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Sommario del 15/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: speranza cristiana non è ottimismo, Chiesa la tenga accesa

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La speranza cristiana “non è ottimismo”, ma “attesa appassionata” di Gesù che tornerà ad aprire un’era senza più “prevaricazioni e distinzioni”. Papa Francesco ha dedicato la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro al destino ultimo della Chiesa e dell’umanità, secondo la visione della fede. Il servizio di Alessandro De Carolis

Le più belle parole della speranza cristiana le pronunciò duemila anni fa S. Paolo, quando rispose così ai cristiani di Tessalonica che chiedevano rassicurazioni sulla vita dopo la vita: “E così per sempre saremo con il Signore”. Papa Francesco ripete a oltranza questa frase e la fa ripetere in coro ai 50 mila e più che sono in Piazza San Pietro, quasi a volerla incidere nelle coscienze di chi ascolta, bersagliate oggi da ondate di pensieri deboli e dubbi coltivati come vette di saggezza, che sovente irridono come ingenua la certezza ultima della fede:

“Sono parole semplici, ma con una densità di speranza tanto grande! ‘E così per sempre saremo con il Signore’. Credete voi questo? Mi sembra di no… Credete? Lo ripetiamo insieme, tre volte? ‘E così per sempre saremo con il Signore! E così per sempre saremo con il Signore! E così per sempre saremo con il Signore!’”.

La riflessione di Papa Francesco si addentra nel mistero descritto nell’Apocalisse, dove il popolo di Dio ha le sembianze di una “Gerusalemme nuova” che va incontro al suo amato come una sposa:

“E non è solo un modo di dire: saranno delle vere e proprie nozze! Sì, perché Cristo, facendosi uomo come noi e facendo di tutti noi una cosa sola con lui, con la sua morte e la sua risurrezione, ci ha davvero sposato e (…) questo non è altro che il compimento del disegno di comunione e di amore tessuto da Dio nel corso di tutta la storia, la storia del popolo di Dio e anche la propria storia di ognuno di noi. E’ il Signore che porta avanti questo”.

L’immagine della “Gerusalemme nuova”, spiega Papa Francesco, dice anche un’altra cosa della Chiesa: che essa, “è chiamata a diventare città, simbolo per eccellenza – afferma – della convivenza e della relazionalità umana”:

“Sarà ‘la tenda di Dio’! E in questa cornice gloriosa non ci saranno più isolamenti, prevaricazioni e distinzioni di alcun genere — di natura sociale, etnica o religiosa — ma saremo tutti una cosa sola in Cristo”.

Insomma, conclude Papa Francesco, è uno “scenario inaudito e meraviglioso” quello che spera la fede cristiana quando guarda agli ultimi tempi. E noi, domanda, “siamo davvero testimoni luminosi di questa attesa, di questa speranza?”. O piuttosto stanchi e rassegnati?

“La speranza cristiana non è semplicemente un desiderio, un auspicio, non è ottimismo: per un cristiano, la speranza è attesa (…) di qualcuno che sta per arrivare: è il Cristo Signore (…) La Chiesa ha allora il compito di mantenere accesa e ben visibile la lampada della speranza, perché possa continuare a risplendere come segno sicuro di salvezza e possa illuminare a tutta l’umanità il sentiero che porta all’incontro con il volto misericordioso di Dio”.

Al momento dei saluti post-catechesi ai numerosi gruppi linguistici presenti in Piazza San Pietro – dalla Costa Rica alla Thailandia, dalla Scozia al Ghana – Papa Francesco ha ricordato, tra gli altri, i partecipanti al quarto Convegno della Fondazione Ratzinger-Benedetto XVI, in programma a Medellín, esortandoli “a studiare percorsi che – ha auspicato – costruiscano la pace e promuovano la dignità della persona umana”. Mentre ai giovani, agli ammalati e ai nuovi sposi Papa Francesco ha chiesto preghiere a Maria per il Sinodo per la Famiglia.

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Sinodo: Circoli minori al lavoro in comunione e fraternità

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Comunione, fraternità e pastoralità: questo il clima che si respira nei Circoli minori del Sinodo straordinario sulla famiglia, al lavoro in questi giorni per i documenti finali dell’Assise. A riferirlo è il card. Luis Martinez Sistach, arcivescovo di Barcellona e moderatore di uno dei Circoli, durante un briefing nella Sala Stampa della Santa Sede. All’incontro con i giornalisti sono intervenuti anche gli arcivescovi Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione, e Joseph Kurtz, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, in qualità – rispettivamente – di relatore e moderatore di altri Circoli minori. Il servizio di Isabella Piro: 

“Hay un clima de comunión, de fraternidad y de pastoralidad…”

 

“C’è un clima di comunione, fraternità, pastoralità”: il card. Martinez Sistach descrive così l’atmosfera che si respira nei Circoli minori, ma anche nell’Aula, del Sinodo. Anche perché, spiega, i problemi della famiglia oggi sono comuni a tutti i continenti, a causa della globalizzazione. Inoltre, le osservazioni presentate nel suo Circolo linguistico sono state tutte approvate all’unanimità.

Rispetto e dialogo nella modalità di lavoro vengono evidenziate anche da mons. Kurtz, mentre mons. Fisichella sottolinea che i giorni dei Circoli minori sono quelli più fecondi per il Sinodo, in cui si opera senza limiti di tempo e nella massima libertà di espressione, in un contesto geografico molto ampio, dovuto alla presenza di membri di numerosi Paesi. Essenziale, inoltre, continua l’arcivescovo italiano, il ruolo della famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione:

Il Sinodo ha una piena consapevolezza dell’importanza dell’evangelizzazione, proprio nella sua peculiarità di essere una nuova evangelizzazione. Ciò significa una consapevolezza da parte dei credenti, dei nostri cristiani, e in questo caso implica il far animare ancora di più le nostre famiglie cristiane nella consapevolezza di essere in ‘uscita’, di essere capaci cioè di dare una testimonianza molto profonda della loro vita cristiana, fatta di gioie e di sofferenze, ma sostenuti dalla fede, perché così si ha la capacità di voler partecipare anche ad altri questa bella esperienza della vita matrimoniale e della famiglia cristiana”.

Mons. Fisichella mette, poi, in risalto il legame tra crisi della fede e crisi della famiglia:

La crisi della fede è all’origine della crisi della famiglia che noi oggi verifichiamo: là dove la fede è forte, la famiglia non è succube di sono tante proposte, da parte della cultura contemporanea, essenzialmente effimere”.

Ulteriori osservazioni avanzate dai Circoli minori, continua l’arcivescovo, chiedono in particolare che i documenti finali dell’Assise puntino anche sulla testimonianza positiva delle famiglie ed includano anche altri temi, non dibattuti in Aula:

Il primo – ad esempio – è trovare tutte le forme possibili perché i processi di annullamento siano del tutto gratuiti. Davanti alla Chiesa non deve neanche apparire il minimo sospetto che parlando di un Sacramento si abbia ad intervenire in situazioni che sono finalizzate ad altro. Un altro tema è quello delle adozioni, perché l’adozione è un gesto d’amore, è un gesto di carità”.

Nei Circoli minori, aggiunge mons. Fisichella, si è tornati sul tema della regolazione naturale della fertilità e sulla necessità di una maggiore conoscenza del suo valore positivo:

C’è quasi una forma di boicottaggio nella conoscenza e nella formazione dei metodi naturali. Quindi da questa prospettiva credo che, là dove si parla della formazione dei giovani, l’attenzione debba essere anche su questo tema, perché ci sia una formazione globale alla dimensione dell’affettività”.

Rispondendo infine ad una domanda sul progetto di legge, in Italia, relativo alle unioni di fatto, il presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione ha ribadito che esso va discusso democraticamente, con un confronto in Parlamento e senza isolare alcuna posizione:

Il problema non è la problematica come tale che deve essere affrontata: il problema sono - semmai - le soluzioni che vengono realizzate dai diversi Paesi e che potranno trovare una posizione positiva o di critica”.

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Il card. Erdö: Sinodo trasmetterà messaggio di Cristo sulla famiglia

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Ha suscitato grande dibattito nel mondo la “Relazione dopo la discussione” del Sinodo sulla famiglia, presentata dal relatore generale, il cardinale Peter Erdö. Su questo testo ascoltiamo lo stesso porporato ungherese al microfono di Agnes Gedo

R. – La sfida più grande è stata quando un pensiero veniva fuori in 30-40 interventi, perché ciascuno ha formulato sì lo stesso pensiero, ma in un modo diverso: quale terminologia da preferire? Quale accento mettere? Come esprimere stilisticamente il fatto che quella cosa sia venuta fuori in quattro interventi e quell’altra in 40? A volte si poteva dire “molti propongono” o “alcuni dicono”, ma questo non sempre era stilisticamente possibile. Certamente questo riassunto è frutto del lavoro collettivo di 16 esperti, degli addetti della Segreteria, del segretario generale del Sinodo, del segretario speciale di questa assiste sinodale, che hanno lavorato insieme e anche abbastanza in fretta, perché c’era una scadenza molto chiara: domenica mattina dovevamo essere pronti, perché anche i traduttori avevano poi bisogno di tempo. E’ così è nato questo documento, che - secondo me - contiene almeno i temi principali della discussione. Certamente ognuno potrà dire che qualche punto di vista o qualche elemento manchi ancora: ma è proprio per questo che i gruppi linguistici, i Circoli Minori stanno ora lavorando per preparare le loro proposte testuali da cambiare, da aggiungere, da perfezionare… Quindi questo testo rappresenta una fase intermedia del lavoro sinodale, non è il frutto dell’intero Sinodo. Speriamo, dopo le discussioni di questa settimana, di arrivare ad una Relazione finale che possa essere accettata dalla grande maggioranza. Tanto più che questo testo non era neanche un testo votato, ma un testo intermedio per il lavoro successivo. Penso che l’interesse dei mass media mondiali sia così grande che, forse, hanno visto in alcuni capoversi più di quanto sia stato realmente detto. Per questo penso che durante questa settimana si possa arrivare anche ad una maggiore chiarezza, che non lasci alcun equivoco nei singoli capitoli. E questo anche perché i fedeli hanno bisogno di una voce chiara, di un incoraggiamento, di un insegnamento: una voce chiara di orientamento anche per poter parlarne dopo nelle loro diocesi, nelle chiese particolari. Quindi, speriamo che il testo finale sia un testo chiaro e soddisfacente per tutti.

D. – Ci dobbiamo aspettare delle risposte concrete?

R. – Certamente no! La funzione di questa assise sinodale non è quella di dare risposte concrete, ma di presentare le questioni e di raccogliere argomenti e proposte. Ma non ancora risposte… Alla luce di tutto ciò si preparerà il prossimo Sinodo e anche se il prossimo Sinodo accetterà un testo, questo non è ancora un testo magisteriale. Potrà diventarlo se il Santo Padre lo accetta oppure se rilascia un suo documento in base a tutti questi lavori. Vedremo come il Santo Padre utilizzerà i risultati dei lavori. Però è molto edificante, molto incoraggiante la presenza del Santo Padre a tutte le discussioni. Non nei piccoli circoli, perché quelli lavorano parallelamente…

D. – Il Santo Padre è perfettamente a conoscenza di tutti gli interventi e di tutto quello che succede durante il Sinodo…

R. – Di tutto quello che succede, questo non lo so; ma di tutti gli interventi, sì: ha sentito tutto e ha visto tutto, anche il tono delle discussioni, che è stato sempre un tono rispettoso. L’impressione generale è che tutti vogliono il bene della Chiesa. Vogliamo compiere la missione che abbiamo ricevuto dal Signore: trasmettere il messaggio di Gesù Cristo, non inventare un altro messaggio. E’ Lui che deve stare al centro e la conoscenza del suo autentico insegnamento deve essere il punto di vista decisivo.

D. – Quindi parlare di fazioni, di punti di vista diversi, di gruppi anche contrastanti fra di loro - come si usa in politica - è una cosa sbagliata?

R. – Punti di vista diversi ci sono. Perché no? Possono esserci. Anche perché senza questo, non ci sarebbe dialogo. Però fazioni nel senso di partiti politici che combattono per il potere, io non vedo alcuna traccia di questo.

D. – Quali sono le sue speranze per il prossimo Sinodo?

R. – Un grande incoraggiamento per il matrimonio e per la famiglia. Un incoraggiamento che possa mettere in risalto, con la forza della fede, la verità, la bellezza, l’importanza della famiglia nella vita dell’umanità: ne abbiamo bisogno! Anche se la vita oggi è molto alienata, anche se ci sono delle tendenze potenti che favoriscono l’isolamento, l’individualismo, noi siamo chiamati a vivere in comunità: la comunità umana senza famiglie non è veramente umana! Questo messaggio deve arrivare alle nostre parrocchie. Ci sono comunità composte da famiglie credenti, da famiglie anche con prole numerosa, che sembrano essere ormai una forza notevole in tutte le parti del mondo: come aiutare la creazione di nuove famiglie cristiane attraverso queste comunità? Attraverso la loro testimonianza, attraverso la loro partecipazione alla formazione, ma anche attraverso la cultura dell’amicizia: preghiera in comune, lettura comune della Bibbia e aiuto mutuo nei problemi concreti della vita, come la disoccupazione, come la malattia, come la crisi della coppia… Vediamo ormai con concretezza che questa forza ha una nuova e decisiva vocazione. Io spero molto che il prossimo Sinodo possa mettere in rilievo questo aspetto fondamentale.

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L'arcivescovo Shevchuk: dottrina non cambia, si sviluppa

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Al centro della discussione dei padri sinodali riuniti nei Circoli minori la Relazione dopo la discussione, presentata lunedì mattina. Il testo è un documento di lavoro e non è definitivo. Lo conferma al microfono di Paolo Ondarza Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev in Ucraina: 

R. - Stiamo lavorando. Questa Relatio non è un risultato definitivo della discussione. Adesso stiamo studiando nei Circoli minori questo testo. Ci sono molte critiche. Bisogna completare il testo per dare un messaggio molto più chiaro ed equilibrato sia al Santo Padre che ai nostri fedeli. Prima di tutto vogliamo ribadire la dottrina della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Non abbiamo nessuna intenzione di cambiare la dottrina, ma ci stiamo occupando delle sfide pastorali che non vengono dall’interno della Chiesa ma dall’esterno. Noi cerchiamo il modo migliore per rispondere a queste, riproponendo la chiave gioiosa e positiva del Vangelo della famiglia.

D. - Quali le criticità secondo lei della Relatio post disceptationem?

R. - Bisogna essere molto più chiari. Come si dice, “il diavolo si nasconde nei dettagli”, e talvolta l’intenzione dei padri non corrisponde pienamente al testo formulato. E questo confonde. La dottrina non cambia, si sviluppa, cioè si sta perfezionando per rispondere giustamente alle sfide. Nella storia della Chiesa, la parte dottrinale si è formata come risposta dei cristiani a certe eresie o interpretazioni sbagliate della fede cristiana. Questo non è un Sinodo dottrinale, non siamo qui per discuterle la dottrina, ma per condividere la nostra esperienza pastorale. Stiamo veramente considerando queste grandi sofferenze e queste sfide che la famiglia cristiana soffre nel modo d’oggi.

D. - Le situazioni irregolari verso le quali si sta guardando in atteggiamento di misericordia, di ascolto, quale approccio necessitano?

R. - Da una parte, vogliamo ribadire la dottrina: la famiglia è l’unione stabile, fedele e sacramentale tra un uomo ed una donna. Le altre convivenze non le stiamo considerando come famiglie, però bisogna anche ribadire che, ad esempio, se un uomo ed una donna anche senza il matrimonio ecclesiastico vivono un matrimonio stabile, fertile, fedele, e ci sono questi semina verbi, i semi della verità, questi vanno valorizzati e considerati come un punto di partenza per aiutare queste persone a raggiungere l’ideale evangelico. Forse per la prima volta l’attenzione dei pastori è rivolta verso l’esterno del recinto.

D. - I media hanno parlato di apertura alle coppie omosessuali. Come stanno le cose?

R. - Non è così. Non stiamo parlando di apertura. Si è parlato delle sofferenze di queste persone. Non possiamo considerare l’orientamento omosessuale come un bene da valorizzare; è una grandissima difficoltà che provoca sofferenze in queste persone. Perciò bisogna guardare con occhi chiari: da una parte, non si può identificare la persona con la sua tendenza omosessuale; dall’altra dobbiamo chiederci come possiamo illuminare la loro esistenza - veramente provata dalla sofferenza personale - con la luce del Vangelo.

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Messaggio del Papa a 500 anni dalla nascita di S. Teresa d’Avila

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Teresa d’Avila ci insegna che il cammino verso Dio è anche cammino verso gli uomini: così Papa Francesco nel messaggio al vescovo di Avila, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la memoria liturgica di Santa Teresa di Gesù. Il Papa scrive all’inizio dell’Anno Giubilare per il quinto centenario della nascita della Santa, carmelitana scalza e Dottore della Chiesa (28 marzo 1515 – 15 ottobre 1582). Francesco chiede di “percorrere le strade del nostro tempo, con il Vangelo in mano e lo Spirito nel cuore”. Il servizio di Fausta Speranza: 

“Il Vangelo non è una borsa di piombo che si trascina pesantemente ma una fonte di gioia che riempie di Dio il cuore e lo spinge a servire gli uomini”: sono parole del messaggio con cui Francesco ricorda Teresa d’Avila come un esempio di santa che - dice - “corre fuori a percorrere le vie del proprio tempo, con il Vangelo in mano e lo Spirito nel cuore”. Papa Francesco ricorda 4 punti fermi della spiritualità della Santa vissuta nel ‘500: gioia, preghiera, fraternità, adesione al proprio tempo. Sottolinea il valore della gioia della scoperta dell’amore di Dio, la conseguente spinta ad amarsi gli uni gli altri, sottolineando quanto tutto ciò si nutra della preghiera. “La preghiera supera il pessimismo e genera buone iniziative”. E poi Papa Francesco si sofferma sull’importanza dell’essere nel proprio tempo. Di Teresa d’Avila, Francesco dice: “La sua esperienza mistica non l’ha separata dal mondo né dalle preoccupazioni della gente, al contrario, le ha dato nuovo impulso e coraggio per l’azione”. E sottolinea: Teresa di Gesù “ha vissuto le difficoltà del suo tempo”. Francesco parla di “realismo teresiano” e raccomanda: “Quando il mondo arde, non si può perdere tempo in attività di poca importanza”. Dunque il Papa ricorda l’incoraggiamento della Santa raccolto in alcuni scritti: “Già è tempo di camminare”. Parla di consigli della Santa che sono di “perenne attualità” e che – aggiunge – valgono per i singoli nel proprio percorso verso Dio e gli uomini e valgono per le comunità di vita consacrata. E Papa Francesco chiede: “In una cultura del provvisorio, si viva la fedeltà del ‘per sempre’; in un mondo senza speranza, si mostri la fecondità di un cuore innamorato, in una società con tanti idoli, siamo testimoni del fatto che solo Dio basta”.

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Francesco: misure rapide per eliminazione armi nucleari e chimiche

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Papa Francesco chiede “la rapida adozione di misure che portino all'eliminazione delle armi di distruzione di massa” a cominciare dalle armi nucleari e chimiche: è quanto ha affermato mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Onu, intervenendo al Palazzo di Vetro di New York.

Il presule denuncia, in particolare, la mancanza di progressi sul disarmo nucleare: “L'incapacità degli Stati che possiedono armi nucleari ad avviare negoziati verso ulteriori riduzioni delle loro scorte esistenti è preoccupante, ma la ‘modernizzazione’ di alcuni sistemi esistenti e l'aumento delle scorte di armi sono ancora più preoccupanti”. Il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), “così importante per la nostra sicurezza” – sottolinea – non ha finora prodotto i risultati sperati: “La promessa centrale del Tnp che gli Stati possessori di armi nucleari si disarmino gradualmente in cambio del fatto che gli Stati non dotati di armi nucleari si astengano dal cercare di acquisirle rimane in una impasse”.

“La Santa Sede – ha affermato mons. Auza - continua a credere che una politica di deterrenza nucleare permanente mette a rischio il processo di disarmo nucleare e la non proliferazione”: occorre, dunque, “andare oltre la deterrenza nucleare e lavorare per una pace duratura fondata sulla fiducia reciproca, piuttosto che su uno stato di pura non-belligeranza fondata sulla logica della reciproca distruzione”.

A questo proposito, la Santa Sede esorta tutti gli Stati a firmare e/o ratificare il Trattato di bando complessivo dei test nucleari (Ctbt) “senza ulteriori ritardi, perché è un elemento fondamentale del disarmo nucleare internazionale e della non proliferazione”. Ritiene, inoltre, che “l’istituzione di zone libere dalle armi di distruzione di massa sarebbe un grande passo nella giusta direzione, in quanto dimostrerebbe che possiamo davvero muoverci verso un accordo universale per eliminare tutte le armi di distruzione di massa”.

Mons. Auza, riprendendo quanto detto da Papa Francesco, invita poi a non trascurare “il grande obiettivo di un mondo meno dipendente dall'uso della forza”: “La Santa Sede si compiace dei progressi, per quanto modesti, nel settore delle armi convenzionali, come quelle connesse con l'attuazione della Convenzione di Ottawa e della Convenzione sulle munizioni Cluster. Ma rimane profondamente preoccupata che il flusso di armi convenzionali continua ad esacerbare i conflitti in tutto il mondo”.

Il presule poi ammonisce: “Non dimentichiamo che l’avidità dei soldi alimenta il commercio delle armi e che il commercio delle armi alimenta i conflitti che causano indicibili sofferenze e violazioni dei diritti umani. Fino a quando una così grande quantità di armi saranno in circolazione, nuovi pretesti potranno sempre essere trovati per l'avvio delle ostilità e il facile accesso alle armi faciliterà la perpetrazione della violenza contro popolazioni innocenti”.

Che l'immagine proverbiale della goccia d’acqua che pazientemente scava la roccia più dura – conclude mons. Auza - ci ispiri ad andare avanti in mezzo alla lentezza dei progressi e le battute d'arresto.

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Nomine episcopali in Italia e Brasile

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In Italia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Tortona, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Martino Canessa. Al suo posto, il Papa ha nominato padre Vittorio Francesco Viola, finora docente di Liturgia, custode del Protoconvento e del Santuario della Porziuncola. Il neo presule è nato a Biella il 4 ottobre 1965. Dopo il diploma di Maturità Scientifica è entrato nell‘Ordine dei Frati Minori dell’Umbria e ha frequentato l’Istituto Teologico di Assisi, fino al 5° anno di Teologia. Ha frequentato, poi, il Pontificio Istituto Liturgico di Sant’Anselmo in Roma, dove ha conseguito prima la Licenza e, quindi, il Dottorato in Sacra Liturgia, il 19 febbraio 2000. P. Vittorio Francesco Viola ha emesso la Professione Solenne nell’Ordine dei Frati Minori dell’Umbria il 14 settembre 1991, a Santa Maria degli Angeli; è stato ordinato Diacono il 4 luglio 1992 e Sacerdote il 3 luglio 1993, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, da S.E. Mons. Luca Brandolini. P. Viola ha ricoperto i seguenti incarichi: Definitore della Provincia Serafica dei Frati Minori dell’Umbria dal 1999 al 2002, dal 2003 al 2005, dal 2011 al 2014; Custode del Convento e della Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli alla Porziuncola dal 1999 al 2005; Guardiano del Convento presso la Basilica di Santa Chiara in Assisi dal 2005 al 2014; Responsabile dell’Ufficio Liturgico della Regione Umbra dal 1997 al 2014; Responsabile dell’Ufficio Diocesano di Assisi per l’Educazione, la Scuola e l’Università dal 2006 al 2008; Responsabile della Caritas diocesana dal 2008 al 2014. Recentemente è stato nominato Custode del Protoconvento e del Santuario della Porziuncola. Egli è, inoltre, Docente di Liturgia presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo in Roma, presso il Pontificio Istituto Liturgico, nella Facoltà di Liturgia; attualmente è Membro della Consulta dell’Ufficio Liturgico Nazionale; è Insegnante presso l’Istituto Teologico di Assisi, aggregato alla facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense e Docente Ordinario presso l’Istituto di Scienze Religiose di Assisi.

In Brasile, il Pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Itumbiara mons. Antônio Fernando Brochini, dei Padri Stimmatini, trasferendolo dalla diocesi di Jaboticabal. Mons. Brochini è nato il 10 novembre 1946 a Rio Claro, nella diocesi di Piracicaba. Ha emesso la Professione religiosa il 3 febbraio 1973 nella Congregazione delle Sacre Stimatte (Stimmatini) ed è stato ordinato sacerdote l’8 dicembre 1973. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso l’Istituto Stimmatino di Campinas (1967) e il corso di Teologia presso l’Istituto “João XXIII – ITESP” a São Paulo. Possiede Specializzazione in Pedagogia e in Amministrazione scolare presso la Pontificia Università Cattolica di Campinas. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Formatore del Seminario minore e Superiore locale di Morrinhos, diocesi di Itumbiara (1974-1978); Direttore della Scuola “Senador Hermenegildo Moraes” a Morrinhos (1978-1979); Maestro dei Novizi a Morrinhos (1986-1987); Formatore dei religiosi professi stimmatini e Direttore dell’Istituto di Filosofia e Teologia di Goiania – IFITEG (1988 e 1994-1997); Superiore Provinciale a Brasilia (1988-1994); Superiore Provinciale a Morrinhos (1997-2001); Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora do Carmo” a Morrinhos (1990-1991). Il 12 dicembre 2001 è stato eletto Vescovo Coadiutore di Jaboticabal, ricevendo l’ordinazione episcopale il 3 marzo 2002. Il 25 giugno 2003 è diventato Vescovo di Jaboticabal.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nella tenda di Dio: all'udienza generale Papa Francesco parla della Chiesa in attesa dell'incontro finale con lo Sposo.

Santa camminatrice: messaggio di Papa Francesco per il quinto centenario della nascita di Teresa d'Avila.

Imparzialità della pace: il cardinale segretario di Stato sull'impegno della Santa Sede per scongiurare i conflitti dalla Grande Guerra a oggi.

La fatica del comprendere: Roberto Radice ricorda lo studioso Giovanni Reale.

Aria nuova in Sistina: intervistato da Marcello Filotei, Antonio Paolucci presenta i nuovi sistemi di condizionamento e di illuminazione.

Dialogo in tre strofe: Eugenio Costa e Massimo Palombella su un inno per la beatificazione di Paolo VI.

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Oggi in Primo Piano



Londra, sì a Stato Palestina. Twal: buon esempio per altri

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La decisione della Camera dei Comuni del Regno Unito di riconoscere lo Stato della Palestina è un buon esempio per “gli altri Stati”. A sottolinearlo il Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, a margine della presentazione, in Senato, del libro-intervista “Gerusalemme capitale dell’umanità”. Ascoltiamo il patriarca al microfono di Elvira Ragosta

R. – E’ un popolo come tutti gli altri, che ha il diritto di vivere in pace, di avere una patria, di avere una capitale, di avere un passaporto, di avere francobolli, una moneta…Non chiedono alcun privilegio.

D. – Secondo lei, questa votazione da parte della Camera Bassa inglese può dare nuovo impulso alla trattativa?

R. – Hai ragione. Può essere un buon esempio per altri Stati che esitano ancora. Dobbiamo avere il coraggio di dire le cose come stanno, senza complessi, senza paura, e tutto andrà bene.

D. - Cosa dire dei finanziamenti stanziati per la ricostruzione di Gaza dalla Conferenza del Cairo?

R. – Questa è la follia del mondo. Invece di distruggere tutto un Paese, di uccidere, di umiliare e poi ricostruire con 5 miliardi, potevamo risparmiarceli questi 5 miliardi e non fare la guerra e vivere in pace.

D. -  Vittime della guerra sono stati soprattutto i bambini ...

R. – Ci sono tante ferite nel cuore dell’uomo… Non credo che i soldi possano fare qualcosa! Questo tocca a noi: col tempo, con l’educazione, con pazienza, con amore, con preghiera poter ricostruire l’uomo e fare dell’uomo un uomo di pace, di fratellanza e di cooperazione e non di guerra e di violenza.

D. - A Gerusalemme poi sono tante le difficoltà che le famiglie vivono…

R. – Ci sono tanti giovani che non hanno neanche la grazia di sposarsi, di fondare una famiglia, perché non c’è la casa, non ci sono i soldi e non c’è lavoro. Abbiamo piccoli villaggi palestinesi dove tanti giovani non riescono ad avere questa gioia e questa grazia.

Il libro “Gerusalemme capitale dell’umanità”, presentato in Senato è un dialogo tra il patriarca Twal e il giornalista Nicola Scopelliti. Il racconto del giovane giordano di famiglia beduina che diventa sacerdote, poi diplomatico presso la Santa Sede, primo vescovo arabo di Tunisi e oggi patriarca dei latini a Gerusalemme. Gerusalemme: una città particolare, ricorda il patriarca Twal nel libro, piena di contraddizioni, che unisce tutti i credenti e nello stesso tempo li divide. Un racconto, che si dipana in tante storie e si sofferma sulla vita dei cristiani in Terra Santa, dove la cultura, il dialogo e la tolleranza, scrive il patriarca, sono i pilastri per la pace in Medio Oriente.

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Ebola, dramma dell'Africa: testimonianza di Domenico Quirico

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Il virus Ebola "sta correndo più  veloce di noi": lo ha detto nella sua relazione il capo missione Ebola dell'Onu, confermando le previsioni dell’Oms secondo cui, con questi ritmi di diffusione, all’inizio di dicembre il numero di nuovi contagi potrebbe salire a 10 mila la settimana. Resta alto l’allarme in America, dove risulta un nuovo caso in Texas, e in Europa che chiede ai Paesi più colpiti, Guinea, Liberia e Sierra Leone, di rafforzare i controlli in uscita. Per ora, dicono inoltre fonti Ue, non si tratta di pandemia. Domani, a Bruxelles, vertice per fare il punto della situazione, ma gli allarmi che arrivano dall’Occidente non devono oscurare il dramma che sta vivendo la popolazione africana come racconta, al microfono di Cecilia Seppia, il giornalista della Stampa, Domenico Quirico, da poco rientrato dalla Sierra Leone: 

R. - Ho visto un Paese già fragile, appena uscito da una lunga guerra civile, dove le infrastrutture e le strutture della società sono deboli, sfilacciate e in qualche caso inesistenti. È uno dei Paesi più poveri del mondo, si vive con un euro al giorno... Un Paese completamente stravolto dalla pestilenza nelle sue abitudini più comuni, nella sua struttura sociale, nella sua economia… È veramente un luogo-cimitero, sul quale l’epidemia di Ebola è passata come un uragano sconvolgendo le abitudini quotidiane, la socialità, gli strumenti del rapporto con gli altri, addirittura all’interno delle stesse famiglie, con madri che non parlano, non toccano i figli.

D. - Secondo l’Oms, il numero dei casi di contagio potrebbe salire a 10 mila la settimana entro l’inizio di dicembre nei tre Paesi più colpiti. Quindi, al di là dell’esportazione del virus, forse dovremmo concentrarci sul dramma che stanno vivendo questi Paesi che sembra non arrestarsi…

R. - Dovremmo soprattutto concentrarci sul dramma di questi Paesi anche per un’ottica puramente utilitaristica, nel senso che se non si ferma la pandemia - se non la si fa scendere nei numeri fino a isolarla per poi spegnerla come un incendio - può diventare una catastrofe mondiale. Ma questa è una forma di approccio a questo problema che purtroppo noi occidentali non riusciamo a lasciarci dietro. In fondo, Ebola è qualcosa di cui ci ricordiamo solo quando iniziamo a preoccuparci che qualcuno non arrivi all’aeroporto contagiato. Un approccio di tipo - mi si permetta - “manzoniano”, ma non nel senso punitivo della parola, ma nel senso della sua assenza di scientificità e soprattutto del suo cinismo, del suo egoismo, della sua meschinità.

D. - Morti, isolamento coatto di interi villaggi, crisi umanitaria ma anche economica, con il Pil di questi Paesi in picchiata per almeno i prossimi due anni secondo le previsioni e con l’export di cacao fermo…

R. - L’economia sta precipitando ogni giorno. L’unica ricchezza della Sierra Leone sono le miniere, non soltanto di diamanti ma anche di bauxite, di ferro… Questo in un momento in cui il Paese è scollegato da tutto il resto del mondo, i collegamenti sono sempre più radi e la gente non va a lavoro. I prezzi sono aumentati di tre volte perché nessuno ha più il coraggio di andare al mercato a vedere. Non c’è più nessuno che compra. Questo, in una società - ripeto - in cui si vive con un euro al giorno, può significare il passaggio dalla miseria alla carestia. Faccio un semplice esempio: la quarantena. Una persona viene chiusa in casa, perché c’è stato un caso sospetto. Da noi, la quarantena significherebbe restare chiusi in casa con la luce elettrica e acqua. La maggior parte degli abitanti della Sierra Leone non dispongono né di una, né dell’altra. Come fanno a stare in quarantena? Chi gli porta da mangiare? Chi provvede a sfamare tutta la gente che è rinchiusa e che non può uscire per andare a fare le sue povere faccende, cercare di procurarsi il cibo ogni giorno?

D. - Oltre alla questione economica, mi viene in mente quella dei bambini: c’è stato il blocco delle adozioni di bimbi poveri e in difficoltà, ovviamente, che vengono da quelle zone. Anche questo è un risvolto terribile di Ebola…

R. - Certamente. Ma ne richiama subito un altro. Le scuole sono chiuse da giugno e non riapriranno se non forse in primavera. Questo in un Paese dove la guerra civile ha tenuto le scuole chiuse per anni e anni. Queste catastrofi passano su una generazione dopo l’altra. Queste generazioni saranno segnate per sempre dall’assenza di scolarizzazione, dalla miseria, dalla paura, dalla sensazione di fragilità.

D. - Guardando invece di nuovo all’Occidente, domani ci sarà il vertice a Bruxelles dei ministri della Sanità europei. Ricordiamo che in Europa ci sono diversi casi isolati, perlopiù si tratta di personale medico rientrato dall’Africa, così anche in America. Diciamo però che forse più di allarmismo, di protezionismo dei propri confini, in questo summit bisognerà decidere come aiutare queste popolazioni. Qualcosa si sta già facendo, però forse è poco, serve un’azione concertata…

R. - Il vero grande problema è la mancanza di personale medico, anche specializzato. Per isolare la malattia, bisogna affrontarla sul suo campo, cioè spezzare la catena del contagio. E per fare questo, ci vogliono Centri di trattamento dove deve lavorare il personale specializzato. Questa è un’epidemia estremamente costosa. Faccio un piccolo esempio: ogni giorno ci vogliono da cinque ad otto tute protettive per ogni malato e i contaminati sono migliaia. Allora, bisogna cercare di intervenire su questi problemi, anche perché il tempo è poco. Se nelle prossime otto settimane a massimo non ci sarà una regressione della malattia, la dimostrazione pratica, numerica, del suo contenimento, questo rischia di diventare un problema ancora più terribile, ancora più universale.

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La crisi ucraina al Vertice euroasiatico di Milano

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Resta confusa la situazione nel sudest dell’Ucraina, dove la tregua sancita il 5 settembre viene ancora violata. I bombardamenti tra Donetsk e Makiivka nelle ultime  24 ore hanno provocato almeno tre vittime e una decina di soldati ucraini risultano accerchiati nella regione orientale di Lugansk da un gruppo di cosacchi filorussi. Sullo sfondo, resta il braccio di ferro con Mosca, piegata dalle sanzioni di Ue e Usa. Uno spiraglio potrebbe venire dal vertice euroasiatico dell'Asem, che si apre domani a Milano, alla presenza anche di Mosca e Kiev. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Aldo Ferrari, responsabile ricerche Caucaso Russia dell’ Ispi, l'Istituto per gli Studi di politica internazionale: 

R. - Credo che uno spiraglio ci sia e che in realtà i contatti diretti tra Putin e Poroshenko siano la cosa migliore, perché ho la sensazione che l’intervento della comunità internazionale nella vicenda abbia creato finora più danni che elementi positivi. La speranza c’è, però bisogna tener presente che, fino a oggi, praticamente tutto ciò che è avvenuto ha provocato dei danni gravissimi. Recuperare completamente la situazione, al momento, non è più possibile. Si può soltanto limitare il danno e cercare una via d’uscita nella quale tutti dovranno perdere qualcosa.

D. - In termini concreti, la Russia potrebbe fare sul terreno un passo indietro, cominciare a ritirare truppe che tra l’altro continua ad affermare di non avere mai schierato. Dall’altro, ci potrebbe essere un ammorbidimento delle sanzioni. Sono questi gli scenari possibili?

R. - Questi sono gli scenari possibili, anche se il ritiro effettivo di elementi armati russi da questa regione mi sembra improbabile, perché altrimenti le regioni non sarebbero in grado di difendere quell’autonomia che in qualche misura hanno conquistato. Mosca ha ottenuto quello che desiderava, cioè avere una sorta di cuneo, attraverso questa regione orientale, nella vita politica dell’Ucraina. A mio giudizio, è molto promettente il fatto che il presidente Poroshenko abbia voluto riconoscere a queste regioni orientali qualche autonomia. Questo è un punto importante, ma ritengo comunque che sarà molto difficile avere dei risultati soddisfacenti per tutti. L’Ucraina, tra tutte le parti in causa, è quella più debole. Non rivedrà mai più la Crimea e, presumibilmente, anche il Dombas resterà una regione a statuto speciale: qualcosa di simile - per quanto si può intravedere - alla situazione che hanno nel Caucaso Paesi come l’Abcazia o l’Ossezia del Sud.

D. - L’economia è anche gas e l'Europa su questo fronte ha legami con la Russia ben diversi da quelli che ha l’America. Come si porrà a Milano questo rapporto con la Russia? Ci si sgancerà dagli Stati Uniti sul fronte economico?

R. - Sarei tentato di dire: “Speriamo di sì”. Non dovremmo farci dettare l’agenda politica da Washington su questo aspetto della collaborazione economica e politica con Mosca. Dovremmo seguire i nostri interessi. Finora non è avvenuto, perché Washington può esercitare una forte pressione sull’Unione Europea, al cui interno poi ci sono poi delle posizioni molto diversificate, ma c’è un fronte anti-russo rappresentato dai Paesi Baltici, dalla Polonia e dalla Gran Bretagna che, grazie all’appoggio statunitense, finora è riuscito a dirigere la politica estera europea.

D. - La Russia a suo parere come si presenta a questo vertice? È ancora un colosso o un colosso in crisi?

R. - La Russia è un Paese con grandi difficoltà economiche, i russi ne sono consapevoli. Al tempo stesso, è un Paese che è in grado di esercitare una politica chiara, diretta, se vogliamo di tipo tradizionale, ottocentesco, che in molti contesti è funzionale. Al tempo stesso, è un attore che rischia un ulteriore isolamento, un ulteriore peggioramento della situazione economica. È interesse della Russia che questa situazione si risolva al più presto.

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Catalogna: dopo "no" a referendum si riparla di indipendenza

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Il governo della Catalogna rilancia l’istanza indipendentista. Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale di Madrid, che ha bocciato il progettato referendum sull’indipendenza della regione dalla Spagna, ieri il presidente catalano, Artur Mas, ha annunciato una nuova consultazione popolare, che si terrà il 9 novembre prossimo, sotto forma di sondaggio. Dunque un’iniziativa di nessun valore legale, ma comunque di forte significato politico. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il giornalista spagnolo, Antonio Pelayo

R. – Artur Mas si trova in vicolo cieco, in cui è entrato volontariamente, pensando di aver successo. Invece, adesso il blocco indipendentista rischia molto di dividersi in due o tre fronti in disaccordo tra di loro. Poi, questo tipo di consultazione annunciata di fatto già viene realizzata abitualmente dagli istituti dei sondaggi.

D. – Facendo il paragone con il referendum per l’indipendenza della Scozia, che venne realizzato in accordo col governo di Londra, perché non è stata scelta una strada simile qui in Spagna?

R . – Perché la Costituzione spagnola non prevede quel tipo di referendum. La legge fondamentale è molto chiara e dice che la sovranità risiede nel popolo spagnolo, non in quello della regione della Catalogna, dei Paesi Baschi, dell’Andalusia o della Galizia, tanto per citare quelle regioni dove più è forte il desiderio di indipendenza. Invece, si potrebbe organizzare un referendum nazionale dove “tutti gli spagnoli” possano esprimersi sulla volontà di far rimanere la Catalogna unita alla Spagna? Questo sì che sarebbe possibile.

D. – Andando ad analizzare quelli che poi sono i sentimenti reali della gente, esiste in Catalogna una maggioranza indipendentista o no?

R.  – Gli ultimi sondaggi danno una maggioranza dei catalani favorevole a rimanere uniti alla Spagna, conservando tutti i privilegi che la Catalogna ha. Una condizione di gran lunga più favorevole, per esempio, di quella della Scozia o di qualunque altra regione francese, con un’autonomia più estesa anche rispetto a molti "länder" tedeschi. La maggioranza dei catalani, dunque, vuole rimanere spagnola.

D.  – Tra l’altro, una Catalogna, Stato sovrano all’interno dell’Europa, avrebbe possibilità di bene inserirsi nel contesto economico e sociale dell’Ue?

R.  – Intanto, dovrebbe subito rinunciare a far parte dell’Europa e richiedere di diventare un nuovo Paese europeo. E questo sarebbe un processo della durata minima di almeno sette-otto anni, nell’ipotesi più favorevole. Barcellona dovrebbe poi rinunciare all’euro. Bisogna dire anche che le grandi aziende spagnole, che hanno sede a Barcellona, già avevano detto che se l’opzione indipendentista dovesse prevalere, lascerebbero la Catalogna per installarsi a Madrid, o a Bilbao o in altre città spagnole. La potenzialità economica della Catalogna fuori della Spagna, secondo me, è molto poco efficace.

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Mozambico. Elezioni generali, svolgimento pacifico

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In Mozambico, seggi aperti da questa mattina. Quasi 11 milioni di elettori sceglieranno il presidente, i 250 deputati della Camera e i componenti di 10 amministrazioni provinciali. Favorito il partito di governo "Frelimo", ma il successo della la campagna elettorale ha dato speranze di crescita anche ai movimenti d’opposizione, gli ex ribelli della "Renamo" e l’MdM. Da Beira, la cronaca di Davide Maggiore: 

Fin dalla mattina, i mozambicani hanno affollato gli oltre 17 mila seggi aperti in tutto il Paese, segno che l’affluenza potrebbe essere molto alta. C’era grande attesa per questo voto, preceduto da una campagna elettorale intensa. Il Frelimo si è mobilitato a favore del suo candidato presidente, l’attuale ministro della Difesa, Filipe Nyussi. Poco conosciuto fino a qualche mese fa, Nyussi fa della continuità col capo di Stato uscente, Armando Guebuza, il cardine del suo programma. Il partito di governo è forte soprattutto nelle campagne, che garantiscono una consistente parte dei seggi, ma rischia di perdere consensi nelle città a favore di MdM, che candida Daviz Simango, sindaco di Beira, seconda città del Paese. Il movimento d’opposizione è dato in crescita soprattutto tra i giovani, anche se mancano sondaggi ufficiali: già governa altri importanti municipi come Quelimane e Nampula e punta a una vittoria simbolica nella stessa capitale Maputo. Più remota la speranza di portare il candidato presidente del Frelimo a un finora inedito secondo turno. Simango - che insiste sul rinnovamento rispetto ai partiti tradizionali - dovrà guardarsi anche dal ritorno di Afonso Dhlakama: il leader della Renamo, alla quinta candidatura, si è dimostrato ancora capace di attrarre grandi folle, nonostante lo scetticismo di alcuni osservatori. Pacifico, finora, lo svolgimento delle operazioni di voto, anche nel centronord, dove l’opposizione è più forte e si temeva potessero verificarsi scontri.

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Iran. Reyhaneh, più vicina impiccagione. Famiglia lancia appello

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Rischia di precipitare la situazione per Reyhaneh Jabbari la 26.enne iraniana condannata all’impiccagione, dal 2009, per l’omicidio dell’uomo che l’ha violentata. "E’ stata legittima difesa", ha sempre detto la ragazza confessando il gesto, ma finora non c’è stato un processo giusto, né una tutela legale. La sentenza, più volte rimandata, potrebbe avvenire ad ore. Di qui, l’urgenza di una più forte mobilitazione internazionale già avviata da mesi sul web, come spiega Taher Djafarizad, portavoce dell’Ong Neda Day che segue il caso,  al microfono di Gabriella Ceraso

R. - Poco fa, fa c’è stato l’ultimo incontro tra i famigiari di Reyaneh, cioè il papà e la mamma, più l’avvocato di Reyaneh, con il figlio maggiore della vittima, alla presenza di due esponenti del governo iraniano, in cui la madre di Reyaneh ha supplicato di perdonare la propria figlia perché sua figlia ha subito lo stupro. Nonostante tutta l’insistenza da parte dei famigiari di Reyaneh, il figlio maggiore ha chiesto per l’ennesima volta che Reyaneh debba accettare per forza che non si sia verificato nessun tipo di stupro. Reyaneh preferisce essere impiccata che dire una bugia, perché lei ha subito questo stupro, per cui l’ultima soluzione è l’impiccagione. I familiari di Reyaneh quindi si sono messi in contatto con me e mi hanno detto che aspettano la mobilitazione internazionale: l’unica salvezza prima di tutto viene dall’Europa, perché l’Iran sta tentando di avere un rapporto con il mondo occidentale.

D. – Basterebbe una decisione del governo iraniano, un giusto processo per questa ragazza. L’appello dunque potrebbe essere proprio in questi termini?

R. – E’ solo questo. E’ intervenuto anche il presidente del parlamento europeo, Martin Schultz, che ha chiesto la riapertura del processo. Se non intervengono, questa povera ragazza viene condannata due volte: la prima volta con lo stupro e la seconda quando verrà impiccata.

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Facebook e Apple, congelamento ovuli. Prof. Gambino: "Desolante"

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“Un orizzonte desolante che trasforma l’uomo in mero oggetto”. Così in sintesi il prof. Alberto Gambino, direttore del Dipartimento di Scienze Umane presso l'Università Europea di Roma sul caso di Apple e Facebook che offrono una polizza sanitaria che consente alle dipendenti il prelievo e la conservazione dei propri ovuli. Per i giganti della Silicon Valley questo darebbe la possibilità alle donne di gestire la propria gravidanza che potrebbe essere un ostacolo alla carriera. Massimiliano Menichetti ha sentito lo stesso prof. Gambino: 

R. - Nel momento in cui si congela un ovulo significa anche che si sta mettendo in conto di governare in un momento successivo l’eventuale maternità. E questo la dice lunga sulle aspettative di un mercato tecnologicamente avanzato nei confronti dei propri lavoratori, che evidentemente vengono più intesi come forza lavoro che non come persone in carne e  ossa, che sono pronte, specie se donne, ad accogliere bambini. Qui c’è anche una buona dose di sudditanza delle lavoratrici verso queste proposte. E’ un orizzonte culturale veramente desolante.

D. – Un bonus, lo chiamano, al pari di un Centro massaggi o di un auto; ma qui parliamo di vita…

R. – Nel mondo del commercio, nel momento in cui si mette in conto che anche la maternità è un peso per l’azienda, diventa normale che venga reso ‘prodotto’, come se fosse appunto una qualsiasi altra occasione di svago. Sono non valori che effettivamente possono essere dirompenti, soprattutto verso i giovani, come proposta culturale.

D. – Il passo successivo è: sei giovane e non hai figli, quando sarai grande e deciderai di utilizzare il tuo ovulo, rivolgiti ad un’altra donna...

R. - Certo sullo sfondo c’è il tema della maternità surrogata, cioè a dire a questo punto questo “fastidio”, perché così sembra, della maternità, viene dato ad altri e si ha soltanto, chiavi in mano, il bambino una volta nato. E non solo, forse sullo sfondo c’è anche un altro ragionamento: la donna quando è giovane serve per lavorare in queste grandi multinazionali della tecnologia, quando comincia ad avere un’età un po’ più avanzata, diventa scarto.

D. – Il bambino dov’è in tutto questo?

R. – Il bambino è diventato un oggetto dei desideri più che una persona portatrice di diritti.

D . – Queste aziende arrivano a dare 4.000 dollari per la nascita di ogni figlio e 15 mila dollari, per chi ha bisogno di cure contro la sterilità. A fianco a questo, polizze come quella di cui stiamo parlando…

R. – C’è il marketing dietro, perché è chiaro che queste aziende non possono indirizzare tutto verso qualcosa che all’opinione pubblica può stonare, e quindi dall’altro lato fanno anche politiche di aiuto con riferimento alla famiglia, ma è talmente dirompente questa vicenda del congelamento degli ovuli che tutto passa in secondo piano.

D. – Lei afferma che potrebbe non essere casuale che questo accadimento sia legato ad aziende che di fatto promuovono nuove tecnologie, in che senso?

R. – Nel senso che i new media e comunque le tecnologie del digitale, le aziende che vi operano, talvolta, non sempre, sono molto deboli sul piano culturale, sul piano dei valori e sul piano delle tradizioni. Sono molto più legate al pragmatismo del 'fare', all’assecondare i bisogni istantanei e a volte anche i bisogni che non sono degni, come quello di cui abbiamo parlato. Dobbiamo auspicare che anche nel mondo di Internet vi sia cultura, cultura con la 'c' maiuscola, ispirata a valori legati alla persona.

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Protezione civile: necessario fare i conti con un territorio fragile

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Sono due sorelle le vittime del maltempo ieri sera in Maremma. La loro auto è stata travolta dalla piena di un affluente dell'Elsa, in località Sgrillozzo, mentre percorrevano una strada in fondovalle. Persone aggrappate agli alberi lungo la strada e salve per miracolo, il racconto di una delle persone scampate all'alluvione nel comune di Manciano, sempre in Maremma. Temporali e forte vento hanno colpito nella notte anche il Friuli- Venezia Giulia con allagamenti e strade chiuse. Una frana si è abbattuta su una casa nel comune di Muggia, in provincia di Trieste, uccidendo la donna che vi abitava. Situazione in generale miglioramento oggi, mentre continua l’impegno di volontari, esercito e Protezione civile per assistere le persone danneggiate e ci si interroga sulle responsabilità politiche dei fatti di questi giorni. Adriana Masotti ha sentito l’ingegnere Fabrizio Curcio, direttore Ufficio gestione Emergenze della Protezione civile nazionale: 

R. – Evidentemente il segnale emerge in maniera chiara a tutti: è un territorio certamente fragile, con eventi importanti, che vedono quantitativi di pioggia concentrati in determinate aree, che creano il disastro che abbiamo visto e che è sotto gli occhi di tutti. Questo, al momento. Altri commenti si faranno poi ad emergenza passata.

D. – La maggioranza dei Comuni italiani possiede un piano per la Protezione Civile, ma solo pochi lo attuano. Molti, in questi giorni, hanno lamentato di non essere stati avvisati del pericolo imminente. C’è stato un po’ anche un rimbalzo di responsabilità...

R. – Certamente, la problematica della pianificazione nel nostro territorio è una problematica che anche come Dipartimento nazionale noi stiamo evidenziando da più tempo. Abbiamo promosso sul nostro sito addirittura un’attività di ricognizione, tramite le Regioni, per conoscere quale sia lo stato di pianificazione sul territorio. Ed effettivamente i numeri non sono confortanti. Oltretutto, l’aspetto del possesso del Piano è solamente il primo gradino di una scala, che è molto più lunga e molto più complessa, che va certamente dalla predisposizione di un buon Piano, ma soprattutto alla consapevolezza del cittadino e alla conoscenza delle attività che egli deve porre nel momento in cui si dovesse trovare in una situazione di rischio.

D. –Riguardo a questo la Protezione Civile può fare qualcosa di più, visto che la sensibilizzazione è uno dei suoi compiti?

R. – Come Dipartimento nazionale di protezione civile noi promuoviamo, con grande dispendio anche di energie, queste campagne di sensibilizzazione. Siamo alla campagna: “Io non rischio alluvione” e abbiamo proposto la campagna: “Io non rischio terremoto”. Andremo avanti per la questione dei maremoti. La percezione, però, è che queste campagne in tempo di pace, in realtà facciano molto poco rumore. Anche qui, allora, certamente c’è bisogno di una maggiore profusione di energie per sensibilizzare le istituzioni e i territori, ma c’è anche bisogno di un’attenzione nel momento in cui questo viene fatto in tempo di pace. Io le posso assicurare che queste campagne di sensibilizzazione sono molto spinte sul territorio, ma vorrei sapere quanto sono conosciute.

D. – Si poteva evitare qualcosa di quello che è successo, sia per quanto riguarda i danni sia, purtroppo, le vittime?

R. – Ma, in termini generali, si può sempre evitare, nel senso che qualunque evento di qualunque natura può essere evitato. Dobbiamo sempre ricordarci, però, che le valutazioni non possono essere fatte dopo, ma bisogna farle prima. Allora cerchiamo di fare in modo che capiti di meno o, ancor di più, che non torni a capitare. Il problema non è “poteva essere evitato” – questo si accerterà – l’importante però è che adesso non ci chiudiamo dietro al fatto del “poteva essere evitato” non aprendo gli occhi su quello che dobbiamo fare per evitare che accadano quelle future.

D. – Quindi tutto il discorso della messa in sicurezza del territorio, le opere da far partire subito...

R. – Certamente, anche le opere hanno un’importanza fondamentale. Sappiamo che le opere sono collegate a due attività principali: un primo punto è il finanziamento, quindi le opere devono essere finanziate; seconda cosa, le procedure devono essere sburocratizzate per rendere operative queste opere. C’è anche un problema di qualità delle opere, perché altrimenti continuiamo anche qua a rimandare. Pensiamo che l’opera infrastrutturale possa risolvere un problema culturale. Noi possiamo fare le opere che ci pare, ma se non cresciamo anche da un punto di vista culturale e non accettiamo che comunque il nostro Paese - opere, non opere; infrastrutture, non infrastrutture - è un Paese a rischio, con il quale bisogna comunque confrontarsi, noi comunque la battaglia la perdiamo.

D. – Bisognerebbe ad esempio rinunciare a costruire laddove è pericoloso…

R. – Ma certamente! L’utilizzo del suolo del nostro Paese è uno dei più inflazionati e bisogna partire dal presupposto però che questa è la realtà e cercare di non aggravare le situazioni e soprattutto prendere coscienza, ognuno nel proprio territorio, dei rischi che lo circondano. 

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Giornata dell’Università di Salamanca sui “linguaggi” di Papa Francesco

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La Facoltà di Teologia della Pontificia Università di Salamanca ha organizzato per domani, 16 ottobre, una Giornata di confronto sul tema “I linguaggi di Papa Francesco”. L’evento, che si terrà nella sede di Madrid dell’ateneo, vedrà anche la partecipazione del neo arcivescovo della capitale spagnola, mons. Carlos Osoro Sierra. Sull’idea alla base di questa giornata, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Jacinto Núñez Regodón, decano della Facoltà di Teologia dell’Università di Salamanca: 

R. – Io credo che una Facoltà di teologia debba sempre fare attenzione al messaggio del Santo Padre. Ci sembrava che ci si fossero già state tante presentazioni dell’“Evangelii Gaudium” e quindi abbiamo pensato che non sarebbe stato necessario fare una nuova presentazione di questa Esortazione apostolica, ma studiare invece il tema dei linguaggi del Papa. Perché? Perché ci sembra che i gesti del Papa siano importanti quanto il suo linguaggio. Sarebbe necessaria una ermeneutica di questi linguaggi. Anzitutto, io direi che questi linguaggi sono di tipo simbolico: per esempio quando il Papa dice “la Chiesa non è dogana”… Ci sembrava fosse necessaria una ermeneutica di questi linguaggi: non tanto i contenuti, ma l’ermeneutica del linguaggio del Papa.

D. – Il linguaggio di Papa Francesco è molto semplice, chiaro. Questo linguaggio arriva molto facilmente al popolo e il popolo capisce subito. I teologi come studiano poi questo linguaggio?

R. – Una Facoltà di teologia deve proprio fare una riflessione su quello che la gente sente, crede, dice, fa… In questo caso, se il linguaggio di un Papa è cosi chiaro e importante per la gente, la Facoltà deve fare lo sforzo di capire tutto l’orizzonte di questo linguaggio, perché un linguaggio che sia chiaro, sia diretto, non significa che non abbia molta profondità! E mi sembra che il linguaggio del Papa abbia proprio questa doppia caratteristica: da un lato è chiaro per la gente e dall’altro è un linguaggio profondo, simbolico, parabolico, ma molto profondo. In questo caso, la Facoltà porta questo linguaggio "in laboratorio" per studiare la profondità di questo linguaggio.

D. – Qual è l’obiettivo di questa giornata, che vedrà anche la partecipazione – con l’intervento di chiusura – del nuovo arcivescovo di Madrid, il cardinale Carlos Osoro Sierra?

R. – Noi abbiamo molta speranza in questa giornata accademica. Ci sarà molta, molta gente, forse fino a 400 persone… La nostra speranza è che questa giornata faccia capire meglio, conoscere meglio Papa Francesco e quindi sentirlo anche sempre più vicino. Io credo che forse ci sia il pericolo di osservare il Papa soltanto nella “prima faccia”, in quella che è la prima impressione, ma credo che tutta questa riflessione sui linguaggi ci permetterà di capire meglio quel senso profondo che ha il Santo Padre.

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Nella Chiesa e nel mondo



Coree: colloqui tra Nord e Sud riaprono il dialogo

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Con un incontro avviato quasi in sordina e annunciato inizialmente solo dai mass media ufficiali nordcoreani, si è tenuto oggi nel Villaggio della tregua di Panmunjom, unico punto di contatto ufficiale tra le due Coree, un colloquio di poche ore tra delegazioni militari. Senza risultati concreti, ma importante, tuttavia, perché - riferisce l'agenzia Misna - è il primo riguardo i rapporti inter-coreani dopo sette anni.

Una conferma è arrivata anche dal ministero delle Difesa di Seul, che ha specificato che al centro dell’incontro sono state questioni bilaterali essenziali, come i contatti in tempo di crisi, la riunificazione e la fine delle provocazioni.

Un colloquio che arriva a qualche giorno da uno scambio di colpi di armi da fuoco ai due lati del confine dopo che attivisti sudcoreani aveano inviato alcuni palloni aerostatici con migliaia di volantini anti-regime. Colpi della contraerea del Nord erano caduti oltreconfine e i militari del Sud avevano risposto colpo su colpo, come ormai prassi, secondo una politica di maggiore fermezza rispetto al passato.

In discussione anche, secondo le informazioni di parte nordcoreana, le tensioni sulla linea di demarcazione marittima, con periodici sconfinamenti dal Nord e il successivo intervento dei guardacoste sudcoreani. Situazioni che alzano la tensione e che rischiano, se non gestite, di provocare un vero conflitto lungo il confine più militarizzato al mondo.

I colloqui erano previsti da tempo ma sono rimasti fino all’ultimo nell’incertezza per le tensioni recenti e nel dubbio su chi sia davvero al controllo al Nord, dopo la scomparsa per 40 giorni da ogni evento pubblico del leader nordcoreano Kim Jong-un. Il capo del regime è, secondo i media della Corea del Nord, che ieri mostravano sue foto senza specificare la data delle riprese, in buona forma, anche se cammina appoggiandosi a un bastone.

L’ultima iniziativa del genere risale al dicembre 2007. Un incontro preparatorio a nuovi colloqui tenutosi nel febbraio 2011 non aveva avuto seguito, date le successivi crisi innescate dai lanci di missili e dei test nucleari sotterranei al Nord nel 2009 e nel 2013. (R.P.)

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Centrafrica: contatti con i rapitori del missionario polacco rapito

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È in corso un dialogo con i sequestratori di Don Mateusz Dziedzic, il sacerdote “Fidei Donum” polacco, della diocesi di Tarnow, rapito domenica 12 ottobre a Baboua, nella Repubblica Centrafricana. Lo confermano all’agenzia Fides fonti della Chiesa locale, secondo le quali al sacerdote è stato permesso di contattare telefonicamente la diocesi di Bouar, dove presta la sua opera missionaria.

“Don Dziedzic, che si trova insieme ad altre persone che erano state sequestrate in precedenza, ha avuto la possibilità di contattare il vicario generale della diocesi di Bouar” dicono le fonti di Fides.

Secondo un comunicato della Pontificie Opere Missionarie della Polonia, i rapitori, legati al leader ribelle Abdoulaye Miskin, hanno cercato di sequestrare anche un altro sacerdote presso la missione di Baboua, ma dopo una trattativa hanno deciso di sequestrare solo don Dziedzic.

Il gruppo guidato da Miskin, le “Front Démocratique du Peuple Centrafricain (Fdpc)”, è un ex alleato dei Seleka, la principale coalizione ribelle che ha detenuto il potere a Bangui dal marzo al dicembre del 2013. Miskin era stato arrestato lo scorso anno al confine con il Camerun, dove è detenuto.

Per ottenere la liberazione del loro leader l’Fdpc ha sequestrato da tempo diverse persone. “Con il rapimento di un missionario europeo, questo gruppo sta cercando di richiamare l’attenzione internazionale per raggiungere il suo scopo”, concludono le nostre fonti. (R.P.)

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Vicario di Aleppo: continua la missione per i cristiani siriani

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Padre Hanna Jallouf, il frate francescano sequestrato dalle milizie di al-Nusra nella notte fra il 5 e il 6 ottobre nel villaggio di Knayeh, nel nord della Siria, e liberato il 9 mattina "ha vissuto relativamente bene il rapimento", sta bene "ed è ottimista". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, che ha parlato in questi giorni con il sacerdote "in attesa di incontrare l'emiro locale per un colloquio".

"Padre Hanna è responsabile di diverse parrocchie, che può visitare liberamente visto che può muoversi e non si trova agli arresti domiciliari" aggiunge il prelato. Tuttavia, egli "non deve lasciare il Paese" sino a che "non avrà incontrato" il leader islamico locale. Padre Jallouf era stato prelevato assieme ad altre 20 persone della parrocchia, rilasciate poi nei giorni seguenti in buone condizioni di salute.

Dall'inizio del conflitto siriano, le milizie jihadiste e i gruppi combattenti hanno sequestrato diverse personalità di primo piano della comunità cristiana locale; fra questi ricordiamo i due vescovi, il metropolita Boulos Yazigi (della Chiesa ortodossa di Antiochia) e il metropolita Mar Gregorios Youhanna Ibrahim (della Chiesa siro-ortodossa) prelevati nell'aprile 2013. A questi si aggiunge il padre gesuita Paolo Dall'Oglio, sacerdote di origini italiane rapito in Siria il 29 luglio 2013, e altri due sacerdoti, assieme a diversi volontari laici, fra cui due ragazze italiane poco più che ventenni.

Mons. Georges Abou Khazen riferisce che "non vi sono novità, non sappiamo nulla" sulla loro sorte e "quello che possiamo fare è pregare, perché Dio illumini la mente dei loro rapitori". Gli sviluppi futuri sulla loro sorte sono legati "alla volontà di dialogo di questi gruppi". Egli avverte che "con lo Stato Islamico è impossibile ogni contatto, perché ha una visione integralista e nemmeno i musulmani moderati riescono a trovare vie e canali per un confronto". Nel caso del sequestro del sacerdote francescano, l'esito positivo potrebbe dipendere dal fatto che "si tratta di gruppi siriani, che non sono fanatici e violenti come quelli stranieri".

Quello che sta succedendo in Siria "è assurdo, è una guerra assurda, non c'è nulla di logico" commenta il vicario di Aleppo. Nonostante tutte le difficoltà, aggiunge, "le comunità cristiane in Iraq e in Siria restano fonte di perdono e di riconciliazione", perché cercano sempre di "essere un tratto in comune fra i vari gruppi. Anche i musulmani moderati qui in Siria riconoscono lo sforzo per il dialogo, la riconciliazione e il pluralismo svolto dai cristiani", perché "un Oriente senza cristiani non potrebbe esistere"; di contro essi condannano le violenze jihadiste, "che non hanno nulla a che vedere con l'islam ma sono frutto del diavolo".

Si tratta di agenti esterni, conclude il prelato, agenti di una "ideologia wahabita" che viene inculcata dalle elementari all'università alle giovani generazioni, secondo un progetto che "parte dall'Arabia Saudita" e che vanta "migliaia" di adepti "sparsi in tutto il mondo". (D.S.)

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Iraq: monastero di Mar Behnam profanato dai jihadisti dell'Is

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I miliziani jihadisti dell'autoproclamato “Stato Islamico” hanno tolto le croci e bruciato antichi manoscritti nell'antico monastero di Mar Behnam, a dieci minuti dalla città di Qaraqosh, che avevano occupato dallo scorso luglio. La conferma delle profanazioni è arrivata dall'ex capo-villaggio di una frazione abitata contigua al monastero, che l'ha comunicata al sacerdote siro-cattolico Charbel Issa, che fino a tre anni fa era stato responsabile del monastero.

“Con i terroristi dello Stato Islamico c'è da aspettarsi di tutto. Distruggeranno tutto, se non vengono fermati” sottolinea in una conversazione con l'agenzia Fides il sacerdote siro cattolico Nizar Semaan. Secondo quanto riportato dal sito lankawa.com, sulle mura del monastero sono state tracciate scritte che lo segnalano come “proprietà dello Stato Islamico”.

I miliziani jihadisti dell'auto-proclamato “Stato Islamico” lo scorso 20 luglio avevano cacciato i tre monaci siro cattolici che lo avevano officiato fino al giorno prima. Anche alcune famiglie residenti presso il monastero erano state espulse. Fin da allora erano state espresse preoccupazioni per il destino del patrimonio custodito nell'antico monastero, risalente al IV secolo e dedicato al principe martire assiro Behnam e a sua sorella Sarah, che costituisce uno dei luoghi di culto più antichi e venerati del cristianesimo siro. (R.P.)

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Mons. Galantino in Iraq: gemellaggi per i profughi

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“Arrivare in Iraq è stato un segno importante per dar continuità all’attenzione e all’impegno della Chiesa italiana nei confronti dei più poveri; ma, dopo quello che qui abbiamo visto, non possiamo che rispondere con tempestività e concretezza. E la via più diretta e significativa può essere quella dei gemellaggi”. La giornata di oggi per mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, e la piccola delegazione di Caritas Italiana che lo accompagna nella missione in Iraq è stata caratterizzata da incontri istituzionali, che hanno rafforzato la convinzione di dover intervenire con determinazione.

Già ieri, del resto, la delegazione della Cei si era sentita fortemente interpellata dalla visita ai Campi profughi, dove mons. Galantino ha incontrato e ascoltato la triste vicenda dell’esilio dalla viva testimonianza delle vittime. Oggi il ministro per le Religioni, Kamal Muslim, ha speso parole di riconoscenza per la vicinanza del Santo Padre e di Caritas Italiana, ricordando le necessità con cui il governo si sta misurando per offrire risposte alle necessità impellenti dei profughi. 

Di segno analogo l’appello del sindaco di Erbil, Nausat Hady, che nel presentare il lavoro dell’amministrazione per favorire una convivenza pacifica, ha sottolineato come la regione del Kurdistan rappresenti “il cuore e la speranza dei cristiani”. Di qui l’importanza attribuita alla visita di mons. Galantino: “Per noi è di grande incoraggiamento - ha detto - perché sappiamo come lavora la Chiesa. La situazione attuale costituisce un peso enorme, con il carico di bisogni dei quali i profughi sono portatori: abbiamo bisogno che ci aiutiate a portarlo”.

Pronta la risposta del segretario generale della Cei: “Lanciamo alle diocesi, alle parrocchie e alle famiglie italiane la proposta di un gemellaggio, che offra garanzia d’impegno, da quello minimo del farsi carico del costo medio di una famiglia di profughi per una giornata, a quello mensile o addirittura annuale. Al rientro Caritas Italiana diffonderà i parametri per dar concretezza a una disponibilità che non esitiamo a chiedere da subito”. (R.P.)

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Kenya. Vescovi contro campagna vaccini antitetanici: rischio sterilità

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I vescovi del Kenya hanno espresso forti perplessità su una campagna nazionale di vaccinazioni antitetaniche lanciata dal Ministero della Sanità e destinata alle donne di età compresa tra i 19 e i 49 anni. La campagna ha preso il via ieri in 60 distretti nel nord del Paese dove, a detta delle autorità sanitarie, si è riscontrato un alto tasso di mortalità materna e neonatale causato dal tetano.

Secondo la Conferenza episcopale tuttavia il vaccino utilizzato, il Tetanus Toxoid (TT) conterrebbe un ormone, il b-HCG che, se iniettato in donne non in gravidanza, provocherebbe una sterilità permanente. Il timore quindi è che dietro all’iniziativa si nasconda una campagna di sterilizzazione di massa. In questo senso – riferisce l’agenzia Cisa - si è espresso il presidente della Commissione Salute della Conferenza episcopale keniana mons. Paul Kariuki Njiru il quale chiede al Governo di Nairobi di dare più informazioni al pubblico sul vaccino e sulla campagna, sottolineando che la dignità della vita umana deve essere una priorità.

In particolare, afferma la nota, le autorità sanitarie dovrebbero chiarire se esiste un’epidemia di tetano in Kenya , e in caso affermativo, perché non è stata dichiarata; perché la campagna di vaccinazioni riguarda solo donne in età fertile e perché il tetano avrebbe una priorità su altre malattie mortali nel Paese.

Nella nota si lamenta anche il mancato coinvolgimento nel programma della Chiesa che pure è uno dei principali erogatori di servizi sanitari nel Paese. “In assenza di informazioni adeguate – avvertono i vescovi – la Chiesa non esiterà a sollevare le sue osservazioni morali su questioni che riguardano la vita umana”.

Le autorità sanitarie keniote, da parte loro, respingono i sospetti dei vescovi, ricordando che il tetano materno e neonatale è una malattia che, secondo l’OMS, ha ucciso nel 2010 58mila madri e neonati. Il responsabile del servizio vaccinazione del Ministero della Sanità ha comunque annunciato che incontrerà i responsabili della Chiesa per spiegare l’importanza del vaccino. (L.Z.)

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Vescovi all'Ue: vincoli sui minerali dalle zone di conflitto

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L’adozione di una legge europea che obblighi tutti gli operatori economici nell’Unione ad esercitare il dovere di diligenza sulle loro catene di approvvigionamento, al fine di identificare e prevenire il rischio di alimentare conflitti e violazioni dei diritti umani. E’ la richiesta rivolta da 70 vescovi di quattro continenti all’Unione Europea, che si appresta ad approvare un pacchetto di misure proposto dalla Commissione nel marzo scorso per rendere più difficile ai gruppi armati operanti in zone di conflitto, finanziare le loro attività mediante l'estrazione ed il commercio di minerali.

La proposta prevede un sistema Ue di autocertificazione volontaria per gli importatori di stagno, tantalio, tungsteno e oro che scelgono di importare tali risorse nell'Unione in modo responsabile. In sostanza, si chiederà loro di monitorare la catena di approvvigionamento, in modo da non partecipare al finanziamento di conflitti che potrebbe avverarsi durante le fasi di produzione e commercio.

I vescovi firmatari della dichiarazione, sostenuti dal Cidse (Coopération Internationale pour le Développement et la Solidarité) un'alleanza di 17 Ong cattoliche europee e nordamericane, ritengono tuttavia la proposta della Commissione insufficiente. “Nella sua formulazione attuale – afferma infatti Denise Aclair, consigliera politica del Cidse - non sarà all’altezza della sua ambizione di mettere fine all’uso dei proventi derivanti dallo sfruttamento delle miniere per finanziare i conflitti armati”.

Di qui la richiesta al Parlamento Europeo di modificare il testo, sostituendo l’autocertificazione volontaria con un sistema legalmente vincolante. Per i presuli, inoltre, la legge non dovrebbe applicarsi solo ai quattro minerali citati, ma a tutte le risorse naturali. “Solo una regolamentazione più estesa e vincolante potrà cambiare il comportamento delle imprese e aiutare le persone e le comunità che soffrono le violenze”, sottolinea il segretario generale dell’organizzazione, Bernd Nilles. (A cura di Lisa Zengarini)

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Giornata pulizia delle mani: misura contro Ebola

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Oggi, 7.a Giornata della pulizia delle mani, l’Unicef ricorda l’importanza dell’igiene delle mani nella lotta contro l’Ebola per la prevenzione delle malattie. Secondo Unicef e Oms, nel 2013 più di 340mila bambini sotto i cinque anni - quasi 1.000 al giorno - sono morti per malattie diarroiche a causa della mancanza di acqua potabile e servizi igienici di base.

“Lavare le mani con il sapone è uno dei ‘vaccini’ più economici ed efficaci contro le malattie virali, a partire dall’influenza stagionale al comune raffreddore”, dichiara Sanjay Wijesekera, responsabile Unicef per il programma acqua e servizi igienico sanitari. “I nostri team presenti in Sierra Leone, Liberia e Guinea sottolineano l’importanza della pulizia delle mani come una delle misure necessarie per fermare la diffusione dell’Ebola. Non è una bacchetta magica, ma è un’ulteriore difesa, economica e facilmente reperibile”.

In questi Paesi - riporta l'agenzia Sir - l’Unicef ha distribuito camici, guanti e candeggina - oltre a 1,5 milioni di saponette solo in Sierra Leone e altri milioni in Liberia e Guinea. “La soluzione non è semplice e ci vuole un enorme sforzo internazionale per arginare la tendenza di questa malattia - prosegue Wijesekera -. Ma è fondamentale pronunciarsi su quali misure possono essere adottate” e “la pulizia delle mani è una di queste misure”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 288

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.