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Sommario del 22/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: rompere isolamento per chi soffre di autismo

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L’autismo è uno “stigma” sociale, che condanna molte famiglie a un isolamento che va spezzato. È l’appello che Papa Francesco ha rivolto a “istituzioni e governi” nell’accogliere in Aula Paolo VI diverse centinaia di persone, in maggioranza bambini, affette da questa patologia. L’udienza ha concluso la 29.ma Conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il servizio di Alessandro De Carolis

Lo chiamano “spettro” il complesso di disturbi che patisce chi è affetto dall’autismo. Ma spettro è anche quello che si agita in centinaia di migliaia di genitori che sopportano una pena infinita e normalmente invisibile. Spettro sono le famiglie fantasma che vivono l’autismo della solidarietà, troppo sole nell’accudire i propri figli, prigionieri di un labirinto che spegne la luce di occhi che dovrebbero brillare e rende sordo il tatto del cuore, quello che un bimbo usa per parlare quando ancora non sa parlare con mamma e papà.

Papa Francesco usa quel tatto, il suo più naturale e intimo davanti a chi soffre, all’inizio e alla fine della sua presenza in Aula Paolo VI, cercando in mezzo alla falange di braccia protese verso di lui soprattutto le mani più piccole, le teste più piccole, anche se non reagiscono alle sue carezze che invece sciolgono lacrime più grandi di chi è a fianco di questi piccoli. Ma ci sono anche volti sui quali la malattia ha scritto una storia di anni e per questo universo di fragili combattenti il Papa diventa una voce forte che infonde coraggio, quella di un padre che può farsi ascoltare, come dice, da “governi e istituzioni”:

“È necessario l’impegno di tutti per promuovere l’accoglienza, l’incontro, la solidarietà, in una concreta opera di sostegno e di rinnovata promozione della speranza, contribuendo in tale modo a rompere l’isolamento e, in molti casi, anche lo stigma che gravano sulle persone affette da disturbi dello spettro autistico, come spesso anche sulle loro famiglie”.

È uno spettro l’autismo, Papa Francesco lo chiama “una croce”. Perché l’autismo ancora oggi è una patologia, riconosce, “che molte volte stenta non solo ad essere diagnosticata, ma – soprattutto per le famiglie – ad essere accolta senza vergogna o ripiegamenti nella solitudine”. Dunque, l’appello di Papa Francesco è una chiamata alla prossimità soprattutto per le comunità cristiane. Chi fa i conti con lo spettro dell’autismo ha bisogno di trovare, afferma, “un accompagnamento non anonimo e impersonale”:

“Nell’assistenza alle persone affette dai disturbi dello spettro autistico è auspicabile quindi creare, sul territorio, una rete di sostegno e di servizi, completa ed accessibile, che coinvolga, oltre ai genitori, anche i nonni, gli amici, i terapeuti, gli educatori e gli operatori pastorali. Queste figure possono aiutare le famiglie a superare la sensazione, che a volte può sorgere, di inadeguatezza, di inefficacia e di frustrazione”.

Prima di tornare a comunicare con il sorriso e le carezze, Papa Francesco ringrazia gruppi parrocchiali e Associazioni che vivono ogni giorno ciò che dichiarano le magliette che in tanti indossano in Aula Paolo VI: “Io amo il bambino autistico”. E incoraggia il lavoro degli studiosi e dei ricercatori, “affinché – dice – si scoprano al più presto terapie e strumenti di sostegno e di aiuto per curare e, soprattutto, per prevenire l’insorgere di questi disturbi”.

Numerose le famiglie con ragazzi e bambini autistici, che nell’Aula Paolo VI hanno partecipato all’incontro con Papa Francesco. Ascoltiamo alcune voci raccolte da Marina Tomarro

R. - È una grande emozione, un grande avvicinamento perché ci sentiamo soli in questi grandi battaglie.

R. - La Chiesa cattolica focalizza la sua attenzione sull’autismo, riconoscendo che questo disagio ha una sua specificità, richiede approfondimenti studi. Bisogna che ci rendiamo consapevoli – tutti - della presenza di questi ragazzi - che sono tanti nella nostra società - che vanno aiutati ad integrarsi.

R. - È molto importante perché anche i nostri bambini devono avere un posto in mezzo alle persone e che tutti sappiano che se un bambino ha dei problemi merita comunque di stare in mezzo agli altri. Questo è un inizio importante.

D. - Il Papa nel suo discorso ha invitato tutti a collaborare. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. - Deve essere una cosa sinergica; devono essere aiutati questi genitori, perché passando attraverso l’Aula Paolo VI, ho visto dei bambini che si trovano in condizioni peggiori rispetto a mio nipote. Ed è una cosa molto brutta, perché non sempre si capisce, soprattutto quando siamo presi dai problemi. Quindi bisognerebbe sensibilizzare tutti, perché l’aiuto a mio nipote è stato dato dai fratellini e dalle scuole.

D. - Le istituzioni che cosa dovrebbero fare di più per voi?

R. - Darci delle strutture dove poterli intrattenere. Adesso per loro non c’è niente. C’è solo la grande famiglia e basta.

R. - Le istituzioni si disinteressano dei ragazzi autistici a partire dalla fine della scuola elementare. Li c’è qualche tipo di assistenza per i bambini. Finita la scuola elementare, e quando va bene alla scuola media, le terapie o comunque interventi per le attività per questi ragazzi, dal pubblico finiscono. Da quel momento in poi le famiglie sono sole. In questo grande vuoto si inseriscono le associazioni come la nostra “Divento grande onlus” che organizzano attività di sostegno, per questi ragazzi. Siamo orgogliosi di avere figli speciali e quindi ci mettiamo la passione.

R. - Noi siamo stati totalmente abbandonati; non abbiamo terapie e quelle che ci sono, sono tutte private. Quei pochi soldi che ci danno in assegni di invalidità non bastano neanche per coprire i costi delle terapie che dobbiamo affrontare. Ho tre figli: due autistici e per loro spendiamo come minimo 1200 euro in terapie private al mese. Adesso piano piano, insieme alle associazioni sul territorio nazionale, stiamo cercando di muoverci ma la maggior parte di noi è in queste condizioni.

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Francesco: non lasciarsi rubare il sogno di cambiare il mondo col Vangelo

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Non lasciatevi rubare il sogno di cambiare il mondo con il Vangelo: questa l’esortazione di Papa Francesco durante l’incontro con i partecipanti al Convegno Missionario Nazionale della Chiesa in Italia, in corso a Sacrofano. Il servizio di Sergio Centofanti

La Chiesa è fatta per uscire da se stessa, per “ascoltare il grido dei poveri e dei lontani, incontrare tutti e annunciare la gioia del Vangelo”. Papa Francesco lo ribadisce: “la missione è compito di tutti i cristiani non solo di alcuni”, anche dei bambini. Non bisogna avere paura, perché “la misericordia di Dio cambia la storia degli individui e persino dei popoli”:

“Vi esorto a non lasciarvi rubare la speranza e il sogno di cambiare il mondo con il Vangelo, con il lievito del Vangelo, cominciando dalle periferie umane ed esistenziali. Uscire significa superare la tentazione di parlarci tra noi dimenticando i tanti che aspettano da noi una parola di misericordia, di consolazione, di speranza”.

“Il Vangelo di Gesù – ha proseguito il Papa - si realizza nella storia. Gesù stesso fu un uomo della periferia, di quella Galilea lontana dai centri di potere dell’Impero romano e da Gerusalemme”:

“Incontrò poveri, malati, indemoniati, peccatori, prostitute, radunando attorno a sé un piccolo numero di discepoli e alcune donne che lo ascoltavano e lo servivano. Eppure la sua parola è stata l’inizio di una svolta nella storia, l’inizio di una rivoluzione spirituale e umana, la buona notizia di un Signore morto e risorto per noi.  E questo tesoro, noi vogliamo condividere”.

Il Papa esorta a non “scoraggiarsi nelle difficoltà, che non mancano mai”:

“Talvolta, anche nella Chiesa veniamo presi dal pessimismo, che rischia di privare dell’annuncio del Vangelo tanti uomini e donne. Andiamo avanti con speranza! I tanti missionari martiri della fede e della carità ci indicano che la vittoria è solo nell’amore e in una vita spesa per il Signore e per il prossimo, a partire dai poveri”.

“I poveri – ha sottolineato - sono i compagni di viaggio di una Chiesa in uscita, perché sono i primi che essa incontra”:

“Uscire è non rimanere indifferenti alla miseria, alla guerra, alla violenza delle nostre città, all’abbandono degli anziani, all’anonimato di tanta gente bisognosa e alla distanza dai piccoli. Uscire e non tollerare che nelle nostre città cristiane ci siano tanti bambini che non sappiano farsi il segno della croce. Questo è uscire”.

Uscire – ha affermato Papa Francesco – “è essere operatori di pace, quella ‘pace’ che il Signore ci dona ogni giorno e di cui il mondo ha tanto bisogno”:

“I missionari non rinunciano mai al sogno della pace, anche quando vivono nelle difficoltà e nella persecuzione, che oggi torna a farsi sentire con forza. Ho incontrato nei giorni scorsi vescovi del Medio Oriente, anche parroci delle città più attaccate dalla guerra in Medio Oriente, erano gioiosi nel servizio a questa gente. Soffrivano per quello che succedeva, ma avevano la gioia del Vangelo”.  

Il Papa ringrazia la Chiesa italiana per i tanti preti, religiosi e laici partiti in missione e conclude: “Che il Signore faccia crescere in voi la passione per la missione e possa rendervi ovunque testimoni del suo amore e della sua misericordia”.

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Papa ai Movimenti: freschezza carisma, libertà delle persone e comunione

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“Mantenete la freschezza del carisma, rispettate la libertà delle persone e cercate sempre la comunione”: sono i tre pilastri che il Papa indica ai circa 350 partecipanti al Terzo Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità, ricevuti stamani in udienza in Vaticano. A riunirsi, su invito del Pontificio Consiglio per i Laici, i delegati  delle realtà associative internazionali più diffuse per riflettere sul tema “La gioia del Vangelo: una gioia missionaria”, ispirato all’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Il Congresso si è svolto presso il Pontificio Collegio internazionale “Maria Mater Ecclesiae”. Il primo incontro mondiale è stato quello del 1998 con Giovanni Paolo II; il secondo nel 2006 con Benedetto XVI. Il servizio di Debora Donnini

Conversione e missione: due elementi centrali e intimamente legati. E Papa Francesco sottolinea che i Movimenti e le Nuove Comunità sono “ormai proiettati alla fase della maturità ecclesiale” che richiede conversione permanente per rendere sempre più feconda la spinta di evangelizzazione. Tre quindi i pilastri su cui basarsi. Prima di tutto la freschezza del carisma. Con il tempo, infatti, cresce la tentazione di accontentarsi, “la tentazione di ingabbiare lo Spirito”:

“Se forme e metodi sono difesi per sé stessi diventano ideologici, lontani dalla realtà che è in continua evoluzione; chiusi alla novità dello Spirito, finiranno per soffocare il carisma stesso che li ha generati. Occorre tornare sempre alle sorgenti dei carismi e ritroverete lo slancio per affrontare le sfide”.

Papa Francesco rileva, infatti, che anche i Movimenti non hanno fatto "una scuola di spiritualità così”, non hanno “un gruppetto” ma “movimento”:

“Sempre sulla strada, sempre in movimento, sempre aperto alle sorprese di Dio, che vengono in sintonia con la prima chiamata del movimento, quel carisma fondamentale”.

Il secondo punto su cui Papa Francesco si sofferma è “il modo di accogliere” le persone, in particolare i giovani, tenuto conto che oggi “facciamo parte di un’umanità ferita” e che “tutte le agenzie educative”, specialmente la famiglia, hanno gravi difficoltà ovunque. Il Papa rileva, infatti, che l’uomo di oggi ha difficoltà “a fare le proprie scelte” e ha quindi una disposizione “a delegare ad altri le decisioni importanti della vita”. Non bisogna dunque sostituirsi alla libertà delle persone perché  ognuno “ha il suo tempo: cammina a modo suo e dobbiamo accompagnare questo cammino”. Un progresso “ottenuto facendo leva sull’immaturità della gente è un successo apparente, destinato a naufragare. Meglio pochi – dice – ma andando sempre senza cercare lo spettacolo!”:

“L’educazione cristiana invece richiede un accompagnamento paziente che sa attendere i tempi di ciascuno, come fa con ognuno di noi il Signore: ma il Signore ha pazienza, ha pazienza con noi! La pazienza è la sola via per amare davvero e portare le persone a una relazione sincera col Signore”.

Non si deve poi dimenticare la terza indicazione che riguarda la comunione. Perché il mondo creda che Gesù è il Signore, bisogna che veda la comunione fra i cristiani e non maldicenza e “il terrorismo delle chiacchiere”. Cristo, infatti, ha versato il suo sangue per il fratello e “non per le mie idee”. Per il Papa, quindi, “la vera comunione non può esistere in un movimento o in una nuova comunità se non si integra nella comunione più grande che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica”. Questo vuol dire affrontare insieme le questioni più importanti come “la vita, la famiglia, la lotta alla povertà in tutte le sue forme, la libertà religiosa e di educazione”. E in particolare bisogna curare le ferite prodotte da una mentalità globalizzata “che mette al centro il consumo, dimenticando Dio e i valori essenziali dell’esistenza”:

“Per raggiungere la maturità ecclesiale, dunque, mantenete - lo ripeto - la freschezza del carisma, rispettate la libertà delle persone e cercate sempre la comunione”.

Papa Francesco invita, quindi, a non dimenticare che per raggiungere questo traguardo “la conversione deve essere missionaria”, e cioè che “la forza di superare tentazioni e insufficienze viene dalla gioia profonda dell’annuncio del Vangelo, che è alla base  - dice - di tutti i vostri carismi”. “Voi avete portato già molti frutti alla Chiesa e al mondo intero, ma ne porterete altri ancora più grandi con l’aiuto dello Spirito Santo”, dice il Papa esortando ad “andare avanti”, sempre in movimento:

“Adesso vi chiedo, tutti insieme, di pregare la Madonna, che ha provato  questa esperienza di sempre conservare la freschezza del primo incontro con Dio, di andare avanti con umiltà, ma sempre in cammino, rispettando il tempo delle persone. E poi di non stancarsi mai di avere questo cuore missionario”.

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Congresso Movimenti. Martinez: da Francesco spinta missionaria

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Conversione e missione: due elementi della vita cristiana al centro del Congresso dei Movimenti e delle nuove Comunità che si conclude stasera al Pontificio Collegio Internazionale “Maria Mater Ecclesiae” a Roma. Tra i partecipanti, anche Salvatore Martinez, presidente nazionale del “Rinnovamento nello Spirito Santo”. Adriana Masotti gli ha chiesto di sintetizzare ciò che si è vissuto in questi giorni di comunione tra le diverse realtà ecclesiali intervenute ai lavori: 

R. – Direi che ci muoviamo tra memoria e profezia. La memoria di un cammino che giunge già a 16 anni trascorsi sotto tre Pontificati. Ho avuto la grazia di essere testimone dei primi due Congressi - e quindi giungiamo alla terza edizione - e mi pare di trovare una profonda sintonia sul piano teologico-pastorale quest’anno, sotto il Pontificato di Francesco, con una spinta missionaria ancora più decisa. Non possiamo nascondere la verità profonda dei carismi che per loro natura sono missionari. La parola "movimento" ci dice, per l’appunto, che sono proprio il superamento di ogni staticità della fede: segnano, in linea di continuità con il mandato di Gesù, quella costruzione del Regno di Dio che avviene nella storia dove, peraltro, noi laici siamo perfettamente innestati. Si chiarisce allora sempre di più non solo la natura dei Movimenti, ma direi proprio il loro dinamismo missionario. Questo Pontificato, così profondamente carismatico e missionario, reclama un ascolto profondo. Mi pare di cogliere che la capacità di leggere i segni dei tempi nel linguaggio nelle sfide indicate da Papa Francesco sia un segno evidente del buon esito di questo convegno. Quindi, all’ascolto attento e a un discernimento che ci accomuna profondamente fa seguito, direi, il desiderio di stare vicini al Papa, di far sentire alla gerarchia della Chiesa la vicinanza ancora più forte, decisa di questi movimenti, di queste comunità in forza dei propri carismi e il desiderio soprattutto di comunicare questa gioia che deriva dall’incontro di Gesù Cristo.

D. – Quale stagione vivono oggi i Movimenti e le nuove Comunità? Sono in espansione o piuttosto sono in un momento di crisi di adesioni?

R. – Parlare di Movimenti e di nuove Comunità è come alzare lo sguardo al cielo e provare a osservare una costellazione, nel senso che fioriscono continuamente come espressione di questa primavera della Chiesa. Quindi, ci sono realtà preconciliari, realtà postconciliari e realtà di questi giorni, nate proprio come segno della fecondità dello spirito in questo nostro tempo. Allora, è veramente difficile poter fare un bilancio della vita dei movimenti e delle comunità. Ma, potrei dire che complessivamente godono di buona salute e, certamente, il Pontificato di Papa Francesco sta segnalando quella risposta provvidenziale che già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI indicavano alla Chiesa. È evidente che anche i Movimenti hanno bisogno di conversione pastorale. E quando dico conversione pastorale, espressione di Papa Francesco, intendo il bisogno di ricentrarsi ancora più fortemente su quello che è l’avvenire delle nostre chiese: non che fuggano dalla comunione ecclesiale, ma bisogna che la si esperimenti ancora di più. In fondo, la stessa comunione ecclesiale è sostanza della missione. È vero, allo stesso tempo, che il Pontificato così kerigmatico e carismatico di Papa Francesco stimola anche la gerarchia alla conversione pastorale e quella degli stessi pastori verso un dinamismo missionario, verso un’uscita della Chiesa che indubbiamente può trovare nei laici e nei loro carismi un aiuto significativo. 

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Consegnato il Premio Ratzinger per la ricerca teologica

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Si è svolta questa mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, la cerimonia di premiazione della quarta edizione del Premio “Joseph Ratzinger” che ogni anno celebra quegli studiosi che si sono particolarmente distinti nell’attività della ricerca scientifica di carattere teologico. In rappresentanza del Santo Padre, a motivo dei numerosi impegni della sua mattinata, è intervenuto il prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Il servizio di Roberta Barbi: 

Ha riservato due primati l’edizione di quest’anno del Premio “Joseph Ratzinger” che celebra il grande impegno di studioso del Papa emerito, che non a caso è stato soprannominato “il Mozart della teologia”: il prestigioso riconoscimento, infatti, è andato per la prima volta a una donna, Anne-Marie Pelletier che insegna Ermeneutica ed Esegesi biblica a Parigi, e a un sacerdote di nazionalità polacca, mons. Waldemar Chrostowski, biblista impegnato nel dialogo cattolico-giudaico. In rappresentanza del Papa, il cardinale Müller, a capo del dicastero che fu di Ratzinger per 24 anni, ricorda quanto è importante immergersi nella teologia del Papa emerito per i candidati agli Ordini sacri, per i futuri insegnanti di religione, per gli operatori pastorali ma anche per tutti i cattolici:

“Con le sue opere, il Papa emerito ha fatto dono alla Chiesa e a tutti gli uomini di ciò che aveva di più prezioso: la sua conoscenza di Gesù, frutto di anni e anni di studio, di confronto teologico e di preghiera, perché Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio: sono le parole di Papa Francesco”.

Nel suo intervento, il porporato ha ripreso le parole pronunciate da Papa Francesco alla premiazione del 2013 del medesimo riconoscimento, quando aveva sottolineato il ruolo della fede che, unica, illumina la nostra ragione e ci spinge verso la volontà di Dio. Questo è il contributo originale della prima Enciclica del Santo Padre, "Lumen Fidei":

“La teologia non è soltanto parola su Dio, ma prima di tutto accoglienza e ricerca di un’intelligenza più profonda di quella parola che Dio ci rivolge: parola che Dio pronuncia su se stesso, perché è un dialogo eterno di comunione che ammette l’Uomo all’interno di questo dialogo”.

In apertura di cerimonia, il presidente della Fondazione Vaticana “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, mons. Giuseppe Scotti, nel suo saluto introduttivo ha presentato i due premiati come “persone che si lasciano afferrare dalle parole di Gesù” e che “accompagnano i giovani verso Cristo nella complessità dei tempi che viviamo”. Per ribadire la motivazione della scelta dei premiati, ha citato alcune parole di Papa Francesco nell’incontro a Caserta con il pastore pentecostale Traettino, nel luglio scorso:

“Ci sono cristiani che confondono il camminare con il girare: non sono camminanti, sono erranti e girano qua e là nella vita. Sono nel labirinto e lì vagano, vagano… Manca loro la ‘parresia’, l’audacia di andare avanti, manca loro la speranza. Il Santo Padre ha dato queste caratteristiche molto belle: è la fotografia spirituale delle due persone che abbiamo davanti a noi”.

Al cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Vaticana “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, è stato affidato infine il compito di tracciare il profilo della professoressa francese, autrice di due libri sul tema donne e cristianesimo:

“È una personalità di forte rilievo nel cattolicesimo francese contemporaneo, che unisce a un meritato prestigio scientifico e versatile, vivacità culturale, un’autentica dedizione a cause assai importanti per la testimonianza cristiana nella società”.

E un breve ritratto del sacerdote polacco, che è anche redattore generale di una rivista teologica nel suo Paese:

“È un infaticabile, apprezzatissimo divulgatore della conoscenza della Bibbia, attraverso corsi di formazione, esercizi spirituali, pellegrinaggi. È inoltre impegnato nel dialogo cattolico-giudaico e polacco-giudaico. Unisce, dunque, al rigore scientifico, la passione per la Parola di Dio, il servizio alla Chiesa e la sollecitudine per il dialogo interreligioso”.

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Si è spento il card. Fiorenzo Angelini: la preghiera del Papa

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Si è spento nella notte a Roma il cardinale Fiorenzo Angelini, prefetto emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Aveva 98 anni. Papa Francesco ha pregato per lui, stamani, durante l’incontro con il mondo dell’autismo. Lunedì prossimo, alle 15.00, il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio, presiederà i funerali nella Basilica Vaticana. Al termine delle esequie, il Papa presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio. 

Nato nel cuore della vecchia Roma, a Campo Marzio, il primo agosto del 1916, Fiorenzo Angelini diventa sacerdote il 3 febbraio del 1940. Erano i tempi duri della guerra. Il giovane prete è inviato ad aiutare il parroco di San Michele Arcangelo, una parrocchia dell'estrema periferia di Roma, a Pietralata: qui c'era bisogno di tutto e nessuno era in grado di fornire il minimo di assistenza. Angelini si rimbocca le maniche per dedicarsi alla gente sofferente. Fonda il Segretariato di Assistenza al popolo, un'organizzazione che riesce ad assistere migliaia persone. Apre poi in Via Pannonia una mensa per i più poveri. Lui stesso si occupa di spaccare la legna necessaria a far funzionare le cucine.

Nel 1945 viene chiamato a ricoprire l'incarico di assistente ecclesiastico nazionale degli uomini di Azione Cattolica. Si fa promotore, in questa sua nuova missione pastorale, di numerose e diverse iniziative di carattere culturale, sociale e ricreativo. Tra l'altro in questo periodo organizza la prima Fiera della stampa cattolica. Nel 1947, con il prof. Gedda organizza il grande incontro dell’Azione Cattolica con Pio XII: duecentocinquantamila le persone presenti in Piazza San Pietro. Si impegna anche nell'insegnamento della religione nelle scuole statali e per sette anni (dal 1947 al 1954) è maestro delle Cerimonie Pontificie.

Nel 1956 è consacrato vescovo e viene chiamato ad occuparsi dell'Assistenza spirituale nelle cliniche e negli ospedali di Roma. Da questo momento inizia il suo instancabile impegno nel mondo della sanità. Dal gennaio 1977 al febbraio 1985 è stato anche vescovo ausiliare per la diocesi di Roma.

L'11 febbraio 1985 viene nominato da Giovanni Paolo II pro-presidente della Pontificia Commissione per la Pastorale degli Operatori Sanitari e nominato arcivescovo. Nel 1988 diventa presidente della medesima Commissione, denominata poi Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.

Rendere più umano il volto della sofferenza è stato lo scopo principale di un'attività che, esplorando il mondo scientifico ai più alti livelli, ha tentato di porre l'uomo che soffre al centro della sanità. I medici sono il suo primo "obiettivo". Fonda nel 1959 l'Associazione dei Medici Cattolici Italiani divenendone assistente ecclesiastico nazionale.

Successivamente dà un nuovo impulso alla pastorale dei cappellani ospedalieri. Al Concilio Vaticano II propone l'attuale liturgia del Sacramento dell'Unzione per gli Infermi. Quindi si rivolge al mondo scientifico per sollecitarne un maggiore impegno nella ricerca di tutti i rimedi possibili per lenire la sofferenza ma soprattutto per riaffermare la centralità dell'uomo. Su questi grandi valori desidera che si incontrino scienziati di tutte le parti del mondo offrendo loro la possibilità di superare steccati e barriere in nome dell'umanità. Rientrano in questo ideale sia la realizzazione di corsi internazionali di Medicina e Morale, sia l'organizzazione di grandi Conferenze Internazionali che annualmente, dal 1986, hanno affrontato tematiche fondamentali per la vicenda umana.

Autore di oltre quattrocento pubblicazioni su argomenti di etica medica, di assistenza socio-sanitaria e religiosa tra le corsie degli ospedali, fonda innumerevoli opere sanitarie nei Paesi più poveri.

Giovanni Paolo II lo crea cardinale nel Concistoro del 28 giugno 1991, del Titolo di S. Spirito in Sassia, Diaconia elevata pro hac vice a Titolo Presbiterale.

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Sei nuovi Santi per la Chiesa: tra loro, fra Ludovico da Casoria

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Da questa domenica, solennità di nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, la Chiesa ha sei nuovi Santi: in Piazza San Pietro, infatti, Papa Francesco celebra la Santa Messa di Canonizzazione dei Beati italiani Giovanni Antonio Farina, Ludovico da Casoria, Nicola da Longobardi, Amato Ronconi e dei Beati indiani Kuriakose Elias Chavara della Sacra Famiglia ed Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore. Il servizio di Giada Aquilino

Il 12 giugno scorso, quando Papa Francesco ha tenuto il Concistoro ordinario pubblico, è stata decisa l’iscrizione all’albo dei Santi per sei Beati. L’italiano Giovanni Antonio Farina visse nel vicentino nel 1800 e, fin da giovane seminarista, si distinse per una predisposizione all'insegnamento. Ordinato sacerdote, nel 1836 fondò le Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, un istituto di “maestre di provata vocazione, consacrate al Signore e dedite interamente all'educazione delle fanciulle povere”. Nominato prima vescovo di Treviso e poi di Vicenza, per l’opera di carità verso i più bisognosi divenne per tutti il “vescovo dei poveri”. Morì a Vicenza il 4 marzo 1888. Fu beatificato nel 2001.

L’indiano Kuriakose (Ciriaco) Elias Chavara della Sacra Famiglia, nacque in Kerala, il 10 febbraio 1805. Fu ordinato sacerdote nel 1829 e due anni dopo già pose le fondamenta della prima casa della congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata, di cui fu primo priore generale, e successivamente collaborò anche alla fondazione della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo. Dal 1861 ricoprì la carica di vicario generale della Chiesa siro-malabarica, per la quale sostenne un profondo rinnovamento spirituale. Morì nel 1871. Fu beatificato nel 1986.

L’italiano Ludovico da Casoria, al secolo Arcangelo Palmentieri, nacque nella località in provincia di Napoli nel 1815. Entrò a 18 anni nei Francescani Alcantarini, divenendo fra Ludovico. Per 20 anni insegnò matematica e filosofia, tenendo anche la farmacia del convento. Più tardi iniziò ad operare per il riscatto dei bimbi dell’Africa dalla schiavitù, con l’auspicio di suscitare vocazioni missionarie in quel Continente, secondo il motto: “L’Africa convertirà l’Africa”. Accolse alcuni di quei piccoli, poi aumentati col tempo. Nacquero anche altri istituti dedicati all’infanzia in difficoltà e ai meno fortunati. Fondò i cosiddetti Frati della carità e le suore Francescane Elisabettine, dette ‘Bigie’. Il Vaticano gli affidò pure una missione in Sudan. Morì a Napoli nel 1885. Fu beatificato nel 1993. Alcuni tratti dell’opera e della missione di fra Ludovico, nelle parole del postulatore generale delle Cause dei Santi dell’Ordine dei Frati Minori, fra Giovangiuseppe Califano, intervistato da Federico Piana:

R. – Nel 1847 avvertì un profondo dono di grazia, che più tardi egli stesso definì quasi un secondo battesimo e che fece di lui un ardente frate. Si avviò da quel momento ad una intensa vita apostolica e di carità. Fondò due congregazioni religiose, stabilì a Napoli, Assisi e Firenze ospizi ed educandati, prendendosi cura di anziani e fanciulli. L’ultima sua opera a Napoli, ad esempio, fu l’ospizio marino di Posillipo, che egli pensò per i vecchi pescatori. Poi, a partire dal 1854, si dedicò all’opera di riscatto dei bambini ‘moretti’, ai quali veniva assicurata l’istruzione e la catechesi. Concepì anche un progetto di evangelizzazione per l’Africa, che non si realizzò appieno, ma per il quale avrebbe voluto formare missionari autoctoni proprio per l’evangelizzazione del Continente. Certamente la sua forza fu il rapporto con Cristo crocifisso, amato e scoperto come unico ideale della sua vita.

Italiano anche Nicola da Longobardi, al secolo Giovanni Battista Clemente Saggio. Nacque nel piccolo centro in provincia di Cosenza nel 1650 e ricevette un’educazione cristiana dalla famiglia di origine contadina. Chiese quindi l'abito di San Francesco e nel 1671 emise i voti dei Minimi. Dedicò la sua esistenza al catechismo, non dimenticando mai i poveri e gli infermi. Frequenti furono le sue esperienze mistiche. Si spense nel 1709. Fu beatificato nel 1786. Della figura di fra Nicola, parla un confratello, fra Alfonso Longobardi, dell'Ordine dei frati Minimi di San Francesco di Paola, viceparroco di S. Andrea delle Fratte a Roma, intervistato da Fabio Colagrande:

R. – Ha incarnato bene il carisma dell’Ordine dei Minimi: è un carisma che ha a che fare con la penitenza, con la Quaresima, che ti porta a vivere una vita verso la Risurrezione, verso la Pasqua. La semplicità di Nicola è la disponibilità, che forse colpisce di più: lui ha una forte storia vocazionale, che è molto di moda anche ai nostri tempi. Era un contadino e, quando ha detto ai suoi che andava in convento, gli hanno risposto quello che i genitori dicono oggi ad un ragazzo o ad una ragazza che vuole entrare in convento: 'Puoi servire Dio anche qui!'. Invece Nicola dice: 'Io mi sento chiamato lì'. Ed è entrato in convento. Praticamente Nicola ha vissuto quello che noi ci diciamo: cioè che siamo ‘templi di Dio, del Dio Trinità’. Nicola ha preso consapevolezza di questo, ha cercato di esprimere in sé l’amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e ha tenuto conto che l’altro è un ‘tempio di Dio’ con cui occorre incontrarsi, condividere e vivere questo amore. Nicola ha avuto un’attenzione particolare per tutti, in modo specifico per i poveri e gli ammalati. Se dicessimo che è stato una 'Madre Teresa al maschile' nel Settecento, secondo me non diremmo una cosa azzardata.

L’indiana Eufrasia Eluvathingal nacque nel 1877 da una ricca famiglia cattolica di rito siro malabarese, che la chiamò Rose. Divenne allieva delle Carmelitane, poi nel 1898 vestì l’abito religioso ed intraprese il noviziato assumendo il nome di Eufrasia del Sacro Cuore di Gesù. Emise i voti due anni dopo nella Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo, co-fondata da Kuriakose (Ciriaco) Elias Chavara. Si distinse per la profonda spiritualità e l’unione con Dio. Morì nel 1952. Fu beatificata nel 2006.

L’italiano Amato Ronconi, nacque da una ricca famiglia a Saludecio, nel riminese, nel 1226. Fin da giovane visse secondo il Vangelo nella genuina spiritualità francescana, dedicandosi all'accoglienza dei poveri, a cui donò tutte le sue sostanze. Fondò L’Ospedale dei poveri pellegrini a Saludecio, ora Casa di riposo a lui intitolata. Morì nel 1292. Fu beatificato nel 1776.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Il Papa ha nominato il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, come suo inviato speciale alle celebrazioni del 25.mo anniversario della ritrovata libertà della Chiesa Greco-Cattolica in Ucraina, previste a Kiev per il 10 dicembre 2014.

Ad Haiti, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Cap-Haïtien, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Louis Kébreau, salesiano. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Max Leroy Mésidor, finora arcivescovo caoadiutore della medesima arcidiocesi.

In Irlanda, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi metropolitana di Cashel and Emly, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Dermot Clifford,. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Kieran O’Reilly, della Società delle Missioni Africane, finora vescovo di Killaloe. Il presule è nato a Cork, nella diocesi di Cork and Ross (Irlanda), l'8 agosto 1952. Nel 1970 è entrato nel noviziato della Società per le Missioni Africane di Wilton, a Cork, e successivamente ha frequentato i corsi di filosofia e teologia presso il St. Patrick’s College di Maynooth, conseguendo nel 1974 il Baccalaureato in Lettere, nel 1977 quello in S. Teologia e, nel 1978 il Diploma in Studi Missionari. Il 10 aprile 1977, con il giuramento perpetuo, è diventato membro permanente della Società delle Missioni Africane (S.M.A.). È stato ordinato sacerdote il 17 giugno 1978. Dopo l'ordinazione ha svolto per due anni il ministero pastorale nell' arcidiocesi di Monrovia, in Liberia. Nel 1980 è stato inviato a Roma, al Pontificio Istituto Biblico, ove ha conseguito, nel 1984, la Licenza in Sacra Scrittura. È stato successivamente Insegnante di studi biblici nel Seminario maggiore di Ibadan, in Nigeria. Dal 1990 al 1995 è stato membro del Consiglio Provinciale della Provincia irlandese del suo Istituto, con sede a Cork. Nel maggio 1995 è stato eletto Vicario Generale e, nel 2001, Superiore Generale della Società delle Missioni Africane, venendo poi rieletto, per un secondo mandato, nel 2007. Il 18 maggio 2010 è stato eletto Vescovo di Killaloe, ricevendo l'ordinazione episcopale il 29 agosto successivo. All'interno della Conferenza Episcopale Irlandese svolge il ruolo di Episcopal Secretary e Membro dello Standing Committee.

In Francia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Blois, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Maurice Le Bègue de Germiny. Al suo posto, Papa Francesco ha nominato mons. Jean-Pierre Batut, finora ausiliare di Lyon. Il presule nato il 3 luglio 1954 a Parigi. Dopo gli studi classici, ha seguito quelli superiori di lingua tedesca, ottenendo la Licenza in Lettere moderne, la Maîtrise e il CAPES (Certificat d’aptitude professionnelle à l’enseignement secondaire); è anche Laureato in Storia delle religioni alla Sorbona. Entrato nel Seminario nel 1979, è stato alunno del Seminario Francese a Roma e della Pontificia Università Gregoriana, presso la quale ha ottenuto il Baccalaureato in Filosofia scolastica e la Licenza in Teologia. Nel 1998 si è laureato in Teologia presso l’Istituto Cattolico di Parigi, con la tesi su "Dieu le Père Tout-puissant chez les Pères d’avant Nicée". È stato ordinato sacerdote il 23 giugno 1984 per l’arcidiocesi di Parigi. Dopo l’ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: vice-Parroco a Saint-Denys-du-Saint-Sacrement (1985-1989); Professore di Teologia nel 2° ciclo del Seminario di San Sulpizio a Issy-les-Moulineaux e Direttore nel 1° ciclo del Seminario a Saint-Denys-du-Saint-Sacrement (1989-1991); dal 1992 al 2008 è stato professore presso lo Studium dell’Ecole Cathédrale e nello stesso tempo vice-Parroco prima a Saint-Séverin et Saint-Nicolas (1991-1992), quindi a Saint-Philippe-du-Roule(1992-1995), infine a Saint-François-Xavier (1997-2000); dal 2000 al 2006 è stato Parroco di Sainte-Jeanne-de-Chantal e poi - dal 2007 al 2008 – di Saint-Eugène et Sainte-Cécile. Eletto Vescovo titolare di Ressiana e nominato Ausiliare dell’Arcidiocesi di Lyon il 28 novembre 2008, è stato consacrato il successivo 10 gennaio. In seno alla Conferenza Episcopale francese è membro della Commissione Dottrinale.

In Scozia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Galloway, presentata per raggiunti limiti di età da mons. John Cunningham. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote William Nolan, del clero di Motherwell, finora vicario generale di quella diocesi. Il neo presule è nato a Motherwell, nella diocesi omonima, il 26 gennaio 1954. Dopo aver frequentato il seminario minore di St. Vincent a Langabank (1965-1967) e quello di Blairs ad Aberdeen (1967-1971), ha studiato, dal 1971 al 1978, filosofia e teologia a Roma, al Pontificio Seminario Scozzese, conseguendo la Laurea in Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote, per la diocesi di Motherwell, il 30 giugno 1977. Dal 1978 al 1980 è stato Vicario Parrocchiale presso Our Lady of Lourdes a East Kilbride. Dal 1980 al 1983 ha svolto lo stesso incarico presso St. David a Plains. Dopo un'esperienza come Vice-Rettore al Pontificio Collegio Scozzese a Roma dal 1988 al 1991, è tornato a prestare il suo servizio come Vicario parrocchiale di St. Bridget's a Baillieston (1991-1994). Nel 1994 è diventato Parroco di Our Lady of Lourdes a East Kilbride, una delle parrocchie più grandi della diocesi. È stato contemporaneamente Giudice al Tribunale Ecclesiastico Nazionale della Scozia, Decano della sua zona, Incaricato della formazione permanente del clero della diocesi di Motherwell, Membro e Vice-Presidente del Consiglio presbiterale. Recentemente è stato nominato Vicario Generale di Motherwell.

In Nuova Zelanda, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Hamilton in New Zealand, presentata per raggiunti limiti di età  mons. Denis George Brown. Al suo posto, il Papa ha nominato Vescovo di Hamilton in New Zealand (Nuova Zelanda) il sacerdote Stephen Marmion Lowe, del clero di Christchurch, parroco e direttore della formazione nel Seminario nazionale Holy Cross. Mons. Marmion Lowe è nato il 3 agosto 1962 a Hokitika, nella diocesi di Christchurch. Dopo gli studi secondari allaWestland High School di Hokitika, ha frequentato il Seminario Holy Cross College di Mosgiel e, poi, il St. Charles Borromeo Seminary di Philadelphia, negli Stati Uniti. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 7  giugno 1996 per la diocesi di Christchurch. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1996-1997: Tirocinio a Mairehau; 1997-1998: Vicario parrocchiale ad Ashburton; 1998-2000: Vicario parrocchiale a Greymouth; 2000-2005: Parroco a Timaru North e, nel contempo, fino al 2004, Cappellano del Roncalli College; 2005-2007: Studi di specializzazione in Spiritualità a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, con residenza nel Pontificio Collegio Irlandese; dal 2008: Direttore della formazione al Seminario nazionale Holy Cross di Auckland e dal 2012 Parroco di Ponsonby e Amministratore di Herne Bay, nella diocesi di Auckland.

In Ghana, il Pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Obuasi il sacerdote John Yaw Afoakwa, Rettore del St. Louis Rectorate di Obuasi. Il presule John Yaw Afoakwa è nato il 26 gennaio 1955 ad Akrokerry, Ashanti Region, diocesi di Obuasi. Nel 1975 ha ottenuto l’Ordinary Level presso la St. John School di Sekondi e si è trasferito presso il Wesley College di Kumasi, dove nel 1978 ha ottenuto l’A Certificate. Ha studiato a Roma presso il Collegio Mater Ecclesiae (Pontificia Università Urbaniana), ottenendo un B.A. in Religious Education nel 1983. È stato Religious Education Organiser per la Catholic Education Unit di Kumasi fino al 1986, anno in cui è entrato nel St. Peter’s Regional Seminary di Cape Coast. Nel 1992 ha ottenuto un B.A. in Religion with Sociologypresso l’University of Ghana di Accra. È stato ordinato sacerdote l’11 luglio 1992 e incardinato nella Diocesi di Kumasi, trasferendosi, poi, ad Obuasi dopo la creazione di tale diocesi nel 1995. Dopo l’ordinazione, ha svolto i seguenti uffici e ulteriori studi: 1992-1995: insegnante e cappellano presso il St. Louis Training College di Kumasi; 1995-2007: insegnante e cappellano presso la Christ the King Catholic Secondary School ad Obuasi; Direttore del Diocesan Cathechetics Office e del Diocesan Department of Social Communications; servizio pastorale presso la Holy Trinity Catholic Church di Anyinam (1996-2002) e Rettore della Corpus Christi Catholic Church di Akaporiso; 2007-2011: Vicario parrocchiale della Blessed Trinity Parish nella diocesi di Rochester (USA), ottenendo in contemporanea il Master of Science in Education presso il Le Moyne College a Siracuse; dal 2012: insegnante presso la Bodwesango Senior High School di Bodwesango,Ashanti Region in Ghana, e Presidente del Board of Governors del St. Joseph Senior High School ad Ahwiren; Rettore del St. Louis Rectorate e Cappellano (BOD member) della St. Louis Clinic a Bodwesango. Nel corso del suo ministero è stato membro incaricato di vari Comitati diocesani e nazionali, fra cui si segnala la sua permanenza nella Commissione catechetica nazionale dal 1992 al 2007 e dal 2012 ad oggi, nel Senato presbiterale diocesano (1999-2001 e 2003-2006) e come Consultore Diocesano (1998-2001).

In Polonia, Francesco ha nominato ausiliare di Szczecin-Kamień mons. Henryk Wejman, del clero della medesima arcidiocesi, finora decano della Facoltà di Teologia presso l’Università statale di Szczecin, assegnandogli la sede titolare di Siniti. Il presule è nato il 17 dicembre 1959 a Recz. Dopo gli esami di maturità, nel 1978 è stato ammesso al Seminario maggiore. Il 15 aprile 1984 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la diocesi di Szczecin-Kamień. Dopo un anno come Vicario parrocchiale a Świnoujście nella parrocchia di Cristo Re, ha studiato Teologia della spiritualità presso la Pontificia Università "San Tommaso d’Aquino a Roma dove nel 1988 ha conseguito la Licenza. Poi ha lavorato come Vicario parrocchiale a Szczecin nella parrocchia di San Giuseppe (1988-1990) e a Szczecin-Golęcino nella parrocchia della B.V.M. del Perpetuo Soccorso. Nel 1990 ha conseguito a Roma il Dottorato in Teologia. Negli anni 1991-1998 ha lavorato nel Seminario maggiore come Docente e Direttore spirituale. In questo periodo, per due anni, è stato Parroco della parrocchia di Sant’Alberto Chmielowski a Szczecin. Nel 1997 ha conseguito l’abilitazione in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica di Wrocław e poi è stato Professore aggiunto nell’Istituto di Filosofia dell’Università statale di Szczecin e presso l’Università statale "Adam Mickiewicz" di Poznań. Dal 2004 è Professore ordinario della Facoltà Teologica nell’Università statale di Szczecin, Preside della Cattedra di Teologia Morale e Spirituale della stessa Facoltà e dal 2012 è Decano di questa Facoltà. Inoltre, è Membro del Collegio dei consultori e del Consiglio presbiterale e impegnato nei lavori dei Sinodi diocesano e metropolitano.

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Il Papa ha ricevuto il presidente italiano Giorgio Napolitano

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Ieri pomeriggio nella residenza di Santa Marta, Papa Francesco ha ricevuto il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, per un incontro strettamente privato. Il colloquio, spiega in una nota il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, si è svolto in un clima di grande cordialità ed è durato oltre un’ora.

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Papa, tweet: quando incontriamo bisognoso riconosciamo volto di Dio?

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Quando noi incontriamo una persona veramente bisognosa, riconosciamo in lei il volto di Dio?”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Gesù uomo di periferia: ai partecipanti al convegno missionario italiano Papa Francesco ricorda le sofferenze del Medio oriente.

La via della pazienza: il Papa invita a movimenti e nuove comunità di non ingabbiare lo Spirito.

Una rete di sostegno e servizi, sollecitata dal Pontefice per le persone autistiche.

Il senso di un'Unione: in prima pagina, Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, sulla visita, martedì, di Papa Francesco a Strasburgo.

Giustizia sociale e giustizia dei diritti: Mario Benotti su come salvare "nonna Europa" dal declino.

Ostpolitik? No, Ostpastoral: a cent'anni dalla nascita, il cardinale segretario di Stato ricorda il cardinale Agostino Casaroli.

Il resto non conta niente: a 1.400 anni dalla morte, Francesco Santi sulla rude essenzialità cristiana di san Colombano di Bangor.

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Oggi in Primo Piano



Grave attentato terroristico in Kenya: 28 morti

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Grave attentato terroristico in Kenya ad opera del gruppo Al Shabaab, legato ad al Quaeda. Sono 28 i morti accertati. I miliziani hanno fermato un autobus di turisti diretto a Nairobi, separato i passeggeri musulmani da quelli non musulmani, costringendo questi ultimi con la forza a leggere alcuni versi del Corano per poi assassinarli. L’attacco brutale è avvenuto in una zona al confine con la Somalia. Le autorità keniote hanno confermato che al momento dell’assalto a bordo c’erano 60 persone. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Arduino Paniccia docente di Studi Strategici all'Università di Trieste: 

R. – Le modalità di questo attacco sono, per certi versi, assolutamente nuove e molto gravi: ricordano esecuzioni che speravamo di non dover vedere più con la separazione tra musulmani e cristiani. Gli attacchi in Kenya sono stati numerosi, circa 135 negli ultimi tre anni, quindi un’offensiva che Shabaab e la casa madre Al Qaeda stanno compiendo nel Corno d’Africa per riconquistare terreno e forse anche in una fase di grande imitazione dell’Isis e di quello che sta succedendo a ridosso della Siria e dell’Iraq. Le operazioni dell’Unione Africana inoltre hanno scarsi risultati e soprattutto continuano ad essere utilizzati i droni che tuttavia – ormai è abbastanza chiaro – non sembrano avere assolutamente colpito al cuore l’organizzazione terroristica.

D. – Quindi, una sorta di emulazione del "modus operandi" dello Stato islamico. È anche vero che Al Shabaab in questo momento, come Al Qaeda in generale, sta subendo una crisi e quindi sostanzialmente è come se volesse recuperare un’immagine e lo fa con gesti, azioni brutali …

R. – Certamente, c’è una necessità da parte dei seguaci e dei finanziatori di recuperare un’immagine ma, soprattutto, di recuperare territorio. Non a caso, le operazioni si sono estese anche in altri Paesi limitrofi. Comunque, il vero obiettivo è colpire l’esercito e le forze di polizia keniote che hanno partecipato attivamente ai combattimenti in Somalia.

D. – È stato colpito un bus di turisti. L’obiettivo sicuramente di Al Shabaab resta comunque quello di mettere in ginocchio anche l’economia keniota che si regge sul turismo…

R. – Sì, una strategia già seguita in altri Paesi. L’Egitto, tanto per citarne uno, ma anche Paesi della sponda nordafricana. Certamente, come dicevo, il tentativo, sempre nella strategia qaedista, è quello di allargare la zona di operazioni, coinvolgere più Stati, coinvolgere anche Stati che in qualche modo poi dimostrino di avere degli interessi e delle capacità diverse. Quindi, fare entrare in contraddizione la coalizione stessa e questa è una tipica strategia di Al Qaeda, cercando di minare anche le basi economiche.

D. – Con l’espandersi dello Stato islamico, il fronte del terrorismo si è un po’ spaccato e risulta diviso anche al suo interno: è importante spiegare che Al Qaeda e Al Shabaab, che ovviamente appartiene ed è legato ad Al Qaeda, come lo Stato islamico siano frammentati, quindi è difficile anche riconoscerli…

R. – Sì, dobbiamo anche ricordare che una delle conseguenze della globalizzazione è sempre quella di portare una frammentazione alla propria base e quindi persino i terroristi non possono sfuggire a questa regola. Quello che secondo me l’Occidente, la stessa Europa, gli Stati maggiori non fanno è dedicare oggi la dovuta, assoluta attenzione a delle riflessioni che non siano soltanto delle riflessioni tattiche operative sul terreno, cioè correre ai ripari solo quando hanno fatto inginocchiare e hanno ammazzato i cristiani. Bisogna cercare di avere anche azioni preventive e, come dire, una strategia più coesa.

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Video choc: Jihadisti dell'Is addestrano bambini ad uccidere

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“Sarò uno di quelli che sgozzerà gli infedeli”: questa una delle frasi choc rilasciate dai bambini protagonisti del nuovo video propaganda diffuso dal sedicente Stato islamico (Is). Pubblicato su Youtube per poche ore, prima di essere rimosso, il video mostrava immagini di bambini che vengono addestrati ad uccidere. A commentarle, al microfono di Corinna Spirito, è il portavoce italiano dell’ Unicef, Andrea Iacomini: 

R. – Innanzitutto, proprio nei giorni in cui il mondo celebra i 25 anni della “Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, che proprio nei suoi articoli più importanti prevede la protezione del bambino in qualsiasi situazione esso si trovi, ci troviamo a dover commentare oggi qualcosa di incredibile: cioè l’utilizzo di bambini per fini che naturalmente riguardano l’uccisione, la morte. È davvero qualcosa di aberrante che non vorremmo mai vedere. Peraltro, queste immagini ci danno il senso di una situazione che va via via degenerando e che purtroppo vede i bambini sempre più coinvolti in situazioni davvero critiche da questo gruppo armato. Se pensiamo che prima dell’estate questi bimbi erano già stati vittime di abusi, di sfruttamento, di violenza, utilizzati come soldati – perché non dimentichiamo che Is reclutava molti di loro tra le proprie file proprio come soldati, oppure per utilizzarli come portantini, come cuochi, qualcun altro addirittura per fare da messaggero da una parte all’altra delle zone in conflitto. Oggi addirittura siamo di fronte alla più grave violazione della “Carta internazionale sui diritti”, nello specifico proprio di uno dei protocolli opzionali che prevede la protezione dei bambini dall’utilizzo per fini bellici. Il senso di questo video dà la misura di una situazione che si fa sempre più pericolosa e che incredibilmente colpisce ancora le fasce più deboli. Addestrare un bambino a uccidere è quanto di più pericoloso e dannoso possa esserci, anche perché incitare all’odio con il volto di un bambino è quanto di più increscioso possiamo vedere in questi giorni.

D. – Una parte del video mostra dei bambini seduti ai banchi, quasi a voler presentare l’addestramento ad uccidere come una vera e propria scuola alternativa …

R. – Ecco: i bambini devono andare a scuola ad imparare quali sono i propri diritti. Noi come Unicef parliamo di scuola e di istruzione in tutto il mondo, per rendere consapevoli i bambini dei propri diritti, spesso anche rispetto a culture che li danneggiano, che li violentano. Per quanto riguarda le bambine, noi spesso affermiamo che in alcuni Paesi del Sudest asiatico e del Medioriente, per loro andare a scuola significa – e penso all’esperienza di Malala – studiare per acquisire le battaglie che in futuro dovranno condurre per la libertà, per l’uguaglianza nei propri Paesi, dove spesso queste cose mancano. Quei banchi, per noi, significano futuro, non indicano morte. E quindi, ancora una volta, noi non proponiamo un modello alternativo: infatti, non esiste un modello alternativo. Ce n’è uno solo ed è quello di dare la possibilità a tutti – come fa l’Unicef nel mondo – a tutti i bambini, di andare a scuola per imparare la pace, la convivenza, l’uguaglianza, la libertà. Certamente, non la guerra.

D. – Cosa può fare la comunità internazionale per questi bambini?

R. – Questi bambini vanno assolutamente protetti; questi bambini devono essere identificati, se possibile, e sottratti – ma immaginiamo quanto sia difficile – da queste situazioni. Io mi immagino adesso una risposta molto forte da parte di tutte le organizzazioni internazionali, dalla comunità degli Stati, perché davvero si levi un coro unanime contro l’utilizzo dei bambini per questi scopi. Non vorrei che adesso al bambino soldato si aggiunga questa figura del bambino che, tramite nuove tecnologie e i video, incita all’odio, alla violenza e alla morte: no, questo non è accettabile.

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Tunisia, presidenziali: favorito leader partito laico "Nidaa Tounes"

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Elezioni presidenziali domani in Tunisia, le prime a suffragio diretto: 27 i candidati in lizza, ma il favorito è l'ex primo ministro, Beji Caid Essebsi, 87 anni, il cui partito laico "Nidaa Tounes" ha vinto con il 39% le parlamentari dello scorso 26 ottobre, sconfiggendo il partito islamico Ennahda. Si ricandida anche il presidente uscente, Moncef Marzouki, che ha però promesso di lasciare definitivamente la politica nel caso dovesse perdere. Una sorpresa potrebbe poi arrivare dal magnate, Slim Riahi, 42 anni, proprietario della  squadra di calcio "Club Africain", mentre unica e prima donna della storia tunisina a concorrere per la presidenza è il magistrato Kalthoum Kannou. Qual è il peso di questo voto? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Bernard Selwan Khoury, direttore di "Cosmonitor" ed esperto dell'area: 

R. – Sono delle elezioni estremamente importanti, prima che a livello internazionale soprattutto a livello regionale, perché sono il primo segnale forte in questo senso dopo le cosiddette “primavere arabe”. Sono le prime elezioni a suffragio diretto e ovviamente anche per questo motivo rappresentano una vittoria da un punto di vista politico e democratico per la Tunisia. Ma sono viste anche come una minaccia dei gruppi islamisti al sistema di governo, soprattutto di quelli più oltranzisti. Abbiamo organizzazioni salafite che si rifanno, in qualche modo, anche all’ideologia dello Stato islamico.

D. – Il favorito è l’ex primo ministro, Beji Essebsi, 87 anni, il cui partito laico "Nidaa Tounes" ha vinto le parlamentari dello scorso 26 ottobre. Qual è il suo punto di forza e anche cosa lo distingue dal presidente uscente, Marzouki?

R. – Diciamo che il suo punto di forza sta nella sua dialettica e nel fatto che il suo partito, poche settimane fa, ha ottenuto una vittoria molto importante in questo Paese che, ricordiamolo, è storicamente laico. E per laico, quando parliamo di mondo arabo non dobbiamo fare l’errore di pensare a un Paese in cui non vi sia la religione, ma a un Paese che sa distinguere tra gli affari religiosi e gli affari politici. E il suo punto di forza è appunto la sua dialettica: lui parla di uno Stato laico, ma non cancella la questione religiosa e infatti egli cita diverse volte alcuni passaggi di testi religiosi sacri, in particolare del Corano, nei suoi discorsi. Questo per far capire che se anche è stato parte del vecchio regime – ricordiamo che ha coperto anche la carica di ministro degli Esteri – non significa che egli voglia riproporre quel tipo di regime. Ci sono altri concorrenti: principalmente, l’attuale presidente Marzouki – un uomo d’affari che però ha dei legami con la famiglia Gheddafi e ciò potrebbe giocare a suo sfavore – e una giudice donna, che è l’unica che si presenta alle elezioni. Tuttavia, attualmente possiamo dire che Essebsi è uno dei più favoriti.

D. – Quali sono le sfide che attendono il nuovo presidente?

R. – Come stanno dicendo tutti i candidati presidente, la prima sfida della Tunisia è quella della sicurezza. Sicurezza significa non soltanto portare avanti le campagne militari, soprattutto in aree sensibili del Paese, contro i gruppi estremisti, i gruppi terroristici legati in qualche modo ad Ansar al Sharia, ma la priorità della sicurezza significa anche porre un freno, tramite strumenti culturali e di formazione, al dilagante clima di radicalizzazione e di estremismo che si sta diffondendo nel Paese.

D. – Ennahda ha detto in conferenza stampa che non vuole sostenere alcun candidato e che questa sua decisione è una questione di principio e non uno slogan: è così?

R. – Ennahda ovviamente è in una posizione molto sfavorevole e soprattutto in una posizione di debolezza, che deriva anche dal fatto che la Fratellanza musulmana, da cui appunto trae origine il Partito Ennahda in Tunisia, stia perdendo molta della sua influenza a partire dall’Egitto e anche in gran parte dei Paesi nord-africani. Ciò, ovviamente, sta ridimensionando quello che poteva essere un ruolo politico della Fratellanza musulmana in tutta la regione del Nord Africa dopo la caduta degli ultimi regimi. Anche Ennahada sta risentendo di questa debolezza, come dimostrano anche i risultati delle ultime elezioni.

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Parroco Infernetto: immigrati, paure infondate. Chiesa fascia ferite

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Non si attenua la tensione all’Infernetto, alla periferia di Roma, dopo il trasferimento di alcuni giovani immigrati, prima residenti a Tor Sapienza. Nel pomeriggio è in programma una manifestazione di protesta contro la presenza dei ragazzi. Sulla situazione abbiamo sentito il parroco della Chiesa di San Tommaso Apostolo all’Infernetto, don Antonio D’Errico. L’intervista è di Sergio Centofanti

R. – E’ una situazione di attesa perché dalla decisione del sindaco Marino di mandare una parte di questi ragazzi minori nel nostro territorio, in questo centro di accoglienza, dalla protesta che ne è venuta dai cittadini, ancora non si sa se la loro collocazione da noi sarà temporanea oppure a lungo termine. E’ una situazione che in questo momento ha un po’ agitato gli animi, anche quelli dei cittadini del nostro quartiere.

D. – C’è stato un incontro con questi ragazzi?

R. – Ho fatto una visita insieme al parroco di San Corbiniano, incontrando questi ragazzi, facendoci conoscere, parlando soprattutto con gli operatori a cui sono stati affidati, cercando di farci spiegare un po’ cosa noi potessimo offrire loro.

D. – Di cosa hanno bisogno?

R. – Ma … sostanzialmente, ci è stato detto che essendo venuti via abbastanza in fretta da quel centro, hanno bisogno di vestiario e a questo noi cerchiamo di provvedere.

D. – Che ragazzi sono?

R. – Sono ragazzi ormai grandi, forse viaggiano sui 16, 17, anche 18 anni, che sono lì … non saprei neanche io … ad attendere la soluzione della loro situazione. Erano lì, facevano i loro servizi per questa casa, riassettavano un po’ le loro cose, si stavano appena sistemando – da quello che percepivo sono un po’ spaesati …

D. – Hanno storie difficili, questi ragazzi …

R. – Sicuramente alle spalle hanno storie difficili. Io non ho potuto interrogarli, ho soltanto salutato qualcuno di loro, cordialmente; sono stato ricambiato in questo saluto … Ma nei loro volti, nelle loro situazioni ovviamente si leggono, si percepiscono momenti di grande sofferenza.

D. – Che cosa può fare la Chiesa per loro?

R. – La Chiesa per loro può essere innanzitutto come il Buon Samaritano che si ferma, scende da cavallo e fascia le ferite: quelle immediate. Poi, certamente, la Chiesa potrà dialogare anche con i cittadini, con le istituzioni e quant’altro ma soprattutto sono occasioni nelle quali manifestare ciò che veramente la Chiesa è.

D. – Proprio ieri il Papa ha parlato di accoglienza di questi nostri fratelli più sfortunati …

R. – Sì: certamente la voce del Papa rimane sempre, per noi, un faro, una luce e soprattutto un’indicazione chiara sul da farsi.

D. – Questa domenica risuona il Vangelo del Giudizio finale in cui Gesù dice: “Ero straniero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito …”.

R. – E questa certamente è una parola anche più autorevole di quella del Papa alla quale un cristiano non può – dico io – sottrarsi. Certamente, ci torna ovvia ma soprattutto stimolante per noi, oggi, per una situazione come questa.

D. – Cosa si può dire a quanti sono preoccupati per questa presenza?

R. – Bisogna saper leggere quello che sta accadendo; leggerlo veramente a 360° e non soltanto nell’ottica di un eventuale timore o paura infondati, perché fatti non ce ne sono se non – ovviamente – queste scaramucce interne tra questi ragazzi che, come tutti i nostri adolescenti, hanno le loro dinamiche e quindi vanno colte in questo senso.

D. – Quale sarà il futuro di questi ragazzi?

R. – Penso che sia molto legato alla Cooperativa alla quale sono stati affidati, che – a mio avviso – deve farsi carico di un programma, di un progetto da proporre in cui coinvolgere questi ragazzi perché non appaiano come ragazzi abbandonati a se stessi, ma si sappia cosa proporre loro, cosa ovviamente far fare loro. E poi, la legge farà il resto. La cittadinanza ci deve mettere, ovviamente, il suo apporto, figuriamoci quindi ovviamente quanto debbano farlo le nostre autorità e istituzioni politiche.

D. – Quale l’augurio?

R. – Certamente mi auguro un abbassamento di tensione in chi in questo momento ha paura. Io mi auguro che questi ragazzi possano trovare non soltanto accoglienza in un Paese in cui credono, perché altrimenti non si sarebbero mai mossi dalle loro case; ma possano trovare soprattutto anche un’accoglienza personale presso le famiglie. Quello che potrebbe essere un mio suggerimento in questo momento è che si possa proporre un’accoglienza personale presso famiglie affidatarie.

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Pillola "5 giorni dopo" senza ricetta. Scienza e Vita: è un abortivo

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La pillola cosiddetta "dei cinque giorni dopo", il farmaco che impedisce l’impianto dell’embrione, dovrebbe essere disponibile in farmacia senza ricetta. E' il parere emanato dall'Agenzia europea dei farmaci (Ema), che aspetta l'avallo della Commissione Europea per diventare operativo in tutti gli Stati membri entro il 2015. Il medicinale diventerebbe così disponibile direttamente in farmacia senza obbligo di prescrizione medica. Sui rischi legati all’eventuale applicazione di quanto proposto dall’Ema, Marco Guerra ha intervistato il prof. Bruno Mozzanega, ginecologo alla Clinica ostetrica dell’universitaria di Padova e presidente della sezione di Venezia dell’Associazione "Scienza e Vita": 

R. – I rischi legati a questa prescrizione sono sostanzialmente legati al fatto che si mette in commercio libero, per gli adolescenti e per gli adulti, un farmaco che è francamente abortivo, nel senso che quattro pillole del giorno dopo sono quantomeno, se non più, efficaci dei 200 milligrammi di RU486, che servono per fare l’interruzione di gravidanza farmacologica alla settima settimana gestazionale. E questi sono dati che compaiono nettamente in letteratura.

D. – Ecco perché invece c’era qualcuno che sosteneva che la pillola interviene sull’ovulazione…

R. – Io le faccio una domanda che è quella con cui abbiamo aperto un articolo su "Avvenire" io, il dott. Boscia e l’onorevole Gigli, il 15 ottobre. Lei ha un rapporto oggi con sua moglie fertile, che ovula domani, concepisce entro dopodomani, 24 ore ulteriori, cioè a due giorni dal rapporto sessuale. Tuttavia, può ancora prendere questa pillola "ellaOne", per ulteriori tre giorni, con un’efficacia superiore all’85% e la gravidanza non compare. Le dicono che è un anti-ovulatorio quattro giorni dopo l’ovulazione e tre giorni dopo il concepimento. Non serve essere specialisti per rispondere a questa affermazione. Poi, in letteratura, c’è esplicitamente scritto, nell’unico lavoro che si occupa di questo dato – di Vivian Brake, del 2010 – che il farmaco, dato un giorno o due prima dell’ovulazione, funziona come un placebo, cioè non funziona nei confronti dell’ovulazione, mentre ha effetti endometriali esattamente importanti come la RU486. E’ un anti-progestinico e impedisce al progesterone di preparare il terreno fertile per gli embrioni che deve impiantare. Ma le dico di più: l’Ema, in una posizione ufficiale del 2009, riconosceva già l’azione sull’endometrio e addirittura riconosce anche che l’"Ulipristal" è efficace come la RU486 nell’indurre l’aborto, l’interruzione di gravidanza, nei primati. Sulla donna non è mai stato sperimentato, ma l’Ema riconosce che il problema di un uso di questi farmaci – al di fuori di quello che c’è scritto sulle indicazioni ufficiali per interrompere la gravidanza – è una possibilità concreta, che non si può in alcun modo combattere, se non forse con i controlli delle prescrizioni da parte dei diversi medici. E adesso tolgono anche la prescrizione!

D. – Mi spieghi perché appunto è importante che ci sia questa prescrizione?

R. – Primo, questo farmaco non ha spazio nella nostra legislazione nazionale, perché le nostre leggi tutelano, nella propria azione responsabile, anche il prodotto del concepimento. L’unica cosa da fare sarebbe non avere questo farmaco, perché non rispetta il concepito, nel senso che è un post-concezionale. Punto. Premesso questo, che è fondamentale, sarebbe anche inutile fare proibizionismi, perché queste pillole si possono comprare in Internet dall’Inghilterra e ti arrivano il giorno dopo e ormai, quindi, l’unica cosa è fare cultura e dare informazioni. Tuttavia, attraverso una prescrizione uno può dire: a questa signora è stato prescritto quattro volte, a questa persona cinque volte, nel giro di una settimana, è evidente che sta facendo collezione per un uso diverso. Attraverso la prescrizione, forse, si può controllare se qualcuno lo prende ripetutamente. Certamente, metterla al corrente del fatto che sta usando un farmaco, che non è per niente anti-ovulatorio, ma è anti-embrione, sarebbe il presupposto di un consenso informato. Io credo che su questi temi dobbiamo fare un’ampia azione informativa alla popolazione: sulla fisiologia riproduttiva, perché se non capisci la fisiologia, poi non capisci i discorsi ulteriori. Se io non so che il progesterone serve per preparare l’impianto e che questo ormone mi viene introdotto dopo l’ovulazione, mi è difficile capire come funziona questo farmaco. Quindi, io penso che noi dovremmo veramente educare ad una profonda conoscenza della fisiologia della riproduzione e poi alla distinzione fra i metodi, che sono in grado di prevenire il concepimento, e quelli invece, come questo farmaco qui, come l’Unipristal e il Levonorgestrel, hanno un’azione prevalente di tipo anti-impianto, di tipo anti-vita dell’embrione. L’educazione è l’unica arma che abbiamo e non mi meraviglia che non venga data. E’ utile, a chi vuole divulgare queste bugie, tenere la popolazione nell’ignoranza.

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Susanna Tamaro e l'abuso della tecnologia nel libro "Salta, Bart"

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Un libro per ragazzi che è anche un monito per gli adulti, il nuovo romanzo di Susanna Tamaro intitolato: “Salta, Bart” edito da Giunti e con le illustrazioni di Adriano Gon. Attraverso la storia di un ragazzino, Bart, e della pollastrella Zoe, la scrittrice ci mette di fronte a noi stessi e al nostro mondo dominato dalla tecnologia, dove ciò che conta sono solo l’efficienza e il denaro. Compiendo un viaggio appassionante e divertente, che culmina nell’incontro col Drago, Signore del regno delle Tenebre, Bart alla fine scoprirà i valori importanti: la bellezza, l’amicizia, l’amore e il rispetto per la natura. Il fantastico e il reale, dunque, nel libro s’intrecciano. Ascoltiamo al microfono di Adriana Masotti, Susanna Tamaro

R. – Sì, credo che sia molto importante saper mescolare i due livelli – almeno per me – perché la fantasia a me piace molto, ma quando ha un aggancio con la realtà. Il nostro tempo offre tantissimi spunti per questo tipo di riflessione, perché è un tempo di grande complessità, di grandi sfide e anche di cose da cui bisogna in qualche modo difendersi.

D. – E c’è un grande avvertimento, in questo libro: non fatevi prendere la mano, si potrebbe dire, dal cellulare, dal computer… Salvate i rapporti personali...

R. – Certamente. Perché io credo che il grande mito dei nostri tempi sia proprio quello del mondo elettronico, come se questa modernità fosse la nostra felicità. Non è vero. Io penso che l’elettronica ai bambini faccia malissimo e dunque bisogna essere in grado di tutelare i bambini permettendo loro di usare la tecnologia e non di esserne usati. Purtroppo, si crede che dando in mano ai bambini tutti questi oggetti elettronici si farà di lui un uomo del domani. Io credo, invece, che questi oggetti smorzino proprio la creatività e casomai mettono in cantiere gli schiavi del domani.

D. – A questo proposito, nel libro c’è come protagonista un drago che, ferito nella sua personalità, vuole vendicarsi distruggendo qualunque cosa bella e buona esista al mondo. Sembra si stia parlando dei poteri forti che conducono il mondo con un solo obiettivo: il denaro…

R. – Sì, sicuramente è l’immagine che volevo dare perché sono profondamente convinta di questo: che noi stiamo vivendo un’epoca in cui il denaro è il metro di tutte le cose. E questa è una perversione assoluta, perché l’uomo è la misura di tutte le cose, non il denaro. Quasi non ci si rende conto che ormai tutto è valutato solamente secondo il denaro: tutto deve rendere. Certamente, l’economia è importante, ma l’uomo non è fatto per “rendere”. Dunque, tutto il mondo del drago è il mondo di questi poteri che hanno perso di vista l’uomo e ci stanno conducendo verso la distruzione: la distruzione della Terra ma, prima ancora, la distruzione della centralità profonda dell’uomo.

D. – E producono conflitti, guerre…

R. – …e soprattutto anche una gran noia, perché alla fine, il male è noioso, perché è ottuso, è ripetitivo. Il bene è creativo…

D. – Il personaggio, il ragazzino, Bart, incontra Zoe, una gallina, e tra loro nasce una grande amicizia. Emerge una convinzione comune in tanti suoi libri: è l’amore che salva…

R. – Certamente. Bart, essendo un ragazzino moderno possiede anche il "tamagotchi", cioè il pulcino elettronico. Dunque, è abituato ad un mondo di relazione in cui tutto è governato dai pulsanti. Lui salva questa gallina – appunto, salva una vita – e questa vita lo porterà alla sua salvezza, perché darsi all’altro ci porta alla nostra salvezza, naturalmente. Questa gallina, che peraltro è molto simpatica, lo porterà a misurarsi nella sua capacità di dare e di essere un ribelle alle norme cupe dell’efficienza e della rendita.

D. – Giustamente, lei sottolineava anche l’acutezza di questa gallina: nel senso che il libro non è cupo, non è triste, anzi è molto divertente…

R. – Sì, è un libro in cui si ride molto. Devo dire che dal punto di vista creativo è stata veramente un’avventura straordinaria…

D. – Non sono molti gli scrittori di libri per bambini e ragazzi. Ma questo tipo di letteratura paga uno scrittore?

R. – Per me, posso dire che mi paga quasi più che quella per adulti. Perché quando vedo bambini, classi intere che hanno la luce della gioia negli occhi per aver letto queste storie, per avere ricevuto qualcosa anche loro dai miei personaggi, dico: “Bene, il mio compito su questa terra l’ho fatto”.

D. – Ritornando al libro: il suo messaggio ai più piccoli prima, e poi agli adulti…

R. – Il messaggio è: riportiamo la centralità dell’uomo e del rapporto umano nella nostra vita. E dunque, agli adulti dico: bisogna crescere i bambini crescendo con loro, guardando le realtà vere e non le realtà virtuali. E ai bambini: riprendetevi la vostra infanzia, perché i bambini sono dei piccoli soldatini che obbediscono agli ordini, eseguono programmi, appunto, ma non hanno più quell’allegra gioia eversiva che fa parte dell’infanzia.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Questa domenica, in cui la Chiesa celebra la Solennità di Cristo Re dell’Universo, la liturgia ci presenta il Vangelo del Giudizio finale. Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria: davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Ai salvati dirà:

“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Già nell’Antico Testamento Dio viene acclamato Signore dell’universo. Questa regalità è trasmessa al Figlio suo, Gesù Cristo, che, a sua volta, la dona agli uomini, chiamati a “con-regnare con Cristo (2Tim 2,12), ad essere “co-intronizzati” con Cristo (Ef 2,6). Oggi la liturgia annuncia la venuta del Figlio, “nella sua gloria”, per il giudizio finale, per prendere con sé gli eletti. In questo giudizio ci sono 3 gruppi di persone, insieme al Signore: i giusti (benedetti), i malvagi (maledetti), e “i fratelli più piccoli” del Signore. Il giudizio si svolge in base a “quello che avete fatto…, o non fatto” ai fratelli più piccoli del Signore. Questo è ciò che rende giusti o ingiusti. Possiamo chiederci: “Chi sono questi fratelli più piccoli”? Quando c’era la cristianità – e un po’ tutti erano cristiani – questi “piccoli” erano identificati con i più poveri e i più bisognosi. Ma per quanto ci possiamo essere abituati, questa è una lettura piuttosto riduttiva. A Pietro che chiede al Signore: “E di noi cosa sarà”?, Gesù risponde: “In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria…, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele” (Mt 19,28). Il giudizio delle nazioni avverrà, allora, in base al comportamento di queste verso i fratelli più piccoli del Signore, i cristiani in primo luogo. Una parola oggi particolarmente attuale, davanti alla rinnovata persecuzione di migliaia di nostri fratelli, ma che pone anche noi una domanda esistenziale molto seria: noi da che parte stiamo?

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Nella Chiesa e nel mondo



Colombia: la Chiesa chiede di proseguire i colloqui di pace

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Il Presidente della Conferenza episcopale della Colombia, l’arcivescovo di Tunja mons. Luis Augusto Castro Quiroga, ha fatto una dichiarazione, inviata anche all’agenzia Fides, in cui chiede al Presidente Santos di continuare il processo di pace con queste parole: "Invito il Presidente a riflettere, perché non deve lasciare che la speranza dei colombiani vada in frantumi, come un piatto di ceramica lanciato dal quinto piano". Mons. Castro Quiroga aveva anche ribadito il sostegno della Chiesa al governo per continuare al più presto i dialoghi di Pace.

Il Presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha annunciato personalmente giovedì sera, che sono stati attivati i protocolli per la liberazione dei quattro militari e di un civile rapiti dalle Farc e che, subito dopo la loro liberazione, i membri del governo torneranno a L'Avana per continuare il processo di pace. La nota inviata da radio Caracol a Fides riferisce che, dopo un incontro con le comunità indigene a Popayan, Valle del Cauca, il Presidente ha annunciato: "appena vedrò gli ostaggi liberati, darò istruzioni ai negoziatori di tornare a L'Avana". Al momento del rapimento infatti il Presidente aveva sospeso i colloqui di pace.

Riferendosi alle popolazioni indigene visitate a Popayan, il Presidente Santos ha inoltre rilevato che "sono quelle che hanno sofferto di più le conseguenze della guerra", quindi c’è un grande desiderio nella zona, di poter restaurare la pace in Colombia. Santos ha anche annunciato da Popayan la firma di un decreto presidenziale per una efficace protezione e la sicurezza giuridica dei territori occupati dalle popolazioni indigene ancestrali. (R.P.)

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Usa: soddisfazione della Chiesa su provvedimenti per gli immigrati

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Il vescovo ausiliare di Seattle e presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America (Usccb), mons. Eusebio Elizondo, ha accolto con soddisfazione la notizia che l'amministrazione Obama ha deciso di rinviare i rimpatri di molti immigrati privi di documenti e delle loro famiglie. 

"Abbiamo una lunga storia di accoglienza e di aiuto ai poveri, agli emarginati, agli immigrati e alle persone svantaggiate - ha detto mons. Elizondo -. Ogni giorno la Chiesa cattolica negli Stati Uniti e tutte le sue strutture di servizio sociale, ospedali, scuole e parrocchie, sono testimoni delle conseguenze umane della separazione delle famiglie, quando i genitori vengono espulsi e separati dai loro figli o i coniugi separati l'uno dall'altro. Ormai tutti sanno che abbiamo chiesto all'amministrazione di fare tutto quello che è nel suo legittimo potere, per portare sollievo e giustizia ai nostri fratelli e sorelle immigrati. Come Pastori, accogliamo con favore tutti gli sforzi all'interno di questi limiti a tutela delle persone e per proteggere e riunire le famiglie e i bambini vulnerabili".

Nella nota inviata all’agenzia Fides, l'arcivescovo di Louisville, mons. Joseph E. Kurtz, presidente della Usccb, ha dichiarato: "C'è urgente necessità pastorale di una visione più umana degli immigrati e di stabilire un procedimento legale che rispetti la dignità di ogni persona, tuteli i diritti umani e sostenga quanto stabilisce la legge".

Il Presidente Obama ha annunciato giovedì sera la firma delle misure esecutive con cui potranno essere regolarizzati circa 5 milioni di immigrati senza documenti. "Non è un’amnistia di massa. Si tratta di responsabilità e di misure di buon senso” ha detto il Presidente presentando il decreto, che esclude dai rimpatri forzati chi vive negli Usa da 5 anni o ha figli nati lì, garantendo il permesso di soggiorno e il lavoro. (R.P.)

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Vescovi spagnoli: rinnovamento morale per uscire dalla crisi sociale

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“La Chiesa al servizio dei poveri”. Questo il titolo del documento esaminato nell’Assemblea plenaria dei vescovi spagnoli conclusasi ieri a Madrid. Il testo che sarà pubblicato a breve dalla Conferenza episcopale offre una riflessione sulla critica realtà sociale del Paese. “Il divenire della crisi economica e le sue cause, le fallite previsioni e insufficienti risposte, gli errori commessi nella gestione politica ed economica e le loro conseguenze, rendono ancora più significative le parole di Papa Francesco che nella sua enciclica “Evangelii Gaudium" afferma che la crescita nell'equità, esige qualcosa in più di una crescita economica, perché presuppone decisioni, programmi, meccanismi e processi orientati a una distribuzione delle risorse che creino lavoro e ad una promozione integrale dei poveri che superi l’assistenzialismo”.

In una nota pastorale resa pubblica a conclusione della plenaria, si sottolinea che insieme a efficaci politiche di concertazione sociale e sviluppo sostenibile, c’è l’urgente bisogno di un vero rinnovamento morale a livello personale e sociale. “Senza una condotta morale, senza onestà, senza rispetto per gli altri, senza servizio al bene comune, senza solidarietà verso i più bisognosi, la nostra società si degrada” affermano i vescovi che ricordano che la vita democratica che sin dalla transizione politica vive il popolo spagnolo, sarà rinforzata dal rispetto dei diritti che nascono della dignità delle persone.

Nella nota i presuli invitano a rivalutare e apprezzare l’istituzione della famiglia, scuola di umanità e nucleo della società: “L’unità e amore degli sposi, l’apertura alla vita, l’affetto e rispetto per gli anziani, saranno sempre una delle maggiori garanzie per una società giusta e per la convivenza pacifica e libera dei cittadini.

Durante la Plenaria i vescovi hanno rinnovato alcuni incarichi e hanno incorporato alla Conferenza episcopale al cardinale Antonio Cañizares Llovera, che lo scorso 4 ottobre ha preso possesso dell’arcidiocesi di Valencia, dopo svariati anni di servizio nella Curia Romana. Inoltre, sono stati presentati i grandi eventi per celebrare il V Centenario della nascita di Santa Teresa d’Ávila, in particolare, l’Incontro Europeo dei Giovani previsto dal 5 al 9 agosto 2015 ad Ávila.

Infine, l’episcopato esprime anche la sua vicinanza e solidarietà con tutte le persone “vittime di situazioni di povertà reale e di esclusione sociale, vittime del dramma dell’immigrazione, della precarietà lavorativa e della piaga della disoccupazione", soprattutto tra i giovani. Un vivo ringraziamento va anche alla solidarietà di migliaia di persone e di volontari che nelle diocesi, nelle parrocchie e nelle comunità, che attraverso la rete della Caritas appoggiano e assistono i più deboli della società. (A cura di Alina Tufani)

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Terra Santa: la Chiesa sui bimbi palestinesi senza cittadinanza

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Molti bambini palestinesi di Gerusalemme Est continuano a non veder riconosciuto il diritto di ottenere un documento di identità o l'attestazione di una residenza permanente. La loro condizione è stata analizzata nel corso di un convegno ospitato lo scorso 19 novembre a Gerusalemme, presso il Pontificio Istituto Notre Dame. La conferenza, intitolata “Infanzia interrotta: Registro dei bambini a Gerusalemme”, è stata organizzata dalla Società Saint Yves, collegata al patriarcato latino di Gerusalemme, con l’Associazione Konrad Adenauer.

A non ricevere documenti di identità e a non veder riconosciuta legalmente la propria residenza - riferisce l'agenzia Fides - sono in particolare i figli di palestinesi in prigione e quelli che appartengono a nuclei familiari separati (che per esempio hanno un genitore residente in Cisgiordania), il cui ricongiungimento trova ostacoli nella legislazione israeliana. Questi bambini non possono frequentare la scuola né godere dei servizi sociali e sanitari, in quanto privi di carta di identità o di passaporto attestanti la propria cittadinanza. Di fatto, per la legge è come se non esistessero.

Mons. Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme dei latini, nel suo intervento al convegno ha sottolineato che “il tema della anagrafe dei bambini è un aspetto di un problema più grande, quello della riunificazione delle famiglie. La famiglia è al centro di tutto ciò, si tratta in un colpo solo di un problema naturale e umano insieme. La famiglia vuol dire un padre, una madre e dei bambini, residenti sotto lo stesso tetto. Ma qui, in questa situazione particolare, la legge israeliana ha posto delle regole che non consentono alla famiglia di vivere sotto lo stesso tetto”.

Come riportato dal sito ufficiale del patriarcato latino, Raffoul Rofa e Haitham Al-Katib, entrambi della Società Saint Yves, hanno esaminato il problema da un punto di vista giuridico. Raffoul Rofa ha spiegato che “nel 1967 Israele ha concesso ai palestinesi residenti a Gerusalemme Est una residenza permanente, ma non la cittadinanza. Questo significa che il Ministro dell’Interno potrebbe annullare questo diritto di residenza quando volesse, cosa che succede, ad esempio, se una persona risiede fuori Gerusalemme per un certo periodo”.

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Cina: nella diocesi di Han Dan ordinari 10 sacerdoti

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Oltre 2mila fedeli hanno partecipato alla solenne Messa di ordinazione di 10 sacerdoti nella diocesi di Han Dan (Yong Nian), nella provincia dell’He Bei, in Cina continentale, che è stata celebrata il 18 novembre, giorno in cui la Chiesa ricorda la festa della dedicazione delle basiliche di San Pietro in Vaticano e di San Paolo sulla via Ostiense.

Secondo quantro riferisce l’agenzia Fides, l’anziano vescovo di Han Dan, mons. Yang Xiang Tai, ha presieduto il rito, concelebrato dal coadiutore, mons. Giuseppe Sun Ji Gen, e da 160 sacerdoti. Nonostante si tratti dell’ordinazione con il più alto numero di neosacerdoti nella storia diocesana, mons. Sun Ji Gen ha parlato ancora della carenza di vocazioni, invitando caldamente i giovani a rispondere alla chiamata del Signore, per diventare operai della sua vigna.

La diocesi di Han Dan (Yong Nian) è una delle più attive e sviluppate della Cina continentale: è molto attiva nella testimonianza della carità e nel servizio sociale, prendendosi cura degli anziani, dei malati fisici e psichici. Ben organizzata è anche la pastorale parrocchiale e della scuola. (R.P.)

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Auxilium: il prof. Gandolfini sull'identità sessuale

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Secondo incontro del corso interdisciplinare alla Facoltà “Auxilium” di Roma sul tema “Gender. Confronto tra umanesimi”. Oggi è stato Massimo Gandolfini, docente di Neurochirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, a intervenire con una lezione dal titolo “Identità sessuale. Dai geni al cervello”.

Per Gandolfini - riferisce l'agenzia Sir - la discussione in corso circa la cosiddetta “ideologia di genere” può essere affrontata con rigore scientifico solo chiarendo l’aspetto biologico della differenza sessuale, femmina e maschio: “La sessuazione - afferma -, partendo dal patrimonio cromosomico-genetico, condiziona la strutturazione dell’intero corpo maschile e femminile, delineando delle ‘differenze complementari’ che definiscono in maniera precisa il dimorfismo della specie umana. Gli studi di neurobiologia ci hanno dimostrato che anche il cervello - organo integratore tutti gli altri apparati del corpo umano e sede delle funzioni simboliche - presenta una propria ‘sessuazione’ maschile e femminile”.

È alla luce di questo dato biologico, oggettivo e dimostrabile, che per Gandolfini “appare in tutta la sua struttura ideologica la teoria di genere, che negando la sessuazione come determinante dello sviluppo personale e sociale di ogni persona umana, propone la ‘percezione di sé’ come discrimine per una scelta di identità, orientamento e ruolo sessuale”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 326

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.