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Sommario del 28/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ad Ankara: diritti e libertà religiosa per tutti, base per la pace

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Non ci si deve rassegnare ai conflitti, occorre il coraggio della pace. E’ l’appello di Papa Francesco al suo arrivo in Turchia, lanciato durante l’incontro con le autorità del Paese, nel quale ha anche chiesto ai credenti di tutte le fedi di unirsi per contrapporsi al fanatismo e al fondamentalismo. Francesco ha poi invocato medesimi diritti e medesimi doveri per i credenti di tutte le religioni. Da Istanbul, Francesca Sabatinelli

Ponte naturale tra due continenti, la Turchia ed il suo laborioso e generoso popolo oggi hanno un ruolo fondamentale nel concerto delle nazioni. Nel suo primo discorso diretto alle autorità del Paese, Francesco elogia il percorso di dialogo consolidatosi negli anni tra i suoi predecessori e le autorità turche, un cammino che non deve mancare però di valorizzare sia gli aspetti in comune sia le differenze. Invita poi apertamente a costruire una pace solida “fondata sul rispetto dei fondamentali diritti e doveri legati alla dignità dell’uomo”. Perché è così che si superano “pregiudizi e i falsi timori” per lasciare spazio “alla stima, all’incontro, allo sviluppo delle migliori energie a vantaggio di tutti”:

“A tal fine, è fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione –, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri. Essi in tal modo più facilmente si riconosceranno come fratelli e compagni di strada, allontanando sempre più le incomprensioni e favorendo la collaborazione e l’intesa. La libertà religiosa e la libertà di espressione, efficacemente garantite a tutti, stimoleranno il fiorire dell’amicizia, diventando un eloquente segno di pace”.

Francesco parla della guerra, e di come da troppi anni insanguini il Medio Oriente, di quella violenza che si consuma a pochi chilometri da dove lancia il suo messaggio. Queste guerre fratricide, dice, “sembrano nascere l’una dall’altra, come se l’unica risposta possibile alla guerra e alla violenza dovesse essere sempre nuova guerra e altra violenza”:

“Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente a causa della mancanza di pace? Non possiamo rassegnarci alla continuazione dei conflitti come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione! Con l’aiuto di Dio, possiamo e dobbiamo sempre rinnovare il coraggio della pace! Questo atteggiamento conduce ad utilizzare con lealtà, pazienza e determinazione tutti i mezzi della trattativa, e a raggiungere così concreti obiettivi di pace e di sviluppo sostenibile”.

Il dialogo interreligioso e interculturale, dice il Papa rivolgendosi direttamente al presidente Erdogan, sono due elementi fondamentali del cammino verso la pace, “così da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo, che umilia gravemente la dignità di tutti gli uomini e strumentalizza la religione”:

“Occorre contrapporre al fanatismo e al fondamentalismo, alle fobie irrazionali che incoraggiano incomprensioni e discriminazioni, la solidarietà di tutti i credenti, che abbia come pilastri il rispetto della vita umana, della libertà religiosa, che è libertà del culto e libertà di vivere secondo l’etica religiosa, lo sforzo di garantire a tutti il necessario per una vita dignitosa, e la cura dell’ambiente naturale”.

Di questo hanno bisogno popoli e stati del Medio Oriente. E’ ripudiando guerra e violenza, perseguendo  il dialogo, il diritto e la giustizia che si può “invertire la tendenza” e proseguire con successo nel processo di pacificazione:

“Fino ad oggi, infatti, siamo purtroppo ancora testimoni di gravi conflitti. In Siria e in Iraq, in particolar modo, la violenza terroristica non accenna a placarsi. Si registra la violazione delle più elementari leggi umanitarie nei confronti dei prigionieri e di interi gruppi etnici; si sono verificate e ancora avvengono gravi persecuzioni ai danni di gruppi minoritari, specialmente - ma non solo -, i cristiani e gli yazidi: centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e la loro patria per poter salvare la propria vita e rimanere fedeli al proprio credo”.

Francesco riconosce l’impegno di Ankara nell’accoglienza ai profughi che si sono riversati numerosi dalle zone di conflitto. La comunità internazionale, dice, ha “l’obbligo morale di aiutarla nel prendersi cura” di queste persone:

“Insieme alla necessaria assistenza umanitaria, non si può rimanere indifferenti di fronte a ciò che ha provocato queste tragedie. Nel ribadire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale, voglio anche ricordare che non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare”.

Il Papa invita le autorità ad un “forte impegno comune, basato sulla fiducia reciproca, che renda possibile una pace duratura” e consenta di destinare risorse e non armamenti alle vere lotte degne dell’uomo, quelle contro la fame e le malattie, e poi “per lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia del creato, in soccorso di tante forme di povertà e marginalità” del mondo moderno.

La Turchia, è la conclusione, per la sua storia, per la posizione geografica, per il ruolo nella regione, ha una grande responsabilità, e quindi “le sue scelte e il suo esempio possiedono una speciale valenza e possono essere di notevole aiuto nel favorire un incontro di civiltà e nell’individuare vie praticabili di pace e di autentico progresso”.

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Turchia: rapporti tra Stato e religioni, intervista con Cenap Aydin

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La prima giornata del Papa in Turchia è dedicata all'incontro con le autorità politiche del Paese. Sul rapporto tra Stato turco e comunità religiose Francesca Sabatinelli ha sentito Mustafa Cenap Aydin, ricercatore dell’Università Gregoriana e direttore dell’Istituto Tevere, associazione culturale impegnata nel dialogo interculturale e interreligioso: 

R. – Il rapporto tra le comunità religiose e lo Stato turco non è sempre stato molto facile. Certamente, in Turchia c’è un laicismo che spesso non ha favorito la presenza delle comunità religiose con piena libertà religiosa, inoltre, lì dobbiamo essere molto attenti a come definire la libertà religiosa, perché non parliamo soltanto della libertà di culto. Faccio un esempio: il Seminario del Patriarcato ecumenico sull’Isola di Halki è chiuso da 40 anni. E’ vero che le chiese ortodosse sono aperte e che i greco-ortodossi che vi si recano possono pregare, ma se non hanno la possibilità di formare i sacerdoti, il clero, come possiamo parlare di libertà di culto? Quindi, questo è un problema ancora attuale. Negli ultimi anni, soprattutto negli ultimi 10 anni, parliamo di un progresso, nel senso che dal 2000 al 2008-2010 la Turchia ha fatto qualche ulteriore passo avanti adottando le riforme europee. L’aiuto dell’Europa è molto importante, soprattutto sul piano dei diritti umani fondamentali: ci sono stati casi di proprietà confiscate dallo Stato turco che sono stati portati a Strasburgo, alla Corte europea dei diritti umani. Sulla scia di tutti questi avvenimenti, lo Stato turco aveva preso qualche iniziativa per il progresso in questo campo, ma negli ultimi due-tre anni questo percorso sembra essersi fermato un po’, pur avendo sempre un dialogo. Non parliamo solo di comunità religiose etniche storiche, oggi la Turchia ospita ormai due milioni di siriani che non parlano turco, non sono tutti musulmani, quando anche fossero musulmani, sappiamo bene che l’islam è diverso a seconda degli ambienti. Quindi, l’islam anatolico non è l’islam siriano e quindi questi profughi, venendo in Turchia, portano anche il loro bagaglio culturale, religioso e linguistico e adesso la Turchia si trova anche a dover affrontare questo grande problema. Secondo me, non può risolvere questo problema senza aiuto internazionale, senza l’appoggio della comunità internazionale.

D. – I profughi sono tutti coloro che in questi anni sono fuggiti dalla guerra in Siria, guerra che preme alle porte della Turchia che però si trova a combattere anche con il pericolo del sedicente Stato islamico, parliamo del “califfato”, che è penetrato in territorio turco. In qualche modo, la visita del Papa richiamerà quell’attenzione della comunità internazionale che la Turchia sta chiedendo fortemente?

R. – Certamente la visita del Papa è molto importante in questo senso: conosciamo infatti molto bene la vicinanza del Papa ai profughi, non solo ai profughi ma a tutti gli emarginati. Io direi che si dovrà tenere conto non solamente del messaggio che Papa Francesco pronuncerà in Turchia, ma anche i messaggi molto chiari che lui ha lanciato in passato. Ricordiamo bene, quasi un anno fa, nel documento “Evangelii gaudium” il Papa ha detto chiaramente che l’interpretazione adeguata del Corano da parte dei musulmani autentici non permetterebbe mai alcun tipo di violenza, come anche il Corano non può mai essere interpretato per giustificare la violenza.

D. – In prossimità della partenza di Papa Francesco, viene rievocata la visita che Benedetto XVI fece alla Moschea Blu, quell’importante momento di raccoglimento. Papa Francesco andrà, anch’egli, alla Moschea Blu con gesti che faranno capire l’amicizia e la fraternità verso l’islam …

R. – Certamente, questa visita alla Moschea Blu è molto importante. La visita di Papa Benedetto era stata molto apprezzata perché la Moschea Blu è molto importante e ha un forte valore simbolico non soltanto per la Turchia ma per tutto il mondo musulmano, è una moschea con sei minareti, un’opera eccezionale. La visita del Papa Benedetto fu certamente molto apprezzata dal media turchi e da quelli musulmani, perché fu un momento di riconciliazione, di apertura. Ricordiamo bene quel momento di silenzio, interpretato anche come momento di preghiera. Adesso, certamente, la scelta di Papa Francesco di andare lì e anche a Santa Sofia rappresenta un fortissimo gesto, legato sempre a tutti i gesti di Papa Francesco per il dialogo islamo-cristiano soprattutto. Per questo, questo gesto riceverà un’accoglienza molto positiva dal popolo turco e più in generale dalla gente di fede musulmana nel mondo.

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Laki Vingas: il Papa dà grande forza ai cristiani in Turchia

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La dimensione ecumenica è al centro del viaggio di Papa Francesco in Turchia: domenica il Pontefice firmerà col Patriarca Bartolomeo una Dichiarazione congiunta a Istanbul. Ascoltiamo in proposito un noto esponente ortodosso del Paese, Laki Vingas, collaboratore del Patriarcato ecumenico e rappresentante delle Fondazioni delle minoranze non musulmane in Turchia. L’intervista è di Francesca Sabatinelli

R. – Ogni volta che un Pontefice arriva in Turchia, a noi cristiani dà una grande forza. Crediamo molto alla presenza di Sua Santità Papa Francesco e attendiamo messaggi per tutti: messaggi per il futuro, messaggi di fede, messaggi di rispetto della coscienza, di amore e di cammino insieme alla Chiesa ortodossa per un futuro unico. Il nostro Patriarca ecumenico crede molto ad un futuro comune ed io, come figlio di una mamma cattolica  e di un papà ortodosso, l’ho vissuto sempre nella mia vita e sono molto fiero e molto felice, perché ho trovato questa unione delle due grandi Chiese nella mia vita da quando sono nato. Capisco, quindi, molto bene che questa gioia, questa felicità possano viverla tutti.

D. - E attualmente, in Turchia, come vivete questo rapporto tra le varie minoranze?

R. – Stiamo avanzando moltissimo. Sono sei anni che sto rappresentando tutte le minoranze, inclusa la minoranza ebrea turca. Non siamo purtroppo una grande comunità, saremo al massimo centomila persone, in un Paese dove eravamo il 20 per cento della popolazione totale fino al 1925. Abbiamo perso, purtroppo, questa grande forza e grande presenza nell’Anatolia. Cerchiamo al massimo di poter continuare questa grande storia e presenza cristiana tramite un dialogo tra di noi e  quindi collaboriamo molto. Dal 2008 abbiamo per la prima volta questa posizione di un rappresentante ufficiale nello Stato, che ha permesso anche questa apertura e collaborazione tra le minoranze.

D. – Com’è lo Stato dei rapporti tra le minoranze religiose e lo Stato turco?

R. – Quando avete solo centomila persone su 76 milioni è … pochissimo. Ci sono milioni di persone che non hanno conosciuto, non hanno vissuto con le minoranze e questo vuol dire che, a volte, hanno dei tabù. Negli ultimi anni, allora, cerchiamo di essere molto presenti e di fare attività che tocchino anche la vita sociale della Turchia. Cerchiamo di abbattere tutti i muri e così rinforzare la presenza e il dialogo. Con lo Stato stiamo andando molto, molto meglio, abbiamo fatto grandi passi; ce ne mancano ancora, ma il nostro più grande problema attuale è la demografia, che non permette di vedere un grande futuro.

D. – Stiamo vedendo che la situazione dei cristiani in tutta la regione sta drammaticamente peggiorando e adesso nei vostri confini ci sono anche molti cristiani che fuggono dall’Iraq…

R. – E’ quello che stiamo vedendo in Iraq e in Siria. E’ veramente un grande scandalo. Ci sono molte persone, anche cristiani, che arrivano dalla Siria e dall’Iraq, ma purtroppo non vogliono restare in Turchia: cercano un visto per andare in Europa. Non hanno voglia di rimanere qua. Purtroppo per noi, direi, perché potrebbero aiutarci e potrebbero anche loro trovare una comunità dove essere accolti molto bene.

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Istanbul, padre Masedu: cattolici attendono incoraggiamento del Papa

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Papa Francesco domani celebrerà la Messa, a carattere inter-rituale, nella Cattedrale dello Spirito Santo a Istanbul. Il parroco della Cattedrale è il padre salesiano Nicola Masedu, che – al microfono di Francesca Sabatinelli - parla delle attese della comunità cattolica: 

R. – Ci aspettiamo innanzitutto una parola di incoraggiamento del Papa: già ascoltandolo sempre, ci incoraggia. E venendo qui, speriamo che porti quei frutti che tutti desideriamo, cioè più pace, più giustizia, più fratellanza, maggiore disponibilità al dialogo … Non viene solo per noi latini: viene per i cattolici che sono anche armeno-cattolici, siro-cattolici, caldei. Il Papa viene per tutti. Infatti, per questa visita vengono anche dall’Anatolia, dove sono dispiaciuti perché il Papa non può andare né a Smirne né a Efeso … Quello che noi aspettiamo è che venga recepita l’immagine del cristiano per quella che dovrebbe essere, non per quella che si teme o come vorrebbero immaginarla altri. Che sia un’immagine evangelica, un’immagine di apertura, di accoglienza, di fratellanza, di disponibilità. Magari, se a noi latini arrivasse anche il riconoscimento giuridico, ci farebbe molto bene: ci permetterebbe di lavorare con più tranquillità e meglio, più serenamente.

D. – Non avere il riconoscimento giuridico vi sottrae molte possibilità. Questo per voi è molto importante, che ci sia …

R. – Cambierebbe, se ottenessimo questo riconoscimento, che innanzitutto potremmo lavorare anche in maggior numero e sviluppare anche delle opere. Adesso, ad esempio, il nostro lavoro come Salesiani educatori si svolge nel campo dell’educazione: educazione spirituale, sociale, culturale, e abbiamo due scuole. Ce n’è una particolare che desta anche l’ammirazione della gente, ed è in favore dei rifugiati iracheni che sono qui di passaggio, e a loro serve, è necessario – non solo utile – la lingua inglese. Quindi abbiamo aperto una scuola per loro. In gran parte sono caldei cattolici, però recentemente sono arrivati almeno una trentina, se non di più, di siriani anche, dopo gli ultimi avvenimenti. C’è anche qualche musulmano che frequenta tranquillamente: non c’è problema. Quindi, a giudicare dalle mail che riceviamo, dalle lettere, cartoline, dalle telefonate, questo servizio che offriamo è molto apprezzato.

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Papa: vado a rafforzare unità cristiani. Napolitano: contributo a dialogo

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I tradizionali telegrammi di sorvolo, inviati ai capi di Stato di Italia, Albania e Grecia, hanno permesso a Papa Francesco di benedire e augurare prosperità alle popolazioni dei tre Paesi. In particolare, nel testo al presidente italiano, Giorgio Napolitano, il Papa sottolinea la missione centrale del suo viaggio in Turchia, “favorire l’incontro e il dialogo tra culture diverse” e “rafforzare il cammino dell’unità dei cristiani”, oltre che “condividere momenti  di  preghiera con fratelli e sorelle nella fede”.

Da parte sua, il presidente dell’Italia osserva che la visita papale fa risaltare il ruolo “cruciale che Ankara è chiamata a svolgere in una regione scossa da forti tensioni e sanguinosi conflitti le cui conseguenze tristemente ricadono su milioni di innocenti”. Napolitano si dice certo che la missione di Francesco in Turchia, “Paese simbolo dell'incontro tra oriente e occidente, tra Islam e Cristianesimo, contribuirà ad alimentare la speranza in un futuro nel quale il riconoscimento costruttivo delle differenze tra culture e religioni sia percepito come una ricchezza e non come pretesto per prevaricazioni degli uni sugli altri”. (A.D.C.)

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Lettera del Papa per l'Anno della Vita Consacrata: "Svegliate il mondo!"

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"Mi attendo che 'svegliate il mondo', perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia": è l'esortazione che Papa Francesco rivolge al mondo dei consacrati e della consacrate in una Lettera pubblicata alla vigilia dell’inaugurazione dell’Anno della Vita consacrata che inizia domenica 30 novembre, prima domenica di Avvento. La Lettera elenca gli obiettivi, le attese e gli orizzonti di quest’Anno speciale che si concluderà il 2 febbraio 2016 e si ispira all’Esortazione “Vita Consecrata” di San Giovanni Paolo II. Il servizio di Stefano Leszczynski

Tre gli obiettivi prioritari che Papa Francesco indica ai consacrati e alle consacrate nella realizzazione della propria vocazione: innanzitutto, “guardare il passato con gratitudine”, per tenere viva la propria identità, senza chiudere gli occhi di fronte alle incoerenze, frutto delle debolezze umane e – dice Francesco – forse anche dell’oblio di alcuni aspetti essenziali del carisma. Dunque, il secondo obiettivo che è quello “vivere il presente con passione”, vivendo il Vangelo in pienezza e con spirito di comunione; e terzo, “abbracciare il futuro con speranza”, senza farsi scoraggiare dalle tante difficoltà che s’incontrano nella vita consacrata, a partire dalla crisi delle vocazioni.

Non cedete – avverte Francesco rivolgendosi ai più giovani - alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare esclusivamente nelle vostre proprie forze. La fantasia della carità – ribadisce il Papa – non conosce limiti ed ha bisogno di entusiasmo per portare il soffio del Vangelo nelle culture e nei più diversi ambiti sociali. Saper trasmettere la gioia e la felicità della fede vissuta nella comunità, infatti, fa crescere la Chiesa per capacità di attrazione.

E’ la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione a dare valore alla Chiesa. Una Chiesa che deve essere fucina di profeti, e in quanto tali capaci di scrutare la storia nella quale vivono e di interpretare gli avvenimenti, denunciando il male del peccato e le ingiustizie. Francesco non si aspetta che i consacrati tengano vive delle “utopie”, ma che sappiano creare “altri luoghi”, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, della diversità, dell’amore reciproco.

Luogo ideale perché ciò avvenga sono le comunità dell’Istituto di cui si fa parte e che non deve risolversi in una realtà isolata. Anzi, il Papa auspica proprio che questo Anno della Vita Consacrata sia occasione di una sempre più stretta collaborazione tra le differenti comunità - anche di Chiese differenti - nell’accoglienza dei rifugiati, nella vicinanza ai poveri, nell’annuncio del Vangelo, nell’iniziazione alla vita di preghiera.

Nella Lettera ai consacrati e alle consacrate Papa Francesco non dimentica l’importante ruolo dei laici che, con i consacrati, condividono ideali, spirito e missione. Di qui l’ultima esortazione contenuta nella Lettera e riservata ai fratelli nell’episcopato affinché siano solleciti nel promuovere nelle rispettive comunità “i distinti carismi, sostenendo, animando e aiutando nel discernimento così da far risplendere la bellezza e la santità della vita consacrata nella Chiesa”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Crocevia di incontro e dialogo: il Papa in Turchia loda l’impegno del Paese per i profughi e ne sottolinea la vocazione di ponte tra continenti e popoli.

Testimoni della gioia: lettera apostolica di Papa Francesco ai religiosi e alle religiose per l’inizio dell’Anno della vita consacrata.

Uomo dell’unità: Roncalli e l’ecumenismo secondo il patriarca Bartolomeo.

Verità nella carità: a cent’anni dalla nascita, l’alunno arcivescovo Tommaso Caputo ricorda l’arcivescovo e nunzio apostolico Cesare Zacchi.

Il presidente messicano annuncia una riforma per combattere la criminalità.

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Oggi in Primo Piano



Onlus SOS: a Lugansk si patisce la fame. Serve stabilità

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"Mancano cibo, acqua, riscaldamento e medicine". E' la drammatica denuncia della Onlus "SOS Villaggi dei bambini", da Lugansk, nel sudest ucraino, dove le famiglie che non sono riuscite a scappare, soffrono le conseguenze economiche e sociali di una guerra che, nonostante la tregua siglata a settembre con Kiev, continua a mietere vittime. Oggi un soldato ucraino e' morto e altri tre sono rimasti feriti; ieri le vittime sono state due civili, una mamma col suo bambino, vicino Donestk. "Speriamo in una stabilizzazione al più presto" dicono fonti locali della Onlus SOS, che lavora in Ucraina dal 2003. Gabriella Cearso ha raccolto la testimonianza di Elena Cranchi, responsabile della comunicazione: 

R. – La situazione lì è drammatica da mesi ormai… C’è sempre stata una segnalazione non solo, ovviamente, dei combattimenti e del pericolo di vita, ma proprio di problemi relativi a una crisi economica che sta mettendo in difficoltà le famiglie che non sono riuscite a scappare dalla città: persone che stanno patendo la fame e non trovano lavorano e quindi non hanno il reddito per l’acquisto di cibo e medicine che peraltro, vista la crisi economica, hanno visto raddoppiare i prezzi.

D. –  43 famiglie e 92 bambini, sono quelli che seguite voi ad oggi, hanno bisogno di?

R. – Hanno bisogno di cibo; di stufe, perché l’inverno è molto rigido in Ucraina; hanno bisogno di medicine, perché l’accesso stesso agli ospedali diventa pericoloso.

D. – Ma voi lanciate anche un allarme circa gli insegnanti…

R. – Assolutamente. Molte scuole sono chiuse e le poche aperte non sono funzionanti perché gli insegnanti sono scappati. Ci sono le generazioni di studenti che perdono mesi e anni scolastici perché le scuole sono le prime ad essere distrutte, sono i primi edifici che vengono occupati dagli sfollati interni e perché ovviamente senza gli insegnanti è impossibile.

D. – Come si può guardare al futuro? Che cosa urge, anche per una ricostruzione del tessuto sociale?

R. – L’unica cosa che ci auguriamo è che la situazione si possa stabilizzare. La ricostruzione parte sì dall’individuo, ma anche da scelte: l’aumento dei prezzi non può essere risolto dalle organizzazioni internazionali, anzi serve assolutamente parlarne. Non mi aspetto che le persone chiamino per dire “come faccio a mandare cibo e coperte?”. Non è quello. Sarebbe anche difficile in questo momento immaginare l’invio di materiale là. Non è questo sicuramente l’obiettivo del nostro appello. L’obiettivo è quello di dire: “Attenzione, perché dietro al silenzio generale c’è una crisi sociale drammatica e c’è una generazione in totale paralisi!”.

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Cala prezzo del petrolio, riassetto degli equilibri mondiali

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Petrolio ancora in flessione, dopo il forte calo di ieri dovuto alla decisione dell'Opec di non tagliare le quote di produzione. Il servizio di Fausta Speranza

Nel mese di novembre, il prezzo è diminuito di circa il 15%. Ma si parla di 30% se si considera l’ultimo periodo da giugno. In ogni caso, l'Arabia Saudita convince l'Opec a non tagliare la produzione di petrolio: i prezzi, sostiene, si stabilizzeranno da soli. Vince così il braccio di ferro con l'Iran e, soprattutto, con il Venezuela. Carlo Andrea Bollino, docente di Energia alla Luiss:

R. – Debolezza della domanda dei Paesi industrializzati, prolungarsi della crisi in Europa, rallentamento della Cina anche nella restante parte del mondo, fanno sì che ci sia minore domanda di energia. L’Opec ha deciso di non forzare sui prezzi e questo può essere letto in due modi. Apparentemente come una forma di debolezza dell’Opec, che non è capace di tenere alti i prezzi. Ma io penso invece che sia un modo dell’Opec per rafforzarsi nella nuova competizione con le nuove fonti energetiche che sono lo Shale Gas e lo Shale Oil americano, cioè il petrolio da scisti, che è il nuovo attore che prepotentemente sta venendo sulla scena mondiale.

D. – C’è da aspettarsi qualche significativa mossa da uno degli attori?

R. – Io penso di no, ma potrei essere smentito domani mattina. Penso che gli attori vogliano lasciare al mercato, cioè a noi consumatori dei Paesi industrializzati – le industrie europee, quelle cinesi, quelle americane – il determinare quale sia la quantità di energia che serve per la ripresa economica. E poi, a quel punto si gioca la competizione fra i due grandi nuovi soggetti, che come ho detto sono l’Opec e il nuovo petrolio americano.

Il petrolio riporta immediatamente al Medio Oriente e a conflitti pluridecennali, ma le implicazioni geopolitiche sono ormai davvero mondiali. Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

R. – Oggi, il petrolio resta legato al Medio oriente ma non solo. Resta legato, perché naturalmente la maggior parte dei Paesi che aderiscono all’Opec, e che quindi gestiscono in un modo o in un altro il prezzo del greggio, sono in Medio Oriente. Ma non è più così strettamente legato, perché ci sono anche spinte esterne di Paesi che non aderiscono all’Opec, o che comunque si trovano fuori dall’area mediorientale, che hanno un ruolo importante all’interno dell’Opec stesso e che si muovono con interessi diversi rispetto ai più grandi produttori che si trovano lì.

D. – Dunque, petrolio e nuovi equilibri non più mediorientali ma mondiali…

R. – Assolutamente sì. Qui è tutto legato assolutamente ad interessi – ripeto – interni, ma anche di supremazia sia all’interno dell’Opec, sia all’interno dell’area mediorientale, ma anche di contrasto tra quelle che una volta erano le superpotenze e che non si scontrano soltanto su semplici questioni – ripeto, come quella ucraina – ma anche, e questo è molto, molto più importante, su questioni economiche ed energetiche. Proprio a Vienna si è visto, in occasione della decisione di tenere la produzione del greggio uguale: questo ha portato a un abbassamento del prezzo intorno ai 70 dollari e a una strada alleanza tra due Paesi che probabilmente non avremmo mai pensato che sarebbero stati insieme: Arabia Saudita, da una parte, e Iran, dall’altra. Si sono uniti per interessi totalmente diversi: l’Arabia Saudita per contrastare l’ulteriore produzione degli Stati Uniti e l’Iran per usare una nuova carta sul tavolo delle trattative per il nucleare. Sono stati d’accordo nel tenere la produzione uguale, non abbassarla, esponendo quindi il prezzo del petrolio a un abbassamento. Ci sono poi implicazioni anche su altri: penso a Europa e America Latina, che per motivi diversi di politica interna e soprattutto di economia interna invece volevano un taglio della produzione per aumentare il prezzo. E poi c’è la Russia, che non è parte dell’Opec, ma che aveva bisogno ed ha bisogno in ogni caso di un prezzo alto, anche in conseguenza di una serie di sanzioni che la stanno colpendo da un po’ di tempo per le questioni ucraine. E poi, ancora, il Venezuela che è Paese Opec che ha bisogno di un prezzo molto alto del petrolio proprio per rinsaldare e ridare vitalità ad una economia che negli ultimi anni ha raggiunto dei livelli molto bassi.

La prossima riunione dell'Opec è fissata per il 5 giugno.

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Namibia: si eleggono presidente e parlamento

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In Namibia, sono aperti i seggi per le elezioni presidenziali e parlamentari, che per la prima volta utilizzeranno il sistema di voto elettronico. Il capo di Stato uscente, Hifikepunye Pohamba, ha terminato il suo secondo mandato e per legge non può essere rieletto. Ma la tornata dovrebbe riconfermare la supremazia del suo partito, lo “Swapo”, anticolonialista e antiapartheid, che ha vinto tutte le elezioni dal 1990, anno dell’indipendenza dal Sudafrica. Corinna Spirito ne ha parlato con il direttore di Africa Express, Massimo Alberizzi

R. – Dobbiamo pensare che la Namibia non è un Paese africano. Cioè, è sicuramente in Africa – geograficamente – ma in queste elezioni, per la prima volta, in tutto il continente viene inserito il voto elettronico. Quindi, questo fa già capire che è un Paese un po’ diverso rispetto ai Paesi tipici africani. Il partito di governo, che è lo Swapo, e peraltro dato sicuramente per vincitore, ha fatto una politica in questi anni che oserei definire europea, nel senso che ci sono partiti politici, ci sono opposizioni, ci sono giornali, persino giornali in tedesco, perché se è vero che la lingua ufficiale è l’inglese, il tedesco viene parlato abbastanza regolarmente. È un Paese in grande sviluppo, dove si può facilmente investire bene, non ci sono grossi problemi di sicurezza… Esistono delle contraddizioni anche in Namibia, però tutto sommato è un Paese dove si vive bene e che è sulla strada dello sviluppo.

D. – Parliamo di uno Stato molto giovane. In 24 anni di indipendenza dal Sudafrica ha conquistato un’identità politica e culturale?

R. – Sì. E come ha conquistato un’identità nazionale? Bè, semplicemente con la ridistribuzione delle risorse, cioè non è un Paese dove una famiglia o due o dieci detengono le risorse economiche. Certo, anche lì c’è la borghesia che è più ricca, ci sono anche i proletari, però è un Paese che ha conquistato l’identità ridistribuendo la ricchezza. Adesso in Namibia ci sono le famiglie che sono la borghesia, ecco; benestanti che vivono bene e non costrette alla povertà. Attenzione: tra le altre cose, è un centro di immigrazione molto forte perché dall’Angola, poverissima e governata praticamente da una dittatura, e dallo Zimbabwe, accanto, vengono in Namibia a lavorare. È diventata un centro di raccolta degli emigranti in cerca di lavoro perché lavoro in Africa non ce n’è molto, in questo momento.

D. – Quali saranno le prime sfide per il prossimo presidente?

R. – Secondo me, continuare con questa politica perché ovviamente ci sono anche lì tentativi autoritari, anche se non sono paragonabili al resto dell’Africa. Quindi deve continuare su questa strada evitando una concentrazione delle ricchezze che potrebbe far tornare il Paese indietro.

D. – In una lettera pastorale, i vescovi della Namibia hanno ricordato l’importanza delle elezioni per rafforzare la democrazia del Paese. Cosa ne pensa?

R. – È giusto, perché c’è sempre il rischio che ci sia una disaffezione per la democrazia: lo vediamo anche nel nostro Paese; quindi a maggior ragione in altri dove, se hanno cominciato all’inizio a votare in tantissimi, con alte percentuali, poi, pian piano, le percentuali sono scese perché pensano: “Non cambia niente”. Però, devo dire che questo rischio in Namibia comunque è abbastanza lontano.

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Cardia: individualismo rende carta straccia Dichiarazioni Onu

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Fa discutere la decisione del Parlamento francese che, ieri, con una risoluzione, ha deciso di definire l’aborto “diritto fondamentale”. Una decisione che si allinea ad un trend che vede in molti Paesi affievolirsi il diritto alla vita e all’obiezione di coscienza. Diritti, invece, ribaditi come fondamentali da Papa Francesco nel recente incontro con l'Associazione dei Medici Cattolici. Alessandro Gisotti ne ha parlato con il giurista Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico all’Università Roma Tre: 

R. – Io resto stupito, anche se devo dire che come giurista ho assistito ad altri fenomeni di questo tipo, che hanno un nome: rinnegare i diritti umani sanciti nelle Carte internazionali del secondo Novecento. Perché parlare dell’aborto come "diritto fondamentale" vuol dire negare il diritto alla vita, che è alla base di tutte le convenzioni e le dichiarazioni internazionali sui diritti umani, a cominciare dalla Dichiarazione Universale del 1948. Oggi noi abbiamo un parlamento che rinnega il diritto alla vita, che è la base di tutte le Carte internazionali dei diritti umani. Non si tratta di uno strappo: si è rotta la diga! Si è – come dire – aperta la strada per dire che di fronte ad una gravidanza uno può fare quello che vuole: perché se è un diritto fondamentale, può fare quello che vuole e nessuno vi si può opporre. E poi dico una cosa che potrebbe scandalizzare: se è un diritto fondamentale lo Stato deve aiutare l’esercizio di questo diritto.

D. – Come è possibile che si sia arrivato a questo, proprio a livello giuridico?

R. – A me non stupisce, perché non è la prima volta che vengono rinnegati dei diritti umani sia nell’ambito dell’aborto, sia ad altri livelli. Nelle Carte internazionali dei diritti umani, il matrimonio è previsto fra uomo e donna: uomini e donne possono sposarsi per… etc. etc. La legislazione che in alcuni Paesi ha introdotto il matrimonio omosessuale è contraria a queste Carte dei diritti umani. Uno poi le può anche cambiare, per carità! Però va detto. Le adozioni per le coppie omosessuali: in tutte le Carte internazionali, a cominciare da quella che parla dei diritti del fanciullo, è prevista ed esaltata la funzione dei genitori, del padre e in particolare della madre. Vi sono legislazioni che consentono che un bambino non abbia mai la mamma! E’ una violazione terribile dei diritti umani!

D. – Da quello che mi dice, possiamo affermare in un modo brutale che le Carte internazionali sono ormai quasi cartastraccia?

R. – Prima io dicevo, fino a un po’ di tempo fa, che ce le stavamo dimenticando: adesso le stiamo stracciando! Quindi si può usare, come no! Ma le faccio un altro esempio: a livello universale, la libertà di coscienza e quindi il diritto di obiezione di coscienza è stato sempre considerato un fatto acquisito… Bene, l’obiezione di coscienza viene oggi negata a diversi livelli negli Stati Uniti, con il famoso Obama Care che riguardava l’obbligo delle istituzioni religiose di distribuire e di pagare la contraccezione; a livello di aborto già in Inghilterra c’è già stata una erosione fortissima, perché sono state poste limitazioni agli obiettori di coscienza; l’obiezione di coscienza è stata negata per il matrimonio omosessuali in Francia, in Spagna… Io potrei continuare per mezz’ora. Noi abbiamo avuto, anche a questo livello, una erosione di un qualche cosa che è fondamentale, anche perché riguarda la coscienza di tutti i cittadini: quindi non dico che pacificava la società – per carità di Dio! – ma certo rispettava un nucleo essenziale. Quindi è un po’ un disegno complessivo e noi dobbiamo rifletterci su questo: una erosione di tutto il panorama dei diritti umani. Facciamo una piccola riflessione: i diritti umani erano un patrimonio prezioso per l’Europa, perché avevano un significato antitotalitario. Lo Stato non può fare quello che vuole; lo Stato non ha il dominio sull’uomo. Oggi noi stiamo scrivendo delle leggi in cui l’uomo ha il dominio sull’altro uomo: c’è un totalitarismo individuale. Quello che era un patrimonio noi lo stiamo erodendo, lo stiamo svendendo. Come parleremo ai popoli che oggi vivono in una condizione di povertà, di miseria, di abbandono, quando noi stessi diremo: “No, la vita non vale niente!”… Ecco, l’Occidente perde la sua voce!

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Dichiarazione di Roma: Ue e Africa per cooperazione su migrazioni

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Una nuova politica per le migrazioni e maggiore cooperazione tra Paesi di origine e Paesi di accoglienza per creare opportunità e sviluppo sostenibile. Questi gli intenti della Dichiarazione di Roma, firmata ieri dai rappresentanti di Unione Europea e di 28 Stati africani, nel corso della quarta Conferenza ministeriale euro africana. C’era per noi Elvira Ragosta

Garantire protezione internazionale ai migranti regolari, con attenzione particolare a donne e bambini, e coordinare  le politiche estere e quelle interne di Europa e Africa negli ambiti di cooperazione e di sicurezza. Porta la firma di Unione Europea, 28 Paesi africani e di Norvegia e Svizzera, la Dichiarazione firmata ieri a Roma, nell’ambito del “Progetto di Rabat”, il dialogo regionale euro-mediterraneo che da otto anni si occupa di politiche migratorie. Soddisfatto Abdoullaye Diallo, ministro dell’Interno del Senegal, che ha sollecitato programmi specifici nei Paesi di origine e ha sottolineato l’importanza dello scambio di informazioni tra i gli Stati :

"Le migant a des droits, qu'il faudra...
Il migrante ha dei diritti che bisognerà salvaguardare e che sono sacri. Si tratta di diritti umani che devono essere rispettati. Siamo tutti d’accordo sul fatto che quello delle migrazioni sia un fenomeno mondiale, ma soprattutto che è qualcosa che può portare particolare beneficio, purché sia ben gestito. Deve essere ben gestita all’origine, per evitare la partenza di giovani e di donne, cioè di coloro che sono chiamati a sviluppare il loro Paesi. Ma bisogna gestire la migrazione anche nei Paesi che accolgono perché, se non sono preparati bene, potrebbe verificarsi in loro una sorta di invasione, laddove invece può apportare beneficio. Ed è per questo che noi pensiamo di dover avere un buon approccio. Non dimentichiamo che anche il Senegal è un gran Paese di immigrazione, perché abbiamo più di tre milioni di stranieri".

Mentre il ministro marocchino dei residenti all’estero, Anis Birrou, ricordando l’importanza di creare nelle società dei Paesi che accolgono i migranti regolari un clima di accettazione e di scambio culturale e sulle politiche già in atto in Marocco ha affermato:

"Le Maroc a dejà commencé...
Il Marocco ha già iniziato una nuova politica migratoria, basata essenzialmente sui diritti dell’uomo e sulla dimensione umana. Si tratta di una politica che prevede la regolarizzazione di migliaia di persone e un programma di integrazione, educazione e e sostegno scolastico ai figli degli immigrati, con più di 80 progetti che abbiamo identificato che stiamo per mettere in opera".

E la cooperazione avverrà anche sul versante della sicurezza e della lotta alle migrazioni irregolari, “come già stiamo facendo nel Maghreb - ha sottolineato il commissario europeo, Dimitri Avramodopoulos - dove assistiamo le autorità di frontiera contro la tratta”.

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Dopo morti sospette, sospesi 2 lotti del vaccino antinfluenzale

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Dopo tre morti sospette avvenute successivamente alla somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluad, l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha disposto, in via cautelativa, il divieto di utilizzo per due lotti del medicinale (142701 e 143301). Oggi sono stati segnalati altri due casi sospetti. L’Istituto Superiore di Sanità sottolinea, intanto, che deve proseguire la campagna di vaccinazione anti-influenzale. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il provvedimento che dispone il divieto di utilizzo di due lotti del vaccino Fluad della Novarts – ricorda l’Aifa - è stato assunto a scopo esclusivamente cautelativo in attesa di disporre di elementi necessari, tra i quali l’esito degli accertamenti su campioni già prelevati, per valutare un eventuale nesso di causalità tra i decessi e la somministrazione del medicinale. Il commento, al microfono di Elianna Astorri, del prof. Roberto Cauda, direttore dell’Istituto Clinico delle malattie infettive del Policlinico Agostino Gemelli:

“Sono morti temporalmente relate all’assunzione di un vaccino. Ma resta tutto da dimostrare se poi il vaccino sia stato, in qualche modo, causa del decesso di queste persone. Mi sento di fare, però, un commento, in attesa di saperne qualcosa di più. E il commento è quello di non creare nessun tipo di allarmismo perché notizie come queste purtroppo possono, in un’opinione pubblica che già ha una certa diffidenza nei confronti dei vaccini, creare una sorta di rifiuto delle vaccinazioni, non solo di quella influenzale ma anche di altre. Ricordo che i vaccini, insieme con l’utilizzo dell’acqua pura, hanno straordinariamente determinato l’aumento della vita media delle persone”.

I vaccini – ricorda infine l’Aifa - sono una risorsa preziosa e insostituibile per la prevenzione di complicanze anche letali. Si stima che ogni anno, in Italia, siano almeno 8000 i decessi – in gran parte persone over 65 - per patologie connesse all’influenza stagionale.

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Nella Chiesa e nel mondo



Appello dei vescovi europei contro la tratta di persone

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Sono più di 800mila, attualmente, le donne, gli uomini e i bambini vittime della tratta nell’Unione Europea: questo uno dei dati drammatici emersi dal seminario di dialogo con le Commissione europee organizzato dalla Comece (Commissione degli episcopati della Comunità Europea) e dalla Commissione “Chiesa e società” della Kek (Conferenza delle Chiese europee), svoltosi a Bruxelles.

Nel comunicato finale dei lavori, si è evidenziato che quasi il 60% delle vittime della tratta proviene da Paesi dell’Unione ed è quindi urgente “intensificare la cooperazione tra la società civile e gli organismi della Chiesa che lavorano con le vittime a livello locale”.

Ribadendo, poi, che “la tratta di esseri umani è una forma moderna di schiavitù, un’attività criminale ed un’impresa mondiale a scopo di lucro”, i partecipanti al seminario hanno messo in luce le tante sfaccettature, purtroppo amare, di questo fenomeno: lo sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, la maternità “surrogata” coatta e l’adozione illegale, tanto che il 16% delle vittime è composto da bambini, spesso venduti per 40mila euro.

Di qui, l’appello emerso dal seminario affinché vengano raccolti dati più affidabili e completi sul crimine della tratta, così da permettere ai politici ed alle organizzazioni religiose di rispondere meglio ai bisogni delle vittime. “Le vittime del traffico di esseri umani – si è detto - hanno bisogno innanzitutto di protezione e di assistenza attraverso un’attuazione maggiore della legislazione esistente”. Esse, inoltre, “non dovrebbero essere punite per atti commessi quando si trovano nella condizione di vittime”. Necessario, poi, anche “un sostegno finanziario continuo degli organismi della società civile e della Chiesa” che lavorano in questo ambito.

Di fronte alla “complessità ed alla gravità” della situazione e guardando alle “nuove forme che assume oggi la tratta”, la Comece e la Kek hanno deciso di formulare, nelle prossime settimane, una serie di proposte e raccomandazioni per le Commissioni europee. (A cura di Isabella Piro)

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Chiesa filippina: ombra della tratta sui sopravvissuti del tifone

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Il vescovo ausiliare di Manila lancia l'allarme contro il traffico di vite umane, in particolare fra i sopravvissuti del tifone Haiyan; il prelato invita a mantenere alta l'attenzione e a tutelare le categorie più a rischio, donne e ragazze di giovane età. Mons. Broderick S. Pabillo punta il dito contro presunti "benefattori", che promettono alle vittime alloggio e impiego nella capitale. Tuttavia, una volta giunte a Manila "esse vengono spogliate della loro libertà e della loro dignità". E alcuni, in preda alla disperazione, pur di sopravvivere si fanno assoldare dalla criminalità organizzata.

Per il prelato filippino - riferisce l'agenzia AsiaNews - la "schiavitù moderna" è un'industria "fiorente, che coinvolge centinaia di migliaia di persone"; ciò che è peggio, aggiunge, è che essa colpisce "donne e ragazzine" costrette a vendersi come "schiave del sesso" o assoldate nel mercato del "lavoro minorile".

Mons. Pabillo chiede aiuto ai media, perché promuovano informazioni, approfondimenti e discussioni sul tema, per contribuire alla sensibilizzazione pubblica e a "sradicare" il fenomeno.

Egli dedica un pensiero anche ai lavoratori filippini oltremare (Ofw), gli espatriati, oggetto di attacchi e di abusi, costretti in molti casi a lavorare - e sopravvivere - in condizioni disumane. E non possono nemmeno ribellarsi, perché i loro aguzzini "li derubano dei passaporti" e non possono più abbandonare il Paese.

Per le vittime del tifone Haiyan - abbattutosi sulle isole Visayas l'8 novembre 2013 ha colpito a vario titolo almeno 11 milioni di persone e provocato migliaia fra morti e dispersi - vi sono però anche notizie positive: grazie al lavoro della Caritas filippina (il National Secretariat for social Action - Justice and Peace, Nassa), almeno 1.813 famiglie che hanno perduto la casa in seguito al tifone potranno trascorrere il Natale in un nuovo alloggio.

Si tratta di strutture, spiega mons. Rolando Tria Tirona, arcivescovo di Cáceres e direttore nazionale Nassa, "in grado di resistere a tifoni o altri disastri" e che "rispettano la cultura e le preferenze" delle persone che andranno ad abitarle. Per questo, ad esempio, alle popolazioni indigene di Palawan sono stati costruiti alloggi simili a quelli tradizionali, ma con una struttura più resistente per fronteggiare meglio le calamità naturali. (R.P.)

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Consiglio delle Chiese: protezione per sfollati del Medio Oriente

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Con un appello rivolto alla comunità internazionale ad aumentare gli sforzi a favore della protezione di rifugiati e sfollati del Medio oriente si è concluso ieri il Comitato esecutivo del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec), svoltosi a Cipro. In una dichiarazione resa nota nei giorni scorsi, il Comitato esecutivo - in rappresentanza di 345 Chiese cristiane in 140 Paesi per un totale di più di 500 milioni di credenti - si raccomanda con tutti i Paesi affinché “attuino misure speciali per proteggere e sostenere profughi e sfollati del Medio Oriente, e in particolare siriani, iracheni e palestinesi”.

L‘appello - riferisce l'agenzia Sir - prendendo spunto dal dettato biblico sull‘accoglienza dello straniero, chiede “maggiore sostegno finanziario e materiale per quei Paesi che si trovano alle prese con popolazioni in fuga dai conflitti” ed esorta gli altri Paesi “a condividere in modo più equo gli sforzi che da mesi stanno sostenendo Paesi come il Libano o la Giordania per l‘accoglienza di profughi”.

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese chiede che “si ponga fine ai conflitti per permettere a chi ha lasciato il proprio Paese di farvi ritorno”. Inoltre, esorta le parti in conflitto a “rispettare la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani e di osservare tutti i principi del diritto umanitario internazionale sulla protezione delle popolazioni civili”. Ancora, chiede alla comunità internazionale “di raddoppiare gli sforzi per evitare casi di apolidia tra le popolazioni in fuga e in particolare tra i minori, semplificando le procedure di registrazione e identificazione”.

Il Comitato esecutivo del Cec invita le Chiese membro ad approfondire la riflessione rifacendosi al documento “Accogliere lo straniero: affermazioni per i leader religiosi”, il primo nel suo genere sottoscritto l‘anno scorso dall‘Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) e da numerose organizzazioni religiose impegnate nella protezione dei migranti. (R.P.)

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Messico. Studenti scomparsi: annunciata riforma della polizia

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I circa 1800 corpi di polizia esistenti in Messico saranno posti alle dirette dipendenze dei 31 Stati che compongono la Federazione: lo ha annunciato il presidente Enrique Peña Nieto dopo settimane di proteste innescate dalla scomparsa di 43 studenti, una vicenda nella quale forze dell’ordine locali avrebbero gravi responsabilità.

La riforma è stata annunciata con un discorso trasmesso in diretta televisiva ieri sera. L’idea alla base della proposta è che le forze di polizia locali possano essere più facilmente infiltrate dai potenti cartelli del narcotraffico.

Gli studenti sono scomparsi il 26 settembre a Iguala, una cittadina dello Stato meridionale di Guerrero, mentre si apprestavano a partecipare a una manifestazione politica. Il sospetto è che siano stati consegnati dai poliziotti a bande criminali, che li avrebbero poi assassinati. (V.G.)

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Messico: 12 giorni di preghiera per la pace nel Paese

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I vescovi del Messico invitano a pregare e a lavorare per la pace nel paese. Il comunicato della Conferenza episcopale messicana, inviato anche all’agenzia Fides, ha per titolo "Preghiamo e lavoriamo per la pace", e viene diffuso mentre il Paese sta vivendo una situazione di grave tensione e crisi.

"Il nostro Paese è in crisi. Questo ci fa male e ci riguarda tutti. La disuguaglianza, l'ingiustizia, la corruzione, l'impunità, la complicità e l'indifferenza ci hanno fatto precipitare nella violenza, nella paura e nella disperazione" si legge nelle prime righe del comunicato.

Per questi motivi i vescovi propongono che dal 30 novembre al 12 dicembre (per 12 giorni) tutti i messicani si uniscano in preghiera per la pace nel paese. Così giungeranno alla festa della Madonna di Guadalupe, il 12 dicembre, chiedendo la conversione dei messicani e, in modo speciale, di quanti provocano sofferenza e morte.

Venerdì 12 dicembre, festa della Beata Vergine Maria di Guadalupe, il Santo Padre Francesco celebrerà nella Basilica Vaticana la Santa Messa per l’America Latina.

Dalle ultime notizie risulta che aumentato le manifestazioni contro il governo e le autorità locali da quando è stato accertato il coinvolgimento del sindaco e di altre autorità di Ayotzinapa nella vicenda dei 43 studenti scomparsi.

Negli ultimi giorni ci sono state manifestazioni nella capitale, con un numero consistente di studenti e di delegazioni provenienti da tutto il Paese. Impressionante la richiesta della pace e della non violenza espressa da tutti i partecipanti davanti al palazzo del governo della capitale. (R.P.)

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Vescovi argentini: legge sulle miniere non rispetta l’ambiente

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Il rispetto responsabile dell’ambiente, in quanto parte della creazione, è stato ribadito dal vescovo di Comodoro Rivadavia, mons. Joaquín Gimeno Lahoz, insieme al suo vescovo ausiliare, mons. Fernando Croxatto, e dal vescovo della prelatura di Esquel, mons. José Slaby. I presuli sono rimasti sorpresi e delusi dal modo in cui, il 25 novembre, è stato discusso il disegno di legge che riguarda l'ambiente.

"Incoraggiamo e ringraziamo Dio per tutti gli uomini e le donne della provincia che stanno lottando per costruire un popolo con un futuro di solidarietà e di fraternità" si legge nella nota pervenuta all’agenzia Fides, allo stesso tempo i vescovi si uniscono a quanti lottano perché la terra sia custodita in modo responsabile.

Tale forte reazione delle comunità è dovuta anche alla diffusione sui media della foto di un deputato ritratto mentre si scambia degli sms con il rappresentante di una impresa mineraria proprio durante il dibattito sulla legge, che in pratica concederebbe ampia libertà di azione a tutte le imprese minerarie, con pesanti conseguenze sull’ambiente.

I vescovi, nel loro messaggio, sottolineano: "La natura è a nostra disposizione, possiamo godere e fare buon uso di essa. Ma ciò non significa che ne siamo i proprietari. Siamo i custodi. Spesso ci lasciamo guidare dall'arroganza di dominare, possedere, manipolare, sfruttare; non la custodiamo, non la rispettiamo, non la considerano come un dono gratuito che deve essere protetto. Il rispetto dell'ambiente non significa solo limitarsi ad evitare danni, ma anche utilizzarlo per il bene. Il rispetto per la natura ci ricorda che l'uomo stesso è una parte fondamentale di essa". (R.P.)

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Svizzera: Plenaria vescovi su bioetica, famiglia, cristiani perseguitati

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Saranno in Italia dal 1° al 5 dicembre prossimi i vescovi della Conferenza episcopale svizzera (Ces), per la consueta “visita ad limina apostolorum” con Papa Francesco. Un appuntamento che si rinnova a distanza di nove anni dall’ultimo incontro dei presuli con il Successore di Pietro, avvenuto nel 2005. In preparazione a questo importante avvenimento, la Ces ha tenuto, dal 24 al 26 novembre a Delémont, la sua 306.ma Assemblea ordinaria.

Numerosi i temi esaminati, come riportato nel comunicato finale dei lavori: in primo luogo, i vescovi elvetici si sono soffermati sulla proposta di referendum per la revisione della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, che mira alla cancellazione del divieto per la diagnosi pre-impianto. A tale proposta, la Ces si oppone fermamente, evidenziandone i rischi di deriva eugenetica. “Una società è veramente umana – sottolineano i presuli – quando è capace di dare a ciascun essere umano dignità piena e protezione totale, sia esso forte o debole, piccolo o grande, malato o in buona salute”.

“Forte di questo principio umano ed in conformità al Vangelo – scrive la Ces – la Chiesa cattolica rifiuterà sempre di considerare la selezione e l’eliminazione degli esseri umani come un progresso”. Al contrario, l’auspicio è che si trovino “soluzioni tecniche che rispettino la vita umana nella sua integrità”; di qui, l’impegno ribadito dai presuli per la promozione ed il “rafforzamento di una cultura della vita che risponda alla dignità umana”.

Al centro dell’Assemblea, inoltre, anche i risultati del terzo Sinodo straordinario sulla famiglia, svoltosi in Vaticano nel mese di ottobre, ed al quale ha partecipato il presidente della Ces, mons. Markus Büchel. Tutti i presuli, continua il comunicato, “si sono detti consapevoli del fatto che, come ha detto Papa Francesco, bisogna lasciar maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte dal Sinodo fino alla prossima Assemblea episcopale ordinaria”, in programma in Vaticano nell’ottobre 2015 e sempre dedicata alla famiglia.

La Ces, poi, ha dedicato un pensiero speciale alle minoranze, cristiane e non solo, che vivono situazioni drammatiche in Iraq, a causa delle violenze perpetrate dai miliziani dell’Is. “La Ces – spiegano i vescovi – è in contatto con le Chiese cristiane nel nord dell’Iraq e cerca di aiutarle nel miglior modo possibile, in questa difficile situazione”. “Le persone espulse – viene ribadito – hanno bisogno non solo di aiuti urgenti, ma anche della prospettiva di poter costruire la loro esistenza in Iraq”.

Infine, i presuli elvetici hanno riflettuto su tre importanti appuntamenti: l’apertura dell’Anno della Vita consacrata, in programma il 29 novembre ad Einsiedeln e che vedrà la pubblicazione di una Lettera pastorale dei vescovi stessi; il 125.mo anniversario di fondazione dell’Università di Friburgo, voluta dai cattolici, ed alla quale verrà devoluta la colletta di domenica prossima, per finanziare seminari e corsi di formazione sull’etica.

Il terzo appuntamento, invece, riguarda il 2015: per il prossimo anno, infatti, la Ces ha deciso di indire una “Giornata dei sacerdoti”, da celebrarsi nelle diocesi il 9 novembre. L’iniziativa ricorrerà “nel 50.mo anniversario dell’entrata in vigore del decreto conciliare “Presbyterium ordinis”, dedicato alla vita ed al ministero dei presbiteri. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 332

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.