Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 25/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco al Parlamento di Strasburgo: l'Europa riscopra la sua anima buona

◊  

L’Europa è una “famiglia di popoli” chiamata a prendersi cura “della fragilità dei popoli e delle persone”, a lavorare per dare “dignità” all’uomo in quanto “persona” e non come “soggetto economico”. Sono alcuni dei concetti espressi questa mattina da Papa Francesco durante il suo intervento al Parlamento europeo di Strasburgo, sottolineati dagli applausi dei deputati riuniti in seduta solenne. Il Papa ha esortato a rifiutare la “cultura dello scarto” e quegli stili di vita di “un’opulenza ormai insostenibile” e “indifferente” specie verso i più poveri, e a creare le condizioni per il lavoro, la difesa della difendere famiglia e dell’ambiente. La cronaca di questa prima tappa di Francesco a Strasburgo nel servizio della nostra inviata, Fausta Speranza

L'Europa che riscopre la sua anima buona può essere “prezioso punto di riferimento per tutta l'umanità”. Questo il cuore del messaggio di Papa Francesco che, a un'Europa che vede “nonna e meno vitale” ma anche “più ampia e influente del passato”, innanzitutto raccomanda di “riscoprire la dignità dell'uomo persona, e non solo cittadino o soggetto economico”. Dunque la prima denuncia: “L'essere umano ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo” che quando non lo ritiene più “funzionale” lo scarta. Vittima – sottolinea – di “stili di vita un po' egoisti, legati a un'opulenza non più sostenibile”. E pone l'accento sulle singole tematiche: lavoro, migrazioni, persecuzioni religiose, ma anche i rischi concreti per la democrazia. E la raccomandazione precisa: “Il Cristianesimo non è un pericolo”. In particolare, Francesco ricorda che i Padri fondatori hanno pensato un'Europa su valori concreti: dignità dell'uomo, solidarietà, sussidiarietà:

"Effettivamente quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, che non ha il lavoro che lo unge di dignità?"

Il rispetto della dignità della persona passa attraverso il rispetto di diritti inalienabili e su questo loda quello che definisce “un impegno importante e ammirevole dell'Ue”. Ma mette in luce i rischi di un accento sbilanciato sui diritti individuali – e a braccio aggiunge “individualistici” – che dimenticano che l'uomo non è una monade:

"… ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa".

Il Papa chiede alla politica “di farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capace di ungerlo con dignità”. E spiega cosa significhi realmente parlare di dignità:

"... guardare all'uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami."

Giovani, poveri, migranti, crisi economica: è qui la radice della sfiducia “che – dice il Papa - è andata crescendo da parte dei cittadini”; nasce da tutto ciò “l'impressione generale di stanchezza e invecchiamento”. Dunque la denuncia forte di Papa Francesco:

"Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico. L'essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che - lo notiamo purtroppo spesso - quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere".

Sul lavoro il Papa chiede: “Coniugare flessibilità del mercato con stabilità e certezza delle prospettive lavorative”. Sulle migrazioni, “politiche corrette, coraggiose, concrete e – sottolinea – non di interesse”. Ma chiede anche considerazione per la famiglia, rispetto per l'ambiente, per il creato, facendo appello alla “creatività europea” da alimentare, puntando sull'educazione e la formazione, e fa un esempio concreto: scoperte nuove sulle fonti alternative di energia.

Ancora il Papa denuncia “l'assolutizzazione della tecnica”, la vita umana “oggetto di scambio o di smercio”, il Mare Mediterraneo ridotto a un cimitero, “le persecuzioni  che  - sottolinea - colpiscono quotidianamente le minoranze religiose e particolarmente cristiane”. Ricorda le persone schiave, uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive. E senza mezzi termini afferma: avviene “sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti”. Ricorda poi i valori sui quali i Padri fondatori hanno costruito l'Europa: dignità, pace, solidarietà, sussidiarietà: 

"Un'Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un'Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello spirito umanistico che pure ama e difende".

Francesco parla di radici dell'Europa nominando precisamente: “Le fonti lontane che vengono dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi e – sottolinea – dal Cristianesimo che li ha plasmati”. Tutto ciò - dice - sta in duemila anni di rapporto tra territorio europeo e cristianesimo. “Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene”. Dunque, l'invito a non avere paura del cristianesimo:

"In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l'indipendenza delle istituzioni dell'Unione, bensì un arricchimento".

Papa Francesco rinnova la disponibilità della Chiesa a “un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni europee”. E afferma con decisione: “Sono sicuro che un'Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere ricchezza e potenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che – sottolinea – dilagano nel mondo odierno”. Dunque l'invito a liberarsi da manipolazioni e fobie:

"Ritengo che l'Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell'Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l'ideale dell'unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo".

E poi l'allarme del Papa sulla democrazia, cuore e vanto dell'Ue: 

"Non ci è nascosto che una concezione omologante della globalità colpisce la vitalità del sistema democratico (…) Così si corre il rischio di vivere nel regno dell’idea, della sola parola, dell’immagine, del sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante 'maniere globalizzanti' di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza".

Dunque gli inviti rivolti agli eurodeputati:

"A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l'identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle istituzioni dell'Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. (…) vi esorto [perciò] a lavorare perché l'Europa riscopra la sua anima buona".

In definitiva, al Parlamento europeo Papa Francesco lascia l’immagine ricordata dell’affresco di Raffaello dedicato alla Scuola di Atene: con Platone che guarda al cielo e Aristotele che guarda alla terra. E invoca “un’Europa, che contempla il cielo, persegue degli ideali; guarda, difende e tutela l’uomo; cammina sulla terra sicura e salda”.

inizio pagina

Il Papa a Consiglio d’Europa: senza radici si muore, ricercate la verità

◊  

L’Europa riscopra le sue radici per costruire un futuro di pace in dialogo con il mondo. E’ la sfida lanciata da Papa Francesco nel suo intervento all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo. Il Papa ha ribadito la denuncia della Chiesa contro il traffico di armi e di esseri umani, quindi ha avvertito che senza la ricerca della verità la democrazia scivola nell’individualismo e si arriva alla globalizzazione dell’indifferenza. L’intervento di Francesco è stato preceduto dall’omaggio del segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, al quale ha consegnato una formella raffigurante l’Angelo della Pace, opera di Guido Veroi. Francesco ha anche apposto la sua firma accompagnata da un pensiero sul Libro d'oro del Consiglio d'Europa. Questo il testo: "Di cuore auguro al Consiglio d’Europa di rispondere con creatività alla sua vocazione di unità per costruire una civiltà dell’incontro. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Un pioppo con i suoi rami protesi al cielo”, il suo tronco “solido e fermo e le profonde radici che s’inabissano nella terra”. Francesco prende a prestito una poesia di Clemente Rebora per descrivere plasticamente la sua idea, di più, il suo sogno di Europa. Un’immagine forte che il Papa sviluppa osservando innanzitutto, con un tono che ricorda Giovanni Paolo II, che “se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore”. Qui, avverte, “sta forse uno dei paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata: per camminare verso il futuro serve il passato”, “servono memoria, coraggio, sana e umana utopia”. E rammenta che per Rebora il “tronco s’inabissa ov’è più vero”:

“Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà responsabile”.

Occorre poi tenere presente, ha detto, che “senza questa ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista”. Ciò, ha avvertito, “porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo, frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale”:

“Un tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili, poiché recide di fatto quelle feconde radici su cui si innesta l'albero. Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi. Abbiamo di fatto troppe cose, che spesso non servono, ma non siamo più in grado di costruire autentici rapporti umani, improntati sulla verità e sul rispetto reciproco”.

E così, ha soggiunto, “oggi abbiamo davanti agli occhi l'immagine di un'Europa ferita, per le tante prove del passato, ma anche per le crisi del presente”. Un continente “che non sembra più capace di fronteggiare con la vitalità e l'energia di un tempo”. Un'Europa, ha rilevato il Papa, “un po' stanca e pessimista, che si sente cinta d'assedio dalle novità che provengono dagli altri continenti”:

“All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione?”

E ha invitato a considerare le sue radici non un “semplice retaggio museale del passato”, ma un patrimonio umano “ancora capace di ispirare” gli europei. Il Papa non ha mancato di rivolgere una particolare attenzione al bene della pace che inizia riconoscendo “nell’altro non un nemico da combattere ma un fratello da accogliere”. Purtroppo, ha constatato, “la pace è ancora troppo spesso ferita” in tante parti del mondo e anche in Europa imperversano tensioni e conflitti di vario genere”:

“La pace è però anche provata da altre forme di conflitto, quali il terrorismo religioso e internazionale, che nutre profondo disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti. Tale fenomeno è purtroppo foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato”.

La Chiesa, ha proseguito, considera che “la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri”. La pace, ha detto ancora, “è violata anche dal traffico degli esseri umani, che è la nuova schiavitù del nostro tempo e che trasforma le persone in merce di scambio, privando le vittime di ogni dignità”. Francesco si è dunque soffermato su due sfide per l’Europa di oggi: la multipolarità e la trasversalità. L’Europa, ha detto, è oggi “multipolare” ed ha invitato a far sì che la globalizzazione sia poliedrica, ossia rispettosa della “particolarità di ciascuna delle parti”. Quindi, ha rivolto il pensiero alla trasversalità, alla necessità di un dialogo in tutti i campi:

“Nel mondo politico attuale dell'Europa risulta sterile il dialogo solamente interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire per l’incontro dalle strutture che "contengono" la propria identità al fine di renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità. Un'Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a metà strada; c'è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità”.

Si è così soffermato su una corretta “relazione fra religione e società”. Nella visione cristiana, ha detto, “ragione e fede” sono chiamate a “illuminarsi reciprocamente sostenendosi a vicenda”. E così si potrà “far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio”. Il Papa ha, quindi, sottolineato che ci sono numerosi temi su cui Chiesa cattolica e Consiglio d’Europa possono collaborare:

“Innanzitutto vi è, alla luce di quanto ho detto poc’anzi, l'ambito di una riflessione etica sui diritti umani, sui quali la vostra Organizzazione è spesso chiamata a riflettere. Penso, in modo particolare, ai temi legati alla tutela della vita umana, questioni delicate che necessitano di essere sottoposte a un esame attento, che tenga conto della verità di tutto l'essere umano, senza limitarsi a specifici ambiti medici, scientifici o giuridici”.

Ancora Francesco ha parlato del grave problema della disoccupazione giovanile - "una vera ipoteca per il futuro" - dell’accoglienza dei migranti ed ha auspicato “una nuova collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici”. Dal Papa anche un incoraggiamento ai giovani impegnati in politica. Poi ha rivolto un pensiero ai “numerosi poveri che vivono in Europa”:

“Quanti ce ne sono nelle nostre strade! Essi chiedono non solo il pane per sostenersi, che è il più elementare dei diritti, ma anche di riscoprire il valore della propria vita, che la povertà tende a far dimenticare, e di ritrovare la dignità conferita dal lavoro”.

Si tratta, ha detto il Papa, di “compiere assieme una riflessione a tutto campo, affinché si instauri una sorta di nuova agorà, nella quale ogni istanza civile e religiosa possa liberamente confrontarsi con le altre”. Un’agorà “animata esclusivamente dal desiderio di verità e di edificare il bene comune”:

“Il mio augurio è che l'Europa, riscoprendo il suo patrimonio storico e la profondità delle sue radici, assumendo la sua viva multipolarità e il fenomeno della trasversalità dialogante, ritrovi quella giovinezza dello spirito che l'ha resa feconda e grande”.

inizio pagina

Telegrammi di sorvolo del Papa a Italia, Svizzera, Francia e Germania

◊  

Un grazie per la loro "compagnia" e l'augurio che non risulti "troppo faticoso" il lavoro di una giornata comunque molto serrata. Con queste parole Papa Francesco ha salutato sul volo che lo portava a Strasburgo i giornalisti presenti a bordo, promettendo di essere a loro "disposizione, come al solito", al momento del volo di rientro in Italia.

Intanto, durante il volo verso Strasburgo, Papa Francesco aveva inviato i consueti telegrammi di saluto ai capi di Stato dei Paesi sorvolati, Italia, Svizzera e Francia. Al presidente Giorgio Napolitano, il Papa ha espresso “fervidi auspici per il benessere spirituale civile e sociale” del Paese, ai quali il presidente italiano ha risposto dicendosi “certo” che gli interventi di Francesco al Parlamento europeo ed al Consiglio d'Europa “infonderanno nuova fiducia a coloro che, nel pieno di una crisi che non è solo economica e finanziaria, ma anche sociale e morale, faticano a coltivare la speranza di un futuro migliore”.

Le “sue parole – ha soggiunto Napolitano – sapranno stimolare anche nelle istituzioni europee un'attenta e quanto mai necessaria riflessione sui valori e sugli ideali che furono alla base del progetto europeo e che devono oggi guidarci nella costruzione di un continente più coeso e in grado di svolgere una positiva azione a favore della pace, dello sviluppo e di una sempre maggiore solidarietà”.

Nel telegramma di saluto al presidente francese, François Hollande, il Papa ha in particolare formulato per la Francia e tutta l’Europa, “nel centenario dell'inizio della prima guerra mondiale”, “voti ardenti di pace e prosperità”. Simili nel contenuto anche i telegrammi del Papa inviati durante il volo di rientro a Roma ai presidenti francese, tedesco, svizzero e italiano.

inizio pagina

Dal Papa direttore di Organizzazione islamica scientifico-culturale

◊  

Papa Francesco ha ricevuto ieri in udienza il direttore generale dell’“Islamic Educational Cultural and Scientific Organization”, Abdulaziz Othman Altwaijri.

inizio pagina

Vita Consacrata. Mons. Carballo: carismi sono vivi, vanno inculturati

◊  

Ha per titolo “Vino nuovo in otri nuovi” la Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, che si è aperta oggi in Vaticano e in programma fino a sabato prossimo. L’incontro si tiene in vista dell’apertura dell’Anno della Vita Consacrata, fissato per domenica 30 novembre, e su questa fase speciale che la Chiesa si appresta a vivere Alessandro De Carolis ha intervistato il segretario del dicastero vaticano, l’arcivescovo José Rodriguez Carballo

R. – Gratitudine, passione, speranza, Vangelo e profezia: saranno le cinque parole che guideranno la riflessione lungo l’Anno della Vita Consacrata, perché pensiamo che queste cinque parole sintetizzino gli aspetti fondamentali e fondanti della Vita Consacrata.

D. – Eccellenza, come si collegano queste cinque parole, questi cinque pilastri, con le periferie dove Papa Francesco esorta e sprona chiunque ad andare?

R. – Il Vangelo ci parla della centralità di Cristo e Papa Francesco insiste costantemente che nella misura in cui uno si incontra con Cristo, esce, va all’incontro con gli altri. E la Chiesa in uscita è la Vita Consacrata in uscita. Dall’altra parte, quando uno si incontra con Cristo, non può fare a meno di fare memoria grata della propria storia, non può fare a meno di vivere il presente con passione, non può fare a meno di abbracciare il futuro con speranza e non può fare a meno che la sua vita diventi veramente profezia. Quindi, tutte partono dal Vangelo. Poi, si deve considerare che il Vangelo è la regola suprema di ogni vita consacrata e quindi deve stare sempre al centro. Da questo centro, tutto il resto è conseguenza.

D. – Un’altra questione, sollevata da Papa Francesco con i religiosi, è quella – come ha detto in occasione di un suo primo incontro con il mondo dei consacrati – di ripensare l’“inculturazione dei carismi”. E’ un’altra sfida dell’Anno della Vita Consacrata…

R. – I carismi sono sempre vivi. Il carisma è un dono dello Spirito alla Chiesa e al mondo, quindi è sempre un dono vivo, un dono che deve parlare oggi come ha parlato ieri, quando il Signore attraverso i fondatori lo ha dato alla Chiesa. Quindi, è necessaria una inculturazione del carisma affinché questo venga capito e letto nelle circostanze attuali della vita della Chiesa, del mondo e della vita di ogni uomo e donna.

D. – Papa Francesco sta mostrando, in particolare con i suoi viaggi apostolici, una grande predilezione per le Chiese ad Oriente. E Oriente vuol dire sia terre di spiritualità antichissima e profonda, ma anche, purtroppo, di minoranze perseguitate. Qual è la vostra visione come dicastero?

R. – Noi siamo convinti che la vita consacrata abbia una grande importanza in questo incontro tra Occidente e Oriente. Infatti, noi nel mese di gennaio promuoviamo una delle attività del dicastero, che prevede l’incontro sia del monachesimo orientale con la vita consacrata della Chiesa cattolica, sia anche l’incontro con la vita consacrata così come viene vissuta oggi nella Chiesa protestante. Quindi, noi pensiamo che la vita consacrata possa giocare un ruolo di ponte e di comunione tra questi due mondi per contribuire anche non soltanto all’ecumenismo, ma anche al dialogo, alla pace e alla concordia in queste zone provate dalla violenza e dalla guerra.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Per curare le fragilità: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa a Strasburgo.

L'attività diplomatica della Santa Sede: l'arcivescovo Dominique Mamberti ai vescovi australiani.

Le donne del Darfur e la giornata contro la violenza.

L'albero e la radice: Gian Mario Veneziano sui versi di Clemente Rebora.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Violenze Ferguson. Obama: questione razziale aperta

◊  

Parlerà nel pomeriggio dalla Casa Bianca il presidente Obama sugli episodi di violenza e sulle accese proteste che nella notte hanno segnato diverse città americane, con una trentina di arresti. La rabbia è esplosa dopo la decisione del Grand Giurì di non procedere all'incriminazione di Darren Wilson, il poliziotto che il 9 agosto scorso a Ferguson nel Missouri sparò e uccise il 18.enne afroamericano, Mike Brown. “E’ una questione che riguarda tutta l’America", ha ammesso il presidente Obama, invocando la calma. Ciò significa che la questione razziale è ancora forte e presente nel tessuto sociale? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Stefano Luconi docente di Storia degli Stati Uniti all’Università di Padova: 

R. – Assistiamo alla fine dell’ennesima grande illusione suscitata dall’elezione di Barak Obama, che è il primo afroamericano a sedere nello Studio ovale e che avrebbe significato, in qualche modo, il superamento della questione razziale. In realtà, esistono ancora profonde disparità non soltanto in termini di Polizia che continua a ritenere che individui di colore afroamericani, ma anche ispanici, siano dei sospetti rispetto all’individuo di cosiddetta razza bianca. Ci sono degli elementi difficilmente confutabili. Basti pensare alla disoccupazione: la disoccupazione dei neri è più del doppio della disoccupazione dei bianchi. Quindi esiste una distanza, che la presidenza di Obama non è riuscita a colmare.

D. – Può tornare a essere o è una minaccia reale di ordine pubblico?

R. – E’ un problema chiaramente di ordine pubblico nell’immediato, ma il problema è la mancanza di identificazione da parte dell’afroamericano medio nel sistema giudiziario.

D. – Negli anni che restano al presidente Obama, cosa fare per andare oltre Ferguson?

R. – E’ necessario un sistema giudiziario che sia meno prevenuto in termini razziali. Ci sono delle statistiche su Ferguson che dimostrano come la stragrande maggioranza di arresti, di fermi di polizia e di perquisizioni siano fatte in maniera sistematica con oggetto “individui di colore”. È un pregiudizio da rimuovere e c’è anche da fare una maggiore attenzione alle forze di Polizia, che dovrebbero riflettere in maniera più accurata sulla composizione della comunità in cui operano. I due terzi della popolazione di Ferguson è composta da residenti afroamericani, eppure l’amministrazione locale è nelle mani dei bianchi e questo dà un senso alla comunità afroamericana di impotenza… Allora, se non ci si indentifica nelle istituzioni, la risposta a questi episodi è quella di una violenza molto spesso sterile e velleitaria, ma che sembra l’unica soluzione. Poi, c’è il problema del perché gli afroamericani che sono la maggioranza non riescano a controllare l’amministrazione locale: questo è un altro problema legato a una disaffezione, a una difficoltà di mobilitazione dell’elettorato afroamericano. Però, se non si ricompone la distanza che separa le istituzioni dalla comunità nera, la violenza purtroppo diventa l’unica risorsa apparente nelle mani degli afroamericani, che si sentono oggetto di soprusi e di forme di discriminazione.

D. – Il presidente Obama prenderà la parola quando qui saranno circa le 17.00. Potrebbe fare una dichiarazione imprevista?

R. – Il presidente di tutti gli statunitensi non potrà che tornare su appelli alla calma e appelli alla rinuncia alla violenza. Fra l’altro, dal punto di vista istituzionale Obama ci ha messo tutto il suo possibile per dare garanzie agli afroamericani. E fra l’altro – e questa potrebbe essere una possibile soluzione – in parallelo all’inchiesta del Gran Giurì che non ha incriminato Darren Wilson ieri, c’è una inchiesta del Dipartimento di Giustizia e questa inchiesta potrebbe portare ad una incriminazione. Questa potrebbe essere una soluzione, però non è una soluzione che dipende dal presidente, ma dipende dal Dipartimento di Giustizia.

inizio pagina

Usa, lascia il ministro della Difesa Hagle

◊  

Si prospetta un cambio di direzione per l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dopo le dimissioni del ministro della Difesa, Hagel. Una decisione che sembra essere stata molto caldeggiata dallo stesso capo della Casa Bianca, sull’onda di una profonda insoddisfazione sull’operato dell’ex ministro, in particolare nella gestione delle crisi e della minaccia del cosiddetto Stato islamico. Non si sono fatte attendere le indiscrezioni sui possibili nomi del successore, sul quale però non ci sono per ora certezze. Un commento sul contesto che ha condotto a questo cambio di rotta, Paola Simonetti lo ha chiesto a Dario Fabbri, esperto di Stati Uniti per la rivista di geopolitica "Limes": 

R. – Non sono sicurissimo che Hagel abbia sbagliato moltissimo. Mi spiego. Queste sono dimissioni dovute soprattutto a scontri di carattere interno. Sicuramente, l’amministrazione, agli occhi dell’opinione pubblica, è apparsa titubante nell’affrontare la minaccia dello Stato islamico e questo era un qualcosa su cui Obama doveva intervenire. Allo stesso tempo, le dimissioni di Hagel – peraltro dimissioni indotte, non spontanee – sono dovute soprattutto a uno scontro interno che vede il circolo ristretto dei consiglieri di Obama, in una Casa Bianca proverbialmente insulare come la sua, che vuole estendere la propria influenza anche sul Pentagono. Hagel non era mai riuscito a penetrare, appunto, il cerchio ristretto dei collaboratori obamiani. E negli ultimi mesi, soprattutto riguardo alla Siria, Hagel si era schierato contro l’approccio titubante, un po’ timido, dell’amministrazione Obama nei confronti dello Stato islamico, scontrandosi spesso con il Consigliere per la sicurezza nazionale, Susan Rice che invece è una delle favorite di Obama. E questo di fatto lo ha posto fuori dai giochi. Allo stesso tempo, non credo che gli sia stato imputato un errore in particolar modo… Non era considerata una persona molto preparata, questo sì, fin dall’inizio. Ma in realtà il suo approccio, questo può sembrarci strano, il suo approccio allo Stato islamico era più coriaceo, era più duro di quanto non fosse ad esempio quello di Obama. E quindi può sembrare singolare che abbia pagato in questa fase in cui Obama cerca di presentarsi almeno all’opinione pubblica come maggiormente assertivo, come maggiormente aggressivo nei confronti dei jihadisti.

D. – Alla luce di quanto hai esaminato, quale svolta però si preannuncia, in quale direzione è immaginabile andrà Obama nella scelta anche di un nuovo ministro?

R. – E’ difficile da dirsi perché in questa fase Obama non è soltanto un’anatra zoppa, ma la sua è una presidenza fallita. Cioè, c’è anatra zoppa quando si perde il controllo del Congresso, che finisce nelle mani dell’altro partito, ma si diventa un presidente fallito, tecnicamente – senza dare un’accezione negativa o positiva al termine – quando anche lo stesso partito del presidente lo abbandona. E’ proprio questa la fase che sta vivendo Obama. Che cosa vuol dire? Vuol dire che il presidente è di fatto un "lupo solitario", una scheggia impazzita che diventa del tutto imprevedibile, soprattutto in politica estera dove crede di avere le mani più libere rispetto all’interno. E nel momento in cui il Senato è controllato dai repubblicani – Senato che approva, ricordiamo, la nomina del ministro della Difesa – nominare un successore potrebbe essere un iter molto lungo, ci poterebbero volere mesi. In questi mesi rimarrà alla testa del Pentagono, non ci sarà un cambiamento vero e proprio in questa fase.

D. – Ma in quest’ottica, però, nei confronti del terrorismo islamico, che è quello che fa più paura in questo momento, come si pensa si agirà?

R. – Dobbiamo distinguere sempre tra la propaganda e le reali intenzioni di un’amministrazione. Al di là di una propaganda, l’amministrazione Obama non considera lo Stato islamico una minaccia strategica e quindi l’approccio della Casa Bianca nei confronti dello Stato islamico, almeno da un punto di vista concreto, non è destinato ad alterarsi più di tanto. La posizione che Obama deve realmente chiarire è quella nei confronti di Assad, del presidente siriano, che ancora e tuttora ha un alleato, l’Iran – l’Iran, anzi, meglio, è il “patron” di Al Assad. In un momento in cui gli Stati Uniti stanno trattando e continueranno a trattare con l’Iran, intervenire massicciamente in Siria o anche in Iraq vorrebbe dire indebolire l’Iran, se ad esempio l’intervento americano causasse un rovesciamento di Al Assad oppure avesse un altro tipo di conseguenze e di effetti collaterali.

inizio pagina

Iran, nucleare. Cesi: accordo incompleto poteva avere effetti negativi

◊  

Si discute dopo il mancato accordo sul nucleare iraniano tra Teheran  e le potenze del 5+1, Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania. Il dialogo resta comunque aperto, con una nuova scadenza per un’intesa fissata a fine giugno del 2015. Al centro la questione dell’arricchimento dell’uranio, che lo rende utilizzabile per fini pacifici ma anche, a gradi di purezza elevati, per il nucleare della bomba atomica. Per una lettura di questo risultato, Debora Donnini ha intervistato Francesca Manenti, analista del Centro studi internazionali per l’Asia e il Pacifico: 

R. – Andare a definire un risultato non completo per entrambe le parti, quindi sia per l’Iran sia per la comunità internazionale attiva nel processo negoziale, poteva essere una vittoria a metà.

D. – Secondo alcuni, però, si è persa un’occasione importante, perché da gennaio Obama si troverà a confrontarsi con un Congresso a maggioranza repubblicana, con posizioni più rigide verso Teheran, tanto che ieri il segretario di Stato, John Kerry, ha chiesto proprio il sostegno del Congresso…

R. – Un accordo non soddisfacente per entrambe le parti probabilmente avrebbe avuto effetti maggiormente negativi. Pensiamo solo che un accordo che non avesse soddisfatto in pieno il governo iraniano avrebbe compromesso la posizione e quindi la libertà di manovra del presidente Rohani agli occhi delle frange più conservatrici. D’altra parte, un accordo che non fosse stato soddisfacente nemmeno per la Comunità internazionale e quindi, per esempio, per le opinioni pubbliche dei Paesi direttamente coinvolti – pensiamo solo all’opinione pubblica e alle forze repubbliche all’interno degli Stati Uniti – avrebbe comunque potuto mettere in difficoltà l’attuale amministrazione e quindi probabilmente anche compromettere quelli che potrebbero essere altri punti di contatto tra la comunità internazionale e l’Iran.

D. – I commenti, infatti, che vengono dall’Iran sono di segno diverso: per il presidente Rohani si sono ricomposte la maggior parte delle divergenze e si arriverà a un accordo definitivo entro l’anno prossimo, mentre l’ayatollah Ali Khamenei, la Guida suprema iraniana, denuncia il “tentativo fallito” delle “arroganti” potenze occidentali, dice, di piegare la Repubblica islamica…

R. – Gli equilibri sono molto delicati e, appunto, l’opposizione forte delle forze conservatrici, in primis della Guida suprema, in un certo senso rendono questa estensione della "dead line" per i negoziati nucleari non così fallimentare, come a una prima lettura potrebbe invece sembrare.

D. – Ma c’è speranza poi di arrivare ad un accordo effettivamente, come auspica Rohani?

R. – I punti attualmente in discussione sono ancora molti. La volontà da entrambe le parti sicuramente sembra esserci, perché se ci fosse stata l’intenzione di chiudere definitivamente il negoziato, di fronte a dei punti ancora irrisolti dopo un anno di trattative, i negoziati sul nucleare con i 5+1 sarebbero potuti essere stati interrotti già nella giornata di ieri. Invece, la necessità o comunque l’intenzione di portare avanti ancora fino al prossimo giugno questa trattiva, dà un buon segnale di avvicinamento tra l’Iran e la comunità internazionale.

D. – Quanto influenza tutto questo la presenza dello Stato Islamico nella regione?

R. – I colloqui sul nucleare hanno offerto la possibilità alla comunità internazionale di avvicinarsi all’Iran e di cercare di costruire quel clima di fiducia che per tanti anni è venuto a mancare. Dare l’occasione per estendere questo canale negoziale tra due parti, per molti anni distanti, può essere letto anche come un tentativo di continuare a coinvolgere il governo iraniano anche su temi attualmente molto più controversi e molto delicati, in primis la crisi di sicurezza in Iraq e in Siria e quindi la minaccia dello Stato Islamico nella regione.

inizio pagina

Infrastrutture e formazione nei nuovi accordi tra Italia e Egitto

◊  

Secondo giorno di visita a Roma per il presidente egiziano, Abdal Fattah Al-Sisi, la prima in Europa dal suo insediamento, lo scorso giugno. Dopo aver incontrato ieri Papa Francesco e il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, oggi è stato il giorno degli imprenditori del “Business Council italo-egiziano”, riuniti per firmare nuovi accordi di cooperazione economica fra i due Paesi. Il servizio di Michele Raviart

L’Italia è il terzo partner commerciale dell’Egitto, il primo europeo. Gli scambi tra i due Paesi quest’anno sono tornati ai livelli record precedenti alla “primavera araba” e l’obiettivo è quello di raggiungere i 6 miliardi di euro nel 2016. Sono già circa 900 i progetti di investimento italiani in Egitto, che dovrebbero aumentare sia grazie ai memorandum firmati oggi, sia grazie alle nuove regole a favore degli investimenti stranieri promosse dal governo egiziano. Gli accordi rilanciano l’impegno delle aziende italiane nei settori delle energie rinnovabili – con un parco eolico sul Mar Rosso – delle infrastrutture, previsto un ampliamento del canale di Suez, e dei trasporti, con una linea ferroviaria ad alta velocità tra Alessandria, Il Cairo e Assuan. Importanti anche gli investimenti ne tessile, in particolare nel cotone e nel pellame. Carlo Calenda, viceministro italiano dello Sviluppo economico:

“L’Egitto ha un problema chiave: non può tenere la stabilità politica se non ha uno sviluppo che ha tassi di crescita molto superiori a quelli che sta facendo adesso, perché ha una popolazione molto giovane, una demografia in crescita e ha bisogno di industria manifatturiera. L’Italia ha un perfetto 'matching' per fare industria manifatturiera in Egitto”.

La collaborazione Italia-Egitto si concentrerà anche sulla formazione. In particolare 32 scuole tecniche professionali i riceveranno macchinari italiani per l’apprendistato dei giovani lavoratori egiziani. Tra queste, l’Istituto Salesiano Don Bosco del Cairo, fondato all’inizio del Novecento e specializzato nella creazione di meccanici ed elettricisti. Mounir Fakkhry Abdel Nour, ministro egiziano dell’Industria e del commercio:

R. – We have required technical support for training and increasing the skills of Egyptian workers…

Abbiamo chiesto all’Italia supporto tecnico per formare i lavoratori egiziani e aumentare le loro conoscenze professionali. Dovete sapere che la migliore scuola di formazione tecnica in Egitto è la Scuola di Don Bosco: è un’istituzione fantastica. Oggigiorno, un diplomato che esce da questa scuola è assunto immediatamente: non appena si diploma, già trova lavoro. E’ necessario ripetere esperienze come questa".

Previsto un nuovo incontro del Business Council a fine febbraio, durante la missione del governo italiano in Egitto.

inizio pagina

Giornata contro la violenza alle donne: urge cambiamento culturale

◊  

La violenza sulle donne è un'epidemia mondiale: lo sottolinea quest’anno la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne istituita per il 25 novembre dall’Onu nel 1999. Uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), reso noto nei giorni scorsi a Ginevra, rivela che il 35% delle donne ha subito violenze nell’arco della vita, il 30% entro le mura domestiche. Dunque, una su tre. Molti i danni a livello fisico, mentale e sociale conseguenti alle violenze. Per questo, secondo l’Oms, la violenza sulle donne “è un problema sanitario globale, come un’epidemia”. Il servizio di Adriana Masotti

Oltre 130 milioni nel mondo le donne sottoposte a mutilazioni genitali, 120 milioni le ragazze costrette a subire abusi sessuali, oltre 700 milioni le spose bambine, mentre lo stupro nei Paesi in conflitto diventa un’arma di guerra sempre più diffusa. Per non parlare degli aborti nei confronti delle bambine messi in atto in alcuni Paesi. Riguardo al femminicidio, lo studio dell’Oms evidenzia come i partner siano responsabili di una quota tra un terzo e la metà di tutti i casi. La regione dove le donne sono più a rischio è il Sudest asiatico. A seguire, ci sono i Paesi ad elevato reddito (41,2%), tra i quali anche l’Italia, poi le Americhe (40,5%) e l’Africa (40,1%).

“C’è ancora molto da fare, afferma Heidi Stockl, autrice dello studio, in particolare per aumentare gli investimenti nella prevenzione e per sostenere le vittime”. Fondamentale l'educazione dei bambini e dei giovani, sostiene Flavia Bustreo, vicedirettore generale per la Famiglia presso l'Organizzazione. "C'è ancora il concetto che la violenza contro le donne sia tollerabile o, peggio, qualcosa di cui ci si possa vantare". E conclude: "Bisogna avere leggi che stabiliscano che la violenza contro le donne è un crimine”. Contro la violenza alle donne anche agli uomini, devono fare la propria parte: serve un "cambio di mentalità”, dice il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. "Dobbiamo por fine a modi di pensare e tradizioni che incoraggiano o tollerano la violenza", prosegue, ricordando che quella sulle donne è "una disgrazia globale".

In Italia, negli ultimi 12 mesi, le donne uccise sono state 152, nello stesso periodo del 2013 erano stati 165. Fino a due anni fa, quasi la metà degli omicidi avveniva al Nord, dal 2013 il Sud ha visto una crescita, raddoppiate anche le vittime al Centro. Roma è la città con più morti e l’Umbria la regione con il maggiore indice di femminicidi. L'educazione alla parità e al rispetto è fondamentale, ha sottolineato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio indirizzato all'Università di Bologna dove oggi si presenta un seminario del Corso di laurea in Filosofia proprio sulla violenza contro le donne. “Ho avuto più volte occasione di affrontare questo argomento", scrive, "sempre sottolineando quanto cammino il nostro Paese debba ancora compiere per contrastare efficacemente questa drammatica realtà”.

Conferma le parole di Napolitano la ricerca condotta da "WeWorld Intervita Onlus", Associazione impegnata nel contrasto alla violenza sulle donne, da cui emerge un’Italia ferma ai luoghi comuni in relazione ai rapporti tra uomini e donne. Risulta diffusa ancora, anche tra i giovani, la colpevolizzazione della donna nei casi di violenza, quella domestica viene inoltre minimizzata e ridotta a un problema da risolversi in famiglia. Importante, dunque, la richiesta di un cambio di mentalità. Al microfono di Adriana Masotti, Marco Chiesara, presidente di "WeWorld Intervita": 

R. – E’ sicuramente una presa di coscienza importante e credo che parta dal presupposto per cui la violenza, in particolare la violenza di genere, è una questione che ha forti radici culturali. Noi siamo andati ad analizzare le radici della violenza attraverso un’indagine condotta con Ipsos, da cui sono emersi dati allarmanti sul percepito degli italiani sulle questioni di genere.

D. –  Una mentalità che penalizza le donne diffusa nel mondo…

R. – Sì, il tema della violenza sulle donne è un tema che non conosce confini. Nel fenomeno della violenza sulle donne, gli uomini giocano il ruolo degli attori, che è un ruolo orribile evidentemente, che dev’essere sconfitto. Quindi, sono soprattutto gli uomini che devono farsi carico del tema della violenza e affrontare il problema e cercare di risolverlo.

D. – Qual è il vostro impegno nel sostegno e nella valorizzazione delle donne nel mondo dove siete presenti?

R. – Noi siamo presenti, ad esempio, in Brasile con interventi contro il turismo sessuale e ancora in Cambogia sosteniamo progetti che hanno come obiettivo quello di contrastare il fenomeno del "trafficking". In Africa, in Benin in particolare, abbiamo avviato un progetto di microcredito per le donne e di sostegno alle famiglie di bambini che sono a rischio di abbandono. Lavoriamo molto anche in Italia attraverso interventi all’interno dei pronto soccorso e con un’intensa attività di ricerca sul fenomeno. Diciamo che i dati che noi abbiamo sono dati da cui si possono ricavare elementi di riflessione importanti. Ad esempio, l’Unicef ha stimato che nel mondo oltre il 30% delle donne si sposa prima di avere compiuto 18 anni, quindi un problema strettamente connesso alla violenza di genere. O ancora: il 70% delle persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno è costituito da donne. Quindi, anche qui una violenza di tipo economico che è assolutamente paragonabile alla violenza fisica.

D. – Quindi, lei vuole sottolineare che non c’è solo la violenza fisica contro le donne...?

R. – Sì, una svalutazione e una discriminazione di cui le donne sono vittime in tutto il mondo.

inizio pagina

Lumsa: più spazio nei media per ecologia e sostenibilità

◊  

L’ecologia e la sostenibilità diventano sempre di più temi di grande interesse da parte dei media. E’ quanto emerge dal primo rapporto dell’Osservatorio Ecomedia, promosso dall’associazione "Pentapoli Onlus", che si occupa di responsabilità sociale e sviluppo sostenibile, e dalla Lumsa, e dalla Libera Università Maria Santissima Assunta. I dati sono stati presentati questa mattina a Roma nell’ambito della sesta edizione del "Sustainably International Forum". Il servizio di Marina Tomarro

Negli ultimi tre mesi, sono stati pubblicati circa 626 articoli sui temi ambientali. Rara la prima pagina, mentre il 55% delle notizie trattano prevalentemente disastri ambientali, il resto invece sono o articoli di denuncia o su temi legislativi. E un maggiore spazio cominciano ad avere invece quelle storie dove l’ambiente diventa la buona notizia. Francesca Ieracitano, tra i redattori del primo rapporto dell’Osservatorio Ecomedia:

R. – La cosa che a noi ha interessato di più mettere in evidenza è stata l’attenzione che, a modo loro, le testate prese in esame hanno dedicato a quelle che abbiamo definito le "best practice", vale a  dire quelle azioni virtuose, svolte in alcuni casi dalla politica, in alcuni casi dal mondo dell’associazionismo delle Onlus, nel settore ambientale, che hanno promosso attività più orientate verso la sostenibilità. L’aspetto rilevante non è tanto il fatto che la cronaca legata all’emergenza faccia notizia, ma che finalmente anche le buone notizie trovino una loro visibilità, cosa che su altri fenomeni o questioni di solito non accade.

D. – Quanto è importante la sensibilizzazione della stampa verso la società riguardo l’ambiente?

R. – E’ fondamentale perché diventa un canale attraverso il quale veicolare anche un certo senso di responsabilità nei confronti dei cittadini. Far capire quali possano essere i vantaggi di un’attenzione nei confronti dell’ambiente e della sostenibilità, di fonti di energia rinnovabili, diventa un fattore di rilievo per far capire le alternative possibili ma anche il grado di coinvolgimento attivo che i cittadini, singolarmente organizzati, in società civile devono avere nei confronti della questione.

E fondamentale diventa la formazione dei giornalisti, per parlare correttamente dei temi ambientali. Alfonso Cauteruccio, presidente dell’Associazione Greenaccord che si occupa della salvaguardia del Creato attraverso l’informazione:

R.  – L’informazione ambientale è fondamentale per arrivare ai cittadini comuni, per coinvolgerli, per passare da una sensibilità epidermica che porta solo all’emozione e basta a qualcosa di più concreto che si traduca veramente, come dice il Papa, in una sorta di conversione ecologica, nel senso dei cambiamenti degli stili di vita. L’informazione e la formazione che passano attraverso i media possono essere determinanti in questo senso, per far capire alcuni processi che non sono solo locali, ma veramente globali e che poi si riflettono su tutti quanti noi.

D. – In che modo Greenaccord cerca di aiutare i giornalisti a formarsi alla conoscenza dei temi ambientali?

R. – Innanzitutto organizzando incontri internazionali e nazionali anche per la stampa cattolica. Proprio perché c’è necessità, essendo un tema molto complesso quello ambientale, che i giornalisti possano imparare per allargare i loro orizzonti e soprattutto anche per produrre una informazione di qualità ascoltando i relatori, quindi soprattutto scienziati che portano l’esperienza di studi avanzati su questi temi. E poi, soprattutto, confrontandosi con altri colleghi per affinare anche l’esperienza personale in maniera tale che il risultato sia sempre migliore.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



“Dichiarazione di Amman”: road map sul futuro dei cristiani arabi

◊  

I partecipanti alla seconda Conferenza sui cristiani e l'impatto della “Primavere arabe”, svoltasi a Amman il 22 e 23 novembre, hanno stilato alla fine dei lavori, un documento che si configura come una lungimirante e dettagliata esposizione dei problemi, delle emergenze e dei pericoli che segnano oggi la condizione delle comunità cristiane in Medio Oriente.

La “Dichiarazione di Amman” - questo è il titolo del documento approvato dagli 80 politici, intellettuali e ecclesiastici presenti alla Conferenza organizzata dalla Fondazione Konrad Adenauer, dall'al-Quds Center for Political Studies e dalla Danmission Foundation – si presenta come una preziosa road map in 12 punti, per favorire “un futuro migliore dei cristiani nei Paesi arabi”.

Nel documento - riporta l'agenzia Fides - si prende atto delle difficoltà e dei fallimenti finora registrati dallo sforzo di far radicare in Medio Oriente, democrazie in grado di garantire per tutti la condivisione dello stesso diritto di cittadinanza. Negli ultimi decenni, molti Paesi hanno visto il radicarsi di regimi tirannici e corrotti, e i cristiani sono stati spesso ingiustamente accusati di eccessiva sottomissione verso le nomenclature che li guidavano.

In questo contesto – riferisce uno dei punti della Dichiarazione – l'aumento dell'intolleranza nelle società arabe è stato dovuto soprattutto all'emergere di una interpretazione estremista degli insegnamenti dell'islam. Un processo avvenuto sotto gli occhi di gran parte dei governi della regione, e in alcuni casi con il loro appoggio, che ha trovato risposte inadeguate nelle classi dirigenti del Medio Oriente.

La Dichiarazione di Amman riconosce la necessità di distinguere tra le varie espressioni e tendenze dell'islam politico, e di coinvolgere le componenti più avvedute della galassia islamista in una chiara e ferma presa di posizione contro ogni tipo di discriminazione giuridica, sociale e politica nei confronti dei cristiani arabi. Le Chiese e le comunità presenti in Medio Oriente – ribadisce la Dichiarazione di Amman – rappresentano una realtà autoctona e non possono in nessun modo essere identificate come un “corpo estraneo” importato dall'Occidente.

La Dichiarazione di Amman mette in guardia anche le comunità cristiane mediorientali dal rischio di cadere nel particolarismo e nell'isolazionismo, e dalla tentazione di rispondere all'estremismo islamista con un oltranzismo uguale e contrario. Inoltre, nel documento si chiede che tutte le forme e le iniziative di sostegno e di solidarietà internazionali rivolte ai cristiani arabi aiutino le loro diverse comunità cristiane a rimanere radicate nelle proprie terre, evitando di favorire anche involontariamente l'esodo dei battezzati dalle terre dove il cristianesimo è nato e si è diffuso fin dai tempi apostolici. (R.P.)

inizio pagina

Mosul: l'Is distrugge il convento delle suore del Sacro Cuore

◊  

Secondo fonti locali consultate dall'agenzia Fides, ieri i miliziani jihadisti dello Stato Islamico che controllano la città di Mosul sono ricorsi a cariche esplosive per danneggiare gravemente il convento delle suore caldee del Sacro Cuore, in precedenza da loro occupato e usato come alloggio e base logistica.

I media legati alla comunità caldea riferiscono che la distruzione tramite esplosivo sarebbe avvenuta in due fasi: un primo tentativo non ha avuto esito, ma poi i jihadisti sono ricorsi a cariche più potenti di esplosivo, provocando danni gravi soprattutto alla chiesa, con l'intento di eliminare la croce che svetta sul luogo di culto.

Prima di mettere in atto la loro opera devastatrice, i miliziani dello Stato Islamico hanno avvertito gli abitanti della zona, suggerendo loro di tenere aperte le finestre per evitare che i vetri fossero infranti dallo spostamento d'aria.

Fonti locali ipotizzano che il convento sia stato abbandonato perchè considerato imminente bersaglio dei raid aerei realizzati anche a Mosul dalla coalizione anti-Califfato a guida Usa. Al momento non risulta che sia stato danneggiato l'adiacente monastero di san Giorgio, appartenente all'ordine antoniano di Sant'Ormisda dei caldei.

Il convento delle suore caldee del sacro Cuore, noto come convento della Vittoria, era stato costruito grazie a una donazione di Saddam Hussein, il Presidente iracheno giustiziato per impiccagione il 30 dicembre 2006. (R.P.)

inizio pagina

Pakistan: cristiano torturato e ucciso. Era in custodia della polizia

◊  

Un cristiano di 35 anni, Rakha Shahzad, è stato rinvenuto morto dopo essere stato torturato mentre era in custodia della polizia di Lahore. L’uomo era in stato di arresto con l’accusa di “vendita di alcolici e droga”. Come riferisce la sua famiglia, “Shahzad è morto a causa delle torture della polizia”, mentre gli agenti parlano di un “attacco di cuore” durante l’interrogatorio.

Padre Francis Nadeem, provinciale dei Cappuccini in Pakistan, riferisce all’agenzia Fides lo sconcerto della comunità cristiana “per l’ennesimo omicidio extragiudiziale”. I familiari del defunto hanno avviato vibranti proteste a Lahore, cercando anche di entrare con la forza nella stazione di polizia. Tre agenti sono stati denunciati e una inchiesta è stata avviata. Il cadavere dell’uomo è stato trasferito in ospedale dove si farà un’autopsia per stabilire le cause del decesso. Il fratello di Shahzad dichiara che l’uomo “era stato arrestato senza motivo” e chiede allo Stato di occuparsi della sua famiglia.

L’avvocato cristiano Mushtaq Gill commenta a Fides: “ Il mondo intero è ancora profondamente scioccato e scandalizzato per il linciaggio della coppia cristiana a Kasur, ma le violenze continuano. E’ urgente abrogare le leggi che sono abitualmente utilizzate per perseguitare i cristiani e garantire giustizia e legalità, a partire dall’opera e dal comportamento della polizia e dei funzionari pubblici”. (R.P.)

inizio pagina

Vescovi Congo: violenza sulle donne è crimine contro l’umanità

◊  

“Nel nostro Paese in preda a interminabili ribellioni, le donne e i bambini sono le prime vittime di questa barbarie umana” scrivono i vescovi della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) in un messaggio per la Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne, che si celebra oggi.

“La violenza nei confronti delle donne - continua il documento ripreso dall’agenzia Fides - è una violazione dei diritti dell’uomo ed ha conseguenze pesanti, dal momento che può impedire i progressi in alcuni ambiti, come l’eliminazione della povertà, la stabilità delle famiglie, la pace, la sicurezza, e la lotta all’Aids”.

“Proteggere la donna significa proteggere la nazione” afferma ancora il messaggio. “In quanto madre, la donna contribuisce allo sviluppo e alla fioritura di una nuova società”. “Il nostro Paese, oltre agli sforzi già realizzati in questo campo, dovrà innanzitutto sostenere le donne e accompagnarle nella loro lotta per l’instaurazione di una società dove i loro diritti saranno non solo riconosciuti ma attuati effettivamente” concludono i vescovi.

“Le donne sono un obiettivo della guerra che si trascina da 20 anni nell’est della Rdc” spiegava nel 2010 a Fides suor Teresina Caffi, delle Missionarie di Maria (saveriane), che opera a Bukavu, capoluogo del sud Kivu (nell’est della Rdc). “Gli stupri sono un modo per distruggere un popolo. Non si tratta di un singolo soldato che, in preda agli istinti più brutali, violenta una giovane, ma di un uso sistematico della violenza sessuale per distruggere psicologicamente la popolazione” continuava la missionaria.

“Quando le donne sono violentate di fronte ai figli oppure si costringono i membri della stessa famiglia all’incesto, siamo di fronte ad atti deliberati per annientare l’umanità delle persone. Dobbiamo contribuire a diffondere il recente rapporto dell’Onu che denuncia questi fatti”. (R.P.)

inizio pagina

Centrafrica: gesto di riconciliazione di mons. Nzapalainga

◊  

“Per me, in quanto uomo di Dio, laddove si trovino degli uomini, delle donne e dei bambini, questi sono figli di Dio, creati a sua immagine, ed io ho l’obbligo di andare loro incontro”: lo ha detto ieri mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e presidente della Conferenza episcopale, spiegando il senso dell’iniziativa umanitaria intrapresa dalla Chiesa nel campo Beal, che accoglie 874 membri dell’ex coalizione ribelle Seleka.

Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, mons. Nzapalainga ha guidato una delegazione di cristiani, donne e uomini, con aiuti alimentari raccolti da Caritas-Centrafrique, che sono stati distribuiti sul posto dalle donne di diverse associazioni del volontariato cattolico. Facevano parte della delegazione un’equipe medica composta da 5 suore infermiere e da una laica.

Nella Repubblica Centrafricana è in atto un difficile processo di disarmo e di acquartieramento degli ex ribelli Seleka e dei loro antagonisti, le milizie anti-balaka, in campi provvisori dove le condizioni di vita sono molto precarie. Il dramma umanitario è accentuato dal fatto che, accanto agli ex combattenti, ci sono anche le loro famiglie, con donne e bambini.

I Seleka si sono resi responsabili di danni e persecuzioni gravissime nei confronti delle chiese cristiane, compresa quella cattolica, durante il periodo nel quale avevano preso il potere.

Il gesto di mons. Nzapalainga, che si è sempre battuto per la pace e la riconciliazione nazionale insieme al Pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche, e all’imam di Bangui Oumar Kobine Layama, è stato apprezzato dal comandante del campo Beal, Rodrigue Yamendji. “ Ringrazio molto calorosamente l’equipe della Chiesa cattolica che è venuta a visitarci” ha detto Yamendji, considerando la visita come parte dei piani di Dio. “Auspico - ha proseguito - che questa volontà di riconciliazione continui, perché tutti i centrafricani possano ricostruire il nostro Paese”.

Padre Patrick Mbea, Superiore regionale degli Spiritani, ha annunciato che si sta valutando la creazione di una scuola nel campo Beal, così come in altri campi d’accoglienza. Mons. Nzapalainga ha infine manifestato la sua intenzione di visitare anche i campi dove sono accolti i miliziani anti-balaka. (R.P.)

inizio pagina

Indonesia: vescovi chiedono registrazione dei matrimoni misti

◊  

La Conferenza episcopale indonesiana (Kwi) rilancia la battaglia in difesa dei diritti civili, in particolare nel settore dei matrimoni misti fra fedeli di religione diversa, che vanno sempre riconosciuti, garantiti e tutelati. Una posizione di rottura - riferisce l'agenzia AsiaNews - rispetto alle leggi dello Stato del Paese musulmano più popoloso al mondo, in base alle quali una unione civile segue sempre la celebrazione di una funzione religiosa e in essa trova il suo fondamento; perché solo il manto della religione rende effettivo il legame fra due persone, che "devono" professare la stessa fede. In ballo i principi supremi della laicità dello Stato e la pratica delle conversioni forzate, soprattutto verso l'islam.

La posizione della Chiesa, in prima fila nella lotta per la libertà religiosa, rappresenta un caso isolato perché anche indù e confuciani, come i musulmani, sono contrari alle unioni miste.

La legge che regola i matrimoni è la UU No 1/Anno 1974, Capitolo 2 e Verso 1, la quale afferma che "una relazione matrimoniale ha valore legale solo se la cerimonia nuziale è svolta secondo riti e norme appartenenti a una religione". Negli ultimi mesi, grazie anche al lavoro di accademici e studiosi di quattro università di Legge a Jakarta, in seno alla Corte costituzionale si è aperto un dibattito sulla possibilità - e la necessità - di una revisione normativa.

La proposta è stata depositata alla Consulta nel luglio 2014 e verte su tre aspetti: l'impossibilità di riconoscere una unione a livello civile, se prima non vi è l'approvazione di una religione (fra quelle riconosciute dallo Stato); il veto alle unioni, se i due coniugi provengono da fedi diverse; il comma che esorta entrambi i coniugi a professare la medesima religione.

Nel settembre scorso l'allora ministro per gli Affari religiosi Lukman Hakim ha confermato la validità delle norme in atto ed escluso il bisogno di una revisione costituzionale; egli ha aggiunto che prima di un qualsiasi intervento del legislatore, è necessario consultare i leader religiosi, in particolare gli esperti di legge islamica. Anche l'ex presidente della Corte costituzionale ha chiuso le porte a possibili modifiche, sottolineando che "se una coppia interreligiosa insiste per legalizzare la propria unione, vada all'estero".

Interpellati in materia, i vertici del Consiglio indonesiano degli ulema (Mui) hanno esortato la Corte costituzionale ad archiviare la proposta, mantenendo lo status quo. Sollecitati dal legislatore, anche i leader delle minoranze religiose hanno esposto la rispettiva posizione, con la sole voce della Chiesa cattolica isolata dal gruppo. 

Diversa l'opinione dei vescovi, rilanciata da padre Purbo Tamtomo, esperto di Diritto canonico dell'arcidiocesi di Giakarta, secondo cui ogni unione fra un uomo e una donna è "un diritto umano inalienabile" e vale il principio supremo della laicità dello Stato; egli denuncia inoltre la pratica secondo cui molte coppie, unite dalla Chiesa in matrimonio misto, sono state costrette a convertirsi "per ottenere il riconoscimento" da parte delle istituzioni. (M.H.)

inizio pagina

Paraguay: la Chiesa continua la lotta al narcotraffico

◊  

Il vescovo della diocesi di Caacupé, mons. Catalino Claudio Giménez Medina, che è anche presidente della Conferenza episcopale, ha chiesto al Pubblico ministero di condurre un'indagine approfondita sui parlamentari legati ai trafficanti di droga e ha condannato duramente questa attività criminale, che porta solo morte e lutto nelle famiglie del Paraguay. Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, il vescovo ha anche sottolineato che le persone scelte per qualsiasi incarico decisionale, hanno una maggiore responsabilità davanti a Dio e davanti al popolo di svolgere bene il compito loro assegnato.

Durante la celebrazione della festa di Cristo Re, molto sentita in Paraguay, mons. Giménez Medina è stato energico nel dichiarare che, nonostante la violenza e la morte generata dal traffico di droga, la Chiesa cattolica non si scoraggia e continuerà nella sua lotta per la giustizia e la pace, a fianco degli oppressi e delle vittime di questi crimini. Ha anche elogiato il lavoro di gruppi e persone coraggiose, che lottano per la pace e la giustizia in ogni modo.

Mons. Giménez ha evidenziato che ci sono persone che optano per la verità e la giustizia, con convinzione, e sono davvero ammirevoli, dando anche la propria vita per la difesa di quei valori. Si riferiva al giornalista di "Abc Color" Pablo Medina, ucciso per aver denunciato la corruzione e il traffico di droga nella zona di Canindeyú, vicino al confine con il Brasile.

Da altre fonti di Fides si apprende che l'assassinio di Pablo Medina e della sua compagna, Antonia Almada, avvenuto il 16 ottobre, ha innescato una serie di inchieste e indagini che hanno permesso di individuare meglio i lunghi tentacoli del narcotraffico, estesi anche nei vari rami del governo. Giovedì scorso, 20 novembre, il Senato ha autorizzato le indagini nei confronti di tre membri del parlamento accusati di forti legami con il narcotraffico.

La Conferenza Episcopale, nella sua ultima Assemblea plenaria, ha ribadito la richiesta di “fermare la corruzione e la conseguente narco-politica”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 329

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.