Al termine della visita, salutando il personale della Fao, il Pontefice ha esortato a continuare ad avere uno spirito di solidarietà e di comprensione verso tutti”, andando “oltre le carte, per scorgere al di là di ogni pratica i volti spenti e le situazioni drammatiche di persone provate dalla fame e dalla sete”:

“L’acqua non è gratis, come tante volte pensiamo. Sarà il grave problema che può portarci ad una guerra”.

C’è dunque tanto bisogno di persone che “si distinguano non soltanto per la professionalità, ma anche per un senso spiccato di umanità, di comprensione e di amore”:

“Il vostro lavoro nascosto guarda alle persone - uomini, donne, bambini, nonni, nonne - persone affamate. E, come ho detto recentemente, queste persone non ci chiedono altro che dignità. Ci chiedono dignità, non elemosina! Questo è il vostro lavoro: aiutare perché arrivi loro la dignità”.

L’auspicio finale è stato quello ad “essere premurosi e solidali verso i più deboli, sull’esempio di Gesù”.

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Papa: Gesù piange quando il nostro cuore si chiude alle sue sorprese

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Gesù piange anche oggi quando le porte del nostro cuore, dei pastori, della Chiesa, si chiudono alle sue sorprese non riconoscendo Colui che porta la pace: è quanto ha detto il Papa nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Gesù piange su Gerusalemme perché non ha riconosciuto Colui che porta la pace. Il Papa commenta il Vangelo del giorno, spiegando che il Signore piange per “la chiusura del cuore” della “città eletta, del popolo eletto. Non aveva tempo per aprirgli la porta! Era troppa indaffarata, troppo soddisfatta di se stessa. E Gesù continua a bussare alle porte, come ha bussato alla porta del cuore di Gerusalemme: alle porte dei suoi fratelli, delle sue sorelle; alle porte nostre, alle porte del nostro cuore, alle porte della sua Chiesa. Gerusalemme si sentiva contenta, tranquilla con la sua vita e non aveva bisogno del Signore: non se ne era accorta che aveva bisogno di salvezza. E per questo ha chiuso il suo cuore davanti al Signore”. “Il pianto di Gesù” su Gerusalemme – afferma il Papa – è “il pianto sulla sua Chiesa, oggi, su di noi”:

“E perché Gerusalemme non aveva ricevuto il Signore? Perché era tranquilla con quello che aveva, non voleva problemi. Ma anche – lo dice il Signore nel Vangelo – ‘se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che ti porta la pace. Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata’. Aveva paura di essere visitata dal Signore; aveva paura della gratuità della visita del Signore. Era sicura nelle cose che lei poteva gestire. Noi siamo sicuri nelle cose che noi possiamo gestire… Ma la visita del Signore, le sue sorprese, noi non possiamo gestirle”.

E Papa Francesco aggiunge:

“E di questo aveva paura Gerusalemme: di essere salvata per la strada delle sorprese del Signore. Aveva paura del Signore, del suo Sposo, del suo Amato. E così Gesù piange. Quando il Signore visita il suo popolo, ci porta la gioia, ci porta la conversione. E tutti noi abbiamo paura non dell’allegria - no! – ma sì della gioia che porta il Signore, perché non possiamo controllarla. Abbiamo paura della conversione, perché convertirsi significa lasciare che il Signore ci conduca”.

“Gerusalemme era tranquilla, contenta – ha proseguito il Papa - il tempio funzionava. I sacerdoti facevano i sacrifici, la gente veniva in pellegrinaggio, i dottori della legge avevano sistemato tutto, tutto! Tutto chiaro! Tutti i comandamenti chiari… E con tutto questo Gerusalemme aveva la porta chiusa”. La croce, “prezzo di quel rifiuto” – osserva il Papa - ci mostra l’amore di Gesù, ciò che lo porta “a piangere anche oggi - tante volte - per la sua Chiesa”.

“Io mi domando: oggi noi cristiani, che conosciamo la fede, il catechismo, che andiamo a Messa tutte le domeniche, noi cristiani, noi pastori siamo contenti di noi? Perché abbiamo tutto sistemato e non abbiamo bisogno di nuove visite del Signore… E il Signore continua a bussare alla porta, di ognuno di noi e della sua Chiesa, dei pastori della Chiesa. Eh sì, la porta del cuore nostro, della Chiesa, dei pastori non si apre: il Signore piange, anche oggi”.

Il Papa, infine, invita ad un esame di coscienza: “Pensiamo a noi: come stiamo in questo momento davanti a Dio?”.

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Tweet del Papa. "Cerchiamo di vivere in maniera sempre degna della nostra vocazione cristiana"

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"Cerchiamo di vivere in maniera sempre degna della nostra vocazione cristiana": è il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex.

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Festival Dottrina Sociale. Toso: democrazia sia inclusiva come chiede Francesco

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Si apre stasera con il videomessaggio di Papa Francesco, la quarta edizione del Festival della Dottrina Sociale di Verona, promosso dalla Fondazione Toniolo. La prima tavola rotonda avrà per tema “Il tempo è superiore allo spazio”, ripreso dalla Evangelii Gaudium. Tra i relatori il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti e mons. Mario Toso. Alessandro Gisotti ha intervistato proprio il segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace: 

R. - Il tema evoca uno dei principi indicati dal Papa nella Evangelii Gaudium come necessari per costruire popoli in pace, giustizia e fraternità. Nella ricompattazione di un popolo – cosa di cui oggi vi è un’estrema urgenza - è imprescindibile che amministratori e politici non si fossilizzino nell’occupazione del potere unicamente per mantenerlo a proprio vantaggio, non preoccupandosi di avviare processi di riforme e politiche a servizio del bene comune. Ma è pure necessario che, a fronte di una grave crisi in cui tutti sono coinvolti, i vari soggetti sociali non si fermino a guardare i propri mali, rinchiudendosi in se stessi, non tenendo conto dei problemi altrui, specie dei più poveri e di quelli che hanno perso il lavoro. Ritenere di poter superare le difficoltà singolarmente, aumentando il disinteresse nei confronti di chi soffre e dei più deboli, nonché dei giovani, è una illusione. Ci si salva insieme. Si può uscire, dunque, dalla crisi andando "oltre" l’attuale situazione che vede la società frammentata e contrapposta nei suoi scomparti: considerandosi parte gli uni degli altri, unificando le molteplici energie di bene nascoste o sopite, divenendo «popolo», ossia una moltitudine moralmente convergente, che libera le sue potenzialità di solidarietà e di collaborazione.

D.- Al Festival si confrontano vescovi, ministri, imprenditori ma anche giovani, studiosi, sindacalisti. La Chiesa ha ancora una forza di collante, di sintesi in una società sempre più frammentata?

R.- La Chiesa dispone di una simile forza unitiva  e di sintesi culturale quanto più vive ed irradia la sua esperienza di Cristo che, diventando uomo, ossia incarnandosi in ogni persona e in ogni popolo, si pone come principio di fraternità universale e, prima ancora, come causa di una rinnovata capacità di ricercare, assieme a tutti gli uomini di buona volontà, il vero, il bene e Dio. La Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa è emanazione della suddetta esperienza. È naturale missione di annuncio e di testimonianza di quella forza e di quella sintesi che offre l’amore pieno di verità donato da Cristo.

D.-  Qual è il contributo specifico che questo Papa sta dando alla Dottrina Sociale della Chiesa, pensando anche ai suoi ultimi interventi, per esempio ai movimenti popolari?

R. - Si tratta di un contributo in continuità con quello dei suoi predecessori ma che è anche originale. L’apporto più specifico sembra offrirlo quando rimarca ed illustra la dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione, l’amore per i più poveri, a partire dal realismo dell’incarnazione, che chiama ad "uscire" e alla mobilitazione tutti i credenti e le comunità, perché Cristo è in ogni persona che soffre e va accolto ed amato concretamente. Su questo si verrà giudicati. In questi ultimi tempi, Papa Francesco, con i suoi discorsi rivolti a vari gruppi, a medici, giuristi, movimenti popolari, membri e consultori dei dicasteri, va completando il suo messaggio a proposito di una democrazia a più alta intensità, più sociale e partecipativa, inclusiva, richiedendo per tutti, terra, casa, lavoro, istruzione, assistenza sanitaria, un sistema penale non meramente punitivo o asservito ai potenti di turno, assieme a politiche economiche facenti leva sulla dignità e sul bene comune, a riforme dei sistemi finanziari, all’attuazione di una sana economia mondiale, al superamento di quelle teorie neoliberistiche che assolutizzano l’autonomia dell’economia e della finanza rispetto al bene comune e alla politica.

D.- La famiglia, ha ricordato anche ultimamente Francesco, è in crisi e sottoposta a pressioni ideologiche. La Dottrina Sociale come può venire in aiuto di questa cellula fondamentale della società?

R. - Innanzitutto con il suo sapere sapienziale che prospetta un modello di famiglia oltre quello postmoderno, che ne pregiudica l’identità totale, la cittadinanza, la soggettività sociale, la rilevanza pubblica, dimenticandone l’essenza comunionale e relazionale. Ma va detto che la Dottrina o Insegnamento sociale da sola non basta. Ha bisogno di gambe, come si suole dire! È da sperare che il mondo cattolico, fedele al Vangelo di Cristo,  con la pluralità dei suoi soggetti, abbia un sussulto di coscienza e di dignità, per essere più convinto e determinato nel presentare e nel difendere la bellezza e la ricchezza antropologica della famiglia, nei vari areopaghi, comprese le istituzioni politiche nazionali ed internazionali. Credo che il mondo cattolico e soprattutto il laicato francese abbiano offerto un esempio paradigmatico.

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Mons. Tomasi: immigrati non sono una minaccia ma una risorsa

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Mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, è intervenuto al VII Congresso Mondiale della Pastorale dei Migranti, in corso a Roma, sul tema della dignità del migrante. Lo sviluppo di una politica di immigrazione che non dà priorità alla persona – ha affermato il presule - porta a situazioni in cui una violazione strutturale dei diritti umani fondamentali si traduce in un sistema di vita accettato. Ascoltiamo mons. Tomasi al microfono di Gabriele Beltrami

R. - Davanti alla situazione attuale della crescita delle migrazioni nonostante la crisi economica, troviamo che gli Stati cercano di erigere barriere sempre più alte per proteggere la loro sovranità e per bloccare, davanti alla pressione dell’opinione pubblica, l’arrivo di nuove ondate di richiedenti asilo e di immigrati per ragioni di lavoro. Il mondo attuale è dibattuto tra questa realtà e i principi molto alti e molto nobili che sono nella giurisprudenza internazionale, trattati che sono stati firmati e ratificati dai governi, e che parlano della dignità di ogni persona. La dignità dei migranti è quella di ogni persona umana, quindi la loro dignità deve essere rispettata, ma in maniera concreta, non soltanto a livello teorico e di grandi discorsi politici. A livello concreto, bisogna facilitare la strada a quelli che vogliono emigrare per ragioni serie, obiettive, perché sono violati i loro diritti umani o perché si trovano in condizioni climatiche disastrose o per altre ragioni simili. Bisogna fare in modo che possano emigrare senza il rischio di morire nello sforzo di trovare un Paese ospitale. Ora dobbiamo porci la domanda: come tradurre questi grandi principi che abbiamo riconosciuto in misure operative? È questa la sfida davanti alla quale si trova la comunità internazionale. Però, c’è la pressione dell’opinione pubblica che spesso non riesce a vedere il beneficio che l’emigrazione porta a lungo termine sia ai migranti, sia ai Paesi d’origine, sia ai Paesi di accoglienza. Qui c’è da fare un lavoro molto importante di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, cioè creare una mentalità di accoglienza nella consapevolezza che il fenomeno migratorio non è una minaccia, ma una risorsa che può aprire alla costruzione di un’identità ancora più forte e creativa dei Paesi che ricevono persone.

D. – In questo Congresso mondiale per la Pastorale dei migranti più voci hanno chiesto un impegno più concreto della Chiesa in dialogo con gli Stati …

R. – Secondo me, in questo momento dobbiamo rinforzare l’aiuto per le emergenze di rifugiati, immigrati e altre persone sradicate dal loro ambiente e dalle loro case. Però, questa azione di carità e di solidarietà umana deve essere messa in parallelo con una riflessione nuova sulle relazioni internazionali. Le relazioni tra Paesi sviluppati e Paesi poveri o tra Paesi sicuri e Paesi dove ci sono dei problemi politici e di violenza, devono essere rivedute nel senso che dobbiamo evitare che le cause di disuguaglianza, perché manca accesso ai mercati, o le cause di violenza, perché ci sono interessi politici, non trovino una soluzione. Non si può dare ospitalità a qualche rifugiato oppure mandare qualche milione di dollari per un aiuto allo sviluppo quando poi nei rapporti interstatali, nelle relazioni internazionali, si continua a costringere certi Paesi a vivere situazioni impossibili per cui producono continuamente nuove ondate di emigrati.

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Congresso mondiale movimenti. Rylko: siamo una Chiesa in uscita

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“La gioia del Vangelo: una gioia missionaria”: è il tema del terzo Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità che si è aperto stamane a Roma, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Tre giorni, da oggi a sabato per confrontarsi sulle sfide da raccogliere per saper annunciare il Vangelo con gioia, come chiede Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium. 300 i delegati  di un centinaio di movimenti e nuove comunità, arrivati a Roma da 40 Paesi dei cinque continenti. Ad accoglierli nel Pontificio Collegio Maria Mater Ecclesiae, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Dicastero vaticano promotore dell’evento. Dobbiamo “aprirci – ha sottolineato il porporato inaugurando i lavori – all’orizzonte della Chiesa universale”, “alle sue gioie e alle sue speranze” ma anche “ai difficili problemi che l’affliggono”. I movimenti ecclesiali siano dunque “protagonisti di una nuova tappa evangelizzatrice” - ha sollecitato il cardinale Rylko – in risposta al richiamo di Francesco che “vuole una Chiesa in uscita verso le periferie geografiche ed esistenziali del nostro mondo”. Guai a chiudersi nelle proprie realtà particolari. Matteo Calisi, responsabile internazionale del Rinnovamento carismatico cattolico:

R. - Come rispondere all’appello di Papa Francesco ad andare in missione? I movimenti hanno rappresentato una grande risorsa per la missione e questo è stato più volte sottolineato dai Pontefici precedenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. I movimenti propongono un metodo educativo proprio per la missione e quindi senz’altro rappresentano una risorsa in risposta all’appello del Papa ad uscire nelle periferie.

D. – Il Papa raccomanda spesso di essere testimoni del messaggio evangelico con gioia: quanto è importante questo richiamo?

R. – E’ chiaro, l’annuncio nasce da un incontro personale non con una idea, ma con una persona viva, che è Gesù Cristo. E quando avviene questo incontro, sboccia l’amore, la gioia e quindi il desiderio di comunicare agli altri una scoperta straordinaria, qual è appunto l’incontro con Gesù Cristo.

D. – Quale opportunità rappresenta il confrontarsi tra movimenti che hanno carismi diversi, che vengono da realtà sociali molto differenti? Questi congressi servono anche ad abbattere delle barriere?

R. – Indubbiamente. In questi anni i movimenti hanno imparato a conoscersi, ad apprezzarsi e a scoprire anche che un dono, un carisma non è mai dato per lo stesso movimento, ma è dato per l’intera Chiesa. Inoltre questi incontri ci danno l’opportunità di fare una sintesi sul percorso trascorso in questi 50 anni, a partire dal Concilio Vaticano II. E’ anche una sintesi con l’autorità ecclesiastica: questi incontri sono convocati dal Pontificio Consiglio per i laici. E’ quindi importante che ci siano questi due interlocutori - i carismi e l’istituzione – perché questo è a beneficio dell’edificazione della Chiesa.

D. – Francesco come del resto anche i precedenti Papi, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, hanno investito molto sui movimenti ecclesiali, in questa epoca un po’ di sconforto esistenziale generalizzato…

R. – Indubbiamente sono stati lungimiranti, hanno riconosciuto nei movimenti un’opera dello Spirito Santo. Lo stesso cardinale Bergoglio, sin dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires, ha favorito la nascita dei movimenti, soprattutto quello del Rinnovamento Carismatico e del suo impegno ecumenico, E questo lavoro adesso sta proseguendo nei nostri giorni con il suo Pontificato, perché anche la dimensione – per esempio – ecumenica è una urgenza impellente, perché l’evangelizzazione non potrà trovare successo se i cristiani non saranno uniti fra loro.

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Le religioni: complementarietà uomo-donna è dato naturale non dogma

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Il matrimonio tra uomo e donna è il fondamento della società. Chi siamo noi per alterarlo? Con questa provocazione si è chiuso ieri pomeriggio in Vaticano il Colloquio Interreligioso Internazionale “Humanum. La Complementarietà tra uomo e donna” promosso da quattro dicasteri della Santa Sede e aperto lunedì dal Papa.  “I bambini – ha detto il Pontefice – hanno diritto a crescere in una famiglia con un papà e una mamma. La crisi della famiglia ha dato origine a una crisi di ecologia umana”. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Non una unione casuale, non un accordo commerciale, non una stretta di mano, ma un fondamento che precede la società, voluto da Dio. Un uomo e una donna si uniscono  insieme e generano vita. Quel bambino un giorno sarà padre e porterà in sé i segni delle generazioni che lo hanno preceduto. Il matrimonio in terra ci lega attraverso i secoli, attraverso le famiglie, la differenza enorme e meravigliosa dell’uomo e della donna, nella carne. Chi siamo noi per alterare tutto questo? Si chiedono le 14 religioni partecipanti ad Humanum. Tocca a noi incoraggiare questo fondamento dell’umanità: “Il matrimonio è in crisi in Occidente, specialmente negli Usa”, spiega Jaqueline Cooke Rivers, direttore dell’istituto Seymour per la Chiesa Nera all’Università di Harvard. “Il matrimonio – prosegue - sta subendo una ridefinizione. Se dobbiamo ammettere di non aver denunciato abbastanza in passato l’ingiusta discriminazione subita delle persone gay, va ribadito che il matrimonio è tra un uomo e una donna. Inoltre a differenza di quanto sostiene la comunità Lgbt, l’esperienza delle persone omosessuali non è equiparabile alla lotta per i diritti civili delle persone di colore che hanno vissuto la schiavitù, le leggi razziali, il linciaggio”. “Per l’Ebraismo  - spiega Daniel Mark della commissione per la libertà religiosa  presso il governo Usa – la famiglia è il centro di tutta la vita. Attraverso la famiglia si è tramandata la tradizione giudaica di generazione in generazione”. “Secondo l’Induismo - dichiara Kala Achariya direttrice dell’Istituto Somaiya Bharatiya Peetham a Mumbai - l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altra. Un uomo è incompleto senza una donna. Solo quando si uniscono si perfezionano. Necessario trasmettere la sacralità del matrimonio ai giovani”. Manmohan Singh evidenzia la centralità della complementarietà uomo-donna per la tradizione Sikh: “tutti siamo abbiamo origine da un uomo e da una donna, dobbiamo conoscere il nostro passato per capire dove andiamo”. La famiglia è fondamentale anche per il buddhismo spiega il lama buddhista Gedun Tharcin: “se manca la pace in una famiglia, la pace mancherà anche nel mondo”. “Uomo e donna, non uguali, ma  complementari e con pari dignità”, dice  Wael Farouq presidente del Centro Tawasul per il dialogo tra le civiltà: “dobbiamo difendere di più i diritti delle donne. Questa è la nostra sfida nel mondo islamico”.

Presente ai lavori Luca Volontè, già presidente del Partito Popolare Europeo e presidente della Fondazione Novae Terrae. A lui Paolo Ondarza ha chiesto un bilancio del Colloquio Internazionale Interreligioso Humanum sulla complementarietà tra uomo e donna: 

R. – La complementarietà, cioè l’armonia tra l’uomo e la donna come unione tra due persone diverse ma complementari. è alla base ed è riconosciuto da tutte le religioni del mondo. Come è già stato detto in molti interventi è un archetipo che accomuna tutta la razza umana. Da qui si può ripartire con ancora più entusiasmo per rilanciare quanto sia positivo il matrimonio, quanto sia positivo l’essere uomo e donna che insieme sono una grande armonia che è capace di dare la vita.

D. - Colpisce proprio quanto sottolineato, ovvero che la complementarietà uomo donna, non è tanto un dogma religioso, è un dato di natura riconosciuto da tutte le religioni, un contributo valido se pensiamo al dibattito politico contemporaneo su questi temi …

R. – Assolutamente. È un dato di fatto, un dato di natura, un’evidenza naturale - si direbbe con altre parole -, che pervade ed è riconosciuto da tutte le religioni. Ed è per questo che nella premessa della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo è stato riconosciuto questo particolare speciale riconoscimento nei confronti del diritto naturale - e in questo senso anche della persona e della famiglia - come un riconoscimento che non può essere toccato, nel senso che appartiene a quell’aspetto dell’evidenza umana che nessuna legge, nessun diritto positivo può cercare o tentare di cancellare.

D. – Non a caso la famiglia è riconosciuta come pilastro proprio nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Nel tempo, però, il concetto di diritto si è andato un po’ annacquando …

R. – Si, da un punto di vista giuridico culturale e nazionale bisogna capire, - come dicevano benissimo sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI alla sua visita al parlamento al Bundestang qualche anno fa, -  che come diritto positivo deve porsi un limite: su alcune cose non si può decidere a maggioranza soprattutto  temporanea – come ci dice la tradizione americana della democrazia - : non può decidere di violare ciò che la natura rende evidente. Questo è un dato a cui bisogna tornare se si vuole andare avanti, come hanno detto giustamente sia il cardinale Müller, che il vescovo Chaput. É fondamentale quando si vuole evitare di cadere nel burrone, fare un passo indietro non per tornare indietro, ma per potersi salvare, poter proseguire nella propria strada. Ciò che sta a cuore a noi cattolici, a tutta l’umanità, a tutte le religioni è non solo riconoscere l’armonia tra l’uomo e la donna, ma anche ridire al mondo, rifar scoprire al mondo quanto questa armonia sia feconda non solo per i figli ma anche per la società e il benessere nazionale di tutti.

D. - Leggiamo sui giornali notizie di come la famiglia venga indebolita attraverso ideologie – potremmo dire – che propongono altri modelli, e lo fanno negli ambiti più vari: dalla scuola, all’informazione … Che risposta si può dare a livello di società civile a tutto questo?

R. - Tornare a quello che oggi ci ha detto il Papa,  che poi è stato l’origine delle grandi manifestazioni popolari in tutto il mondo, dalla Spagna contro la Legge Zapatero, alla Manif pour tous in Francia, alla Croazia … Che cosa ci ha detto? Che è un diritto per i figli, per tutti i bambini, avere un papà ed una mamma. Riportare questo punto in evidenza è fondamentale per risvegliare quell’evidenza che tutti vivono nella loro vita, nella loro famiglia e che la cultura, il main streaming, le televisioni, e alcuni politici vogliono cambiare come se volessero fare grandi esperimenti di ingegneria sociale che purtroppo – dovremmo ricordarci tutti – sono già stati fatti in passato - e non in un passato lontano, ma recente - sia nell’Europa dell’Est, sia nella nostra e hanno prodotto milioni di morti. Allora, ricordarsi del passato non è un di meno; è invece un’occasione per noi per riscoprire con ragioni nuove la bellezza del presente.

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Conferenza in Vaticano sull'autismo. Sabato l'incontro con il Papa

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Un ricco confronto interdisciplinare tra esperti, scienziati e ricercatori su un disturbo complesso che il mondo scientifico non ha ancora pienamente inquadrato in tutte le sue dinamiche. E’ questa la prospettiva che orienta la Conferenza Internazionale sull’autismo, apertasi stamani in Vaticano e promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Dopo la Santa Messa presieduta nella Basilica di San Pietro dal cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, la Conferenza si è aperta con una preghiera scritta da un ragazzo autistico: “Ti ringraziamo Signore - si legge in questa toccante preghiera - perché ci hai creato”. “E quali tuoi figli prediletti, ci hai preservato dall'inganno e dalla menzogna del mondo e ci hai lasciato nella mente la semplicità dei bimbi”. 

L’autismo, un disturbo del neurosviluppo con diverse forme di gravità che provocano una compromissione della comunicazione e dell’interazione sociale, è anche caratterizzato da comportamenti anomali e ripetitivi. Cruciale la diagnosi precoce nei primi mesi di vita per migliorare la qualità di vita di quanti sono affetti da questa malattia e delle loro famiglie. Il prof. Stefano Vicari, responsabile dell’Unità Operativa di Neruopsichiatria Infantile all’Ospedale Bambino Gesù:

“L’autismo è uno dei disturbi su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione negli ultimi anni. Più lo conosciamo, più ci accorgiamo di quanto sia frequente e diffuso. La stima - direi ormai prudente – parla dell’uno percento della popolazione, quindi è molto diffuso. È più frequente nei maschi e questo è un dato ormai consolidato. Questo è il momento in cui di autismo si parla e su cui si fa molta ricerca. Cominciamo a capire anche molte cose. Quindi iniziamo ad avere alcune certezze. Sulle cause, in realtà, abbiamo ancora molti punti interrogativi da dover chiarire. Abbiamo, però, delle indicazioni molti forti che provengono dalle osservazioni  - anche epidemiologiche – che sono state fatte: non c’è dubbio che il disturbo dello spettro autistico sia un disturbo nel neurosviluppo che ha una forte base di tipo biologico e genetico in particolare. Sono molti i fattori che possono intercorrere tra loro. Probabilmente nessuno da solo è determinante, ma tutti possono contribuire, a vario livello, a determinare un disturbo. Questa è probabilmente la ragione della grande eterogeneità del disturbo stesso nel suo manifestarsi". 

Ma quali nuovi contributi offrono studi recenti sull'autismo? Ancora il prof. Vicari:

"Studi recentissimi documentano come alterazioni corticali, quindi quello strato del cervello più esterno che è un po’ il magazzino dei nostri neuroni, sia già alterato durante la gravidanza; quindi possiamo ritrovare dei segni nelle persone autistiche di alterazioni dello strato corticale neuronale già in epoca prenatale. Perché allora la diagnosi non è possibile alla nascita? Perché, ad oggi, la diagnosi si basa essenzialmente sul comportamento del bambino. Se queste sono le cause, i fattori di rischio, cioè quelle condizioni che possono facilitare la comparsa di un disturbo dello spettro autistico sono anche queste moltissime. Sappiamo, ad esempio, che l’esposizione in gravidanza ad alcuni agenti inquinanti - in particolare, sono chiamati in causa derivati della lavorazione della plastica e degli idrocarburi  - possono giocare un ruolo nel determinare un disturbo dello spettro autistico. Ma, ancora più nettamente sappiamo che la prematurità e ancora di più il basso peso alla nascita sono condizioni di rischio molto importanti. Un altro fattore, forse quello su cui ci sono maggiori convergenze, è l’avanzata età paterna”.

Alla Conferenza è intervenuta, tra gli altri, anche il ministro italiano della salute Beatrice Lorenzin che, oltre a ricordare l’incremento della malattia in Europa e in Italia, ha respinto ogni ipotesi di correlazione tra vaccinazioni e autismo:

“Noi registriamo un incremento della malattia dovuta in parte, sicuramente, alla capacità di avere una diagnosi precoce che prima non c’era, ma - dall’altra parte – noi stiamo veramente valutando il fatto che ci sia un aumento in Europa e in Italia molto forte. Su questo si sta interrogando il mondo scientifico. Ci sono molte linee di ricerca in atto. Una di queste – estremamente importante – è sostenuta dall’Istituto Superiore di Sanità per cercare di capire se le cause dell’incremento della malattia siano legate soltanto a fattori genetici oppure possano essere legate a fattori ambientali. Questa è una linea di ricerca estremamente importante: speriamo che dia al più presto dei risultati incoraggianti, soprattutto per cercare di delineare un approccio nel futuro terapeutico, ma anche per sgomberare definitivamente il campo da alcune – possiamo definirle – leggende metropolitane, che si sono susseguite nel tempo. Noi vediamo comparire ogni tanto campagne antivaccinazioni sui bambini estremamente pericolose, che correlano l’insorgenza dell’autismo alle vaccinazioni. Questo è un tema che, soprattutto in Occidente, sta creando grandissimo allarme. E purtroppo questo ci crea dei ‘buchi’ rispetto a malattie come ad esempio la poliomielite, la meningite e altri disturbi; per non parlare poi del morbillo che lo scorso anno ha provocato in Inghilterra più di 270 morti tra bambini piccolissimi, morti che potevano essere evitate con le vaccinazioni”.

Mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari ha infine ricordato la sollecitudine di Papa Francesco per i malati e i sofferenti:

“Di questa vicinanza della Chiesa ai malati e ai sofferenti il nostro Papa Francesco è il vero e proprio testimone: un esempio molto importante per ciascuno di noi. Una vicinanza manifestata dai suoi gesti, dalle sue parole e soprattutto dal suo cuore di pastore. Tale vicinanza la potremo vedere sabato prossimo nell’Aula Paolo VI: Papa Francesco, infatti, incontrerà per la prima volta in modo assoluto il mondo dell’autismo. Non si può negare che Papa Francesco, in questi quasi due anni del suo Pontificato, abbia mostrato un’attenzione tutta particolare verso i sofferenti, gli ammalati e specialmente verso i bambini malati”.

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Sinodo sulla famiglia: incontro preparatorio per l'assemblea del 2015

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Il Consiglio Ordinario del Sinodo dei Vescovi si è riunito il 18 e 19 novembre scorsi per riflettere sull’esito della III Assemblea Generale Straordinaria, celebrata dal 5 al 19 di ottobre 2014, e per preparare la XIV Assemblea Generale Ordinaria sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, che avrà luogo dal 4 al 25 ottobre 2015. 

Il Consiglio è stato presieduto martedì 18 da Papa Francesco, che con la sua presenza ha sottolineato l’importanza che attribuisce al Sinodo, come espressione della collegialità episcopale, e alla famiglia, tema delle due Assemblee.

Oltre al segretario generale, card. Lorenzo Baldisseri e al sottosegretario, mons. Fabio Fabene, hanno partecipato alla riunione i cardinali, Christoph Schönborn, Wilfried F. Napier, Peter K.A. Turkson, George Pell, Donald W. Wuerl, Luis A. Tagle, e gli arcivescovi Bruno Forte e Salvatore Fisichella. Ha partecipato come invitato il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Vincenzo Paglia.

Nella sua introduzione ai lavori, il segretario generale ha messo in evidenza il clima di libertà, sincerità e spirito di comunione fraterna che ha caratterizzato l’Assise sinodale, cosicché ognuno ha potuto dare il proprio contributo alla riflessione. Inoltre, il documento finale, la Relatio Synodi, riflette fedelmente con le loro sfumature, i risultati dei lavori sinodali e si presenta come buona sintesi del processo compiuto durante l’Assemblea.

Nella riunione si è convenuto che il periodo che ora si apre fra le due Assemblee, che non ha precedenti nella storia dell’istituzione sinodale, è molto importante. Occorre assumere il cammino già fatto come punto di partenza e cogliere questa occasione privilegiata per approfondire le tematiche e promuovere la discussione a livello delle Conferenze Episcopali, trovando i mezzi e gli strumenti necessari per coinvolgere ulteriormente anche le diverse istanze ecclesiali nella riflessione sinodale sulla famiglia. Si sono anche svolte alcune riflessioni sulla comunicazione, che potranno essere utili in vista della preparazione della prossima Assemblea Ordinaria.

La maggior parte dei lavori è stata dedicata alla preparazione dei Lineamenta per la prossima Assemblea Ordinaria. Essi saranno costituiti, come già annunciato, dalla Relatio Synodi, accompagnata da una serie di punti che aiutino per la sua recezione e il suo approfondimento. Si prevede che i Lineamenta vengano inviati alle Conferenze Episcopali all’inizio del prossimo mese di dicembre, cosicché le risposte possano pervenire in tempo utile per essere elaborate nell’Instrumentum Laboris prima dell’estate del 2015.

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Nomina episcopale di Francesco in Australia

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In Australia, il Papa ha nominato mons. Peter Andrew Comensoli vescovo della diocesi di Broken Bay, trasferendolo dalla sede titolare di Tigisi in Numidia e dall’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Sydney.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "Cinquant'anni dopo la settimana nera": mezzo secolo fa, il 21 novembre 1964, si chiudeva il terzo periodo del Vaticano II.

Dignità, non elemosina: il Papa alla conferenza internazionale sull'alimentazione denuncia il paradosso dell'abbondanza e la mancanza di solidarietà.

Ossigeno ecumenico: lettera papale alla plenaria del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani.

Non stanchiamoci di imparare da Maria: messaggio di Papa Francesco per la diciannovesima seduta pubblica delle pontificie accademie, con un articolo di Corrado Maggioni sul culto mariano secondo Paolo VI.

Il cardinale Leonardo Sandri sull'epifania della diversità:

Cinquant'anni fa la promulgazione del decreto conciliare "Orientalium ecclesiarum".

Generazione senza identità: i bambini e l'accesso allo sviluppo.

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Oggi in Primo Piano



Libano, patriarca Raï al Parlamento: vogliamo un presidente

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Quindicesimo tentativo fallito di eleggere il nuovo presidente in Libano. Anche ieri è mancato il quorum per la nomina del successore di Michel Suleiman, il cui mandato è scaduto lo scorso 25 maggio. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

E’ un equilibrio su base confessionale che regola da decenni la politica libanese, grazie ad una convenzione costituzionale che prevede che il capo dello Stato sia sempre un cristiano maronita, e che il premier e il presidente del parlamento siano musulmani, rispettivamente sunnita e sciita. Il ripetuto fallimento dell’elezione del nuovo presidente evidenzia la divisione che non solo anima i leader politici libanesi, ma anche la stessa componente cristiana, e sono mesi che le votazioni vanno a vuoto. La mancanza della figura cristiana, è opinione diffusa, rischia di far perdere il carattere democratico della politica libanese, fondata appunto sulla condivisione del potere tra i tre gruppi religiosi. “Un equilibrio istituzionale che evidentemente non tutti vogliono difendere”: così poche settimane fa all’agenzia Fides il patriarca di Antiochia dei maroniti, Béchara Raï, che lanciava un allarme sull’impasse politica del Libano e sull’esistenza stessa dell’unico “Capo di Stato cristiano del Medio Oriente”. Ed ecco , al microfono di Gabriele Beltrami, come risponde il patriarca dopo l’ennesima elezione fallita ieri:

R. – Purtroppo la questione della presidenza del Libano è legata agli avvenimenti in Medio Oriente, trattandosi di un conflitto tra Stati sunniti e Stati sciiti, e questo influenza i sunniti del Libano e gli sciiti del Libano. Quindi, secondo me, loro non possono decidere. Siamo soliti a questo, dunque siamo abituati. Aspettano una parola dall’Arabia Saudita e dall’Iran. E il problema è che non c’è intesa tra Arabia Saudita e Iran. Noi facciamo degli sforzi presso l’Ambasciata dell’Iran, l’ambasciata dell’Arabia Saudita e presso gli Stati amici, come la Francia, la Russia, gli Stati Uniti, per dire loro di non legare il Libano alla soluzione dei problemi del Medio Oriente, per dire che si arrivi ad una soluzione Per finire, noi chiediamo che l’Arabia Saudita e l’Iran si mettano d’accordo, chiediamo che dicano una parola. In Libano noi diciamo che non vogliamo un presidente che sia “di sfida”, vogliamo un presidente che sia accettato dagli sciiti e dai sunniti. Quindi, per favore che ci si arrivi. E però ancora non arriva la parola d’ordine e ancora non riusciamo a sbloccare. Mi dispiace che il Parlamento in un minuto si sia radunato al completo e abbia rivolto il suo mandato contro la Costituzione e contro la volontà del popolo e che continui a violare la Costituzione nel non eleggere un presidente. Noi, io, non finiremo mai di denunciare e condannare. Dà fastidio, ma è mio dovere richiamare la coscienza dei deputati libanesi. Speriamo comunque per il bene. Stiamo lavorando.

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Medio Oriente, si teme terza Intifada. Pizzaballa: fermare violenza con giustizia

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Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha condannato duramente l’attacco “terrorista" di martedì scorso in una Sinagoga di Gerusalemme dove quattro rabbini e un poliziotto israeliano hanno perso la vita, per mano di due palestinesi, anch’essi uccisi. L’appello è ai responsabili israeliani e palestinesi affinché ristabiliscano la pace. Ora c'è chi teme l'esplosione di una terza Intifada. Il Papa ieri all’udienza generale ha chiesto il coraggio della pace per fermare la spirale dell’odio e della violenza e ha pregato per quanti soffrono. Su queste parole ascoltiamo padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, intervistato da Roberta Gisotti

R. – Sono parole molto importanti, alla luce di quanto sta accadendo. Seguire infatti i sentimenti di rabbia che si provano in questo momento è molto più facile che non fermarsi e dire: “No, non si può continuare così, dobbiamo cambiare, voltare pagina”. Ci vuole coraggio, leadership e forza contro tutti quelli che remano contro.

D. – Il Papa ha osservato nel suo appello: “Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento”. Forse questa può essere davvero la riflessione che può portare a queste decisioni coraggiose?

R. – Lo possiamo solo augurare. In questo momento sembrano pii desideri, perché si vede prevalere l’ondata di violenza, di rabbia e di rancore, di cui questa violenza è espressione. Possiamo augurare che sia così, anche se temo che dovremo attendere ancora lungo tempo per avere delle decisioni forti nel senso indicato dal Papa.

D. – Sappiamo che già da parte israeliana ci sono esponenti del governo che chiedono un’operazione militare nell’Est della Città santa…

R. – La violenza chiama violenza, purtroppo, e si entra dentro una spirale che non finisce più. Credo che invece bisogna fermarsi, avviare un percorso di dialogo, di incontri, di educazione, di formazione, basata sulla giustizia, per tutti naturalmente. Onestamente non ci sono altre vie. E’ quello che dice il Papa.

D. – E’ importante che il mondo cristiano con la preghiera faccia sentire la sua presenza…

R. – Certamente. Siamo tutti impotenti di fronte a questa realtà, a quello che sta accadendo. L’unica cosa che ci resta da fare è consegnare questa situazione così dolorosa al Signore nella preghiera, nella preghiera di intercessione, pregando Dio che tocchi il cuore di chi prende decisioni.

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Burkina Faso: entra in carica il governo del presidente Kafando

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Entra in carica il nuovo governo in Burkina Faso, nato dagli accordi tra militari e civili. Il presidente appena nominato, Michel Kafando, primo civile a ricevere questa carica dopo 27 anni, ha però nominato come suo primo ministro un militare, il colonnello Isaac Zida. Una scelta che riaccende le preoccupazioni sul futuro di una democrazia reale nel Burkina Faso. Sulla questione Corinna Spirito ha raccolto il commento dell’esperto dell’area Pasquale De Muro, professore di economia dello sviluppo umano all'Università Roma Tre: 

R. - È chiaro che i militari detengono di fatto ancora tutto il potere. Questa è una cosa molto negativa, perché tutta l’opposizione aveva fortemente chiesto che la transizione fosse gestita dai civili e non dai militari. I militari avevano promesso che sarebbe stato così, ma in effetti non hanno mantenuto questa promessa; probabilmente questi hanno voluto mantenere il controllo strettissimo su tutte le cose, però dando una facciata di rispettabilità. Evidentemente Kafando è stato nominato perché era d’accordo con i militari e naturalmente perché aveva già concordato con loro la nomina di Zida come primo ministro.

D. – Chi è Michel Kafando?

R. – Michel Kafando è stato un diplomatico di lungo corso con una grandissima esperienza internazionale; ha rappresentato il Burkina Faso alle Nazioni Unite per moltissimi anni, è stato ministro negli anni ’80 ed è stato scelto sulla base di colloqui che il comitato di transizione ha fatto con vari candidati.

D. - Come ha reagito il popolo alla nomina di Michel Kafando?

R. - Una parte delle persone che sono scese in piazza a suo tempo sicuramente sarà un po’ insoddisfatta, perché Kafando ha collaborato con Compaoré e non ha mai manifestato opposizione al precedente governo quindi, in qualche modo, potrebbe anche essere visto come un elemento di transizione ma anche, in una certa misura, di continuità.

D. - Ci sono le basi perché le elezioni previste il prossimo anno siano effettivamente democratiche?

R. - In queste condizioni non so se riuscirà a fare delle elezioni veramente democratiche, perché il forte controllo da parte dei militari pone delle perplessità. Bisognerà vedere come reagirà la piazza di Ouagadougou che aveva già contestato Compaoré. Il mio timore, purtroppo, è quello che ci potrebbero essere altri disordini. Questo presidente ha fatto una mossa che pregiudica molto le democratizzazione sostanziale del processo e quindi getta un’ombra molto forte anche sulle prossime elezioni.

D. - Quali sono i punti principiali sui quali Kafando dovrebbe lavorare per aiutare il popolo del Burkina Faso?

R. - Innanzitutto bisogna capire quanto potere effettivo ha questo presidente, perché se è una marionetta nelle mani dei militari non ci sono molte speranze; questo si vedrà anche dalla formazione del governo, quanto peso avranno le forze di opposizione e i civili nel governo… Si può temere anche il peggio, evoluzioni magari non democratiche, perché non è detto che in un anno si vada veramente alle elezioni, non è detto che cedano veramente il potere civile. Questo è un timore che purtroppo non è infondato.

D. - In realtà c’è un accordo secondo il quale tutte le persone coinvolte in questa fase di transizione non potranno partecipare alle elezioni del prossimo anno …

R. - Lei ha detto bene, in teoria. Manterranno le promesse? Purtroppo la storia dell’Africa è una storia di promesse non mantenute da parte di questi gruppi al potere. Quindi dobbiamo incrociare le dita, sperare che non sia vero e che questa volta effettivamente cedano il potere alla fine di questi 12 mesi che ci aspettano. Ma, è molto raro che in Africa i militari abbiano volontariamente ceduto il potere ai civili e soprattutto bisogna capire in che modo questo succede, perché potrebbero benissimo mettere al potere anche dei civili che sono semplicemente dei rappresentanti del potere militare - come è accaduto qualche volta - per salvare la facciata e avere l’appoggio delle cancellerie occidentali. Purtroppo è difficile molto spesso avere dei governi civili nominati dai militari che siano effettivamente indipendenti come in questo caso, no? Non è detto che la presenza dei militari al governo sia necessariamente un fattore di stabilità in questa fase, proprio perché alla base della società burkinabè c’è un’aspirazione ad ottenere finalmente una vera democrazia.

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Renzi su Eternit: no prescrizione. Per la Caritas troppo peso all'economia

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Bisogna cambiare le regole, non ci deve essere l'incubo della prescrizione. Lo ha detto il premier Renzi, in merito alla sentenza della Cassazione sull’Eternit, che ieri sera ha annullato, dichiarando prescritto il reato, la condanna per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny. Intanto, ha dichiarato il lutto cittadino Casale Monferrato, il comune più colpito dall'amianto diffuso nell'ambiente dall’Eternit, con 1700 morti. Alessandro Guarasci: 

E’ una vicenda che si gioca tutta in punto di diritto, ma che vede migliaia di famiglie piangere i loro morti per colpa dell’amianto. Ma la Corte d’Appello di Torino aveva condannato a 18 anni Schmidheiny perché “la consumazione del reato di disastro è tuttora in atto”. A Casale Monferrato infatti si continua a morire. Per la Cassazione però il reato è prescritto, anche se fa notare che la sentenza di ieri è sul disastro ambientale non sulle morti. Comunque una sentenza che vede un coro di sdegno: la politica, col premier Renzi in testa, l’Anm che chiede una riforma della prescrizione. L’opinione della Caritas, col delegato regionale del Piemonte, Pierluigi Dovis:

R. – La sentenza Eternit è una questione che lascia dei risvolti di sofferenze aperti, di possibilità che non si sono realizzate, e qui bisogna probabilmente essere capaci, per il futuro, di essere molto più attenti non solo alla salvaguardia del Creato, ma anche alla capacità di fare delle scelte che abbiano al centro la persona e non l’economia. Forse sarebbe anche opportuno che si trovassero dei modi dal punto di vista sociale, politico e culturale, per potere aiutare questo territorio e queste famiglie a trovare delle soluzioni, anche solo interiori, che le rendano in grado di poter capire che strada percorrere per un futuro un po’ più sereno. Perché ciò che a noi preoccupa è la mancanza di serenità che questa sentenza ma anche la vicenda in sé, anzi soprattutto la vicenda in sé, ha portato in un territorio che è ancora particolarmente segnato dalla situazione, che in questi giorni è venuta di nuovo alla ribalta delle cronache.

D. – Ma avete l’impressione che quell’area, quella zona sia stata sfruttata proprio per le capacità produttive e poi tutto questo a beneficio di un certo settore della finanza?

R. – L’impressione è che lì più che in altre parti ci sia stato un sovraccaricare l’elemento economico rispetto all’elemento della persona e dello sviluppo del territorio.

La procura di Torino ha chiuso le indagini dell'inchiesta "Eternit bis", che riguarda oltre 200 morti avvenute a Casale Monferrato e Cavagnolo, dove si trovavano alcuni stabilimenti della multinazionale dell'amianto.

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Convegno missionario. Mons. Spreafico: annunciare Vangelo nelle strade

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“Alzati e va’ a Ninive”: è il titolo del IV Convegno missionario nazionale che, sulle orme della storia del profeta Giona e a dieci anni dall’ultimo appuntamento, vuole fare il punto sullo stato della missione. Circa 800 persone prendono parte all’evento che si apre oggi nel pomeriggio a Sacrofano, a nord di Roma, e dura fino a domenica. Ad intervenire in questi giorni sono fra gli altri il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, cardinale Fernando Filoni, e il teologo Gustavo Gutiérrez. L’apertura è affidata a mons. Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per la Cooperazione missionaria fra le Chiese e l’Evangelizzazione dei Popoli. Debora Donnini lo ha intervistato: 

R. – Siamo partiti dall’idea che la missio ad gentes sostanzialmente è il paradigma della Chiesa missionaria. Quindi questo ci insegna a riscoprire il valore di essere una Chiesa che non vive per se stessa, ma che vive nel mondo. Allora noi abbiamo scelto quattro verbi, che partono dall’esperienza di Giona e poi si coniugano un po’ in questi tre giorni di convegno: sono “uscire”, “incontrare”, “donarsi” e “ripartire”.

D. – Quando si parla di missio ad gentes, cioè di missione verso i lontani, cosa intendete e come soprattutto intendete attuarla?

R. – La missio ad gentes nella vita della Chiesa in genere è una missione – diciamo – verso soprattutto i cosiddetti Paesi di missione, ma è chiaro che oggi le genti sono anche in mezzo a noi. Noi rappresentiamo nella Chiesa italiana, quella che è proprio la missione nei Paesi dell’Africa, dell’Asia, parte dell’America Latina e quindi i Fidei donum, i missionari e i laici italiani che sono impegnati in vario modo in questi Paesi. Quindi noi partiamo un po’ da questo spirito, ma questo spirito oggi vive anche intorno a noi: non c’è solo il problema dei tanti immigrati che sono nella nostra terra e nel nostro Paese, ma c’è anche il senso di una missione che si rivolge a quelli che sono lontani, a quelli che non conoscono la fede o quelli che devono riscoprire la fede cristiana. Teniamo conto che quelli che ci frequentano sono un numero molto esiguo di persone in paragone alla popolazione del nostro Paese, nonostante siamo ancora un Paese dove la Chiesa è molto viva e c’è tanta partecipazione. E questo è un grande dono di Dio! Quindi la missione ai lontani è qualcosa che ci richiama allo spirito che noi dobbiamo vivere oggi come Chiesa in Italia e che Papa Francesco nella Evangelii Gaudium  ci ha chiesto ed è la conversione missionaria.

D. – Ma come realizzarla concretamente?

R. – Innanzitutto c’è un impegno nella Chiesa in Italia che è uno sguardo verso la missione ad gentes, quindi nei Paesi dei Continenti che ho citato prima, e penso soprattutto, per esempio, all’Asia. Ci sono poi situazioni difficili come quella dei cristiani in Medio Oriente. Pensiamo all’Iraq, al fatto che tanti cristiani sono costretti ad andarsene, alla persecuzione; ma anche al Pakistan, dove c’è una chiesa di minoranza e che soffre molto… Io dico che noi dobbiamo imparare a vivere la conversione missionaria. Allora, cosa vuol dire che noi dobbiamo andare ad incontrare gli altri? Noi facciamo le preghiere per strada? Andiamo ad incontrare la gente per strada? Visitiamo le famiglie? Questo è il problema!

D. – Quindi - secondo lei - è importante, proprio sulla scia della chiamata di Papa Francesco ad andare alle periferie, tornare ad annunciare il Vangelo nelle strade, casa per casa?

R. – E’ fondamentale! Annunciare il Vangelo e dare segni della nostra fede, della bellezza anche della nostra vita cristiana. Segni che sono la preghiera, l’incontro, una sensibilità evangelica, un umanesimo evangelico. Ci sono tanti cristiani che vivono e che potrebbero vivere - diciamo - in maniera più generosa e più consapevole questo spirito. Penso ai movimenti, alla forza anche che hanno di aggregazione, di missione, di coinvolgimento.

D.- In questi dieci anni, dall’ultimo Convegno nazionale missionario della Chiesa cattolica italiana, qual è il cambiamento della società che più la colpisce?

R. – La globalizzazione ci offre un cambiamento che noi neanche ci immaginiamo: oggi i ritmi di cambiamento sono velocissimi. Si pensi a quello che vuol dire Internet… Per questo io ho voluto dare come titolo alla mia relazione iniziale “La Parola di Dio nella globalizzazione”. In fondo Ninive per Giona era il peggiore dei nemici, ma era anche la grande città, la capitale di un impero. Allora, come il Vangelo può trasformare, rendere più umana la vita di questo nostro mondo così difficile? Io credo che questa sia una grande sfida!

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Giornata infanzia. Unicef: fare di tutto per proteggere i bambini

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“25 anni di progressi per l’infanzia e l’adolescenza” è il rapporto che l’Unicef ha lanciato nell’odierna Giornata internazionale per i diritti dei più piccoli ed indifesi e che quest’anno coincide con il 25.mo  anniversario dell’approvazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Una sfida iniziata 25 anni fa quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la più ratificata al mondo: sono 194, infatti, gli "Stati parte" impegnati a tutelare i piccoli del pianeta. Il rapporto presentato oggi evidenzia i molti progressi realizzati in questo quarto di secolo: il fronte della mortalità infantile, sotto i 5 anni, dal 1990 si è quasi dimezzato, passando dai 12,6 milioni, ai 6,3 milioni del 2013. La maggior parte dei decessi - si legge - avviene per polmonite, diarrea e malaria, mentre quasi la metà di tutti i decessi, sotto i cinque anni, ha come concausa la malnutrizione. L’allarme e orrore rimane perché sono ancora 17mila i bambini che muoiono ogni giorno nel mondo. Secondo il rapporto migliorano globalmente tutti gli indici ma istruzione, sfruttamento del lavoro minorile e povertà sono piaghe ancora diffuse a livello planetario. Il commento di Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia:

R. – Tanti passi sono stati fatti in termini di riduzione della mortalità infantile. Erano più di 12 milioni i bambini vittime nel ’90 e oggi siamo arrivati a 6,3 milioni. Certo sono ancora tanti. La mortalità infantile, specie nei Paesi dell’Africa e nelle zone a Sud dell’Asia, deve essere ancora sconfitta. Poi, c’è il grande tema dell’istruzione. Purtroppo, ci sono 30 milioni di bambini che a causa di questi grandi conflitti internazionali, che ancora insanguinano molte zone - e penso alla Siria all’Iraq ma non solo, i conflitti in Centrafrica, in Sudan … -, non possono andare a scuola. Altro tema è il lavoro minorile, tornato prepotentemente sulla scena: ci sono ancora 168 milioni di piccoli che purtroppo sono impiegati in qualsiasi tipo di lavori. Per fortuna però questo numero è diminuito di un terzo dal 2000. Poi, una parola la voglio dire per tutti quei bambini che vengono impiegati come soldati. Dopo i fatti dell’Iraq, dell’Is, della Siria, non dobbiamo dimenticare questi circa 250 mila piccoli che vengono arruolati e per i quali purtroppo il destino non si sa mai cosa riserva. Il Medio Oriente è una zona ancora calda per quanto riguarda i conflitti. Il conflitto siriano dura da 4 anni. Per quanto riguarda invece i temi della mortalità e della malnutrizione, l’Africa subsahariana e il Sahel restano zone ancora piuttosto critiche, mentre il Sudest asiatico registra ancora alti tassi di sfruttamento di violenza nei confronti di minori. Se posso dire, la violenza in particolar modo nei confronti delle bambine, è il grande tema sul quale bisogna concentrarsi nei prossimi decenni. Quello che succede in India, dove di fatto un bambino su tre viene stuprato, dove le bambine vivono in condizioni di terrore quotidiano, ecco, rappresenta davvero la grande sfida che ci attende nei prossimi 25 anni. Un piccolo focus riguarda il Sud Sudan e il Centrafrica dove purtroppo sono concentrati, anche qui, conflitti ma soprattutto altissimi numeri di sfollati: ci sono un milione di persone in entrambi i Paesi a causa di guerre civile e quindi purtroppo molti esposti a rischi di fame e di povertà assoluta.

D. – Qual è la condizione invece che si registra in Europa e nelle Americhe?

R. – La situazione dell’Europa e delle Americhe non è una situazione limpida. Noi abbiamo lanciato nel rapporto sulla situazione dei Paesi ricchi che Paesi come l’Italia, la Grecia, l’Estonia si trovano agli ultimi posti per quanto riguarda il benessere dei bambini. Do un piccolo dato: tra il 16 e il 17 per cento dei bambini italiani vive in condizioni di povertà relativa. Questo vuol dire che esistono bambini che non fanno un pasto al giorno, famiglie che non hanno una stanza dove far studiare i figli, famiglie che purtroppo non riescono a mandare i propri figli a scuola perché le condizioni economiche sono davvero difficili. Insomma per quanto riguarda i Paesi del Mediterraneo, oppure in alcune zone anche degli Stati Uniti esistono grandi problematiche che riguardano la povertà.

D. – Violenza, disagio e povertà, anche in Sud America?

R. – Anche in Sud America, anche se queste, sono zone dove accanto alla povertà c’è un problema di grandissimo sfruttamento di lavoro minorile. Però diciamo che il tema della violenza è un tema che riguarda tutti i Paesi.

D. – Qual è la sfida che esce da questa giornata?

R. – L’utilizzo delle tecnologie, l’utilizzo delle innovazione, l’utilizzo dei social network, potrebbe essere la grande sfida di progresso, che non è negativa ma che va presa in positivo per poter riuscire ad arrivare a raggiungere i cosiddetti “irraggiungibili”. Noi possiamo arrivare a salvare tante vite umane grazie alla capacità di inventare cose nuove, di sfruttare al meglio le tecnologie in positivo, di utilizzare spesso le idee che nei Paesi dove ci sono maggiori problemi, proprio i giovani dei Paesi stessi hanno inventato e stanno inventando. Ne cito una su tutte, molto bella e che mi ha colpito: in Bangladesh, un gruppo di giovani quindicenni ha proposto al governo di costruire delle scuole sopra delle piccole case mobili, per farle galleggiare sui dei fiumi durante le alluvioni, quando a scuola non ci si può andare, per  riuscire a continuare a studiare. Questo è molto importante non solo perché l’istruzione è uno dei cardini della convenzione Onu, ma perché portare un bambino a scuola vuol dire salvargli la vita.

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Sicurezza on line, minori sempre più vittime di cyber-bullismo

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L’85% degli adolescenti che sono vittime di cyber-bullismo non denunciano. E’ quanto emerge dai dati presentati dalla Società Italiana di Pediatria e dalla Polizia di Stato in occasione della giornata mondiale del Bambino e dell’Adolescente dedicata al tema “Bambini sicuri dalla strada alla rete”. La prima regola per contrastare gli atti di violenza on line è non lasciare soli i minori davanti al computer, come afferma Giovanni Corsello, presidente della Società Italiana di Pediatria, al microfono di Maria Gabriella Lanza: 

"Il 30 per cento degli adolescenti e il 35 degli adolescenti di sesso femminile ha dichiarato di aver avuto un’esperienza di cyber-bullismo attraverso il web, attraverso la chat. E’ una percentuale che ci preoccupa perché questo testimonia che gli adolescenti sono sempre più spesso soli di fronte ai social network e quindi sono impreparati e indifesi e sono a rischio di subire contatti che possono essere fonte di problemi di disagio o altro".

L’80 per cento degli adolescenti non denunciano quando è vittima di cyber-bullismo, come spiega Roberto Sgalla, direttore centrale della polizia di Stato:

"Dal 2013 al 2014 abbiamo avuto un incremento di oltre il 25 per cento di denunce e ci siamo resi conto che il cyber-bullismo è più pericoloso degli atti di bullismo offline, quelli diretti. Abbiamo avuto suicidi. Qual è la soluzione? Sicuramente non la repressione. Solo la formazione, l’educazione: occorre far capire ai ragazzi che possono trovare in noi le persone che li possono aiutare. Qui veramente il poliziotto è un amico in più. E chiedere ai genitori e agli insegnanti, a tutti quelli che stanno vicino ai ragazzi di avere le antenne molto dritte per capire i momenti di disagio”.

Imparare ad usare in modo consapevole internet è il modo migliore per difendere i minori sul web, secondo don Fortunato Di Noto, fondatore dell’associazione Meter:

“Il rischio più grande dei ragazzi è la loro solitudine, perché attraverso la loro solitudine, utilizzando il web, magari con identità false - immagino i social network, dove loro si iscrivono con un’età che non è la loro e quindi di conseguenza falsa - possono cadere nel rischio del grooming. Grooming è una parola anche dolce che significa curare: cioè, adulti che vedendo che sono minori riempiono la loro solitudine, cercano di ottenere anche il loro consenso, se per consenso si intende la possibilità di poter mandare foto anche compromettenti oppure appuntamenti. Allora, i bambini, i ragazzi i minori devono essere aiutati a utilizzare bene la rete”.

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Premio Balzan all'associazione francese "Vivre en Famille"

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Si è svolta questa mattina al Palazzo del Quirinale la cerimonia di consegna dei Premi Balzan 2014, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il Premio Balzan per l’umanità, la pace e la fratellanza tra i popoli è stato assegnato all’associazione francese “Vivre en Famille” per la realizzazione di un reparto di maternità e la riattivazione di una scuola nella Repubblica Democratica del Congo. Adélaïde Patrignani ha intervistato Edith e Maurice Labaisse, di “Vivre en Famille”:

R. - On est vraiment trés honorés…
Siamo veramente molto onorati di ricevere questo riconoscimento e di portare un grande aiuto all’associazione per le sue azioni umanitarie. Per noi si tratta anche del riconoscimento di questi 20 anni in cui abbiamo cercato di portare aiuti ai bambini più svantaggiati, disabili, orfani e che vivono in estrema miseria in Africa.

D. - In che modo questo Premio aiuterà i vostri progetti?

R. – Ce prix est d’abord trés généreux… 
Questo premio è molto generoso, un milione di franchi svizzeri … Abbiamo già fatto la lista di un gran numero di opere in questi Paesi africani che oggi soffrono molto. Abbiamo cominciato con la costruzione di un reparto di maternità nella foresta equatoriale del Congo, nella provincia orientale, dove le donne partoriscono: ci sono 60 parti al mese in condizioni inaccettabili. I letti, quando ci sono, sono letti arrugginiti, senza materassi, senza alcuna igiene. C’è una forte mortalità infantile e anche delle donne. Bisogna sapere che la miseria è tale che queste donne non riescono a pagare le cure per il parto: basterebbero meno di 4 euro, ma non possono pagarli. Sempre in questa regione, c’è la ristrutturazione di un grande caseggiato che accoglie diverse centinaia di bambine e altri progetti, per la popolazione dei Pigmei, dove 4 bambini su 10 arrivano all’età di 15 anni. Sono veramente giovani che vivono ai margini della società: bisogna fare qualcosa!

D. - Voi lavorate in Paesi dove non c’è stabilità politica e infrastrutture. Su cosa e chi una piccola Ong come la vostra può contare per portare avanti i propri progetti?

R. – Nous avons, et depuis toujours…
Riusciamo sempre ad essere bene accolti in tutti questi Paesi perché quello che cerchiamo di fare è apprezzato dai governanti. Quando andiamo per la prima volta in un Paese la prima cosa che facciamo è chiedere un incontro col ministro degli Affari sociali o della Famiglia per poterci presentare e vedere quello che possiamo realizzare. Non vogliamo mai imporci e questo spiega le agevolazioni che otteniamo. Riusciamo a mobilitare generosi donatori. Vi dicevo di un parto che costa meno di 4 euro e questo basta per rendersi conto che con mezzi a volte limitati quanta felicità possiamo portare, quanto bene possiamo fare.

D. – Non si può che restare ammirati da un tale esempio di carità e di una vita consacrata ai più piccoli nell’amore della famiglia e questo ci invita a farvi un’ultima domanda: Dio in tutto questo?

R. - Dieu dans tout ça… 
Dio in tutto questo deve tenerci la mano e guidarci e gli chiediamo di non lasciarci.

D. – Se mai incontrerete il Papa durante il vostro viaggio a Roma cosa vorreste dirgli?

R. – Qu’il accompagne tous ces enfants…
Che accompagni tutti questi bambini che hanno bisogno. So che non possiamo salvare la terra. Si può salvare un bambino alla volta, ma credo che abbiamo veramente bisogno di aiuto per continuare a salvare questi bambini nel mondo perché c’è tanto da fare per i bambini francesi quanto per quelli africani.

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Nella Chiesa e nel mondo



Patriarca Sako ai leader islamici: troppo silenzio sulle barbarie dell'Is

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 A differenza “dei nazisti e di altre ideologie mortali del XX secolo”, i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) compiono i loro crimini barbari “in nome dell'Islam”. Per questo “appare abbastanza scioccante la latitanza della comunità islamica ufficiale che ha denunciato questi atti solo con dichiarazioni timide e deboli”, mostrando l'assenza di una leadership in grado di “far crescere la consapevolezza del popolo riguardo all'incombente pericolo portato dallo Stato Islamico che agisce in nome della religione”.

Con queste parole dirette e determinate il patriarca di Babilonia del caldei Louis Raphael I richiama le guide della comunità islamica a assumersi le proprie responsabilità nel contrastare l'estremismo oscurantista di marca islamista, che rappresenta certo un pericolo mortale per i cristiani del Medio Oriente ma che il patriarca caldeo giudica “non meno pericoloso” per gli stessi islamici.

L'accorato appello di Sua Beatitudine Louis Raphael I è contenuto nella Lettera aperta “ai fratelli e alle sorelle musulmani di tutto il mondo” che il patriarca ha diffuso in occasione della sua partecipazione all'ultima conferenza internazionale organizzata dal Centro saudita Re Abdullah bin Abdulaziz per il dialogo interreligioso e interculturale (Kaiicid). Il summit interreligioso di due giorni, che si è concluso ieri a Vienna, ha visto la partecipazione di 200 personalità musulmane e cristiane chiamate a riflettere e confrontarsi sul tema della comune battaglia contro la violenza in nome della religione.

Nella lettera, pervenuta all'agenzia Fides, il primate della Chiesa caldea si dice “scioccato” da quelli che “hanno sminuito il grave pericolo rappresentato dallo Stato Islamico” e richiama tutti i fratelli e le sorelle musulmani a un “netto cambiamento, perchè “è vostra la responsabilità di trovare una risposta, che deve venire da voi e non da una forza esterna”.

Tra i crimini commessi dai jihadisti in azione in Iraq e Siria, il patriarca ricorda anche “la violazione della santità di chiese e monasteri” o la loro conversione in moschee, e il rapimento di donne vendute al mercato come schiave. Sua Beatitudine ribadisce che in Medio Oriente i cristiani rappresentano una presenza autoctona, e invita gli studiosi di questioni religiose a “confutare gli argomenti usati dall'Is” ricorrendo anche alla giurisprudenza per denunciare le loro pratiche atroci e marchiare il loro pensiero come un “flagello dell'umanità”.  (R.P.)

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Pakistan: governatore del Punjab incontra i leader religiosi

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Dopo la tragedia di Kasur – dove due coniugi cristiani sono stati arsi vivi per presunta blasfemia – il governatore del Punjab, Muhammad Sarwar, ha incontrato un’ampia delegazione di leader religiosi cristiani e musulmani. Come riferisce l'agenzia Fides, tra i presenti vi erano il vescovo anglicano Samuel Robert Azriah, il vescovo Romal Shaw, padre James Channan, responsabile del “Peace Center” a Lahore, Hafiz Tahir Mehmood Ashrafi, presidente del “Consiglio degli ulama del Pakistan”, e altri noti capi musulmani.

Nell’incontro, i leader religiosi hanno chiesto quali strategie e quali strade il governo pakistano intende adottare di fronte al reato di Kasur, per garantire giustizia e prevenire altri episodi di violenza sulle minoranze. Sarwar ha espresso il suo profondo shock, dicendo di aver pensato perfino alle dimissioni “poiché non sono riuscito a proteggere i cristiani”.

“Se un governo non riesce a proteggere i suoi cittadini, non ha il diritto e non merita di governare. La sensazione di insicurezza nel Paese è molto dolorosa”, ha detto Sarwar. Il governo del Punjab ha promesso il massimo impegno per condurre i colpevoli davanti alla giustizia e porre fine all’impunità. “L’impunità per gli attacchi ai cristiani avvenuti a Shanti Nagar, a Gojra e alla Joseph colony di Lahore è una questione di grave preoccupazione per me”, ha aggiunto il governatore.

Commentando l'uso improprio della legge sulla blasfemia, Sarwar ha rimarcato: “Se una persona accusa falsamente l'altro di blasfemia, deve essere punito”. Ha poi confermato il suo apprezzamento “per il ruolo dei cristiani, che hanno sempre lavorato per la pace e l'armonia del Paese”.

Anche Hafiz Tahir Mehmood Ashrafi, presidente del “Consiglio degli ulama del Pakistan” si è detto amareggiato, notando: “Se i colpevoli degli attacchi passati fossero stati puniti, forse l’omicidio di Kasur non sarebbe avvenuto”. “I cristiani sono nostri concittadini – ha aggiunto – e piangiamo con loro”, ricordando che oltre cento ulama si sono recati sul luogo del delitto, nel distretto di Kasur, portando condoglianze e solidarietà. “Siamo con voi e alzeremo con voi la voce per la giustizia”, ha concluso rivolgendosi ai leader cristiani presenti. Il Vescovo Azariah e gli altri cristiani presenti hanno ringraziato gli ulama e tutti i musulmani che “sono accanto ai cristiani in questo momento difficile”.

Ieri, un raduno pubblico di leader religiosi cristiani e musulmani, di rappresentanti della società civile e attivisti si è tenuto nella cittadina di Kot Radha Krishan, nel distretto di Kasur, nell’area dove Shahzad e Shama Masih sono stati linciati. (R.P.)

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Gaza: migliaia di bambini disabili a causa del conflitto

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Il conflitto bellico nella Striscia di Gaza ha avuto gravi conseguenze sulla vita dei bambini palestinesi e delle loro famiglie. Sono circa mille i piccoli rimasti disabilli in modo permanente a causa dei bombardamenti di Israele contro i civili in quel territorio palestinese. E’ quanto riferisce l’Osservatorio Euro-Mediterraneo, gruppo che si occupa della tutela dei diritti umani che ha sede nel Paese.

In un comunicato stampa il gruppo ha denunciato il fatto che l’esercito israeliano utilizza tipi di proiettili illegali che contengono migliaia di chiodi di ferro che penetrano nella carne e nelle ossa degli esseri umani causando ferite, tagli e gravi danni al corpo.

A Gaza ci sono diverse organizzazioni caritatevoli che si occupano dei bambini disabili, soprattutto di quelli che sono rimasti feriti nel corso dei 50 giorni di conflitti bellici durante i quali un carro armato israeliano ha attaccato una scuola, gestita dall’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati palestinesi in Medio Oriente, nel campo profughi Jabalia a nord della Striscia. Il centro assiste 250 piccoli disabili di tutta la Striscia di Gaza, rimasti feriti durante l’ultima offensiva. A questi si aggiungono i 550 casi che sono stati curati prima della scorsa guerra contro Gaza, e che hanno tutti bisogno di arti artificiali. (R.P.)

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Centrafrica: premiati i leader religiosi per opera di pace

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“È un premio dato a persone che nel mezzo delle violenze sono riuscite ad apportare un altro messaggio, quello dell’amore, della tolleranza, della coesione sociale, del vivere insieme” ha detto al ritorno nella Repubblica Centrafricana, mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, commentando il premio per la pace accordato dall’Ong statunitense Search For Common Ground ai leader della “piattaforma dei religiosi per la pace”: mons. Dieudonné Nzapalainga, Oumar Kobine Layama, rispettivamente arcivescovo e Imam di Bangui, e il Pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche.

I tre leader religiosi, che hanno ritirato il premio lo scorso 13 novembre, facevano parte di cinque gruppi selezionati dall’Ong statunitense per il loro impegno per la promozione della pacifica coesistenza tra cristiani e musulmani. I tre leader religiosi hanno lavorato incessantemente per impedire che la guerra civile centrafricana tra gruppi identificati, a volte arbitrariamente, come “musulmani (l’ex guerriglia Selaka) e “cristiani (le milizie “anti-balaka”), creasse una spaccatura profonda nella società locale, lungo linee religiose.

Secondo mons. Nzapalainga, coloro che hanno concesso il premio hanno voluto indicare una strada anche ad altre persone che operano in contesti di lotte e divisioni religiose e di altro tipo: “diverse persone osservano il lavoro che facciamo. Vedono che è al di sopra della passione e dei sentimenti. Hanno pensato che facciamo un lavoro razionale che può essere riprodotto ovunque da coloro che sono animati dal desiderio di costruire la coesione sociale e al quale possono ispirarsi”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 324

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.