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Sommario del 12/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Se la Chiesa si ferma, si ammala: Papa Francesco ricorda missionari

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“Sono usciti a chiamare tutti, agli incroci del mondo”: così Papa Francesco ricorda mons. Francesco de Laval e la religiosa orsolina Maria dell’Incarnazione, due Santi missionari ed evangelizzatori, nati in Francia nel 17.mo secolo. Dopo la Canonizzazione equipollente che c’è stata il 3 aprile scorso, oggi Papa Francesco ha voluto per loro la Messa di ringraziamento in San Pietro. Ha ricordato l’esempio dei due missionari, considerati i fondatori della Chiesa in Quebec, sottolineando che tanti fratelli missionari continuano a vivere il Vangelo nel mondo anche a costo della propria vita, richiamando alla mente proprio i fratelli e sorelle morti in questi giorni. Il servizio di Fausta Speranza: 

“Se la Chiesa si ferma e si chiude si ammala”: questo il messaggio forte di Francesco che ricorda i missionari sottolineando la loro docilità allo Spirito Santo e il coraggio di andare agli incroci del mondo, per poi dare una definizione particolare di secolarismo:

“Se la Chiesa si ferma e si chiude si ammala si può corrompere, sia con i peccati sia con la falsa scienza separata da Dio, che è il secolarismo mondano.”

I missionari sono coloro che hanno il coraggio di vivere il Vangelo. Papa Francesco parla di fiducia nel Signore che chiama, per ricordarci l’esempio dei missionari che – sottolinea – hanno avuto il coraggio di andare agli incroci del mondo. “Sono usciti a chiamare tutti”, dice, “e così hanno fatto tanto bene alla Chiesa”. E dopo aver invitato la Chiesa a non fermarsi e non chiudersi, Papa Francesco ribadisce la missione della Chiesa:

“La missione evangelizzatrice della Chiesa è essenzialmente annuncio dell’amore, della misericordia e del perdono di Dio, rivelati agli uomini mediante la vita, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo”.

I missionari hanno rivolto lo sguardo a Cristo crocifisso, hanno accolto la sua grazia e non l’hanno tenuta per sé. Come San Paolo - dice il Papa - si sono fatti tutto a tutti. Hanno saputo vivere nella povertà e nell’abbondanza, nella sazietà e nella fame, tutto potevano in Colui che dava loro la forza:

“E con questa forza di Dio hanno avuto il coraggio di 'uscire' per le strade del mondo con la fiducia nel Signore che chiama. Così è la vita di un missionario e di una missionaria… per finire poi lontano da casa, dalla propria patria; tante volte uccisi, assassinati! Come è accaduto in questi giorni per tanti fratelli e sorelle nostri”.

“La memoria dei missionari ci sostiene nel momento in cui sperimentiamo la scarsità degli operai del Vangelo”, dice Francesco, ricordando la ricchezza di missionari canadesi che la Chiesa ha avuto ed esprimendo la sua preghiera perché “il Québec torni a essere la fonte di tanti santi missionari”:

“Che questa memoria non ci porti ad abbandonare la franchezza. Non abbandonare il coraggio! Forse - No, no, forse: è vero! - il diavolo è l’invidioso e non tollera che una terra sia così feconda in missionari. La preghiera al Signore perché il Québec torni su questa strada della fecondità, di dare al mondo tanti missionari. E questi due che hanno – per così dire – fondato la Chiesa del Québec ci aiutino come intercessori: che il seme che loro hanno seminato cresca e dia frutto di nuovi uomini e donne coraggiosi, di lungimiranza, col cuore aperto alla chiamata del Signore. Oggi, si deve chiedere questo per la vostra patria! E loro dal cielo saranno i nostri intercessori. Che il Québec torni ad essere quella fonte di bravi e santi missionari."

Poi, un invito concreto per tutti: “Rendere omaggio a chi ha sofferto per portarci il Vangelo  - spiega Francesco - significa portare avanti anche noi la buona battaglia della fede, con umiltà, mitezza e misericordia, nella vita di ogni giorno". E questo, è l’incoraggiamento del Papa, "porta frutto”.

E Papa Francesco chiude la sua omelia con la stessa certezza ricordata all’inizio delle sue parole: è la profezia di Isaia riportata nella liturgia odierna: “Il  Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”.

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Angelus. Il Papa: non riduciamo il Regno di Dio a una "chiesetta"

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Sconfinata e incapace di discriminare: così è la bontà di Dio, che offre la sua salvezza a tutti senza distinzioni. Lo ha ricordato Papa Francesco, all’Angelus celebrato dalla finestra del suo studio in Piazza S. Pietro. La Chiesa, ha detto il Papa, deve aprirsi alle periferie, non riducendo “il Regno di Dio a una chiesetta”. Il servizio di Alessandro De Carolis

La generosità ha i suoi confini, oltre i quali si estende quella di Dio. È la certezza che si ricava dal Vangelo della domenica, quello del banchetto di nozze del figlio del re, rifiutato con indifferenza e anche “fastidio” dagli invitati “prescelti”, e allora dilatato a sorpresa a chi non possedeva, per così dire, lo “status” per parteciparvi ma, rispetto e in definitiva molto più degli altri, ne aveva la dignità. Papa Francesco che ha appena ricordato, nella Messa in Basilica, che la Chiesa non è fatta per sedere staticamente sugli allori, ma per andare in missione dagli uomini dimenticati delle periferie, rilancia in modo analogo il concetto all’Angelus, partendo dalla “bontà di Dio” che – ricorda – “non ha confini e non discrimina nessuno”, perché è fatta di “gratuità, “larghezza” e “universalità”. E dunque, come il re del brano evangelico, Dio non “interrompe” mai il suo progetto di salvezza, anche se qualcuno dei “chiamati” gli volta le spalle:

“Di fronte al rifiuto dei primi invitati Egli non si scoraggia, non sospende la festa, ma ripropone l’invito allargandolo, allargandolo oltre ogni ragionevole limite e manda i suoi servi nelle piazze e ai crocicchi delle strade a radunare tutti quelli che trovano. Si tratta di gente qualunque, poveri, abbandonati e diseredati, addirittura buoni e cattivi - anche i cattivi sono invitati - senza distinzione. E la sala si riempie di ‘esclusi’. Il Vangelo, respinto da qualcuno, trova un’accoglienza inaspettata in tanti altri cuori”.

A chiunque, afferma Papa Francesco, “è data la possibilità di rispondere” all’invito di Dio. E viceversa, “nessuno – sottolinea – ha il diritto di sentirsi privilegiato o di rivendicare un’esclusiva”:

“Tutto questo ci induce a vincere l’abitudine di collocarci comodamente al centro, come facevano i capi dei sacerdoti e i farisei.  Questo non si deve fare: noi dobbiamo per aprirci alle periferie, riconoscendo che anche chi sta ai margini,  addirittura colui che è rigettato e disprezzato dalla società è oggetto della generosità di Dio”.

E avere una generosità come quella di Dio – che arriva a guardare chi normalmente è un invisibile – impedisce, insiste il Papa, di incappare anche in un altro tipo di errore:

“Tutti siamo chiamati a non ridurre il Regno di Dio nei confini della ‘chiesetta’: la nostra ‘chiesetta” piccoletta… Non serve questo! Ma a dilatare la Chiesa alle dimensioni del Regno di Dio. Soltanto una condizione: indossare l’abito nuziale, cioè testimoniare la carità concreta a Dio e al prossimo”.

Papa Francesco ha poi affidato alla protezione della Madonna i lavori del Sinodo sulla famiglia e, insieme, “i drammi e le speranze” dei tanti fratelli e sorelle “esclusi, deboli, rigettati, disprezzati”, compresi quelli – ha soggiunto – che sono perseguitati a motivo della fede. Altri saluti sono stati indirizzati dal Papa a vari gruppi internazionali, con un grazie particolare ai polacchi autori di “speciali opere di carità in occasione della ‘Giornata del Papa’”.

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Alluvione Genova. Il Papa: sono vicino alle vittime

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Alla popolazione genovese duramente colpita dall’alluvione è andato il pensiero del Papa, che oggi al termine dell’Angelus in Piazza San Pietro ha ricordato Genova e l’ha affidata alla sua Patrona, la Madonna della Guardia. In città, intanto, questa mattina hanno ripreso a spalare, gli “angeli del fango”, i giovani volontari impegnati ad aiutare residenti e commercianti a tornare alla normalità. Il servizio di Roberta Barbi

“In questo momento, il nostro pensiero va alla città di Genova un'altra volta duramente colpita dall’alluvione. Assicuro la mia preghiera per la vittima e per quanti hanno subito gravi danni. La Madonna della Guardia sostenga la cara popolazione genovese nell’impegno solidale per superare la dura prova. Preghiamo tutti insieme la Madonna della Guardia”.

Ave Maria...

Preghiera e impegno: come dice Papa Francesco ci vogliono entrambi per far risollevare la città di Genova colpita dalla nuova, ennesima alluvione. Dopo una notte in cui è piovuto ma senza emergenze, il sindaco Marco Doria ha fatto un sopralluogo nelle zone alluvionate in cui ha incontrato cittadini e commercianti, ricevendo anche qualche contestazione. E mentre arriva dall’autopsia la conferma che l’infermiere in pensione, unica vittima del disastro, è morto per annegamento, si fa la conta dei danni tra polemiche, lungaggini burocratiche e la minaccia di una nuova perturbazione che incombe sulla Liguria, dove arriverà già stasera. Anche la Chiesa, con lo stanziamento di un milione di euro da parte della Cei, è in prima linea: lo ha ricordato il presidente e arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, che ieri ha lasciato il Sinodo per raggiungere Genova e che ha annunciato per la prossima domenica una raccolta di fondi in tutte le parrocchie. “È importante far sentire la vicinanza ai cittadini – ha detto – la gente è percossa ma non piegata, ha voglia di riscatto e chiede di non essere lasciata sola”. Sul fronte economico, il porporato ha definito “non da Paese civile” il fatto che esistano delle risorse stanziate, ma bloccate da liti interne, mentre si augura che la politica dia seguito alle promesse fatte e “abbia il coraggio di semplificare la burocrazia e avviare subito interventi urgenti”. “La gente vive ogni giorno – ha concluso – e non può attendere”.

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Iraq, violenze Is. Mons. Sako: cristiani sfollati testimoni di Cristo

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Ancora violenza in Iraq per mano dei jihadisti dell’Is: oggi almeno 20 morti si registrano nella città curda di Qara Tapah, a causa dell’esplosione di tre autobombe, mentre in altrettanti attacchi nella capitale Baghdad sono rimaste uccise 38 persone. Nel Paese prosegue l’esodo delle famiglie cristiane che rifiutano di convertirsi all’Islam e si trovano a essere, quindi, sfollati nella propria patria, come racconta, al microfono di Olivier Bonnel, il patriarca di Babilonia dei Caldei, mons. Louis Raphael Sako, presente al Sinodo sulla famiglia: 

R. – Tous ces familles là, qui ont été déplacé de leurs maisons…
Tutte queste famiglie che sono sfollate, sono state costrette a lasciare le loro case perché si sono rifiutate di convertirsi all’islam: si tratta di veri testimoni di Cristo perché hanno confessato pubblicamente la loro fede. E’ per questo che i Padri sinodali hanno voluto inviare un messaggio di incoraggiamento e di gratitudine a tutte queste famiglie che hanno custodito la loro fede, nonostante tutte le difficoltà e tutte le pressioni.

D. – Cosa si può fare perché la situazione possa cambiare?

R. – C'est-à-dire, regardant toute la politique internationale…
Questo riguarda tutta la politica internazionale: ci sono presidenti, uomini politici che dicono che tutto questo proseguirà per tre anni e forse più… Questo è veramente scoraggiante! Ma credo che oggi ci sia una speranza in più, perché forse in Iraq la situazione ora potrà cambiare con il nuovo governo e anche perché l’esercito curdo, rifornito di armi dalla comunità internazionale, si è rafforzato. Io credo he sia necessario un intervento sul terreno per liberare i villaggi di questi cristiani e di queste altre minoranze, così che possano ritornare nelle loro case. Non bisogna incoraggiare le migrazioni!

D. – Quindi, lei pensa a un intervento di terra della comunità internazionale per sradicare lo Stato islamico…

R. – Je vois que c'est un peu lent. Puis il y a les intérêt…

Io credo sia un po’ lenta, ma ci sono gli interessi… E’ tutto molto complicato. E questo non è un bene per queste popolazioni. La comunità internazionale cerca i suoi interessi economici, senza rendersi conto – e forse quando lo farà sarà troppo tardi – che questi gruppi fondamentalisti rappresentano un rischio per il mondo intero.

D. – Cosa si aspettano le famiglie cristiane irachene da questo Sinodo?

R. – Bien sûr, on attend beaucoup...
Certamente, si attendono molto e sperano che la Chiesa aggiorni anche gli insegnamenti. Bisogna preparare le famiglie a vivere un ideale cristiano forte e chiaro. Ci si aspetta dal Sinodo un messaggio che sia breve, chiaro, molto solido e comprensibile perché le famiglie possano vivere la loro fede e il Vangelo della gioia nella loro vita quotidiana, nonostante tutte le difficoltà. Ci sono grandi temi, come amore, fedeltà, pazienza e anche sacrificio: il matrimonio non è una felicità egoista… E’ qualcosa più grande! E’ formare una famiglia che sia immagine del Dio Trinitario.

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Sinodo. Mons. Kondrusiewickz: nuovi linguaggi per arrivare a tutti

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La crisi della società è un riflesso della crisi della famiglia e della fede. Occorre promuovere con un nuovo linguaggio la proposta cristiana sulla sacralità della vita e del matrimonio. Questa una della considerazioni condivise dai Padri sinodali riuniti in questi giorni in Vaticano. Ascoltiamo in proposito, al microfono di Paolo Ondarza, la riflessione di mons. Tadeusz Kondrusiewickz, arcivescovo di Minsk-Mohilev, vicepresidente della Conferenza episcopale bielorussia: 

R. – Dobbiamo iniziare a curare la nostra società dalla cura alle famiglie.

D. – Si sottolinea come, tra molti fedeli, non ci sia una grande conoscenza dell’insegnamento della Chiesa, soprattutto per quanto riguarda i temi della vita, dell’apertura alla vita. Che cosa si può dire a riguardo? Occorre una nuova strategia di comunicazione?

R. – Questo è vero. Da quanto riferiscono i vescovi, e da come si vede nella vita quotidiana in tanti Paesi, la società non conosce l’insegnamento sociale della Chiesa soprattutto quello che riguarda la famiglia. Ma dall’altra parte la mia domanda io sono nato nell’ex Unione Sovietica e cresciuto durante i tempi dell’ateismo  Neanche i miei genitori sapevano queste cose, ma per loro la famiglia era una cosa molto sacra. Il problema delle famiglie è anche il problema della nostra fede. Nel mondo, la crisi della fede si ripercuote sulle famiglie. Ma riguardo alla Dottrina sociale, nell’Est si dice che per curare e migliorare il mondo bisogna iniziare a curare se stessi. Dobbiamo presentare questa Dottrina alla gente forse con un nuovo linguaggio, soprattutto ai giovani, anche attraverso l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione.

D. - La "Humanae vitae" di Paolo VI così come l’Esortazione "Familiaris Consortio" restano dei punti di riferimento per l’evangelizzazione di oggi…

R. - Certamente. Quella era un’Enciclica epocale. Anche oggi dobbiamo prendere questo insegnamento della Chiesa come una cosa molto seria e molto attuale. La vita è vita sempre!

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Il card. André Vingt Trois: al Sinodo parliamo senza paure

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La prima settimana del Sinodo, appena conclusa, si era aperta lunedì scorso con l’invito rivolto da Papa Francesco ai Padri sinodali a parlare con franchezza, senza pavidità e ad ascoltare con umiltà, con cuore aperto. Su questo si sofferma al microfono del nostro inviato Paolo Ondarza, il cardinale  André Vingt Trois, arcivescovo di Parigi : 

R. – Le parole del Papa sono parole molto incoraggianti, perché lui ci ha chiamato a parlare nella verità, senza paura e ad ascoltare gli altri con rispetto. Queste sono le condizioni della Sessione del Sinodo, che sarà fruttuosa, perché potremo ascoltare posizioni diverse e potremo dire quello che conosciamo in base alla nostra situazione, nelle nostre Conferenze episcopali.

D. – Questa libertà è una caratteristica importante della sinodalità...

R. – Sì. Papa Paolo VI ha creato questa istanza del Sinodo quasi 40 anni fa. La Chiesa ha cercato e ha trovato le modalità per porre in essere questa creazione.

D. – Quando pensa alle sfide pastorali sulla famiglia, cosa le viene in mente principalmente?

R. – Sono molte questioni, perché vediamo bene che in tutto il mondo le situazioni non sono identiche. Le preoccupazioni dei Paesi dell’Europa occidentale o del mondo occidentale non sono le stesse di quelle dei Paesi del Sud. Dobbiamo tenere conto della totalità della Chiesa e non solamente dei problemi dell’Europa occidentale. Dobbiamo ben considerare che in molti Paesi dell’Asia le donne sono obbligate a partire, per trovare denaro per la loro famiglia. In Francia, vedo molte donne africane che sono madri e non hanno marito e devono educare due o tre figli.

D. – Tocca appunto il problema questo dell’emigrazione di tante donne, che si trovano lontane dai figli. Anche verso queste situazioni c’è una sollecitudine da parte della Chiesa?

R. – Sì, è questa la miseria di molti Paesi, come vediamo in Asia o in Africa.

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Card. Parolin: fermare Is con intesa multilaterale in sede Onu

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“La gravità della situazione” in Medio Oriente, causata dall'offensiva del sedicente Stato islamico, “esige risposte altrettanto articolate e complesse". L’aggressore "si deve cercare di fermare in tutti i modi". Sono dichiarazioni rese ieri all’Agenzia Ansa dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che ha precisato che soluzioni “concrete” per questa crisi vanno determinate in sede Onu. Riferendo della “preoccupazione” del Papa per le vicende dell’area mediorientale, il cardinale Parolin ne ha ribadito la posizione secondo cui l'uso della forza è da considerarsi legittimo se mirato all'obiettivo di fermare l'aggressore e se stabilito in un contesto internazionale multilaterale.

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Sassari. Beatificato padre Zirano. Il Papa: eroe del Vangelo

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Questa domenica è stato beatificato a Sassari, padre Francesco Zirano, dei Frati Minori Conventuali, martirizzato in Algeria nel 1603. All’Angelus, Papa Francesco lo ha definito come “eroico testimone del Vangelo” e il suo sacrificio “un atto di grande eloquenza, specialmente nell’attuale contesto di spietate persecuzioni contro i cristiani”. A rappresentare il Papa a Sassari, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Sergio Centofanti

Un martire di 400 anni fa che parla ancora oggi. Nato a Sassari nel 1564, in una famiglia contadina di profonda fede, padre Zirano entra nell’Ordine francescano dei Frati Minori Conventuali e a 22 anni è sacerdote. Ha una grande devozione per la Madonna. Nel 1590 un suo cugino e confratello, padre Francesco Serra, viene catturato dai corsari musulmani sbarcati in Sardegna e condotto schiavo ad Algeri. E’ la svolta della sua vita. Lascia la tranquillità del convento e, autorizzato da Papa Clemente VIII, percorre tutta la Sardegna raccogliendo le offerte per il pagamento del riscatto: parte dunque per l’Algeria nel tentativo di liberare il cugino e altri cristiani. Arrestato, viene condannato a morte senza alcun processo. Rifiuta decisamente la proposta dell'abiura, esortando anzi i suoi compagni di prigionia a rimanere saldi nella fede in Cristo. Ai suoi persecutori risponde: “Sono cristiano e religioso del mio padre San Francesco e come tale desidero morire. E supplico Dio che vi illumini affinché lo conosciate”. Chiede di essere confessato prima di morire, ma gli è negato. L'esecuzione avviene il 25 gennaio del 1603: padre Zirano – aveva 39 anni - è scorticato vivo a cominciare dalla testa per mano di un cristiano rinnegato di origine greca. Ascoltiamo il cardinale Angelo Amato:

“Padre Francesco si sottopose al supplizio, come un mite agnello, invocando il nome di Gesù, della Madonna e recitando i Salmi. Secondo la narrazione di testi oculari, il nostro martire morì sfinito dalla tortura, gridando al Signore di accogliere il suo spirito. La sua pelle, imbottita di paglia, fu esposta alla pubblica profanazione presso una porta della città”.

Padre Serra, riesce in seguito a ritrovare la libertà e a dare degna sepoltura alle spoglie del cugino. Il martirio di padre Zirano è ancora attuale, afferma il cardinale Amato:

“Ancora oggi è questo l'atteggiamento dei cristiani di fronte alla persecuzione e al martirio che quotidianamente si abbatte, anche in questo nostro ventunesimo secolo, sulla Chiesa e sui cristiani. Il Beato Francesco ci aiuti a pregare e a perdonare, ma non a dimenticare. Non si devono più ripetere tali eventi disumani”.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina. Mosca ritira truppe. Mons. Schevchuk: vogliamo libertà

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Il presidente russo, Vladimir Putin, ha ordinato oggi il ritiro delle truppe russe schierate nell’area meridionale di Rostov, al confine con l’Ucraina. Ad annunciarlo è il Cremlino. Intanto, nonostante la tregua di Minsk, si continua a morire a Donetsk. Nelle ultime 24 ore, hanno perso la vita tre civili e altri quattro sono rimasti feriti. In agenda, il prosimo 16 ottobre  a Milano, l’incontro tra il presidente ucraino, Poroschenko, e il suo omologo russo Putin, per una nuova ripresa di negoziati. Sulla situazione in Ucraina, padre Taras Kotsur ha intervistato l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk: 

R. – Adesso, in Ucraina, stiamo vivendo tre realtà. Un grande dolore: ogni giorno, infatti, anche questo mese, dopo che è stata dichiarata la tregua, più di 50 soldati ucraini e molti civili sono stati uccisi. Anche a livello internazionale non si è riusciti a passare dalla tregua alla pace. Questo è il primo grande bisogno e desiderio che abbiamo. Il secondo desiderio è la libertà e la dignità. Vediamo in questi territori di confine nuovi campi di concentramento, nuove fosse comuni, sono annunciate liste di persone destinate a essere uccise... Sono atrocità. C’è un grande desiderio di libertà. Terzo, la speranza. Anche se viviamo questo periodo di dolore, noi abbiamo la speranza, siamo cristiani. Questa nuova Ucraina che sta nascendo nel dolore è un’Ucraina, una società che include nel concetto stesso della nazione ucraini, russi, ebrei, polacchi, ungheresi, tutti quelli che vivono in Ucraina: cattolici, ortodossi, musulmani, protestanti ed ebrei. È una nuova nazione che sta nascendo e questo ci dà veramente una grande speranza.

D. – In che modo la comunità internazionale potrebbe aiutare la riconciliazione nel Paese?

R. – Questa è una domanda che bisogna fare agli stessi diplomatici e politici. Il dovere di noi cristiani, di noi vescovi, è essere portavoce di questo desiderio del popolo ucraino e, dall’altra parte, aiutare a costruire alcuni fondamenti. Secondo me, bisogna fare ogni sforzo di mediazione di pace, per far cessare il fuoco non a livello delle dichiarazioni, ma a livello pratico, come primo passo. Poi, bisogna sottolineare che l’Ucraina ha scelto l’integrazione nell’Unione Europea. Siamo un Paese europeo e come tale vogliamo essere riconosciuti e difesi.

D. – C’è un appello particolare che vorrebbe fare attraverso il microfono della Radio Vaticana?

R. – Anzitutto, vorrei ringraziare tutti gli italiani per la preghiera e la solidarietà, perché la Conferenza episcopale italiana aveva annunciato una domenica di preghiera per la pace in Ucraina. E colgo questa occasione per ringraziare tutti quelli che hanno pregato e pregano per la pace. Chiediamo solidarietà, perché adesso l’Ucraina sta affrontando il fenomeno dei rifugiati. Abbiamo quasi mezzo milione di rifugiati ucraini. Adesso, nel Sinodo della famiglia bisogna ricordare che anche la Sacra Famiglia ha vissuto un periodo di esilio ed è stata rifugiata. Ringraziamo, quindi, sia per la preghiera sia per la solidarietà.

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Elezioni in Bosnia ed Erzegovina. Mons. Sudar: un Paese diviso

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Si sono aperte questa mattina alle sette ora locale le urne per le elezioni generali in Bosnia ed Erzegovina, dove la popolazione è chiamata alle urne per rinnovare tutti gli organi di potere centrali e regionali. Poche le aspettative degli elettori in un Paese che attraversa una grave crisi economica e su cui gravano ancora profonde divisioni etniche e politiche. A rilento anche il difficile processo d’integrazione nell’Unione Europea. Il servizio di Marco Guerra

3,2 milioni di elettori dovranno eleggere i tre componenti della presidenza tripartita – un musulmano, un serbo e un croato – i deputati al parlamento centrale e quelli delle due entità che costituiscono il Paese, la Repubblica Srpska, a maggioranza serba, e la Federazione della Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza croato-musulmana. In quest’ultima, si vota anche per i consigli dei cantoni. Le elezioni si svolgono in un clima privo di aspettative e in una situazione socioeconomica sempre più depressa, anche a causa di uno stallo istituzionale dovuto proprio alla complessità del sistema politico, che alimenta la disaffezione dei cittadini. Unico elemento di novità è la lotta interna alla Republika Srpska, dove il dominio di Milorad Dodik – ininterrottamente al potere dal 2002 prima come premier e poi come presidente dell’entità – potrebbe avviarsi alla conclusione. Si pronostica infatti un testa a testa per la poltrona serba della presidenza statale, tra il candidato del partito socialdemocratico di Dodik, Željka Cvijanović, oggi primo ministro della Srpska, e l’esponente dell’opposizione unita, Mladen Ivanić, un politico esperto e di lungo corso. Sulla situazione, l'opinione dell’arcivescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar:

R. – Con i problemi non risolti ma fondamentali, che si protraggono già da dopo la guerra, la Bosnia ed Erzegovina purtroppo – e questo si è verificato in tutte le elezioni che si sono tenute finora – non trova ancora uno sbocco, un modo di indirizzarsi su una strada che la porti ad una prosperità. Purtroppo, il Paese è molto diviso politicamente, ma anche territorialmente, è un Paese pieno di contraddizioni. Tutto questo si riflette anche su questa campagna elettorale. C’è una "acidità" di fondo, che mi sembra sempre più contaminare la nostra gente, che non vede la prosperità, che non vede futuro. Questo è il peso più grande che si sente ovunque ci si muova.

D. – Come guarda all’Europa il Paese? C’è un processo d’integrazione? C’è speranza nel guardare all’Europa?

R. – Sì. Direi che c’è il desiderio, ma c’è anche una certa rassegnazione perché in questi quasi 20 anni, dopo la fine della guerra, non si è fatto molto, non si è ancora aperto il processo di integrazione. Siamo, fra tutti i Paesi che aspirano all’ingresso nella Comunità europea, all’ultimo posto, nonostante ci sia un grande desiderio e un grande bisogno di far parte della Comunità europea. Purtroppo, il nostro bagaglio politico, i risentimenti della guerra e le ingiustizie compiute ci rendono prigionieri. Neppure l’Europa trova iniziative che potrebbero suscitare un effetto visibile e tangibile. Quindi, da una parte c’è il desiderio e dall’altra c’è la rassegnazione, perché non si vede alcun successo in questo senso.

D. – Il mosaico interetnico della Bosnia ed Erzegovina ha trovato una sua stabilità?

R. – Sembra che più passi il tempo e più queste divisioni sentano. Queste divisioni servono per far rimanere al potere certi gruppi, certi partiti che purtroppo non vedono nel loro interesse la riconciliazione. Bisogna tenere presente che la disoccupazione è quasi al 56% e c’è tanta gente che vive veramente sotto la soglia della povertà: tutto questo favorisce questa divisione e nonostante i tanti impegni e nonostante i tanti tentativi di molti gruppi, delle Chiese e delle comunità religiose, purtroppo non si vedono passi positivi sulla strada della riconciliazione del Paese, sia politica sia territoriale. Noi rimaniamo purtroppo un Paese diviso e la divisione territoriale è stata anche imposta: due organizzazioni politicamente del tutto diverse, ma anche diverse nella visione del futuro: direi non soltanto diverse, ma opposte. Certamente, questo impedisce qualsiasi iniziativa per cercare di fare qualcosa di positivo nel senso comune, di tutto il Paese… Certo, questa divisione politica impedisce tutto il resto! E molti sfruttano tutto questo per i loro interessi…

D. – La Chiesa, invece, cosa chiede? Qual è l’apporto della Chiesa cattolica alla società?

R. – Bisogna dire che la Chiesa in Bosnia ed Erzegovina è sempre più debole, sempre più povera… Forse una forza morale, questo sì. La Conferenza episcopale ha lanciato un appello ad andare alle urne, a votare secondo la propria coscienza e a guardare a coloro che si candidano, cercando di votare chi almeno dia l’impressione di essere capace, ben disposto a fare qualcosa per il bene comune. Certamente, la Chiesa continua a essere aperta al dialogo interreligioso, all’ecumenismo e allo stare accanto alla povera gente.

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Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down

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Domenica 12 ottobre è la Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down. In oltre 200 piazze, i volontari offriranno un “messaggio” di cioccolato in cambio di un contributo. I fondi raccolti, dato che quest’anno il tema della Giornata è “l’autonomia”, serviranno a sostenere progetti di integrazione dedicati ai ragazzi tra i 14 e i 25 anni. Benedetta è una di questi: ha 23 anni e ha fatto il suo percorso di autonomia. La sua storia nel servizio di Gabriella Ceraso: 

Valeria è una mamma romana che, col sostegno della famiglia, delle associazioni e di alcuni insegnanti, è riuscita a creare per Benedetta, sua figlia, che ha la Sindrome di Down, un percorso fatto di scuola e lavoro, che non sono solo diritti, ma strumenti indispensabili per migliorare la vita di questi ragazzi:

R. – Migliorare la qualità della vita vuole dire non trovare resistenze tra la gente, vuol dire integrazione nelle scuole e integrazione nel mondo del lavoro, perché loro hanno necessità – come tutti – di farsi una famiglia, di avere una vita propria.

D. – E’ vero che, se seguiti, questi ragazzi sviluppano ancor di più potenzialità di autodeterminazione, che sono così importanti?

R. – Le dirò di più: lasciati a se stessi regrediscono…

D. – Quindi, significa studiare con loro, significa insegnargli ad andare in giro per una grande città, a gestirsi da soli?

R. – Questo è un lavoro che ha impostato l’Associazione italiana persone down e alla quale ho aderito in pieno, dando carta bianca. Studiare con loro vuol dire porre dei traguardi. Benedetta ha fatto l’esame di terza media senza avere un programma differenziato. Ha fatto il Liceo scientifico e adesso sta facendo un ennesimo tirocinio… E’ autonoma pienamente! Però, mi pare di poter dire che la cosa principale e fondamentale su cui basare questo è il loro accettare la diversità. Perché loro sono più forti una volta che la hanno accettata.

D. – Ai genitori che possono essere impauriti, lei con la sua esperienza cosa direbbe?

R. – Di accettare con gioia, perché è un dono! Un bambino con la Sindrome di Down ti dà tantissimo! Di appoggiarsi, ovviamente, a persone che hanno avuto in passato questa esperienza, senza mai, mai, mai mollare! Bisogna crederci insieme, sì.

E Benedetta questo percorso lo ha fatto. E' forte, ha le idee chiare sul futuro e sul suo lavoro:

R. – A me piace tantissimo il lavoro che sto facendo. Il rapporto con i miei collegi va benissimo! Mi sento bene, mi sento come se fossi in famiglia.

D. – Che cosa sogni per il futuro?

R. – Per il futuro, vorrei avere un lavoro tutto mio.

D. – Quanto ti ha aiutato la tua famiglia?

R. – Mi hanno aiutato tantissimo nella mia autonomia e nel farmi crescere ancora di più, perché l’autonomia e il fare le cose da sola, andare in giro e prendere gli autobus da sola, fare la spesa… Per me l’autonomia è tutto!

D. – Hai mai avuto paura di confrontarti con gli altri?

R. – Quello mai!

D. – E se dovessi dire qualcosa ai ragazzi che hanno paura di affrontare il mondo, che cosa gli diresti?

R. – Posso dire studiate tanto e di avere coraggio nell’affrontare la loro vita, la loro strada.

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Napoli. Concluso il Forum GreenAccord "Sfamare il mondo"

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Nel 2050, avremo un mondo popolato da più di nove miliardi di persone, con la domanda di cibo che crescerà del 60%. Per affrontare tutto ciò, dobbiamo tornare alla sobrietà ed eliminare gli sprechi di cibo. Con questo obiettivo, ieri pomeriggio gli oltre 100 giornalisti riuniti a Napoli, hanno concluso l’XI Forum internazionale dell’informazione per la Salvaguardia del Creato, iniziato lo scorso mercoledì. L’incontro promosso da Greenaccord, ha avuto come tema "Sfamare il mondo. Alimentazione, agricoltura e ambiente”. Marina Tomarro ha intervistato Alfonso Cauteruccio, presidente dell’associazione onlus: 

R. – Tutti vogliamo un mondo senza persone che soffrono la fame e tantomeno malnutriti, che sono ancora tanti. Noi vogliamo che sia un mondo più solidale e soprattutto più aperto alla condivisione, non di solo pane: il pane da simbolo di condivisione è diventato simbolo di divisione, addirittura. E questo non lo possiamo accettare. Il cibo deve diventare occasione di condivisione, di fratellanza, di solidarietà, come ha invitato a fare anche Papa Francesco.

D. – In che modo si può mettere in pratica questo “non sprecare il cibo”? Quali sono i consigli pratici?

R. – Innanzitutto, stare attenti a come si fa la spesa, a come si gestisce il frigo, che è poi la cosa più importante, ma soprattutto badare alla “preferenza”, perché la preferenza non significa scadenza. Quindi, quando abbiamo cibi che sono con la data di preferenza passata, non è detto che siano cibi da buttare via. Essere quindi molto attenti a questo, perché si raccoglie un sacco di cibo buttato via che è ancora buono. Stare attenti anche a non privilegiare confezioni maxi, che poi non vengono consumate: con l’abbaglio del risparmio si ottiene, invece, che si producano altri rifiuti e che si butti del cibo buono.

All’incontro, hanno partecipato oltre 100 giornalisti provenienti da 50 Paesi diversi. Il commento di Catiana Murillo, dalla Costa Rica:

R. – Per me, è stata una cosa molto importante venire qui e non soltanto per parlare dei problemi che ci sono nel mondo, perché è vero che i governi devono fare di più, le organizzazioni, ma faccio mia l’idea che anche noi, ognuno di noi, è responsabile di quello che succede nel mondo. Come consumatori noi possiamo decidere veramente cosa fare col nostro cibo, cosa scegliere e come condividerlo. E’ una cosa molto importante! Tutto dipende da noi e da cosa possiamo fare per cambiare. Se ognuno di noi farà questo, ci sarà un cambiamento molto importante.

D. – Tu vieni dalla Costa Rica: in che modo viene affrontato il problema dello spreco del cibo?

R. – Noi siamo produttori. In America Latina, c’è una grande estensione di terra per produrre e questo è importante per noi ma rappresenta – allo stesso tempo – anche una grande sfida. Noi, ad esempio, siamo molto vicini agli Stati Uniti e questo vuol dire prendere anche un po’ lo stile di vita. Ma questo non va bene per niente. Bisogna essere attenti e sapere quali siano le necessità e la maniera in cui, proprio come consumatori, possiamo anche cambiare. Non possiamo andare ancora avanti con questo stile di vita, che ci ha portato a tutto questo spreco che c’è. E’ una cosa che dobbiamo cambiare!

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Nella Chiesa e nel mondo



Al Cairo la Conferenza dei donatori per la Striscia di Gaza

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212 milioni di dollari dagli Stati Uniti e 450 milioni di euro dall’Unione Europea per il 2015: sono questi i fondi stanziati per la ricostruzione della Striscia di Gaza dalla Conferenza dei donatori in corso oggi al Cairo e alla quale partecipano le delegazioni di 50 Paesi e almeno 30 ministri degli Esteri. Ad aprire i lavori, il presidente egiziano, al Sisi, che ha lanciato un appello a Israele affinché ponga fine al conflitto con i palestinesi. Subito dopo, l’intervento del presidente dell’Anp, Abu Mazen, che ha ricordato come Gaza abbia sempre pagato un prezzo altissimo in questa guerra: duemila morti e decine di migliaia di case distrutte solo nell’ultima offensiva. “Gaza continua a essere una polveriera e la gente ha bisogno di vedere risultati concreti nella quotidianità”, ha detto il segretario generale dell’Onu, Ban-ki-moon, nel suo appello alle parti perché con coraggio trovino finalmente una soluzione, e contemporaneamente ha invitato a includere nel processo di pace un’indagine su eventuali violazioni dei diritti umani da entrambe le parti. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha annunciato che i fondi statunitensi serviranno per la ricostruzione. Saranno utilizzati soprattutto per aiutare le famiglie in difficoltà, invece, quelli promessi dal capo della diplomazia europea, Catherine Ashton. (R.B.) 

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Ebola. Nuovo caso in Usa; Fmi: non isolare i Paesi africani

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Le autorità statunitensi hanno annunciato oggi un nuovo caso di Ebola in Texas: si tratterebbe di un operatore sanitario che avrebbe assistito il “paziente zero” registrato negli Usa, Thomas Duncan. L’operatore sarebbe risultato positivo a un test preliminare sul virus effettuato ad Austin, ma si attendono le conferme da nuovi test di Atlanta. Intanto, l’epidemia continua a colpire, non solo dal punto di vista delle perdite umane, ma anche dal punto di vista economico. L’allarme viene lanciato dal Comitato per lo sviluppo della Banca Mondiale, che nel comunicato diffuso al termine della sua riunione annuale a Washington chiede “un’azione decisa e coordinata e sostegno finanziario” per i Paesi africani colpiti dal virus, cioè Sierra Leone, Liberia e Guinea. Gli fa eco il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde: “L’epidemia va fermata, contenuta, ma senza discriminazioni”. (R.B.)

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Proteste a Hong Kong, capo del governo rifiuta le dimissioni

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Non si placa la protesta a Hong Kong, dove centinaia di manifestanti restano accampati per strada nella notte, bloccando di fatto le comunicazioni nei distretti di Admiralty e Causeway Bay, sull’isola e nel quartiere Mong Kok. Le proteste che stanno proseguendo sono animate per lo più dagli studenti, dopo che il governo ha annullato il colloquio previsto con il loro leader, Joshua Wong. La loro richiesta è che Pechino rinunci a scegliere i candidati per le prossime elezioni del governo di Hong Kong, che si svolgeranno nel 2017 e saranno le prime a suffragio universale. Ai gruppi di studenti, per chiedere un nuovo processo democratico, si sono uniti da tempo movimenti di disobbedienza civile come "Occupy Central", il cui capo, Benny Tai, sostiene che Hong Kong possa essere un esperimento all’interno della Cina, una zona democratica speciale, e ribadisce di non voler sovvertire il governo cinese né sfidare la sovranità di Pechino. Intanto, il capo del governo di Hong Kong, Leung Chun-ying, è tornato a respingere l’invito a dimettersi e ha dichiarato che i manifestanti non hanno “nessuna possibilità” di influenzare Pechino, aggiungendo che i leader della protesta ne avrebbero “perso il controllo”. (R.B.)

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India. Ciclone nell’Andhra Pradesh, 3 morti

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Il ciclone "Hudhud", classificato come “molto forte”, sta investendo in queste ore lo Stato dell’Andhra Pradesh, nell’India orientale, e la città portuale di Visakhapatnam. Finora, secondo i bollettini forniti dalle autorità locali, sono tre le vittime dei violentissimi venti che soffiano anche fino a 200 km all’ora e delle ingenti piogge. Due persone sono rimaste schiacciate dalla caduta di alberi, la terza è rimasta sotto un muro crollato a causa dell’acqua. Gravi i danni alla rete elettrica in tutta l’area. Il primo ministro ieri sera ha presieduto una riunione per la coordinazione dei soccorsi nella zona, dove sono già state evacuate circa 500 mila persone, mentre alle altre – stando alle previsioni meteo che non promettono nulla di buono – è stato vivamente raccomandato di restare nelle case o comunque in luoghi sicuri e in particolare ai pescatori è stato consigliato di rimanere a terra. La costa orientale dell’India purtroppo non è nuova a tempeste di questa entità, che colpiscono soprattutto tra aprile e novembre. (R.B.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 285

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.