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Sommario del 26/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: umanità e cosmo non saranno distrutti ma resi perfetti

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Alla fine dei tempi il cosmo non verrà annientato, ma la redenzione di Dio trasformerà non solo l’uomo ma anche la terra in un luogo di verità, giustizia e bellezza. Lo ha affermato Papa Francesco durante la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro, conclusa da una richiesta di preghiera per il suo imminente viaggio apostolico in Turchia. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il cielo, la terra e la fine dei tempi. Da due millenni l’uomo cerca di squarciare il velo del mistero di ciò che sarà, dell’inizio che comincerà dopo la fine di tutto. Domande che si rincorrono praticamente identiche da sempre e che Papa Francesco fa riecheggiare in Piazza San Pietro, sotto il cielo lattiginoso di una giornata “bruttina”. Per cominciare, “quando avverrà questo passaggio finale?”. E poi: “Come sarà la nuova dimensione nella quale la Chiesa entrerà? Che cosa sarà allora dell’umanità? E del creato che ci circonda?”.

La risposta della Chiesa è che nessuno lo sa con certezza e chiarezza. Il Papa cita a sostegno il Vaticano II, un passaggio della “Gaudium et spes”, nel quale però si afferma che c’è una cosa che si conosce già grazie alla Rivelazione di Gesù e cioè che Dio prepara, in vista di quel giorno, “una terra nuova”, una terra di “giustizia” e di “felicità”:

“Più che di un luogo, si tratta di uno ‘stato’ dell’anima in cui le nostre attese più profonde saranno compiute in modo sovrabbondante e il nostro essere, come creature e come figli di Dio, giungerà alla piena maturazione. Saremo finalmente rivestiti della gioia, della pace e dell’amore di Dio in modo completo, senza più alcun limite, e saremo faccia a faccia con Lui! E’ bello pensare questo, pensare al Cielo… Ma, tutti noi ci troveremo ... lassù, tutti. E’ bello, dà forza all’anima”.

Nel frattempo – e questo Papa Francesco lo aveva già spiegato in una recente catechesi – tra chi ha già raggiunto il cielo e chi vive ancora sulla terra esiste uno speciale legame di comunione:

“In questa prospettiva, è bello percepire come ci sia una continuità e una comunione di fondo tra la Chiesa celeste che è nel Cielo e quella ancora in cammino sulla terra (...) Sì, perché nella prospettiva cristiana la distinzione non è più tra chi è già morto e chi non lo è ancora, ma tra chi è in Cristo e chi non lo è! Questo è l’elemento determinante, veramente decisivo per la nostra salvezza e per la nostra felicità”.

Papa Francesco si ferma poi a considerare l’aspetto “nuovo” che avrà la terra redenta. La novità, ribadisce, sta nel fatto che anche “l’universo” nella sua totalità “verrà liberato una volta per sempre da ogni traccia di male e dalla stessa morte”:

“Quella che si prospetta, come compimento di una trasformazione che in realtà è già in atto a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, è quindi una nuova creazione; non dunque un annientamento del cosmo e di tutto ciò che ci circonda, ma un portare ogni cosa alla sua pienezza di essere, di verità, di bellezza. Questo è il disegno che Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, da sempre vuole realizzare e sta realizzando”.

Al termine delle catechesi sintetizzate nelle altre lingue, Papa Francesco ha chiesto sostegno e vicinanza per la sua prossima partenza alla volta della Turchia, da venerdì a domenica prossimi. Un viaggio apostolico di forte impronta ecumenica e interreligiosa:

“Invito tutti a pregare perché questa visita di Pietro al fratello Andrea porti frutti di pace, sincero dialogo tra le religioni e concordia nella nazione turca”.

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Papa sull'aereo: coi terroristi dialogo forse impossibile, ma mai chiudere porte

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Ultimo atto della visita del Papa ieri a Strasburgo è stato il consueto colloquio con i giornalisti in aereo durante il rientro a Roma. Il volo papale è atterrato poco dopo le 16.00 all’aeroporto di Ciampino. Il servizio di Giada Aquilino

Il Vangelo indirizza la Dottrina sociale della Chiesa, come pure le parole e le riflessioni di Papa Francesco. Lo ha dichiarato lo stesso Pontefice, rispondendo alle domande dei giornalisti sul volo di ritorno da Strasburgo. Sui temi trattati al Parlamento europeo e in particolare sulla citata forza “espressiva dei popoli”, a chi gli chiede se nel suo cuore alberghi “un sentimento socialdemocratico”, sorridendo risponde:

“Non oso qualificarmi di una o di un’altra parte. Io oso dire che questo viene dal Vangelo: questo è il messaggio del Vangelo che prende la Dottrina sociale della Chiesa. Io in questo, in concreto, e in altre cose - sociali o politiche - che ho detto, non mi sono staccato dalla Dottrina sociale della Chiesa. La Dottrina sociale della Chiesa viene dal Vangelo della tradizione cristiana. Questo che ho detto - l’identità dei popoli - è un valore evangelico”.

Il Papa approfondisce poi il suo invito ad aprirsi alla verità edificando il bene comune, da affidare anche ai giovani politici:

“Ho visto nei dialoghi con i giovani politici, qui in Vaticano soprattutto, di diversi partiti e nazioni, che loro parlano con una musica diversa che è tendente alla trasversalità: è un valore! Loro non hanno paura di uscire dalla propria appartenenza, senza negarla, ma uscire per dialogare. E sono coraggiosi! E credo che questo dobbiamo imitarlo. E anche il dialogo intergenerazionale. Questo uscire per trovare persone di altre appartenenze e dialogare: l’Europa ha bisogno di questo, oggi”.

Quindi, a proposito del caso dei presunti abusi sessuali commessi da esponenti della Chiesa di Granada, recentemente denunciati da un giovane e riferiti a quando era bambino, il Papa spiega che va seguita una sola linea, quella della verità:

“Ho letto, ho chiamato la persona e ho detto: ‘Tu domani vai dal vescovo’; e ho scritto al vescovo di incominciare il lavoro, di fare l’indagine e di andare avanti. Come l’ho ricevuta? Con grande dolore, con grandissimo dolore. Ma la verità è la verità, e non dobbiamo nasconderla”.

Ancora una riflessione sulla pace “troppo spesso ferita”, come ha detto a Strasburgo. I giornalisti gli chiedono se il dialogo con il sedicente Stato Islamico sia possibile:

“Io mai do per persa una cosa: mai. Forse non si può avere un dialogo, ma mai chiudere una porta. E’ difficile, puoi dire ‘quasi impossibile’, ma la porta sempre aperta”.

Papa Francesco invita però a riflettere sulla risposta al terrorismo:

“Ogni Stato per suo conto si sente di avere il diritto di massacrare i terroristi, e con i terroristi cadono tanti che sono innocenti. E questa è una anarchia di alto livello che è molto pericolosa. Con il terrorismo si deve lottare, ma ripeto quello che ho detto nel viaggio precedente: quando si deve fermare l’aggressore ingiusto, si deve fare con il consenso internazionale”.

Oggi la pace, com’egli stesso ha detto al Consiglio d’Europa, “è violata anche dal traffico degli esseri umani”, nuova schiavitù del nostro tempo, tema più volte affrontato dal Pontefice:

“La schiavitù è una realtà inserita nel tessuto sociale di oggi, ma da tempo! Il lavoro schiavo, la tratta delle persone, il commercio dei bambini: è un dramma. Non chiudiamo gli occhi davanti a questo. La schiavitù, oggi, è una realtà; come lo sfruttamento delle persone”.

Il quinto viaggio apostolico internazionale di Papa Francesco si chiude con le domande della stampa sui prossimi impegni: ora è andato a Strasburgo, come cuore delle istituzioni europee; in futuro - chiedono i giornalisti - sarà la volta della Francia? “Il piano non è stato fatto”, dice, ma certamente “si deve andare a Parigi”, “c’è una proposta” per Lourdes e - aggiunge - ha chiesto di visitare “una città dove non sia andato mai alcun Papa”. Quindi un pensiero finale per l’Europa:

“L’Europa in questo momento mi preoccupa; è bene, per aiutare, che vada avanti. E questo come vescovo di Roma e successore di Pietro”.

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Francesco all'Europa: diritti "individualistici" contro il bene comune

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Un'Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita rischia di perdere la propria anima: è il forte messaggio che Papa Francesco ha consegnato ieri al Parlamento europeo e al Consiglio d'Europa in una storica visita a Strasburgo. Tanti i temi trattati: lavoro, ecologia, famiglia come cellula fondamentale della società, tutela della vita umana, spesso uccisa nel grembo oppure oggetto di scambio e smercio, immigrazione. Il Papa ha esortato a fare tesoro delle radici religiose del vecchio continente, denunciando il pericolo posto oggi dalla rivendicazione dei cosiddetti diritti individuali, o meglio individualistici, che attentano al bene comune dimenticando i doveri. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti a Strasburgo dalla nostra inviata Fausta Speranza: 

Il Papa ha toccato la motivazione prima e ultima della costruzione europea: il bene comune, condannando egoismi e intellettualismi, ma risvegliando un bisogno profondo di un rinnovato umanesimo, così l'eurodeputata Silvia Costa:

R. – Con un tono molto pacato e molto sereno, ma anche molto incisivo ci ha come lasciato una enciclica europea - potremmo chiamarla così – perché lui ha avuto la forza e la capacità di dirci, nel momento in cui l’Europa sembra smarrire un poco la sua identità e anche la sua direzione – come ha detto anche Schultz –, ci ha richiamato a quale sia il valore fondativo della cultura dei diritti umani europei, dicendo che è, dopo la guerra, dopo la lacerazione dei conflitti, l'affermazione della dignità della persona umana, che quindi non è strumento, che quindi non è solo lavoratore o cittadino, ma è persona. Intorno a questo ha costruito un ragionamento straordinario, ma ha anche  aperto una prospettiva bellissima, di fiducia, di speranza. Ci ha detto 'non abbiate paura' e ha detto due cose fondamentali, che i diritti umani, che sono il fondamento della Carta dei Diritti e della Costituzione europea, devono però evitare alcune forme, chiamiamole di “assolutismo”, per cui il diritto diventa un diritto individualista, solitario, l’uomo diventa assoluto e, a quel punto, da un lato non riconosce più il bene e il male e dall’altro per la persona che non serve c’è la cultura dello scarto e viene lasciata ai margini. Questa è una bellissima metafora del rischio che corriamo oggi, perché - ha ricordato - la natura umana è relazionale, non è solo solipsista. E questo è necessario per costruire quella base dell’Europa, che è l’Europa della solidarietà, della sussidiarietà e della costruzione insieme, con tutte le culture che possono dare un contributo al bene comune, alla pace e alla democrazia. Anzi, è bellissimo il suo intervento su una democrazia – molto profondo – che rischia di essere omologata e non più rappresentativa, perché altri poteri, per esempio finanziari, che sono senza volto, rischiano di prendere il posto dei poteri democratici. Questa, quindi, è una richiesta a noi, che qui dobbiamo rappresentare invece la democrazia, di fare meglio il nostro mestiere e di riportare l’Europa vicino alla sensibilità, al sentire e alle esigenze del popolo europeo.   

Il Papa, rivolgendosi agli eurodeputati ha parlato a 500 milioni di cittadini che loro rappresentano, parlando all'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha mandato il suo messaggio a 800 milioni di cittadini che questo organismo paneuropeo rappresenta. Lo ricorda PierVirgilio Dastoli, presidente del Movimento federativo europeo, sottolineando i motivi di fiducia sollevati da Papa Francesco e alcune precise implicazioni politiche:

R. - Ha detto che l’Europa non deve avere paura. Però nel suo discorso ci sono tre o quattro punti molto importanti: il primo è la tematica della democrazia, che non è la democrazia degli Stati, ma quella dei popoli. Il secondo: ha detto una frase - a mio avviso - molto significativa che dovrebbe essere ascoltata attentamente da tutti i deputati quando ha detto: 'Quando si aumentano i poteri, aumenta anche la responsabilità'. Io spero che questo tema sia stato ascoltato dai deputati con molta attenzione. Il terzo punto, ma questo è il suo leitmotiv, è quello della vita umana e della persona, a sua volta collegato ad una serie di temi come il lavoro, l’immigrazione, la solidarietà, … In questo modo si declina tutto. Poi fra l’altro, ha aggiunto questo elemento che nel Trattato europeo manca, così come manca nella Carta. Mi ricordo quando discutemmo della Carta dei diritti: non basta parlare di diritti ma bisogna parlare anche di doveri. L’Unione Europea dovrebbe cominciare a pensare e ad elaborare una carta dei doveri. L’ultimo punto è quello dell’ambiente; ha detto che noi non siamo proprietari della natura, non dobbiamo dominarla ma essere in grado non soltanto di proteggerla, ma di utilizzarla al meglio.

Massimo Palumbo è un funzionario del Parlamento Europeo autore del libro intitolato "Dipinta di blu", in cui ha voluto ragionare sullo spessore etico, politico, culturale dell'Europa. Sottolinea il richiamo del Papa ai valori fondanti dell'Europa:

R. – E’ importante riscoprire questi valori fondanti che sono i valori dei padri fondatori, che il Santo Padre ha ricordato, e che poi sono le radici politiche dell’Europa nata dopo la II Guerra Mondiale, che devono garantire all’Europa da un lato la pace e dall’altro il benessere, non inteso solo in senso materiale. Quindi il discorso del Papa sul ritrovare il coraggio e la forza di puntare su una maggiore attenzione ai valori anche dell’identità, è un elemento importante anche per uscire fuori dalla crisi economica, perché è un problema di fiducia e la fiducia si crea anche sugli aspetti immateriali, sugli aspetti ideali. E’ stato un grande discorso, nel quale mi pare che questi due elementi - l’elemento ideale e l’elemento di concretezza – possano in qualche modo configurarsi nella parola dignità. Non una dignità monade – come ha detto il Papa – cioè individualistica, ma sempre in una prospettiva di bene comune, di cooperazione, per cercare di risolvere i problemi e dare risposte alla gente.

D. – In definitiva, una sferzata che può risvegliare da tanto torpore?

R. – Assolutamente si! E’ sempre utile che una persona con questo prestigio, con questo carisma, come è il Santo Padre, possa indirizzarsi ai deputati europei e svegliare l’Europa da questo suo torpore e portarla verso una maggiore vicinanza alla gente: questo poi porterà – a sua volta – ad una propulsione dal basso per il progetto europeo.

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Card. Marx: il Papa ha incoraggiato l'Europa a riscoprire la sua forza spirituale

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Era presente a Strasburgo anche il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga nonché presidente della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea. La nostra inviata Gudrun Sailer ha chiesto al porporato su cosa Papa Francesco abbia impegnato l’Unione Europea con i suoi discorsi:

R. – Eingeschworen ist vielleicht ein etwas zu starkes Wort  …
“Impegnare” forse è una parola troppo forte, perché lui si è posto come uno che ha voluto incoraggiare, come una persona che accompagna lungo la strada, uno che chiama le difficoltà con il loro nome - penso a quei punti in cui il Papa sollecita l’Europa a darsi da fare per quanto riguarda i poveri, i disoccupati, gli immigrati, i rifugiati, le famiglie, la tutela della vita … ha indicato tanti argomenti – mentre però il tutto, in realtà, entrava in una cornice di grande incoraggiamento: “Europa, pensa alla tua storia! Europa – per favore – dai il tuo contributo per la costruzione di un mondo migliore! La tua storia è un punto di riferimento prezioso per l’umanità intera”. Se dovessi dirlo con parole mie, ha pungolato l’Europa sul suo punto d’onore. Ecco, in questo senso poi ha impegnato l’Europa: le ha richiamato la sua grande storia, la sua forza spirituale, le sue capacità intellettuali, la sua grande storia non intesa come “museo” ma come “presente” … Con una lieve ironia, infatti, ha detto: “L’Europa non deve essere una nonna che guarda indietro, ma con forza giovane, con nuova fantasia, deve dare un esempio a tutto il mondo e per questo essere di incoraggiamento”.  Mi è piaciuto molto il modo in cui ha espresso critiche – naturalmente, un Papa, un vescovo è chiamato anche a fare questo – senza però impacchettare il tutto in una visuale negativa, in una visuale di pessimismo culturale, nonostante tutte le critiche che ha mosso. Ha piuttosto rivolto un appello a credere nel futuro e ad incamminarsi su questa via. E’ stato piuttosto forte …

D. – Lei pensa che questo modo di esprimere critiche e contemporaneamente dare suggerimenti cristiani possa essere accettato dall’Europa più facilmente da qualcuno che viene da molto lontano?

R. – Das sollte eigentlich die Art und Weise sein, wie wir überhaupt als Kirche Kritik üben …
In realtà, proprio questo è il modo in cui la Chiesa dovrebbe esprimere le sue critiche: mettendo insieme sempre tutti e due gli aspetti. Mai esprimere una critica ad una persona senza esprimere, allo stesso tempo, anche un incoraggiamento. Così dovrebbe essere. Ma forse è proprio così: alcuni, qualche tempo fa, pensavano che il Papa non sarebbe stato capace di comprendere appieno l’Europa; che avrebbe tirato fuori l’Europa dal suo eurocentrismo e avrebbe avuto uno sguardo tutto diverso sul mondo: e questo lo fa. Però, è vero anche che abbiamo imparato a conoscere un Papa che guarda all’Europa con grande affetto ma anche con grandi aspettative, che non è indifferente riguardo all’Europa, ma che ha spostato fortemente il compito specifico dell’Europa, che per l’appunto non è soltanto di carattere economico ma di carattere spirituale. E questo, mi sembra che l’abbia fatto in maniera splendida.

D. – Durante la conversazione con i giornalisti sul volo di ritorno, il Papa si è un po’ meravigliato del fatto che alcuni lo considerino un “socialdemocratico”. Lei è studioso di etica sociale, e quindi sicuramente può valutare meglio quali siano gli orizzonti ai quali punta Papa Francesco, quando fa determinate affermazioni. Quali sono gli aspetti sociali che in Europa gli stanno particolarmente a cuore?

R. – Der Papst ist ja kein Parteipolitiker. Das habe ich ja selbst al Sozialethiker erlebt: Wenn man ...
Il Papa non è uomo di partito. Come studioso di etica sociale, ho fatto personalmente questa esperienza: quando cito alcune specifiche encicliche, alcuni ascoltatori pensano – e lo facevano già in anni passati – “ma questo è comunismo”. Esistono queste cose, questi malintesi … Il Papa e la Dottrina sociale della Chiesa non hanno niente a che fare con la politica di partito. Essa ha principi molto chiari che a volte piacciono più a una parte e altre volte più all’altra. Lo ha visto anche lei: nel Parlamento, una volta applaudiva un lato e un’altra volta l’altro … La Chiesa è indipendente: e il Papa l’ha ricordato. Ma nella sua indipendenza essa non rimane indifferente riguardo alle posizioni: ha le sue posizioni. Ma queste non si possono infilare semplicemente nei cassetti in modo che ciascuno possa trarne i suoi vantaggi di partito; anche le altre posizioni devono essere ascoltate. E allora può succedere che all’uno non piaccia quello che il Papa ha detto a proposito della tutela della vita mentre altri non amano ascoltare le critiche alla politica economica … Il Papa ha parlato liberamente, ha ricordato la Dottrina sociale della Chiesa. Noi diciamo quello che consideriamo essere “giustizia sociale”, in quanto frutto delle nostre riflessioni, anche per l’Europa, e sono i partiti che devono decidere se sono d’accordo o meno e quindi decidere l’entità della loro prossimità a questi valori.

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Strasburgo. Schulz: dal Papa messaggio di stima per l'Europa

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L'Unione Europea e la Chiesa hanno "sfide comuni" e condividono "valori come la tolleranza, il rispetto, l'uguaglianza, la solidarietà e la pace". Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, nel discorso di benvenuto al Papa alla plenaria di ieri. Hélène Destombes l'ha intervistato: 

R. – Je suis depuis très longtemps membre du Parlement Européen: c’est rare...
Sono membro del Parlamento europeo da molto tempo: raramente ho visto applaudire l’emiciclo in assemblea plenaria. Al di là delle diverse affiliazioni politiche, credo che il Papa abbia toccato il cuore dei deputati. Quando ha fatto l’esempio della nonna, parlando di un’Europa stanca: ha ragione, ha completamente ragione. L’idea dell’Europa, questa idea che ci siano delle nazioni che lavorino insieme al di là delle frontiere, che creino delle istituzioni per rafforzarsi vicendevolmente come anche per controllarsi vicendevolmente… Ci sono sempre più persone che non credono più che le istituzioni stesse rappresentino ancora “l’idea” e questo è contraddittorio e il Papa l’ha chiarito oggi (ieri - ndr). Le istituzioni sono stanche, ma anche l’idea è stanca? No, l’idea è viva. Abbiamo bisogno dell’idea, ma è necessario riformare le nostre istituzioni per restituire credibilità all’idea. Credo che l’ampia maggioranza dei deputati, oggi, pensino la stessa cosa.

D. – Per lottare contro questa Europa che invecchia, il Papa ha suggerito di farla riposare sulle radici cristiane dell’Europa e – come lo avevano chiesto i Padri fondatori – di porre al suo centro la persona umana e la sua dignità, una dignità trascendente. Sono parole che voi non siete abituati a sentire nell'emiciclo del Parlamento…

R. – Peut-être pas dans l’hémicycle du Parlement, mais certainement dans…
Forse non nell’emiciclo del Parlamento, ma sicuramente nei dibattiti pubblici in Europa. Nei suoi discorsi, il Papa non ha parlato soltanto delle radici cristiane: ha parlato anche di una tradizione dell’umanesimo nell’Europa. Questo significa che anche coloro che non sono cattolici né cristiani, che non sono credenti, pure si ritrovano nelle sue parole. Il messaggio è stato il messaggio dell’idea spirituale dei cattolici, ma con messaggi anche universali. Infine, il Papa – con una certa diplomazia – ha toccato il nostro maggiore problema. Ha parlato della solitudine dei vecchi e di quella dei giovani, cioè di coloro che hanno la percezione del fatto che si sia rinunciato a occuparsi di loro. La grande differenza sta nel fatto che se questo lo dice un politico, beh, diventa un discorso politico della destra o della sinistra. Se questa stessa cosa la dice un leader spirituale, questo tocca direttamente i giovani e dimostra che, al di là delle questioni della destra o della sinistra, esiste una base che è cristiana ma anche umanistica che non si deve mettere in discussione se non si vuole rischiare che la società si disintegri.

D. – Sono passati 26 anni da quando Giovanni Paolo II a sua volta visitò le istituzioni europee. Il Papa aveva molto insistito sulla necessità dell’Europa di respirare con i suoi due polmoni: era stato un po’ il suo messaggio principale. Come ha recepito lei il messaggio principale di Papa Francesco?

R. – Le Pape a un message très clair: on a besoin de l’Europe. L’Europe a…
Il messaggio del Papa è molto chiaro: abbiamo bisogno dell’Europa. L’Europa ha bisogno di un’anima, ma il mondo ha bisogno dell’Europa. La vostra idea del rispetto, della dignità, per esempio nel mondo del lavoro, riguardo alle eguali opportunità per tutti, della difesa dei valori della democrazia che è minacciata. Come essere liberi sotto una dittatura: questo è a grandi linea quello che ha detto. Ed è il messaggio di chi ha fatto nella sua stessa vita esperienza di povertà, nell’arcidiocesi di Buenos Aires, di una povertà che noi europei non conosciamo assolutamente. Essere nati poveri, vivere poveri e morire poveri e lasciare ai propri figli quella stessa povertà che si è ereditata dai propri genitori: la disperazione eterna che si eredita e che si lascia ai figli… Voi, questo, non lo conoscete. Questo significa che il mondo ha bisogno della vostra Europa perché voi, qui, questo problema l’avete risolto. Quindi, dignità e rispetto come fondamento dell’Europa: questo è ciò di cui il mondo ha bisogno. E’ l’incoraggiamento a conservare l’idea dell’Europa, ma di rimetterla in piedi. Quindi, ha ragione quando dice che coloro che vogliono salvare l’idea europea, che è un dono non soltanto per noi, che potrebbe essere un vantaggio dell’Europa nel suo ruolo sullo scacchiere del mondo, coloro che vogliono salvare tutto questo devono riformare le istituzioni europee. E questo è quello che da molto tempo mi impegno a realizzare.

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Nomina episcopale in Rwanda

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In Rwanda, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Gikongoro, padre Célestin Hakizimana, del clero di Kigali, segretario generale della Conferenza Episcopale di Rwanda. Il nuovo presule è nato il 14 agosto 1963, nella parrocchia della Sacra Famiglia dell’Arcidiocesi di Kigali. Ha frequentato le scuole secondarie nel Seminario Minore St Vincent di Rulindo (1977-1983) e poi in quello di Ndera (1983-1984). Nel 1985 è entrato nel Seminario Propedeutico di Rulindo e ha completato gli studi di Filosofia e di Teologia presso il Seminario Maggiore Interdiocesano di Nyakibanda, a Butare. È stato ordinato sacerdote  il 21 luglio 1991. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: (1991-1992)        Vicario parrocchiale a Rutongo; (1992-1994) Rappresentante diocesano per l’educazione cattolica; (1994-1996) Direttore del Centro nazionale San Paolo di Kigali; (1997-1998)        Rappresentante diocesano per l’Educazione Cattolica; (1998-2003)          Direttore di GEMECA-Rwanda; (2003-2010) Studi superiori di Teologia a Napoli, dove ha conseguito un Dottorato in Teologia Dogmatica presso la Facoltà di San Tommaso; dal 2011: Segretario Generale della Conferenza Episcopale del Rwanda.

La Diocesi di Gikongoro (1992), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Butare. Ha una superficie di 2.057 kmq e una popolazione di 582.159 di abitanti, di cui 248.471 sono cattolici. Ci sono 13 parrocchie. Vi sono 38 sacerdoti, di cui 32 Diocesani e 6 Religiosi. A loro si aggiungono 2 sacerdoti residenti in altre Diocesi del Paese e 11 attualmente  all’estero. Le Religiose sono 70, invece i seminaristi sono 26. La Diocesi di Gikongoro, è vacante dal 2012, a seguito della morte di S.E. Mons. Augustin Misago, che l’ha governata per 20 anni (1992-2012).

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Il Papa ha indetto una conferenza su Haiti a 5 anni dal sisma

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Il presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, card. Robert Sarah, è da oggi al 29 novembre in visita ad Haiti, a 5 anni dal terremoto che devastò l’isola causando circa 230mila morti. Ad annunciarlo è la Sala stampa della Santa Sede, specificando che il “principale scopo del viaggio” è “portare un segno di concreta vicinanza spirituale alle popolazioni che stanno ancora affrontando la fase della ricostruzione”, nonché inaugurare la scuola “Notre Dame des Anges” a Léogane, costruita grazie al lavoro della Chiesa locale e al coordinamento della nunziatura apostolica.

Oggi pomeriggio il card. Sarah incontrerà i rappresentanti di Caritas Haiti, mons. Erick Touissant (presidente) e padre Hervé François (direttore), e delle altre Caritas presenti nell’isola, e successivamente sarà a colloquio con le realtà umanitarie cattoliche ivi operanti. Domani, in particolare, il cardinale parteciperà alla inaugurazione della scuola “Notre Dame des Anges” a Léogane, gestita dalla Compagnia di Gesù, realizzata con i fondi inviati nei cinque anni successivi al terremoto direttamente al Santo Padre.

Sempre domani si terrà anche l’incontro con le autorità locali, in particolare con il Presidente della Repubblica di Haiti. Il 28 novembre il card. Sarah incontrerà la Conferenza episcopale haitiana e i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici.

In relazione alla visita ad Haiti del card, Sarah, il Pontificio Consiglio "Cor Unum" ha annunciato che Papa Francesco ha indetto una Conferenza su Haiti che si terrà in Vaticano il 10 febbraio del prossimo anno. (R.P.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, "Aggrappati alla fede"; durante l'udienza generale dedicata alla comunione tra la Chiesa celeste e quella in cammino sulla terra il Papa incita i cristiani in Medio oriente a essere forti e invita a pregare per il viaggio in Turchia.

Di spalla, Annunciata una Giornata internazionale sulla tratta dei bambini; sono minori un terzo delle vittime dei trafficanti.

Sotto, Ancora una strage in un mercato nigeriano: due attentatrici suicide si fanno esplodere a Maiduguri uccidendo sessanta persone.

Nelle pagine della cultura, un articolo del cardinale Attilio Nicora su Paolo VI: In alto per vedere l’Europa unita. Di spalla, Giusto equilibrio; la delicata gestione delle priorità nel trattare i pazienti di Carlo Petrini.

A pagina 5, Un palloncino in cielo; l’artista Carmela Boccasile spiega il logo dell’Anno della vita consacrata e "Il principe dei sogni", Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino che saranno esposti al Quirinale, di Louis Godart.

A pagina 7, "L’Europa ha bisogno di dialogare", l'incontro con i giornalisti a bordo dell’aereo al rientro da Strasburgo, mentre nella pagina seguente "Ecco la meta"; «La Chiesa non è una realtà statica, ferma, fine a se stessa, ma è continuamente in cammino nella storia, verso la meta ultima e meravigliosa che è il Regno dei cieli»: all’udienza generale di mercoledì 26 novembre Papa Francesco ha concluso le sue riflessioni sulla natura della Chiesa ricordando ai fedeli presenti in piazza San Pietro che l’elemento «veramente decisivo per la nostra salvezza e per la nostra felicità» è la distinzione non più «tra chi è già morto e chi non lo è ancora, ma tra chi è in Cristo e chi non lo è»

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Oggi in Primo Piano



Is, dialogo e la porta aperta: una lettura delle parole del Papa

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Ancora vasta l’eco delle parole pronunciate ieri dal Papa a Strasburgo nel corso della visita al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa. Forte e incisivo l’accenno alle ingiustizie e persecuzioni che giornalmente in varie parti del mondo colpiscono le minoranze religiose, in particolare quella cristiana, e che avvengono sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti. Una situazione di fronte alla quale – ha aggiunto Papa Francesco nella conferenza stampa nel volo di ritorno – non si può comunque escludere un dialogo, che, allo stato dei fatti, sembra impossibile. Per un commento alle parole del Santo  Padre, Giancarlo La Vella ha intervistato Pasquale Ferrara, diplomatico, segretario generale dell’Istituto Europeo a Fiesole: 

R. – Il punto che ha sottolineato il Papa riguardo la protezione delle minoranze si inquadra nel suo discorso più vasto della tutela della libertà religiosa e, più in generale, del pluralismo che è anche un tema politico oltre che  religioso. Credo che questo sia un tema che la comunità internazionale debba fare proprio: la tutela della diversità degli orientamenti religiosi e culturali, ma nel contesto di un assetto politico che sia più rispettoso del pluralismo. Credo che questo sia un tema che riguarda certamente il mondo arabo, islamico, ma riguarda in buona parte anche il nostro Occidente e anche l’Europa.

D. – Il silenzio colpevole e vergognoso dei tanti – per citare Papa Francesco – è dovuto all’impossibilità o all’incapacità di agire in questo momento?

R. – Sicuramente, il silenzio è una forma di complicità. Credo che il Papa abbia alzato la voce in tutte le circostante in cui la libertà religiosa viene violata. È un tema complessivo che riguarda l’apprezzamento delle religioni come una componente fondamentale delle società e non come qualche cosa di cui si possa disporre a piacimento per ragioni legate a situazioni conflittuali o per le convenienze del momento.

D. – Di fronte a questa situazione, l’esigenza di un dialogo, sottolinea il Papa, che ora può sembrare forse impossibile con chi mostra una crudeltà senza precedenti…

R. – Diciamo che, più che dialogo, credo che nelle situazioni conflittuali, anche con degli attori non statali che usano la violenza con pretesti religiosi come nel caso dell’Isis, sia un tema da mettere sul tappeto. Non è tanto il dialogare, quanto cercare di risolvere un problema. Se si parla di dialogo, significa in qualche modo riconoscere la legittimità a tali interlocutori. Non credo che sia questo il senso generale delle parole del Papa. Quello che mi sembra di capire è che, laddove ci sia la possibilità di risolvere un conflitto e di evitare il ricorso alla violenza, questa strada vada esplorata. Quello che la politica deve fare è arrivare a creare le condizioni minime – sotto forma di un cessate-il-fuoco o sotto forma di tregua – che possa consentire un minimo di conversazione se non proprio nel senso del dialogo, o quanto meno parlarsi per vedere se ci sono dei margini per poter mettere fine agli errori a cui stiamo assistendo.

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Ue: Juncker, piano per 315 miliardi. Fondi governi fuori dal Patto

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Un piano per “stimolare” gli investimenti, che in Europa sono “370 miliardi sotto il livello pre-crisi”. Così il neopresidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha presentato, alla plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo, un programma fondato su 21 miliardi di capitale pubblico, che dovrebbero a loro volta mobilitare complessivamente 315 miliardi di investimenti e rimettere - nelle parole di Juncker - “l’Europa al lavoro”. In quale modo? Giada Aquilino ha rivolto la domanda all’economista Francesco Carlà, presidente di "Finanza World", sito di informazione finanziaria: 

R. - Con un effetto leva piuttosto complicato, che prevede l’intervento degli Stati membri e poi a cascata dei privati. Ci sono molte incognite sull’effettività della realizzazione di questi piani, perché i soldi veri sono appunto solo di 21 miliardi: 16 dal bilancio della Commissione e 5 dai fondi della Bei, la Banca europea per gli investimenti. Non sono certamente molti a livello europeo.

D. - I Paesi membri hanno quindi fondi da mettere in moto? Juncker ha detto che i contributi degli Stati non verranno conteggiati nei parametri fissati dal Patto di stabilità…

R. - Naturalmente alcuni Stati membri ne hanno di più, altri ne hanno di meno. È la solita situazione, la solita "non simmetria" della condizione dei Paesi membri sia dell’Euro, sia della Ue.

D. - Gli investimenti in Europa, ha stimato Juncker, sono 370 miliardi sotto il livello pre-crisi. Perché tanta differenza?

R. - Perché i privati hanno smesso di investire e perché gli Stati non sono in grado di investire: hanno troppo debito, troppo deficit. I privati non vogliono investire né a livello di consumatori, né a livello di imprese a causa delle condizioni politico- finanziarie degli ultimi quattro anni in Europa.

D. - L’Italia con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha commentato che il piano di Juncker è un “primo passo” verso la capacità di tornare a produrre crescita ed occupazione. Su questi due punti cosa produrrà tale progetto?

R. - Bisognerà vedere come funziona operativamente la creazione di questi progetti. Da quello che si legge, verranno affidati ad esperti non meglio identificati. C’è il rischio che andranno a finire nelle burocrazie europee dei singoli Stati membri, quelle stesse burocrazie che in molti casi, in Italia in particolare, hanno significato perdere molte occasioni, com’è successo con i fondi europei tornati a Bruxelles. Non vorrei dare l’impressione di essere troppo negativo, però il fatto che si tratta solo di 21 miliardi di soldi veri a livello europeo, quindi da dividere tra Stati membri dell’Ue, non rassicura particolarmente. Gli "eurobond" di cui si era tanto parlato negli anni sono decisamente un’altra cosa.

D. - A riprova, la Germania chiede di specificare e identificare i progetti "ad hoc" di questo piano…

R. - La Germania, che è una delle ispiratrici fondamentali di questo piano, da una parte ha capito che non può tirare troppo la corda, per via della deflazione, della crisi di domanda che arriva da tanti Paesi come l’Italia e che si ripercuote anche sulla Germania. Dall’altra, ha delle condizioni politiche interne per cui non può più di tanto allentare sui "dogmi" di questi anni provenienti dal nord Europa. Credo che quindi alla fine dovremmo vedere come si svilupperà il Piano dal punto di vista operativo.

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Hong Kong ancora tensioni: manette ai due leader della protesta

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Un’altra notte di tensioni ad Hong Kong. La polizia ha sgomberato buona parte del grande accampamento di Mong Kok, occupato dai manifestanti che continuano dal 28 settembre scorso a chiedere le dimissioni del capo del governo, CY Leung, e il suffragio universale per le elezioni del 2017. Arrestate almeno 116 persone. A finire in manette anche i due leader di "Occupy Central", Lester Shum e il 18.enne Joshua Wong. Immediata la reazione dei gruppi studenteschi, ma gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per disperdere la folla. Ma a che punto è questa protesta? Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Romeo Orlandi, presidente dell’Osservatorio Asia: 

R. – Sembra avviata a conclusione, salvo spettacolari novità, questa protesta nobile, genuina, forse anche eroica, degli studenti di Hong Kong che interpretando il sentimento di una parte della popolazione tendevano a diversificarsi dall’approccio della Cina continentale. Il fatto che siano intervenuti gli agenti con i lacrimogeni e con gli spray al pepe significa che la progressiva caduta di responsabilità è arrivata ormai all’ordine pubblico, per cui non è più un problema politico. Il primo scarico di responsabilità è stato però da Pechino ad Hong Kong: Pechino non vuole che questo diventi un fatto internazionale, lo relega ad un fatto locale e probabilmente l’amministrazione di Hong Kong è la vera sconfitta politica della situazione.

 

D. – Il governo non sembra disposto a modificare la legge elettorale, né a concedere il suffragio universale per le elezioni del 2017…

R. – Sembra proprio di sì. Sembra che il governo non sia disposto a delegare, anche perché probabilmente non ha avuto una delega a monte da parte di Pechino, che continua a sostenere che il governatore di un territorio della Cina debba essere nominato dalla Cina, così come quando il territorio era britannico e il governatore veniva nominato ovviamente dal governo britannico. Queste elezioni del 2017, come vuole farle Pechino, sembrano una farsa, nel senso che è già deciso chi debba vincere. Insomma, il governo già decide scegliendo ovviamente i candidati che siano a proprio favore.

D. – Cosa vorrebbe dire per Hong Kong continuare questa protesta?

R. – Hong Kong potrebbe perdere, se continua questa protesta e questa occupazione, la sua diversità di centro di business internazionale che ancora la Cina non è in grado di sostituire. Hong Kong è una piazza insostituibile per la finanza, per gli investimenti, per i flussi di capitali, di persone, di merci. Ha un porto straordinario, una linea aerea che funziona, una borse rigorosa, gli investimenti – soprattutto della Cina continentale – sono a Hong Kong. È evidente che se c’è del disordine, diventa una piazza meno redditizia. Dunque, c’è la volontà di far tornare le cose come prima. Pechino non vuole esempi di autonomia, non vuole perdere il controllo e pensa che qualsiasi cedimento venga interpretato come una prova di debolezza.

D. – L’occupazione di intere aree pubbliche, le barricate nelle zone principali… Diciamo che questa è stata la modalità di protesta messa in atto dai manifestanti, da questi studenti che si sono fatti portatori del vento della democrazia. Una protesta, lei dice, che sta scemando ma che di fatto divide ancora, spacca profondamente la società civile. C’è una parte che la ritiene totalmente inutile…

R. – Una parte la ritiene totalmente inutile, e probabilmente è la parte maggioritaria. Una parte la ritiene anche dannosa, ma è una parte che ragiona più con il portafogli che con la mente, per lo più i lavoratori. Effettivamente, alcune critiche possono essere mosse perché i risultati raggiunti sono stati pochi. Bisogna anche considerare che però era una situazione disperata. Gli studenti ventenni non hanno altri argomenti per attirare l’attenzione pubblica, se non l’impegno e il sacrificio.

D. – Secondo lei, dal punto di vista internazionale, parlo delle grandi potenze, c’era bisogno di un’attenzione maggiore? Si poteva far qualcosa di più…

R. – Ormai, prevale il realismo nelle grandi potenze. Nessuno ha voglia di inimicarsi la Cina per alcuni studenti che protestano a Hong Kong. Penso che nelle cancellerie internazionali sia prevalsa questa idea. Nessuno era pronto a morire o a mettere sanzioni per alcuni studenti di Hong Kong.

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Corso Miur. Forum Famiglie: genitori vigilino su chi indottrina figli

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Sta facendo discutere il corso di formazione “per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, promosso dall’Unar, l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, e dal Ministero dell’Istruzione, che si tiene oggi e domani a Roma. Il servizio di Debora Donnini

Un corso rivolto ai direttori generali del Ministero dell’Istruzione e ai direttori generali e dirigenti di seconda fascia degli uffici scolastici regionali. Ne avevano chiesto il rinvio i senatori Giovanardi e Sacconi secondo i quali il corso “è egemonizzato dalle associazioni LGBT” che tramite l’Unar ripropongono il tentativo “di trattare questo tema delicato con una visione unilaterale”. A volerne la sospensione, il Forum delle Associazioni familiari. Sentiamo il perché dallo stesso  presidente, Francesco Belletti:

R. - La nostra è una richiesta che si rinnova anche dopo un anno e mezzo. Un’esperienza analoga era accaduta proprio perché questo tipo di riflessione su temi che sono oggettivamente importanti – la prevenzione delle discriminazioni, del bullismo – vengono orientate in modo unilaterale da parte di singoli, associazioni, soprattutto dalla galassia dei movimenti LGBT, che hanno avuto la possibilità di influenzare pesantemente questo tipo di interventi. Il tutto sempre nella totale mancanza di collegamento con tutti gli organismi di rappresentanza dei genitori nella scuola, come se da questa progettazione - che poi va a lavorare sul tema dell’educazione all’affettività e che ha a che fare con temi molto importanti per la complessiva educazione dei figli - potesse essere costruita senza o contro le famiglie. È come se fosse passata la posizione di uno dei tanti soggetti, di una delle tante voci che si affacciano al mondo della scuola. È come se si dicesse: 'Vogliamo passare attraverso il ruolo pubblico della scuola, per dire noi alle famiglie e ai ragazzi ciò che è importante’.

D. - La settimana in corso, che va dal 24 al 30 novembre, è stata proclamata come la “Settimana nazionale contro la violenza e la discriminazione”. Più in generale, molti genitori vogliono essere maggiormente informati e si stanno mobilitando con un modulo per il consenso informato  da inviare ai presidi delle scuole. Nel modulo si cita l’articolo 30 della Costituzione e il 26 comma 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e si chiede, quindi, che la scuola notifichi con congruo anticipo la programmazione di ogni lezione, “riguardante questioni fisiche e morali connesse con  la  sfera affettiva e sessuale” degli allievi. Questo per poter valutare se dare o meno il loro consenso alla partecipazione del figlio a tale attività. Si chiede, inoltre, che nella  notifica  sia descritto  in  modo  completo il  contenuto  dell’attività  didattica in questione e ogni informazione necessaria a identificare gli enti coinvolti nell’organizzazione dell’attività in questione. E infine che in mancanza di tale notifica o in mancanza del consenso scritto, il figlio sia esonerato dal parteciparvi. Qual è il significato di questo modulo?

R. - A me pare che sia il minimo sindacale, come dire, per quello che riguarda le modalità con cui i genitori devono essere coinvolti. Il paradosso è che i genitori sono costretti a questa iniziativa e che ci si sorprenda che i genitori vogliano sapere che cosa viene proposto ai propri figli in termini di percorsi integrativi. E’ chiaro che il programma ministeriale non ha bisogno di autorizzazioni continue da parte dei genitori: si sa dove si mette il proprio figlio nella scuola. Il vero problema è che oggi stanno entrando offerte formative che non hanno niente a che fare con l’alleanza educativa tra famiglia e scuola. Quindi la sorpresa è che ci si sorprenda che i genitori chiedano alla scuola di sapere che cosa viene insegnato ai loro figli, e che possano dire: “questo ci interessa”; “questo non lo condividiamo”; “discutiamo insieme”. In teoria, questo spazio di partecipazione dei genitori è una delle principali aspettative della buona scuola, di ogni progetto di riforma. Di fatto, tutte le volte che i genitori chiedono di essere coinvolti nella progettazione educativa, vengono allontanati. Questa non è sussidiarietà e non è alleanza educativa e quindi non dobbiamo domandarci se questo è uno strumento troppo forte; dobbiamo domandarci perché i genitori sono costretti a farsi sentire con questa modalità e non sono regolarmente informati di quello che avviene nella scuola.

D. – Dai contatti che voi avete con i genitori, percepite che c’è paura che ai loro figli venga in qualche modo insegnato, nella sfera sessuale, qualcosa su cui loro non sono d’accordo?

R. – I genitori sono certamente preoccupati. Dalle poche informazioni che si raccolgono nelle esperienze che si sviluppano nella scuola, si parla proprio di “cambiare la testa delle persone”. Il problema è che questi percorsi di istruzione e di educazione sono percorsi di indottrinamento, sono percorsi in cui si dice: dobbiamo cambiare la testa dei ragazzi rispetto all’atteggiamento nei confronti della sessualità, dell’orientamento sessuale e di tutta questa sfera.

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Banco Farmaceutico: +3,8% di povertà sanitaria in Italia

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Nel 2014, la povertà sanitaria in Italia è aumentata del 3,8%. È quanto emerge dal rapporto “Donare per curare”, presentato questa mattina dal Banco Farmaceutico e curato dall’Osservatorio Donazione Farmaci. Il servizio è di Elvira Ragosta

Con l’aumento della povertà assoluta, che dal 2007 al 2013 è cresciuta fino ad interessare il 9,9% degli italiani, da quest’anno è aumentata anche la fascia di popolazione che non è più in grado di acquistare medicinali, neppure con la ricetta medica. Dalla ricerca, condotta dall’Osservatorio Donazione Farmaci, emerge che le famiglie povere spendono in media poco meno di 16 euro al mese per la sanità, mentre 88 euro è la quota destinata alle cure mediche dalle famiglie medie. E le richieste di farmaci al Banco Farmaceutico e agli oltre 1.500 enti caritatevoli con esso convenzionati sono aumentate dello 0,7% rispetto allo scorso anno, interessando 410 mila persone. Marco Malinverno, direttore del Banco Farmaceutico:

“Noi cerchiamo di fornire il maggior numero di farmaci e le aziende stanno iniziando a donare. E’ però una strada tutta in salita. Abbiamo difficoltà di carattere normativo, di carattere istituzionale, procedurale, regolamentario. Abbiamo problematiche di carattere logistico, ci sono costi sempre crescenti. Ci stiamo, cioè, occupando di aiutare gli enti a dare una risposta a un bisogno che c’è, perché la povertà – è inutile dirlo – non è un dato statistico, ma un fatto reale. Quindi, questo rapporto dà una consistenza in termini sia sociologici, ma in termini anche epidemiologici, su che tipi di malattie e quali siano le problematiche che noi vediamo e che emergono in questi enti assistenziali”.

Incrociando i dati relativi alle richieste nelle diverse regioni italiane, nel Nord Italia la richiesta di farmaci per l’apparato respiratorio, al Centro quella di farmaci vascolari, mentre al Sud sono maggiormente richiesti preparati antiinfiammatori. Ma quali sono le incidenze della povertà sanitaria sulle patologie? Silvano Cella, docente di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano:

“Noi abbiamo studiato un campione di circa 116 mila pazienti assistiti dal Banco Farmaceutico e abbiamo analizzato il bisogno di salute, che è sconosciuto in questa popolazione fragile e disagiata, mediante l’analisi del consumo di farmaci. Abbiamo ottenuto dati molto interessanti, che differenziano la popolazione povera assistita dal Banco Farmaceutico rispetto a quella nazionale. Infatti, in questa popolazione prevalgono largamente le malattie respiratorie e dell’apparato gastrointerico, rispetto invece alla popolazione generale italiana, in cui invece c’è una prevalenza delle malattie cardiovascolari. Ed esiste un’ampia letteratura scientifica indicante che le malattie del sistema respiratorio gastrointerico sono quelle che incidono maggiormente nella popolazione disagiata”.

Quello della povertà sanitaria è un problema che coinvolge anche categorie già svantaggiate, come ha ricordato il presidente dell’Unitalsi, Salvatore Pagliuca:

“C’è un dato particolare che noi possiamo riscontrare come Unitalsi, per i rapporti che abbiamo sul territorio: oggi, si verifica sempre di più che l’ammalato e il disabile siano l’unica fonte di reddito della famiglia. Questo naturalmente incide sulla visita specialistica, sull’utilizzo dei farmaci e sulla cura in genere, per cui si rinuncia anche alle cure minime – al dentista piuttosto che all’aspirina – perché non c’è la possibilità di acquistarli”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: aviazione di Damasco bombarda Raqqa. Vittime civili

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E' di 95 morti, molti dei quali donne e bambini, e 120 feriti il bilancio dei raid dell’aviazione di Damasco a Raqqa, autoproclamata capitale del “califfato”, nel nord della Siria e dell’Iraq, dai combattenti sunniti del sedicente Stato islamico.

Lo ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’ong con una estesa rete di contatti. Stando a questa ricostruzione, non confermata dall’agenzia di stampa statale Sana, molte delle vittime sono state uccise in bombardamenti nella zona industriale di Raqqa. 

Molti corpi si trovano ancora sotto le macerie degli edifici crollati sotto i colpi di una decina di raid aerei compiuti tra ieri pomeriggio e ieri sera in alcuni quartieri di Raqqa. I tentativi di soccorrere i superstiti sono proseguiti tutta la notte ma numerose famiglie mancano ancora all'appello

A denunciare “un crimine odioso” è stata tra gli altri la Coalizione nazionale, un’alleanza di opposizione non legata allo Stato Islamico. Da settembre Raqqa era già stata bombardata più volte dalle forze internazionali coordinate dagli Stati Uniti. (R.P.)

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Legge Stato ebraico: P. Pizzaballa preoccupato per diritti minoranze

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L’approvazione a maggioranza (15 voti a favore e 7 contrari) da parte del governo israeliano del progetto di legge che definisce Israele “Stato della Nazione ebraica” viene “seguita da vicino dalle Chiese locali preoccupate per il rispetto dei diritti delle minoranze”. A dichiararlo all'agenzia Sir è il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa. “Che Israele sia Stato ebraico - spiega il Custode - non è una novità. Se la legge venisse approvata, da un punto vista tecnico cambierebbe poco. La conseguenza più diretta sarebbe, invece, un allontanamento sempre maggiore delle comunità ebraica, musulmana e cristiana, le une dalle altre e approfondirebbe il senso di sfiducia nei confronti dello Stato e della componente ebraica”. 

Qualora venisse approvata, aggiunge padre Pizzaballa, “questa legge farebbe sentire i cittadini arabi di Israele sempre più ospiti a casa loro. Come dire che hanno diritti ma non sono uguali agli altri”. Secondo il religioso francescano “si tratta, comunque, di una legge molto discussa anche all’interno del mondo ebraico e ci sono forti pressioni per cambiarla. Questa proposta fa parte delle dinamiche cui stiamo assistendo in questo periodo segnato da grandi lacerazioni e divisioni interne ad Israele”.

“Come Chiese locali - è la conclusione - seguiamo da vicino l’evoluzione della vicenda. Non vogliamo intervenire troppo per non suscitare polemiche di cui non si sente il bisogno, ma siamo preoccupati per i diritti delle minoranze”. (R.P.)

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Libano. Card. Rai: dialogo Hezbollah-sunniti per uscire dal tunnel

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Secondo il Patriarca maronita Bechara Boutros Rai, “se adesso comincia il dialogo tra Hezbollah e il Movimento sunnita 'Futuro', questo significa che in Libano abbiamo iniziato a uscire dal tunnel”. Il primate della Chiesa maronita ha espresso la sua attesa per le nuove prospettive apertesi negli scenari politici libanesi, rispondendo alle domande che i giornalisti di testate locali gli hanno rivolto ieri all'aeroporto di Beirut, al suo ritorno da Roma.

L'apertura di un possibile dialogo tra la fazione sciita di Hezbollah e quella sunnita, che fa capo a Saad Hariri, rappresenta una chance per uscire dallo stallo che paralizza da mesi la vita politica e istituzionale libanese, e che ha finora impedito l'elezione di un nuovo Presidente, dopo che a maggio l'ex capo di Stato Michel Sleiman ha esaurito il suo mandato.

Il sistema libanese riserva la carica presidenziale a un cristiano maronita, ma le sigle e i leader cristiani appartenenti ai diversi blocchi che dominano la scena politica libanese, non sono riusciti finora a trovare un accordo su un candidato condiviso, e con i loro veti incrociati hanno contribuito in maniera decisiva alla paralisi istituzionale. Adesso la possibilità di sbloccare la situazione si affida al dialogo tra forze musulmane antagoniste.

Lo sciita Nabih Berri, presidente del Parlamento libanese, ha fatto sapere tramite suoi collaboratori che un appoggio importante all'inizio della nuova fase di dialogo tra la fazione sciita e quella sunnita, è stato espresso attraverso canali diplomatici, anche da Usa e Arabia Saudita, Paese che esercita una forte influenza sul Movimento “Futuro”. (R.P.)

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Ccee: Papa a Strasburgo evento di grande rilievo

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La visita di ieri a Strasburgo di Papa Francesco al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa, è stata “un evento di grande rilievo per tutti gli abitanti del continente europeo”. E’ quanto afferma in un comunicato il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), rappresentato nella città alsaziana, dal suo presidente, il card. Peter Erdő, membro del seguito papale, insieme a mons. Duarte da Cunha e don Michel Remery, rispettivamente segretario generale e vice-segretario generale del Ccee.

“Il Santo Padre - si legge nel testo ripreso dall'agenzia Sir - ha sottolineato l’importanza del lavoro del Ccee, affermando: ‘Sono assai numerosi e attuali i temi in cui sono convinto vi possa essere reciproco arricchimento, nei quali la Chiesa Cattolica - particolarmente attraverso il Ccee - può collaborare con il Consiglio d’Europa e dare un contributo fondamentale’”.

Da qui il ‘grazie’ del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa al Papa “per la profondità dei suoi due discorsi al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa. Entrambi testimoniano della cura e attenzione pastorale della Chiesa per le persone, per le famiglie e i popoli europei. Il Ccee desidera prendere sul serio l’appello del Santo Padre auspicando che altri lo seguiranno”. (R.P.)

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Prima Giornata internazionale di preghiera contro la tratta

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La prima “Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone” sarà celebrata in tutte le diocesi e le parrocchie del mondo, nei gruppi e nelle scuole, il prossimo 8 febbraio 2015, festa di Santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese, liberata e divenuta religiosa canossiana, canonizzata nel Duemila. L’iniziativa - riporta l'agenzia Fides - è promossa dal Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti, dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e dalle Unioni internazionali, femminili e maschili, dei Superiori/e Generali.

Nel comunicato si evidenzia che l’obiettivo “è innanzitutto quello di creare, attraverso questa Giornata, maggiore consapevolezza del fenomeno e riflettere sulla situazione globale di violenza e ingiustizia che colpisce tante persone, che non hanno voce, non contano, non sono nessuno: sono semplicemente schiavi. Al contempo provare a dare risposte a questa moderna forma di tratta di esseri umani, attraverso azioni concrete”.

Il fenomeno riguarda il mondo intero. Secondo i dati ufficiali circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale e altre forme di sfruttamento.

Ogni anno, circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù. Questa attività criminale rende complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno a trafficanti e sfruttatori, ed è il terzo “business” più redditizio, dopo il traffico di droga e di armi. (S.L.)

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Colombia: la Chiesa chiede la ripresa dei negoziati a Cuba

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Nonostante le loro recenti dichiarazioni, le Farc mostrano la volontà di proseguire i negoziati di pace in corso a L'Avana: lo ha affermato l'arcivescovo di Tunja, presidente della Conferenza episcopale della Colombia (Cec), mons. Luis Augusto Castro Quiroga. “Dicono tante cose che a volte non ci piacciono, ma la cosa importante è che quando si riferiscono al processo di pace e ai punti segnati nell'ordine del giorno all'Avana, dimostrano affidabilità e serietà nell'impegno” ha sottolineato mons. Castro Quiroga.

Pochi giorni fa - riporta l'agenzia Fides - le Farc infatti avevano pubblicamente affermato: “quello che succede in Colombia deve essere risolto in Colombia, mentre il dialogo a Cuba deve continuare”.

Mons. Castro Quiroga ha incontrato il Presidente colombiano, Juan Manuel Santos Calderón, insieme a padre Dario Echeverry, segretario della Commissione per la Riconciliazione nazionale, il 24 novembre. Alla riunione hanno partecipato anche il capo negoziatore della équipe di governo, Humberto de la Calle, i Ministri consiglieri della Presidenza e il generale in pensione Oscar Naranjo. Al termine dell’incontro il presule ha ribadito il sostegno della Chiesa cattolica per continuare il processo di pace.

Negli ultimi giorni la Colombia ha vissuto eventi significativi legati al cammino per la pace: il rapimento ad opera delle Farc di un generale dell'esercito, insieme a quattro militari e ad un civile; la sospensione, da parte del Presidente Santos Calderón, dei dialoghi per la pace in corso a Cuba; la dichiarazione delle Farc, il 18 novembre, di voler continuare il dialogo per una pace definitiva; la liberazione, ieri, di 2 dei soldati rapiti insieme al generale, come segno di impegno per proseguire le trattative di pace. (R.P.)

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I frutti della visita di Papa Francesco in Sud Corea

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Il tragitto che separa la capitale coreana Seoul da Daejeon, circa 150 chilometri di strada, può essere percorso in macchina o in treno. Per la visita di Papa Francesco a questa diocesi, che ha ospitato la sesta Giornata Asiatica della Gioventù, era previsto l'uso di un elicottero militare. Il Pontefice ha scelto invece il treno "anche per provare l'alta velocità". Ora sul posto da lui  - riferisce l'agenzia AsiaNews - c'è una targa commemorativa, e la compagnia ferroviaria ha deciso di devolvere in beneficenza il prezzo di ogni biglietto acquistato per quel sedile.

Non è solo una curiosità, ma uno dei tanti piccoli gesti di carità e di amore verso il prossimo, suscitati nella società coreana dal viaggio di Papa Francesco. A Roma il vescovo di Daejeon mons. Lazzaro You Heung-sik ha consegnato a Francesco una lista di "piccole opere buone" nate grazie alla sua visita di agosto in Corea del Sud. "Sia le organizzazioni civili che quelle religiose - scrive il presule nel testo - non sono rimaste indifferenti al suo passaggio. Ognuno ha deciso di fare qualcosa per conservare vivo il ricordo della sua visita".

Oltre al già citato posto in treno, va notato che il governo di Seoul ha designato il santuario dei martiri di Solmoe "Tesoro Nazionale". Nello stesso luogo è nato il "Parco di Papa Francesco", su cui sorgerà a breve una "Casa del Pellegrino" per ricordare l'incontro del Pontefice con i giovani asiatici. L'altro santuario della diocesi di Daejeon, quello di Haemi dove ha avuto luogo la Messa conclusiva della Giornata, vedrà invece la costruzione di un Centro giovanile.

Infine un "frutto" più spirituale. Sui luoghi della cattura, persecuzione e morte dei martiri coreani - soprattutto nella zona di Naepo - nascerà un percorso a piedi "sul modello del Cammino di Santiago de Compostela in Spagna".

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 330

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.