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Sommario del 09/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: nella preghiera, lo Spirito Santo è il dono più grande

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Nella preghiera chiediamo tante cose, ma il dono più grande che Dio ci può dare è lo Spirito Santo: è quanto ha detto Papa Francesco nell’omelia mattutina a Santa Marta, commentando il Vangelo del giorno, che presenta la parabola di un uomo che a forza di insistere ottiene da un amico ciò che chiede. Il servizio di Sergio Centofanti

Dio “ha tanta misericordia” afferma Papa Francesco, che inizia l’omelia partendo dalla Colletta, in cui si chiede perdono a Dio e di “aggiungere ciò che la preghiera non osa sperare”:

“Questo mi ha fatto pensare: è proprio della misericordia di Dio non solo perdonare - quello tutti lo sappiamo - ma essere generoso e dare di più e di più… Abbiamo chiesto: ‘E aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare’. Noi forse nella preghiera chiediamo questo e questo e Lui ci dà di più sempre! Sempre, sempre di più”.

Nel Vangelo – sottolinea il Papa – ci sono “tre parole chiave”: “l’amico, il Padre e il dono”. Gesù “mostra ai discepoli cosa sia la preghiera. E’ come un uomo che si reca a mezzanotte da un amico per chiedere qualcosa. Nella vita – osserva – “ci sono amici d’oro” che davvero danno tutto. “Ce ne sono altri più o meno buoni”, ma la Bibbia ci dice ‘uno, due o tre…  non di più!’. Poi, gli altri sono amici, ma non come questi”. E anche se siamo importuni e invadenti “il legame di amicizia fa che ci sia dato quello che noi chiediamo”. 

“Gesù fa un passo avanti e parla del Padre: ‘Quale padre tra di voi, se un figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?’ … ‘Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre del cielo!’”. Quindi – prosegue il Papa – “non solo l’amico che ci accompagna nel cammino della vita ci aiuta e ci dà quello che noi chiediamo: anche il Padre del cielo” che “ci ama tanto e del quale Gesù ha detto che si preoccupa di dare da mangiare agli uccellini del campo. Gesù vuole risvegliare la fiducia nella preghiera” e dice: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto”. “Questa – afferma Papa Francesco - è la preghiera: chiedere, cercare il come e bussare al cuore di Dio”. E il Padre “darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”:

“Questo è il dono, questo è il di più di Dio. Dio mai ti dà un regalo, una cosa che gli chiedi così, senza incartarlo bene, senza qualcosa di più che lo faccia più bello. E quello che il Signore, il Padre ci dà di più è lo Spirito: il vero dono del Padre è quello che la preghiera non osa sperare. ‘Io chiedo questa grazia; chiedo questo, busso e prego tanto… Soltanto spero che mi dia questo’. E Lui che è Padre, mi dà quello e di più: il dono, lo Spirito Santo”.

“La preghiera – conclude il Papa - si fa con l’amico, che è il compagno di cammino della vita, si fa col Padre e si fa nello Spirito Santo. L’amico è Gesù”:

“E’ Lui che ci accompagna e ci insegna a pregare. E la nostra preghiera deve essere così, trinitaria. Tante volte: ‘Ma lei crede?’: ‘Sì! Si!’; ‘In che crede?’; ‘In Dio!’; ‘Ma cosa è Dio per lei?’; ‘Dio, Dio!’. Ma Dio non esiste: non scandalizzatevi! Dio così non esiste! Esiste il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: sono persone, non sono un’idea nell’aria… Questo Dio spray non esiste! Esistono persone! Gesù è il compagno di cammino che ci dà quello che chiediamo; il Padre che ha cura di noi e ci ama; e lo Spirito Santo che è il dono, è quel di più che dà il Padre, quello che la nostra coscienza non osa sperare”.

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Sinodo: la Chiesa non è una dogana ma una casa paterna

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La Chiesa “non è una dogana”, è “una “casa paterna”. Con questa riflessione, alla presenza di Papa Francesco proseguono in Vaticano i lavori della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, dedicato alla famiglia. Stamani, nella quarta giornata di incontri, attenzione puntata su: “Le sfide pastorali circa l’apertura alla vita”. A seguire, il briefing di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Il servizio di Giada Aquilino

Un accompagnamento paziente a tutte le persone, nella chiave della misericordia. Questa la sintesi dei lavori dell’assemblea sinodale di ieri pomeriggio e questa mattina. Un “crescendo di partecipazione e di passione, di coinvolgimento da parte dell’assemblea”, ha detto padre Lombardi. Affrontate le “situazioni pastorali difficili”, il dibattito generale ha fatto il quadro di una Chiesa che racchiude famiglie sane e famiglie in crisi, sottolineando come quotidianamente lo sforzo non debba essere quello di mostrare indifferenza nei confronti della debolezza, perché la pazienza implica l’aiutare attivamente il più debole. A proposito dei divorziati risposati, ha spiegato padre Lombardi, in aula emergono più indirizzi:

“C’è una linea che parla con molta decisione dell’annuncio del Vangelo del matrimonio, che esige di affermare che, se c’è un legame valido matrimoniale esistente, non è possibile l’ammissione ai Sacramenti di divorziati risposati. Quindi, diciamo, un’affermazione della coerenza della dottrina proprio per fedeltà alla Parola del Signore. E una linea che, non negando in alcun modo la indissolubilità del matrimonio nella proposta del Signore Gesù, però vuole vedere – nella chiave della misericordia, che naturalmente è importantissima per tutti - le situazioni vissute e fare un discernimento su come affrontarle nelle diverse situazioni che sono a volte piuttosto specifiche. Ecco: quindi, vedere come - senza negare in alcun modo la dottrina fondamentale - si può venire incontro alle esigenze della misericordia in un approccio pastorale, alle diverse situazioni che si devono affrontare”.

Registrato, ha aggiunto il portavoce vaticano, “uno spazio molto ampio di consenso” su tutta una serie di approcci alla questione dei divorziati risposati. Sulla nullità matrimoniale, invocata “l’esigenza di snellimento nelle procedure”, integrando più laici competenti nei Tribunali ecclesiastici, salvaguardando sempre il rispetto della verità e i diritti delle parti ed evitando superficialità:

“Ci sono state anche proposte abbastanza concrete di organizzazioni di uffici diocesani che affrontino la tematica sotto la direzione del vescovo. Allo stesso tempo, anche su questa tematica si insiste sull’attenzione alle esigenze della verità e della giustizia, per non arrivare a una specie di divorzio cattolico, e quindi inserire e riconoscere l’importanza, anche del processo e dei procedimenti canonici, in una pastorale d’insieme di vera attenzione al bene del popolo di Dio e delle persone”.

Il processo - si è detto ai lavori - non è contrario “alla carità pastorale” e la pastorale giudiziale deve “evitare idee colpevolizzanti, incoraggiando una trattazione serena dei casi”. D’altra parte, è emerso negli interventi, per i divorziati risposati “il fatto di non potersi accostare all’Eucaristia non significa assolutamente che non siano membri della comunità ecclesiale”: “si è invitato a riconsiderare che esistono diverse responsabilità che essi possono esercitare”. Ancora padre Lombardi:

“Ci sono stati racconti di incontri in cui c’è una preghiera in comune, una domanda di perdono insieme e anche la ricerca di forme di manifestare la benedizione e l’amore del Signore, anche se non c’è la partecipazione alla comunione sacramentale. Si è parlato in diversi interventi del valore della comunione spirituale come qualcosa di non formale ma di molto significativo che va valorizzato, anche per le persone che non possono accedere alla comunione sacramentale”.

L’importanza dell’ascolto, anche in gruppi, è stata inoltre riproposta per la pastorale per le persone omosessuali, pur ribadendo ai lavori “l’impossibilità di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso”:

“Se n’è parlato nella linea della pastorale dell’ascolto, del rispetto, dell’accoglienza pur tenendo fede alla visione della Chiesa che il matrimonio è tra un uomo e una donna e non è mai tra un uomo e un uomo o tra una donna e una donna. E in questo senso del rispetto e dell’accoglienza, anche attenzione al linguaggio che viene utilizzato e che viene spesso ritenuto poco rispettoso”.

Riguardo alla poligamia, pur essendo ormai “una realtà in via di diminuzione”, in aula sono stati menzionati i “poligami convertiti al cattolicesimo” che desiderano ricevere i Sacramenti dell’iniziazione cristiana. Affrontata poi la questione dei cattolici che mutano confessione cristiana e viceversa, con tutte le difficili conseguenze che ne derivano per i matrimoni interconfessionali e la valutazione della loro validità, alla luce delle possibilità di divorzio previste dalle Chiese ortodosse. Per quanto riguarda i matrimoni misti, si è messa in luce la possibilità che essi offrono di testimoniare l’armonia ed il dialogo interreligioso. Considerato poi, nuovamente, il tema del linguaggio affinché la Chiesa riesca a coinvolgere credenti e non credenti, e tutte le persone di buona volontà per individuare modelli di vita familiare che favoriscano lo sviluppo integrale della persona umana ed il benessere della società. Il suggerimento - si è detto - è quello di parlare di famiglia con una “grammatica della semplicità” che arrivi ai cuori dei fedeli. Ancora una volta poi si è tornati sulla necessità di una maggiore preparazione al matrimonio, soprattutto fra i giovani ai quali va presentata la bellezza dell’unione sacramentale.

Nelle testimonianze al Sinodo, ha informato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, sono stati introdotti inoltre “il tema dei metodi di regolazione naturale delle nascite e il tema della paternità responsabile e come la si eserciti all’interno della vita familiare”. Ribadito che il dono della vita così come la virtù della castità sono valori fondanti del matrimonio cristiano. Sottolineati nel dibattito “la gravità di un crimine come l’aborto” e l’“impatto negativo” della contraccezione sulla società, che ha comportato l’abbassamento della natalità. Di fronte a tale scenario - si è detto - i cattolici non devono restare in silenzio, bensì devono portare un messaggio di speranza.

Padre Lombardi ha quindi ricordato che oggi pomeriggio terminano gli interventi dei Padri in assemblea, poi sarà la volta dei circoli minori. E ha infine aggiunto che in aula è stato rilanciato il Concistoro ordinario di lunedì 20 ottobre, dedicato all’attuale situazione dei cristiani in Medio Oriente e all’impegno della Chiesa per la pace, alla luce anche della recente riunione dei nunzi apostolici della regione.

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Sinodo. Il card. Burke: dare messaggio positivo sul matrimonio

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Di fronte alla dittatura del pensiero unico finalizzata a introdurre nella società controvalori che distorcono la visione del matrimonio come unione tra uomo e donna, la Chiesa è chiamata con coraggio a dire la bellezza della famiglia. Questo uno dei concetti espressi più volte in aula del Sinodo. Centrale anche il tema dei processi di dichiarazione di nullità matrimoniale per l’ottenimento della quale, secondo alcuni presuli, occorrerebbe snellire le procedure. Su questi aspetti  si sofferma il card. Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, intervistato da Paolo Ondarza

R. – E’ un lavoro molto inteso che sta affrontando un grande numero di temi, forse troppi. In questo momento il discorso sembra ancora un po’ confuso, ma speriamo che arriveremo a dei chiarimenti, ovviamente, basati sull’insegnamento perenne della Chiesa, fondamento per una pastorale sana.

D. – Si sta discutendo molto sulla nullità dei matrimoni, sulla possibilità di esprimersi in maniera più efficace sulla dichiarazione di nullità matrimoniale…

R. – Una coppia si unisce in matrimonio e c’è sempre la possibilità che l’uno o l’altro degli sposi abbia viziato il consenso escludendo per un atto positivo della volontà alcuni beni essenziali per la validità del matrimonio: la fedeltà, l’indissolubilità o l’atto di procreare. Queste sono alcune delle ragioni per cui è possibile chiedere la nullità in un processo matrimoniale. Il processo ha tutti gli elementi per arrivare alla verità con certezza morale e quando c’è un personale ben preparato questo processo non dura a lungo e non è contrario alla pastorale.

D. – Viene chiesto uno snellimento della procedura processuale con l’eliminazione del secondo grado di giudizio richiesto oggi per ottenere un annullamento. Lei cosa pensa?

R. – Io non sono a favore di questo, perché per una cosa così importante, ovvero la validità del matrimonio - che tocca anche la salvezza dell’anima - la Chiesa vuole che un primo giudizio sia confermato in seconda istanza.

D. – Gli occhi di molti sono puntati su questo Sinodo soprattutto per alcune tematiche di sofferenza che vivono coppie il cui primo matrimonio è fallito. C’è però tutta una fetta di sposi che vive coerentemente la propria fede cristiana nel matrimonio e che attende dai padri sinodali una parola di conforto, anche perché spesso si trova a dover testimoniare in un contesto che nega i valori cristiani…

R. – Infatti, noi dobbiamo illustrare nel Sinodo, davanti a tutti, la bellezza del matrimonio che è, veramente, una partecipazione all’amore divino, nell’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo; e non dobbiamo considerare solamente i casi difficili. Il Sinodo sul matrimonio e sulla famiglia deve anche, prima di tutto, dare un messaggio positivo sul matrimonio.

D. – Oggi, secondo lei, è una sfida quella di dire chiaramente la visione della Chiesa sul matrimonio tra uomo e donna?

R. – Sì, è una sfida, perché la nostra cultura è totalmente secolarizzata e sta accettando delle cose che contraddicono la verità sul matrimonio. Ma la Chiesa è “controcorrente” e noi dobbiamo accettare la sofferenza che viene dall’annunciare una verità difficile per il nostro tempo; questa è la dimostrazione del nostro vero amore, per il mondo, per i nostri fratelli e sorelle, nel dire loro la verità che ci ha dato Cristo. Se soffriamo – e soffriremo certamente – accettiamo questa sofferenza con gioia perché sappiamo che stiamo veramente servendo in amore i nostri fratelli.

D. – Questo è un incoraggiamento per le tante coppie che entrano nella porta “stretta” del matrimonio, testimoniandone e vivendone però tutta la gioia e la bellezza?

R. – Giusto. Loro danno la testimonianza più bella e convincente di questa verità.

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Mons. Mbonytege: Sinodo cerca di capire come vivere dottrina in nuovi contesti

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La famiglia è in tanti contesti di guerra e sofferenza una realtà capace di resistere alle alle difficoltà e in alcuni casi uno strumento di riconciliazione. Così è avvenuto in Rwanda, come spiega mons. Smaragde Mbonytege, vescovo della diocesi di Kabgayi. L’intervista è di Paolo Ondarza

R. – La famiglia è il segreto della Chiesa. La vocazione della famiglia è la più importante e oggi vediamo che è la più minacciata anche a causa della secolarizzazione. In Rwanda c’è una Chiesa che ha sofferto tanto con il genocidio, con la guerra, con i profughi, e ha trovato una nuova partenza con la famiglia, come priorità pastorale.

D. – Viene messa in rilievo anche l’importanza del ruolo della donna, ad esempio: la parità tra uomo e donna. E questa è un’esigenza, un’istanza che viene presentata da molti vescovi provenienti dal continente africano …

R. – Io posso dire che la promozione femminile nel contesto della Chiesa in Rwanda è veramente molto avanti rispetto a tanti altri Paesi, anche europei. Per esempio, in Parlamento il 70 per cento degli eletti sono donne; però, c’è la sfida familiare: la donna e la sua maternità, la sua presenza nella famiglia. Dobbiamo cercare un equilibrio e lo cerchiamo come Chiesa, parlando con le diverse componenti – anche con lo Stato – perché la promozione femminile non deve comportare la distruzione della famiglia. E credo si debba cercare di trovare un equilibrio. Questa non è una realtà propria solo del Rwanda: esiste anche in altri Paesi.

D. – Il suo augurio per questo Sinodo …

R. – Questo Sinodo non è per cercare una nuova dottrina del matrimonio: no, non è questo il suo compito. Il suo compito è di capire come vivere la dottrina della Chiesa sulla famiglia nel contesto pastorale particolare. Non è forse possibile trovare una soluzione universale per far fronte a tutte le sfide poste alla famiglia nei vari contesti del mondo. Credo che l’orientamento corretto sia quello di riconoscere la possibilità adeguata a ciascuna identità culturale di studiare le sfide poste alla famiglia e di proporre le soluzioni appropriate per quel contesto. Ma non credo sia possibile trovare una soluzione universale.

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Tweet del Papa: giovani, Cristo conta su di voi, siate testimoni del suo amore

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Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex in nove lingue: “Cari giovani, Cristo conta su di voi, per essere suoi amici e testimoni del suo amore infinito”.

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Libano. Il nunzio a Beirut: situazione profughi insostenibile

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Cresce la tensione in Libano: il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha espresso profonda preoccupazione per le infiltrazioni in territorio libanese compiute dai miliziani del Fronte al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda, e dai jihadisti del sedicente Stato Islamico. Ban teme anche per il fatto che i partiti libanesi non siano ancora riusciti a eleggere un nuovo presidente, sottolineando che il vuoto politico ''aumenta la fragilità del Paese''. Il mandato del presidente libanese Michel Suleiman è scaduto il 25 maggio. Intanto si fa sempre più difficile la situazione dei tanti profughi presenti in Libano. Sulla situazione, Tracey McClure ha intervistato il nunzio a Beirut, mons. Gabriele Giordano Caccia: 

R. – Il Libano risente dall’inizio della cosiddetta situazione di instabilità in Siria, della guerra, di un afflusso enorme di persone che lasciano la Siria e si rifugiano in Libano. Ufficialmente, registrati presso le Nazioni Unite, ci sono ormai un milione e 300 mila persone. Si può presumere che non tutti siano registrati e certamente gli sviluppi sul terreno in Iraq e in Siria fanno presagire che questo numero potrebbe ancora aumentare. Naturalmente, questo ha ripercussioni enormi e quasi insostenibili in un piccolo Paese di 10.500 chilometri quadrati, con una popolazione di circa quattro milioni di abitanti: questo significa quasi un quarto della popolazione – anzi di più! – con problemi di alloggio, con problemi di lavoro, con problemi che riguardano la salute, con problemi per i ragazzi della scuola, e anche con problemi di sicurezza, perché tra le tante persone che arrivano – diseredate, povere, in cerca di un po’ di pace – si possono infiltrare facilmente anche persone che hanno altri scopi. Per di più, nell’ultimo mese, alla frontiera abbiamo visto anche azioni di aggressione all’esercito libanese e attualmente ancora ci sono soldati libanesi ostaggio di questi gruppi. Quindi, la situazione è certamente segnata da una instabilità e la presenza dei rifugiati e la necessità di andare loro incontro da un punto di vista umanitario non può essere lasciata alle sole forze del Libano: occorre un sostegno internazionale.

D. – Abbiamo visto una coalizione internazionale intervenire in Siria e in Iraq …

R. – Quello che ha suscitato lo stupore e la meraviglia, ma anche la rabbia, sono stati gli atti disumani e le barbarie commesse in Iraq. Questo ha ricordato alla comunità internazionale la necessità di fermare un aggressore. Ora, la Santa Sede ribadisce che c’è una comunità che ha questa responsabilità e ci sono dei meccanismi previsti anche dalle Nazioni Unite. Si auspica che la buona volontà manifestata da molti, di disarmare e di fermare queste entità terroristiche ed extra-statali o sopra-statali, possa trovare un consenso attraverso i meccanismi già previsti dalle Nazioni Unite, in modo che sia una risposta globale, umanitaria e che non significhi, invece, un’ulteriore scissione, un’ulteriore divisione all’interno di interessi e di campi politici.

D. – Sembra tanto tempo fa, il viaggio di Benedetto XVI in Libano, quando portò l’Esortazione Apostolica per la conclusione del Sinodo per il Medio Oriente. Quanto è cambiato in Libano, da quel momento?

R. – Direi che molte cose sono cambiate, e per il peggio, nella regione, però il Libano alla fine rimane ancora l’unico esempio per uscire da questa situazione caotica. In realtà, che cosa si domanda in Iraq? Si domanda che ci sia un governo capace di coinvolgere tutte le realtà e le comunità presenti sul territorio. Che cosa si domanda in Siria? La stessa cosa: che ci sia una compartecipazione nella gestione, nell’amministrazione dello Stato e del potere da parte di tutte le componenti, non una che prevalga sull’altra. Ora, in Libano questo avviene e in questo senso il Libano rimane un messaggio e anche un punto di ispirazione, perché in fondo tutti stanno cercando una soluzione che vada in questa direzione. Per cui, io direi che il Libano – benché piccolo – ha una sua funzione profetica e anche, in un certo senso, dà la speranza che questo desiderato accordo e questa vita insieme non solo saranno possibili, in futuro, ma già sono di fatto possibili ed esistono, una realtà del Medio Oriente che è – appunto – il Libano.

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In un libro le interviste al Papa, il racconto di Giansoldati e Tornielli

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La Libreria Editrice Vaticana (Lev) ha pubblicato il volume “Interviste e conversazioni con i giornalisti”, che raccoglie in ordine cronologico tutte le interviste rilasciate da Francesco. Il volume è a cura del direttore della Lev, don Giuseppe Costa. Nel servizio di Alessandro Gisotti, il commento di due “intervistatori del Papa”, Franca Giansoldati del “Messaggero” e Andrea Tornielli de “La Stampa”: 

Sono passati 50 anni da quando Alberto Cavallari intervistò Paolo VI per il Corriere della Sera, la prima volta di un'intervista a un Vescovo di Roma. Da allora i Pontefici non si sono sottratti a questa modalità di comunicazione che è diventata sempre più importante per capire l’uomo oltre il Papa. “Con l’avvento di Papa Francesco – rileva don Costa – è subito apparso ai giornalisti (e non) che l’intervista potesse essere il genere a lui più congeniale”. Un pensiero che trova conferma nella testimonianza di Franca Giansoldati, vaticanista del Messaggero:

R. – Quel pomeriggio, credo che lo ricorderò a lungo perché sono entrata a Santa Marta con una scaletta di domande precise, che riguardavano soprattutto Roma perché era stato concordato che al centro dell’intervista ci fosse il rapporto di Papa Bergoglio con la città di Roma. Quindi, non dimenticherò quel pomeriggio perché praticamente tutto l’impianto che avevo in testa è saltato in cinque minuti: infatti, già dalla prima domanda Bergoglio mi ha spiazzato perché ha detto candidamente che con la città di Roma non ha grande familiarità: “Guardi, io non conosco tanto Roma”, e a quel punto, è saltato subito l’impianto delle domande che avrei dovuto fargli ed è diventata una conversazione: una conversazione libera, una conversazione profonda. Non voglio mancare di rispetto, però sembrava una conversazione tra amici, perché ad un certo punto lui faceva le domande a me, io lo interrompevo … una cosa che non avrei mai dovuto fare, però lo interrompevo mentre lui mi parlava, magari per chiedergli meglio, o avere delle precisazioni su un concetto che stava illustrando …

D. – Si può dire che anche nelle interviste si vede come Francesco creda nella cultura dell’incontro? Cioè, non solo lui dà a chi ha come interlocutore, ma anche riceve?

R. – Il dono di questo Papa nell’incontro umano è un dono particolare, che è quello dell’empatia: riesce ad entrare direttamente nell’altra persona, nell’interlocutore che ha davanti; riesce ad arrivare al nucleo delle persone come se ti conoscesse … cioè, mi sembrava veramente di parlare con una persona che conoscessi bene!

D. – Cosa ti ha colpito della sua modalità di comunicazione?

R. – In questi giorni, al Sinodo, lui ha detto ai Padri sinodali di seguire la parresia: è proprio la schiettezza, la franchezza, il parlare senza orpelli … Per esempio, non vergognarsi nel dire: “Io non conosco Roma”: non è semplice per un Papa ammettere di non avere familiarità con una città per la quale lui ha un ruolo istituzionale così importante. Insomma, la franchezza, l’immediatezza, la spontaneità.

E sulla spontaneità di Francesco che rompe gli schemi si sofferma anche il vaticanista de La Stampa, Andrea Tornielli, che conosce Jorge Mario Bergoglio dagli anni in cui era arcivescovo di Buenos Aires:

R. – Era la prima volta che, non soltanto intervistavo a tu per tu, lungamente, - perché l’intervista è durata un’ora e mezza – un Papa, ma era anche la prima volta che avevo l’occasione di pranzare a tu per tu con un Papa. Era, dunque, un insieme di prime volte. Devo dire che, al di là delle emozioni e delle preoccupazioni iniziali, come avere almeno due registratori, perché con un Papa non si dovrebbe ricostruire a memoria... poi è cambiato tutto e c’è stata come sempre la sua semplicità, la sua spontaneità, che era quella che peraltro io avevo conosciuto, intervistandolo quand’era cardinale. Un attimo dopo che ci siamo seduti, quindi, mi ha messo totalmente a mio agio, anche se si trattava di fare domande, che entravano sia nel cuore di temi importanti per la fede, ma che riguardavano anche l’ecumenismo o le riforme della Curia, temi dibattuti e di attualità.

D. – Da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio concedeva poche interviste, non aveva un rapporto – come dire – continuativo con la stampa. Vediamo invece un Papa Francesco a suo agio da subito, un "grande comunicatore" come si diceva di Giovanni Paolo II. Che cosa è cambiato?

R. – Certo, questo è un dato di fatto che si vede. Io credo che l’essere eletti alla sede episcopale di Roma, evidentemente porta anche uno stato di grazia. Non so come definirlo diversamente. Certo è avvenuto un cambiamento: questa capacità, infatti, di comunicare e anche – cosa che colpisce – la capacità di unire sempre gesto e parola. Credo questo sia ciò che la gente capisce. Le persone ascoltano molto volentieri la novità più straordinaria del Pontificato che, secondo me, sono le omelie mattutine a Santa Marta, e vedono lui, seguono i suoi gesti e percepiscono di essere di fronte ad un testimone autentico del Vangelo, prima dai gesti che dalle parole. E la parola è sempre, mi sembra, semplice, efficace, diretta, ma altrettanto profonda e, quando si leggono tutte insieme le omelie di Santa Marta, si vede anche profondamente radicata nel Vangelo.

D. – Che spazio hanno nel magistero di Papa Francesco queste interviste?

R. – Sono l’occasione per far passare qui e là in ogni risposta uno sguardo sulla realtà, sulla vita della Chiesa e sul Vangelo che, talvolta, spiazza e che mette in discussione anche certi schemi sempre prefissati che ci facciamo. Credo, dunque, che in questo senso certamente non possiamo chiamarle “magistero”, ma emerge anche in quelle, anche nelle risposte, uno sguardo interessante sulla realtà, che ci fa capire meglio sia il Papa sia come intende, vive e testimonia il Vangelo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, “Risposta sbagliata”; la Banca mondiale denuncia il fallimento della comunità internazionale di fronte all’Ebola. Nella sola Sierra Leone si registrano ormai trenta vittime al giorno. Di spalla, “Situazioni pastorali difficili all’esame del Sinodo dei vescovi".

“La battaglia di Kobane accende le tensioni in Turchia”; è stato rilasciato il sacerdote francescano sequestrato nel Nord della Siria.

Nelle pagine della Cultura, “Il volto del dolore; settecento anni di scultura nella Renania centro-orientale” di Gabriele von Trauchburg, “Microcosmo collettivo; la più antica rappresentazione della famiglia cristiana” di Fabrizio Bisconti, “Tre vite, una sola morte” sull'opera di Gershom Scholem, a firma di Anna Foa, “La ricchezza dei cuori ribelli” di Sabino Caronia, una carrellata attraverso i romanzi del gesuita Giovanni Giorgianni, e “L’arte della memoria di Patrick Modiano”, sul neo-Nobel per la letteratura.

A pagina 7, “In Nigeria non c’è pace per i cristiani” negli ultimi due mesi distrutte 185 chiese nella diocesi di Maiduguri.

Nell'ultima pagina del giornale “Il di più di Dio”; «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto». Sollecitato dal brano liturgico del Vangelo di Luca (11, 9-10), nella Messa celebrata a Santa Marta giovedì mattina, 9 ottobre, Papa Francesco è tornato a meditare sul tema della preghiera, soffermandosi sulla condizione dell’uomo che chiede e sull’amore di Dio che risponde e dona in sovrabbondanza.

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Oggi in Primo Piano



Siria: libertà vigilata per padre Hanna, parroco di Knayeh

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Dal Nord della Siria, dove imperversa lo scontro tra milizie curde jihadisti dello Stato Islamico per la città di Kobane, stamani la notizia della “libertà vigilata” per il sacerdote francescano, padre Hanna Jallouf, e per alcuni dei 20 suoi parrocchiani sequestrati alcuni giorni fa da miliziani islamici. Ci aggiorna Giancarlo La Vella

“Non è stato del tutto liberato. In attesa di processo, nel frattempo, può stare nel suo villaggio”.

Queste le parole del Custode francescano di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa. Hanna Jallouf, parroco di Knayeh, villaggio cristiano nella Valle dell’Oronte, era stato prelevato, con una ventina di suoi parrocchiani, nella notte tra il 5 e 6 ottobre da miliziani del movimento di Al Nusra. Ora, potrà stare nel suo villaggio, senza però allontanarsi, in attesa del processo a cui lo sottoporrà il Tribunale islamico. Il prete aveva in passato denunciato le vessazioni subite dai jihadisti. Intanto, sul terreno lo Stato Islamico controllerebbe ora già più di un terzo della città di Kobane. Anche stamani cruenti combattimenti tra jihadisti e miliziani curdi. Scarso, dunque, l’effetto dei raid della coalizione contro l’Is, tanto che il Pentagono stesso ha fatto sapere che le operazioni aeree forse non eviteranno la caduta di Kobane. Dalla sua, la Turchia - il cui esercito rimane schierato a poche centinaia di metri dalla città - fa sapere che è impensabile che Ankara intervenga da sola con truppe di terra nella regione siriano. Ieri nuove dure manifestazioni filocurde in Turchia con 21 morti: decretato il coprifuoco in tutto il Sudest del Paese. La situazione sempre più difficile soprattutto per le minoranze, quella cristiana in particolare. Ne parliamo con l’on. Mario Marazziti, presidente del Comitato Permanente sui Diritti Umani della Camera dei Deputati:

R. - Qualcosa da fare subito? Intanto decidere che questo è un qualcosa che ci riguarda! Noi abbiamo avuto il padre Hanna, attraverso di lui, con la Comunità di Sant’Egidio e i francescani, aiutavamo la popolazione civile: adesso è stato liberato, ma questo denota una situazione che è drammatica! Non c’è solo padre Dall’oglio, di cui non abbiamo notizie: abbiamo due vescovi di Aleppo, abbiamo intere comunità fuggite dalla Piana di Ninive, adesso rifugiate nella zona curda. Per questi c’è un grande bisogno di aiuto umanitario immediato. C’è poi il problema di bloccare almeno la compravendita del petrolio da parte del cosiddetto Califfato, perché evidentemente controllano dei pozzi, ma se non li vendi a nessuno quei pozzi non sono nulla. Bisogna che la coalizione internazionale cominci a funzionare, perché ci sono Paesi anche del mondo arabo e islamico - penso alla Turchia - che devono dare segni importanti di stare dalla parte della vita civile e non dell’oppressione della vita.

D. - Neutralizzare il sedicente Stato Islamico vuol dire risolvere la situazione o c’è qualcos’altro ancora da affrontare?

R. - No! Qui ci sono errori decennali, ventennali: praticamente abbiamo assistito alla distruzione dell’Iraq, quando si voleva aiutare - con l’esportazione della democrazia - la fine di una dittatura; abbiamo assistito alla distruzione della Libia, quando - in maniera ingenua o sconsiderata - per combattere Gheddafi si è lasciato che un intero Paese implodesse. E la Siria, in realtà, non ha visto una sorta migliore: oggi abbiamo sei milioni di profughi interni; tre milioni di profughi all’estero; e anche 200 mila morti. Tutto questo per contrastare un Paese autoritario, ma armando gruppi laici e poi piano piano sempre più radicali, dal punto di vista dell’ideologia. Quindi la scelta di armare, per contrastare il regime di Assad, è una scelta che mi pare - nei fatti - sia da considerare completamente sbagliata! Oggi si tratta di provare a chiudere lo scontro con i gruppi armati, quindi a costruire delle “zone liberate”, attorno alle quali si può creare un accordo tra Comunità internazionale, governo di Assad e una parte dei combattimenti, isolando progressivamente la parte irriducibile a un dialogo e direi che questa si chiama Isis e al-Nusra.

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Save the children: 6,3 milioni di bambini non arrivano a 5 anni

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Riparte la campagna Every One, lanciata anche in Italia dall’organizzazione umanitaria Save the Children, perché ognuno possa contribuire a salvare - con un'offerta o un sms solidale - oltre 6 milioni di bambini, che ogni anno muoiono nel mondo per cause prevenibili, come documenta il Rapporto “Nati per morire” pubblicato oggi. La raccolta fondi proseguirà per un mese nelle piazze di Milano, Roma e Bari. Roberta Gisotti ha intervistato il direttore generale di Save the Children- Italia, Valerio Neri: 

6 milioni e 300 mila bambini non arrivano ai 5 anni, fra questi 2 milioni e 800 mila neonati non festeggiano neanche un compleanno. In fondo alla lista nera sono Somalia, Ciad, Niger, Centrafrica, Eritrea, Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso, Tanzania e Mozambico. Tutti Paesi africani, ma nella sola India muoiono circa un milione di bimbi l’anno. E le cause sono malattie facilmente curabili come la diarrea, o la mancanza di cibo o il freddo. E poi c’è la nuova emergenza di Ebola in Liberia, Guinea e Sierra Leone dove a rischio di contagio sono 2 milioni mezzo di bambini.

D. - Valerio Neri, quali sono  gli obiettivi della campagna Every One, avviata già nel 2009, e quali risultati avete raggiunto?

R. – Quando abbiamo cominciato, moriva un bambino ogni tre secondi – immaginate di contare uno, due, tre – oggi muore un bambino ogni cinque secondi! Voglio dire, è sempre uno scandalo, ma è un miglioramento reale. Ed il successo, lo voglio dire chiaro, dipende anche da tutti noi, perché vanno bene i grandi governi, ma molti fondi che noi andiamo a spendere in questi Paesi, dipendono dalla gente normale, come immagino lei che mi intervista, come immagino le persone che ci stanno sentendo. Bastano due euro per comprare alcuni vaccini; bastano due euro per comprare una siringa, un anti diarroico o dei sali minerali. Anzi, costano assai meno: una pillola antimalarica costa 0.25 centesimi. Quindi, noi lanciamo la campagna di raccolta fondi e chiediamo anche un sms al 45508. Sono solo due euro, ma vi assicuro che, nei Paesi dove stiamo andando a lavorare, fanno la differenza fra la vita e la morte.

D. – Come sta operando Save the Children nei Paesi più colpiti da questo problema di mortalità infantile?

R. – Prepariamo operatori sanitari e li mandiamo con mezzi molto semplici - a volte la bicicletta è un po’ il simbolo di queste persone - nei Paesi anche più remoti dell’Africa e dell’Asia, in cui lavoriamo, per raggiungere i villaggi e aiutare le madri a sapere quelle poche cose, che già sapendole costituiscono il salvavita per i loro figli. Per esempio, l’allattamento al seno, che va comunque protratto per sei mesi. Non vanno date altre sostanze al bambino, che magari va portato anche appresso con il marsupio nei campi, e non lasciato alla nonna o alla sorella, che inevitabilmente dopo i primi mesi gli farebbero una pappetta con miglio ed altre sostanze locali e con acqua, però, non perfettamente pulita, e questo svilupperebbe una diarrea, una dissenteria che potrebbe provocare la morte. Save the children porta, quindi, con gli operatori sanitari molta informazione di igiene di base e poi anche poche, chiare indicazioni, per assistere al parto in maniera efficace. A volte i bambini nascono con una piccola difficoltà respiratoria e va fatta subito una semplice operazione manuale, con un piccolo strumento. Non ci vuole un neurochirurgo per fare una cosa così, basterebbe una persona qualsiasi, purché sapesse cosa fare. Fare questo anche nei villaggi più remoti salva molti, molti bambini. Immaginate che un milione di bambini muore il primo giorno di vita.

D. – In quanti Paesi riuscite a portare la vostra opera di educazione e di assistenza?

R. – Dobbiamo concentrarci nei Paesi più poveri. Questa campagna si rivolge particolarmente ad una ventina di Paesi, ovviamente, come lei ricordava, moltissimi della fascia sub-sahariana dell’Africa ma anche Paesi dell’America del Sud, oltre ad India, Vietnam e altri Paesi dell’Asia orientale e centrale.

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Yemen: i ribelli protestano, si dimette il premier

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Il primo ministro dello Yemen, Ahmed Awad ben Mubarak, nominato martedì scorso, si è dimesso a causa delle forti proteste degli sciiti Houti. La missione di formare un governo di transizione gli era stata affidata dal presidente Hadi in base ad un accordo di cessate il fuoco voluto dall’Onu. I ribelli hanno subito contestato la nomina ritenendola non rappresentativa della volontà popolare. Mubarak ha dichiarato di aver rinunciato per preservare l’unità nazionale. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Massimo Campanini, docente si Storia dei Paesi Islamici all’università di Trento: 

R. - Questo tipo di dimissioni dimostra i rischi che lo Yemen corre, per quanto riguarda la sua stabilità interna. Quindi, evidentemente, il governo, nel caso specifico il primo ministro, si è reso conto che la sua possibilità di poter gestire il Paese, di poter gestire la politica, erano messi in grave pericolo. E’ evidente che ci sia il rischio di un’infiltrazione di persone, di forze - tipo al Qaeda o Is - che possano cercare di approfittare di questa debolezza.

D. - Intanto, continuano gli scontri. Un attentato ha fatto almeno 20 morti nella capitale, mentre i miliziani sunniti hanno affermato di aver giustiziato 14 soldati, accusati di essere apostati. Si fa sempre più lontana una tregua, nonostante il cessate-il-fuoco voluto dall’Onu?

R. - E’ evidente che la debolezza del governo, dimostrata dalle dimissioni del primo ministro, non sarà certamente in grado di tenere sotto controllo delle schegge più o meno impazzite delle varie fazioni, che si combattono in Yemen, come del resto anche in Libia. Da questo punto di vista, infatti, la situazione yemenita e la situazione libica hanno degli aspetti di analogia.

D. - I ribelli hanno contestato la nomina del primo ministro, ritenendola un’imposizione voluta da Stati Uniti e Arabia Saudita. Che influenza hanno Paesi terzi nella politica dello Yemen?

R. - Le influenze e i condizionamenti internazionali sono molto importanti, anche se non è detto che abbiano la possibilità di dirigere o di controllare le forze centrifughe, soprattutto per quanto riguarda, per esempio, questa autonomia tribale religiosa degli zaiditi nei confronti della maggioranza sunnita.

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Messico: in migliaia in piazza per i 43 studenti scomparsi

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In Messico non cala la tensione dopo le proteste dei giorni scorsi. Migliaia di persone hanno manifestato in diverse città per chiedere alle autorità di ritrovare i 43 studenti scomparsi, il 26 settembre scorso, dopo scontri con la polizia supportata da membri del crimine organizzato, nella città meridionale di Iguala, nello stato di Guerrero. Ritrovati finora almeno 28 corpi, in tre fosse comuni, ma per capire di chi si tratta bisognerà attendere il risultato dei test del DNA. Finora ventidue poliziotti sono stati arrestati. Il vescovo di La Paz, mons. Miguel Ángel Alba Díaz, denuncia comunque il silenzio delle autorità in contesto di corruzione. Massimiliano Menichetti ha intervistato Enza Roberta Petrillo, esperta dell'area e coautrice del libro "Narconomix", edito da Lantana: 

R. – Queste violenze si stanno svolgendo in un contesto che coincide con una profonda trasformazione istituzionale del Messico, ovviamente, seguita all’uscita di scena dell’ex presidente Calderón; e a una connessa profonda trasformazione degli organigramma interni dei clan criminali che operano prevalentemente nel narcotraffico, attualmente anche nei rapimenti e nel traffico di esseri umani. L’attuale presidente Nieto ha detto, a inizio del suo mandato, che il Messico avrebbe mostrato un volto nuovo nella gestione di queste organizzazioni criminali e ha usato un termine abbastanza avvincente, quello dell’“agopuntura sociale”. In realtà, quello che manca  è un piano complessivo che vada a toccare in particolate le zone delle aree rurali, rispetto alle quali il presidente Nieto aveva promesso la creazione di una sorta di nuova polizia federale, volta a gestire i clan che andavano emergendo.

D. – Quindi, chi c’è dietro queste violenze?

R. – C’è dietro lo sfaldamento del clan del cartello dei Fratelli Leyva che è stato, praticamente, soppiantato dal gruppo criminale dei Guerrieri Uniti. I Guerrieri Uniti sono assolutamente in evoluzione come fisionomia criminale e, va detto anche, che hanno profondi legami con gli attori istituzionali che operano nelle aree rurali; infatti, sappiamo che il sindaco della città in cui è avvenuto l’eccidio si è dato alla macchia, proprio perché sapeva che sarebbe stato, di lì a poco, messo in relazione con la strage.

D. – La polizia federale ha arrestato 22 agenti proprio a Iguala; ma che legame c’è tra la polizia e i narcotrafficanti?

R. – Fondamentalmente c’è un legame di contiguità, che non è soltanto di tipo economico ma è anche di tipo culturale: sono aree dove lo Stato non c’è e, quindi, di fatto l’antistato si è fatto Stato.

D. – Ma gli studenti, in maggioranza indigeni – lo ricordiamo – sono tornati in piazza contro il governo. In questo contesto che valore hanno la manifestazioni?

R. – Acquisiscono il volto di uno scontro frontale. E questo non è né il primo e non sarà, probabilmente, l’ultimo caso di eccidi commessi in manifestazioni studentesche.

D. – Il Messico, essendo federale, vede questo fenomeno non in tutto il suo territorio, ma soltanto in alcune zone particolari…

R. – Sì, assolutamente. In questo momento le aree sotto i riflettori sono le zone al confine con gli Stati Uniti, dove comunque la guerra dei narcotrafficanti continua e – insisto – nelle zone rurali, che rappresentano poi una specificità nella specificità, perché sono zone in cui ci sono contese molto aspre per la gestione dei territori; ci sono persone legate al ruolo giocato dai contadini e così via… Va detto che comunque per ora, è vero che l’attuale governo si è molto vantato del fatto che - per la prima volta dopo anni - gli omicidi legati al traffico di droga sembravano essere scesi sotto i mille al mese, che resta una cifra enorme, però, nel contesto messicano è comunque una riduzione rispetto agli standard raggiunti durante il mandato Calderón. Però, va detto anche che questo è un successo episodico, non indica una strategia complessiva per fare uscire il Paese da questa situazione di profonda disgregazione, sia istituzionale, sia sociale, sia economica.

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Napoli, seviziato perché obeso. P. Russolillo: degrado e abbandono

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Gravissimo atto di bullismo a Napoli, nel quartiere di Pianura: un quattoridicenne è stato brutalmente seviziato, perché obeso, con una pistola ad aria compressa. Un giovane 24.enne è stato arrestato e due suoi coetanei sono stati denunciati per concorso in tentato omicidio. Il ragazzo di 14 anni, in pericolo di vita, è ricoverato in condizioni gravissime all’ospedale “San Paolo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Ennesimo, inaudito caso di violenza su un minore. Tre giovani 24.enni hanno preso in giro un ragazzino di 14 anni perché grasso. Poi le ingiustificabili offese sono sfociate in brutale violenza. Agghiacciante la dinamica dei fatti, ricavata dalla testimonianza della vittima. Su questo drammatico episodio, reso noto oggi ma verificatosi martedì scorso in un autolavaggio, ascoltiamo il commento di padre Salvatore Russolillo, parroco per molti anni della Chiesa Santa Famiglia, nel quartiere di Pianura:

R. – Io sono sconcertato, allibito di fronte a questi episodi, che però - devo riconoscere – non sono rari qui a Pianura. C’è, infatti, una situazione di degrado, di abbandono, soprattutto per quanto riguarda il mondo giovanile degli adolescenti, dei giovani: non ci sono opportunità di lavoro, non ci sono luoghi di aggregazione. E’ un quartiere, insomma, veramente abbandonato. Noi, come parrocchia, anche su questo fronte, ci siamo impegnati in questi anni e siamo stati pregati, interpellati dai giudici minorili, dagli assistenti sociali, dalle famiglie coinvolte in queste situazioni. I ragazzi qualche volta si macchiavano di reati, non avendo altre strutture di accoglienza, per il cosiddetto periodo di “messa alla prova”. In alternativa al carcere minorile, agli istituti di rieducazione, noi li abbiamo accolti nelle strutture della parrocchia. E sono stati tanti i casi che noi abbiamo seguito in questi anni. Ripeto, però, che io non mi meraviglio di sentire queste cose.

D. – Il territorio è vasto, quali le criticità del quartiere di Pianura?

R. – E’ un quartiere grande. In pratica, conta intorno ai 100 mila abitanti. Ci sono molti ragazzi, che non vengono seguiti per niente dalle famiglie - a cominciare da ragazzini preadolescenti - che vengono abbandonati a se stessi. Questa è la situazione; il contesto è questo: un contesto di abbandono, di degrado e di privazioni da qualsiasi opportunità, per il mondo dei ragazzi, dei giovani. Siamo rimasti solo noi preti a combattere queste situazioni, a lottare per queste situazioni.

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Sinodo. A Roma, le reliquie di Santa Teresina e dei suoi genitori

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I lavori dei Padri sinodali sono accompagnati dalla preghiera del popolo di Dio e in particolare dalle famiglie. A dare forza a questa preghiera al Sinodo è anche la presenza a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, delle reliquie dei Beati coniugi Zélie e Louis Martin e della loro figlia Santa Teresa del Bambino Gesù, universalmente nota come Santa Teresina. Su come sia nata questa idea, Adélaïde Patrignani ha intervistato padre Olivier Ruffray, rettore del Santuario di Lisieux, anch’egli a Roma in questi giorni: 

R. – Cette année nous avons invité, pour la fête des bienheureux Louis et Zélie …
Quest’anno, in occasione della festa dei Beati Louis e Zélie Martin, il 12 e 13 luglio, abbiamo invitato il cardinale Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi; tra Alençon – dove Santa Teresa è nata e dove la famiglia Martin ha abitato – e Lisieux, dove Teresa è conosciuta da tutti, sulla strada che ci portava da Alençon a Lisieux abbiamo parlato della possibilità di accogliere a Roma, per la durata del Sinodo, le reliquie di Louis e di Zélie Martin. Ci era parso di capire che il cardinale Baldisseri desiderasse che fossero presenti anche le reliquie di Santa Teresa, a rappresentare un segno importante per le famiglie di oggi, per tutte le famiglie.

D. – Louis e Zélie Martin sono ancora un esempio per i genitori di oggi?

R. – Chacun pourrait penser qu’il ne sont pas un modèle parce-que ils vivent au …
Si potrebbe pensare di no, che non possono essere d’esempio perché hanno vissuto nel XIX secolo; ciò nonostante, hanno vissuto quello che tutti desiderano sperimentare anche oggi. Il loro desiderio era amare Dio e amarsi tra di loro, nella loro vita di coppia e amare nella loro vita di famiglia, amare attraverso i diversi impegni nella società. Poi, quando il signor Martin è arrivato a Lisieux e ha iniziato il suo impegno a favore dei più poveri, anche qui il loro desiderio è stato sempre quello di amare. E l’amore attraversa il tempo e, in questo senso, non ha limiti …

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Forum Greenaccord su agricoltura e salvaguardia del Creato

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Un’agricoltura più attenta, di qualità, dove si dia precedenza alla filiera corta, alle biodiversità e alla tutela delle specificità territoriali. E’ dedicata alla cura della terra la seconda giornata del Forum internazionale dell’informazione e della salvaguardia del Creato promosso dall’associazione Greenaccord, in corso a Napoli. Il servizio di Marina Tomarro

La crescita della domanda di prodotti agricoli da qui al 2050 aumenterà fino al 60% con conseguenze pericolose per l’intero ecosistema terrestre. E’ questo l’allarme lanciato da Gary Gardner, direttore presso il World Watch Istitute di Washington al forum di Greenaccord. E a questa situazione molto precaria si va ad affiancare il problema della sottoalimentazione, che secondo la Fao tocca oltre 800 milioni di persone nel mondo. Il commento di Adriana Opromolla della Caritas Internationalis:

R. – Come Caritas Internationalis, intanto abbiamo una forte azione di mobilitazione, di sensibilizzazione del pubblico in generale: mobilitazione alla responsabilità, prima di tutto, sulle nostre scelte individuali di consumo che hanno un impatto sull’ambiente, sui Paesi n cui si producono le risorse alimentari che consumiamo; in secondo luogo, abbiamo anche messo in atto una serie di attività di influenza politica, perché occorre ribadire l’impegno politico dei governi ad affrontare la sfida della fame.

E una delle soluzioni per il problema della fame potrebbe essere anche quello di utilizzare maggiormente le risorse offerte dalla natura. Infatti, attualmente il 75% del bisogno alimentare mondiale si basa solo su 12 tipi di raccolti agricoli, mentre sarebbero almeno 7000 le specie vegetali che potrebbero essere utilizzate dall’uomo. Il commento dello scienziato Stefano Padulosi, dell’Istituto di ricerca internazionale per la biodiversità in agricoltura:

R. – L’origine di questo restringimento molto forte va ricercato evidentemente nella rivoluzione verde, che ha concentrato la ricerca del miglioramento genetico su alcune colture di base come grano, riso, mais, patate eccetera. Questo ha portato a investire su poche colture. Se da una parte riconosciamo il contributo eccezionale della rivoluzione verde, che ha sottratto alla fame e alla povertà milioni di persone nel mondo, dall’altra parte siamo anche consapevoli che questo ha ristretto il portafoglio di risorse che è molto importante per la sostenibilità dei nostri sistemi agricoli e alimentari.

Ma perché è importante la biodiversità in agricoltura? Ancora Stefano Padulosi:

R. – Vorrei dare due esempi: uno è un esempio legato alla grande devastazione che avvenne alla fine dell’Ottocento, che interessò la coltivazione di patate in Irlanda. I contadini irlandesi utilizzavano una sola varietà, e quindi il fungo che attaccò questa varietà rimase per decenni in Irlanda, nei campi coltivati e quindi ridusse drammaticamente la coltivazione di patate: molte persone morirono di fame e di stenti e questo fu all’origine della grande emigrazione di irlandesi verso gli Stati Uniti. L’altro, è un paragone che vorrei fare con quello che accade in banca. Abbiamo dei risparmi e vorremmo investirli e il nostro consigliere in banca ci dirà sempre di diversificare il nostro portafoglio degli investimenti. Funziona esattamente così anche per le colture: più sono le colture che utilizziamo, su cui investiamo e maggiore sarà la sostenibilità del sistema.

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa. Corte Suprema respinge ricorsi contro nozze gay. Vescovi delusi

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Profonda “delusione” e “sorpresa”. I vescovi degli Stati Uniti accolgono così il pronunciamento della Corte Suprema che il 6 ottobre ha deciso di respingere l’appello presentato dagli Stati di Indiana, Utah, Oklahoma, Virginia, Wisconsin contro la ridefinizione legale del matrimonio.

Il caso era stato portato all’attenzione dei giudici supremi dai cinque Stati che volevano mantenere la definizione del matrimonio tradizionale contro le sentenze di alcuni tribunali locali, nonostante la stessa Corte, nel 2013, avesse dichiarato incostituzionale la legge federale che definiva il matrimonio quale “unione tra un uomo e una donna”.

Anche se formalmente neutra - non si tratta infatti di una sentenza a favore o contro, ma di un semplice rifiuto di occuparsi della questione – la decisione fissa un precedente che potrebbe aprire ai matrimoni omosessuali in almeno 30 Stati americani, più il District of Columbia.

Di qui il duro giudizio dei vescovi espresso in una nota da mons. Salvatore Cordileone, presidente della Commissione per i laici, il matrimonio, la famiglia della Conferenza episcopale: “Milioni di americani avevano guardato alla Corte con la speranza che queste sentenze ingiuste potessero essere ribaltate e invece il pronunciamento odierno dà loro il via libera e mette a rischio le leggi sul matrimonio in altri sei Stati”, afferma il presule, ricordando come tali leggi siano state introdotte democraticamente.

“Il matrimonio è e può solo essere tra un uomo e una donna: una relazione unica in cui lo Stato ha un interesse diretto”, ribadisce quindi la nota, “Il matrimonio dovrebbe essere rafforzato, non ridefinito”.

Attualmente sono 19 gli Stati dell’Unione in cui i matrimoni omosessuali sono legali. Il primo a legalizzare le unioni gay fu nel 2004 il Massachusetts. (A cura di Lisa Zengarini)

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Centrafrica: disordini a Bangui. Presidente sotto attacco

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Colpi d’arma pesante si sono fatti sentire ieri nei quartieri del Pk4 e Pk5 a Bangui, mentre era in corso una manifestazione davanti alla sede della Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite in Centrafrica (Miunsuca). A margine della protesta organizzata per denunciare il linciaggio di un giovane musulmano nel quartiere di Gobongo (quarta circoscrizione), avvenuto martedì - riferisce l'agenzia Misna - gruppi di manifestanti hanno saccheggiato e distrutto diversi negozi.

Il corteo è stato disperso dai Caschi blu con gas lacrimogeni. Inoltre sempre nella capitale uno sciopero indetto dai conducenti di taxi, dopo l’uccisione di un loro collega, sta paralizzando il traffico. Anche la scorsa settimana la capitale è stata teatro di aggressioni a mano armata, tentati furti e scontri violenti al Km5, a maggioranza musulmana. L’ondata di disordini è stata attribuita da alcune fonti a “comuni criminali” e da altre a “esponenti delle milizie Anti-Balaka”.

Il riaccendersi delle violenze a Bangui coincide con un momento politico di rinnovate tensioni e incertezze. In teoria è scaduto ieri sera l’ultimatum lanciato dal leader di un’alla delle milizie Anti-Balaka, Pierre Edouard Ngaissona, che quattro giorni fa ha chiesto le dimissioni del Presidente Catherine Samba-Panza e del primo ministro Mahamat Kamoun. Ai due dirigenti della transizione viene rimproverato “il perdurare della situazione caotica”, “il mancato rilascio di alcuni prigionieri Anti-Balaka” e una “gestione errata degli aiuti esterni”.

Complicando ulteriormente uno scenario politico già difficile, Ngaissona ha dato 72 ore di tempo ai due ministri Anti-Balaka per ritirarsi dal governo prima di “essere considerati nemici del popolo”. Elezioni generali in agenda per il prossimo febbraio sono destinate a slittare, prolungando ulteriormente la transizione iniziata dopo il colpo di stato del 2013.

Intanto la Samba-Panza continua ad essere al centro di sospetti e accuse di corruzione nella gestione di 10 milioni di dollari di aiuti sbloccati dal Presidente dell’Angola Eduardo dos Santos. Di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, la Presidente di transizione ha respinto ogni addebito, sottolineando che i fondi angolani “vengono utilizzati per garantire la sicurezza del Paese e difendere la nostra linea politica”.

D’altra parte l’Alto consiglio della comunicazione di transizione (Hcct), istituito un mese fa, ha sospeso due quotidiani locali – Transparency e Libre Opinion – accusati di “istigazione all’odio e alla rivolta”. (R.P.)

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Filippine. Granata contro chiesa protestante: morti e feriti

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È di due fedeli morti e altri tre feriti il bilancio di un attacco bomba, avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri nel sud delle Filippine. Fonti della polizia riferiscono che due uomini a bordo di una motocicletta hanno lanciato una granata contro l'ingresso principale della chiesa della United Church of Christ nella cittadina di Pikit, nella provincia di North Cotabato, sull'isola meridionale di Mindanao.

Testimoni locali della cittadina di campagna nel sud - riferisce l'agenzia AsiaNews - raccontano che la comunità si trovava nel mezzo delle celebrazioni di preghiera, quando all'improvviso si è udita una forte esplosione. Al momento non si hanno rivendicazioni o notizie ufficiali in merito all'attacco; gli assalitori sono riusciti a fuggire e a far disperdere le loro tracce.

Le vittime sono una infermiera di 54 anni e un insegnante di 39, investiti dalle schegge liberate dalle granate e deceduti a causa delle gravi ferite riportate. Mautin Pangandigan, capo della polizia di Pikit, riferisce che l'ordigno è partito da un lanciagranate M203. Un altro insegnante e due uomini d'affari risultano feriti; sono stati ricoverati in ospedale, ma non vi sono ulteriori dettagli sulle loro condizioni.

Il pastore Jerry Sanchez ha spiegato che, al momento dell'attacco, all'interno della chiesa erano presenti almeno 40 fedeli. "Non abbiamo idea del perché sia successo - aggiunge il leader della comunità protestante locale - ma condanniamo quest'atto brutale con tutta la forza". Egli riferisce che la comunità è da tempo attiva nella promozione della pace nella regione.

In questi anni la provincia di Cotabato è stata oggetto di numerosi attacchi e attentati compiuti da bande criminali legate ai leader politici locali o dagli estremisti islamici di Abu Sayyaf e Moro Islamic Liberation Front (Milf). Spesso però questi atti rimangono senza colpevoli a causa del clima di impunità che caratterizza la regione di Mindanao a maggioranza musulmana e da oltre 40 anni teatro di guerra tra ribelli musulmani ed esercito.

Pikit, in particolare, è una nota base di bande criminali e combattenti legati a movimenti islamici estremisti.

L'accordo di pace fra Milf e Manila dovrebbe mettere fine alle violenze, ma gruppi estremisti antagonisti - come il Bangsamoro Islamic Freedom Fighters (Biff) e il Moro National Liberation Front (Mnlf) - hanno tentato a più riprese di ostacolarlo.

Negli ultimi giorni la polizia e le forze governative erano in stato di allerta, per le voci di possibili attacchi di gruppi contrari agli accordi di pace, ma non si esclude nemmeno la mano di clan e famiglie da tempo impegnate in faide sanguinose per il controllo del territorio. (R.P.)

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India: Gesuiti denunciano 600 attacchi contro le minoranze religiose

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Un forte appello al governo centrale e ai governi dei diversi stati indiani perché adottino “misure urgenti per porre fine alla campagna orchestrata e motivata da odio e violenza contro le minoranze religiose, che ha un impatto negativo sull’armonia sociale in molte città e villaggi, in numerose aree del Paese” è quanto chiedono i Gesuiti indiani riuniti nella rete “Jesa” (Jesuits in Social Action).

Il testo dell’appello inviato all'agenzia Fides ricorda che “il sostegno palese da parte dei leader politici a gruppi radicali ed estremisti indù ha innescato la violenza in molti luoghi. I mass-media hanno registrato oltre 600 casi di violenza contro le minoranze tra maggio e settembre del 2014” mentre i colpevoli restano impuniti.

“L’impunità – notano i Gesuiti indiani – incoraggia ulteriormente gli estremisti che agiscono al di fuori della legge”, mentre la società civile chiede da tempo alle massime autorità politiche di fermare “quanti creano disarmonia e polarizzano la società”. Oltre 30 associazioni che difendono i diritti umani hanno ribadito la richiesta di tutelare i diritti delle minoranze, soprattutto il diritto a vivere con dignità come cittadini dell'India, con pari dignità e nell’uguaglianza.

La situazione è diventata talmente critica, ricorda il testo inviato a Fides, che anche una giurista del calibro di Fali Nariman ha espresso apertamente la sua preoccupazione. “I primi 100 giorni del nuovo governo – dicono i Gesuiti – hanno visto un crescendo di discorsi di odio contro musulmani e cristiani. La loro identità viene derisa, la loro cittadinanza messa in discussione, la loro fede sbeffeggiata. Si moltiplicano coercizioni, divisioni e sospetti. Gli attacchi alle minoranze religiose hanno assunto proporzioni allarmanti: oltre 600 da maggio a settembre 2014, in varie parti del Paese”

I Gesuiti chiosano: “La campagna di odio, violenza e minacce ha sbalordito non solo le minoranze religiose, ma la società civile, giuristi e accademici, mentre il governo resta in silenzio. La comunità cristiana è stata bersaglio di violenze di massa in Uttar Pradesh, Madhya Pradesh e Chhattisgarh”, secondo un approccio che – denuncia l’appello – ha cambiato strategia: “Pochi morti, ma una violenza quotidiana a bassa intensità che sta diventando routine”. Per questo si chiedono “rapidi provvedimenti contro quanti creano tensioni nella società” e si invita il Miniserto degli Interni a “emanare una direttiva perché la polizia non si faccia condizionare dai gruppi estremisti”. (R.P.)

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Ebola: in Texas morto cittadino liberiano

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“Con profonda tristezza annunciamo il decesso di Thomas Eric Duncan” recita un comunicato dell’ospedale di Dallas, dove il cittadino liberiano malato di Ebola era stato ricoverato il mese scorso. Il suo - riferisce l'agenzia Misna - è stato il primo caso di febbre emorragica diagnostico fuori dal continente africano, epicentro di un’epidemia di Ebola che ha già causato più di 3.400 vittime in Guinea, Liberia e Sierra Leone dallo scorso febbraio.

Duncan, arrivato in Texas proveniente da Monrovia, sarebbe entrato in contatto ravvicinato da 12 a 18 persone, ma finora le autorità sanitarie americane ne hanno messe solo quattro in quarantena, tra cui due bambine. La Presidente liberiana Ellen Johnson Sirleaf si era detta “molto arrabbiata e triste” per il comportamento di Duncan, che “sapeva di essere stato esposto al virus e ha viaggiato verso gli Stati Uniti, mettendo a rischio altre vite”.

Da Monrovia, bollando il comportamento del liberiano di “imperdonabile”, la Sirleaf aveva annunciato che le autorità giudiziarie liberiane intendono aprire un procedimento giudiziario a carico del cittadino liberiano per “aver mentito al questionario sanitario”compilato in aeroporto.

Nelle ultime ore il livello di allerta si è alzato anche in Europa, dopo che in Spagna un’infermiera sia risultata positiva al test dell’ebola. Teresa Romero, 40 anni, aveva assistito due missionari spagnoli che avevano contratto il virus in Sierra Leone e Liberia, ma sono successivamente rimpatriati e deceduti a Madrid. La Romero è stata messa in quarantena col marito e altre tre persone, ma in tutto in Spagna 50 individui sono sotto stretta sorveglianza sanitaria.

Altro fronte critico dell’epidemia in queste ore è Freetown, dove a causa di uno sciopero degli addetti alla raccolta di vittime dell’Ebola (in tutto 600 persone suddivise in 12 squadre), per mancato pagamento dello stipendio, un numero imprecisato di corpi senza vita “viene lasciato nelle case e per le strade della capitale” ha riferito la Sierra Leone Broadcasting Corporation. Il ministro della Sanità Madina Rahman ha assicurato che “il contenzioso è già stato risolto”. (R.P.)

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Il Nobel per la letteratura al francese Patrick Modiano

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Il premio Nobel per la letteratura e' stato assegnato al romanziere francese Patrick Modiano, 69 anni, autore, tra l'altro, di L'orizzonte (Einaudi), Fiori di Rovina (Lantana) e Riduzione di Pena (Lantana), Dora Bruder (Guanda). 

Modiano - riferisce l'agenzia Asca - e' stato premiato per "l'arte della memoria attraverso la quale ha evocato destini umani piu' inafferabili e svelato il mondo dell'Occupazione" nazista in Francia. 

Figlio di un ebreo francese e di una fiamminga, allievo al liceo di Raymond Queanu, Modiano ha dedicato parte della sua narrativa alla ricostruzione della figura paterna che, tra mille ombre, da ebreo si ritrovo' a collaborare col regime di Vichy e gli occupanti nazisti. 

Il presidente dell'accademia svedese, Peter Englund ha detto alla televisione pubblica svedese che l'accademia dei Nobel non e' riuscito a raggiungere telefonicamente Modiano prima dell'annuncio del premio. 

Modiano succede alla scrittrice canadese Alice Munro, e vince 8 milioni di corone (878.000 euro). (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 282

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.