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Sommario del 27/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Chiesa cambi mentalità pastorale, dall'aspettare al cercare

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Una Chiesa in uscita, samaritana, per incontrare Dio che abita nella città e nei poveri. Questa l’immagine tracciata dal Papa, ricevendo i partecipanti al Congresso internazionale della pastorale delle grandi città, tenutosi nei giorni scorsi a Barcellona. Per l’occasione, il Pontefice aveva già inviato un messaggio, indirizzato all’arcivescovo della città spagnola, il cardinale Lluis Martinez Sistach. Ai 25 porporati e arcivescovi che hanno preso parte alla seconda fase dell’evento - alla prima in maggio avevano partecipato esperti di sociologia, pastorale e teologia - il Pontefice ha parlato in base all’esperienza da “pastore di una città popolosa e multiculturale com’è Buenos Aires” e agli incontri tenuti negli anni con i vescovi argentini, riflettendo pure sulla Evangelii gaudium. Il servizio di Giada Aquilino

Un cambiamento di mentalità pastorale, per “aumentare la nostra capacità di dialogare con le diverse culture”, “valorizzare” la religiosità dei popoli, condividendo pane e Vangelo con i più poveri. È l’esortazione di Papa Francesco ai partecipanti al Congresso internazionale della pastorale delle grandi città. Fotografando gli agglomerati urbani di oggi, il Pontefice ha notato come ci sia bisogno di “riposizionare i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti”, in modo da non “rimanere disorientati”, confondendo poi anche “il popolo di Dio”. La proposta del Papa allora è “una vera trasformazione ecclesiale”, in chiave di missione:

“Un cambiamento di mentalità: dal ricevere all’uscire, dall’aspettare che vengano all’andare a cercarli. Per me questa è la chiave! Uscire per incontrare Dio che abita nella città e nei poveri. Uscire per incontrarsi, per ascoltare, per benedire, per camminare con la gente. E facilitare l’incontro con il Signore. Rendere accessibile il sacramento del Battesimo. Chiese aperte. Segreterie con orari per le persone che lavorano. Catechesi adatte nei contenuti e negli orari della città”.

La Chiesa, ha ricordato, viene “da una pratica pastorale secolare”, in cui “era l’unico referente della cultura”: quindi, ha aggiunto, “ha sentito la responsabilità di delineare, e di imporre, non solo le forme culturali, ma anche i valori”. Ma, ha constatato, non siamo più in quell’epoca:

“È passata. Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, ma non di una ‘pastorale relativista’, che per voler esser presente nella ‘cucina culturale’ perde l’orizzonte evangelico, lasciando l’uomo affidato a sé stesso ed emancipato dalla mano di Dio”.

Così facendo, ha detto, non si avrebbe “vero interesse per l’uomo”; gli si nasconderebbe “Gesù e la verità sull’uomo stesso”:

“Occorre avere il coraggio di fare una pastorale evangelizzatrice audace e senza timori, perché l’uomo, la donna, le famiglie e i vari gruppi che abitano la città aspettano da noi, e ne hanno bisogno per la loro vita, la Buona Notizia che è Gesù e il suo Vangelo. Tante volte sento dire che si prova vergogna ad esporsi. Dobbiamo lavorare per non avere vergogna o ritrosia nell’annunciare Gesù Cristo”.

Un dialogo con la realtà delle grandi città che, come l'Europa, sono “multipolari e multiculturali”. E un dialogo pastorale senza relativismi che, ha quindi spiegato, è quello che “non negozia la propria identità cristiana, ma che vuole raggiungere il cuore dell’altro, degli altri diversi da noi, e lì seminare il Vangelo”. Quindi, senza rifiutare “l’apporto delle diverse scienze per conoscere il fenomeno urbano”, bisogna scoprire “il fondamento delle culture, nel profondo “assetate di Dio”, conoscendo “gli immaginari e le città invisibili, cioè i gruppi o i territori umani che si identificano nei loro simboli, linguaggi, riti e forme per raccontare la vita”. D’altro canto, ha ricordato il Papa, “Dio abita nella città”: bisogna andare a cercarlo e fermarsi “là dove Lui sta operando”. L’invito è a “scoprire, nella religiosità dei nostri popoli, l’autentico substrato religioso, che in molti casi è cristiano e cattolico”:

“Andare lì, al nucleo. Non possiamo misconoscere né disprezzare tale esperienza di Dio che, pur essendo a volte dispersa o mescolata, chiede di essere scoperta e non costruita. Lì ci sono i semina Verbi seminati dallo Spirito del Signore”.

Anche nelle espressioni di “religiosità naturale”, quindi, è possibile cominciare “il dialogo evangelizzatore”, com’è già successo nella Chiesa in America Latina e nei Caraibi, che da alcuni decenni “si è resa conto di questa forza religiosa, che viene soprattutto dalle maggioranze povere”:

“Dio continua a parlarci oggi, come ha sempre fatto, per mezzo dei poveri, del 'resto'. In generale, le grandi città oggi sono abitate da numerosi migranti e poveri, che provengono dalle zone rurali, o da altri continenti, con altre culture”.

Il Papa, che li vede anche a Roma, li definisce “pellegrini della vita” in cerca di ‘salvezza’, che molte volte hanno la capacità di andare avanti traendo forza solo da “un’esperienza semplice e profonda di fede in Dio”. La sfida, secondo il Pontefice, è duplice:

“Essere ospitali verso i poveri e i migranti – la città in genere non lo è, respinge – e valorizzare la loro fede. E’ molto probabile che questa fede sia mescolata con elementi del pensiero magico e immanentista, ma dobbiamo cercarla, riconoscerla, interpretarla e sicuramente anche evangelizzarla. Ma non ho dubbi che nella fede di questi uomini e donne c’è un potenziale enorme per l’evangelizzazione delle aree urbane”.

La realtà della città da cui non si può prescindere dunque è quella dei poveri, degli esclusi, degli scartati:

“La Chiesa non può ignorare il loro grido, né entrare nel gioco dei sistemi ingiusti, meschini e interessati che cercano di renderli invisibili. Tanti poveri, vittime di antiche e nuove povertà. Ci sono le nuove povertà! Povertà strutturali e endemiche che stanno escludendo generazioni di famiglie. Povertà economiche, sociali, morali e spirituali. Povertà che emarginano e scartano persone, figli di Dio. Nella città, il futuro dei poveri è più povertà”.

L’invito - rifacendosi agli insegnamenti di Benedetto XVI - è a “imparare a suscitare la fede”, attraverso le catechesi e non solo, risvegliando “la curiosità e l’interesse per Gesù Cristo”, mediante una Chiesa samaritana: nella pastorale urbana, la qualità sarà data dalla capacità di testimonianza che essa saprà dare, assieme a ogni cristiano:

“Con la testimonianza possiamo incidere nei nuclei più profondi, là dove nasce la cultura. Attraverso la testimonianza la Chiesa semina il granello di senape, ma lo fa nel cuore stesso delle culture che si stanno generando nelle città”.

Una testimonianza concreta di misericordia e tenerezza, “che cerca di essere presente nelle periferie esistenziali e povere”, potrà aiutare i cristiani nel “costruire una città nella giustizia, nella solidarietà e nella pace”: oltre che attraverso una collaborazione coi “fratelli di altre Chiese e comunità ecclesiali” alla pastorale ecumenica caritativa, anche mediante l’impegno delle Caritas e delle altre organizzazioni sociali della Chiesa, degli stessi poveri e dei laici:

“Anche la libertà del laico. Perché quello che ci imprigiona, che non fa spalancare le porte, è la ‘malattia’ del clericalismo”.

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Papa Francesco ai consacrati: non avere paura di rinnovare strutture

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Non dobbiamo avere paura di rinnovare le strutture che ci impediscono di ascoltare il grido di quanti attendono il Vangelo: è quanto ha detto il Papa alla plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, che si tiene in questi giorni sul tema «Vino nuovo in otri nuovi», alla vigilia dell’apertura, questa domenica, dell’Anno della Vita Consacrata. Il servizio di Sergio Centofanti

Dopo il Concilio Vaticano II – ha ricordato il Papa – “il vento dello Spirito ha continuato a soffiare con forza” spingendo gli Istituti “ad attuare il rinnovamento spirituale, carismatico e istituzionale” e suscitando “nel cuore di uomini e donne modalità nuove di risposta all’invito di Gesù di lasciare tutto per dedicare la propria vita alla sequela di Lui e all’annuncio del Vangelo”:

“Non dobbiamo avere paura di lasciare gli ‘otri vecchi’: di rinnovare cioè quelle abitudini e quelle strutture che, nella vita della Chiesa e dunque anche nella vita consacrata, riconosciamo come non più rispondenti a quanto Dio ci chiede oggi per far avanzare il suo Regno nel mondo: le strutture che ci danno falsa protezione e che condizionano il dinamismo della carità; le abitudini che ci allontanano dal gregge a cui siamo inviati e ci impediscono di ascoltare il grido di quanti attendono la Buona Notizia di Gesù Cristo”.

Il Papa ha elencato le “aree di debolezza che è possibile riscontrare oggi nella vita consacrata”: la resistenza di alcuni settori al cambiamento, la diminuita forza di attrazione, il numero non irrilevante di abbandoni:

“E questo mi preoccupa! Dice qualcosa riguardo alla selezione dei candidati, alla formazione dei candidati e poi al mistero di ogni persona, ma queste due cose prima dobbiamo valutarle bene”.

C’è poi “la fragilità di certi itinerari formativi, l’affanno per i compiti istituzionali e ministeriali a scapito della vita spirituale, la difficile integrazione delle diversità culturali e generazionali, un problematico equilibrio nell’esercizio dell’autorità e nell’uso dei beni”:

“Mi preoccupa anche la povertà, eh! Io faccio pubblicità della mia famiglia, ma Sant’Ignazio diceva che la povertà è la madre e anche il muro della vita consacrata. È madre la povertà, dà vita, e il muro protegge dalla mondanità”.

Papa Francesco ha poi indicato alcuni criteri orientativi: “l’originalità evangelica delle scelte, la fedeltà carismatica, il primato del servizio, l’attenzione ai più piccoli e fragili, il rispetto della dignità di ogni persona”. E ha sottolineato l’importanza della preghiera:

“Noi consacrati siamo consacrati per servire il Signore e servire gli altri con la Parola del Signore, no? Ma dite ai nuovi membri, per favore, dite che pregare non è perdere tempo, adorare Dio non è perdere tempo, lodare Dio non è perdere tempo. Se noi consacrati non ci fermiamo ogni giorno davanti a Dio nella gratuità della preghiera, il vino sarà aceto”.

“La Plenaria della vostra Congregazione – ha concluso il Papa - si colloca proprio alla vigilia dell’Anno della Vita Consacrata. Preghiamo insieme il Signore perché ci aiuti in questo Anno a mettere «vino nuovo in otri nuovi»!:

“La Vergine Maria vi accompagni e vi ottenga un nuovo ardore di risorti e la santa audacia di cercare nuove strade”.

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Papa ai Paolini: mai scimmiottare media che cercano spettacolo nello scontro

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I cristiani hanno il dovere di annunciare il Vangelo senza escludere nessuno. E’ quanto ha detto Papa Francesco incontrando in Vaticano i partecipanti al Pellegrinaggio della Famiglia Paolina per il centenario di fondazione, ad opera del Beato Giacomo Alberione. Questa ricorrenza – ha aggiunto il Pontefice – “vi offre l’opportunità di rinnovare l’impegno nel vivere la fede e comunicarla, in particolare mediante gli strumenti editoriali e multimediali”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Tutti gli uomini - ha detto il Papa - sono “destinatari della buona notizia che Dio è amore”. Nelle parole di Gesù “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” si comprende il segreto dell’evangelizzazione:

“…che è comunicare il Vangelo nello stile del Vangelo, cioè la gratuità: la gratuità, senza affari. Gratuità. La gioia del dono ricevuto per puro amore si comunica con amore. Gratuità e amore. Solo chi ha sperimentato tale gioia la può comunicare, anzi non può non comunicarla, poiché il bene tende sempre a comunicarsi. … Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. (Evangelii gaudium, 9)”.

Evangelizzare, essenzialmente, è proclamare il Vangelo “a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato”:

“Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno”.

L’immagine della Chiesa in cammino - ha aggiunto il Papa – “è espressiva della speranza cristiana”:

“Il nostro essere Chiesa in cammino, mentre ci radica nell’impegno di annunciare Cristo e il suo amore per ogni creatura, ci impedisce di restare prigionieri delle strutture terrene e mondane; tiene aperto lo spirito e ci rende capaci di prospettive e istanze che troveranno il loro compimento nella beatitudine del Signore”.

Il Santo Padre ha poi esortato a rinnovare, anche nel mondo della comunicazione, l’amore per l’unità della Chiesa:

“Tutto il vostro lavoro, lo zelo apostolico, deve essere pieno di questo amore per l’unità. Mai favorire i conflitti, mai scimmiottare quei media di comunicazione che soltanto cercano lo spettacolo dei conflitti e fanno lo scandalo nelle anime. Favorire sempre l’unità della Chiesa, l’unità che Gesù ha chiesto al Padre come dono per la sua sposa”.

I vasti orizzonti dell’evangelizzazione e la necessità di testimoniare a tutti il messaggio evangelico - ha concluso il Pontefice - costituiscono il campo dell’apostolato della Famiglia Paolina:

“Tanti attendono ancora di conoscere Gesù Cristo. La fantasia della carità non conosce limiti e sa aprire strade sempre nuove per portare il soffio del Vangelo nelle culture e nei più diversi ambiti sociali. Una così urgente missione richiede incessante conversione personale e comunitaria. Solo cuori totalmente aperti all’azione della Grazia sono in grado di interpretare i segni dei tempi e di cogliere gli appelli dell’umanità bisognosa di speranza e di pace”.

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Il Papa: non cedere a depressione di fronte al male, ma vivere con speranza

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Anche in mezzo a tante difficoltà, il cristiano non ceda alla depressione. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha dunque avvertito che “corruzione” e “distrazione” ci allontanano dall’incontro con il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Babilonia e Gerusalemme. Nella sua omelia, Francesco ha preso spunto da queste due città di cui parla la Prima Lettura tratta dall’Apocalisse e il Vangelo di San Luca. Il Papa ha sottolineato che entrambe le letture attirano la nostra attenzione sulla fine di questo mondo. E per meditare, ha notato, ci parla del “crollo di due città che non hanno accolto il Signore, che si sono allontanate” da Lui. Il crollo di queste due città, ha precisato, “avviene per motivi differenti”. Babilonia è il “simbolo del male, del peccato” e “cade per corruzione”, si “sentiva padrona del mondo e di se stessa”. E quando “si accumula il peccato – ha ammonito – si perde la capacità di reagire e si incomincia a marcire”. Così, del resto, accade anche con le “persone corrotte, che non hanno forza per reagire”:

“Perché la corruzione ti dà qualche felicità, ti dà potere e anche ti fa sentire soddisfatto di te stesso: non lascia spazio per il Signore, per la conversione. La città corrotta... E questa parola ‘corruzione’ oggi ci dice tanto a noi: non solo corruzione economica, ma corruzione con tanti peccati diversi; corruzione con quello spirito pagano, con quello spirito mondano. La più brutta corruzione è lo spirito di mondanità!”

Questa “cultura corrotta”, ha soggiunto, “ti fa sentire come in Paradiso qui, pieno, abbondante”, ma “dentro, quella cultura corrotta è una cultura putrefatta”. Nel simbolo di questa Babilonia, è stata la riflessione di Francesco, “c’è ogni società, ogni cultura, ogni persona allontanata da Dio, anche allontanata dall’amore al prossimo, che finisce per marcire”. Gerusalemme, ha proseguito, “cade per un altro motivo”. Gerusalemme è la sposa del Signore, ma non si accorge delle visite dello Sposo, “ha fatto piangere il Signore”:

“Babilonia cade per corruzione; Gerusalemme per distrazione, per non ricevere il Signore che viene a salvarla. Non si sentiva bisognosa di salvezza. Aveva gli scritti dei profeti, di Mosè e questo le era sufficiente. Ma scritti chiusi! Non lasciava posto per essere salvata: aveva la porta chiuse per il Signore! Il Signore bussava alla porta, ma non c’era disponibilità di riceverlo, di ascoltarlo, di lasciarsi salvare da Lui. E cade…”

Questi due esempi, ha osservato, “ci possono fare pensare alla nostra vita”: siamo simili alla “corrotta e sufficiente Babilonia” o alla “distratta” Gerusalemme? Tuttavia, ha tenuto a sottolineare, “il messaggio della Chiesa in questi giorni non finisce con la distruzione: in tutte e due i testi, c’è una promessa di speranza”. Gesù, ha affermato, ci esorta ad alzare il capo, a non lasciarsi “spaventare dai pagani”. Questi, ha detto, “hanno il loro tempo e dobbiamo sopportarlo con pazienza, come ha sopportato il Signore la sua Passione”:

“Quando pensiamo alla fine, con tutti i nostri peccati, con tutta la nostra storia, pensiamo al banchetto che gratuitamente ci sarà dato e alziamo il capo. Niente depressione: speranza! Ma la realtà è brutta: ci sono tanti, tanti popoli, città e gente, tanta gente, che soffre; tante guerre, tanto odio, tanta invidia, tanta mondanità spirituale e tanta corruzione. Sì, è vero! Tutto questo cadrà! Ma chiediamo al Signore la grazia di essere preparati per il banchetto che ci aspetta, col capo sempre alto”.

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Francesco in Turchia: l'attesa ad Ankara e Istanbul

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La Turchia aspetta Papa Francesco che domani arriverà ad Ankara per il suo sesto viaggio apostolico. Nella capitale, dopo la visita al mausoleo di Atatürk, incontrerà le autorità, il presidente Erdogan, il premier Davutoglu e il presidente della Diyanet, il dipartimento per gli Affari religiosi. Sabato il trasferimento a Istanbul, dove ferve l’attesa dei cattolici. La nostra inviata a Istanbul Francesca Sabatinelli

Se la aspettavano, la visita di Francesco, “anche se avremmo voluto più tempo a disposizione per prepararla”, dicono tutti coloro che nella cattedrale dello Spirito Santo di Istanbul si affrettano in queste ore a mettere a punto l’accoglienza per il Papa. Sabato, nel primo pomeriggio, così come il predecessore Benedetto nel 2006, Francesco celebrerà la Messa inter-rituale in latino per la piccola comunità di cattolici turchi, cinquantamila circa, appartenenti a quattro riti: latino, armeno, siro e caldeo. Vi prenderanno parte anche il Patriarca Bartolomeo e i rappresentanti di altre confessioni cristiane.

Arriveranno da tutte le parti del Paese, e si stringeranno nel cortile sul quale, protetto da mura, si apre l’ingresso dell’edificio barocco. Si trova in piena Taksim, nel cuore della città, ed è qui che confluiranno in molti, troppi per i limitati posti della chiesa, e i biglietti sono già andati tutti via. Si allestiranno due maxi-schermi nel cortile, ma ci si aspetta la delusione di chi non potrà avere un incontro diretto con il Papa. Sarà del resto l’unico momento riservato ai cattolici che, lo dicono con rammarico, avrebbero sperato di avere di più il Papa con loro e per loro.

Confidano però nel suo messaggio di incoraggiamento e di invito alla pace e alla fratellanza in un Paese che vive un momento di complessa transizione, con uno sviluppo economico e sociale innegabile, dove le varie comunità religiose vivono integrate, in sereni rapporti con la maggioranza musulmana e con ampi margini di libertà religiosa, seppur mancando del riconoscimento giuridico, fattore che implica svariate complicazioni. Se da una parte si registra un progresso a favore di un maggiore inserimento dei cristiani nelle istituzioni pubbliche, la burocrazia ancora non apre alla piena accoglienza legale delle comunità parrocchiali e di conseguenza della loro opera educativa e questo, lamentano i salesiani della cattedrale, impone margini troppo stretti alla loro missione interamente dedicata al sostegno ai giovani soprattutto attraverso l’educazione. E saranno proprio i ragazzi dell’oratorio dei salesiani l’ultimo incontro del Papa prima del congedo dalla Turchia, domenica. Ne incontrerà circa un centinaio, su seicento, tra loro rifugiati iracheni e siriani, in fuga dalla guerra in Siria e dalla violenza jihadista dell’Is, sono cristiani, ma c’è anche qualche musulmano. La Turchia accoglie oltre un milione di profughi e più volte le Nazioni Unite hanno lanciato appelli alla comunità internazionale a non lasciare solo il Paese a fronteggiare una tale emergenza. “Per i ragazzi, spiegano i salesiani, sarà un momento di grande incoraggiamento, nel Papa vedono un forte alleato e un importante testimone del loro dramma”.

Al centro di questo sesto viaggio apostolico di Francesco resta comunque la dimensione ecumenica, e l’incontro con il Patriarca Bartolomeo I, legato al Papa da profonda e consolidata amicizia. Questa visita, per la comunità greco-ortodossa, avrà un valore profondamente ecumenico, soprattutto però sarà un messaggio diretto a tutta la società in un momento così delicato e triste in cui ci si confronta con violenza e tensione che sconvolgono i popoli dell’intera regione, e con le persecuzioni contro i cristiani dell’area. Sarà anche un viaggio dal profondo messaggio interreligioso, che si concretizzerà con la visita del Papa alla Moschea Blu assieme al Gran Muftì di Istanbul. Sarà dunque un ospite prezioso Papa Francesco, molto atteso per il messaggio di pace, fratellanza e amicizia che invierà al Paese tutto e di solidarietà verso i popoli in difficoltà.

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Card. Parolin: Papa in Turchia per rafforzare dialogo e fraternità

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Rafforzare i rapporti fraterni tra i cristiani, promuovere il dialogo e la pace per il Medio Oriente, sostenere la fede della piccola comunità cattolica locale. Sono questi, secondo il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, gli aspetti chiave del viaggio apostolico di Papa Francesco in Turchia. Barbara Castelli, del Centro Televisivo Vaticano, lo ha intervistato: 

R. - Il Papa va a condividere la gioia e la celebrazione di quella Chiesa e va anche per firmare una dichiarazione comune, una dichiarazione che si colloca un po’ sulla scia di quella già firmata a Gerusalemme, nel maggio scorso. L’intenzione è rafforzare i legami di amicizia, di collaborazione, di dialogo fra le due Chiese e di esprimere preoccupazione per la situazione e la sorte di tanti fratelli cristiani che si trovano in condizioni di difficoltà e di persecuzione, soprattutto nella regione del Medio Oriente.

D. - Impossibile non pensare alla delicata situazione in Medio Oriente, resa ancor più precaria dall’opera sanguinaria del sedicente Stato Islamico. La pace sembra davvero impossibile. Come spezzare questa spirale di violenza?

R. - La soluzione la conosciamo: la soluzione è più facile e più difficile di quello che sembri, ed è deporre le armi e avviare un dialogo, avviare un negoziato. E’ impensabile che ci possa essere una soluzione armata, che ci possa essere una soluzione unilaterale, imposta con la forza da parte di qualcuno. La Santa Sede lo ha sempre detto: la soluzione non può che essere regionale, comprensiva, tenendo conto degli interessi e delle aspettative di ognuna delle parti coinvolte. Purtroppo, in questi giorni assistiamo anche a un ulteriore deterioramento della situazione in Terra Santa.  

D. - Alla violenza si legano numerose drammatiche conseguenze: pensiamo alle migliaia di persone in fuga che si accalcano ai confini in cerca di salvezza, così come a una presenza sempre più esigua dei cristiani in questi luoghi. Cosa fa la Chiesa in questo orizzonte?

R. - La Chiesa è impegnata in un grandissimo sforzo di sensibilizzazione prima della Comunità Internazionale, per soccorrere le necessità di questi fratelli e sorelle che sono profughi e rifugiati, e poi mettendo in campo tutti i suoi mezzi della carità. Sappiamo quanto le organizzazioni internazionali cattoliche, le agenzie cattoliche di aiuto, le Caritas stiano operando sul terreno per andare incontro ai bisogni di questi nostri fratelli, soprattutto pensando all’inverno, che è già arrivato, e che renderà ancora più precaria e dura la loro situazione. E poi questa insistenza, giusta, doverosa, necessaria, sul diritto al ritorno.

D. - La Turchia è caratterizzata da una convivenza multiculturale e multireligiosa. Quali sono – a suo avviso – gli altri aspetti ai quali Papa Francesco vorrà dare corpo con questo viaggio apostolico?

R. - Prima di tutto una sollecitudine della Chiesa locale, una piccola Chiesa che negli anni passati è stata anche testimone di episodi dolorosissimi di violenza, ma che persevera nella sua missione, testimoniare una presenza, per assicurare questo dialogo con l’Islam, che è molto importante.

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Padre Körner: Papa in Turchia, incoraggiamento per il Paese

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Grande l’attesa in Turchia per il viaggio di Papa Francesco. La nostra inviata Francesca Sabatinelli ne ha parlato con il padre gesuita Felix Körner, professore di teologia dogmatica alla Facoltà di Teologia dell’Università Gregoriana, specialista in islamologia e teologia del dialogo interreligioso, per molti anni in Turchia: 

R. – Per i turchi la visita di un Papa non è la visita di un cristiano, ma la visita di un uomo di fede. Io conosco tanti turchi che vedono Papa Francesco come un uomo che rappresenta il desiderio dei musulmani, dei turchi, che ci sia nel mondo un uomo convincente, di buona volontà, che rifletta l’uomo che crede in Dio. Il primo punto è veramente quello di avere fra di loro un uomo importante, testimone di Dio. E’ un onore per la Turchia, ma diventa anche una risposta alla domanda importantissima per la Turchia di oggi: “Come possiamo vivere un islam autentico nella condizione della modernità, con tutte queste sfide, queste domande, queste difficoltà e anche questi dubbi?”. Papa Francesco dà loro una risposta molto credibile, che è davvero un aiuto per loro. Lui dice, infatti, nella sua maniera di essere Papa, nella sua maniera di predicare: la fede non è un’idea che deve realizzarsi in una teocrazia, la fede può diventare ‘ispirazione’ per la società di oggi. Ispirazione come criterio per la coscienza, ispirazione come orientamento per i politici, fede anche per aprire gli occhi sulle sofferenze che non riusciamo più a vedere. Quindi, il primo punto è la gioia dell’arrivo dell’uomo di fede, che vive la fede in maniera credibile. Secondo punto: la domanda che si pongono i turchi è come poter essere credenti con le sfide della modernità. E lui dà la risposta che la fede oggi è ispirazione.

D. – Durante la sua tappa ad Istanbul il Papa incontrerà la minoranza dei cristiani. Chi sono? Come vivono la fede in un Paese come la Turchia?

R. – Io conosco molto bene questo piccolo gruppo di giovani cristiani di lingua turca. Lì si trova un gregge veramente piccolo, ma con tanto coraggio e con tanta speranza di essere in questo Paese una ispirazione, sale per tutta la società. Loro non vogliono convertire, non fanno proselitismo, no, ma testimoniano con bellezza, fedeltà ed anche entusiasmo la nostra fede, cioè testimoniano Cristo. Perciò una visita del Papa, specialmente la visita di un Papa che ha questo senso del popolo, è anche una visita di incoraggiamento alle periferie.

D. – Questi cristiani incontrano delle difficoltà nella loro vita di tutti i giorni in questo Paese?

R. – C’è una difficoltà a livello legale e una difficoltà a livello sociale. A livello legale c’è un miglioramento della situazione, ma finora la Chiesa cattolica, ad esempio, non è riconosciuta giuridicamente. La Chiesa, quindi, ad esempio la diocesi di Smirne, non può possedere un terreno, o un edificio. Questo crea ancora problemi legali, ma si avverte buona volontà da parte delle autorità di risolvere questi problemi. A livello sociale non possiamo parlare di una persecuzione, ma viene sentita una certa discriminazione da parte dei cristiani, che hanno una certa preoccupazione.

D. – Oggi la Turchia è un Paese che affronta diversi gravi problemi. Ricordiamo la presenza di oltre un milione di profughi siriani in fuga da una guerra, che preme sui confini turchi, diventati in qualche modo anche roccaforte del sedicente Stato islamico. La Turchia ha bisogno dell’attenzione della comunità internazionale, e forse anche di riconquistarne in parte la fiducia. Sarà questa visita del Papa un’occasione?

R. – Tutti gli occhi guardano adesso la Turchia e vedono i problemi, vedono la generosità da parte dei turchi di ricevere i profughi, vedono anche con più precisione e meno pregiudizi dove va fatto il prossimo passo per una più grande integrazione e riconciliazione. Ma questo testimone di pace, Papa Francesco, diventa anche un incoraggiamento proprio per i turchi, per essere testimoni e ispiratori per processi di riconciliazione in questa regione. Questa è la loro vocazione. I turchi hanno questo sentimento, hanno questa intuizione di avere una chiamata speciale, e c’è una generosità in loro. Quindi penso che questa visita possa veramente diventare un bel successo dal punto di vista della chiamata della Turchia di oggi alla riconciliazione.

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Tweet del Papa: “L’amore è la misura della fede”

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“L’amore è la misura della fede”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex.

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Papa a Strasburgo. Prof. Baggio: tornare alle radici dell'Europa

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Il recente viaggio del Papa a Strasburgo con il discorso all’Europarlamento e al Consiglio d’Europa continua ad essere al centro di riflessioni e commenti sui media. Luca Collodi ne ha parlato con il politologo Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia Politica all’Istituto universitario Sophia di Loppiano (Firenze), fondato da Chiara Lubich: 

R. – Ho potuto sperimentare, dopo l’elezione di Papa Francesco, che quando si entra nei temi più critici che il Papa svolge, perché il Papa svolge analisi e critiche alla struttura dei sistemi dominanti attualmente, molto spesso i grandi giornalisti presenti al dibattito fanno marcia indietro e non sono disposti ad andare al di là del quotidiano. Adesso non si può generalizzare, però esiste una tendenza forte: leggendo i giornali di questi giorni c’è una sorta di connivenza tra la cosiddetta grande stampa e la politica di parlare solo di quello che è quotidiano, di quello che serve alla piccola decisione. Il Papa è di tutt’altra statura: e, infatti, se si lascia la stampa italiana per andare a leggere quella di grandi Paesi stranieri, si vede che il Papa è al centro delle discussioni. Può essere travisato, può essere criticato, ma certamente è un punto di riferimento e uno dei più solidi che abbiamo attualmente.

D. - Prof. Baggio, forse ci sono delle risposte a questo timore politicamente corretto della stampa italiana e dei politici, perché il Papa ha tratteggiato un cammino di un’Europa che attualmente non esiste…

R. – Sì, questa è la parte realista che questo Papa politico – tra virgolette – sempre ci presenta. Fa un’analisi drammatica dell’Europa attuale: la descrive nella sua verità, quella che noi viviamo ogni giorno. E soprattutto sottolinea la distanza dell’Europa attuale dall’Europa dei grandi ideali che l’hanno fatta sorgere. Tra questi grandi ideali c’era una forte ispirazione cristiana. Ciò che il Papa dice, però, non è soltanto critico o distruttivo: fotografa la realtà per poterla cambiare e propone un ritorno alle radici ideali e fortemente cristiane dell’Europa proprio perché in quella ispirazione c’erano dei valori di dignità umana e un senso di fraternità che sono quelli che hanno permesso di iniziare il cammino dell’Europa unita e sono quelli che oggi sono stati smarriti. Ma senza di questi non si può pensare ad un’Europa che rinasca, che ritorni unita! L’Europa di oggi è unita formalmente, ma è divisa nella realtà che i cittadini vivono ogni giorno: ci sono molti poveri che il Papa enumera, analizza e spiega che bisogna recuperarli… Allora ritornare alle radici - ritornarci in maniera rinnovata che valga per oggi - recuperare un ideale europeo significa ritornare a quella solidarietà e sussidiarietà che c’erano all’inizio dell’Europa e che oggi, invece, mancano, perché sembra che l’unica via di uscita siano soluzioni tecniche che in realtà però – anche il Papa lo sottolinea – non sono soltanto tecniche.

D. – Un altro elemento che la stampa non commenta, né sottolinea, è la continuità nel discorso di Papa Francesco a Strasburgo con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sui temi dell’Europa…

R. - Sì. Il pensiero cristiano è uno dei pochi che al passare dei decenni - quindi tra Novecento e il nuovo secolo che stiamo vivendo - costruisce patrimonio: va cioè a continuità. Noi abbiamo l’esempio di pensatori nuovi che arrivano e che contestano i precedenti… Nel caso del pensiero cristiano, e del pensiero sociale cristiano in particolare, abbiamo invece un accumulo continuo di interpretazione arricchente. Allora tra il Giovanni Paolo II, che è stato uno delle parti in causa nella liberazione dell’Europa, nel crollo dei muri, e il successivo Benedetto XVI, che riflette sulle crisi dell’Europa e individua gli elementi anche intellettuali che possono costruire una cultura europea ancora vitale, ecco che si connette anche il Papa attuale, rivelando – come dire – le ideologie false di oggi: dietro le regole tecniche che vengono imposte, ci sono – dice il Papa – dei poteri occulti. Quindi poteri che sono finanziari, economici e che in un certo senso tengono in ostaggio la possibilità che l’Europa e i suoi popoli, la diversità dei popoli che la compongono, trovino ciascuno la propria strada, anche se in maniera unitaria. Quindi c’è una critica all’ideologia tecnologica, perché nasconde i potentati finanziari che sono un ostacolo alla vera democrazia. Diciamo che c’è una riflessione di carattere politico nel senso più alto da parte di Papa Francesco, che però ha le sue basi in tutto ciò che hanno detto i predecessori: abbiamo citato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma come dimenticare Giovanni XXIII, come dimenticare Pio XII, che lancia l’idea della democrazia, perché questa è la sfida di oggi: vivere veramente in maniera democratica, anziché sotto una finanza occulta e schiacciante.

D. – C’è un passaggio nel discorso del Papa all’Europarlamento dove si parla del valore della democrazia, quasi come un monito ai politici europei, ma soprattutto si difendono i partiti politici come luogo di democrazia popolare per i cittadini. Passaggio, che i politici forse non hanno percepito in pieno…

R. – Purtroppo sono completamente d’accordo con quanto lei dice sul fatto che molti politici non abbiano percepito o non abbiano voluto percepire. Il problema è che il Papa rilancia gli elementi cardine dell’idea democratica: i partiti possono essere criticati, possono essere rivisitati, reinterpretati, ma l’idea che la cittadinanza si organizzi, anche nella sua diversità - perché il Papa sottolinea il valore della diversità dei partiti – per formare poi una decisione politica che vale per tutta la nazione, questa è una idea fondamentale della democrazia. Ora la Chiesa ha fatto una scelta dottrinale della democrazia, proprio in occasione – tra l’altro – del radiomessaggio del 1944 di Pio XII, che si espresse in questo modo nel sesto Natale di guerra: presentava l’idea della democrazia con alla base i due ideali di libertà e uguaglianza, nutriti però dalla fraternità. Questi tre principi stanno in piedi solo se sono insieme! E la democrazia ha il compito di viverli tutti e tre. Papa Francesco, oggi, rilancia questa idea di democrazia: addirittura sottolineando l’elemento di novità rappresentato dalla nuova generazione dei politici. Dice: “Ho parlato con molti politici giovani, li ho trovati disposti – ha detto Francesco – ad andare al di là delle differenze ideologiche tradizionali per cercare soluzioni trasversali –  dice – che sono quelle che oggi ci vogliono". Allora è chiaro che un Papa, che ti va a scardinare tutti i principi ideologici vecchi della politica che ancora dominano, è un Papa che non viene riferito dalla stampa, se questa stampa si nutre di quella vecchia politica che ha tutto l’interesse a mantenere in piedi. Invece, Papa Francesco sta indicando una mentalità di trasformazione che vuole uscire dal sistema, non vuole semplicemente fare piccole riforme. Come si dice questo, i grandi giornalisti scappano come punti da una vespa!

D. – Quindi, in sintesi, non è stato solo un viaggio di sollecitazione morale per l’Europa …

R. – E’ proprio così! Il messaggio è anche antropologico: sta parlando direttamente ai cittadini. Infatti il Papa, quando si è rivolto ai parlamentari, ha detto: “Parlo a voi come rappresentanti di 500 milioni di persone”. Quindi parlava ai rappresentanti, perché fossero i portavoce coscienti ai loro elettori, ai loro cittadini, di questo. Quindi è un messaggio che dobbiamo sentire rivolto anche a noi cittadini: i cittadini sono i primi politici! Il discorso del Papa, l’idea di democrazia che egli presenta, è una democrazia con radici forti - religiose e anche di altri ideali non religiosi, ma purché ci siano i valori… questa idea dobbiamo farla nostra e organizzarci di conseguenza: andare al di là delle piccole misure umane e politiche, che tante volte ci vengono proposte dall’informazione quotidiana e abbeverarsi invece alle cose che contano veramente nell’esistenza.

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Il Papa riceve i nunzi in Uganda e Albania

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Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza mons. Michael A. Blume, arcivescovo tit. di Alessano, Nunzio Apostolico in Uganda e mons. Ramiro Moliner Inglés, Arcivescovo tit. di Sarda, Nunzio Apostolico in Albania.

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Pubblicato calendario celebrazioni del Papa a dicembre e gennaio

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Pubblicato oggi dal cerimoniere pontificio, mons. Guido Marini, il calendario delle celebrazioni presiedute da Papa Francesco a dicembre e gennaio. L’8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione, il Papa si recherà nel pomeriggio a Piazza di Spagna per il tradizionale Atto di Venerazione alla Vergine Maria. Venerdì 12, quindi, celebrerà la Santa Messa per l'America Latina nella Basilica Vaticana – alle ore 18 – in occasione della Festa della Beata Vergine Maria di Guadalupe. Il 14 dicembre, terza Domenica d’Avvento, Francesco si recherà in visita pastorale alla parrocchia romana di San Giuseppe all’Aurelio. Il 24 dicembre, alle ore 21.30, presiederà la Santa Messa della Notte. Quindi, il giorno del Natale del Signore, alle 12, impartirà la Benedizione “Urbi et Orbi” dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro. Mercoledì 31 gennaio, sempre nella Basilica petrina i Primi Vespri e il Te Deum in ringraziamento per l’anno trascorso.

Il primo gennaio 2015, Solennità di Maria Madre di Dio e 48.ma Giornata Mondiale della Pace, Papa Francesco celebrerà la Messa in San Pietro a partire dalle ore 10. Lo stesso farà il 6 gennaio Solennità dell’Epifania del Signore. Domenica 11 gennaio, quindi, nella Cappella Sistina, celebrerà la Messa e impartirà il Battesimo ad alcuni bambini, nel giorno della Festa del Battesimo del Signore. Dal 12 al 19 gennaio, Francesco compirà il suo settimo viaggio apostolico internazionale recandosi in Sri Lanka e Filippine. Infine, domenica 25 gennaio – Solennità della Conversione di San Paolo – presiederà la celebrazione del Vespri nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura. (A.G.)

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Colloquio cristiano-musulmano: no a ogni estremismo e violenza

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Si è concluso a Teheran il nono Colloquio tra il Centro per il dialogo interreligioso di cultura islamica e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, svoltosi il 25 e 26 novembre sotto la presidenza congiunta del dott. Abuzar Ibrahimi Turkaman e del cardinale Jean-Louis Tauran. Al centro dei lavori il tema: "Cristiani e musulmani in dialogo costruttivo per il bene della società”.

Al termine dell'incontro, è stata pubblicata una Dichiarazione congiunta in cui si sottolinea che due decenni di dialogo hanno fornito alle parti un’occasione per una migliore conoscenza e comprensione reciproca. I partecipanti hanno affermato che il dialogo tra cristiani e musulmani gioca un ruolo cruciale nel costruire una società migliore.

La Dichiarazione condanna ogni genere di estremismo e di violenza, in particolare in nome della religione. I partecipanti hanno deciso di tenere il prossimo colloquio a Roma nel 2016, preceduto da una riunione preparatoria il 2015.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Cantiere aperto: al congresso di pastorale delle grandi città Papa Francesco ripropone l’esperienza durante gli anni dell’episcopato a Buenos Aires.

Dove si versa il vino nuovo: il Papa alla plenaria della congregazione per i religiosi.

Alla vigilia del viaggio del Pontefice in Turchia, le interviste di Gaetano Vallini al presidente della Conferenza episcopale turca e di Barbara Castelli, del Centro televisivo vaticano, al cardinale segretario di Stato.

Il gesuita Matt Malone, direttore della rivista "America", sulla minaccia dell’ideologia per ogni democrazia, ma soprattutto per la Chiesa.

I due cuori di Milano: monsignor Cesare Pasini, prefetto della Biblioteca Vaticana, su Montini e l’insegnamento di Ambrogio e Agostino.

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Oggi in Primo Piano



Denis Mukwege: mondo inerte di fronte a stupri come arma di guerra

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“In un mondo di inversione di valori, rifiutare la violenza significa essere dissidente”: con queste parole Denis Mukwege, medico ginecologo congolese, ha ricevuto al Parlamento Europeo il Premio Sakharov, attribuito a chi si distingue nella difesa dei diritti umani. Mukwege denuncia l’uso dello “stupro come l'arma più economica di guerra”. Da 16 anni, Mukwege opera nell’ospedale Panzi a Bukavu ed ha assistito alcune delle migliaia di donne stuprate nella Repubblica del Congo in quella che definisce “una situazione formale né di guerra né di pace, ma di autentica impunità”. La sua è una denuncia forte e coraggiosa. La nostra inviata Fausta Speranza lo ha intervistato:

R. – Lorsque on parle du viol comme arme de guerre, j’ai l’impression que beaucoup de gens pensent que …
Quando si parla di stupro come di un’arma di guerra, ho l’impressione che molti pensino che si tratti di un rapporto sessuale non consenziente. Io penso che già un rapporto sessuale non consenziente distrugga profondamente la vittima. La gente non si rende conto della forza dell’azione compiuta, quando una donna è non solo stuprata collettivamente, davanti ai suoi figli, a suo marito, alla sua comunità, ma oltre a questo riporta anche ferite all’apparato genitale: tutto questo significa anche devastare la sua umanità, trattarla come un animale. E penso che se oggi ancora non ci sono prese di posizione serie nei riguardi di queste azioni è perché nella testa della gente c’è una grande confusione: si confondono questi atti di barbarie con un rapporto sessuale, e queste sono due cose completamente diverse! Io credo che si debbano tenere separati questi due aspetti.

D. – Cosa può fare il mondo?

R. – Aujourd’hui je pense que le monde n’a pas encore utilisé tous les leviers en sa possession pour ...
Penso che il mondo non abbia ancora azionato tutte le leve di cui dispone per mettere fine a questa situazione. Ho detto che c’è un grande problema di educazione. Oggi ci si può rendere conto che coltivare quella mascolinità, che io definisco negativa, che fa sì che l’uomo, crescendo, pensi che la donna non gli sia eguale, sia di per sé molto pericoloso. E questo si può fare già a livello locale. Io credo che non sia raro trovare in ogni cultura una mamma che dica al suo bambino, quando cade: “Non piangere, sei un maschietto!”. Ma che vuol dire, questo? “Non fare questo: tu sei un uomo!”: cosa vuol dire, questo? Credo che significhi semplicemente che “sei un uomo e quindi devi essere diverso, non hai diritto a provare emozioni, non hai il diritto a manifestare quello che sei” … Credo che si possano operare tanti cambiamenti, già a livello locale. Ho raccontato che in Africa, nella mia tribù, siamo stati capaci – per esempio – di eliminare l’incesto, e tutti sanno che l’incesto è un tabù. E allora, perché non si può considerare anche lo stupro come un tabù? Perché oggi si permette alle persone che hanno commesso degli stupri di girare per l’Europa senza sentirsi preoccupati? Ci sono tante cose che si potrebbero fare: sul piano diplomatico, politico, economico e finanziario … Si possono congelare i beni di coloro che hanno commesso questi crimini. Bisogna rafforzare le competenze dei tribunali internazionali perché possano trattare di questi crimini. Ci sono tante cose che si potrebbero fare e che invece non sono ancora state fatte. Credo che noi abbiamo bisogno anche dell’intervento del Parlamento Europeo, abbiamo bisogno che gli europei ci sostengano in questa lotta.

D. - Com'è la vita di una donna stuprata?

R. - Penso che ogni donna stuprata abbia la propria storia e che ciascuna storia sia altrettanto dura e difficile da vivere come la storia successiva … C’è stato un momento in cui ho pensato di avere ormai ascoltato e visto il peggio del peggio, mentre mi sorprende il fatto che con ogni nuovo caso scopro che c’è sempre di peggio rispetto a quello che avevo già visto, al punto che quando mi si chiede di raccontare una delle peggiori storie, mi chiedo da quale incominciare. Ho conosciuto una donna che era venuta in ospedale perché era incinta. E lei ci ha raccontato la sua storia. Quando era stata catturata per essere ridotta in schiava del sesso, tutta la sua famiglia era stata trucidata da quegli assassini. Rimase sola al mondo. Quando arrivò all’ospedale, portava in grembo il frutto di chi le aveva sterminato la famiglia. Ha partorito un mese dopo e mi disse: “Non posso vivere con questo figlio, perché ogni volta che lo guardo mi si ripresenta l’immagine della mia famiglia scomparsa, mi viene in mente che oggi sono sola … e guardare un bambino che mi ricorda tutto questo, mi fa male. Ma questo bambino è assolutamente innocente: non ha partecipato …”. E puoi solo lontanamente immaginare quale dramma possa vivere una donna …

D. – Lei ha detto che gli stupri sono un’arma di guerra. Ma in questi 21 anni di suo impegno per queste donne, non è cambiato niente?

R. – Ça fait 16 ans que je travaille avec ces femmes. Ce que je vois c’est beaucoup plus le …
Sono 16 anni che lavoro per queste donne. Quello che rilevo in particolare è piuttosto il cambiamento del metodo o della tattica, ma in definitiva credo che questa forma di violenza continui e che purtroppo, siccome l’impunità è ormai affermata, accade che chi compie questi stupri continui a farlo nella piena impunità. Anche se ad oggi si può osservare una diminuzione quantitativa, è però aumentata la gravità delle lesioni.

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Centrafrica: mediazione di S.Egidio nel rilascio di 16 ostaggi

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L’esercito camerunese ha liberato 16 ostaggi nelle mani del gruppo ribelle centrafricano del Fronte Democratico. Tra gli ostaggi, il missionario polacco, Mateusz Dziedzic, rapito lo scorso ottobre. Soddisfazione per la felice conclusione della vicenda è stata espressa dalla Comunità di Sant'Egidio, che fin dall'inizio del rapimento ha seguito le trattative. Giancarlo La Vella ne ha parlato con don Angelo Romano, addetto alle Relazioni Internazionali della Comunità: 

R. – Il ruolo della Comunità di Sant’Egidio è stato di seguire passo passo tutte le fasi della trattativa. Dopo il rapimento, una delegazione della Comunità si è recata in Centrafrica nella zona di frontiera dove sarebbe stato possibile comunicare con questo gruppo di ribelli. Così, questa delegazione ha facilitato i contatti tra questo gruppo ribelle e il governo camerunese, perché c’è una serie di richieste, soprattutto di tipo politico. Nel senso che questo gruppo ribelle, nel quadro centrafricano, è un po’ una frangia dimenticata del mosaico di gruppi armati che purtroppo compongono il quadro del Centrafrica oggi. Mentre altri gruppi armati centrafricani sono ormai connessi, in un modo o nell’altro, al quadro istituzionale, questo gruppo, che pure ha una lunga storia, è rimasto completamene dimenticato. E purtroppo a Sant’Egidio abbiamo una certa esperienza del fatto che i conflitti dimenticati prima o poi riemergono. E questo è riemerso con il rapimento di diversi cittadini camerunesi e di molti altri cittadini centrafricani.

D. – Un esempio, questo, di come sia possibile un dialogo anche con chi sceglie la via del confronto bellico …

R. – Sì: Sant’Egido è particolarmente presente nel dialogo per la pace in Centrafrica. Abbiamo iniziato a lavorare su questo quando il Centrafrica non era neanche sulle prime pagine dei giornali, perché crediamo che il Centrafrica sia un Paese molto importante proprio per la sua coabitazione tra cristiani e musulmani, coabitazione che è stata messa in pericolo da una logica di guerra, da una logica di scontro … Recentemente abbiamo facilitato l’organizzazione di un incontro di una grossa delegazione di musulmani centrafricani qui, a Roma, incontro che ha avuto come effetto il miglioramento delle relazioni della comunità islamica di Bangui con la Chiesa cattolica e con le alte Chiese cristiane. Una delegazione di questa comunità islamica di Bangui sta partecipando a un incontro organizzato dalla Muhammaddiyah, un’organizzazione islamica indonesiana con cui Sant’Egidio collabora e che tra l’altro ha coinvolto la Comunità di Sant’Egidio nel processo di pace di Mindanao. Il problema è creare reti di collaborazione e di sinergie positive.

D. – Qual è la situazione della popolazione, dopo tanti mesi di conflitto?

R. – C’è un progresso grazie all’intervento delle Nazioni Unite, che finalmente e lentamente sta riprendendo il controllo di tutto il territorio nazionale, cosa estremamente importante; c’è un miglioramento della situazione ma rimane il fatto di un Paese che ha bisogno di ricostruire i fondamenti dello Stato. Quindi, c’è ancora insicurezza, ci sono ancora problemi, come è evidente anche dalla storia di padre Mateus. Il lavoro della Chiesa centrafricana è estremamente importante: ricordiamo che proprio l’arcivescovo di Bangui è tra i promotori del dialogo interreligioso e della collaborazione tra le comunità religiose in Centrafrica. A breve, a Sant’Egidio ci sarà un incontro di preparazione di rappresentanti di partiti politici per le prossime elezioni, che crediamo siano un passo importante non solo per l’elezione di un presidente in se stessa, ma per la rifondazione di una base comune di coabitazione per tutti i centrafricani.

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Gender a scuola: insegnanti pronti all'obiezione di coscienza

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La teoria del gender continua ad essere diffusa nelle scuole italiane all’insaputa dei genitori. La segnalazione arriva dal Comitato Articolo 26 che cita casi di istituti di ogni ordine e grado in particolare a Roma: la denuncia riguarda la  scelta del Comune di assegnare prevalentemente ad associazioni filo Lgbt  campagne di educazione sessuale e di contrasto al bullismo. Il servizio di Paolo Ondarza

Introdurre un’educazione sessuale che “decostruisca” e “trasgredisca” i modelli di genere dominanti, promuova  transessualismo, transgenderismo, intersessualismo sui banchi di scuola già nei primi 4 anni di vita per “liberare da stereotipi e pregiudizi”, da un “approccio dicotomico” alla sessualità. Favorire una didattica che adotti libri di testo con un linguaggio non sessista che ad esempio sostituisca alle vocali “a” e “o”, identificanti il maschile e femminile, un asterisco. Sono solo alcune delle proposte emerse durante la due giorni “Educare alle differenze” promossa per il mondo della scuola, con il patrocinio di Roma Capitale, da un’associazione Lgbt, la stessa cui il Comune ha assegnato tra gennaio e maggio scorsi la gestione del corso di formazione per 200 educatrici di nido e scuole dell’infanzia “La scuola fa la differenza”. A far scattare la denuncia del  Comitato Articolo 26 la segnalazione di alcuni docenti partecipanti al convegno di inizio anno scolastico:

R. - Sono stata male dopo la partecipazione a questo convegno, come docente e come madre. Ero andata per comprendere che cosa significasse educare alle differenze… Io mi sono accorta che ero in un contesto per nulla scientifico! Si è parlato di dare un’educazione sessuale nelle scuole, senza coinvolgere le famiglie. No, io non ci sto! E’ stato chiesto ai docenti di insegnare che la famiglia che si basa sul matrimonio tra un uomo e donna non è un modello e non si può offrire come norma … No! Io, come tante docenti, a dire le bugie ai nostri alunni non siamo disposte!

D. - Se la causa è buona - ovvero la lotta al bullismo omofobico, l’educazione alle differenze - però, va cambiato l’approccio: ci vuole un’altra modalità, sta dicendo?

R. – Certo! Io credo che tutte le persone che hanno partecipato a questo convegno come me siano rimaste sorprese dal fatto che le centinaia di associazioni Lgbt come l’Arcigay, il Gay Center, la Fenice Gay, non hanno competenze psicopedagogiche per affermare che non esiste più il dato di essere maschi e femmine: si tratta di un dato fondamentale per l’Io del bambino in tenera età. Questo non è condivisibile! In questo convegno è stata richiesta anche l’attuazione di una norma della legge 219 che chiede una formazione obbligatoria all’educazione di genere agli insegnanti. Bene, io chiedo alla ministra di pronunciarsi su questo: perché se si intende quello che abbiamo ascoltato durante il convegno per educazione di genere, io mi candido ad essere la prima insegnante obiettrice di coscienza! Riaffermo che nella mia classe, come in tutte le scuole di Italia, tutti i giorni si educa e si deve educare contro il bullismo. E chiedo scusa, ma voglio dirlo a tutti i giovani che fossero in ascolto: noi dobbiamo accogliere tutte le persone. Ma da qui a fare un indottrinamento, senza coinvolgere le famiglie, senza un dibattito scientifico e culturale… chi siamo noi per far entrare queste sperimentazioni con questa superficialità?

Tra gli obbiettivi della “strategia” c’è  la promozione di un’editoria pro Lgbt nelle scuole, a fronte della presa di coscienza da parte della Chiesa e delle famiglie. E ancora: creare tra i ragazzi di 14-18 anni lo “spazio necessario per identificazioni "inter" e  "trangender” e “promuovere leggi sull’educazione alle differenze”. Non solo: le associazioni filo-Lgbt si propongono di “fare pressione presso le istituzioni” perché siano inseriti gli studi di genere nei criteri per accedere all’abilitazione all’insegnamento. Questa la motivazione: nella scuola, oggi, l’identità umana è presentata in modo androcentrico e razzista.

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Presentate le linee guida per proteggere l'arte nelle chiese italiane

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Capire in che modo proteggere i numerosi beni artistici ed architettonici presenti nelle chiese italiane. Questo l’obiettivo delle “Linee guida sui beni culturali ecclesiastici”, presentato dalla Conferenza Episcopale italiana in collaborazione con il Ministero dei Beni culturali e l’Arma dei carabinieri, questa mattina a Roma. All’incontro è intervenuto anche il ministro Dario Franceschini che ha sottolineato come questo patrimonio debba essere fruibile al pubblico, ma che è necessaria anche una particolare attenzione verso di esso. Il servizio di Marina Tomarro

Il 40 % dei beni artistici trafugati appartiene alle oltre 95 mila chiese sparse sul territorio italiano e che contengono spesso beni artistici di valore inestimabile. E’ questo il primo dato emerso dalle linee guida per la tutela dei beni culturali ed eclesiastici. Sono oltre 3 milioni ed 800 mila i beni storici ed artistici inventariati: diventa fondamentale allora la collaborazione tra carabinieri e Chiesa. Ascoltiamo mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana:

“In genere, soprattutto i parroci di periferia, come me, dovevano contare su qualcuno, qualcuno che li proteggesse. La sinergia tra l’Arma, il Nucleo di tutela per i Beni Culturali, e anche tutto il lavoro che l’Ufficio della Conferenza episcopale italiana fa per la custodia e per la tutela di questi beni, è straordinaria: è veramente supporto serio a chi si trova in difficoltà. Questi poveri vasi di coccio che hanno dentro grandissimi tesori”.

Importantissima è anche la conservazione di questi tesori. Attualmente sono circa 700 i cantieri di restauro aperti nelle diverse chiese italiane. E fondamentale è anche la formazione dei parroci. Ancora mons. Galantino:

“Molte volte, purtroppo, chi ha in custodia questi beni non sempre ci arriva preparato, non sempre vive questo rapporto con i beni in maniera corretta. Molte volte – dobbiamo dirlo, con grande dolore – c’è superficialità e c’è pressapochismo anche nella custodia dei beni. E non mi riferisco qui soltanto alla Chiesa o alle chiese. Grazie a Dio, però, è cresciuta tantissimo la sensibilità. D’altra parte queste linee guida sono un po’ il frutto della collaborazione tra il nostro ufficio e anche il Comando dei Carabinieri”.

Proteggere queste opere vuol dire tutelare il passato guardando verso il futuro:

“Il nostro impegno è proprio questo, attraverso questo strumento: cercare di rafforzare e creare sempre maggiore sensibilità rispetto a questa sensibilità. Non sono beni nostri, sono beni che ci vengono dal passato; sono valori che noi non possiamo assolutamente lasciar cadere o comunque trascurare”.

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Raccolta di solidarietà nella parrocchia di S. Anna in Vaticano

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Il 27 e 28 novembre alcuni volontari del gruppo Caritas della parrocchia pontificia di Sant’Anna in Vaticano, dalle 7.30 alle 17.30, raccoglieranno all’Annona vaticana generi alimentari e prodotti per l’infanzia. Si tratta di una delle tante iniziative pensate nel periodo natalizio per integrare l’ordinaria l’assistenza che durante tutto l’anno la parrocchia del Papa assicura a centinaia di poveri ed indigenti. Tiziana Campisi ne ha parlato con il parroco, padre Bruno Silvestrini

R. – Invitiamo coloro che ascoltano ad essere generosi nell’aiutare con i generi alimentari perché possiamo aiutare e stiamo aiutando tante persone. Fino ad oggi abbiamo avuto tantissima generosità da parte delle persone che, uscendo dall’Annona, donano quello che hanno, quello che possono e anche di più. È un’esperienza bella, perché tocchiamo con mano la sensibilità delle persone che frequentano il Vaticano; non pensano solo a loro stesse. Le feste di Natale si stanno avvicinando, quindi sono tanti i doni che si pensano di fare, ma c’è anche la sensibilità di pensare a coloro che soffrono e che hanno fiducia di noi. Noi li ringraziamo per tutto questo.

D. – Come viene organizzata la distribuzione?

R. – La Caritas del Vaticano non ha dipendenti, ma solamente volontari. C’è un presidente e dei collaboratori che fanno un turno prolungato dalla mattina alla sera; sono lì a disposizione per ricevere, per essere consultati, per sensibilizzare. Tutto questo per amore perché è il Signore che ci dice che dobbiamo saper amare Lui e, in Lui, saper affrontare ed avere attenzione verso i poveri, verso gli ultimi, verso le persone che sono nel bisogno.

D. – Il 29 e 30 novembre viene proposto invece un mercatino. Di cosa si tratta in particolare?

R. – Noi siamo sempre disposti a dare nuove idee. Quest’anno l’idea è quella il presepe tradizionale, perché nelle nostre case adesso ci sono gli alberi di Natale, ci sono tanti altri oggetti, i Babbo Natale, ma molte volte manca proprio il centro per cui il cristiano fa la sua festa del Natale, Gesù che si incarna. Ed ecco che abbiamo offerto, ed offriamo alle persone, attraverso un piccolo mercatino dei bellissimi presepi in legno di olivo che viene dalla Terra Santa; presepi molto belli, pregiati, preziosi, ma anche semplici, piccoli, che tutti possono acquistare per portare a casa un segno dell’amore di Dio, un segno dell’infanzia, della bellezza dell’infanzia di Gesù, Figlio di Dio, Gesù bambino che entra a far parte della nostra famiglia.

D. – La raccolta di fondi ricavati attraverso la vendita di questi presepi a cosa servirà?

R. – Per aiutare i bambini orfani che si trovano nelle Ande del Perù, nella parte alta dove ci sono tanti orfanotrofi. In questo modo cerchiamo di aiutare i bambini che vivono in queste strutture o in condizioni di estrema povertà.

D. – C’è un’altra iniziativa: quella dell’associazione “Madri cristiane”, dal 5 all’11 dicembre: cosa proporranno?

R. – Sono delle mamme e delle nonne che vengono in parrocchia e che ogni martedì dell’anno seguono degli incontri di spiritualità, di adorazione eucaristica e di formazione culturale e religiosa. Ma sia nel periodo di Natale, così come in quello di Pasqua, offrono a tutti una possibilità per poter aiutare le persone con un’iniziativa che si chiama con un nome bellissimo: “Pregare con le mani”. Ciò che le madri cristiane possono fare lavorando a mano, cucendo, facendo l’uncinetto e tante altre attività lavorando a maglia durante l’anno, viene donato a chi ha bisogno e, in modo particolare, a quei giovani seminaristi che non possono entrare in seminario perché non hanno un sostentamento economico. Quindi si aiutano i seminaristi che vengono da lontano – dall’India, dall’Asia, dall’Africa – inviando i soldi raccolti ai rettori dei seminari o ai responsabili delle diocesi.

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Inaugurata la mostra dei "100 presepi" a Roma

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Anche quest'anno il complesso della Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma ospita la mostra “100 presepi”. L’evento, inaugurato oggi, è stato organizzato dall’associazione “Rivista delle nazioni” con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e della Presidenza della Repubblica italiana. In esposizione oltre duecento presepi da tutto il mondo. Il servizio di Michele Raviart

Vengono da 42 Paesi di tutto il mondo le opere della 39.ma edizione della mostra “100 presepi”. 212 racconti diversi della Natività, scelti tra quasi cinquecento proposte. Raffigurazioni più tradizionali o sperimentazioni con materiali di ogni tipo. Resina dal Brasile, foglie di mais da El Salvador, ma anche plexiglass dalla Croazia o filo di zinco dalla Slovacchia. Mariacarla Menaglia, curatrice della mostra:

“Per esempio ce n'è uno con 42 tipi di pasta alimentare; un altro, in un guscio di uovo; un altro ancora, in un guscio di noce; con i sassi… Alcuni sono proprio degli artisti che lo fanno per mestiere, ma altri sono degli amatori. Ne abbiamo uno che fa un presepe nel quale riproduce un angolo di 'Roma sparita', che è un avvocato… Poi ci sono i bambini delle scuole, poi ci sono quelli delle associazioni sociali...”.

La particolarità di quest’anno sono gli oltre venti presepi intagliati a mano nel corallo secondo la tradizione napoletana, realizzati dall’ “Assocoral” di Torre del Greco. La mostra è allestita in quello che è stato lo studio dell’architetto Donato Bramante. Gli alunni della scuola materna “il Giardino Incantato” di Roma lo hanno omaggiato, durante l’inaugurazione, con un presepe vivente in costume cinquecentesco. “100 presepi” è un’occasione per ribadire l’importanza di una tradizione secolare, come ci spiega mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione:

“La manifestazione ci dà la possibilità di rivivere un momento particolare nella storia della fede e delle nostre famiglie: quello della centralità per noi del mistero di un Dio che si fa uomo, ma soprattutto è la possibilità per trasmettere quelle tradizioni che hanno fatto vivere a tutte le nostre famiglie dei momenti attraverso i quali la realizzazione dei presepi nelle proprie case è stato anche un forte momento di catechesi per rinvigorire la fede e per trasmettere alle generazioni più giovani”.

La mostra sarà aperta tutti i giorni, compresi i festivi, fino al 6 gennaio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Venezuela: muoiono 21 carcerati in sciopero della fame

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In Venezuela si è concluso tragicamente lo sciopero della fame portato avanti da alcuni detenuti per protestare contro i trattamenti disumani e le ripetute violazioni dei diritti. 21 di loro sono morti in seguito ad un’intossicazione da farmaci. Teatro della drammatica vicenda il carcere di Uribana, nel nord del Paese. Il carcere, nelle intenzioni delle autorità venezuelane, dovrebbe essere uno dei 70 carceri modello, ai quali viene applicato il nuovo regime penitenziario, che mette fine alle condizioni di anarchia e violazione dei diritti umani. Ma le proteste dei reclusi mettono ancora una volta in evidenza le drammatiche condizioni carcerarie nel Paese latino-americano. Lunedì scorso l’avvio dello sciopero della fame per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Durante l'ammutinamento, le autorità del carcere avevano abbandonato la prigione, permettendo così ai reclusi di prendere il controllo dell'infermeria, dove erano custoditi i medicinali. Da qui, con lo scopo di rendere ancora più dura ed evidente la protesta, la preparazione di un micidiale cocktail di farmaci – antibiotici, anti-ipertensivi, antiepilettici e alcol – che, oltre ai decessi, ha provocato la grave intossicazione di almeno 145 carcerati. (G.L.V.)

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La realtà di Haiti, a quasi cinque anni dal terremoto

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Haiti si prepara a ricordare il quinto anniversario del terribile terremoto che devastò l’isola il 12 gennaio 2010. Vicoli attraversati da fogne a cielo aperto e bambini che giocano tra montagne d’ immondizia: ecco il benvenuto in un luogo che evoca violenza e orrore: Cité Soleil, baraccopoli di Port au Prince, una delle aree più pericolose dell’emisfero occidentale. 300 mila persone, le gang armate impongono ancora la loro legge e gli spari scandiscono l’esistenza in questa bidonville racchiusa tra il mare e le macerie del terremoto. Ma tra i solchi del sisma si scovano anche storie di rinascita come Radio Boukman, la sola emittente di Cité Soleil. Una radio comunitaria nata per dare aiuto e sostegno alla popolazione del quartiere. “Noi facciamo informazione e sensibilizziamo le persone - ha raccontato il capo redattore Jean Joceler - durante i giorni del terremoto spiegavamo dove radunarsi e dove fossero i punti di distribuzione dei viveri. Poi, con il colera, lanciavamo appelli su come comportarsi e prevenire così il contagio”. Ogni giorno in onda programmi per educare i ragazzi al lavoro, all’attività scolastica e di denuncia contro le bande armate. Non mancano le minacce, ma i 35 giornalisti dell’emittente proseguono nel diffondere parole di vita, in una realtà che per troppo tempo ha conosciuto soltanto grida di morte. (Daniele Bellocchio)

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L'arcidiocesi di Karachi lancia prima web radio cattolica del Pakistan

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Diffondere l’annuncio del Vangelo nell’etere: è questo il fine di “Good News Radio”, la prima radio cattolica nata in Pakistan e lanciata dall'arcidiocesi di Karachi, guidata dal vescovo Joseph Coutts, che è anche presidente della Conferenza episcopale del Pakistan. Come riferito all’agenzia Fides da padre Arthur Charles, segretario della Commissione per le comunicazioni sociali dei vescovi pakistani, l’inaugurazione si è svolta nella scuola superiore di St. Patrick, a Karachi, nei giorni scorsi, alla presenza di oltre mille fedeli. Alle trasmissioni collaboreranno preti, religiosi e laici. Un gruppo di 7 volontari garantisce sei ore di contenuti originali dal vivo ogni giorno. P. Arthur Charles, che ha ideato il progetto, spiega a Fides che la web radio offre grandi opportunità e osserva: “Se non possiamo andare in luoghi difficili o remoti a predicare il messaggio di Gesù, con la radio e gli altri mass media portiamo il Vangelo ovunque. E’ come gettare un seme”. “Good News Radio”, prosegue l’agenzia Fides, sarà più di una semplice “talk radio”, spiegherà l’insegnamento della Chiesa, commentando questioni sociali, eventi globali, attualità, ma proponendo anche teologia e apologetica. L’arcivescovo Joseph Coutts ha commentato: “Rendiamo grazie a Dio e mettiamo il progetto della radio nelle sue mani. Speriamo che le persone in tutto il Paese ricevano un messaggio di speranza per migliorare la loro vita secondo valori di pace, amore e armonia”. (A.G.)

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Mons. Galantino alla “Cattolica”: giocare d’anticipo sulla realtà

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Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, ha inaugurato questa mattina a Roma l'anno accademico 2014/15 dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con una Messa celebrata nella chiesa della facoltà di Medicina. Nel corso dell'omelia, di fronte ai vertici dell'ateneo, in primis il rettore Franco Anelli, e ad alcuni studenti, il presule – riferisce l’agenzia Sir – ha esortato la comunità universitaria a “giocare d‘anticipo sulla realtà”, in modo da “attrezzarsi a preparare le risorse critiche a domande che largamente ci vengono poste”. Se non si fa questo, ha detto mons. Galantino, i cattolici “rischiano di essere ripetitivi, come certi film che si trasmettono in televisione nei mesi di luglio e agosto”. “La nostra storia – ha detto ancora – è segnata dal bene e dal male, dalla compresenza del bene e del male. Siamo tutti impastati di cieli e di terra, lo sperimentiamo ogni giorno”. “Il credente - ha spiegato ancora il segretario della Cei - è colui che attraversa la storia con una certezza: il Signore non ci abbandona nella fatica di ogni giorno. Il male non è destinato a essere l’ultima parola, a prendere il sopravvento”. (A.G.)

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Camilliani: incontro per promuovere vocazioni e pastorale giovanile

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Promuovere le vocazioni e la pastorale giovanile sul territorio nazionale, creando una sinergia fra le varie “anime” del mondo camilliano. È lo scopo dell’incontro che si terrà nella Casa generalizia dell’Ordine, a Roma, sabato 29 novembre. La data scelta non è casuale, informano i promotori dell’evento in un comunicato, visto che il giorno seguente la Chiesa aprirà l’Anno della Vita consacrata. “L’appuntamento – spiega il camilliano fratel Carlo Mangione – nasce dal desiderio di far fruttare l’esperienza dell’anno giubilare concluso a luglio. Vogliamo così intraprendere un cammino di condivisione e comunione più intensa con tutta la grande Famiglia di San Camillo e, in modo particolare, collaborare per quanto riguarda la promozione vocazionale e la pastorale giovanile in tutta Italia”. All’incontro del 29 novembre saranno presenti i rappresentanti dei religiosi camilliani delle tre Province italiane, delle Ministre degli Infermi di San Camillo, delle Figlie di San Camillo, delle Ancelle dell’Incarnazione e dell’Istituto secolare Missionarie degli Infermi di Cristo Speranza. Il programma della giornata prevede alle ore 9.30 un momento di preghiera e una riflessione di padre Laurent Zougrana, vicario generale dell’Ordine e incaricato della formazione; a seguire, fratel Carlo Mangione illustrerà il progetto vocazionale, su cui si concentrerà il dialogo assembleare. Dopo il pranzo, i lavori riprenderanno alle ore 14.30 con la presentazione del documento programmatico conclusivo. Alle ore 16.30, il superiore generale dei Camilliani padre Leocir Pessini presiederà una celebrazione eucaristica all’altare di San Camillo, nella chiesa di Santa Maria Maddalena annessa alla Casa generalizia. I partecipanti all’incontro, conclude la nota dei camilliani, interverranno inoltre ai due appuntamenti che segnano l’apertura ufficiale dell’Anno della Vita consacrata: la veglia di preghiera nella Basilica di Santa Maria Maggiore (sabato 29 novembre alle ore 19.00) e la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro (domenica 30 novembre alle ore 10). (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 331

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.