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Sommario del 04/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai paralimpici: sport superi barriere e respinga cultura dello scarto

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Gli atleti disabili sono un grande esempio di come lo sport possa aiutare a superare le barriere. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza agli sportivi del Comitato Italiano Paralimpico, ricevuti in Aula Paolo VI. Il Pontefice ha inoltre sottolineato che lo sport può diventare occasione per “favorire la cultura dell’inclusione”. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto al Papa dal presidente del Comitato Italiano Paralimpico, Luca Pancalli Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Per ottenere successi nello sport ci vuole spirito di sacrificio, se poi si ha una disabilità fisica ci vuole ancor più forza, costanza e coraggio. Papa Francesco ha voluto onorare donne e uomini che hanno raggiunto traguardi con straordinario impegno. Ciascuno di voi, ha detto rivolgendosi agli atleti paralimpici italiani, “porta le conquiste, i traguardi raggiunti con tanta fatica, anche con tante difficoltà che ha dovuto affrontare”. Ciascuno di voi però, ha soggiunto, “è testimone di quanto sia importante vivere queste gioie e queste fatiche nell’incontro con gli altri, poter condividere la propria corsa, trovare un gruppo di amici che ti danno una mano e dove tu dai una mano agli altri. E così ognuno riesce a dare il meglio di sé!”:

“Lo sport promuove contatti e relazioni con persone che provengono da culture e ambienti diversi, ci abitua a vivere accogliendo le differenze, a fare di esse un’occasione preziosa di reciproco arricchimento e scoperta. Soprattutto, lo sport diventa un’occasione preziosa per riconoscersi come fratelli e sorelle in cammino, per favorire la cultura dell’inclusione e respingere la cultura dello scarto”.

Tutto questo, ha sottolineato, “risalta ancora maggiormente nella vostra esperienza" per "la disabilità che sperimentate in qualche aspetto del vostro fisico” e “diventa un invito ad impegnare tutte le energie per fare cose belle insieme, superando le barriere che possiamo incontrare intorno a noi, e prima di tutto quelle che ci sono dentro di noi”:

“La vostra testimonianza, cari atleti, è un grande segno di speranza. E’ una prova del fatto che in ogni persona ci sono potenzialità che a volte non immaginiamo, e che possono svilupparsi con la fiducia e la solidarietà. Dio Padre è il primo a sapere questo! Dio conosce perfettamente i vostri cuori: sa tutto. E’ il primo a sapere questo!”

Dio, ha detto ancora, “ci conosce meglio di chiunque altro, e ci guarda con fiducia, ci ama come siamo, ma ci fa crescere secondo quello che possiamo diventare”. Così, ha assicurato, “nel vostro sforzo per uno sport senza barriere, per un mondo senza esclusi, non siete mai soli! Dio nostro Padre è con voi!”:

“Che dunque lo sport sia per tutti voi una palestra nella quale allenarvi quotidianamente al rispetto di voi stessi e degli altri, una palestra che vi dia l’occasione di conoscere persone e ambienti nuovi e vi aiuti a sentirvi parte attiva della società. Che possiate sperimentare, anche attraverso la pratica sportiva, la vicinanza di Dio e l’amicizia dei fratelli e delle sorelle”.

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Sinodo famiglia: veglia di preghiera con il Papa promossa dalla Cei

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Alla vigilia dell’inaugurazione della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, domani con la Santa Messa in Basilica Vaticana, si terrà oggi pomeriggio in Piazza San Pietro la veglia di preghiera e di riflessione organizzata dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana (Cei). L’evento, a cui parteciperanno anche i Padri sinodali, culminerà con l’intervento di Papa Francesco. Saranno presenti in piazza pure Lucia Miglionico e Giuseppe Ciavarella, la coppia italiana scelta come uditrice al Sinodo, insieme ad altre 12 provenienti da tutto il mondo. Responsabili della Regione Puglia per la Pastorale familiare, sono sposati da 32 anni, hanno quattro figli e sono entrambi medici presso la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, fondata da S. Pio di Pietrelcina, che loro hanno personalmente conosciuto. Come si sono preparati a questa assise? Antonella Palermo li ha intervistati: 

R. - (Giuseppe) La preghiera, la preghiera personale e la richiesta di preghiera soprattutto alla nostra comunità.

D. – Voi siete delegati regionali per la pastorale familiare. Lucia, quali sono gli aspetti su cui vi sentite di dare un contributo specifico?

R. - (Lucia) Abbiamo sempre capito e fatto nostra l’importanza dell’accompagnamento. Noi pensiamo che sia fondamentale sviluppare sempre di più una pastorale di accompagnamento per i giovani fidanzati, per quelli che amano e desiderano e sognano il matrimonio e una famiglia. E senza fermarsi poi al momento della celebrazione delle nozze: quindi anche l’accompagnamento delle giovani coppie, soprattutto nei primi anni del matrimonio, che sono gli anni più difficili. Sono gli anni in cui si scoprono la maternità, la fertilità, la fecondità; gli anni in cui si scoprono l’impatto e l’impegno sociale della famiglia e, perché no, gli anni in cui - se riusciamo a sviluppare veramente quel senso di appartenenza alla Chiesa - la famiglia riesce a vivere e a realizzare quello che nella Familiaris consortio era proprio una direttiva: la partecipazione attiva alla vita e alla missione della Chiesa stessa.

R .- (Giuseppe) C’è un grande desiderio di famiglia da parte dei giovani. Bisogna lavorare perché questa situazione che si viene a creare non sia un aspetto soltanto emozionale ma sia nella costanza di fare famiglia e di essere famiglia.

D. -  Che spazio c’è in parrocchia per una buona testimonianza e come valuta la collaborazione tra laici e sacerdoti?

R. – (Lucia) Questo è un punto molto, molto delicato. Perché, se da una parte si parla sempre di famiglia come soggetto pastorale, dall’altra parte molte volte tante famiglie lamentano l’incapacità di diventare un vero soggetto. Questo molte volte è dovuto anche al fatto che i nostri sacerdoti sono chiamati spesso ad essere “dispensatori” di Sacramenti e al fatto che noi laici abbiamo la capacità di prendere e di dare poco. Allora ecco perché è fondamentale questa nuova crescita, questa nuova rivalutazione. Nell’ambito delle parrocchie è importante che ci sia proprio una comunione tra presbiteri e sposi. E’ molto bello quando un giovane seminarista può vedere, seguire direttamente con una famiglia della parrocchia che cosa significa essere “famiglia”. Così come è bello che le giovani coppie si sentano sempre più accompagnate dai sacerdoti. Quindi, nell’ambito della parrocchia, è questo che noi dobbiamo impegnarci a sviluppare. Spesso ci sono parrocchie molto ricche nelle quali i gruppi famiglia, quelli dei giovani sposi, quelli dei giovani lavorano attivamente. Ma ci sono parrocchie ‘povere’ da questo punto di vista, dove entrambi i versanti, quello dei presbiteri e quello degli sposi, vanno aiutati e sostenuti con una corretta preparazione, con un adeguato accompagnamento. E’ alle famiglie, quelle che veramente credono nell’essere famiglia, che chiediamo fortemente di essere testimoni di quella gioia del Vangelo di cui parla Papa Francesco.

D. – Molte giovani coppie hanno paura, soprattutto per la crisi economica, di affrontare un matrimonio celebrato cristianamente: cosa si sente di suggerire a questi giovani fidanzati che magari già convivono?

R. – (Giuseppe) Bisogna affidarsi a Gesù, bisogna affidarsi a Dio.

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Tweet del Papa: “Come Gesù indica a Marta nel Vangelo, una cosa è necessaria: pregare”

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“Come Gesù indica a Marta nel Vangelo, una cosa è necessaria: pregare. #praywithus".  E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex alla vigilia dell’inizio del Sinodo straordinario sulla famiglia.

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Vertice nunzi in Vaticano: basta a guerra e violazione diritti umani

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Si è concluso l’incontro, svoltosi in Vaticano (2-4 ottobre) per desiderio di Papa Francesco, con i rappresentanti pontifici presenti nel Medio Oriente per riflettere sulla drammatica situazione nella Regione. All’incontro che aveva come tema “La presenza dei Cristiani in Medio Oriente” hanno partecipato oltre ai superiori della Segreteria di Stato, anche quelli dei Dicasteri della Curia Romana direttamente interessati alla questione, gli osservatori permanenti della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York e a Ginevra e il nunzio apostolico presso l’Unione Europea.

I partecipanti alla riunione – riferisce un comunicato - hanno manifestato la loro gratitudine al Santo Padre per questa iniziativa e per la sua presenza all’inizio dei lavori. La presenza dei nunzi della regione ha permesso di conoscere di prima mano la situazione dei cristiani nei diversi Paesi, così come quella del contesto in cui vivono. I superiori dei diversi Dicasteri hanno contribuito a favorire una visione d’insieme.

Nell’esprimere la vicinanza ai Patriarchi, ai Pastori e ai cristiani del Medio Oriente e alle altre componenti religiose ed etniche che soffrono a causa della violenza che imperversa in tutta la Regione, soprattutto in Iraq e in Siria, i partecipanti alla riunione hanno assicurato la loro preghiera e quella di tutta la Chiesa. Nello stesso tempo hanno riaffermato la necessità di fare tutto il possibile per aiutare queste persone e venire incontro ai loro bisogni, come tante volte richiamato dal Santo Padre.

La situazione di violenza alla quale c’è il rischio di abituarsi, dandola quasi per scontata come oggetto di cronaca quotidiana, deve cessare. I partecipanti alla riunione hanno considerato l’urgenza di porre fine alle guerre in atto che hanno già provocato numerosissime vittime. Essi hanno denunciato le violazioni da più parti delle norme più elementari del diritto umanitario internazionale, con un riferimento particolare alle sofferenze dei bambini e delle donne. Purtroppo senza scrupoli continua il traffico di armi e ancor più grave le persone stesse sono oggetto di commercio. Dopo aver esaminato la drammatica situazione umanitaria, della quale soffrono le conseguenze tra gli altri i numerosissimi sfollati e rifugiati in altri Paesi, hanno sottolineato l’imperiosa necessità che sia garantita a tutti, senza discriminazioni, la doverosa assistenza umanitaria.

Grave preoccupazione – si afferma - desta l’operato di alcuni gruppi estremisti, in particolare del cosiddetto “Stato islamico”, le cui violenze e abusi non possono lasciare indifferenti. Non si può tacere, né la comunità internazionale può rimanere inerte, di fronte al massacro di persone soltanto a causa della loro appartenenza religiosa ed etnica, di fronte alla decapitazione e crocifissione di essere umani nelle piazze pubbliche, di fronte all’esodo di migliaia di persone, alla distruzione dei luoghi di culto. I partecipanti all’incontro hanno ribadito che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre nel rispetto del diritto internazionale. Tuttavia – è stato precisato - non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare, ma esso va affrontato più approfonditamente a partire dalle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista. Un ruolo importante dovrebbero svolgerlo i leader religiosi, cristiani e musulmani, collaborando per favorire il dialogo e l’educazione alla reciproca comprensione, e denunciando chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza.

Di fronte al dramma di tante persone che sono state costrette a lasciare le loro case in maniera brutale i partecipanti hanno ribadito la necessità che sia riconosciuto il diritto dei cristiani e degli altri gruppi etnici e religiosi a rimanere nelle loro terre di origine e, qualora siano stati costretti ad emigrare, il diritto di ritornare in condizioni adeguate di sicurezza, avendo la possibilità di vivere e di lavorare in libertà e con prospettive per il futuro. E ciò richiede nelle circostanze attuali l’impegno sia dei Governi interessati che della comunità internazionale. Sono in gioco principi fondamentali come il valore della vita, la dignità umana, la libertà religiosa, e la convivenza pacifica e armoniosa tra le persone e tra i popoli.

Non ci si può rassegnare – è l’appello conclusivo - a pensare il Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Essi vogliono continuare a contribuire al bene della società, inseriti quali cittadini a pieno titolo nella vita sociale, culturale e religiosa delle nazioni a cui appartengono. In esse svolgono un ruolo fondamentale come artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo. E’ stata infine ribadita l’importanza dell’azione dei fedeli laici nella vita sociale e politica e perciò la necessità di una loro adeguata formazione anche per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa.

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Il card. Parolin: cristiani perseguitati, fermare i violenti

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Stamani il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha presieduto, nella Cappella Paolina in Vaticano, la Messa con i nunzi apostolici giunti dal Medio Oriente per fare il punto con i superiori della Curia Romana sulle crisi che stanno colpendo i cristiani e altre minoranze nella regione. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il cardinale Parolin, prendendo spunto dalla Festa di San Francesco, ha affermato che il Poverello di Assisi “ci insegna le ragioni, il coraggio e la pazienza del dialogo, anche con i più lontani, perché, toccati dalla purezza delle nostre intenzioni, possano ravvedersi e desistere dai loro progetti di violenza e di sopraffazione”. “Siamo profondamente colpiti – ha detto - nel vedere le crescenti minacce alla pace e turbati per le condizioni delle comunità cristiane che vivono nei territori tra Siria ed Iraq, controllati da un’entità che calpesta il diritto e adotta metodi terroristici per tentare di espandere il suo potere. Tali comunità, che fin dai tempi apostolici abitano quelle terre, si trovano perciò ad affrontare situazioni di grave pericolo e di aperta persecuzione e sono spesso costretti ad abbandonare tutto e a fuggire dalle loro abitazioni e dal loro Paese”.

“É triste constatare – ha proseguito il porporato -quanto siano persistenti e attive le forze del male, quanto in alcune menti corrotte si sia fatta strada la convinzione che la violenza e il terrore siano metodi di cui potersi servire per imporre agli altri la propria volontà di potenza, dissimulata addirittura sotto la pretesa di affermare una determinata concezione religiosa! Si tratta chiaramente di un pervertimento dell’autentico senso religioso con esiti drammatici e a cui è necessario rispondere”.

“La Chiesa – ha affermato con forza - non può rimanere in silenzio di fronte alle persecuzioni sofferte dai suoi figli e la comunità internazionale non può rimanere neutrale tra gli aggrediti e l’aggressore”. Occorre dunque “porre in atto tutte quelle iniziative concrete che servano a sensibilizzare i Governi e l’opinione pubblica. Nulla va tralasciato di quanto è possibile fare per alleviare le condizioni dei nostri fratelli nella prova e per fermare i violenti”. “I cristiani perseguitati e tutti coloro che soffrono ingiustamente devono poter riconoscere nella Chiesa l’istituzione che li difende, che prega ed agisce per loro, che non teme di affermare la verità, divenendo parola per chi non ha voce, difesa e sostegno di chi è abbandonato, profugo, discriminato”.

Il cardinale segretario di Stato ha ricordato l’azione della Santa Sede “in favore del diritto alla vita ed in favore della libertà religiosa, capisaldi tra i diritti umani” e ha richiamato la comunità internazionale al “dovere di garantire nei modi stabiliti dal diritto internazionale la pace e la sicurezza, al fine di porre gli aggressori nella condizione di non nuocere”. “Siamo chiamati tutti – ha concluso - a svolgere con impegno questo compito per la pace nel mondo, per la continuità e lo sviluppo della presenza delle comunità cristiane del Medio Oriente, per il bene comune dell’umanità”.

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Festa di San Francesco. Mons. Carballo: ci dice di ritornare sempre al Vangelo

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La Chiesa celebra oggi la festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia. Auguri stanno giungendo da tutti i continenti al Papa che ha scelto di assumere il nome del Santo Fondatore dell’Ordine Francescano. Ma cosa dice oggi alla Chiesa San Francesco? Sergio Centofanti lo ha chiesto a mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e già ministro generale dell'Ordine dei Frati minori: 

R. - San Francesco ha ricevuto dallo stesso Cristo, a San Damiano ad Assisi, la missione di riparare la Chiesa. Come? Tornando ad una vita segnata dal Vangelo. Quindi San Francesco sta dicendo alla Chiesa che oggi, come ieri, si deve tornare al Vangelo; si deve tornare a mettere al centro Gesù, perché per San Francesco il Vangelo non è un libro, è una persona: Gesù. E per San Francesco, il Vangelo non è un’ideologia, ma è una forma di vita. Credo che il messaggio di San Francesco sia proprio questo: tornare al Vangelo, fare del Vangelo la regola di vita di ogni cristiano e la regola di vita della Chiesa stessa.

D. - Cosa sta portando alla Chiesa il Papa che ha scelto il nome del Poverello d’Assisi?

R. - Anche qui, direi, che Papa Francesco sta chiedendo alla Chiesa di tornare al Vangelo; sta portando alla Chiesa la freschezza e la bellezza del Vangelo. Durante il suo pontificato - certamente in continuità con i suoi predecessori - sta ricordando l’essenziale: il Vangelo; l’essenziale è Gesù Cristo e con lui i poveri, e con i poveri tutti coloro che appartengono al mondo delle periferie esistenziali e del pensiero. Quindi Papa Francesco, il Papa gesuita che ha scelto il nome del Poverello d’Assisi, ci sta portando una Chiesa vicina alla gente e ci sta chiedendo una Chiesa in uscita per andare ad incontrare tutti coloro che hanno un bisogno particolare sia a livello esistenziale di beni, sia a livello spirituale, perché chi ha Dio ha tutto, chi non ha Dio è il più povero che si possa immaginare.

D. - Giustizia, pace e Creato: tre dimensioni francescane di cui l’umanità oggi ha più bisogno che mai ...

R. - Certamente giustizia, pace e Creato sono tre dimensioni profondamente francescane ma, prima di tutto, sono tre dimensioni evangeliche. La giustizia guarda al rispetto dei diritti della persona; possiamo dire che questo è profondamente evangelico: la pace parla della riconciliazione. Noi francescani utilizziamo il saluto “Pace e bene”: non è altro che il desiderio della riconciliazione piena: pace con Dio, pace con noi stessi, pace con gi altri e pace con il Creato, riconciliazione. E poi il Creato: oggi questa è un’emergenza particolarmente sentita perché, a dire la verità, stiamo distruggendo la casa dell’uomo. Quindi, è una responsabilità! Quando parliamo di ecologia non parliamo di qualcosa che può essere o non può essere, no! Non parliamo di un optional: parliamo di una scelta in favore della creazione e quindi in favore dell’uomo. Però, quando parliamo di ecologia, dobbiamo ricordare che secondo il patrono dell’ecologia – Francesco d’Assisi – questa è sempre teologica. Nel Cantico delle Creature, parlando del sole, della luna … dice: “... perché di te Altissimo portano significazione”. Quindi per noi credenti il Creato è un segno, un’icona e come direbbe San Bonaventura: “Un Sacramento del Creato”. Quindi noi credenti non possiamo mai separare il Creato da Dio, il Creato dall’uomo.

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Stati Uniti. Beatificata suor Miriam Teresa Demjanovic

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È una suora giovane e straordinaria, Miriam Teresa Demjanovic, la religiosa della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Elisabetta - impegnate nell’educazione, nell’assistenza sanitaria, sociale e pastorale – beatificata oggi a Newark, New Jersey, Stati Uniti, alla presenza del prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato. Di origini europee, morì a 26 anni nel 1927. Il servizio di Roberta Barbi: 

È la prima Beata nata e vissuta nell’America del XX secolo e coniuga in sé le esperienze della Chiesa d’Oriente e d’Occidente: se, infatti, ricevette i Sacramenti secondo il rito greco-cattolico delle sue origini, con l’ingresso tra le religiose della Carità di Santa Elisabetta decise di appartenere anche alla Chiesa latina. È tutto questo suor Miriam Teresa Demjanovic, beatificata oggi nella sua Newark, dove morì a soli 26 anni, diventando una testimonianza ardente di santità giovanile e un richiamo alle giovani generazioni su come si possano incarnare le virtù e i valori cristiani nel proprio tempo e nella propria cultura. Pur così giovane, infatti, aveva compreso e fatto suo il messaggio “semplice” che sarebbe poi stato – 30 anni dopo la sua morte – al centro del Concilio Vaticano II: “Tutti siamo chiamati alla santità” e possiamo ambirvi, come ricorda il cardinale Angelo Amato:

“Aveva il dono di comprendere a fondo il significato dell’amore a Gesù crocifisso ed eucaristico, della presenza della grazia di Dio nelle anime. Per lei il soprannaturale era veramente il suo ambiente divino. Per questo ammirava i Santi, soprattutto Santa Teresa d’Avila e Santa Teresa del Bambino Gesù, che erano i raggi spirituali della sua esistenza di consacrata”.

E proprio questa sua intensa spiritualità fondata sull’esperienza della comunione trinitaria, le valse il soprannome di “Santa Teresina del Bambino Gesù d’America”. Di quanto fosse speciale se n’era accorto per primo il suo direttore spirituale, che, ancora novizia, le chiese di scrivere una serie di conferenze sulla vita spirituale destinate alle altre novizie. Ne realizzerà 26, che dopo la sua morte confluiranno nel libro “La perfezione più grande”. Della sua breve esperienza nel convento era entusiasta, tanto che in punto di morte volle esprimere questa gioia alla sua priora; un entusiasmo condiviso da chi la conobbe in quegli anni, come sottolinea il cardinale Amato:

“Al noviziato fu modello di virtù soprattutto di obbedienza. Si distingueva per un’affabilità straordinaria che non faceva distinzione tra le persone. Pronta a perdonare, elogiava il bene che vedeva compiere dagli altri, parlava spesso delle virtù con la semplicità e la convinzione che le derivavano dalla sua coerenza di vita”.

Se il noviziato a Convent Station fu il suo modo di rispondere al Signore che la chiamò fin da giovanissima, Miriam Teresa, mostrandosi ancora una volta come esempio della virtù dell’obbedienza, volle comunque adempiere alla promessa fatta al capezzale della madre: frequentare il college, dove si laureò brillantemente in lettere e dove portò con naturalezza i suoi valori cristiani, come evidenzia il porporato:

“La vita del college fu piena di serenità e di gioiosa pietà cristiana. Nonostante le distrazioni proprie di un campus universitario, mantenne la sua anima pura e intimamente unita a Dio”.

Realizzare il sogno di sua madre di saperla laureata, dimostra lo stretto legame di Teresa con la sua famiglia, che fu particolarmente plasmante, come spesso avviene nelle vite dei Santi. Ultima di sette figli in una famiglia di immigrati slovacchi profondamente religiosi, fin da piccola si nutrì dell’esempio dei genitori ed ebbe la grazia di comprendere il significato e la forza di fare sempre la volontà di Dio, come conclude il cardinale Amato:

“Sentiva fortemente la presenza e la protezione speciale del suo angelo custode, che spesso poneva rimedio alle sue inadempienze. In tal modo, mentre la sua esistenza scorreva in modo apparentemente ordinario, la piccola già godeva di privilegi straordinari comuni a tanti grandi mistici”.

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Udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il card. Marc Ouellet, P.S.S., prefetto della Congregazione per i Vescovi; mons. Joseph Edward Kurtz, arcivescovo di Louisville (Stati Uniti d’America), presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, con il card. Daniel N. DiNardo, arcivescovo di Galveston-Houston, vice presidente; mons. Ronny E. Jenkins, segretario generale; e mons. J. Brian Bransfield, segretario generale aggiunto; mons. Wojciech Załuski, arcivescovo tit. di Diocleziana, nunzio apostolico in Burundi. Il Papa ha ricevuto sempre questa mattina il rev.do mons. Paolo Rudelli, inviato speciale, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo

In Inghilterra, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Arundel and Brighton, presentata da mons. Kieran Conry, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

In Slovenia, il Papa ha nominato il rev.do P. Stane Zore, O.F.M., arcivescovo metropolita di Ljubljana.

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Plenaria Ccee. Card. Erdő: i giovani desiderano una vera famiglia

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Nella sede della nostra emittente si è tenuta stamani la conferenza stampa a conclusione dell’assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (Ccee). All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, il cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, e il vice presidente del medesimo organismo, il cardinale Angelo Bagnasco. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’immagine della famiglia in Europa offre scenari stridenti. Il desiderio di un solido progetto familiare - ha detto il cardinale Péter Erdő - si scontra con una realtà sempre più problematica:

“Vediamo che la maggioranza dei giovani in Europa pensa ancora alla sua felicità, nel quadro di una vera famiglia: desiderano sposarsi e avere figli. Purtroppo, in realtà, non si verifica molto spesso, per diverse ragioni, per la ricerca di una stabilità esistenziale, forse esagerata: finire gli studi, trovare un buon posto di lavoro e avere la casa. Tutto questo dura per tanto tempo e alla fine si ritrovano abbastanza ‘anziani’, senza una decisione definitiva. Non è soltanto la percentuale dei matrimoni sacramentali che diminuisce; anche i matrimoni civili diventano sempre più rari. La convivenza stabile, in diversi Paesi europei, supera già il 50 per cento delle coppie che vivono insieme senza alcun matrimonio. Per questo anche la questione dei divorziati risposati sta perdendo la sua importanza statistica. Non è che dal punto di vista esistenziale non sia importante - è una questione importantissima - ma statisticamente diminuisce il numero di quelli che vivono in tali condizioni”.

Durante la riunione plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, i vescovi hanno ascoltato con grande partecipazione le relazioni dei pastori dell’Ucraina e di altri Paesi europei, segnati da gravi crisi. Lo sguardo – ha spiegato il cardinale Angelo Bagnasco - si è allargato anche al Medio Oriente, a cominciare dalla Terra Santa:

“Le situazioni sono segnate dal comune denominatore della complessità, della violenza, della sofferenza dei più deboli, dell’incertezza sul futuro. A tutto ciò si aggiunge il dolore dell’intolleranza verso i cristiani e altre minoranze, che condanniamo con fermezza. Chiediamo alle autorità internazionali risoluzioni efficaci, chiare ed immediate, perché si ponga fine alle tragedie in atto e anche perché si assicuri il rientro dei profughi - nel tempo più breve possibile – nelle loro terre, in condizioni di sicurezza e di libertà”.

Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha sottolineato infine l’importanza dell’azione solidale delle Chiese d’Europa a sostegno della Terra Santa:

“Dall’Assemblea è emersa la nostra gioia di vedere la solidarietà di tutta l’Europa e delle Chiese in Europa per quello che viviamo in Medio Oriente e in Terra Santa. Sono arrivati aiuti concreti. Questa è una bella comunione tra noi, unica Chiesa cattolica”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non si deve rimanere neutrali o inerti: il cardinale segretario di Stato ai nunzi dei Paesi mediorientali.

Superiamo le barriere che sono dentro di noi: agli atleti del Comitato Italiano Paralimpico il Papa parla dello sport come occasione di incontro e condivisione.

Reporter del male: Giancarlo Gaeta sulle pagine di Etty Hillesum, vittima della Shoah.

Il ribelle tranquillo: Giovanni Papini su una lettura atipica dei "Promessi Sposi".

Una vita a zig zag: da Colombo, Cristian Martini Grimaldi descrive il traffico di culti e taxi nello Sri Lanka.

Forme che aprono lo sguardo: Silvia Gusmano sull'alleanza tra Vangelo e arte da Nicea a Michelangelo.

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Oggi in Primo Piano



Siria : decapitato ostaggio britannico, battaglia a Kobane

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La comunità internazionale reagisce duramente alla brutalità dei jihadisti del sedicente Stato islamico, dopo la decapitazione di un quarto ostaggio occidentale, il britannico Alan Henning, impegnato nel soccorso ai profughi siriani. “Porteremo i responsabili davanti alla giustizia”, assicura Washington che, con gli alleati, continua a bombardare le postazioni jihadiste in Iraq e Siria. Oggi almeno 35 i militanti uccisi. Si combatte in particolare a Kobane, enclave curda al confine con la Turchia. “Ankara ha promesso di proteggerla ma finora non è intervenuta, evidenziando tutti i paradossi di questo conflitto”, commenta al microfono di Gabriella Ceraso, Alberto Negri inviato del "Sole 24 ore" nell’area: 

R. – Gli Stati Uniti hanno inglobato un alleato che prima era un alleato riluttante e adesso è un alleato forse con le mani legate perché prima la Siria, poi l’Iran, poi anche l’Iraq, hanno dichiarato che non intendono accettare un intervento turco che superi i confini dei loro Paesi. Quindi, in qualche modo, è venuto a nudo il fallimento della politica turca di questi anni: “Zero problemi con i vicini”. Poi, c’è la questione di Kobane stessa: i turchi in una sorta di dimostrazione assai ambigua di forza hanno fatto schierare 50, 60 carri armati sulla collina, hanno mobilitato 10 mila uomini. Ma non sono intervenuti perché i turchi non vogliono sostenere i curdi che combattono lì perché sono comunque legati al Pkk turco di Abdullah Öcalan. Quindi, se non combattono i curdi sul terreno, se i turchi non li aiutano e se gli altri Stati non accettano un intervento militare della Turchia, in che situazione ci troviamo? Chi deve combattere allora questa guerra? Chi lo fa questo "lavoro sporco" sul terreno? Qui Erdogan e la Turchia rischiano di perdere la faccia e non solo loro, ma anche gli Stati Uniti: questa coalizione internazionale, raffazzonata, che deve avere a che fare con tutte le contraddizioni dell’area.

D.  – Facciamo l’ipotesi "caduta Kobane": significherebbe un’avanzata ai confini non solo della Siria ma anche della Turchia, non sarebbe solo una cosa simbolica?

R. – La caduta di Kobane significa la possibilità per il Califfato di instaurare una sorta di corridoio che da Ovest, Nord Ovest della Turchia, arriva fino al Nord Ovest dell’Iraq, passando attraverso la Siria: un corridoio importantissimo che naturalmente sostiene l’avanzata delle truppe del Califfato. E questo nonostante i bombardamenti e i raid americani perché se quelli del Califfato sono riusciti ad arrivare a Kobane con i carri armati e con l’artiglieria, vuol dire che questi raid, pur numerosi, non sono stati sufficienti o sufficientemente incisivi.

D.  – Durante tutto questo movimento di terra c’è questo continuo stillicidio dei video che arrivano, ostaggi che vengono uccisi, minacce e poi eventuali reazioni. Come valutare questa strategia?

R. – Dimostrano che possono in qualche modo appunto mettere sotto pressione l’Occidente anche in questa maniera e non soltanto dal punto di vista militare. Ed è anche la loro sfida ai bombardamenti e ai raid della coalizione internazionale, su questo non c’è dubbio.

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Ucraina: la Germania valuta invio di truppe

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Cresce il timore per la ripresa dei combattimenti in Ucraina dove separatisti e governativi continuano a fronteggiarsi soprattutto nei dintorni dell’aeroporto di Donetsk. Intanto, secondo la stampa tedesca, nel quadro dell’Osce, la Germania sarebbe pronta ad inviare truppe nella zona Est del Paese per monitorare la tregua. Il governo di Berlino, però, precisa che per il momento sono in corso valutazioni assieme alla Francia. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Fabrizio Dragosei corrispondente a Mosca per "Il Corriere della Sera":  

R. – Diventa quasi una necessità visto che la tregua viene rispettata solo parzialmente. Sul terreno oggi ci sono osservatori dell’Osce, l’Organizzazione europea per la cooperazione e la sicurezza, che dovrebbero monitorare questa tregua anche con l’aiuto di droni. Il numero degli osservatori sarà raddoppiato entro fine anno, ma sicuramente non sono abbastanza. La Germania manderebbe 200 soldati - anche loro sono sicuramente pochi – che probabilmente saranno affiancati da altrettanti uomini dell’esercito francese e forse anche da militari di altre nazioni. Alla fine andranno a costituire una forza di interposizione. Poi vedremo quanto questo influirà sul futuro del Paese, perché tutto ciò dovrebbe avvenire in attesa della definizione di un piano di pace permanente, ma sappiamo bene che queste situazioni provvisorie – com’è successo in altre parti dell’Europa orientale – finiscono per diventare “provvisoriamente permanenti”.

D. – La zona continua ad essere teatro di scontri, con attacchi anche contro strutture umanitarie. C’è il rischio di un ritorno a combattimenti su vasta scala?

R. – Le forze di pace riusciranno, forse, a stabilizzare la situazione e certamente, se non ci saranno svolte clamorose sul piano politico – ma io francamente, vista la situazione, non le prevedo affatto – questo vuol dire un congelamento della situazione attuale: il Sudest dell’Ucraina, la zona attorno al Donbass – per capirci bene Luhansk o Lugansk in russo – e Donetsk rimangono separate dal resto del Paese. Rimangono in una specie di limbo: sono formalmente ancora parte dell’Ucraina, ma in realtà il governo di Kiev non ha più alcun potere lì. Saranno zone amministrate dai ribelli esattamente com’è avvenuto in Ossezia del Sud dopo la guerra civile dei primi anni Novanta; esattamente com’è accaduto in Abkhazia, sempre dopo la guerra civile georgiana di quegli stessi anni; esattamente com’è avvenuto nella Transnistria, la zona separata dalla Moldavia, che si trova tra la Moldavia e l’Ucraina e che è un’enclave russa che da allora continua a vivere autonomamente.

D. – Se questo scenario venisse confermato, quale sarebbe il risultato politico della crisi ucraina?

R. – Il risultato politico sarà il fatto che la Russia ha ottenuto alla fine, grazie anche – devo dire – all’aiuto dei Paesi occidentali e soprattutto degli Stati Uniti, che si sono mossi in maniera veramente direi poco accorta in questa crisi e sicuramente molto poco diplomatica, il suo scopo minimo ma che era anche lo scopo massimo: il Sudest del’Ucraina è separato dal resto del Paese; l’Ucraina è un Paese spaccato in due e quindi qualsiasi ipotesi di futuri ingressi dell’Ucraina nella Nato tramonta; qualsiasi ipotesi di futuri ingressi dell’Ucraina nell’Unione Europea sono da dimenticare. Rimarrà un Paese cuscinetto, come in realtà era all’origine e come doveva forse essere se i ministri degli esteri dei governi interessati avessero fatto bene il loro lavoro: quindi un cuscinetto e speriamo magari anche un ponte di unione tra la Russia e l’Europa, perché ricordiamo che l’Ucraina ha comunque interessi economici molto forti sia ad Est che ad Ovest: ha rapporti di scambio commerciali molto importanti con l’Unione Europea e ha scambi altrettanto importanti con la Russia che – ricordiamo – come minimo fornisce il gas e questo non è un particolare trascurabile.

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L’ombra della crisi ucraina sulle parlamentari in Lettonia

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Crisi ucraina e influenza del gigante russo sono stati tra i temi dominanti del dibattito politico in Lettonia in occasione delle elezioni parlamentari di questo 4 ottobre. Gli elettori sono chiamati a prendere posizione tra l’uscente governo di centro-destra del primo ministro Laimdota Straujuma e il partito tradizionalmente filo-russo Concord. Secondo i sondaggi, ben un 30% dei votanti si dichiara indeciso. Fausta Speranza ha parlato di tutto questo con Aldo Ferrari, docente di Russia ed Europa orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia:   

R. - E’ un Paese tra i pochi di quelli usciti dall’Unione Sovietica nel ‘91 che abbia trovato una strada economicamente e socialmente positiva. Poi chiaramente ha diversi problemi: la crisi, in qualche maniera, ha coinvolto anche questo Paese. Ma al di là di alcuni problemi congiunturali, in sostanza è un Paese che, a mio giudizio, ha un futuro positivo davanti a sé.

D. - Abbiamo visto nei mesi scorsi una forte opposizione al governo di centro-destra e la crescita di questo partito russofono, ma adesso con la crisi ucraina sembra prevalere l’incubo dell’influenza russa: la memoria di invasioni del passato…

R. - L’insoddisfazione nei confronti del governo di centro-destra può essere considerata normale: anche questo Paese ha avuto un trascorso sovietico e quindi ha ancora memoria di una tranquillità sociale ed economica nella quale, in sostanza, non c’era bisogno di darsi tanto da fare lavorando, perché lo Stato serviva tutto. Adesso la situazione è profondamente cambiata, le persone possono arricchirsi, ma hanno bisogno di molta intensità e non tutti ce la fanno. Quindi delle tendenze - posso dire - conservatrici, delle tendenze statalistiche, che in certa misura possono coincidere anche con l’appoggio a partiti russofoni - ricordiamo che c’è una forte minoranza russa in questo Paese - sono anche comprensibili. Ma sono peraltro dinamiche normali in un Paese democratico. Chiaramente la crisi in Ucraina ha profondamente cambiato la situazione, perché questi Paesi risentono realmente, anche se a volte in maniera isterica, del passato. Il ricordo dell’annessione alla Russia e poi del periodo sovietico è forte, anche se, a mio giudizio, spesso non distinguono correttamente tra il passato imperiale russo e quello sovietico: Russia e Unione Sovietica non erano la stessa cosa e confonderle è un errore di prospettiva storica.

D. - Quanto è forte il dibattito su una presenza della Nato più influente nella regione? Sappiamo essere un dibattito che coinvolge anche i vicini Estonia e Lituania…

R. - Chiaramente è importante, ma d’altra parte sono Paesi già membri della Nato. Un ulteriore rafforzamento è richiesto da questi Paesi, così come da altri loro vicini. Però bisogna tenere presente, in maniera fredda ed equilibrata, che non è interesse di nessuno l’innalzamento della tensione con la Russia e un ulteriore rafforzamento della Nato va in questa direzione. Questo non fa bene a nessuno: non fa bene ai Paesi Baltici, non fa bene all’Unione Europea e neanche alla Russia. A mio giudizio, sarebbe meglio evitare di innalzare il livello dello scontro. Si è arrivati ad una situazione difficile che fa male a tutti. Bisogna trovare dei nuovi rapporti con Mosca e l’aumento degli armamenti non è la via da percorrere. Occorre, invece, una soluzione politica che però richiede un impegno negoziale maggiore da parte di tutti gli attori, interni ed esterni.

D. - E’ corretto dare come percentuale circa poco più del 20 per cento di russofoni tra gli aventi diritto al voto?

R. - Per quanto ne so io, i russi - perché io parlerei più di russi che di russofoni, perché l’espressione russofona a volte tende un po’ a stemperare - sono fra il 20 e il 25 per cento, forse più vicino al 25 per cento che non al 20. E’ una minoranza davvero consistente, in effetti…

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Elezioni anticipate in Bulgaria: favorito il centrodestra

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Elezioni legislative anticipiate questa domenica in Bulgaria. Si prospetta un parlamento frammentato e nuova ondata di instabilità politica che si sommerà alla crisi economica e sociale. I sondaggi danno in testa il partito di centrodestra Gerb. Il servizio di Iva Mihailova

Domenica, 5 ottobre, i bulgari si recheranno alle urne per la terza volta in meno di due anni. Un periodo di instabilità politica con ben cinque governi per il paese più povero dell’Unione europea segnato fortemente dalla crisi e dalla corruzione. Sette milioni di cittadini al voto, mentre 18 partiti e 7 coalizioni si contendono i 240 seggi del parlamento unicamerale. In testa secondo i sondaggi è il partito di centrodestra Gerb guidato dal suo leader populista Boyko Borissov con circa 35% dei voti. A larga distanza seguono i socialisti al governo fino ad agosto con 19% mentre al terzo posto viene dato il partito della minoranza turca (Dps) con il 15,4%. A decidere la partita probabilmente saranno le formazioni piccole come la vecchia destra presentata dal Blocco riformista e il neocostituito movimento Bulgaria senza censura. Anche i nazionalisti di Ataka e il Fronte patriottico potrebbero superare la soglia di sbarramento del 4%. La grande incognita è se il vincitore riuscirà a formare un governo con un parlamento così frammentato. Molte le sfide e le urgenti riforme che aspettano la Bulgaria: sanare il sistema bancario, decidere il futuro dei progetti di interesse russo: il gasdotto South stream e la centrale nucleare Belene ma anche cambiamenti nel comparto sanitario e nell’istruzione. Nel frattempo la maggior parte dei bulgari è disgustata dalla classe politica e andrà a votare pensando che le elezioni non cambieranno niente nella loro vita.

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A Napoli, l'incontro della pace del Sermig: "Dare voce ai giovani"

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Dare voce ai giovani per costruire insieme un futuro migliore. E’ l’obiettivo del quarto “Appuntamento mondiale giovani della pace”, promossa dal Sermig, il Servizio missionario di Torino. Centinaia di ragazzi si incontreranno a Napoli per esprimere la loro opinione nel campo della politica, della cultura, dell’economia e delle spiritualità. Al termine dell'iniziativa scriveranno la "lettera della coscienza" indirizzata ai grandi della Terra. Al microfono di Maria Gabriella Lanza, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig: 

R.  – Questo appuntamento con la coscienza nasce dal nostro desiderio di amare i giovani perdutamente. E quando abbiamo scoperto che i giovani sono gli ultimi della società, sono i disoccupati della società, sono gli imbrogliati della società che è caduta nelle trappole che il mondo degli adulti ha dato loro, li abbiamo messi direttamente al primo posto. E abbiamo organizzato qui a Napoli, questo è il quarto appuntamento, per dire che è possibile cambiare un po’ questo mondo ma bisogna metterci la propria faccia.

D.  – Lo scopo di questa iniziativa è quello di far vedere il mondo con gli occhi dei giovani?

R.  – Esattamente far vedere il mondo attraverso gli occhi dei giovani! Ma il mondo degli adulti deve avere il coraggio di ascoltare. Abbiamo invitato molte autorità dell’economia, della politica, della religione, a venire ad ascoltare i giovani. E questo l’abbiamo imparato dalla Parola di Dio, Malachia dice: “Se i grandi non si riconciliano con i figli non c’è futuro per nessuno”. Mentre noi abbiamo visto che un futuro possibile c’è, però il mondo degli adulti deve fare un passo indietro. Per esempio, non è possibile vivere in una società dove il 50 per cento dei giovani oggi sarà disoccupato a vita. Il lavoro c’è: basterebbe un atto di saggezza, lavorare tutti un po’ di meno, guadagnare tutti un po’ di meno e non lasciare per strada tanti giovani. Noi pensiamo che tutti possono vivere un po’ meglio e non sopravvivere.

D. – Alcuni giovani racconteranno la loro esperienza in piazza a Napoli: ci può anticipare le storie più significative?

R. – Ci saranno giovani che hanno incontrato la droga e ne hanno fatte di tutti i colori ma si sono alzati  e stanno facendo cose meravigliose nella società. Abbiamo un sindaco armeno di 26 anni, l’unico sindaco cristiano: ci parlerà della sua esperienza  in un mondo dove intorno ci sono violenze incredibili. E noi dedicheremo questo incontro ai cristiani perseguitati. Poi, faremo una carezza a tre mamme di Napoli, di questa zona, che hanno perso i loro figli e che hanno saputo perdonare.

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Protesta dei “passeggini vuoti” a Roma: famiglie abbandonate da istituzioni

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Si sono riuniti nel Piazzale del Campidoglio, a Roma, per l’iniziativa dei “passeggini vuoti” per protestare contro l’aumento delle tariffe degli asili nido e di altri servizi comunali per l’infanzia. Il messaggio parte dalla capitale e si rivolge a Palazzo Chigi per chiedere più sostegno per le famiglie. Il servizio di Marco Guerra che ha raccolto alcune voci della piazza: 

“I passeggini sono vuoti non per noi, perché noi i figli ce li abbiamo, li abbiamo fatti e ci crediamo; ma per le istituzioni è come se fossero vuoti, perché non fanno niente per incentivare la famiglia numerosa e per questi figli che abbiamo. Io ho sei figli ed è importante vedere nei figli una risorsa, una ricchezza per il Paese, per il futuro. Altrimenti l’Italia è un Paese che sta morendo: basta guardare il tasso di natalità…".

Sotto il Marco Aurelio il colpo d’occhio dei mille passeggini vuoti portati dalle famiglie romane colpite dall’aumento delle tariffe per l’infanzia, vuole ricordare il drastico crollo della natalità registrato anche dal Censis che, solo tre giorni fa, ha pubblicato i dati di un’emorragia di 62mila nati in meno dall’inizio della crisi. Meno figli dunque a causa della congiuntura economica ma anche per la mancanza di politiche di sostegno alla famiglia e di una tassazione equa:

“Io posso dire il mio caso, perché sono al quarto figlio… Il problema è che oggi se hai un mutuo, quattro figli e guadagni 4 mila euro, pensano tutti che stai bene. In realtà , se stati attento riesci ad arrivare a fine mese. Noi siamo il motore dell’Italia: se si ferma la famiglia, si ferma tutto! Si fermano le attività commerciali, si fermano i servizi, si ferma la scuola, si ferma tutto quanto… E’ un messaggio spontaneo di persone: non apparteniamo a gruppi politici, né a sezioni, né abbiamo i pullman pagati. Noi siamo qui perché vogliamo solo dare questo messaggio: la famiglia oggi non è sostenuta!".

"Basterebbe introdurre il quoziente famigliare, per esempio, che è un indicatore che a mediare tutte le tariffe in base alla numerosità del nucleo famigliare. Questo non c’è! Il messaggio è globale, a livello nazionale".

"Noi siamo i ‘produttori’ degli italiani e se non produciamo più italiani, l’Italia non c’è più! Io spero che questo sia il preludio e che cercheremo di unirci di più. La famiglia – a mio avviso – viene colpita perché non è protetta da nessuno: non ha sindacati, non ha associazioni di categoria e quindi è molto facile colpire la famiglia. Dobbiamo cominciare noi famiglie a farci vedere, a muoverci, a unirci…".

Prendendo quindi spunto dall’aumento delle tariffe per gli asili, il messaggio parte dal Campidoglio e arriva a Palazzo Chigi. “Se sarà necessario saremo in altre piazze”, affermano gli organizzatori che, rivolgendosi al governo, lanciano un grido: “la fabbrica dei bambini e degli italiani sta per chiudere, aiutiamo le famiglie o il paese non avrà futuro!”.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 27.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù espone ai capi dei sacerdoti la parabola della vigna che un uomo ha affidato a dei contadini. Questi, però, se ne vogliono impossessare maltrattano i servi e uccidono il figlio, cioè l’erede. Gesù conclude:

“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo … Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

La parabola del Vangelo di oggi si illumina della visione di tante nostre colline che, proprio in questa stagione, sono ricoperte di vigne e del lavoro per la raccolta dell’uva. Un uomo si è preparato una vigna, l’ha curata e l’ha affidata a dei contadini perché la lavorino e gli diano frutto a suo tempo. Ma quando manda i suoi servi a ritirare il raccolto, quelli non ne vogliono sapere e rispondono trattando male e uccidendo gli inviati. Alla fine egli manda il figlio, sperando che abbiano rispetto per lui. Ma la reazione è tragicamente cinica: “È l’erede, uccidiamolo e avremo noi l’eredità”. Gesù è giunto a Gerusalemme e vede che i capi del popolo e gli scribi, proprio coloro che – come i vignaioli – Dio aveva mandato nella vigna perché accogliessero l’inviato del Padre ed entrassero nel Regno, si mettono fuori: macchinano per toglierlo di mezzo. E il figlio verrà cacciato fuori della vigna e ucciso. La parola è per noi oggi: il battesimo ci ha costituito tutti “contadini della vigna del Signore”, ha fatto di ognuno di noi “una missione su questa terra”, come ci ha ricordato Papa Francesco (Evangelii Gaudium, 273), ma anche tra di noi, cristiani d’Occidente, è in atto un rifiuto del Figlio. Ci dice oggi il Signore: “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. Non possiamo giocare con i doni di Dio. Torniamo oggi, giorno del Signore, ad innestarci alla vite, alla Chiesa, la sposa di Cristo, all’Eucaristia, perché possiamo dare quei frutti che il Signore attende: l’amore e l’unità.

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Nella Chiesa e nel mondo



I vescovi arabi: cristiani siriani e iracheni in fuga perché indifesi

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Si è conclusa  a Ras El Khaimeh, negli Emirati Arabi Uniti, la riunione annuale dei vescovi della Conferenza Episcopale dei Vescovi Latini delle Regioni Arabe (Celra) svoltasi dal 30 settembre al 4 ottobre, con la partecipazione di vescovi provenienti dalla penisola araba, Siria, Libano, Giordania, Palestina, Israele, Cipro, Gibuti e Somalia. Dopo un ricco scambio sulla situazione pastorale nei rispettivi Paesi, i presuli hanno pubblicato una Dichiarazione in tre punti. I vescovi si sono detti innanzitutto partecipi delle sofferenze dei popoli a Gaza, nella Siria e Iraq “che hanno subito una distruzione massiva con un gran numero di vittime e feriti, e a quelle dello Yemen e della Somalia, dove prevale una grande instabilità politica. Le informazioni che provengono da queste zone di conflitto sono orribili. Nove milioni di siriani sono profughi o senza casa. Più della metà dei cristiani siriani e iracheni sono fuggiti dai loro Paesi perché indifesi. Per la prima volta da 17 secoli, una grande città come Mosul si trova senza la sua comunità cristiana. Le sofferenze di altre minoranze come gli yazidi e i curdi, nonché di numerosi sciiti e sunniti non ci lasciano indifferenti. Per mettere fine a questi conflitti assurdi, occorre guarire le cause che si trovano sia nell'ingiustizia come in Palestina, sia nell'intolleranza religiosa ed etnica come in Siria e Iraq, senza escludere gli interessi politici ed economici dei Paesi che hanno sostenuto la guerra e venduto armi”.

I vescovi del Celra ribadiscono che “non c'è pace senza giustizia come non c'è giustizia senza rispetto dei diritti umani, sociali e religiosi. Infine non c'è pace senza perdono e riconciliazione. La Chiesa prega e lavora perché questa riconciliazione diventi una realtà in tutto il Medio Oriente. Senza una vera riconciliazione, basata sulla giustizia ed il perdono reciproco, la pace rimarrà assente, perché gli stessi fattori che hanno prodotto il conflitto continueranno a generare più odio e più guerre”. Affermano poi “che non si può utilizzare la violenza in nome della religione poiché ogni persona umana ha diritto al rispetto a prescindere della sua appartenenza religiosa, etnica o del suo status minoritario”. Riconoscono “il ruolo delle chiese e delle sue agenzie umanitarie nella distribuzione di aiuti senza guardare alla religione delle persone, nonché l'eroicità di molti musulmani che hanno condannato il radicalismo religioso o che hanno difeso le minoranze perseguitate a rischio delle loro vita”. Reclamano “il diritto degli oppressi all'autodifesa e alla possibilità da parte della comunità internazionale di utilizzare la forza in modo proporzionato per fermare l'aggressione e l'ingiustizia contro le minoranze etniche e religiose”.

In secondo luogo, i presuli rivolgono il pensiero “ai milioni di lavoratori stranieri in cerca di lavoro e di dignità, accolti in molti paesi del Medio Oriente” e ringraziano “quei governi che stanno facendo progressi nel riconoscimento della libertà di culto dei lavoratori. Questi, con le loro competenze ed energie, cooperano alla costruzione di paesi accoglienti e al benessere dei loro abitanti in cambio di un giusto compenso. Nello stesso tempo, i vescovi chiedono agli immigrati cristiani di rispettare la cultura e le tradizioni dei paesi che li accolgono”.

I vescovi hanno incontrato molte comunità a Dubai, Abu Dabi, Fujeireh, Um quwein, Sharja e Ras El Khaimeh, appartenenti a 34 nazionalità, ammirando la loro fede: “vivono in mezzo a difficoltà e sacrifici, ma con grande gioia. La maggioranza dei lavoratori dà una testimonianza di pace e di tolleranza, si aspetta reciprocità e rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti sociali, più particolarmente con riguardo alle donne”.

Infine, in vista del Sinodo sulla famiglia , hanno discusso “delle diverse sfide della famiglia in generale, ma specialmente quelle vissute dai profughi e dai migranti”. Hanno pensato “alle coppie separate o in crisi” ponendosi “la domanda su come trovare l'equilibrio fra l'indissolubilità del matrimonio da una parte e il bisogno dei divorziati risposati di una vita sacramentale”. Quindi hanno concluso: “Abbiamo anche sottolineato la necessità primordiale della formazione permanente delle famiglie, soprattutto l'accompagnamento delle giovani coppie e il loro inserimento nei movimenti ecclesiali che curano la famiglia”.

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Sud Sudan: radio cattoliche nel mirino delle autorità

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La proibizione ingiunta da parte delle autorità sud-sudanesi alle radio comunitarie di coprire le questioni politiche e di sicurezza è “inconcepibile” afferma Reporters Without Borders Africa (Rwba), specialmente in un Paese dove la guerra civile colpisce la popolazione civile ogni giorno. Lo riferisce il Catholic Radio Network, al quale appartengono le due radio cattoliche che sono state minacciate di chiusura perché seguono l’attualità politica della vita nazionale.

Si tratta di “Radio Bakhita” dell’Arcidiocesi di Juba, e di Radio “Voice of Hope”, della diocesi di Wau. La prima – ricorda Fides - è stata chiusa delle autorità a fine agosto ed è stata autorizzata a riprendere le trasmissioni con l’ingiunzione di non trasmettere notizie politiche, mentre la seconda è stata minacciata di chiusura dal vice governatore a meno che si non si limiti a riportare solo informazioni locali evitando di coprire gli eventi che accadono negli altri Stati del Sud Sudan.

Secondo l’organizzazione per la difesa del diritto all’informazione, le radio comunitarie sono spesso l’unica fonte di informazione a livello locale, per cui – afferma Rwba - è un“intollerabile atto di censura” proibirne il loro corretto funzionamento. Ricordando la legge approvata a dicembre, che limita la libertà d’informazione, Reporters Without Borders Africa ritiene che le radio comunitarie cattoliche sono entrate nel mirino delle autorità sud-sudanesi.

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Uruguay: campagna Caritas sul tema 'Solidarietà che trasforma'

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“Uscire verso tutta la società per creare coscienza e promuovere l’impegno a favore dei fratelli più poveri ed esclusi del Paese”: questo l’obbiettivo della campagna annuale della Caritas uruguaiana sul tema “Caritas. Solidarietà che trasforma”. Per i responsabili della pastorale sociale, l’iniziativa è una opportunità non solo per condividere i proprio beni ma anche per promuovere la speranza in un futuro inclusivo, iniziando dalle piccole azioni quotidiane e dall’impegno di ogni persona. Per questo si punta a una solidarietà che sia strumento di trasformazione.

“La campagna permetterà alla Caritas di mostrare l’azione sociale della Chiesa cattolica con uno sguardo nuovo, carico di speranza per i più bisognosi” si legge nel comunicato di presentazione dell’iniziativa. La colletta continuerà ad essere indispensabile per l’autofinanziamento dei progetti della Caritas e un gesto concreto della solidarietà della società uruguaiana. In particolare le risorse ricavate saranno indirizzate a iniziative di promozione umana, alla microimpresa di produzione e autoconsumo, all’accompagnamento della pastorale penitenziaria, alla prevenzione e alla riabilitazione della tossicodipendenza e ai programmi di sostegno scolastico. Per i contributi audiovisivi della campagna di questo anno sono state scelte alcune persone che con la propria testimonianza raccontano quanto è cambiata la propria esistenza quando una comunità solidale ha dato loro aiuto e fiducia. (A cura di Alina Tufani)

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In un volume della Lev tutte le interviste di Papa Francesco

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La Libreria Editrice Vaticana (Lev) ha pubblicato il volume “Interviste e conversazioni con i giornalisti”, che raccoglie in ordine cronologico tutte le interviste rilasciate da Papa Francesco, dall’incontro con i giornalisti sul volo di andata per Rio de Janeiro del 22 luglio 2013, al volo di rientro da Seoul del 18 agosto 2014. Il volume è a cura del direttore della Lev don Giuseppe Costa, che tra l’altro è docente straordinario di Giornalismo ed Editoria presso l’Università Pontificia Salesiana e consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

Il libro comprende 14 interviste in totale, sia in forma di dialogo con i giornalisti sui voli durante i viaggi apostolici, che concesse a singoli giornalisti delle diverse testate italiane e internazionali, ed è arricchito da due inserti fotografici che mostrano alcuni momenti degli incontri del Papa con i giornalisti.

“Da quando cinquant’anni fa Alberto Cavallari intervistò per il Corriere della Sera l’oggi Beato Paolo VI – ricorda il curatore –, l’aspirazione nei giornalisti a ‘sentire’ l’opinione di un Papa si è allargata e cresciuta così come sono cresciute in gran quantità le interviste a vescovi e cardinali. Con il moltiplicarsi dei viaggi pontifici poi, si è anche sviluppata una sorta di intervista collettiva favorita anche dal fatto che un buon numero di giornalisti ‘accreditati’ fanno il viaggio sullo stesso volo del Pontefice”. “Con l’avvento di Papa Francesco – aggiunge don Costa – è subito apparso ai giornalisti (e non) che l’intervista potesse essere il genere a lui più congeniale”.

“Le interviste nel loro insieme rivelano la ricchezza del messaggio di Papa Francesco: la sua attenzione ai bambini, ai giovani e agli anziani; la misericordia e la tenerezza di Dio; la sua passione per la gente; l’incontro ed il dialogo interreligioso – conclude don Costa –. Rivelano anche il suo grande riferimento a Paolo VI e alla capacità d’incontrare Dio nel quotidiano con una preghiera semplice e spontanea. La sua voglia di apparire ed essere un uomo vero. ‘Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star – dice a Ferruccio de Bortoli –, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo ed ha amici come tutti. Una persona normale!’”.

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Giornata del Papa in Polonia. I vescovi: “Siate santi”

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In occasione della quattordicesima Giornata del Papa in programma in Polonia domenica 12 ottobre, l’Episcopato polacco ha indirizzato a tutti i fedeli uno speciale messaggio che ricorda le parole di Giovanni Paolo II relative alla santità che è “dono e compito dei laici come dei religiosi e dei sacri ministri, nella sfera privata come nell’impegno pubblico, nella vita dei singoli come delle famiglie e delle comunità”. La lettera pastorale approvata dalla plenaria dell’Episcopato – riferisce il Sir - verrà letta in tutte le chiese in Polonia domenica 5 ottobre. “Il mondo moderno considera la santità in modo differenziato” affermano i presuli che osservano quanto “ad alcuni la santità sembra lontana e inarrivabile mentre dagli altri è arduamente desiderata”. I vescovi rilevano che Giovanni Paolo II considerava la santità “un profondo anche se a volte inconscio desiderio dell’uomo atto a dare risposte a molti problemi del mondo contemporaneo”. Nella lettera si sottolinea l’importanza della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II celebrata il primo maggio scorso in quanto, come in quell’occasione ha affermato Papa Francesco, “i santi portano avanti la Chiesa e contribuiscono al suo sviluppo”.

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Australia: preghiera e digiuno per il Sinodo sulla famiglia

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Il 10 ottobre, tutti i fedeli dell’Australia dedicheranno una giornata di preghiera e digiuno al Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre. A indire l’evento, è stata la Conferenza episcopale australiana. “La giornata di preghiera e digiuno – spiega mons. Eugene Hurley, presidente della Commissione dei vescovi per la vita pastorale – sarà il modo ideale per le comunità parrocchiali, gli istituti di vita consacrata e i movimenti ecclesiali del Paese di pregare per il buon esito del Sinodo”. Ricordando, poi, quando ribadito dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, i vescovi australiani sottolineano che “è evidente come la crisi spirituale e sociale contemporanea abbia un impatto sulla vita familiare, creando situazioni di vera urgenza pastorale che giustificano la convocazione di un Sinodo straordinario”. Essenziale, inoltre, ribadire che l’Assemblea dei vescovi nel 2014 sarà solo la prima tappa di un percorso che si concluderà con il Sinodo generale ordinario dell’ottobre 2015: “Si tratta – spiega ancora mons. Hurley – di un approccio originale che coinvolge e chiama in causa tutte le persone e gli organismi della Chiesa ed oltre”. “Scegliendo la famiglia, con le sue nuove sfide e risorse – conclude il presule – la Chiesa respira a pieni polmoni, per se stessa e per l’intera umanità”. In vista del 10 ottobre, in tutte le parrocchie del Paese verrà distribuito materiale liturgico di approfondimento. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 277

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.