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Sommario del 11/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Genova. Papa telefona a Bagnasco. Il porporato: subito aiuti, gente ha perso tutto

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Papa Francesco ha telefonato oggi al cardinale Angelo Bagnasco che ha lasciato il Sinodo per recarsi nella sua diocesi, Genova, colpita nuovamente da una tragica alluvione che ha causato una vittima e ingenti danni. Ascoltiamo l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei raggiunto telefonicamente da Sergio Centofanti

R. – Eravamo per strada, con i miei collaboratori, e gentilmente il Papa si è informato della situazione. Lui era stato già informato - glielo avevo già detto ieri sera, prima di partire da Roma, dal Sinodo - e stamattina ha richiamato paternamente. Si è informato, ha assicurato la sua vicinanza, la sicurezza della preghiera e della sua benedizione. E’ stato molto caro.

D. – Quale situazione sta trovando lì a Genova?

R. – E’ una situazione drammatica. Si ripete quello che è già avvenuto nel 2011, ma in modo peggiore. In alcune zone, infatti, la situazione è molto più grave. C’è gente che ha perso tutto: gli esercizi commerciali, i piccoli artigianati. Hanno perso il lavoro, quindi, con la differenza, rispetto al 2011, che in parecchi hanno detto che non ce la faranno più e non hanno più, forse, nemmeno le forze di ricominciare, di risollevarsi. Ci vogliono degli aiuti, ho detto e ho ripetuto. Ci vogliono, da parte dello Stato e delle autorità, degli aiuti economici consistenti, adeguati alle diverse situazioni, e tempestivi, subito! Non si può aspettare, infatti, la burocrazia, la documentazione, che non finisce più e così via, che blocca tutto quanto. Nel 2011 nessuno ha ricevuto nulla! Hanno fatto dei mutui con le banche per poter ricominciare e ripristinare le attività lavorative. Devono ancora estinguere quei mutui e sono ritornati da capo! Questa è la situazione. Inaccettabile!

D. – Quali sono le sue speranze a questo punto?

R. – Le speranze sono che intanto la gente non si scoraggi, che non getti la spugna, non si arrenda. Ed io sono convinto e ho fiducia che non si arrenderà, perché i genovesi sono tenaci e, secondo, perché c’è una bellissima testimonianza di solidarietà, di volontariato, specialmente da parte dei giovani delle nostre parrocchie e delle altre associazioni. Ho quindi questa fiducia, anzi vorrei dire quasi certezza che non si arrenderanno. Ci vogliono, però, questi aiuti, assolutamente! Che lo Stato e le amministrazioni si rendano veramente conto della situazione tragica e che stanzino immediatamente dei fondi, che arrivino alle singole famiglie, ai singoli esercenti, che hanno perso tutto.

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Sinodo, intervengono i delegati fraterni. Briefing di mons. Martin

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Papa Francesco, come Giovanni Paolo II, ha scelto il tema della famiglia per il suo primo Sinodo: è quanto messo in risalto da mons. Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, in un briefing con i giornalisti svoltosi oggi nella Sala Stampa vaticana. Intanto, l’Assise straordinaria sulla famiglia, in corso in Vaticano fino al 19 ottobre, lavora alla stesura della “Relazione dopo la discussione”, bilancio di metà percorso, che verrà presentata in Aula lunedì mattina. Ieri pomeriggio, invece, i lavori hanno visto l’audizione di sette delegati fraterni. Un altro delegato, Hilarion, rappresentante del Patriarcato di Mosca, interverrà al Sinodo nei prossimi giorni. Il servizio di Isabella Piro: 

Francesco e Giovanni Paolo II: due Papi venuti “da lontano”, ma entrambi profondamente vicini alle loro diocesi e quindi consapevoli delle sfide della quotidianità. Mons. Martin, testimone diretto del Sinodo attuale, ma anche di quello del 1980 sempre dedicato alla famiglia, spiega così alla stampa l’analogia tra i due Pontefici:

“E’ interessante che il tema della famiglia sia stato il tema scelto da Giovanni Paolo II e da Papa Francesco per il loro primo Sinodo. Io penso che questo tragga anche origine dal fatto che erano entrambi vescovi diocesani, un anno prima dei rispettivi Sinodi, e che vedevano la centralità della famiglia per lo sviluppo della Chiesa e per la stabilità della società. Vedevano anche le sfide che la famiglia, come istituzione, e le famiglie dovevano affrontare nella cultura di quel momento”.

Un’ulteriore analogia tra i due Sinodi, continua mons. Martin, emerge dalla presenza di un gran numero di uditori, tra cui tantissime coppie sposate. Certo, continua il presule, i tempi sono cambiati, ed insieme ad essi anche le sfide che la famiglia deve affrontare:

“Quello che mi colpisce questa volta è di ascoltare problematiche che prima venivano evidenziate solamente dai vescovi europei o occidentali. Oggi, invece, le stesse ‘invasioni’ di una diversa cultura si registrano in America Latina e in Africa”.

Sottolineando, inoltre, il clima cordiale che si respira nell’Aula del Sinodo, l’arcivescovo di Dublino mette poi in risalto gli aspetti positivi della fede vissuta nella quotidianità delle persone:

“Io incontro nella mia diocesi ogni giorno delle persone, anche le persone più povere, che vivono in situazioni molto difficili, e che vivono veramente i valori della fedeltà, della dedizione verso i figli, ma non sarebbero mai in grado di esprimere questo nelle formulazioni della nostra teologia: questo non vuol dire che non vivano questa realtà. Bisogna avere un nuovo tipo di dialogo con le famiglie e un nuovo linguaggio: una questione toccata da molti”.

Ieri pomeriggio, intanto, sono intervenuti in Aula sette delegati fraterni. Nel complesso, è stato sottolineato come le sfide e le speranze riversate sul nucleo familiare siano comuni a tutti i cristiani: la famiglia – si è detto – è fondamentale per la società, è base essenziale della comunione nella giustizia. Comune tra i cristiani anche la necessità di un’adeguata preparazione al matrimonio e di una riflessione adeguata sulle nozze tra credenti e non credenti. 

Per quanto riguarda i divorziati risposati, è stato detto che spesso la loro accoglienza nella Chiesa può donare nuova speranza, ispirando una grande vita familiare che crea una grande società. E’ stata poi espressa volontà di ascolto e comprensione, lontane da ogni tipo di condanna, nei confronti delle persone omosessuali, pur ribadendo che il matrimonio è l’unione tra un uomo ed una donna.

Alcune diversità di approccio si sono riscontrate, ad esempio, sul tema della regolazione delle nascite, sottolineando la libertà di coscienza dei credenti, pur sempre nel rispetto del senso dell’amore e del matrimonio. Inoltre, in relazione alle seconde nozze, è stato detto da parte ortodossa che esse rappresentano comunque una deviazione e che vengono sì celebrate, ma dopo un periodo di accompagnamento da parte della Chiesa, per cercare di portare i coniugi alla riconciliazione. Tutti gli interventi si sono conclusi con l’auspicio che il Sinodo straordinario sulla famiglia abbia successo, anche in vista dell’Assise ordinaria in programma per il 2015.

Infine, ieri è stato reso noto che il Papa, per la stesura della Relazione conclusiva del Sinodo, ha deciso di affiancare al relatore generale, al segretario speciale e al segretario generale, altri padri sinodali: i cardinali Gianfranco Ravasi e Donald W. Wuerl; i monsignori Victor Manuel Fernandez, Carlos Aguiar Retes e Peter Kang U-Il e il preposito generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolás Pachón. 

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Card. Grocholewski: al Sinodo diversi punti di vista, non contraddizioni

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Sui lavori del Sinodo e sulle sfide che la Chiesa e la famiglia sono chiamate a raccogliere, Paolo Ondarza ha intervistato il card. Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica: 

R. – La mia impressione è molto positiva. Il Santo Padre ha impostato, con grande chiarezza all’inizio, il modo di discutere e di trattare le questioni del matrimonio. Ci ha invitato, soprattutto, ad essere chiari, a parlare con sincerità, perché ciascuno dica quello che veramente pensa e, dall’altra parte, che ci sia il rispetto e l’umiltà di ascoltare quello che dicono gli altri.

D. – Questo per evitare anche quelle contrapposizioni di cui troppo spesso parlano i mass media...

R. – Sì, i mass media esagerano un poco con queste contraddizioni: sono diversi punti di vista, molto spesso, e non tanto contraddizioni. Poi, è una discussione, non per pretendere che vengano accettate, ma perché le opinioni vengano prese in considerazione.

D. – Quali, secondo lei, le sfide principali che riguardano la famiglia?

R. – C’è un’ideologia che s’impone con grande violenza, riguardante il concetto del matrimonio, della vita, che non concorda fondamentalmente con la nostra antropologia cristiana: la lotta per il divorzio, la fecondazione in vitro, la teoria del gender e così via. E queste cose hanno influenza anche sui cristiani.

D. – Quali sono gli strumenti, allora, per poter essere preparati di fronte a queste sfide?

R. – Dobbiamo soprattutto discutere con il mondo di oggi. Sarebbe di grande importanza la presenza dei cattolici, dei cristiani nei mass media. Io vedo che, anche in nazioni con l’80, 90 per cento di cattolici, non ci sono cattolici, praticamente, nei mass media. Sono poco rilevanti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. E’, quindi, una grande sfida per la Chiesa quella di inserirsi nel mondo della comunicazione, nella radio, nella televisione … In questo modo dobbiamo farci più presenti. Io penso che l’antropologia che abbiamo, e di conseguenza il concetto del matrimonio, sia davvero fantastico, è brillante. Se potessimo spiegare questo al mondo di oggi, sarebbe un grande successo. Molti non capiscono il concetto di diritto naturale, ma qui si tratta in fondo di capire cosa sia giusto e buono, in base alla luce della ragione umana, per le persone, per l’umanità e lungo termine. Non si tratta, infatti, di assicurare a qualcuno un piacere temporaneo, breve, ma cosa sia bene per l’umanità, per il progresso certo, per la crescita dell’umanità. Noi vediamo oggi un grande divario nel progresso tecnico e scientifico e, dall’altra parte, una vergogna per quanto riguarda la crescita della gente: tanta fame nel mondo, tante guerre, tanto odio, tanta mancanza di rispetto per le persone e incontriamo tante persecuzioni. Dobbiamo pensare al benessere dell’umanità. Non dobbiamo pensare soltanto al benessere tecnico, ma a quello dell’essere umano. Io penso che questo Sinodo vada in questa direzione: come aiutare gli uomini di oggi a vivere meglio, a contribuire ad un vero progresso.

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Sinodo. Il card. Tagle: non si possono dividere verità e carità

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"Dobbiamo incontrare le persone, specie le famiglie, nelle condizioni storiche concrete". Lo ha detto il cardinale Louis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila nelle Filippine. Il porporato, presente al Sinodo, ha ribadito la vitalità della Chiesa e parlato dell'atmosfera che regna durante le congregazioni. Ma sentiamo lo stesso cardinale Tagle al microfono di Alessandro Guarasci

R. – Tutti siamo contenti e lieti per la liberta di esprimerci, anche per il rispetto e la carità. Io osservo che qua, noi vescovi delegati, siamo tutti studenti, alunni, perché le situazioni sono diverse. E’ un itinerario educativo e formativo per me.

D. – Dai mass media sembra che al Sinodo si parli in principal modo di divorziati-risposati. Ma quali altri temi stanno emergendo?

R. – Per esempio il metodo e il linguaggio di evangelizzazione; l’antropologia; la cultura; i mass-media; la povertà; il problema dei rifugiati… Sono tutti fattori che influenzano la vita interiore della famiglia.

D. – Come possono coincidere verità e misericordia?

R. – Ambedue sono necessarie: non c’è verità senza carità e non c’è carità senza verità. La scelta di una rispetto all’altra per noi è una falsa scelta! Tutta la pastorale della Chiesa è sempre sulla verità e sulla carità e non solo nella pastorale della famiglia.

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Patriarca Younan: jihadisti compiono genocidio nell'indifferenza dei potenti

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Vicinanza profonda e solidarietà per tutte le famiglie che soffrono a causa dei tanti conflitti in corso, in particolare in Iraq e Siria: questo il contenuto del Messaggio diffuso ieri dal Sinodo sulla famiglia, che si tiene in Vaticano. Nel documento, si lancia un accorato appello per la pace e si ribadisce:  “Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza”, “uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio!”. Parole accolte con gratitudine dal patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssif  III Younan che, al microfono di Paolo Ondarza, racconta il dramma che stanno vivendo le famiglie cristiane in Iraq e Siria: 

R. - Apprezziamo tanto il messaggio del Sinodo, stiamo seguendo ciò che avviene ai nostri cristiani sia in Iraq, sia in Siria. Abbiamo la fiducia che il Signore li aiuterà; per il momento la situazione è molto grave: prima di tutto i profughi della Piana di Ninive, come quelli di Mosul, che già da quattro mesi sono fuori dalle loro case; sono in Kurdistan e non sanno cosa fare, dove andranno, come passeranno l’inverno e dove mandare i bambini a scuola. Questo per noi è un dramma, un’ecatombe caduta su di noi. D’altro canto, anche dalla Siria le notizie non sono buone: l’espansione dell’Is - lo Stato Islamico - ci fa molta paura, non sappiamo cosa avverrà anche con i cristiani del Nord-Est della Siria, che sono assediati - infatti, questa espansione arriva fino ai confini con la Turchia, vuol dire che hanno assediato i nostri territori - abbiamo una vasta comunità di cristiani nella diocesi di Hassakè-Nisibi, ovvero la parte Nord-Est della Siria.

D. - Quali le condizioni delle famiglie costrette a fuggire: riescono a rimanere unite?

R. - Le nostre famiglie adesso non sanno cosa fare, dove andare, c’è un gran rischio che si dividano perché non tutti potranno emigrare. Non sappiamo cosa fare: aiutare queste famiglie a emigrare, aiutarle materialmente per i loro bisogni primari... È una cosa veramente tremenda ciò che adesso noi stiamo attraversando; e c’è grande indifferenza perché - si sa - ci sono altri problemi che interessano l’Occidente e non possiamo fare di più per destare interesse o per richiamare l’attenzione dei governanti, di coloro che hanno parola sulla scena internazionale, e intervenire veramente. Per esempio, per l’Is: se ne parla come se fosse un profumo. Adesso sta minacciando la città di Kobane. Noi qui abbiamo un genocidio: prima di tutto, nei confronti dei cristiani - da quattro mesi a Mosul e nella Piana di Ninive - poi verso le altre minoranze, come gli yazidi e altri; e questo accade sotto l’indifferenza, quasi, universale.

D. - Al tema del Medio Oriente sarà dedicato il prossimo Concistoro del 20 ottobre prossimo. C’è un appello che lei si sente di levare?

R. - Noi Patriarchi del Medio Oriente ringraziamo prima di tutto il Santo Padre per la sua sollecitudine. Sicuramente, ci saranno discussioni molto importanti sulla nostra situazione, per la sorte di tutti i cristiani del Medio Oriente, perché questo fanatismo, questo radicalismo che si espande - con il placet, o con l’indifferenza dei potenti - ci fa molta paura.

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Mons. Pelvi nominato nuovo arcivescovo di Foggia

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, il cardinale Gerardo Majella Agnelo, arcivescovo emerito di São Salvador da Bahia in Brasile, e l’arcivescovo Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia.

In Italia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi metropolitana di Foggia-Bovino, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Francesco Pio Tamburrino. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario Militare d’Italia emerito. Mons. Vincenzo Pelvi è nato a Napoli 1'11 agosto 1948. Ha compiuto gli studi liceali presso l'Istituto Bianchi di Napoli e quelli teologici alla Pontificia Facoltà dell'Italia Meridionale, Sezione S. Tommaso, conseguendo la Licenza e la Laurea in Sacra Teologia. Ordinato sacerdote il 18 aprile 1973 per l'arcidiocesi di Napoli, ha esercitato il ministero sacerdotale nei seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale presso la Parrocchia S. Maria di Fatima in Secondigliano; Segretario della Facoltà Teologica, Sezione S. Tommaso; Docente di Teologia Sacramentaria e Liturgica presso l'omonima Facoltà; Direttore dell'Ufficio Pastorale Diocesano dal 1979 al 1987; Docente di Teologia Dogmatica presso l'I.S.S.R. "Donnaregina"; Membro della Commissione Liturgica Diocesana; Segretario del XXX Sinodo Diocesano; Membro del Collegio dei Consultori Diocesani; Consulente Ecclesiastico dell'USMI diocesana; Vicario Episcopale di zona dal 1988 al 1996; Pro Vicario Generale dell'Arcidiocesi di Napoli dal 1996 al 1999; Membro della Commissione Diocesana delle Comunicazioni Sociali; Direttore del Settimanale Diocesano "Nuova Stagione" dal 1988; Segretario aggiunto della Conferenza Episcopale Campana. È stato anche membro dell'Istituto Secolare "Sacerdoti del Sacro Cuore". In data 11 dicembre 1999 è stato nominato Vescovo Ausiliare dell'arcidiocesi di Napoli e ordinato il 5 febbraio 2000. Il 14 ottobre 2006 è stato nominato Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia, da dove è stato congedato in pensione il 10 agosto 2013.

In Polonia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kielce, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Kazimierz Ryczan. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Jan Piotrowski, trasferendolo dalla sede titolare di Siniti e dall’ufficio di Ausiliare di Tarnów. Il presule è nato il 5 gennaio 1953 a Szczurowa. Superati gli esami di maturità, nel 1972 fu ammesso al Seminario maggiore di Tarnów e il 25 maggio 1980 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la medesima diocesi. Dopo l’ordinazione negli anni 1980-1984 è stato Vicario parrocchiale a Przec?aw e nella Parrocchia dello Spirito Santo a Mielec. Dopo la preparazione presso il Centro di Formazione Missionaria in Warszawa ha lavorato negli anni 1985-1991 come missionario in Congo-Brazzaville. Dal 1991 al 1997 è stato Segretario nazionale della Pontificia Opera Missionaria della Propagazione della Fede. Per due anni ha studiato missiologia presso l’Istituto Cattolico a Parigi e nel 1997 ha ottenuto il dottorato in Missiologia presso l’Accademia di Teologia Cattolica a Warszawa. È stato missionario in Perù dal 1999 al 2000, e infine, dal 2000 al 2010 è stato Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie. Dal 2009 al 2013 è stato Parroco della Parrocchia di Santa Margherita a Nowy S?cz. Nel 2004 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità. Il 14 dicembre 2013 è stato nominato Vescovo Ausiliare di Tarnów e consacrato il 25 gennaio successivo. Attualmente nell’ambito della Conferenza Episcopale Polacca è membro della Commissione per le missioni.

Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Niamey, in Niger, presentata da mons. Michael Cartatéguy, della Società delle Missioni Africane, in conformità al canone 401 - paragrafo 2 del Codice di Diritto Canonico. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Djalwana Laurent Lompo, finora ausiliare della stessa arcidiocesi.

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Papa, tweet: con forza dei Sacramenti superiamo ogni ostacolo

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il potere spirituale dei Sacramenti è immenso. Con la grazia, possiamo superare tutti gli ostacoli”.

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Domenica Messa di ringraziamento del Papa per due Santi canadesi

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Sono considerati i fondatori della Chiesa in Quebec, mons. Francesco de Laval e la religiosa orsolina Maria dell’Incarnazione, due Santi missionari ed evangelizzatori, nati in Francia nel 17.mo secolo, per i quali domani in San Pietro Papa Francesco presiederà una Messa di ringraziamento per la Canonizzazione equipollente del 3 aprile scorso. Entrambi, hanno spiegato oggi in conferenza stampa il cardinale arcivescovo di Quebec, Gérard Cyprien Lacroix, e il vescovo anglicano di Quebec, Dennis P. Drainville, sono stati animati da uno spirito missionario che fu fondamentale per l’evangelizzazione della Nuova Francia. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

Due pilastri della Chiesa in Quebec: Francesco de Laval e Maria dell’Incarnazione hanno seguito il loro desiderio di voler costruire una società fondata sui valori del Vangelo di Gesù Cristo. Il cardinale arcivescovo di Quebec, Gérard Cyprien Lacroix, racconta le virtù dei due Santi canadesi, spiegando anche che è auspicio del Papa che entrambi possano essere modelli da seguire per la missione della nuova evangelizzazione in Quebec, così come in tutti i Paesi di tradizione cristiana:

Ces deux géants de la première évangélisation de notre pays…

"Questi due giganti della prima evangelizzazione in Quebec", sono le parole del cardinale Lacroix, "sono state persone molto impegnate nella missione della Chiesa. Mons. Francesco de Laval è stato un grande visionario e missionario che ha saputo organizzare la giovane chiesa nascente nel Paese, fondando il seminario di Quebec, sostenendo i missionari che partivano per lontane regioni per incontrare gli indigeni. Ha saputo accompagnare le piccole comunità di coloni che si andavano creando".

Mons. de Laval était déjà reconu comme un homme de Dieu…

"Mons. de Laval era conosciuto come uomo di Dio, molto generoso con i poveri, anch’egli povero di beni, ma ricco di presenza accanto alle persone. Un uomo ritenuto in grande comunione con Dio e al tempo stesso un pastore molto attento ai bisogni del suo nuovo Paese". L’orsolina Maria dell’Incarnazione "ha lasciato tracce profonde in Quebec - continua il porporato - conosciuta da tutta la colonia, fu donna profondamente radicata nella sua relazione con Dio. La sua fu una straordinaria vita spirituale, e per questo venne definita la 'Teresa del nuovo mondo'”.

Ses nombreux écrits nous dévoilent une grande mystique…

"I suoi scritti ci regalano una grande mistica, il cuore a Dio e i piedi ben saldi sulla terra, nella realtà. Portava bene il suo nome Maria dell’Incarnazione, una donna ben presente nella vita che la circondava e che anche la preoccupava. I due Santi credevano fortemente nella costruzione di una comunità umana e cristiana che divenisse poi rete di giustizia, pace e sviluppo. Ci parlano di ciò che è essenziale nella vita: amore, verità, il dare se stessi agli altri, soprattutto ai più bisognosi e ci lasciano la testimonianza di fiducia in Dio, di missionarietà, di perseveranza, di piena aderenza alla fede e alla vita spirituale, ciò che oggi è indispensabile per vivere la missione della Chiesa".

Francois de Laval and Marie de l’Incarnation are two saints that speak profoundly…

Entrambi, conclude il vescovo anglicano Dennis P. Drainville, ci "parlano profondamente della vita accanto ai più poveri tra i poveri, del dare risposte ai bisogni e alle aspirazioni delle persone, promuovendone l’unità, affinché possano vivere rispondendo all’amore che Dio dona loro".

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Il 18 ottobre il Papa riceve il premier vietnamita

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Papa Francesco incontrerà il primo ministro della Repubblica Socialista del Viêt Nam, Nguyên Tán Dung, il prossimo 18 ottobre. Lo ha comunicato il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, rispondendo a domande in merito dei giornalisti. L’incontro, ha precisato padre Lombardi, servirà anche per approfondire le relazioni bilaterali tra il Viêt Nam e la Santa Sede.

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La Chiesa celebra per la prima volta la memoria di San Giovanni XXIII

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Per la prima volta dalla canonizzazione in piazza San Pietro il 27 aprile 2014, la Chiesa celebra la memoria liturgica di San Giovanni XXIII. Grande festa nel paese natale di Papa Roncalli, Sotto il Monte, in provincia di Bergamo. Delle iniziative organizzate dall’associazione locale Papa Giovanni XXIII e per un ricordo della figura del Santo, Roberta Barbi ha parlato con il parroco e neorettore del Santuario, mons. Claudio Dolcini:  

R. – Come parrocchia c’è un moltiplicarsi di Messe oggi, perché la gente, che è sempre numerosa nel Santuario di Sotto il Monte, oggi è molta di più. Abbiamo quindi offerto questo e abbiamo aumentato i confessori. Poi, questa sera – la sera della carezza ai bambini – abbiamo pensato a una Veglia particolarmente curata liturgicamente, con testi di Papa Giovanni, meditando su alcune sue virtù, e con i canti del musical, che abbiamo messo in scena l’anno scorso e che continua a girare in alta Italia, sulla sua figura. Domani ci sarà la Messa del pellegrino, presieduta dal neovescovo e concelebrata dal nostro vescovo di Bergamo e da altri vescovi.

D. – Come vi siete preparati spiritualmente a questa giornata?

R. – Ci siamo preparati con una novena, con le confessioni per i ragazzi e per gli adulti e ogni giorno, poi, c’era nella celebrazione della Messa la predicazione.

D. – L’Associazione è molto attiva nella promozione della figura del "Papa Buono", tanto che la diocesi di Bergamo l’ha “premiata” con l’elevazione della chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Pace a Santuario di Sotto il Monte...

R. – Più che un premio è un riconoscimento di ciò che avviene perché a chiesa parrocchiale, di fatto, non funziona solo da chiesa parrocchiale, come in ogni parrocchia, ma accoglie ogni giorno numerosi pellegrini, nelle celebrazioni, nella devozione, nell’essere a disposizione per il Sacramento della riconciliazione. Penso sia significativo, perché identifica un po’ il ruolo di questo luogo, legato alla figura di Papa Giovanni, che attira tanta gente. Quindi noi siamo a disposizione per accompagnarli nella fede.

D. – In meno di cinque anni di Pontificato, San Giovanni XXIII riuscì ad avviare nella Chiesa universale un impulso di nuova evangelizzazione. Come vive la sua testimonianza la Chiesa di oggi?

R. – Papa Giovanni a 80 anni ha aperto il Concilio: diciamo che in una porta ha messo la chiave e ha socchiuso la porta. Poi, questa porta è stata aperta da Paolo VI e adesso è arrivato Francesco a spalancarla. È stato avviato un cammino di nuova evangelizzazione. Papa Giovanni fu un uomo lungimirante; nei suoi viaggi, nel suo lavoro di nunzio, ha conosciuto le povertà dell’uomo, ha vissuto su di sé la vita con le altre persone, ha aperto uno sguardo nuovo. La nuova evangelizzazione è partita con uno sguardo nuovo sulla realtà del mondo e anche questa, di fatto, è l’eco dello Spirito: lo sguardo, il mondo che ci parla e ci racconta di sé, inizia già qui la nuova evangelizzazione, nell’ascolto delle nuove povertà. E oggi, appunto, mi pare che la figura di Papa Francesco continui questo lavoro e spinga anche sull’acceleratore di noi sacerdoti, dei catechisti, di chi ha qualche ministero dentro la Chiesa, per essere attenti ai poveri e per portare il Vangelo ai poveri.

D. – Papa Francesco circa un anno fa ha detto che i Santi sono persone normali che hanno conosciuto l’amore di Dio e lo hanno seguito con tutto il cuore. Che esempio può essere San Giovanni XXIII per gli uomini di oggi?

R. – Mi viene da pensare a una frase di San Giovanni Bosco, che diceva così ai suoi ragazzi: “Camminate con gli occhi rivolti al Cielo e con i piedi per terra”. Ecco, mi pare che Papa Giovanni abbia tradotto bene questa espressione: fu un uomo con lo sguardo puntato, costantemente rivolto a Cristo, con il cuore aperto al Vangelo, ma con quelle radici contadine, che gli hanno permesso di mantenere sempre i piedi per terra. Un uomo, insomma, concreto. La sua esperienza mi pare vada tutta in questa direzione e mi pare che la sua santità sia questo: un uomo molto concreto, che però poi traduceva il Vangelo nella quotidianità.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un cammino spedito: intervista del direttore al segretario generale del Sinodo dei Vescovi, cardinale Lorenzo Baldisseri.

L'evo Morales: il presidente boliviano in carica dal 2006 si appresta a ottenere un altro mandato.

Chi riceve Dio nel proprio cuore riceve il peso del mondo: a cinquant'anni dalla morte, Anne-Marie Viry ricorda il pensiero e l'esempio di Madeleine Delbrel.

Minoranze religiose ancora nel mirino in India: i gesuiti lanciano un appello al Governo per fermare le violenze.

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Oggi in Primo Piano



Violenze Boko Haram in Camerun: il Pime assiste i profughi

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I miliziani islamici nigeriani di Boko Haram hanno liberato nelle ultime ore 27 ostaggi, tra cui 10 operai cinesi e la moglie del vicepremier camerunense, sequestrati nei mesi scorsi in un’azione che dalla Nigeria aveva visto gli estremisti sconfinare nel nord del Camerun. In quella zona ad aprile erano stati rapiti anche due missionari di Vicenza, poi liberati. Non distante si trova pure Chibok, località nigeriana dove in primavera i jihadisti avevano catturato oltre duecento studentesse, la maggior parte delle quali ancora nelle mani dei combattenti. Proprio nel nord del Camerun, la Fondazione Pime Onlus ha avviato un progetto di assistenza per 12 mila rifugiati e sfollati, che cercano di sfuggire alle violenze. Il responsabile è fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua. Giada Aquilino lo ha intervistato: 

R. – Da circa un anno e mezzo i Boko Haram hanno cominciato ad uscire dai confini della Nigeria, per inserirsi anche in Camerun, con l’idea di costruire a tutti i costi un califfato islamico, fino all’Etiopia e alla Somalia con gli Shabaab. Questo progetto, quindi, ha portato all’invasione di alcune regioni, soprattutto dell’estremo nord del Camerun, vicino al lago Ciad, dove noi lavoriamo come diocesi, al confine con la Nigeria.

D. – Quali azioni compiono i miliziani islamici in queste zone?

R. – E’ proprio un’azione di occupazione e razzia. Solo le persone che si adeguano alle loro ideologie vengono rispettate, le altre vengono cacciate. Inoltre da una parte c’è l’esercito nigeriano che bombarda, per cercare di arrestare questa avanzata, e dall’altra, in Camerun, c’è l’esercito camerunense che cerca di contrastare l’invasione.

D. – C’è, quindi, un continuo flusso di profughi dalla Nigeria, ma anche di sfollati interni al Camerun?

R. – Esatto. Attualmente il punto più caldo è nella zona di Fotocol, proprio al confine tra la Nigeria e il Camerun.

D. – In che condizioni vivono queste persone, che sono costrette a lasciare tutto e a fuggire?

R. – Sono arrivate in Camerun e, nelle scorse settimane, hanno occupato tutte le scuole che, in quel momento, erano ancora libere, perché non era cominciato l’anno scolastico. Si sono quindi accampate in parte in questi edifici pubblici, in parte presso famiglie locali o parenti.

D. – La Fondazione Pime Onlus ha lanciato un progetto di assistenza per 12 mila persone, che si trovano nel nord del Camerun, tentando di sfuggire alle violenze e alla crisi. Di cosa si tratta?

R. – Si tratta di un intervento di emergenza a vari livelli. Innanzitutto, a livello alimentare, per dare almeno una razione alimentare settimanale a queste 12 mila persone, che sono poi state scelte tra 40 mila profughi, secondo un criterio di vulnerabilità: in pratica abbiamo scelto di occuparci di seimila bambini, tremila donne e altri tremila tra anziani e ammalati; tenendo conto che i numeri sono alti, dobbiamo cercare di fare in modo che quelle risorse che possiamo trovare siano utilizzate al meglio. Abbiamo poi scelto di occuparci dei settori sanitari e quindi assicurarci che ci sia una visita o qualche intervento a livello curativo. L’altro campo d’intervento è quello idrico, per avere acqua pulita, perché altrimenti saremmo invasi sicuramente dal colera, se non da altre malattie simili. Infine, vorremmo intervenire anche nei servizi igienici.

D. – Cosa raccontano queste persone della loro realtà?

R. – Quello che mi hanno raccontato alcuni testimoni è che, quando sono arrivati nel villaggio di Bargaram, in Camerun, per trovare i viveri, visto che dall’altra parte ne trovano pochi per il momento, questi miliziani di Boko Haram hanno radunato le persone, soprattutto quelle cristiane, hanno scelto coloro che non ritenevano collaborativi e li hanno sgozzati davanti a tutti: davanti alle mogli e ai figli. Sono rimasti, dunque, traumatizzati e abbiamo cercato di capire come aiutarli, per farli tornare ai villaggi d’origine. Ma oltre agli aspetti fisici, bisognerebbe pensare anche all’aspetto psicologico di questa gente.

D. – E allora voi come missionari, insieme alla Chiesa locale, come infondete speranza a queste persone?

R. – Nel concreto, cioè cercando di aiutarle in questa situazione: riaprendo le scuole, dando ai bambini una possibilità di andare a frequentare regolarmente, cercando in questo modo di pensare al futuro e a dove poter ricollocare questa gente.

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Prolungata allerta a Genova. I geologi: manca prevenzione

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E’ stata prolungata fino a mezzanotte l’allerta a Genova, scossa nelle ultime ore da una grave alluvione che ha provocato la morte di una persona e ingenti danni. La città – ha detto il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli durante un vertice nel capoluogo ligure – è ancora in una situazione di piena emergenza. Sugli elevati rischi di dissesto idrogeologico a Genova, Amedeo Lomonaco ha intervistato Carlo Malgarotto, presidente dell’Ordine dei Geologi della Liguria: 

R. - Proprio per la sua conformazione di valli e colline che vanno direttamente al mare la città di Genova è predisposta a questo tipo di eventi. In più, molte aree abitate sono in zona rossa, in zona esondabile.

D. - Una delle città più pericolose d’Europa da questo punto di vista …

R. – Se non ricordo male addirittura la seconda, perché proprio questa caratteristica di avere molte abitazioni con un elevato numero di abitanti in zone esondabili la rende una delle città più pericolose.

D. – Si è costruito male. Cosa si dovrebbe e si potrebbe fare?

R. – Penso che ci sia anche la possibilità – molto coraggiosa, per carità – di ricostruire quartieri da un’altra parte. Non è una cosa impossibile; lo fanno anche nel resto d’Europa, potremmo farlo anche noi. La prima cosa da fare è riuscire a trattenere l’acqua a monte in maniera da diluire la piena nel tempo. Questo implica una manutenzione del territorio, la costruzione di sistemi di piccole vasche per il trattenimento delle acque dei tetti. Si tratta  di piccoli interventi che si possono fare. Grandi interventi, come si fanno ad esempio nell’Arno, come le vasche di laminazione, non sono possibili perché mancano gli spazi.

D. - Tre anni fa c’è stata un’altra grave alluvione. In questi tre anni cosa è stato fatto?

R. - So che in questi anni sono state finanziate delle opere, tra cui il collettore del Bisagno, che però sono fermi per ricorsi al Tar, legati all’aggiudicazione di appalti e cose del genere. Manca la prevenzione con una pianificazione più attenta, con tecnici che conoscono il territorio sia dal punto di vista urbanistico che geologico.

D. - È scattata anche la polemica sul discorso della prevedibilità di eventi come questo. Ma questi eventi sono prevedibili?

R. - Non così facilmente. Sono fenomeni abbastanza particolari con cui ci stiamo scontrando in questi mesi. Queste cosiddette “super celle” che si autoalimentano sono un fenomeno nuovo almeno per noi.

In Italia due miliardi e mezzo di euro sono già disponibili per la messa in sicurezza ma non vengono spesi. Un dato inquietante, sottolinea Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi: 

R. - Inquietante e allo stesso tempo emblematico di un Paese il cui sistema non funziona e che ha la necessità continua di ricorrere a commissari: abbiamo commissari per i rifiuti, per l’acqua; abbiamo avuto – fino a quando non si è insediato il governo Renzi – i commissari per il dissesto idrogeologico, ma di fatto, nonostante questo, in un campo così delicato ci accorgiamo ora che presso il Ministero dell’ambiente giacciono circa 2,5 miliardi – qualcuno dice qualcosa in più – di soldi non spesi. Quindi progetti che non sono andati avanti perché, come è successo a Genova per un contenzioso amministrativo tra imprese, ma ancora peggio, siamo nelle condizioni in cui i soldi non si spendono perché non ci sono progetti esecutivi cantierabili; non c’è una capacità – spesso da parte delle pubbliche amministrazioni – di portare avanti progetti perché mancano le risorse economiche per pagare i progettisti.

D. - In Italia continua ad esserci proprio un grave problema di prevenzione …

R. - La prevenzione è fatta da tanti tasselli importanti, da tanti pilastri che vedono, ad esempio, anche il coinvolgimento della gente, della popolazione, quindi l’informazione, la divulgazione, l’insegnamento nelle scuole, … Tutto questo è prevenzione. Se qualcuno propone di fare la discarica vicino a Roma, i comitati di cittadini scendono in piazza  - giustamente -  per rivendicare il diritto alla salute. Se pensiamo ad un termovalorizzatore succede lo stesso. Si scende in piazza per il diritto allo studio, al lavoro; è giusto che la gente scenda in piazza a protestare. Non ho mai visto un movimento, un corteo che abbia mosso cittadini in funzione di un consolidamento di un versante dove abitano delle persone o della sistemazione di un fiume. Evidentemente non lo si sente come un’esigenza primaria. Pensavo qualche anno fa che fatti come quelli di Giampilieri che hanno visto 37 morti, quelli di Genova con sei morti tre anni fa, il terremoto dell’Aquila prima e dell’Emilia Romagna dopo, scuotessero le coscienze. Invece, devo constatare che non è così perché si spengono i riflettori sulla tragedia, però poi sotto il profilo dell’intervento il tutto si riduce a molto poco.

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Giornata delle bambine. Terre des Hommes: bisogna proteggerle

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Il mondo celebra oggi la giornata internazionale della bambina. Secondo i dati di Terre des Hommes, 31 milioni di bimbe non possono andare a scuola, mentre sono 14 milioni quelle costrette a sposarsi. In Italia, invece, sono aumentati dell’87% i maltrattamenti in famiglia. L’Associazione Terre des Hommes ha lanciato la campagna "Indifesa" per proteggere tutti i minori e fermare il fenomeno delle schiave domestiche attraverso un sms al numero 45596. Maria Gabriella Lanza ha intervistato il presidente Raffaele Salinari

R. - Il nostro è un mondo che sembra non amare particolarmente i bambini. Ripensare ai diritti dell’infanzia e centralizzarli, farne un fatto politico, oltre che culturale e naturalmente sociale, vuol dire ripensare il futuro.

D. - Solo in Cina, a causa dell’aborto selettivo, mancano all’appello ogni anno cento milioni di bambine…

D. - In alcune società, si crede appunto che una bambina sia una disgrazia e non un’opportunità. Mancano all’appello tantissime bambine che dovrebbero nascere, ma soprattutto si fotografa una distinzione tra generi che non è assolutamente accettabile. Se i generi sono due, vuol dire che hanno una ragione di esistere. Soprattutto, hanno decisamente diritto alla parità di opportunità e, prima ancora, di esistenza.

D. - Le bambine non godono degli stessi diritti dei bambini, sono 31 milioni quelle che non possono andare a scuola…

R. - La scuola è una precondizione fondamentale. Se si vuole cambiare la società, si deve permettere alle bambine di poter studiare e quindi all’espressione di se stesse. Una società che non permette alle bambine di andare a scuola, è una società che esprime soltanto una piccola parte delle proprie potenzialità. Per esempio, Maud è una delle nostre testimonial, quando racconta la sua storia - lei è dello Zimbabwe - dice chiaramente: "Io sono una delle tante bambine, che da piccole si alzavano alle cinque, o alle sei per andare a scuola. Facevo cinque chilometri, spesso non mangiavo, poi tornavo a casa e poi lì naturalmente mi dicevano che dovevo fare i lavori di casa. Poi mi potevo mettere a fare i compiti. Nonostante questo però, ero contenta di andare a scuola". Come diceva Nelson Mandela: “L’unica maniera per cambiare la società è, appunto, lo studio e la cultura".

D. - Anche in Italia sono aumentati i maltrattamenti in famiglia…

R. - Il problema dell’aumento della violenza nei confronti delle bambine in Italia fotografa una situazione ancora più complessa negli ultimi anni, che sono anni di crisi economica, di crisi sociale. Tutti questi fattori si scaricano sulla famiglia che diventa poi il “collettore” di tantissime frustrazioni e le bambine i “parafulmini” attraverso le quali si scarica tutto ciò.

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Libro su viaggi Paolo VI. Bernardelli: scelta innovativa e profetica

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In occasione della Beatificazione di Papa Montini, il prossimo 19 ottobre, la casa editrice Emi ha pubblicato il volume “Paolo VI. Destinazione mondo”. Un libro che ripercorre i nove viaggi del futuro Beato, una delle grandi innovazioni del Pontificato montiniano. Alessandro Gisotti ha chiesto a Giorgio Bernardelli – autore del libro assieme a Lorenzo Rosoli – di soffermarsi sull’importanza di questi viaggi nella vita della Chiesa: 

R. - Riscoprire questo volto del Pontificato di Montini, che curiosamente è rimasto un po’ dimenticato con il passare del tempo o meglio si ricordano sostanzialmente due viaggi di Montini: quello in Terra Santa, di cui Papa Francesco ha appena fatto memoria, e il discorso all’Onu del 1965. Il punto è che Montini di viaggi apostolici ne fece ben nove, tra il 1964 e il 1970; e fu già lui un Pontefice che toccò tutti e cinque i continenti, dando davvero a questo volto della Chiesa del Concilio anche quella che oggi diremmo l’immagine di una "Chiesa in uscita" anche fisicamente. Noi oggi siamo abituati ai viaggi del Papa come a un qualcosa di normale nel Ministero del Successore di Pietro, ma dobbiamo ricordare che, appunto, fino all’avvento di Paolo VI questa cosa normale non era affatto! Fu proprio lui a volere che questa forma di esercizio del Ministero Petrino non fosse più solo un modo per convocare a Roma le genti, ma anche per andare a visitarle personalmente.

D. - In un qualche modo, Paolo VI riprende i viaggi dell’Apostolo Paolo …

R. - Assolutamente sì. E’ importante ricordare che forse ancora più innovativo del viaggio del Papa in Terra Santa, e forse il viaggio veramente più rivoluzionario, fu il secondo: quello che portò Montini a Bombay, in India. La vera scelta fu proprio quella, nel dicembre del ’64, di mettersi in viaggio per andare in un Paese, tra l’altro l’India, dove i cristiani erano un piccolo gregge nel cuore dell’Asia, con tutto quello che l’Asia - e l’India in particolare - significava negli anni Sessanta. Montini si lasciò guidare fortemente dai gesti, dalla volontà di rendere questi viaggi qualcosa di simbolicamente molto significativo. Il viaggio a Bombay si ricorda per la sua visita nelle baraccopoli.

D. - Qual è stata anche l’influenza di questi viaggi di Paolo VI su quelli dei Pontefici successivi?

R. - L’influenza è stata grandissima: ha assolutamente aperto una strada. Ma già Paolo VI aveva chiarissimo il fatto che stava aprendo una strada. Quando Montini tornò da Gerusalemme una delle confidenze che fece ai suoi collaboratori è stata: “Vedrete ora come viaggerà il mio successore!”. E aveva visto giusto. Di ritorno da Bombay, quando si affaccia davanti alla folla che lo aspetta in Piazza San Pietro, dice: “Ho incontrato questi fratelli nella fede che vivono in India, ma questo incontro cambia il nostro modo di essere Chiesa. Siamo chiamati ad aprire di più il cuore”. Ed è una immagine molto bella! Noi oggi, tante volte, guardiamo ai viaggi del Papa, incentrando forse lo sguardo solo sulla figura del Papa, dicendo: “Come cambierà questo Paese dopo che il Papa è passato e lo ha visitato?”. Montini fa il discorso esattamente contrario: “Come cambierà il nostro essere Chiesa dopo che io, in rappresentanza di tutta la Chiesa, sono andato a visitare questi fratelli che vivono lontano?”.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 28.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù paragona il regno dei cieli a un re che fa una festa di nozze per suo figlio. Ma molti non accettano l’invito perché sono impegnati, altri addirittura lo rifiutano con violenza. Il re dice allora ai suoi servi:

“La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Lasciamoci sorprendere dal Vangelo di oggi: dall’invito al banchetto di nozze che il re – Dio – ha preparato per i suoi invitati. Il cristianesimo è Vangelo di gioia. Per quanto povera e distorta possa essere l’immagine che noi abbiamo di Dio, spesso sentito lontano, complicato, pieno di leggi…, la parabola di oggi, questo re che per ben tre volte manda i suoi servi a chiamare gli invitati, ci dice qualcosa della “passione di Dio” per l’uomo: ha fatto l’universo in un impeto di gioia, ci ha creato per amore nella gioia, ci ha redento nella gioia della Pasqua. La Chiesa ha la missione di rendere presente nella storia questo invito alle nozze al banchetto del cielo. Dio ha creato l’uomo per questa festa. Ma la mia, la tua risposta all’invito oggi può essere quella degli invitati: “Quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”! Ed a godere della festa sono gli ultimi. È pressante anche oggi il comando del Signore a noi suoi servi: “Andate ai crocicchi delle strade”. La gioia di Dio per la festa delle nozze risulta ancora più luminosa – per quanto ci possa scomodare! – nella parte finale della parabola: il re entra nella sala del convito e scorge un commensale senza la veste nuziale, senza il dono dello Spirito Santo. E viene gettato fuori nelle tenebre. Il Vangelo è dono di libertà, non imposizione. Oggi, giorno del Signore, siamo invitati a pregustare nell’Eucarestia il banchetto nuziale, preparato per le nozze con il nostro Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Mons. Nona: la fede sta aiutando tanti ragazzi vittime dell'Is

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Non solo stragi e fughe dalla furia omicida dei miliziani dell’Is, il sedicente Stato islamico. I valori della fede nutrono ancora la speranza di tanti giovani iracheni, 250 dei quali, ragazzi e ragazze, molti dei quali appartenenti alle famiglie di Mosul e della Piana di Ninive, hanno partecipato a un festival di tre giorni, appena concluso, ad Ankawa, un sobborgo di Erbil, dove in tanti hanno trovato rifugio. A organizzarlo, informa la Fides, è stata la Chiesa caldea: un programma con momenti di festa, canti, preghiere e riflessioni ospitato nel giardino del Convento delle Suore caldee Figlie di Maria Immacolata. Il filo conduttore del festival è stato rappresentato da alcune riflessioni sulla figura di Re Davide, sui suoi spostamenti nella terra d'Israele e sulle vicende emblematiche del suo percorso umano, segnato da grandi crudeltà ma anche dal pentimento per i propri peccati, dalla penitenza e dalla richiesta di perdono. I momenti di approfondimento sulla figura di Re Davide sono stati curati da Bashar Matti Warda, arcivescovo di Erbil dei Caldei. Agli incontri ha preso parte anche mons. Amel Shamon Nona, vescovo di Mosul dei Caldei, costretto anche lui a lasciare la propria diocesi dopo che in quella città si è insediato il sedicente Califfato islamico. Alla Fides, mons. Nona ha spiegato che di solito un festival per i giovani delle Chiese del nord Iraq “veniva organizzato ogni anno nei mesi estivi. Quest'anno – ha osservato – non è stato possibile, per tutto quello che è accaduto dopo l'arrivo dei jihadisti. Poi à stato deciso di farlo adesso, e nelle condizioni in cui viviamo, anche questo festival ha assunto un valore particolare”. Un tentativo “di aiutare i ragazzi a non chiudersi nel pessimismo, a non cadere in depressione, e a accorgersi che anche nella condizione che stiamo vivendo il Signore può custodire la nostra speranza”. (A.D.C.)

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Chiesa Milano: unione gay non sia registrata come "matrimonio"

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“E’ auspicabile che si possa ottenere presto una legislazione adeguata in materia di famiglia che sappia tutelare i diritti di tutti e rispettare la natura delle cose”: ai “termini ‘famiglia’ e ‘matrimonio’ la definizione della realtà dell’unione stabile di un uomo e una donna aperta alla vita, per altri tipi di unione altri nomi”. È quanto si legge in un comunicato  del “Servizio per la famiglia” dell’arcidiocesi di Milano, che reagisce così alla decisione del Comune del capoluogo lombardo di autorizzare, come in altre città italiane, la trascrizione di unioni sancite all’estero tra persone dello stesso sesso. Questa scelta, si precisa, “avviene in contrasto con la normativa vigente in Italia, generando un conflitto istituzionale tra organismi con competenze diverse”. Il comunicato dell’arcidiocesi milanese ricorda il Sinodo sulla famiglia in corso in Vaticano, il quale – si sottolinea – dimostra “come la Chiesa sia impegnata con attenzione a comprendere e accompagnare i grandi processi di trasformazione della società e della famiglia”. Guardando alla realtà ambrosiana, prosegue la nota, “risalta come in questo tempo di crisi si aggrava sempre più la situazione economica delle famiglie, spesso in difficoltà nel far fronte anche ai beni essenziali. E’ quanto mai necessario fare in modo – conclude il comunicato – che non si ponga in secondo piano l’attenzione e l’impegno verso la tutela di tutti i diritti, affinché a genitori, figli e nonni non manchino la casa, il cibo, le cure, l’educazione. Impegno e tutela dovuti in modo particolare alle famiglia che generano figli e garantiscono il futuro alla nostra società”. (A.D.C.)

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Paul Bhatti: Nobel Malala è "speranza per gli oppressi"

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È un “simbolo” per tutti quelli che lottano “per dare una speranza” per quanti “sono oppressi” ed è “bello vedere che il suo sforzo è stato apprezzato in tutto il mondo”. È la soddisfazione espressa da Paul Bhatti – il cattolico indiano ex ministro e leader di “All Pakistan Minorities Alliance” (Apma) – alla notizia del Nobel per la Pace assegnato ieri alla 17.enne pakistana, Malala Yousafzai, e all’attivista indiano, Kailash Satyarthi. Parlando con AsiaNews, Bhatti ha sottolineato che Malala “aveva tutte le carte in regola per vincere e lo merita” e oggi ancor più può diventare “esempio e forza per quanti vivono nella zona”, oltre che “un grande incoraggiamento” non solo per lei, ma per quanti lottano per i diritti in Pakistan. AsiaNews registra il commento positivo anche dell’attivista musulmano, Iftikhar Ahmed, coordinatore di “South Asia Partnership Pakistan (SAP-PK). A essere enfatizzato è il coraggio di Malala “contro la talebanizzazione e l'estremismo”. "È un modello femminile – osserva Ahmed – contro il fanatismo religioso”. Da parte sua, padre Iftikhar Moon, della parrocchia del Santo Rosario a Warispura (Faisalabad), parla di “momento di grande orgoglio per tutti i pakistani”, perché Malala “è una figlia della nostra terra" che ha saputo mettere a rischio la propria vita “per l'educazione femminile”. (A.D.C.)

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Argentina. Mons. Lozano: errore depenalizzare droghe leggere

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In Argentina è vivo il dibattito sulla depenalizzazione del possesso di droghe leggere per consumo personale, a favore del quale si sono già schierati il ministro e il segretario per la Sicurezza, Maria Cecilia Rodriguez e Sergio Berni. Ma il governo della presidente de Kirchner, riferisce la Fides, sta guardando con attenzione alla posizione dell’episcopato nazionale. In particolare, il presidente della Commissione dei vescovi argentini per la Pastorale sociale, mons. Jorge Lozano, vescovo di Gualeguaychú, ha preso posizione con un articolo sul quotidiano “La Nacion”. “Prima di pensare alla depenalizzazione – scrive il presule – si devono affrontare le questioni dell'inclusione sociale, rafforzare le pari opportunità e la lotta alle dipendenze”. Mons. Lozano considera priorità l’accesso all'istruzione e l’assistenza dei tossicodipendenti. “La Sedronar (l’organismo responsabile di coordinare le politiche nazionali per la lotta contro le dipendenze - ndr) sta sviluppando un programma per installare nel Paese 150 centri di prevenzione per le dipendenze e 60 case educativo-terapeutiche. Non si dovrebbe terminare questo capitolo appena iniziato – si chiede mons. Lozano – prima della depenalizzazione?”. Il presule stigmatizza anche “la lentezza nei processi per traffico di droga” – legata, dice, “alla mancanza di strumenti adeguati e di manovre legali immorali” – e chiede “di fornire alle forze di sicurezza strumenti adeguati di controllo, di garantire la trasparenza per smontare la corruzione, di definire leggi contro il riciclaggio di denaro”. Per una legge “così importante – conclude mons. Lozano – è necessaria una vasta inchiesta nazionale. Non può essere considerato il contributo di pochi nella città di Buenos Aires. Si dovrebbero convocare incontri pubblici in ogni provincia, e ascoltare molte altre organizzazioni: chiese, scuole, centri, istituti”.

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La Chiesa della Cambogia indice l'Anno speciale della carità

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La Chiesa della Cambogia vive uno speciale “Anno della Carità”. Ad annunciarne l’apertura è stato il Vicariato Apostolico di Phnom Penh, poche settimane dopo la fine del Sinodo diocesano celebrato dal 25 al 28 settembre scorso. Al Sinodo, informa la Fides, hanno partecipato circa 300 delegati di parrocchie, comunità, associazioni, Congregazioni religiose, impegnati a sviluppare il tema centrale dell’assemblea, quello della carità, declinata nelle due dimensioni della “carità di Dio” e della “carità verso il prossimo”. Riecheggiando Papa Francesco, mons. Olivier Schmitthaeusleur, vicario apostolico di Phnom Penh, ha affermato: “Se non diamo cibo ai poveri, siamo degli assassini” perché “il più grande peccato nella società di oggi è l’indifferenza verso il prossimo, soprattutto verso chi soffre o è nel bisogno”. Il presule ha poi auspicato che nella società cambogiana si riduca la distanza tra i pochi molto ricchi e i tanti poveri e si vivano valori come “la solidarietà, la cooperazione e la fraternità”. L’Anno della Carità, ha soggiunto mons. Schmitthaeusleur, aiuti a riscoprire questo impegno: “Cristo ci ha insegnato a servire. In quest’anno, Dio incoraggia la comunità ad avere rinnovato interesse e amorevole cura dei più poveri”. (A.D.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 284

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.