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Sommario del 07/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Sinodo: rinnovare linguaggi della fede. Concistoro sul Medio Oriente

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Una maggiore preparazione al matrimonio da vedere non come un punto di arrivo, ma come un cammino verso una meta più alta per una autentica crescita personale e di coppia. E’ stata questa una delle priorità indicate oggi durante il dibattito all’Assemblea del Sinodo dei vescovi dedicato alla famiglia. In apertura dei lavori – ha riferito padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana – è stato anche dato un importante annuncio. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il Medio Oriente è nel cuore della Chiesa. Alla complessa situazione di questa martoriata terra, ha detto padre Lombardi, sarà dedicato, il 20 ottobre, un nuovo momento di confronto:

“E’ stato annunciato, per desiderio del Santo Padre, che il giorno 20 - in cui era già previsto un Concistoro per Cause di canonizzazione - questo Concistoro invece allarga la tematica: tutti i cardinali e i patriarchi che possono essere presenti parleranno della situazione del Medio Oriente sulla base delle considerazioni del passato incontro dei nunzi, che c’è stato la settimana scorsa, come sapete…”.

Gli interventi hanno affrontato vari temi. E’ stata ribadita, in particolare, l’esigenza di rinnovare il linguaggio dell’annuncio del Vangelo:

“Diversi interventi hanno a che fare con l’attenzione al linguaggio e ai linguaggi che la Chiesa deve usare per rispondere e farsi capire. Un altro grande nucleo, attorno al quale sono ruotati diversi interventi, è anche quello del rispetto della gradualità: cioè il fatto che c’è un cammino attraverso cui i credenti cristiani si avvicinano a quello che è l’ideale della famiglia cristiana e del matrimonio cristiano nella presentazione del Magistero della Chiesa”.

Questo tema della gradualità è stato toccato con diverse interessanti considerazioni:

“In particolare, vorrei ricordarne una. E’ una analogia con quanto il Concilio dice: la Chiesa sussiste in pienezza nella Chiesa cattolica, ma che ci sono anche degli elementi preziosi e importanti per la santificazione anche al di fuori della Chiesa cattolica. Così, per analogia, uno può ragionare sul fatto che c’è una visione piena, ideale del matrimonio e della famiglia cristiana, ma ci sono elementi assolutamente validi e importanti, anche di santificazione e di amore vero, che possono esserci anche quando non si raggiunge ancora pienamente questo ideale”.

Diversi Padri sinodali – ha aggiunto padre Lombardi – hanno ricordato l’importanza della promozione della conoscenza del Magistero della Chiesa:

“Molti interventi, naturalmente, hanno insistito sull’importanza di promuovere la conoscenza oggettiva e profonda del Magistero della Chiesa, che spesso non è sufficientemente conosciuto. Quindi, anche gli aspetti della catechesi, della preparazione al matrimonio. E non solo nel momento della preparazione al matrimonio, ma in continuità con tutte le tappe della vita cristiana, in modo tale che ci sia una continuità e una coerenza nella formazione della vita cristiana, della preparazione e della comprensione del matrimonio e della famiglia”.

Il pensiero dei Padri sinodali è andato anche alle famiglie che vivono in terre e Paesi dilaniati da tensioni e conflitti:

“Interessanti sono stati molti interventi, naturalmente, che rilevano le diverse situazioni che ci sono nella Chiesa. In particolare, sono stati anche toccanti gli interventi che hanno riferito sulle difficoltà delle famiglie nelle situazioni di conflitto. Naturalmente, con riferimento alle situazioni del Medio Oriente ma anche ricordando altre situazioni, come quelle dei conflitti nei Balcani. E i riflessi che hanno avuto sulla situazione della vita della famiglia, i problemi delle migrazioni e le difficoltà che danno e cosi via”.

In diversi interventi è stato anche sottolineato che alle coppie in difficoltà e ai divorziati risposati la Chiesa deve presentare non un giudizio, ma una verità, con uno sguardo di comprensione. In particolare, in un mondo segnato dall’influenza dei mass-media nel presentare ideologie spesso contrarie alla dottrina cristiana, la Chiesa deve offrire il suo insegnamento in modo più incisivo. Ancora padre Lombardi:

“Altri temi importanti, che sono stati toccati, riguardano i passi del Vangelo e di San Paolo, in cui si parla della indissolubilità del matrimonio e non si mette in dubbio che questo faccia riferimento alla volontà e al messaggio di Gesù. Però, si vedono già dal Nuovo Testamento degli elementi di esperienza di difficoltà con cui – anche già dal tempo della Chiesa primitiva – si doveva fare conto per una interpretazione, una applicazione della volontà di Gesù. Questo senza arrivare a delle conclusioni specifiche, ma per dire che la problematicità della messa in pratica delle esigenze radicali del Vangelo accompagna tutta la storia della Chiesa”.

La necessità non è quella di una scelta tra la dottrina e la misericordia, ma dell’avvio di una pastorale illuminata per incoraggiare soprattutto le famiglie in difficoltà:

“Molti interventi, parlando anche delle situazioni concrete diverse, danno dei consigli, danno delle esemplificazioni di modelli di pastorale familiare, col servizio per la preparazione alla famiglia, per l’accompagnamento delle coppie o delle famiglie in difficoltà. Il tema dell’accompagnamento in modo tale che anche chi è in difficoltà non si senta rifiutato o abbandonato, ma senta l’amore e l’attenzione della Chiesa, torna in moltissimi interventi”.

Durante il dibattito – ha riferito infine padre Lombardi – è stato ribadito che i coniugi vadano accompagnati costantemente nel loro percorso di vita, attraverso una pastorale familiare intensa. Non si deve solo guardare ai rimedi per il fallimento dell’unione coniugale, ma anche alle condizioni che la rendano valido e fruttuoso. Fondamentale una maggiore preparazione al matrimonio:

 “L’importanza di verificare che ci siano le necessarie disposizioni per il matrimonio: essere anche abbastanza esigenti nell’accettare le coppie che si presentano per il matrimonio religioso, per il matrimonio in Chiesa, e non avere troppa paura di essere esigenti perché, evidentemente, se ci si sposa troppo facilmente, senza le necessarie premesse, poi è anche comprensibile che ci siano tanti casi di famiglie che si sfasciano, di matrimoni che entrano in crisi”.

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Sinodo. Card. Filoni: grande esempio di forza e unità da famiglie irachene

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Un messaggio di stima e incoraggiamento alle famiglie in Iraq, minacciate dallo sterminio perpetrato dal fanatismo islamico e costrette a fuggire per non rinunciare alla loro fede. I padri sinodali hanno approvato a maggioranza questa proposta lanciata in aula e sulla quale si sofferma il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, inviato lo scorso mese di agosto da Papa Francesco in Iraq. L’intervista è di Paolo Ondarza:   

R. – Una delle realtà più drammatiche è proprio quella che avviene in Iraq, dove le famiglie sono dovute fuggire, perché messe di fronte ad un’alternativa: o rinunziare alla fede o andarsene. Mi pare che questa sia la testimonianza più bella da un punto di vista della fede. Loro, cioè, testimoniano la fede, nonostante i problemi di lasciare la casa, i propri beni e così via. La cosa che mi ha colpito, quand’ero in Iraq, è che queste famiglie rimangono unite e dovunque siano fuggite hanno sempre mantenuto l’unione. E’ molto bello, quindi, anche in questa sede del Sinodo poter dire che non solo la testimonianza di fede delle famiglie cristiane irachene è molto bella e vale per tutti, ma che esse continuano a rimanere unite pur nella difficoltà.

D. – Pensando alle situazioni irregolari, alle cosiddette coppie di fatto, lei ha detto: “Queste non sono situazioni inedite, c’erano già al tempo di Gesù”. Come si poneva, quindi, Gesù di fronte a queste situazioni?

R. – Sì, proprio nell’omelia di domenica scorsa il Papa ha detto di mettere al centro il mistero di Gesù, la sua vita, il suo comportamento, il suo dire. A me sembra che Gesù abbia affrontato già con molta chiarezza la tematica, che noi oggi ovviamente sotto tanti profili vediamo ancora attuale e anche, per certi aspetti, drammatica. Io mi domando: come Gesù avrebbe potuto rispondere, cosa avrebbe fatto di fronte alle problematiche attuali? C’è un prodromo in Giovanni Battista, lui è l’antesignano della missione di Gesù. Giovanni Battista fu ucciso esattamente, perché volle tenere fede a quello che era l’insegnamento di Dio, il progetto di Dio. Non era lecito ad Erode avere con sé la moglie di suo fratello e Giovanni Battista non ha trovato un “accomodamento” per questa situazione. Erode ha capito bene quale fosse la verità e Giovanni Battista ha pagato con la sua vita. Ma questo messaggio è quello di Gesù. La Chiesa ha la missione di Giovanni Battista: indicare Cristo e portare a Cristo. Qui c’è una coincidenza.

D. – Altra icona biblica, che lei ha citato come esempio di verità e di misericordia, è l’incontro tra Gesù e la Samaritana. Cristo ama e accoglie questa donna al pozzo di Sichem, ma non le nasconde la sua situazione di irregolarità...

R. – Dice la verità e in questa verità ha fatto una straordinaria opera di misericordia.

D. – Cosa chiede oggi il mondo alla Chiesa?

R. – La verità e la misericordia insieme, ma non c’è misericordia senza verità.

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Sinodo. Card. Sgreccia: famiglie più salde se formate con continuità

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Vangelo della famiglia e legge naturale al centro questa mattina della riflessione dei Padri sinodali. In molti Paesi, sottolinea l’"Instrumentum laboris", i sistemi legislativi regolamentano situazioni contrarie alla legge naturale, il cui significato è spesso incompreso e frainteso. Di qui, il suggerimento di trovare parole efficaci per comunicare in modo più comprensibile all’uomo di oggi l’ordine della creazione. Al microfono del nostro inviato al Sinodo, Paolo Ondarza, la riflessione del cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita: 

R. – Questa caduta del concetto spontaneo, diciamo, di legge naturale e morale è dovuta al fatto che è caduto, con la secolarizzazione, il concetto di "creazione": perché è Dio che crea le cose, è Dio che crea anche lo statuto fondamentale della nostra vita e se siamo liberi e siamo responsabili è perché c’è uno statuto che ce lo consente e che è nella nostra spiritualità, nella nostra anima strettamente unita al corpo. Anche l’unità corpo-spirito che fa parte della natura è un radicamento creazionistico. Allora, certamente, se si ignora questa origine della vita, questo essere iniziati con Dio nella creazione, riesce più faticoso e confuso comprendere il concetto di natura. Ognuno se la immagina come vuole.

D. – Di fronte a tutto ciò, quale deve essere la proposta pastorale? Come deve orientarsi?

R. – Serve una pastorale che illumini bene le grandezze, il fascino, la bellezza della vocazione cristiana alla famiglia, al matrimonio, come pienezza del proprio essere, compimento della persona nell’amore umano e nell’amore divino. Bisogna proporre una catechesi che non sia sbocconcellata durante l’infanzia e poi non più, ma una catechesi che continui, che sia continuativa. Credo sia l’ora di avviare questa novità: una evangelizzazione – diciamo meglio – che accompagni tutta la vita e conduca veramente alla maturità. Molti matrimoni si rompono prima di aver conosciuto che cosa sia il matrimonio, forse non c’è stata mai una vera e propria catechesi di presentazione del matrimonio...

D. – Questa catechesi  continuativa che lei suggerisce, probabilmente eviterebbe di ridursi all’ultimo, prima del matrimonio, a partecipare ai corsi pre-matrimoniali solo  per obbligo…

R. – Alle volte vengono fatti per obbligo, alle volte vengono fatti in fretta, alle volte sfugge l’aspetto più importante che è quello dell’aspetto soprannaturale: l’alleanza con Dio. Se non si arriva a questo, tutte le tattiche – anche psicologiche – descrittive delle difficoltà sociali non bastano. E’ il soprannaturale che è ignoto e che ha bisogno di essere illuminato da un’evangelizzazione forte. Ora, credo che questa si faccia raramente…

D. – Per trasmettere, comunicare il Vangelo della famiglia e la morale sessuale della Chiesa, che spesso non viene capita, secondo lei oltre al ruolo dei pastori è fondamentale un coinvolgimento del laicato…

R. – Oggi, ci vogliono delle persone complementari alla competenza del pastore. Il sacerdote è necessario perché non deve mancare per una guida spirituale, ma ci vuole anche il medico, perché alla fine la gente ascolta i medici nel momento in cui da alla vita un bambino, o vive una gravidanza difficile o affronta l’accoglienza di una nuova vita. Ci vogliono anche gli avvocati, gli psicologi, i pedagogisti: ci vuole attorno alla pastorale un laicato maturo. Questo non diminuisce certo il ruolo dei pastori, che danno luce, che danno sicurezza e che danno verifica. Occorre prestare attenzione alla preparazione di questi laici, come si fa con i ricercatori o con i professionisti.

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Il Papa: non nascondere propri peccati, pregare è fare memoria

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Quando preghiamo non dimentichiamo la nostra storia. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che il Signore è al nostro fianco, nel cammino della vita. E ha invitato i fedeli a non lasciarsi distogliere dalle tante cose della giornata, dimenticandosi così di pregare. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Il Signore “ha scelto il suo popolo e lo ha accompagnato durante il cammino nel deserto, durante tutta la vita”. E’ quanto affermato da Papa Francesco che si è soffermato in particolare sulla prima Lettura in cui San Paolo fa memoria della sua vita, non nascondendo i suoi peccati. Quello che “Dio ha fatto con il suo popolo – ha affermato il Papa – lo ha fatto e lo fa con ognuno di noi”. “Noi siamo stati scelti: perché – si è chiesto – io sono cristiano e non quello di là, lontano, che neppure mai ha sentito parlare di Gesù Cristo?” “E’ una grazia”, è stata la sua risposta: “Una grazia d’amore”. Fare dunque “memoria di questa realtà, ma nella sua concretezza – ha evidenziato – è quello che fa Paolo”, che confessa di avere perseguitato ferocemente la Chiesa e non dice: “Io sono buono, sono figlio di questo, ho una certa nobiltà…”. No, Paolo dice: “Io sono stato un persecutore, io sono stato cattivo!”. “Paolo – ha ribadito il Papa – fa memoria del suo cammino, e così incomincia a fare memoria dall’inizio”:

“Questa abitudine di fare memoria della nostra vita non è molto comune tra di noi. Dimentichiamo le cose, viviamo nel momento e poi dimentichiamo la storia. E ognuno di noi ha una storia: una storia di grazia, una storia di peccato, una storia di cammino, tante cose… E fa bene pregare con la nostra storia. Uno lo fa Paolo, che racconta un pezzo della sua storia ma in genere dice: ‘Lui mi ha scelto! Lui mi ha chiamato! Lui mi ha salvato! Lui è stato il mio compagno di cammino…’”.

Fare memoria sulla propria vita – ha ripreso – è dare gloria a Dio. Fare memoria sui nostri peccati, dai quali il Signore ci ha salvati, è dare gloria a Dio”. Per questo, ha proseguito, “Paolo dice che lui si vanta soltanto di due cose: dei propri peccati e della grazia di Dio Crocifisso, della sua grazia”. Lui, ha detto il Pontefice, “faceva memoria dei suoi peccati, e si vantava: ‘Sono stato peccatore, ma Cristo Crocifisso mi ha salvato’ e si vantava di Cristo. Questa era la memoria di Paolo. Questa è la memoria che noi siamo invitati dallo stesso Gesù a fare”:

“Quando Gesù dice a Marta: ‘Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore’. Cioè? Sentire il Signore e fare memoria. Non si può pregare ogni giorno come se noi non avessimo storia. Ognuno di noi ha la sua. E con questa storia nel cuore andiamo alla preghiera, come Maria. Ma tante volte siamo distolti, come Marta, dai lavori, dalla giornata, dal fare quelle cose che dobbiamo fare, e dimentichiamo questa storia”.

La nostra relazione con Dio, ha detto ancora, “non incomincia il giorno del Battesimo: lì è sigillata”. Incomincia “quando Dio, dall’eternità, ci ha guardati e ci ha scelto. Nel cuore di Dio, lì incomincia”:

“Fare memoria della nostra scelta, quella che Dio ha fatto su di noi. Fare memoria del nostro cammino di alleanza. Questa alleanza è stata rispettata, o no? Eh no: siamo peccatori e facciamo memoria, e fare memoria della promessa che fa Dio e mai delude, che è la nostra speranza. Questa è la vera preghiera”.

Il Papa ha quindi concluso l’omelia con l'invito a pregare con il Salmo 138: “Signore, tu mi scruti e mi conosci. Tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo. Intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo”. “Questo è pregare – ha detto Francesco – pregare è fare memoria davanti a Dio della nostra storia. Perché la nostra storia è la storia dell’amore suo verso di noi”.

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Programma visita Papa a Strasburgo, nel 2015 tornerà in Francia

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E’ stato pubblicato oggi dalla Sala Stampa Vaticana il programma della visita di Papa Francesco alle istituzioni europee a Strasburgo il prossimo 25 novembre. Il Papa partirà poco prima delle 8 dall’aeroporto di Fiumicino. Alle 10.35 è in programma il discorso di Francesco al Parlamento europeo. Alle 12.05 la visita al Consiglio d’Europa con discorso. Il rientro a Roma è previsto poco prima delle 16 all’aeroporto di Ciampino.

Nel contesto della pubblicazione del programma della visita del Papa al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa, padre Federico Lombardi ha comunicato che il Santo Padre intende compiere un viaggio apostolico in Francia nel corso del prossimo anno 2015.

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Tweet del Papa: chiediamo al Signore la grazia di non sparlare, di volere bene a tutti

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“Chiediamo al Signore la grazia di non sparlare, di non criticare, di non spettegolare, di volere bene a tutti”. E’ il tweet di Papa Francesco, pubblicato oggi sul suo account @Pontifex in 9 lingue, seguito da oltre 15 milioni di follower.

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Rinuncia dell’ausiliare dell’arcidiocesi di Cracovia

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In Polonia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Cracovia, presentata da mons. Jan Zając, per sopraggiunti limiti d’età.

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Mons Tomasi: disarmare Is e impedire genocidio con aiuto islamico

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Di fronte alla violenza e alle persecuzioni scatenate in Medio Oriente contro le popolazioni inermi la Chiesa non può restare in silenzio, così come la comunità internazionale non deve “rimanere neutrale tra gli aggrediti e l’aggressore”. Queste le parole del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, durante la Messa celebrata la mattina del 4 ottobre scorso, nella Cappella Paolina, assieme ai nunzi apostolici dei Paesi mediorientali, reduci dall’incontro in Vaticano con i superiori della Curia romana. Gabriele Beltrami ha intervistato mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente vaticano presso gli Uffici Onu a Ginevra, che traccia un bilancio dell’incontro: 

R. – L’incontro stesso è un segno di solidarietà della Chiesa con le comunità cristiane e con tutte le vittime della violenza che è in corso in Medio Oriente. Papa Francesco, che ha aperto i lavori, ha voluto sottolineare con la sua presenza la continuità con i suoi gesti precedenti: la visita in Terra Santa, l’incontro con i presidenti di Palestina e di Israele, quel continuo richiamo nei suoi messaggi alla necessità della pace in tutto il Medio Oriente, specialmente in Siria e in Iraq. Quindi l’incontro è stato l’occasione per un’analisi più approfondita della situazione, la ricerca di proposte etiche, operative ma nel contesto di una visione più completa che parte dal valore della persona umana a prescindere da qualsiasi orientamento e convinzione.

D. – Qual è la via preferenziale per far sentire la voce forte della Chiesa in favore del diritto alla vita e della libertà religiosa?

R. – L’obiettivo, chiaramente, è prima di tutto fermare la violenza in modo che in Medio Oriente si arrivi a una situazione che permetta lo sviluppo, la crescita economica e umana. Anche questi Paesi possono dare un contributo costruttivo alla comunità internazionale. La destabilizzazione in atto di interi Paesi, la “produzione”, direi quasi, di milioni di rifugiati e di sfollati pongono alla comunità internazionale e alla coscienza di tutti degli interrogativi nuovi. Prima di tutto, diventa urgente affrontare il cosiddetto Stato islamico, che è un po’ la causa immediata di delitti enormi orribili, dalla vendita delle donne al mercato, alla decapitazione di persone, alla violazione sistematica dei diritti umani più fondamentali e di crimini contro l’umanità. Quindi, la situazione è tale che suscita l’esigenza, non solo di gruppi particolari come le comunità cristiane, ma di tutta la società, a cercare una risposta. La strada per trovare delle soluzioni è molto complessa, perché le modalità di un possibile intervento si imbatte nella complessità della situazione politica: ci sono mercenari, ci sono conflitti regionali di competizione per il dominio della regione, ci sono interessi globali di grandi potenze internazionali che hanno interessi immediati nel Medio Oriente.

D. – Ci sono iniziative concrete che possono sensibilizzare governi e opinione pubblica, garantire pace e sicurezza, ponendo chi aggredisce in condizione di non nuocere ancora?

R. – Prima di tutto, direi che il primo passo è quello di coordinarsi per un’efficienza reale nel portare aiuti umanitari a queste comunità che sono state sradicate dalle loro case, dalle loro proprietà. Si avvicina l’inverno, per cui non possono rimanere sotto piccole tende o pezzi di plastica: per sopravvivere hanno bisogno di protezione di case e di mantenere vivo il principio fondamentale del diritto al ritorno. Ritorno non solo alle loro case, alle loro proprietà, ma anche a vivere con una certa sicurezza nei villaggi e nelle città da cui sono stati cacciati. Per cui, il secondo passo concreto è quello di capire come prevenire la possibilità di un genocidio di queste persone e di rendere realistica la possibilità di ritorno. Ma, per fare questo, bisogna eliminare o smantellare il controllo di questo gruppo fondamentalista e terrorista. E qui si pone il problema dell’uso della forza. Il Santo Padre dice che dobbiamo muoverci nella direzione di disarmare l’aggressore. Per fare questo non è necessaria una guerra, ma si possono utilizzare anzitutto sanzioni, togliere l’appoggio politico a questi gruppi fondamentalisti, non commerciare e comprare il petrolio che genera soldi grazie ai quali possono comprare armi e, soprattutto bloccare il traffico e l’invio di armi a queste persone. Evidentemente, l’uso della forza deve essere tale da poter ottenere un risultato positivo e di non fare un danno più grande di quello che si vuole correggere. Qui dobbiamo procedere tutti con molta prudenza e molta attenzione, in modo da non dare l’impressione che sia una guerra in difesa di interessi particolari. Per questo, penso sia importante che partecipino nell’azione i Paesi a maggioranza musulmana della regione, mostrando che questa è un’occasione importante per chiarire dal punto di vista della tradizione islamica che la violenza non è giustificata dalla religione, ma che si tratta di abusi, di approcci fondamentalisti per la ricerca soprattutto di potere.

D. – Molti giovani musulmani sparsi nel mondo stanno esprimendo, attraverso i social network, il loro dissenso verso quanto accade in Medio Oriente. Come legge  questa presa di posizione?

R. – Mi sembra che siamo arrivati a un momento cruciale per l’islam stesso. La crisi può essere un’occasione per mostrare la sua vera faccia che non è una faccia di violenza, ma di volontà  di essere una risorsa per le popolazioni che credono in questa religione.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un concistoro sul Medio oriente, annunciato nella terza congregazione generale del sinodo.

Più solidarietà verso i richiedenti asilo: intervento della Santa Sede a Ginevra.

Da soli contro la peste: Giovanni Cerro sulla storia dei camilliani in Spagna.

Il grido dei morti: Oddone Camerana su guerra parlata e guerra combattuta.

Novello Ulisse: Alessandro Scafi recensisce una mostra, a Londra, dedicata alle ultime opere di William Turner.

I nodi della tragedia: Cristiana Dobner su ideologia nazista e pensiero cartesiano.

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Oggi in Primo Piano



Kobane quasi in mano all’Is, ma Ankara non interviene

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Combattimenti a Kobane tra militanti curdi e jihadisti Is per il controllo della citta' siriana al confine con la Turchia. Si spara in diversi quartieri della citta', e ci sono stati numerosi lanci di mortaio. Intanto, nuovi raid della coalizione hanno colpito i jihadisti nel sud-ovest della citta' siriana. E a proposito delle incursioni aeree, dal Pentagono si apprende che da agosto sono state circa 2mila e che solo un 10% è stato compiuto da paesi arabi o alleati, il resto da velivoli statunitensi. Gli Usa solleciteranno gli alleati a fare di piu'. In questo momento fa discutere la posizione della Turchia: il suo esercito è a poche decine di chilometri da Kobane ma non interviene. La Turchia vuole che sulla Siria sia creata una zona interdetta ai voli come condizione per un suo intervento nella coalizione internazionale contro l'Isis: è quanto ha detto alla Cnn il premier turco Ahmet Davutoglu, per il quale occorre anche creare zone sicure per i rifugiati all'interno della Siria, evitando cosi' che ulteriori masse di profughi arrivino in Turchia. Delle scelte di Ankara e della questione dei curdi che sono rimasti gli ultimi a combattere l'avanzata dell'Is in Siria, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università del Salento: 

R. – Secondo me, la Turchia ha preso posizione e ha preso la posizione di non intervenire in maniera tale da indebolire ancora di più, se ce ne fosse bisogno, la Siria da una parte e i curdi dall’altra. Siria e curdi sono due degli obiettivi che la Turchia persegue già da moltissimo tempo. La Siria, da quando c’è il nuovo presidente Erdogan, mentre la questione curda invece è annosa, antica, vecchia ma irrisolta e che pare non interessi praticamente a nessuno. Oggi, i curdi sono in Siria l’ultimo baluardo all’avanzata del "Califfato" e la Turchia si guarda bene dall’intervenire, per non fare un favore alla Siria, da una parte, e ai curdi dall’altra. E, ancora una volta, vedo che tutti stanno fermi. È vero che c’è stata la promessa di armi per i curdi, ma quelle armi che sono arrivate non hanno avuto conseguenze, nel senso che non c’è stato un rifornimento adeguato e un ulteriore rifornimento rispetto a quello che già era stato fatto. A breve, i curdi non avranno più le munizioni con cui tentare di bloccare il "Califfato".

D. – A questo punto, visto tutto l’evolversi della zona mediorientale, la questione curda si ripropone con accenti un po' nuovi, anche se restano i punti fermi della questione di sempre…

R. – Sì, la questione curda è stata, per anni e anni, completamente dimenticata e anche travisata, perché si è considerato come rappresentante del movimento curdo soltanto il Pkk. Ma il movimento curdo non è soltanto il Pkk, non è soltanto il Partito comunista. La questione curda è una questione estremamente grave, che in questo momento si è ripresentata in tutta la sua drammaticità proprio perché vengono perseguitati: sono i combattenti ma vengono abbandonati ancora una volta.

D. – Lo ricordiamo, la questione è che c’è un popolo senza uno Stato…

R. – Assolutamente sì, o meglio, ci sarebbe un territorio a cavallo tra la Turchia e la Siria, che sarebbe il Kurdistan; non esiste uno Stato. L’avevano pensato con i Trattati di Pace di Versailles ma, alla fine – stiamo parlando del 1919 – non se n’è fatto più niente, perché evidentemente non c’erano interessi politici nell’area, o meglio, i curdi non servivano, lo dico brutalmente.

D. – Possiamo dire, molto cinicamente e tristemente, che in tutto questo complicarsi della situazione in Medio Oriente alla fine ci guadagnano gli jihadisti del cosiddetto Stato islamico?

R. – E’ naturale, è assolutamente vero. La debolezza di alcuni gruppi, o il disinteresse degli Stati legittimi fa sì che questi gruppi possano radicarsi ancora di più sul territorio, avere l’appoggio di gruppi estremisti in altri Stati e, praticamente, dominare la scena. Io voglio ricordare una cosa: la politica che lo pseudo-Califfato sta adottando in Iraq in questi ultimi giorni, in queste ultime ore: non sta più utilizzando solo le armi come strumento di controllo del territorio, ma sta usando uno strumento ancora più grave, che è il controllo dell’acqua. E di questo, a tutt’oggi, non se ne parla. Eppure il controllo dell’acqua vuol dire, a questo punto, schiacciare le popolazioni nei villaggi dove si trovano. 

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Corte dell'Aja: in aula Kenyatta ma processo subito rinviato

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Attesa al Tribunale dell’Aja, dove domani giungerà in aula, il Presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, imputato per crimini contro l’umanità, il secondo Capo di Stato in carica dopo il Presidente del Sudan al-Bashir ad essere indagato, il primo a comparire davanti la Corte Penale Internazionale, accusato di essere l’ispiratore degli scontri etnici che dopo le elezioni del 2007 provocarono nel Paese africano la morte di almeno 1200 persone e 600 mila profughi. Roberta Gisotti ha intervistato Enrico Casale, esperto di Africa, della Rivista Popoli: 

Un processo che morirà sul nascere: se l’accusa ha già chiesto un rinvio a tempo indefinito del processo per insufficienza di prove, e la difesa ne ha chiesto l’archiviazione. Dietro questa volontà di vanificare l’operato della Corte vi sarebbe la pressione dell’Unione Africana. Enrico Casale, quanto è vera questa ipotesi?

R. - E’ vera. Nel senso che l’Unione Africana ha osteggiato, con forza, questo rinvio a giudizio da parte della Corte Penale Internazionale: addirittura ha presentato un'istanza davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, affinché il processo sia rinviato. In questo giocano diversi fattori: il principale direi è che nell’Unione Africana sono presenti molto Paesi che non sono democrazie, ma sono regimi autoritari. E’ chiaro che i Presidenti di questi Paesi non hanno interesse affinché ci sia una giustizia internazionale, che può perseguirli per i loro eventuali crimini perpetrati contro le loro popolazioni.

 D. – L’Unione Africana lamenta – a torto o a ragione – che la Corte dell’Aja sarebbe strumentalizzata dalla Francia e dagli Stati Uniti. E’ pur vero che tutti e 36 i processi per crimini di guerra e contro l’umanità abbiano imputati africani…

 R. – Sì, perché in Africa – negli ultimi 15 anni, direi – si sono perpetrati crimini di una violenza inaudita. Pensiamo solamente a quanto è avvenuto in Darfur: non è un caso che il Presidente sudanese Omar al-Bashir sia stato chiamato a rispondere per questi crimini e addirittura è stato emesso nei suoi confronti una mandato di cattura. Ma poi pensiamo alle stragi che sono avvenute in Libia; alle dure repressioni che sono avvenute, per esempio, in Egitto; a quanto è capitato in Zimbabwe o in Somalia, nel Mali…

 D. – Se non possiamo certo deprecare che la Corte dell’Aja persegua criminali di guerra e contro l’umanità in Africa, dobbiamo però auspicare che lo faccia in tutte le regioni del mondo!

 R. – Certamente! Il principio è che ci sia una Corte Penale Internazionale che giudichi non in base alla forza, ma in base alla forza del diritto questi crimini inauditi, penso anche a quanto è capitato in Rwanda, in Burundi negli anni '90… sono crimini che non hanno trovato una loro - se non parziale – giustizia. Dunque il fatto che ci sia una Corte sovrannazionale, internazionale che riesca a giudicare questi crimini, ad inchiodare alle loro responsabilità gli uomini politici e i militari che li hanno perpetrati è un principio corretto e non dovrebbe essere applicato solo all’Africa, ma anche agli altri continenti, Europa compresa, dove negli ultimi decenni si sono registrate delle crisi terribili: penso all’ex Jugoslavia; ma penso anche alla recente crisi ucraina.

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Myanmar: graziati 3 mila detenuti, pochi i prigionieri politici

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In Birmania, saranno 3.073 i prigionieri che verranno graziati dal presidente Thein Sein per la “stabilità del Paese”, come dichiarato dallo stesso capo di Stato, un ex generale al potere dal 2011, dallo scioglimento della giunta, e anche per ragioni umanitarie come invece sottolineato da membri del governo. In realtà, osservatori internazionali mettono in relazione l’annuncio con l’imminente summit dell’Asean, in novembre. Tra i detenuti che verranno liberati vi sono alcuni militari, ma la gran parte sarebbero criminali comuni accusati di piccoli reati. Soltanto un esiguo numero sarebbero prigionieri politici. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Cecilia Brighi, dell’associazione ‘Italia-Birmania insieme’: 

R. – Quest’ultima amnistia è stata presentata lo scorso anno dal presidente Thein Sein quando è andato in Gran Bretagna. Aveva promesso la liberazione di tutti i prigionieri di opinione. L’amnistia riguarda oltre 3 mila detenuti, di cui solo una piccola parte sono detenuti di coscienza, prigionieri politici. In realtà non si conosce bene quanti siano ancora quelli rimasti nelle prigioni birmane, sicuramente un numero esiguo rispetto al passo e su questo non c’è dubbio. Quindi è un fatto positivo sia prima dell’incontro Asem di Milano (Asia-Europe Meeting, 16-17 ottobre ndr) la prossima settimana, sia anche dell’incontro con i Paesi asiatici dell’Asean (Associazione delle nazioni del Sudest asiatico ndr).

D. - Uno dei ministri del governo di Thein Sein, presentando questo provvedimento ha parlato di una motivazione umanitaria. Non si fa alcun riferimento, però, al discorso dei reati di opinione, questo come dobbiamo leggerlo?

R. – In realtà le condizioni di detenzione in Birmania sono molto dure, perché le carceri sono vecchissime, non hanno strutture adeguate e quindi questa liberazione risponde anche ad una richiesta fatta dalle associazioni umanitarie, dalla Croce Rossa. Certo è che in alcune situazioni, ancora oggi, la situazione non è così tranquilla: abbiamo arresti di giornalisti per aver scritto o fatto reportage su, per esempio, l’eventuale produzione di armi chimiche nello stato Shan da parte dell’esercito. Ci sono ancora oggi molte tensioni che riguardano i contadini che protestano per la confisca delle terre e che ancora oggi è un problema. La situazione nel Paese è, diciamo, un po’ come un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. C’è ancora molto da fare e manca appena un anno alle elezioni politiche.

D. – Si citava prima la riunione dell’Asean, alla quale parteciperà anche Barack Obama e altri leader mondiali. Il Myanmar si presenta all’appuntamento con un vestito nuovo, nel senso delle riforme che possano far entrare dalla porta principale il Paese…

R. – Non c’è dubbio che il Paese abbia avviato una serie di riforme politiche, economiche e sociali molto importanti. Però il bicchiere deve essere riempito ancora di più, perché, per esempio, è ancora aperta la discussione per quanto riguarda la riforma della Costituzione, che dovrebbe essere fatta prima delle prossime elezioni politiche per permettere ad Aung San Suu Kyi di candidarsi. Su questo non c’è una posizione affermativa da parte del partito di governo. C’è la grande richiesta delle organizzazioni etniche, che stanno negoziano un cessate-il-fuoco a livello nazionale, che chiedono un federalismo vero nel Paese. Quindi ci sono parecchi elementi su cui ancora il Paese deve impegnarsi seriamente. Io credo che l’Europa, in particolare, visto che la prossima settimana c’è l’avvio di Asem, debba chiedere alla Birmania di rispettare gli impegni che nel corso di questi ultimi due anni sono stati assunti proprio a fronte della eliminazione delle sanzioni. 

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Sentinelle in piedi. Mons. Negri: ricorre a violenza chi è senza idee

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Preoccupante deriva verso il “pensiero unico”, che intende “annientare” chi non si adegua. L’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Luigi Negri, commenta senza mezzi termini le intimidazioni e gli atti di violenza che, in particolare a Rovereto e Bologna, hanno visto come obiettivi i partecipanti alle recenti manifestazioni silenziose delle “Sentinelle in piedi”. Si tratta di persone schierate in difesa pacifica dei diritti della famiglia tradizionale, ma invariabilmente tacciate di “omofobia” da chi difende i diritti di altri tipi di unione. L’opinione di mons. Negri al microfono di Alessandro De Carolis

R. – Credo si stia determinando in Italia una situazione di pensiero unico dominante e, conseguentemente, di una prassi morale e culturale – ma più che morale, si potrebbe dire di immoralismo – che viene sostanzialmente giudicata ingiudicabile, quindi che viene di fatto sostanzialmente presentata a tutti i livelli come l’unica mentalità possibile nella nostra società. Chi, per qualsiasi motivo, esercita la sua libertà di coscienza e di espressione non negli ambiti fissati da questa ideologia dominante, viene necessariamente estromesso con tutti i mezzi. Cioè, il diverso – in quanto diverso da quello che io sento, penso, ecc. – deve essere annientato e lo si deve fare con tutti i mezzi. Quindi, in questo senso è veramente una preoccupante limitazione, della quale direi che la maggior parte della gente non si accorge e comincia ad accorgersene adesso, di fronte a questi fenomeni che comunque, pur essendo limitati numericamente, hanno certamente il senso di un grandissimo campanello di allarme.

D. – Che senso ha, secondo lei, oggi, nella cosiddetta “civiltà dei diritti”, difendere ancora una posizione ricorrendo alla violenza, piuttosto che fare la fatica di convincere attraverso la forza delle proprie idee?

R. – Aristotele diceva che quando non si hanno ragioni forti, si ricorre alle mani. Cioè, la violenza è un’alternativa a una difficoltà, per non dire un’incapacità, di dare ragione della propria posizione. Io credo che questo ci debba profondamene interrogare, come cristiani ma ancor prima come cittadini di questo Paese.

D. – Sembra quasi che chi difende il diritto ad altri tipi di unione, diversa da quella della famiglia tradizionale, si senta in certo modo minacciato da manifestazioni che invece sono chiaramente pacifiche. Perché, secondo lei?

R. – Qui ci addentriamo negli ambiti di una psicologia probabilmente molto condizionata dalle esperienze negative del passato, di discriminazione nei confronti di chi non sosteneva, o non si sentiva di sostenere, la morale tradizionale. Io credo che tutto questo rappresenti una specie di punto di fermentazione di atteggiamenti, di reazioni e siamo arrivati agli eccessi opposti. Oggi, chi non sostiene posizioni che mettono in discussione la morale naturale e tradizionale viene sentito come uno che deve essere annientato.

D. – In questi giorni, al Sinodo, i valori della famiglia, come pure le sue ferite, sono al centro dell’attenzione. Qual è il suo auspicio anche in riferimento ai fatti di cui abbiamo parlato?

R. – Il mio auspicio è che la realtà della famiglia venga individuata nella sua crisi. La crisi della famiglia è una crisi epocale, è una crisi antropologica, è una crisi culturale. Non c’è più spazio per quella gratuità che costituisce l’essenza ultima del rapporto tra un uomo e una donna a livello naturale, che nel Sacramento del matrimonio trova la sua definitiva espressione e il suo sostegno. Quindi, come cristiani e in particolare come responsabili della vita ecclesiale, dobbiamo fare un cammino di accompagnamento ma che consenta alle famiglie di riscoprire la loro identità, per poter essere poi coerenti con questa identità. Ho in mente le lucidissime pagine della “Familiaris Consortio”, mi pare al numero 7, in cui San Giovanni Paolo II diceva: “Famiglia, diventa quello che sei”. Credo che la crisi stia tutta qui. Il resto sono conseguenze particolari sulle quali ci si può addentrare, anche in soluzioni che possano essere innovative sul piano pratico o pastorale. Ma la famiglia dev’essere aiutata a riscoprire la sua identità: questa è la crisi delle crisi. Tutte le altre sono conseguenza.

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"Dopo di noi", la legge che tutela i disabili senza genitori

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In Italia, 2,6 milioni di disabili gravi sono sempre stati assistiti dai genitori, ma quando questi non ci saranno più rischiano di restare soli e finire in strutture lontane da casa. Un progetto di legge, presentato dalla deputata del Pd, Ileana Argentin, potrebbe risolvere questo problema istituendo un fondo ad hoc. Maria Gabriella Lanza l'ha intervistata: 

R. – La legge prevede di dare l’opportunità ai ragazzi con deficit gravi di poter, dopo la morte dei familiari o dopo che i familiari arrivati a una certa età non ce la fanno più ad accudirli, permettere attraverso un fondo di occuparsi del “dopo di noi”, cioè del dopo la morte dei genitori o del momento, appunto, che non ce la fanno più. La legge ha quindi come protagonista la disabilità, ma anche le famiglie, in quanto tali, che per tutta la vita vengono a sopperire ai deficit dello Stato e a tutte le incongruenze che ci sono. Per cui va a dare, diciamo, un po’ di serenità a questi genitori che per tutta una vita si sostituito ai mancati servizi.

D. – Questa legge cosa rappresenta per tutte le famiglie che hanno parenti disabili gravi?

R. – Una risposta unica. Lei si immagini che da me bussano alla porta centinaia di migliaia di genitori di tutta Italia che mi dicono e mi ripetono sempre la stessa cosa: “Ci faccia almeno morire sereni!”. Quindi, significherebbe dare un po’ di serenità a queste famiglie e lasciar sì che le persone con disabilità gravi, soprattutto lì dove c’è ritardo mentale o cognitivo, abbiano l’opportunità di continuare la loro vita più sereni che mai o in case famiglie, con piccoli nuclei, oppure anche all’interno delle loro case a vivere con una assistenza adeguata. 

Poter garantire un futuro a suo figlio disabile grave è la speranza anche di Virgilio Ronci, 80 anni, padre di Valerio:

R. – Valerio, dall’età di due anni, ha cominciato a dare segni particolari che poi si sono rivelati essere autismo, dopo di che è stato messo in un asilo, anche se dopo poco hanno detto di portarlo via. Gli altri genitori, infatti, si ribellavano in quanto faceva cose che gli altri bambini imitavano. Portammo Valerio anche a Bologna, da un professore che ci disse di liberarcene, quindi di metterlo da qualche parte, perché ci avrebbe distrutto e noi non potevamo fare nulla per lui. Tutto questo ci costrinse a un trasferimento a Roma, dove si sperava di trovare qualcosa di più. Fu quindi iscritto in una scuola speciale per subnormali, perché aveva fatto i sei anni, dove mi dissero che non potevano accettarlo, perché la patologia non rientrava fra quelle che loro potevano trattare.

D. – Di cosa ha bisogno Valerio?

R. – Valerio è autistico, è epilettico, ha cambiato 68 volte la terapia, perché è resistente ai farmaci. Tutto quello che, quindi, comporta adesso la sua assistenza è, veramente, fisicamente, pesante. Valerio è stato veramente un dono di Dio, perché ci ha fatto capire tante cose che senza di lui non avremmo mai capito: ci ha insegnato a dare un senso e un valore alla vita. In un primo momento, volevamo quasi liberarci di Valerio. Non era facile, infatti, perché comportava una continua sorveglianza. La notte spesso non dormiva e al principio sembrava, come molte volte si dice, una disgrazia. Poi abbiamo capito che non è così. Penso sia un talento al quale dovremmo dar conto, come Gesù Cristo ha detto, come si legge nel Vangelo. Se poi si arriva a questo, e ci vuole tempo e ci vuole aiuto, se ci si arriva però, poi si può dire: è stato un dono di Dio. Adesso, però, l’età e le forze sono quelle che sono, per cui dobbiamo necessariamente affidarlo ad altri. Questa purtroppo - non purtroppo - è la storia di una vita. Ma, attenzione, detto così sembra che sia io o la mamma vittime di questa situazione, ma è Valerio ad essere il centro ed è lui che deve avere l’assistenza necessaria. Noi siamo i genitori e facciamo il nostro mestiere.

D. – Cosa desiderate per il futuro di Valerio?

R. – Noi speriamo che abbia un’assistenza adeguata, amorevole e che faccia il suo percorso di vita, anche senza di noi. Questo darebbe molta, molta tranquillità a noi genitori. Cerchiamo questo.

D. – L’approvazione di questa legge potrebbe garantire un’assistenza a Valerio anche in futuro?

R. – Arriva un momento in cui ci si fa vecchi e per forza di cose ce ne dobbiamo andare, non c’è proprio più la forza, anche se la volontà è quella di seguitare. Non c’è più questa forza. E allora questi figli a chi rimarranno? Non solo dove metterli, ma come, con quali strutture valide, con quanta, direi, umanità, con quanto amore possono essere seguiti? Perché fare un salto dall’assistenza con i genitori ad altre strutture è importante. Non ci stiamo piangendo addosso, ma come cittadini riteniamo che questi siano diritti, non diritti di noi genitori, ma loro diritti, di queste persone, che devono seguitare ad avere un percorso di vita decente.

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Migrantes: crescono italiani nel mondo, 94 mila nel 2013

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“Umiltà e buoni strumenti di lavoro. E’ ciò che serve a chi opera nel mondo dell’accoglienza per gestire un fenomeno complesso come la migrazioni”. Così mons. Francesco Montenegro presidente della Fondazione Migrantes della Cei, presentando oggi a Roma il Rapporto Italiani nel mondo 2014 edizioni TAU. 500 pagine dedicate al passato e al presente degli emigrati italiani, oltre 94 mila solo nel 2013, su 4 milioni e mezzo di residenti all’estero. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Cresce la mobilità italiana interna ma soprattutto verso l’estero per trovare condizioni migliori di vita nella stretta della recessione. Ancora dunque una scelta obbligata. E i cosiddetti “migranti economici” che partono sono di più dei migranti di guerra che arrivano. “Mai considerarli solo numeri, anche se i dati servono. Sono persone che partono per necessità, e il Rapporto vuole anche far crescere la cultura del rispetto della diversità”. Così il presidente di Migrantes, mons.  Francesco Montenegro:

“Il fatto che io, italiano, ho necessità di andar via per poter vivere un po’ più serenamente, mi deve far capire che anche altri hanno questo desiderio. Allora, al di là se sono credente o meno, guardare un uomo che chiede 'aiutami' e pensare che anche un mio fratello italiano sta andando altrove a dire 'aiutatemi', ecco questo davvero deve metterci in una situazione di parità. Noi non siamo quelli che hanno una civiltà, noi siamo quelli che vogliono mettere a disposizione la loro ricchezza culturale e civile, per poterla condividere con gli altri”.

Più di 94 mila gli emigrati italiani nel 2013 da 79 mila circa l’anno prima e oltre 4 milioni e mezzo i residenti all’estero. Primo Paese, l’Argentina, provenienza il Sud Italia - al 52,1% - età ultra sessantacinquenni (878.209). Diverso l’identikit invece per gli emigranti dell’ultimo anno: ancora per lo più uomini - oltre il 56% - celibi e tra i 25 e i 40 anni, provenienti da Lombardia, Veneto e Lazio. Delfina Licata curatrice del Rapporto:

“Quindi, si tratta di persone che magari all’estero, oltre che cercare una maggiore professionalizzazione o piuttosto un posto di lavoro, ricercano anche la possibilità di realizzazione del proprio desiderio di famiglia; cosa che in altro modo non sarebbe proprio possibile. Partono soprattutto dalle regioni del Nord, oltre il 40%; non è dato sapere, però, se siano persone del Sud Italia che hanno già subito un percorso di mobilità dalle regioni del Sud”

I nuovi emigranti sono per lo più diretti in Europa, al primo posto il Regno Unito, ma non solo, e questo è un altro elemento interessante:

"…. la Francia, la Svizzera; ma in quinta, sesta e settima posizione troviamo Paesi come l’Argentina, il Brasile e gli Stati Uniti, in decima posizione l’Australia; abbiamo conteggiato 186 destinazioni diverse. Quindi, effettivamente gli italiani continuano a muoversi in tutti i posti nel mondo, portando la loro identità, la loro ricchezza e professionalità che, invece, potrebbe effettivamente essere il 'volano' della crescita dell’Italia in un periodo di precarietà globale".

Dal sud al nord e dal nord oltre frontiera: restano invariate le direttrici delle mobilità interna degli italiani, secondo il rapporto di Migantes.In crescendo l’esperienza dell’Erasmus per gli studenti ventenni, mentre il sud continua a svuotarsi. Record, nella provincia di Agrigento, dove, spiega l’arcivescovo monsignor Montenegro, su 461mila abitanti 147mila risiedono all’estero e in alcuni paesini il rapporto tra chi vive e chi parte è del 100%:

“Nella terra agrigentina non ci sono industrie, non c’è niente. Ti devi inventare il lavoro, e che lavoro ti vuoi inventare se c’è poco in giro: l’agricoltura è in crisi; non ci si attrezza per far diventare il turismo una ricchezza; e così i giovani partono, le famiglie si rompono… Se chi deve decidere non si siede a tavolino a fare le piccole, grandi strategie, noi potremmo pensare anche alle cose più belle, ma l’altro non accoglie niente di ciò che dico”.

“E’ uno scandalo che l’Italia non sia attrattiva come altri Paesi”, ha detto il sottosegretario agli Esteri Mario Giro, “anche se l’emigrazione italiana è stata sempre un grande successo” e “merita una rivalutazione”. Al Rapporto sono invece affidate due proposte: trovare parole giuste per descrivere il fenomeno e ripensare alla rappresentanza all’estero alla luce delle nuove forme di mobilità. Ancora la curatrice Delfina Licata:

“Si tratta di dare la possibilità ai giovani di essere protagonisti di un associazionismo in forme diverse come loro lo intendono, come loro lo desiderano”.

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Madonna del Rosario. P. Perrella: pregare Maria aiuta le famiglie

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La Chiesa celebra oggi la memoria della Beata Vergine Maria del Rosario. Una festa istituita da San Pio V nel 1571 in onore della vittoria dei cristiani a Lepanto contro la flotta ottomana. Sull'importanza della preghiera del Rosario, specie in famiglia, Martina Boccalini ha intervistato il marialogo don Salvatore Perrella

R. – La preghiera è, prima di tutto, incontro col Signore, ascolto della sua Parola, richiesta di ascolto da parte del credente e soprattutto è confidenza, è fede in Colui che può ascoltarci. E quindi il Rosario in questo caso non solo è preghiera di contemplazione e partecipazione ai Misteri di Cristo, cui Maria partecipò come Madre e Serva, ma è anche un metodo utilissimo - soprattutto nella frenesia del tempo d’oggi - per saper sostare con il Signore.

D. – La preghiera del Rosario è quindi molto umile, una preghiera che nasce dal cuore. Può essere considerato come un dialogo diretto con Dio?

R. – Sì, il Rosario è preghiera di contemplazione, è preghiera cordiale, è preghiera di dialogo. Quindi è una preghiera che pone nel cuore di Dio il cuore stesso dell’uomo.

D. – Il Rosario è anche una preghiera di stampo popolare: secondo lei, ancora oggi, nel Rosario sono racchiuse le sofferenze e le speranze dell’uomo?

R. – Bisogna dire che il Rosario non è ancora una preghiera compresa nella sua ricchezza, perché c’è troppa fretta… Il Rosario viene anche recitato purtroppo – non sempre – come catena dolce che ci rannoda a Dio, ma certamente il Rosario è la preghiera degli umili, ma non degli sciocchi! E' la preghiera delle persone che confidano che Dio possa salvarci. Tutti i Misteri del Rosario ci dicono questa vicinanza di Gesù, di cui Maria è stata la beneficiaria, ma ne è anche la testimone: quindi nel Rosario noi sappiamo che rivolgendoci a Lei, Lei ci può ascoltare e se ci ascolta Maria, Dio non può non ascoltare la Madre di suo Figlio.

D. – Questa memoria cade durante il Sinodo sulla famiglia. Secondo lei, come può il Rosario aiutare le famiglie oggigiorno?

R. – Il Rosario può aiutare le famiglie se le famiglie riprendono questa antica usanza. Papa Giovanni Paolo II si è sforzato molto per rinnovare questa antica preghiera, rinnovandola nella tradizione, cioè nel Vangelo. Se nelle famiglie si ritrova il tempo di stare insieme, io credo che il Rosario servirà come cemento dell’unione dei credenti, della famiglia umana e della famiglia storica a Cristo e alla Chiesa di Cristo.

D. – I giovani, però, hanno difficoltà a pregare il Rosario, perché lo percepiscono come una preghiera meccanica e lontana da loro. Come si potrebbe rendere il Rosario una preghiera meno ripetitiva?

R. – E’ una delle cose che bisogna contestare: la ripetitività è dell’uomo ed è nell’uomo. Noi partiamo sempre da un fatto, da una immagine. Fatto e immagine colpiscono i giovani: fatti e immagini che vengono dal Vangelo di Cristo e dal Vangelo di Maria. Allora sì naturalmente veniamo portati a pregare non nella noia della ripetitività, ma nella forza della ripetitività. Questo i giovani - se noi glielo facciamo comprendere - sanno attuarlo e quindi sanno pregare il Rosario.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Un francescano e alcuni suoi parrocchiani rapiti da al-Nusra

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I Padri francescani della Custodia di Terra Santa confermano che il rapimento del loro confratello padre Hanna Jallouf – sequestrato insieme a altri cristiani del villaggio siriano di Knayeh - è opera dei jihadisti del fronte al-Nusra. In un comunicato diffuso dalla Custodia e inviato all'agenzia Fides, si conferma che il rapimento collettivo è avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 ottobre e che il parroco Jallouf insieme agli altri rapiti sono stati sequestrati da “brigate legate a Jahbat al-Nusra”. Il numero dei rapiti non viene specificato.

Il vescovo Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, ha riferito sempre all'agenzia Fides, che insieme al parroco sarebbero stati prelevati “una ventina” di ragazzi e ragazze. “Le suore che erano nel convento - si legge nel comunicato della Custodia - hanno trovato rifugio in alcune case del villaggio”.

La Custodia di Terra Santa conferma che per il momento non si sa dove siano stati portati i sequestrati, e non c'è stato modo di contattare loro o i loro rapitori. Il comunicato si conclude con l'invito a pregare per il parroco e i suoi parrocchiani rapiti “e per le altre vittime di questa guerra tragica e insensata”. (R.P.)

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Nigeria. Violenze di Boko Haram: 185 chiese distrutte e 190mila profughi

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Sono 185 le chiese incendiate, oltre 190.000 le persone costrette alla fuga. È il bilancio delle violenze perpetrate da Boko Haram negli ultimi due mesi nella diocesi di Maiduguri, il cui territorio comprende gli Stati della Nigeria settentrionale di Borno, Yobe e alcune aree di quello di Adamawa. Lo rende noto il direttore delle Comunicazioni sociali della diocesi, don Gideon Obasogie.

Negli ultimi due mesi 11 città comprese nel territorio della diocesi sono cadute nelle mani di Boko Haram (secondo il vescovo del luogo, mons. Oliver Dashe Doeme, la setta islamista controlla in tutto 25 città nel nord della Nigeria). “Trenta giorni fa, le comunità cattoliche di Gulak, Shuwa, Michika, Bazza ed altre, sono state saccheggiate dai crudeli attacchi dei terroristi di Boko Haram” afferma il direttore delle Comunicazioni sociali.

“Gwoza e Magadali sono sotto il controllo dispotico e tirannico dei terroristi da 60 giorni” sottolinea don Obasogie. “I nostri sacerdoti sono sfollati, mentre i cittadini, che si suppone dovessero celebrare l’indipendenza come nazione libera, invece piangono i loro morti e sono ridotti allo stato di sfollati interni. Dov’è allora la libertà?” si chiede il sacerdote.

Don Obasogie descrive le terribili condizioni nelle quali sono costretti a vivere gli sfollati, accolti nelle abitazioni di parenti e amici (anche 60-70 persone alla volta), oppure in strutture improvvisate a Maiduguri, Mubi, Yola, Uba, Gombe, Biu e Damaturu. Il pensiero degli sfollati va a coloro che non sono riusciti a fuggire, persone anziane o malate ma pure giovani. Le donne sono vittime di violenze sessuali mentre si diffondono le pratiche di decapitare gli ostaggi dei terroristi, come è successo ad un pilota militare che è stato catturato dopo essersi lanciato dal suo aereo abbattuto da Boko Haram l’11 settembre.

Oggi, 7 ottobre, si è aperto a Niamey, capitale del Niger, un vertice regionale per la lotta contro Boko Haram, che sta minacciando anche i Paesi limitrofi, come dimostrato dalla morte di 7 persone nel nord del Camerun, uccise da un razzo sparato dagli integralisti nigeriani. (R.P.)

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Pakistan: timori dei cristiani per sostegno dei talebani a Is

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Il gruppo dei talebani pakistani “Tehrik-e-Taliban Pakistan” ha annunciato il suo aperto sostegno al sedicente Stato Islamico, la formazione jihadista che opera in Iraq e Siria, ordinando a tutti i militanti della regione di “unirsi contro il nemico”. “Questi slogan e il desiderio smodato di dominio sono le principali minacce alla convivenza e alla libertà religiosa in Pakistan, missione per la quale noi, attivisti dei diritti umani, lavoriamo senza sosta” commenta all'agenzia Fides l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, facendosi interprete delle preoccupazioni della comunità cristiana pakistana.

“In Pakistan – spiega a Fides – continuiamo a organizzare seminari e incontri per promuovere l'armonia interreligiosa, cerchiamo di costruire la pace e vivere in un clima di dialogo e di rispetto tra fedi diverse. La convivenza e la libertà religiosa sono un bene non solo per i cristiani, ma per ogni cittadino pakistano e per ogni credente”.

“Spesso si ricorda che il Pakistan è un Paese nato dall’unione di fedi, culture e valori diversi, e che i membri delle minoranze religiose sono pienamente cittadini di questo Paese. Ora, di fronte alla minaccia dell’Is, è tempo di rafforzare questa visione nella società pakistana” afferma l’avvocato. 

I cristiani pakistani guardano con preoccupazione e solidarietà alle sofferenze dei cristiani iracheni e siriani. E “l’arma” con cui intendono contrastare la diffusione della velenosa ideologia dell’Is è la preghiera: come riferito a Fides dal francescano padre Francis Nadeem, i frati cappuccini pakistani hanno organizzato nei giorni scorsi a Karachi uno specifico incontro di preghiera per i cristiani iracheni e siriani.

“I militanti dell’autoproclamato Stato Islamico uccidono senza pietà persone innocenti, rapiscono, stuprano, decapitano. E’ in corso uno spargimento di sangue che deve interrogare l'intera umanità” nota padre Nadeem. “I frati cappuccini hanno alzato una accorata supplica a Dio Onnipotente perchè protegga i cristiani innocenti e le altre minoranze religiose in Iraq. Abbiamo pregato anche per la pace e l’armonia in Pakistan” conclude. (R.P.)

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Sud Sudan: un milione di persone a rischio fame

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La crisi alimentare in Sud Sudan rischia di trasformarsi in una catastrofe e un milione di persone si troverà a rischio fame tra gennaio e marzo del prossimo anno se non si interverrà urgentemente per risolvere lo stallo politico che sta paralizzando la vita del giovane Stato. Lo afferma il rapporto intitolato “Dalla crisi alla catastrofe” presentato da diverse agenzie umanitarie che operano nel Paese.

“Finora l’approccio morbido della comunità internazionale ai negoziati di pace non è riuscito ad assicurare un significativo cessate il fuoco” afferma il rapporto. Nonostante gli accordi di cessate il fuoco firmati dai rappresentanti del governo del Presidente Salva Kiir e da quelli della ribellione legata all’ex vice Presidente Riek Machar - riferisce l'agenzia Fides - la situazione non si è stabilizzata e rimane la possibilità che riprendano i combattimenti su larga scala, come confermato dal riarmo di entrambe le parti.

“Questa non è una crisi dovuta ad un disastro naturale ma è stata provocata dall’azione dell’uomo” sottolinea Tariq Reibl, responsabile dei progetti in Sud Sudan di Oxfam, una delle 10 Ong che ha sottoscritto il rapporto. La guerra civile scoppiata nel dicembre 2013 ha provocato la fuga di 1,4 milioni di civili, a causa della dimensione etnica e tribale assunta fin dall’inizio dal conflitto. (R.P.)

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Campagna mondiale di 160 Caritas nazionali: eliminare la fame

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Le Caritas di tutto il mondo partecipano ad una "Settimana di azione", dal 12 al 19 ottobre, per porre fine alla fame entro il 2025. Tra i momenti salienti della settimana sarà diffuso un video messaggio di Papa Francesco che invita i cattolici a sostenere la Campagna della Caritas “Una sola famiglia umana, cibo per tutti”. Come riporta il comunicato inviato all’agenzia Fides, si tratta della prima Campagna mondiale promossa da 160 Caritas nazionali, le quali concordano che porre fine alla fame nel mondo è la loro priorità.

Le attività della Caritas si svolgeranno in oltre 50 Paesi in tutto il mondo, e comprenderanno eventi a sostegno degli agricoltori poveri, azioni contro le leggi ingiuste che danneggiano i piccoli proprietari, e condivisione delle esperienze di famiglie per assicurarsi del cibo da mettere a tavola.

Un obiettivo della campagna è quello di fare pressione sui governi affinché garantiscano che i diritti degli agricoltori, in particolare delle agricoltrici, siano riconosciuti dalla legge, che sia posta fine alla speculazione alimentare, e che ci siano reti di sicurezza adeguate per combattere la malnutrizione infantile.

Tra gli eventi salienti: in Malawi, la Caritas porterà messaggi ai Capi di governo sulle modifiche di legge in aiuto dei piccoli agricoltori; Caritas Pakistan sta organizzando una gara culinaria per donne che hanno coltivato il proprio cibo nell’ambito dei programmi della Caritas; nello Sri Lanka, le parrocchie organizzeranno dei pasti comunitari con i poveri; le diocesi di Panama affronteranno la questione del diritto al cibo con il governo; in Giappone, la Caritas ha lanciato un programma contro gli sprechi alimentari domestici e ha aiutato gli agricoltori in Africa orientale a comprare dei semi; in Canada, i cattolici sono invitati a firmare una petizione a sostegno dei diritti dei piccoli agricoltori con aziende a conduzione familiare per usare, salvare e scambiare sementi; in Italia, a Cipro e in Bangladesh, la Caritas parteciperà a eventi sportivi di sensibilizzazione contro la fame. (R.P.)

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Francia: in 500mila contro utero in affitto e ideologia gender

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In 500mila hanno sfilato domenica scorsa a Parigi e Bordeaux contro "l'utero in affitto" e la politica del gender nelle scuole. La manifestazione, è stata organizzata dalla piattaforma associativa "Manif pour tous". Nonostante le condizioni climatiche avverse - riporta il quotidiano Avvenire - un fiume multicolore di famiglie provenienti da tutta la Francia, si è riversato ancora una volta lungo il tracciato del corteo parigino. Al termine dell'evento il solito balletto di cifre estremamente divergenti sul numero di manifestanti: 500mila secondo i metodi empirici degli organizzatori ed i 70mila riconosciuti dalle Forze dell'ordine.

"I cortei di domenica - scrive il corrispondente da Parigi del quotidiano cattolico - hanno riproposto la solita trasversalità generazionale, di sensibilità politica, origine geografica o confessione religiosa, con non poche famiglie pronte a manifestare per la prima volta, contro i rischi di derive quali l'irruzione dell'ideologia del gender nelle scuole o il sovvertimento della logica d'accesso alla fecondazione assistita, destinata finora a contrastare la sterilità delle coppie omosessuali".

Sul piano politico se il governo socialista ha confermato la scorsa settimana di voler lanciare a livello internazionale un'iniziativa diplomatica contro la maternità surrogata, definita dal premier Manuel Valls come "una pratica intollerabile di commercializzazione degli esseri umani", l'opposizione neogollista chiede che queste parole non restino un puro paravento tattico e che venga annullata la circolare ministeriale Taubira, favorevole al riconoscimento dei bambini nati all'estero proprio attraverso l'"utero in affitto". (R.P.)

 

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Nobel per la Fisica agli inventori dei Led

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L'Accademia Reale Svedese delle Scienze ha assegnato il Nobel per la Fisica 2014 agli scienziati giapponesi Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e all'americano di origine nipponica Shuji Nakamura, "per l'invenzione dei diodi a emissione di luce blu che hanno consentito di potenziare e - si legge nelle motivazioni di Stoccolma- rendere più brillanti le fonti di luce bianca consentendo un contestuale risparmio di energia". 

"Con l'avvento dei Led, sempre più diffusi, abbiamo oggi alternative più efficienti e durature rispetto alle vecchio fonti di luce" e, aggiunge l'Accademia, i tre scienziati "sono riusciti dove tutti avevano fallito".

"La loro invenzione è stata rivoluzionaria. Come le lampade a incandescenza hanno rappresentato il XXesimo secolo, il XXIesimo secolo sarà identificato con le luci emesse dalle lampade a led" ha aggiunto ancora l'Accademia di Stoccolma nelle motivazioni al prestigioso riconoscimento. (R.P.)
 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 280

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.