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Sommario del 14/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: no a una fede "cosmetica", conta la carità concreta

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La nostra è una “vita cristiana di cosmetica, di apparenza o è una vita cristiana con la fede operosa nella carità?”. La domanda è stata posta da Papa Francesco al termine dell’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta. La fede, ha affermato il Papa, “non è soltanto recitare il Credo”, ma chiede di staccarsi da avidità e cupidigia per saper donare agli altri, specie se poveri. Il servizio di Alessandro De Carolis

La fede non ha bisogno di apparire, ma di essere. Non ha bisogno di essere ammantata di cortesie, specie se ipocrite, quanto di un cuore capace di amare in modo genuino. Papa Francesco si rifà al Vangelo del giorno – quello del fariseo che si stupisce del Maestro che non compie le abluzioni prescritte prima di mangiare – per ripetere che Gesù “condanna” quel tipo di “sicurezza” tutta incentrata nel “compimento della legge”:

“Gesù condanna questa spiritualità della cosmetica, apparire buoni, belli, ma la verità di dentro è un’altra cosa! Gesù condanna le persone di buone maniere ma di cattive abitudini, quelle abitudini che non si vedono ma si fanno di nascosto. Ma l’apparenza è giusta: questa gente alla quale piaceva passeggiare nelle piazze, farsi vedere pregando, ‘truccarsi’ con un po’ di debolezza quando digiunava… Perché il Signore è così? Vedete che sono due gli aggettivi che usa qui, ma collegati: avidità e cattiveria”.

“Sepolcri imbiancati” dirà di loro Gesù nell’analogo passo del Vangelo di Matteo, calcando su certi atteggiamenti, da Lui definiti con durezza come “immondizia”, putredine”. “Date piuttosto in elemosina tutto quello che avete dentro”, è la sua controproposta. “L’elemosina – ricorda il Papa – è sempre stata, nella tradizione della Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, una pietra di paragone della giustizia”. Anche Paolo, nella Lettura del giorno, discute con i Galati per lo stesso motivo, il loro attaccamento alla legge. E identico è anche l’esito perché, insiste Papa Francesco, “la legge da sola non salva”:

“Quello che vale è la fede. Quale fede? Quella che si ‘rende operosa per mezzo della carità’. Lo stesso discorso di Gesù al fariseo. Una fede che non è soltanto recitare il Credo: tutti noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, nella vita eterna…. Tutti crediamo! Ma questa è una fede immobile, non operosa. Quello che vale in Cristo Gesù è l'operosità che viene dalla fede o meglio la fede che si rende operosa nella carità, cioè torna all'elemosina. Elemosina nel senso più ampio della parola: staccarsi dalla dittatura del denaro, dall’idolatria dei soldi. Ogni cupidigia ci allontana da Gesù Cristo”.

Papa Francesco rievoca un episodio della vita di padre Arrupe, Preposito generale dei Gesuiti dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Un giorno, una ricca signora lo invita in un luogo per donargli del denaro per le missioni in Giappone, per le quali padre Arrupe stava impegnandosi. La consegna della busta avviene praticamente sulla porta e davanti a giornalisti e fotografi. Padre Arrupe raccontò di aver patito “una grande umiliazione”, ma di aver accettato il denaro “per i poveri del Giappone”. Quando l'aprì, c’erano dieci dollari”. Chiediamoci, conclude Papa Francesco, se la nostra è “una vita cristiana di cosmetica, di apparenza o è una vita cristiana con la fede operosa nella carità”:

“Gesù ci consiglia questo: ‘Non suonare la tromba’. Il secondo consiglio: ‘Non dare soltanto quello che avanza’. E ci parla di quella vecchietta che ha dato tutto quello che aveva per vivere. E loda quella donna per aver fatto questo. E lo ha fatto un po’ di nascosto, forse perché si vergognava di non poter dare di più”.

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Sinodo: la "Relatio post disceptationem" è solo provvisoria

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La Relazione dopo la discussione del Sinodo straordinario della famiglia è un documento di lavoro, non definitivo, che ora viene sottoposto alla discussione dei Circoli minori: questa la dichiarazione diffusa oggi dalla Segreteria generale del Sinodo, in occasione di un briefing nella Sala Stampa della Santa Sede, moderato dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Al briefing hanno preso parte anche i cardinali Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, in qualità di moderatori dei Circoli minori, in italiano e in inglese, del Sinodo. Il servizio di Isabella Piro: 

“La Segreteria generale del Sinodo, in seguito alle reazioni e discussioni seguite alla pubblicazione della Relatio post-disceptationem e al fatto che la sua natura non sia stata spesso correttamente compresa, ribadisce che tale testo è un documento di lavoro che riassume gli interventi e il dibattito della prima settimana e ora è proposto alla discussione dei membri del Sinodo nei Circoli Minori, come prevede l’Ordo del Sinodo”.

Apre così il briefing con la stampa Padre Lombardi. La relazione non è quindi un documento definitivo. Ora lavora nei Circoli minori, che presenteranno ciascuno una propria riflessione e quindi si procederà alla stesura dei documenti finali. Il cardinale Filoni:

"C’è stata qualche sorpresa all’interno del Circolo nel leggere le prime reazioni che sono apparse nei media. Qualcuno ha manifestato anche una certa perplessità, come se il Papa avesse detto, come se il Sinodo avesse deciso… Tutto questo naturalmente non è vero".

Non è stato comunque un errore pubblicare la Relazione, continua il cardinale Filoni, anche nella continuità dei Sinodi precedenti e nella procedura sancita dall’Ordo Synodi Episcoporum. Essenziale, però, entrare nella prospettiva dinamica, senza aspettative eccessive, anche perché il Sinodo attuale è un cammino di preparazione all’Assemblea generale ordinaria dell’ottobre 2015:

"Spero che emerga bene soprattutto questa dinamica, in cui tutta la Chiesa viene coinvolta - a vari livelli, in vari modi, in vari aspetti - perché sembra quasi che noi trattiamo un argomento o un altro, quando invece c’è una ricchezza straordinaria".

Sulla stessa linea il cardinale Napier, che si è detto “fiducioso” del fatto che possa emergere la visione del Sinodo nel suo insieme e non la posizione di un gruppo particolare".

Rispondendo, poi, ad una domanda dei giornalisti, il cardinale Filoni ha sottolineato le ripercussioni negative che i conflitti hanno sulle famiglie del Medio Oriente. Ma anche ha ricordato la grande importanza dell’unità familiare, come da lui sperimentato in Iraq, Paese visitato nel mese di agosto in qualità di inviato speciale del Papa:

"Una delle cose che a me ha colpito di più è che le famiglie sono rimaste unite. Anche dove non c’era la possibilità di avere delle stanze, si sono creati dei piccoli compound in cui è stato affidato un luogo a ogni famiglia, possibilmente anche famiglie dello stesso villaggio. L’obiettivo era di ricreare l’ambiente, almeno a livello socio-psicologico, in cui vivevano perché in questo dramma generale le famiglie non fossero penalizzate anche nella mancanza di un sostegno familiare, umano, di conoscenza, e direi anche di fede perché queste persone pregavano".  

Intanto, la Sala Stampa vaticana ha reso noto stamani il contenuto degli interventi liberi pronunciati ieri mattina nell’Aula del Sinodo, a seguito della presentazione della “Relatio post disceptationem” da parte del cardinale Peter Erdö, relatore generale dell’Assise. In generale, la Relazione è stata apprezzata nella sua capacità cogliere lo spirito dell’Assemblea. Positivo, quindi, l’approccio, ma da migliorare la contestualizzazione. Inoltre, sono state suggerite alcune riflessioni aggiuntive. Ad esempio, parlare più diffusamente anche delle famiglie fedeli agli insegnamenti del Vangelo, perché emerga con più chiarezza che il matrimonio indissolubile, felice, fedele per sempre, è bello, è possibile ed è presente nella società. Ancora il cardinale Filoni:

"La prima aspettativa, che credo sia comune a tanti nuclei familiari, è quella di sapere, di sentire che noi incoraggiamo queste famiglie, che loro sono l’oggetto della nostra attenzione".

Altri suggerimenti: dare maggiore accento alla tutela della donna e alla sua importanza per la trasmissione della vita e della fede, fare più riferimenti alla famiglia come “Chiesa domestica”, valorizzandone la prospettiva missionaria nel mondo contemporaneo. Approfondire e chiarire meglio il tema della “gradualità”, che può essere all’origine di una serie di confusioni. Per quanto riguarda l’accesso ai Sacramenti per i divorziati risposati, ad esempio, è stato detto che è difficile accogliere delle eccezioni senza che in realtà diventino una regola comune.

E’ stato pure rilevato che la parola “peccato” non è quasi presente nella "Relatio". Riguardo agli omosessuali, la necessaria accoglienza va accompagnata dalla giusta prudenza, affinché non si crei l’impressione di una valutazione positiva di tale orientamento da parte della Chiesa. La stessa attenzione è stata auspicata nei riguardi delle convivenze.

Riguardo allo snellimento delle procedure per le cause di nullità matrimoniale, qualche perplessità è stata sollevata riguardo alla proposta di affidare maggiori competenze al vescovo diocesano, gravandone eccessivamente le spalle, mentre una riflessione più approfondita è stata auspicata per i casi di poligamia e per la diffusione della pornografia su web, rischio reale per l’unità familiare. Infine, in relazione all’apertura alla vita da parte delle coppie si è sottolineata la necessità di affrontare in modo più approfondito e deciso non solo il tema dell’aborto, ma anche quello della maternità surrogata.

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Sinodo. Mons. Stankevičs: famiglia sotto attacco, Chiesa la difende

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L’Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata a “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” è proseguita questa mattina in Vaticano con i lavori dei Circoli minori. I Padri sono chiamati a lavorare alla stesura dei documenti finali del Sinodo partendo dalle osservazioni sulla “Relatio post disceptationem” letta ieri mattina in aula. Lo spiega al microfono di Paolo Ondarza l’arcivescovo di Riga in Lettonia, mons. Zbigņev Stankevičs

R. – Già ieri pomeriggio, abbiamo iniziato il lavoro nei Circoli minori. Cerchiamo di correggere alcune espressioni, non corrette a mio modo di vedere, usate nella “Relatio”. Lo facciamo per elaborare un testo finale più equilibrato e che risponda meglio sfide di oggi. La mia convinzione è che il compito principale del Sinodo è di riaffermare la verità del Vangelo sul Matrimonio. Oggi, la famiglia si trova sotto un attacco fortissimo, il compito principale dei Padri sinodali non è fare qualche apertura poco definita ma è di applicare, nuovamente, per la situazione di oggi l’insegnamento della Chiesa. Sicuramente è necessaria un’apertura e dobbiamo andare incontro alle sfide contemporanee per quanto possibile. Ma senza perdere l’identità cattolica e senza rinunciare alla verità sul matrimonio.

D. – Una Chiesa che muove il mondo, piuttosto che una Chiesa che viene mossa dal mondo?

R. – Sì, è proprio così, perché quando la Chiesa permette al mondo di muoverla si rischia di perdere l’identità. Quando perdiamo l’identità vuol dire che perdiamo il sale. Se perdiamo il sale, il mondo non ha più bisogno della Chiesa. La Chiesa non serve a soddisfare i piaceri del mondo, la Chiesa serve per dare sale al mondo, per mostrare la verità che viene dall’alto. Noi abbiamo ricevuto la Rivelazione da Dio: nostro compito è trasmettere questa Rivelazione in un modo che sia il più comprensibile possibile, tenendo in giusta considerazione anche le difficoltà del mondo. Noi siamo stati troppo rigidi qualche volta. In questo senso, è necessaria una conversione da parte nostra. Dobbiamo farlo con tutta l’umiltà, con tutta la misericordia verso il mondo, ma la verità rimane sempre, la verità è oggettiva. Non possiamo dire che ognuno può capirla come vuole.

D. – Lei diceva inizialmente che oggi la famiglia è posta sotto minaccia, sotto attacco. Venti anni fa, questo concetto era già stato espresso da Giovanni Paolo II nella “Lettera alle Famiglie” quando scriveva: “Alla disgregazione delle famiglie sembrano purtroppo puntare ai nostri giorni vari programmi sostenuti da mezzi molto potenti”. È un’affermazione ancora valida?

R. – Sì, perché i processi si sviluppano e quell’attacco oggi prende altre forme. Ai giorni nostri, l’ideologia del “gender”, ad esempio, è molto forte: si afferma che ognuno può scegliere la propria identità, anche sessuale e biologica, ma questo  non è vero. Questo attacco contro la famiglia ha preso nuove forme, ha conquistato diverse nazioni. Il processo continua, il pericolo è cresciuto in questi venti anni.

D. – Si tratta di un attacco contro la natura umana?

R. – Sì, contro l’identità della famiglia, contro l’identità umana. Noi dobbiamo riaffermare la verità trovando un linguaggio adatto, comprensibile anche al mondo per quanto sia possibile.

D. – Il mondo oggi chiede di capire?

R. – Diciamo che le lobby che attaccano la famiglia non lo chiedono: perseguono i loro interessi e cercano di imporli a tutto il mondo. Personalmente, però, ho incontrato molte persone, anche non credenti, che cercano la verità. Vedo che nel mondo sta crescendo un’opposizione verso tendenze che distruggono la famiglia.

D. – Trattandosi di una materia di grande attualità, estremamente delicata, la responsabilità dei Padri sinodali riuniti in questo Sinodo è enorme…

R. – Stamattina, ho celebrato la Messa anche per il Sinodo, affinché lo Spirito Santo ci faccia da guida per non rinunciare al nostro compito, alle nostre responsabilità, per non sottometterci alla pressioni del mondo e a quelle dei mass media.

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Sinodo. Mons. Kaigama: affrontato il nodo della poligamia

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Molteplici le sfide che la pastorale familiare pone nei diversi contesti del mondo e che il Sinodo sta affrontando in questi giorni. Tra i temi sui quali è stata chiesta una riflessione più approfondita c’è quello della poligamia. In particolare, ci si è chiesti come porsi nei confronti di chi, in questa condizione, si converte e chiede di accostarsi ai Sacramenti. “Stiamo cercando una risposta”, spiega mons. Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos in Nigeria, che al microfono di Paolo Ondarza parla della realtà familiare nel suo Paese: 

R. – Per noi africani, il matrimonio è fra una donna e un uomo. Io credo che la famiglia in Africa possa progredire quando c’è stabilità. In Nigeria, c’è il problema della povertà, dell’insicurezza, ci sono tanti giovani senza lavoro, giovani che vengono coinvolti in attività criminali. Quando ci sono famiglie stabili, queste famiglie possono essere testimoni del Vangelo anche per gli altri.

D. – E’ emersa una problematica che è tipica di alcuni Paesi in Africa: la poligamia…

R. – Come pastore io vado nei villaggi quasi ogni fine settimana. Il problema della poligamia è molto grande. Noi come Chiesa, come pastori, proclamiamo che la monogamia è il matrimonio che la Bibbia riconosce, questo è sicuro. Però, ci sono persone che vivono la realtà della poligamia. Per coloro che non sono cristiani ma vogliono diventare cristiani e già hanno tante mogli, il problema, la domanda è: cosa possiamo fare? Stiamo cercando le risposte. Sono casi difficili, dobbiamo avere una soluzione pastorale per abbracciarli e per non escluderli.

D. – Le famiglie cristiane in Nigeria come vivono il problema costituito dalla minaccia fondamentalista dove Boko Haram è più forte?

R. – Boko Haram fa danni, distrugge i villaggi, le città, la vita... Cerca di far diventare tutti musulmani, ma questo non è possibile. Per esempio, nel nordest della Nigeria, nella diocesi di Maiduguri, il problema è più grave perché Boko Haram ha già danneggiato più di 15 parrocchie e tanta gente è stata uccisa… Il governo deve fare qualcosa subito per fermare questa situazione.

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Tweet del Papa: “Signore, dona la tua consolazione a tutti coloro che soffrono”

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“Signore, dona la tua consolazione a tutti coloro che soffrono, specialmente ai malati, ai bisognosi, ai disoccupati”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, che ha superato 16 milioni di follower.

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Mons. Auza all’Onu: proteggere minoranze in Medio Oriente, reagire a terrorismo

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Un appello a proteggere le minoranze religiose ed etniche in Medio Oriente e a reagire al terrorismo internazionale è giunto dall’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, intervenuto all’Assemblea generale dell’Onu, in corso a New York, nella sessione dedicata allo Stato di diritto. Il servizio di Roberta Gisotti

La Santa Sede plaude allo “Stato di diritto” - così come riaffermato un anno fa dall’Assemblea dell’Onu - di fondamentale importanza per il dialogo politico e la cooperazione tra tutti gli Stati e per rafforzare i tre pilastri fondanti le Nazioni Unite: “Pace internazionale e sicurezza, diritti umani e sviluppo”.

"Ma pure restano disaccordi - ha osservato mons. Auza - sulla definizione di stato di diritto”, fondato per la Chiesa “sia razionalmente che moralmente sui sostanziali principi di giustizia, inclusa la dignità inalienabile e il valore di ogni persona umana prioritario ad ogni legge e consenso sociale”, e di conseguenza “il rispetto del principio di legalità, la presunzione di innocenza e il diritto un giusto processo”. Riguardo le relazioni tra gli Stati, - ha chiarito mons. Auza – “lo stato di diritto significa il supremo rispetto dei diritti umani, l’eguaglianza dei diritti delle Nazioni; e il rispetto del diritto internazionale consuetudinario, dei trattati e delle altri fonti di diritto internazionale”. Per questa ragione la Santa Sede chiede maggiore “attenzione sulla persona umana e sulla società in cui vive, perché oltre alle forze di polizia, ai tribunali, ai giudici, ai pubblici ministeri al resto delle infrastrutture legali, lo stato di diritto è irraggiungibile senza fiducia sociale, solidarietà, buon governo e educazione morale”. “La famiglia, le comunità religiose e la società civile giocano un ruolo indispensabile nel creare una società che possa promuovere l’integrità pubblica e lo stato di diritto”, che dev’essere garantito in modo equo e imparziale a tutti. “Mi riferisco - ha detto mons. Auza - in particolare alle minoranze religiose ed etniche in Medio Oriente, che aspettano urgenti misure di effettiva protezione”.

La Santa Sede invoca - qualora gli Stati non siano in grado di assolvere “al dovere primario di proteggere la propria popolazione da gravi e prolungate violazioni e da conseguenze di crisi umanitarie” - che sia la comunità internazionale ad intervenire, con i mezzi giuridici previsti dalla carta dell’Onu e altri strumenti internazionali. Sperando “che l’allarmante, crescente fenomeno di terrorismo internazionale, inedito in alcune espressioni e assolutamente spietato nella sua barbarie, sia occasione per un urgente ed approfondato studio su come rinforzare gli strumenti giuridici internazionali per una applicazione multilaterale - ha concluso mons Auza - della nostra comune responsabilità di proteggere i popoli da tutte le forme di ingiusta aggressione”.

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Presentato il Festival di musica e arte sacra dedicato a Paolo VI

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E’ dedicata a Paolo VI, a pochi giorni dalla sua Beatificazione di domenica prossima, la 13.ma edizione del Festival di musica e arte sacra, in programma dal 22 al 29 ottobre a Roma. Una settimana per dieci concerti ospitati, come consuetudine per questo appuntamento autunnale, nelle Basiliche papali e nelle chiese della capitale. Orchestra "in residence", i Wiener Philharmoniker, cui si aggiungono formazioni orchestrali da Germania, Giappone, Austria e Stati Uniti. Tutti i concerti sono ad ingresso gratuito. Il servizio di Gabriella Ceraso

Il 13.mo Festival di musica e arte sacra è un grazie a Papa Paolo VI e ai suoi gesti profetici, ispirati all’unità all’umanità e all’umilta della Chiesa. E lo fa aprendosi ai contributi musicali del mondo e celebrando la bellezza dell’arte come veicolo per guardare al cielo. Il cardinale Angelo Comastri, presidente onorario ella Fondazione promusica e arte sacra:

“Paolo VI è stato il primo Papa che è ritornato nella terra di Gesù e ci ha ricordato che noi dobbiamo camminare nella storia guardando sempre a dove siamo nati: guardando a Betlemme, guardando al Calvario, guardando al sepolcro vuoto. Paolo VI è stato il primo Papa che ha cancellato 900 anni di distanza tra la Chiesa di Occidente e la Chiesa di Oriente, abbracciando Atenagora nella Nunziatura apostolica di Gerusalemme. Ha abbracciato il Patriarca Atenagora consegnandogli un calice che era un augurio e vorrei dire anche una profezia: che venga il tempo dell’unità. Paolo VI è stato un uomo che davanti ai rappresentanti di tutte le nazioni, nel Palazzo dell’Onu, ha pronunciato parole di una densità, di una profondità impressionante. Ha detto: ‘Non è possibile la fraternità, senza l’umiltà!”. E ha ricordato a tutte quelle persone che hanno in mano – che allora avevano in mano, ma che anche oggi altre persone hanno in mano – i destini dei popoli, dicendo: ‘Se non diventate umili, sarà l’orgoglio a dividere, a creare predomini e a creare quindi sofferenze’. Paolo VI è stato un grande. Io credo che valga la pena rivisitare il suo patrimonio di fede e di cultura per poter andare avanti, perché non è possibile salire se non si scende nelle profondità delle radici. Non è possibile costruire un edificio, se non si fanno solide fondamenta. Paolo VI appartiene a queste radici e a queste fondamenta”.

Dieci appuntamenti in otto giorni, con 1.100 artisti, tra solisti e professori d'orchestra da molte parti del mondo. Inaugura il 22 ottobre nella Basilica di S. Maria sopra Minerva, la Germania, con la rara esecuzione dell’oratorio "Saul" di Haendel, affidato della Cappella Weilburgensis e le voci della "Kantorei Schlosskirche Weilburg", diretti da Doris Hagel. A seguire, in San Paolo fuori le Mura, i Wiener Philarmoniker, per la tredicesima volta a Roma, con l’altra pagina tanto attesa l’oratorio "Lazarus" di Schubert, diretto da Ingo Metzmacher, fino ai capolavori della musica sacra dell’Ottocento di Bruckner e Brahms - "Messa n.3", "Te Deum" e "Ein deutsches Requiem" - ma anche alla contemporanea "Misa Azteca" di J. Julian Gonzalez, con gli interpreti statunitensi del "The Continuo Arts Festival Chorus" e i giapponesi dell'"IlluminArt Philarmonic Choir and Orchestra". Due le presenze della Cappella Sistina. Il direttore, don Massimo Palombella:

“La bellezza si persegue quando c’è studio e ricerca. E lo studio e la ricerca sono quello che mettono la condizione perché ci possa essere l’evangelizzazione”. 

Tra le novità di quest’anno per  il Festival, la presenza di un inno rappresentativo in perfetta sintonia con lo spirito che lo anima. Si tratta dell'"Inno alla fede" di Andrea Morricone, per oboe e archi, in prima assoluta il 26 ottobre nella Basilica di S. Ignazio di Loyola:

“E’ un brano che può aiutare l’uomo a elaborare una spiritualità, esercitare una meditazione. Può aiutare a pregare, a predisporre l’animo alla preghiera”. 

Ricordiamo anche che la Fondazione pro musca e arte sacra, che sostiene il Festival, porta avanti la preziosa opera di restauro e valorizzazione del patrimonio artistico romano, a iniziare dai restauri della Basilica di S. Pietro e sostiene quest'anno, nel concerto del 26 ottobre a San Paolo fuori le mura, il progetto di solidarietà per bambini di strada in Venezuela della "Fondazione Sofia".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Messa del Papa a Santa Marta.

La fame e lo spreco: nel mondo si gettano alimenti per oltre duemila miliardi di euro.

Braccato dai lupi per le vie di Buenos Aires: dal libro di Nello Scavo "I sommersi e i salvati di Bergoglio".

Il mondo è troppo dritto: Erik Pillet sui cinquant'anni dell'Arca.

Quel pianoforte che si suona da solo: Ulla Gudmundson si chiede che fine ha fatto oggi il bene comune.

Il cardinale Giovanni Coppa sulle pesche di Paolo VI.

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Oggi in Primo Piano



In Siria 300 mila morti. Unicef: bambini venduti e rapiti

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In Sira e Iraq continuano i raid della coalizione a guida americana, contro i gruppi jihadisti del sedicente Stato Islamico. A Mosul sono state uccise pubblicamente dai terroristi 46 persone. Progressi a Kobane dove i curdi hanno riconquistato la collina di Tall Shair, ritenuta di importanza strategica a Ovest della città. Rimane drammatica la situazione umanitaria. In Siria l’Unicef stima 300 mila morti in oltre tre anni di guerra civile tra i militari del regime e i gruppi ribelli, che ora combattono anche contro l’Is. Gravissima la condizione dei bambini spesso venduti o rapiti. Massimiliano Menichetti ha intervistato Daniele Iacomini, portavoce di Unicef Italia: 

R. - In Siria la metà di tutto sono sempre bambini. Tre milioni e mezzo di rifugiati nei Paesi vicini: un milione e mezzo sono bambini; 11 milioni di sfollati interni: cinque milioni sono bambini.

D. - E dove vivono questi bambini sfollati all’interno della Siria?

R. - Vivono molto vicino alle linee di guerra e tra questi, naturalmente, si registra sempre di più un numero altissimo di bambini senza genitori. Oggi si contano circa 11 mila bambini che arrivano nei campi profughi senza genitori e che attraversano i confini per giorni e giorni. Però è chiaro che il numero dei bimbi orfani, secondo me, è in via di registrazione.

D. - Quindi questo è un dato sottostimato?

R. - Sì.

D. - I problemi non finiscono qui; non ci sono soltanto le bombe e i conflitti …

R. - L’inverno è in arrivo; ci sono circa 400 mila bambini intorno alla zona di Damasco, in particolar modo, che rischiano di morire perché non hanno vestiti, scarpe per poter affrontare il freddo in maniera adeguata. L’Unicef su questo ha lanciato una grandissima raccolta fondi, senza dimenticare in ultimo le vaccinazioni: abbiamo vaccinato nei Paesi vicini tra Turchia, Siria, Libano, Iraq e Giordania circa 25 milioni di bambini perché c’è stato un improvviso ritorno della polio. Ma c’è ancora molto da fare.

D. - Qual è il bilancio delle vittime in questi tre anni di conflitto?

R. - Questo è un conflitto che ha causato oltre 12 mila vittime tra i bambini, ma questa cifra risale a mesi fa quando le Nazioni Unite hanno deciso di interrompere il conteggio macabro di questa tortura mondiale. Poi, oltre 300 mila - queste sono le varie cifre che ci vengono dai vari osservatori internazionali - sono civili.

D. - Voi denunciate anche un altro gravissimo fenomeno: la vendita e il rapimento di bambini...

R. - Un allarme che lanciamo. In primo luogo, c’è la disperazione della madri, quelle che pensano che vendendo le proprie figlie, magari a persone più anziane, a qualcuno di un villaggio vicino, - queste cose avvengono spesso all’interno dei campi profughi tra una fazione e l’altra -  possono avere in cambio dei soldi e comunque garantire loro un futuro. In secondo luogo, queste madri disperate spesso vendono le proprie figlie a ricchi emiri per qualche migliaio di euro - spesso sono oggetto di violenze -, e poi, infine c’è la disperazione legata al fenomeno dell’Isis, dove queste ragazze vengono strappate alle loro famiglie, ai propri affetti e portate via.

D. - Le organizzazioni internazionali riescono a giungere fino in Siria?

R. - Grande lavoro lo stiamo facendo all’interno proprio del contesto siriano con le Ong partner, quelle che lavorano sul territorio da anni e che sono per lo più composte da personale siriano. Malgrado ci siano zone come quelle di Aleppo, come quelle di Homs, di Idlib, che hanno delle complessità legate ai bombardamenti continui, le organizzazioni umanitarie lavorano. Ma siamo preoccuapati per le zone di Kobane, quelle del Kurdistan: la situazione è abbastanza complessa ma siamo presenti anche li in maniera massiccia.

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Israele: sì della GB a Stato palestinese va contro la pace

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La Camera dei Comuni britannica ha approvato una mozione che chiede il riconoscimento della Palestina come Stato, con 274 voti in favore e 12 contrari. Si chiede al governo di ''riconoscere lo Stato palestinese insieme a quello di Israele'' come parte di un ''contributo per assicurare una soluzione negoziata dei due Stati''. Il premier David Cameron e i suoi ministri hanno scelto la via dell'astensione per evitare polemiche. Israele parla di scelta che "mina le possiblita' di raggiungere una pace reale" nel processo israelo-plaestinese.  Fausta Speranza ha intervistato Claudio Lo Jacono, direttore della rivista "Oriente moderno": 

R. – Diciamo che il Regno Unito da sempre ha avuto un atteggiamento non perfettamente allineato a quello del mondo occidentale. Ricordiamo che nel ’47, per esempio, il Regno Unito si astenne dall’approvare il piano poi fallito di spartizione della Palestina, che prevedeva la nascita di due Stati, e in questo mettendosi contro l’opinione invece maggioritaria delle Nazioni Unite di allora, che erano poco più 50 membri, che invece votò questo piano che poi comunque si risolse in un nulla di fatto. La Gran Bretagna ha una conoscenza dell’area evidente per il suo mandato che ha conservato dalla fine del primo conflitto mondiale fino al 1948, cioè fino alla nascita dello Stato di Israele, all’autoproclamato Stato di Israele.

D. – Che cosa può significare in questo momento questo pronunciamento?

R. – E’ un atto voluto da una parte consistente della Camera bassa britannica. Ricordiamo che più della metà dei 650 parlamentari non hanno partecipato al voto, anche se il restante poco meno della metà ha votato a schiacciante maggioranza, salvo poche astensioni, dovute al primo ministro Cameron e a membri del suo governo. Lo scopo è quello di cercare di rimettere in moto una trattativa di pace che è totalmente inchiodata dal governo Netanyahu, aggravata dai fatti di Gaza più recenti con i suoi 2.100 morti palestinesi e 60- 70 israeliani. E’ la volontà di costituire qualcosa che metta nuova carburante nella macchina della trattativa, della soluzione due popoli-due Stati.

D. – La maggiore obiezione invece è che un riconoscimento della Palestina interromperebbe il processo di pace. Ma  non siamo in pieno stallo in realtà?

R. – Certamente! Infatti. E poi bisogna considerare il fatto che già nel 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto lo Stato della Palestina, anche se con alcuni limiti sul piano della presenza di un ambasciatore accreditato alle Nazioni Unite. In questo caso, l’Assemblea generale ha votato chiaramente per una soluzione "due popoli-due Stati", con il riconoscimento della Palestina. E c’è da dire che poi è assurdo parlare di una trattativa nella quale una parte non viene riconosciuta e l’altra detta unicamente le condizioni. Quello dell’Onu è già un precedente enorme, al di là del riconoscimento da parte del primo ministro Löfven, che è stato da poco eletto in Svezia, che già ai primi di ottobre aveva dichiarato che il suo governo avrebbe riconosciuto lo Stato di Palestina. Ovviamente il fatto che questo provochi l’irritazione del governo di Netanyahu è evidente e logico, ma bisogna anche dire che il governo di Netanyahu sembra caratterizzato da un pressoché totale immobilismo nel procedere nei negoziati di pace.

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Messico, proteste per desaparecidos. I vescovi: fare chiarezza

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Non si fermano le proteste in Messico, dopo la sparizione di 43 studenti dati per desaparecidos lo scorso 26 settembre a Iguala. Centinaia di persone hanno assaltato la sede governativa di Chilpancingo nello Stato messicano di Guerrero, dando fuoco all’edificio. Cinque insegnanti e due agenti sono rimasti feriti. I manifestanti hanno chiesto le dimissioni del governatore Angel Aguirre. Anche i vescovi messicani domandano al governo di chiarire al più presto l’accaduto. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Valentina Valfrè, responsabile diritti dell’Associazione "Soleterre": 

R. – Quello che sta succedendo in Messico, ormai è una situazione completamente fuori controllo. C’è una collusione talmente stretta tra lo Stato, le forze di polizia, l’esercito e la criminalità organizzata. Lo Stato non esiste più. Nel caso di questi studenti, cercavano di protestare e sono finiti “desaparecidos” con la complicità della polizia, visto che finora sono stati arrestati almeno 22 poliziotti che pare siano i mandanti di questa sparizione: due membri di gruppi della criminalità organizzata locale hanno raccontato di essere stati mandati a prendere questi ragazzi e anche di averli uccisi.

D. – Sono state scoperte delle fosse comuni...

R. – Sono state scoperte in totale sei fosse. I corpi sono tanti, credo che ci vogliano circa 15 giorni per poter avere i risultati dell’esame del Dna. Può darsi, che ci siano gli studenti; può darsi che non ci siano solo loro, ma che ci siano altre persone sparite nella zona, perché chiaramente in Messico il numero dei "desaparecidos" è veramente altissimo. Ci sono fosse comuni dove sono stati ritrovati migranti. Ma, le fosse comuni in Messico si ritrovano quotidianamente e non sono solo fatte di persone che attraversavano il Paese, ma sono fatte da messicani che spariscono nel nulla.

D. – Continuano le manifestazioni, gli scontri con la polizia; la comunità sta rispondendo in maniera forte...

R. – Perché oramai c’è un livello di sopportazione, credo anche all’interno della popolazione, che ha raggiunto il limite. Quando tu esci di casa in Messico, non sai se ritornerai la sera. Questo per chi non lo vive è veramente una situazione difficile da comprendere. Avere veramente l’angoscia - quando esce tuo figlio, quando escono i tuoi familiari... di non sapere se tu li rivedrai la sera - è una cosa tangibile, è una cosa concreta che succede tutti i giorni: so di persone che ogni volta che escono da lavoro, da scuola, chiamano a casa dicendo, “sto uscendo adesso; ci metterò più o meno mezz’ora; se non arrivo chiama la polizia”; con il problema che la polizia, in molti casi, è collusa con il crimine organizzato, per cui non puoi nemmeno fidarti di chi dovrebbe proteggerti.

D. – Voi avete denunciato che, ogni giorno, in Messico scompaiono 70 persone...

R. – Il problema è che, appunto, molti non le denunciano per paura. Per cui, effettivamente, quello è un numero probabilmente a ribasso.

D. – State organizzando una carovana per denunciare questa situazione?

R. – Si svolgerà contemporaneamente alla carovana organizzata dalle madri dei migranti centro-americani che cercano, appunto, i figli "desaparecidos". Qua, in Italia, il 22 novembre partirà da Lampedusa e si concluderà il 6 dicembre a Torino, e attraverserà l’Italia perché quello dei migranti, dei "desaparecidos", di persone sfruttate, è un problema comune; in questi casi la criminalità organizzata è quella che ne ricava un guadagno maggiore, per cui per loro è un business e non hanno nessun interesse a fare in modo che finisca.

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Mozambico alle urne per elezioni generali, in vantaggio il Frelimo

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Mozambico domani al voto per le elezioni generali in un clima teso con diversi feriti in scontri nelle ultime ore a Nampula, città nel Nord del Paese africano. In mancanza di sondaggi recenti, molti considerano favorito il partito Frelimo, storicamente al governo. Ad opporglisi, gli ex ribelli della Renamo e l’MdM, nato da pochi anni e che guida alcune delle città principali. In campagna elettorale si sono opposte soprattutto richieste di continuità e di rinnovamento, come spiega dalla capitale Maputo a Davide Maggiore il missionario comboniano, padre Luis de Albuquerque: 

R. - Durante la campagna i partitino hanno discusso molto dei temi. Alcuni candidati dicevano che bisogna cambiare perché il popolo è stanco di tutto questo sistema, però non presentavano delle linee chiare su cosa volevano cambiare. La Renamo non ha detto niente, nessun programma; l’Mdm parla di alcune cose che non vanno bene come l’educazione, gli alunni siedono per terra a scuola … Allora promettono che lavoreranno molto in questo settore, così come in quello sanitario in modo che coloro che vanno in ospedale possano essere ricevuti, dare degli stipendi migliori agli operatori, ai medici, ai professori, agli infermieri che guadagnano molto poco. C’è questa corruzione, si cerca di trovare soldi in qualsiasi modo.

D. - Favorito per le elezioni è il partito Frelimo, al potere fin dal’indipendenza. Perché?

R. - Perché è ben organizzato. Ovunque ci sono cellule: in ogni piccolo Paese c’è una cellula Frelimo. Invece la Renamo non è affatto organizzata. L’Mdm ha iniziato poco tempo fa, quindi per loro è più difficile, nonostante abbia fatto un gran lavoro in pochi anni per rispondere al partito al potere.

D. - Il Mozambico è un Paese ricco di risorse naturali. Di recente sono state scoperte carbone, gas … Il tema delle risorse è entrato in qualche modo nella campagna elettorale?

R. - Dicevano che bisogna distribuire le risorse al popolo. Alcuni dicono che è ancora presto; secondo alcuni queste risorse sono state già distribuite, ma il popolo dice di non avere ricevuto nulla. Il desiderio è che tutti possano migliorare la propria vita con queste risorse.

D. - Il Mozambico proprio per le risorse naturali che sono state scoperte di recente è al centro dell’attenzione di molte compagnie petrolifere, minerarie, multinazionali. Qual è il loro ruolo nel Paese in questo momento?

R. - Nel contratto che queste compagnie stipulano ci sono anche delle clausole che devono rispettare, tra queste fare qualcosa per il popolo attraverso la costruzione di scuole, ospedali, vie di comunicazione. Si sente che ogni tanto qualcuno ha fatto questa scuola, qualcun altro ha fatto altro … Non so se è molto o se è poco, forse potevano fare di più.

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Immigrazione e tratta in una ricerca della Caritas di Pescara

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Le connessioni della tratta con lo sfruttamento sessuale, con le richieste di rifugio, con le povertà estreme e le discriminazioni: è ciò che mette in luce la ricerca  “Vite in affitto”, condotta in Abruzzo e promossa dalla Caritas di Pescara. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Il fenomeno della commistione tra tratta e asilo non è nuovo. Da tempo discusso e osservato, negli ultimi anni è divenuto sempre più presente nelle varie strutture di accoglienza "Sprar" (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di diverse parti di Italia, sollecitando in più occasione anche la Caritas italiana ad approfondirlo meglio. A Pescara, casi sospetti hanno interrogato diverse realtà esperte del settore che hanno deciso di intervenire con una ricerca dal titolo “Vite in affitto”, condotta dall’equipe del progetto “AGAR, oltre la strada” e promossa dalla Caritas diocesana di Pescara, don Marco Pagniello è il direttore:

R. – L’idea nasce dal nostro bisogno, dal nostro desiderio di capire la realtà, di conoscerla, e si va a delineare una situazione drammatica di donne e di uomini sulle strade, in mano anche a organizzazioni malavitose. Situazioni che ci dicono come il fenomeno della prostituzione stia cambiando: molto in appartamento e non soltanto sulla strada, non solo donne ma anche tanti uomini, tanti ragazzi, giovani.

D. – L’idea dietro a questo progetto è stata sollecitata perché sono state individuate negli "Sprar" le persone che avevano delle commistioni con la prostituzione...

R. – Abbiamo notato che molte donne presenti sulla strada poi ci dicevano essere anche richiedenti di un titolo umanitario: richiedenti asilo, o titolo di protezione. Questo permette alle realtà malavitose di metterle sulla strada liberamente, perché queste donne sono ancora in attesa di permesso e quindi facilita il loro esserci. Tutto questo però nell’illegalità, perché le donne chiedono questo permesso non con reali motivazioni. Purtroppo, la situazione abruzzese penso sia la situazione di tutte le altre regioni italiane dove è presente il fenomeno migratorio. A questo poi si intreccia anche il discorso della tratta per lo sfruttamento sessuale, ma anche per lo sfruttamento lavorativo.

D. – In Abruzzo, di che sfruttamento lavorativo parliamo?

R. – Abbiamo intere zone che conoscono questo fenomeno. Penso alla zona di Avezzano, del Fucino, in alcuni momenti dell’anno, per la raccolta di prodotti ortofrutticoli, abbiamo fenomeni di tratta per sfruttamento lavorativo, fatta la raccolta poi lasciano il territorio. Penso, inoltre, alla zona tra Abruzzo e Marche, dove ci sono tante fabbriche che lavorano il tessile: anche lì c’è la presenza della comunità cinese o di altre comunità che vengono sfruttate e ridotte a lavorare più di 12-15 ore al giorno, senza nessuna tutela sociale e sanitaria.

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L'Alleanza contro la Povertà lancia il Reddito d'inclusione

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La crisi costringe a ridisegnare le politiche sociali in Italia. Nel 2007, le persone in povertà assoluta erano 2 milioni e 400 mila, nel 2013 sono risultate sei milioni. Per questo, una trentina di associazioni chiedono l’introduzione anche in Italia di un Reddito d’inclusione sociale. Il progetto è stato presentato oggi a Roma. Alessandro Guarasci

L’Italia continua a rimare l’unico Paese nell’Europa a 27, assieme alla Grecia, a non avere una misura di contrasto alla marginalità. Le associazioni dell’Alleanza contro la povertà dunque propongono un "Reddito d’Inclusione sociale", rivolto a tutti coloro che sono in povertà assoluta. A questi soggetti andrebbe un reddito medio di 400 euro, oltre a una serie di servizi, sociali, sanitari, educativi. Lo Stato spenderebbe 7 miliardi in quattro anni e la gestione sarebbe affidata a comuni e terzo settore. Per Francesco Marsico, direttore della Caritas, le priorità del governo devono andare oltre il lavoro:

“Diciamo che accanto a queste priorità condivisibili c’è anche il tema della povertà. Una persona su dieci, secondo i dati Istat, si trova in questa condizione. Non si possono ignorare. Noi diciamo innanzi tutto 'no' a forme di intervento 'spot' sul tema povertà che non lasciano e non strutturano nel Paese forme di risposte durature in questo senso”.

Chi riceverà il Reddito d’inclusione sociale dovrà prendere precisi impegni. Dunque: fare formazione, portare i figli a scuola, farsi seguire dai Servizi sociali. Insomma, deve cercare di migliorare la propria condizione. D’altronde, il bonus degli 80 euro non ha avuto tutti gli effetti sperati, come dice Cristiano Gori, ricercatore alla Cattolica di Milano

“Il bonus di 80 euro porta vantaggi alle persone quasi povere, non al 10% con reddito più basso, cioè ai poveri, perché non è stato rivolto a loro. Noi abbiamo preso in considerazione le venti principali voci di spesa pubblica. Facendo un confronto tra quelle italiane e quelle dei Paesi dell’Unione Europea, la voce nella quale il nostro Paese è più in ritardo è quella relativa alla lotta alla povertà, in cui noi registriamo l’80% di spesa in meno”.

Molto difficile che il governo accolga le richieste dell’Alleanza in questa legge di Stabilità. Ma l’obiettivo è a portata di mano nel 2015.

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Nella Chiesa e nel mondo



Londra: plauso Chiese cattolica e anglicana a riconoscimento Stato Palestina

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La Chiesa cattolica e anglicana nel Regno Unito salutano con soddisfazione la mozione approvata ieri dalla Camera dei Comuni che chiede il riconoscimento della Palestina come Stato. La proposta è stata adottata a grande maggioranza con 274 voti a favore con l’astensione del Premier David Cameron.

Il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato che possano chiamare patria “non può ulteriormente essere rinviato”, afferma una dichiarazione congiunta firmata dal vescovo anglicano di Coventry Christopher Cocksworth e da mons. Declan Lanf, vescovo di Clifton e presidente del dipartimento per gli affari internazionali della Conferenza episcopale inglese e gallese.

“Tale riconoscimento di principio faciliterà e non ostacolerà i negoziati tra israeliani e palestinesi per concordare i dettagli di questo nuovo Stato sovrano creato ai confini di un Israele sicuro”, sottolinea la nota, ricordando che “la pace richiede una capacità di visione”.

La decisione del Parlamento britannico non ha conseguenze sulla politica del Governo che continua a sostenere il processo di pace tra Israele e l’Autorità Palestinese, ma è comunque un passo importante di valore simbolico, perché è la prima volta che uno dei maggiori Paesi europei vota per il riconoscimento della Palestina come Stato. La soluzione dei due Stati con il ritorno ai confini del 1967, è stata intanto ribadita ieri dal Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, in visita a Ramallah e a Gerusalemme. (A cura di Lisa Zengarini)

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India: Chiesa in soccorso dei 500 mila sfollati del ciclone Hudhud

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Alberi sradicati e abbattuti, case distrutte, linee elettriche interrotte, strade bloccate: sono i danni causati dal ciclone Hudhud, che negli ultimi tre giorni si è abbattuto sugli Stati indiani meridionali dell'Andhra Pradesh e dell'Orissa. Rispetto agli anni passati - riferisce l'agenzia AsiaNews - il bilancio delle vittime è minimo (26 in totale), grazie a un buon lavoro di informazione da parte delle autorità. L'allerta meteo ha consentito alle amministrazioni locali di evacuare centinaia di migliaia di persone.

In Andhra Pradesh le aree più colpite sono quelle dei distretti dell'arcidiocesi di Visakhapatnam, in particolare l'omonima città portuale. Il vescovo, mons. Prakash Mallavarapu, spiega ad AsiaNews: "I danni più gravi sono legati non alla pioggia, che c'è stata solo un giorno, ma ai venti. Hanno raggiunto un'intensità di 200 km/h, sradicando alberi, pali della luce e quant'altro. Per questo, la maggior parte delle vittime hanno perso la vita nel crollo di edifici. Le persone della classe medio-bassa hanno subito le perdite più ingenti, perché molte vivevano in semplici baracche".

Negli ultimi tre giorni, aggiunge il presule, "Hudhud ha lasciato interi distretti senza elettricità. Le linee telefoniche sono interrotte, così come internet. Oggi alcuni telefoni hanno ripreso a funzionare. Le corse di treni e autobus sono state sospese. Prendere la macchina è ancora impossibile e fino a ieri sera il traffico aereo era bloccato".

Per il momento, la popolazione può contare sui soccorsi del governo, che grazie a una tempestiva campagna di informazione ha permesso di evacuare 500mila persone. Questo ha permesso di contenere il numero di vittime, fermo a 22 per il momento. "Come istituzione - sottolinea mons. Mallavarapu - la nostra Chiesa non può fare molto. Noi per primi abbiamo riportati gravi danni alle nostre strutture, soprattutto scuole e ospedali. Il nostro primo obiettivo è ripristinare le attività degli istituti scolastici, per accogliere i bambini al più presto".

Dopo Visakhapatnam, il ciclone si è spostato verso l'Orissa, abbattendosi sui distretti di Gajapati, Koraput, Malkangiri e Rayagada. Mons. Sarat Chandra Nayak, vescovo della diocesi di Berhampur (che comprende questi territori), spiega ad AsiaNews che "i danni peggiori riguardano le abitazioni e le linee elettriche, saltate in tutti i distretti. Alcuni villaggi non sono ancora raggiungibili e non abbiamo notizie certe sulle loro condizioni. Le vittime sono state quattro".

Tuttavia, aggiunge, "il Catholic Relief Service (Crs) e la Caritas sono già all'opera per aiutare la popolazione, affiancando i soccorritori mandati dal governo. Le nostre preghiere vanno a quanti stanno soffrendo, alle famiglie di chi ha perso la vita, ma anche ai tanti feriti causati da Hudhud". (R.P.)

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Congo: minacce alla Chiesa contraria a riforma costituzionale

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Parroci minacciati e un convento di suore devastato domenica scorsa a Lodja, 750 km a nord di Mbuji-Mayi, capoluogo del Kasai orientale, nella Repubblica Democratica del Congo a causa della Lettera pastorale della Conferenza episcopale che critica la proposta di revisione costituzionale che permetterebbe al Presidente in carica, Joseph Kabila, di presentarsi alle elezioni per ottenere un terzo mandato.

Il primo episodio, secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, si è verificato presso la parrocchia Saint-Desiré. Dopo aver letto il messaggio, il parroco è stato ingiuriato e minacciato da alcuni giovani che partecipavano alla Messa. Il sacerdote è riuscito a mettersi in salvo grazie all’intervento di un poliziotto che lo ha protetto, evitando che subisse violenze fisiche.

Successivamente, nella parrocchia Sainte-Thérése de Nganga, il parroco dopo la Messa nel corso della quale aveva letto il messaggio dei vescovi, è stato minacciato sempre da un gruppo di giovani. Nella stessa domenica alcuni ragazzi hanno assalito il convento delle suore francescane. Una suora è rimasta ferita dai vetri di una finestra frantumata dagli assalitori.

Questi gravi episodi giungono dopo il tentativo di un sedicente gruppo di “giovani cattolici” di presentare alla nunziatura di Kinshasa una petizione di protesta a Papa Francesco per l’asserita “interferenza dei vescovi congolesi nella politica nazionale”. I vescovi hanno smentito che questi ragazzi appartengano a organizzazioni della Chiesa  (R.P.)

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Messaggio Cei per la Giornata del ringraziamento

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“Coltivare la terra in forme sostenibili, per nutrire il pianeta con cuore solidale”; “adottare comportamenti quotidiani basati sulla sobrietà e la salubrità nel consumo del cibo”; “rendere grazie a Dio e ai fratelli” per il dono “che ogni giorno riceviamo dalla terra e dal lavoro dell’uomo, in modo tale da tutelarli anche per le prossime generazioni”. Sono le “scelte” indicate dalla Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, nel messaggio per la 64ª Giornata nazionale del ringraziamento (9 novembre 2014).

A pochi mesi dall’apertura di Expo Milano 2015, dedicato a “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” - riferisce l'agenzia Sir - i vescovi incaricati della pastorale sociale e del lavoro richiamano il monito di Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione (16 ottobre 2013), sulla “tragica condizione nella quale vivono ancora milioni di affamati e malnutriti, tra i quali moltissimi bambini”. Di qui l’invito a custodire la terra “come un vero e proprio bene comune della famiglia umana, dato per la vita di tutti”.

La stessa disponibilità della terra, si legge ancora nel messaggio, “è a rischio: spesso essa è destinata ad altri scopi o diviene oggetto di una lotta commerciale tra le economie più forti. E non mancano le pressioni crescenti sul piano della legalità”. Per uscirne i vescovi suggeriscono anzitutto di “educarci a pensare l’agricoltura come spazio in cui la giusta ricerca della remunerazione del lavoro si intrecci con la solidarietà, l’attenzione per i poveri, la lotta contro lo spreco, con un’attiva custodia della terra”. Occorre promuovere un modello di produzione agricola attento alla qualità e alla salvaguardia dei terreni, “in modo da garantire effettiva sostenibilità.   

Il pensiero dei vescovi va anche al territorio, da preservare “contro il degrado e la cementificazione” e da riqualificare attraverso l’attività agricola. Quando esso ne è privato, è anche “più esposto a fenomeni di erosione, tanto più in un tempo di mutamento climatico, segnato da eventi meteorologici di vasta portata” che richiedono un’adeguata impostazione etica, un necessario cambio culturale, e un deciso impegno politico-economico da parte della comunità internazionale.

Nel ringraziare i contadini per il loro impegno e i lavoratori immigrati presenti sul nostro territorio, i presuli sottolineano “la grande rilevanza delle famiglie rurali, testimoni concrete di un’alleanza con la terra che esse sono chiamate a rinnovare nelle pratiche produttive”.

Un richiamo, infine, alla responsabilità delle singole persone e delle famiglie, consumatori, ma anche cittadini attivi e responsabili. “Educarci alla custodia della terra” significa anche “adottare comportamenti e stili di vita in cui l’uso del cibo e dei prodotti alimentari sia più attento e lungimirante”, nonché “agire sulle nostre famiglie per ridurre ed eliminare lo spreco alimentare, che nelle società agiate raggiunge livelli inaccettabili”, come ha più volte denunciato Papa Francesco parlando della “cultura dello scarto”. (R.P.)

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Emirati Arabi: inaugurato nuovo Centro parrocchiale

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Lo Sheikh Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan, Ministro della cultura, della gioventù e dello sviluppo comunitario degli Emirati Arabi Uniti, ha preso parte alla recente inaugurazione del nuovo Centro parrocchiale della parrocchia di San Giuseppe, a Abu Dhabi. Come riferiscono fonti locali di Fides, l'inaugurazione, avvenuta il 9 ottobre, ha visto anche la partecipazione di Ali Al Hashimi, Consigliere per le questioni religiose del Ministero degli affari presidenziali.

Nel saluto rivolto agli ospiti, il vescovo Paul Hinder, vicario apostolico dell'Arabia del Sud, ha espresso gratitudine per il Presidente degli Emirati e per tutti i funzionari del governo, per aver concesso i permessi richiesti e aver avallato il completamento dell'opera al servizio della vivace e variegata comunità cattolica locale, formata da immigrati provenienti da vari Paesi.

Dal canto suo, lo Sheikh Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan si è detto lieto di ospitare a Abu Dhabi la cattedrale del vicariato apostolico, ribadendo che la politica degli Emirati Arabi intende garantire il rispetto delle diverse comunità di stranieri insediatesi nel proprio territorio per motivi di lavoro, anche sul piano religioso. Il Ministro ha incoraggiato la comunità cattolica a sostenere gli Emirati nel loro impegno teso a svilupparsi come “nazione globale”, interessata a coltivare la convivenza armoniosa accanto alla crescita economica.

Negli Emirati Arabi Uniti gli stranieri immigrati per ragioni di lavoro rappresentano il 70% dei 4 milioni di residenti, e tra loro più della metà sono battezzati. Soltanto i cattolici – in gran parte filippini e indiani – si aggirano intorno al milione. (R.P.)

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Amnesty: milizie sciite irachene accusate di gravi abusi

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Crimini di guerra, fra cui esecuzioni sommarie, sequestri, rappresaglie: a compierle – denuncia oggi Amnesty International – sono le milizie sciite che si oppongono all’avanzata dei ribelli sunniti del sedicente Stato Islamico in Iraq, protagoniste di atti atroci per la ‘buona causa’.

“Dando la sua benedizione a milizie che commettono sistematicamente abusi, il governo iracheno dà il suo consenso a crimini di guerra e alimenta un pericoloso cerchio di violenza confessionale” ha detto Donatella Rovera, consigliere dell’ong per gli scenari di crisi.

Per lottare contro i ‘jihadisti’ che da giugno si sono impadroniti di vaste regioni del Paese e ora minacciano Baghdad - riporta l'agenzia Misna - l’esecutivo ha fatto affidamento su combattenti a cui Amnesty attribuisce “decine” di casi di violenza contro la popolazione sunnita sospettata di legami con l’Is. E nonostante il versamento di riscatti, molti ostaggi restano ancora trattenuti mentre altri sono stati comunque uccisi.

“Il potere crescente delle milizie sciite ha contribuito a un deterioramento generale della sicurezza e a un’atmosfera di anarchia” aggiunge ancora Amnesty accusando anche il governo iracheno di gravi abusi come “torture e maltrattamenti verso i prigionieri”.

Intanto nelle ultime ore tre attentati condotti nello spazio di un’ora in diversi quartieri sciiti di Baghdad hanno provocato almeno 22 morti fra la folla che riempiva le strade per la festa dell’Aid Al Ghader.

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Irlanda. Ong cattoliche: lotta a disuguaglianze sia priorità del governo

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Le priorità finanziarie del Governo irlandese nel 2015 devono essere la riduzione delle disuguaglianze sociali e misure concrete contro la povertà. E’ quanto affermano sette organizzazioni cattoliche impegnate nell’assistenza ai poveri in una dichiarazione congiunta diffusa in vista della presentazione della Legge di Bilancio 2015, prevista il 14 ottobre.

“La lotta alla disuguaglianza è la premessa di una vera ripresa in Irlanda “, affermano i firmatari - tra i quali la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale - ricordando, con le parole di Papa Francesco, che “l’inequità è la radice dei mali sociali” (EG, 202). Questo significa rivedere le politiche fiscali e di spesa, dopo anni di ristrettezze finanziarie, disoccupazione, emigrazione e austerità che hanno avuto “effetti deleteri sul tessuto della società irlandese”, rendendo più impegnativo il lavoro delle organizzazioni coinvolte nell’assistenza ai poveri. Nello specifico – sottolinea la dichiarazione – occorrono misure finanziarie mirate a garantire a tutti un tenore di vita accettabile e a ridurre le disuguaglianze sociali.

L’abbassamento dei redditi di questi anni – si denuncia - ha ridotto letteralmente alla fame il 10 per cento della popolazione irlandese, come indica l’aumento drammatico delle persone che si rivolgono alla banche del cibo in tutto il Paese. Un altro serio problema è l’aggravarsi dell’emergenza abitativa: sempre più famiglie irlandesi hanno difficoltà a pagare i mutui o affitti, tanto che alcune si ritrovano ora per strada. Sono quindi urgenti misure per sostenere queste famiglie.

Ma l’analisi del documento non si limita solo alla situazione in Irlanda: la crisi ha ridotto drasticamente anche i contributi promessi dal Governo irlandese per gli aiuti ai Paesi poveri, scesi allo 0,43 % del Prodotto Interno Lordo contro lo 0,7 % previsto. Quattro quindi le proposte avanzate all’Esecutivo per la Finanziaria 2015: l’adeguamento all’inflazione e ad altre spese dei redditi sociali e minimi; la riduzione delle imposte per i redditi più bassi; più stanziamenti per l’edilizia sociale e, infine, più soldi per i Paesi poveri. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 287

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.