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Sommario del 17/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Dio ci ha dato in mano il Cielo come caparra di eternità

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Attraverso lo Spirito Santo, Dio ha dato ai cristiani il cielo come “caparra” di eternità. Ma questo dono talvolta viene tralasciato per una vita “opaca” e ipocrita. Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Lo Spirito Santo è il “sigillo” di luce col quale Dio ha dato “il Cielo in mano” ai cristiani. I quali, spesse volte, si sottraggono a quella luce per una vita di penombra e, peggio ancora, di luce finta, quella che brilla nell’ipocrisia. L’omelia di Papa Francesco segue passo per passo le parole della Lettura di Paolo, il quale spiega ai cristiani di Efeso che per aver creduto al Vangelo hanno ricevuto “il sigillo dello Spirito Santo”. Con questo dono, afferma il Papa, Dio “non solo ci ha scelti” ma ci ha dato uno stile, “un modo di vivere, che non è soltanto un elenco di abitudini, è di più: è proprio un’identità”:

“La nostra identità è proprio questo sigillo, questa forza dello Spirito Santo, che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo. E lo Spirito Santo ha sigillato il nostro cuore e, di più, cammina con noi. Questo Spirito, che era stato promesso – Gesù lo aveva promesso – questo Spirito non solo ci dà l’identità, ma, anche, è caparra della nostra eredità. Con Lui il Cielo incomincia. Noi stiamo proprio vivendo questo Cielo, questa eternità, perché siamo stati sigillati dallo Spirito Santo, che proprio è l’inizio del Cielo: era la caparra; l’abbiamo in mano. Noi abbiamo il Cielo in mano con questo sigillo”.

Tuttavia, prosegue Papa Francesco, avere come caparra di eternità il Cielo stesso non trattiene i cristiani dallo scivolare almeno in un paio di tentazioni. Primo, osserva, “quando noi vogliamo, non dico cancellare l’identità, ma renderla opaca”:

“È il cristiano tiepido. È cristiano, sì, va a Messa la domenica, sì, ma nella sua vita l’identità non si vede. Anche vive come un pagano: può vivere come un pagano, ma è cristiano. Essere tiepidi. Rendere opaca la nostra identità. E l’altro peccato, quello di cui Gesù parlava ai discepoli e abbiamo sentito: ‘Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia’. ‘Fare finta di’: io faccio finta di essere cristiano, ma non lo sono. Non sono trasparente, dico una cosa – ‘sì, sì sono cristiano’ – ma ne faccio un’altra che non è cristiana”.

Invece, e lo stesso Paolo lo ricorda in un altro passo, una vita cristiana vissuta secondo quell’identità creata dallo Spirito Santo porta in dote, sottolinea il Papa, doni di ben altro spessore:

“Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. E questa è la nostra strada verso il Cielo, è la nostra strada, che incomincia il Cielo di qua. Perché abbiamo questa identità cristiana, siamo stati sigillati dallo Spirito Santo. Chiediamo al Signore la grazia di essere attenti a questo sigillo, a questa nostra identità cristiana, che non solo è promessa, no, già l’abbiamo in mano come caparra”.

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Il Sinodo lavora alla stesura dei documenti finali

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Il Sinodo straordinario sulla famiglia lavora, oggi, alla stesura dei documenti finali, che verranno presentati e votati in Aula domani. Condivisione universale e libertà di parola: così mons. Georges Pontier, presidente dei vescovi francesi, ha definito i lavori sinodali, durante il consueto briefing nella Sala Stampa vaticana. Presenti anche il card. Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, e la dott.ssa Ilva Myriam Hoyos Castañeda, intervenuta al Sinodo in qualità di uditrice. Il servizio di Isabella Piro: 

"L’expérience de se partage universelle, l’universalité des interventions…"

Un’esperienza di condivisione universale, caratterizzata dalla libertà di parola e dallo scambio reciproco: così mons. Pontier descrive il lavoro del Sinodo straordinario sulla famiglia, sottolineando poi che è importante ricordare le famiglie felici, oltre a quelle che vivono situazioni pastorali difficili. Il cammino dell’Assemblea è stato progressivo, spiega ancora il presule: nonostante le differenti realtà continentali, si è partiti dalla base comune dei principi fondamentali della Chiesa sulla famiglia e la tutela della vita, e sarebbe quindi sorprendente non arrivare ad un consenso sui documenti finali.

Rispondendo poi, ad una domanda sulle “Manif pour tous” svoltesi in Francia in difesa della famiglia, mons. Pontier esprime apprezzamento per l’impegno dei giovani nel tutelare valori fondamentali per tutti, non solo per i cristiani.

Dal suo canto, il card. Marx auspica che i lavori diano impulso alla pastorale familiare e descrive il dibattito sinodale animato dalla volontà di trovare un cammino comune. Sulla questione degli omosessuali, il porporato parla di accompagnamento spirituale affinché possano comprendere come vivere il Vangelo, il che non implica comunque un’accettazione, da parte della Chiesa, di tale prassi sessuale. Riguardo ai divorziati risposati, inoltre, il card. Marx ricorda che la Chiesa tedesca ha parlato in modo approfondito della possibilità, per tali persone, di accostarsi al sacramento dell’Eucaristia.

Nel suo intervento, invece, la dott.ssa Hoyos sottolinea:

“La necesidad que exista un dialogo entre la Iglesia y el Estado… "

E’ necessario, dice, un dialogo tra Stato e Chiesa, nel rispetto della libertà religiosa e della dottrina sociale della Chiesa, e ribadendo l’importanza dell’impegno dei cattolici nella vita pubblica.

Infine, rispondendo alle domande dei giornalisti, padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, è tornato sul dibattito che si è svolto ieri mattina in Aula, riguardo alla pubblicazione delle Relazioni dei Circoli minori:

“E’ stata posta la questione sul fatto della pubblicazione o meno di tali Relazioni. E il Sinodo – senza alcuna incertezza – ha optato per la pubblicazione, cosa che noi abbiamo fatto molto serenamente e che corrispondeva a quello che noi avevamo previsto di fare”. 

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Sinodo. Bagnasco: teoria del genere a scuola, calpestati diritti genitori

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Di fronte alle mentalità corrente che tende a banalizzare la sessualità umana e alla teoria del gender che punta a distruggere il concetto di famiglia naturale, la Chiesa è chiamata a promuovere un’educazione all’affettività fondata sul Vangelo. E’ questa una delle sfide affrontate in questi giorni dal Sinodo dei vescovi, sulla quale si sofferma il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, al microfono di Paolo Ondarza

R. – E’ un momento di grazia per la Chiesa, perché - insieme al Santo Padre – tutti noi, padri sinodali, gli osservatori, gli uditori e i vari invitati, abbiamo aperto lo sguardo e il cuore con grande chiarezza, con grande semplicità e con grande passione di pastori, sul tema della famiglia, che è la realtà fondamentale della società e della Chiesa. Ho ricordato in modo particolare la necessità dell’educazione affettiva, perché l’amore non è soltanto sentimento, ma è quello che la cultura presente non dice: l’amore è dono, è dono di se stesso ed è decidere di donarsi ad una altra persona per sempre, per tutta la vita. Questo grandissimo e splendido ideale, che oggi sembra impossibile nel mondo occidentale perlomeno, è possibile se si fa appello alla grazia di Dio.

D. – Educare all’amore è oggi una sfida particolarmente difficile, se pensiamo alle forti correnti di pensiero, a quello che anche qui in Aula è stato definito anche “pensiero unico”, che si vuole imporre e che spesso va a snaturare proprio la famiglia e così ad indebolire un nucleo fondante della società…

R. – Il “pensiero unico” è ormai una dittatura, che si vuole imporre dall’Occidente a tutte le altre parti del mondo. Ma l’Occidente – e in particolare l’Europa, come ho detto diverse volte – non è più assolutamente il centro del mondo: quindi l’arroganza della cultura europea dovrebbe fare i conti con questa realtà. Purtroppo gli organismi internazionali, che sono tanto importanti – pur essendo rappresentativi di tutti i Paesi del mondo – ragionano con una cultura, con una antropologia sostanzialmente occidentalista, che ormai ruota attorno alla cosiddetta teoria del genere

D. – Una teoria che si sta diffondendo in vari Paesi d’Europa sui banchi di scuola, dove si tenta di introdurre contenuti che vanno un po’ a snaturare quella che è la struttura naturale della famiglia…

R. – E’ un’offesa gravissima, che le istituzioni tentano di fare, al diritto sacrosanto, al diritto naturale dei genitori di offrire ai propri figli la visione culturale - una visione antropologica e valoriale - in cui loro credano e che sia la migliore per sé e per i propri figli. Questo diritto non può essere assolutamente scavalcato da alcuna autorità! Quindi questi tentativi di immettere, in modo quasi nascosto, questo tipo di visione che nasce dal genere, sotto la scusa di fare educazione affettiva o educazione sessuale, è un grave errore e non soltanto: è una grave violenza autoritaria rispetto ai genitori. I genitori devono essere non solamente informati su un progetto o su una intenzione delle autorità dello Stato o scolastiche che siano, ma devono dare – i genitori – l’autorizzazione esplicita e concorde perché queste cose vengano rappresentate ai propri figli.

D. – In Italia c’è il rischio che la situazione vada nella stessa direzione in cui è andata in altri Paesi europei?

R. – Certamente c’è questo rischio, perché lo abbiamo già visto l’anno scorso attraverso la diffusione di questi libretti, che poi sono stati – dicono – ritirati dalle scuole dopo un intervento dei vescovi che ha richiamato l’attenzione sul fatto. Non è un’ingerenza! E’ un dato, è una registrazione di un fatto, di cui però nessuno parlava. Già mi dicono altri che ancora circolano in qualche scuola… Bisogna che i genitori siano molto attenti: si tratta del bene fondamentale dei loro figli, perché vedere l’affettività, vedere la sessualità in genere, vedere la persona umana e la famiglia in un certo modo o in un altro, questo cambia radicalmente.

D. – I genitori chiedono di non essere lasciati soli dalle parrocchie e dai loro pastori…

R. – Assolutamente! La Chiesa non può lasciare solo il genitore: questo appartiene alla sua missione. Si affianca alla famiglia, ai genitori, non si sostituisce; si affianca con tutto il suo patrimonio di sapienza umana e cristiana, di operatori, di dedizione, che sono le nostre parrocchie, le associazioni e i movimenti.

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Il patriarca Twal: Sinodo aperto alle sfide del nostro tempo

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Sulle novità di questo Sinodo sulla famiglia, ascoltiamo il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, al microfono di Paolo Ondarza

R. – Quello che c’è di nuovo è uno spirito di apertura della Chiesa a tutte le sfide che noi incontriamo nella società e nella Chiesa. C’è un’apertura, questo è vero: dobbiamo pensare alla salvezza delle anime e questo ci spinge ad avere un’apertura, una comprensione, una misericordia. Però la misericordia non deve mai eliminare la disciplina e la dottrina.

D. – Per quanto riguarda la situazione delle famiglie in Terra Santa cosa c’è da dire?

R. – Le nostre sfide e le sfide delle nostre famiglie cristiane e musulmane, in Terra Santa e nel Medio Oriente, per prima cosa sono la violenza, la guerra, l’occupazione militare israeliana, i muri di separazione dei Territori, separazione delle famiglie, delle parrocchie, delle diocesi, i rifugiati, famiglie distrutte totalmente. La prima difficoltà è la fame, è mangiare, dare da mangiare a tre milioni di rifugiati; questa è la prima difficoltà.

D. – Al Concistoro di lunedì 20 ottobre il Medio Oriente sarà all’ordine del giorno…

R. – Noi abbiamo speranza e siamo felici che per la prima volta i Patriarchi del Medio Oriente sono invitati a partecipare e ringraziamo il Signore. Speriamo bene!

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Sinodo. Coniugi Ciavarella: un amore vero non teme la castità

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Tra le sfide pastorali emerse nell’aula sinodale c’è la proposta cristiana ai fidanzati della castità prematrimoniale. “Non è facile proporre ai giovani questo valore, spesso interpretato come un divieto, ma che in realtà è un invito vivere in pienezza e nel dono totale di sé il Sacramento del matrimonio”. Lo spiegano i coniugi Giuseppe e Lucia Petracca Ciavarella, uditori al Sinodo, medici di professione,  e da anni attivi nella pastorale familiare. Paolo Ondarza li ha intervistati: 

R. (Marito) - Questo è uno dei problemi che noi sia come famiglia che come catechisti affrontiamo. Bisogna preparare i giovani affinché possano rispondere in maniera positiva a questa che viene indicata dalla Chiesa come necessità che poi porta, attraverso la castità, alla donazione di sé, a un dono molto più grande nel matrimonio.

(Moglie) - Oggi basta vedere un po’ tutte le fiction televisive: la sessualità viene cosificata, banalizzata, per cui far camminare i giovani attraverso la bellezza della conoscenza, educarli alla sessualità, all’affettività, a un’attesa, fa sì che loro rafforzino il loro essere coppia. Non sono poche le coppie che si presentano, per esempio, a un percorso di preparazione al matrimonio che noi facciamo e magari hanno alle spalle dieci, dodici anni di fidanzamento, alcune volte anche di convivenza. Dopo un percorso di riflessione e discernimento, a volte decidono di vivere la castità prematrimoniale per poter gustare più in pienezza e meglio il senso del dono totale con il sacramento del matrimonio.

D. - Ci sono e sono numerose le coppie che vivono coerentemente il fidanzamento cristiano?

R. (Moglie) - Ci sono, ma non sono numerose, anche perché oggi le coppie dicono apertamente di vivere un matrimonio fuori dal matrimonio. Però ci sono e forse è su quelle che dobbiamo fare leva. Parlo di una piccola esperienza nella nostra comunità parrocchiale. Gli animatori di nostri giovani si sono resi conto, ad esempio, in questi ultimi anni che molti dei nostri giovanissimi stanno iniziando un percorso di innamoramento. Allora, hanno messo nel loro programma pastorale un incontro fatto anche con noi coppie sposate da anni per cercare di valorizzare il periodo dell’innamoramento e cominciare insieme una preparazione remota a quella che può essere la vocazione al matrimonio-. Magari far vedere loro la bellezza di un fidanzamento vissuto in castità che è quella donazione per poi arrivare magari al matrimonio - quello vero - o anche alla rottura di un percorso di innamoramento che non è fatto per l’amore totale.

D. - Nonostante la situazione dominante fotografi giovani che scelgono la convivenza, che vivono rapporti prematrimoniali, oggi vale comunque la pena ed è importante ribadire il concetto di amore esigente?

R. (Moglie) - Sì, l’amore deve essere sempre un amore esigente: deve esigere la fedeltà, il dono, la totalità, l’apertura alla vita. L’amore è esigente, sempre.

D. - Non sto parlando con dei teorici, sto parlando con una coppia che ha vissuto il proprio fidanzamento non senza difficoltà…

R. (Marito) - Sì. Noi siamo stati fidanzati per dieci anni, negli anni in cui c’era la contestazione femminista, c’era l’aborto, c’erano altre situazioni che naturalmente non ci aiutavano nel nostro cammino di fidanzamento. Ma oggi è molto più difficile di allora, perché c’è una cultura dominante che non orienta ad un amore fecondo e casto.

(Moglie) - Noi siamo cresciuti come coppia e come famiglia al grido di Giovanni Paolo II: “Famiglia diventa ciò che sei!”. Noi oggi sentiamo il grido dei nostri figli che ci chiedono, “Famiglia dove sei?”. Allora, al Santo Padre noi abbiamo chiesto che, accanto a una Chiesa in uscita, ci sia una famiglia che continui, insieme ai nostri padri nella Chiesa, a portare in ogni casa, in ogni angolo del mondo, il Vangelo della vita.

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Papa alla Fao: fame nel mondo, no a speculazione in nome del dio profitto

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Per vincere la fame nel mondo non basta l’assistenza, occorre cambiare le politiche di sviluppo e le regole del mercato: è quanto afferma il Papa nel Messaggio inviato al direttore generale della Fao, il prof. José Graziano da Silva, in occasione della Giornata Mondiale dell’alimentazione, celebrata ieri. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

No alle “speculazioni sui prezzi in nome del dio profitto”: Papa Francesco fa proprio il grido di milioni di persone che mancano del cibo quotidiano nonostante l’enorme quantità di alimenti sprecati. E’ “uno dei paradossi più drammatici del nostro tempo – scrive - al quale assistiamo con impotenza, ma spesso anche con indifferenza, ‘incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, [... ] come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete’ (Evangelii Gaudium, 54)”.

“Per sconfiggere la fame – afferma - non basta superare le carenze di chi è più sfortunato o assistere con aiuti e donativi coloro che vivono situazioni di emergenza. Bisogna piuttosto cambiare il paradigma delle politiche di aiuto e di sviluppo, modificare le regole internazionali in materia di produzione e commercio dei prodotti agricoli, garantendo ai Paesi in cui l’agricoltura rappresenta la base dell’economia e della sopravvivenza un’autodeterminazione del proprio mercato agricolo”.

“Fino a quando – chiede il Papa - si continuerà a difendere sistemi di produzione e di consumo che escludono la maggior parte della popolazione mondiale anche dalle briciole che cadono dalle mense dei ricchi? E’ arrivato il tempo – sottolinea - di pensare e decidere partendo da ogni persona e comunità e non dall’andamento dei mercati. Per conseguenza, dovrebbe cambiare anche il modo di intendere il lavoro, gli obiettivi e l’attività economica, la produzione alimentare e la protezione dell’ambiente. Questa è forse l’unica possibilità per costruire un autentico futuro di pace, oggi minacciato pure dall’insicurezza alimentare”.

“Nonostante i progressi che si stanno realizzando in molti Paesi – ricorda il Papa - i dati recenti continuano ancora a presentare una situazione inquietante, alla quale ha contribuito la generale diminuzione dell’aiuto pubblico allo sviluppo”. Per il Pontefice “occorre riconoscere sempre di più il ruolo della famiglia rurale e sviluppare tutte le sue potenzialità”: è, infatti, “in grado di rispondere alla domanda di alimenti senza distruggere le risorse della creazione”. Inoltre, grazie al “legame d’amore, di solidarietà e di generosità che esiste tra i suoi membri”, la famiglia rurale “favorisce il dialogo tra le diverse generazioni e pone le basi per una vera integrazione sociale, oltre a rappresentare quella auspicata sinergia tra il lavoro agricolo e la sostenibilità: chi più della famiglia rurale è preoccupato di preservare la natura per le generazioni che verranno? E chi più di essa ha a cuore la coesione tra le persone e i gruppi sociali?”. “Le normative e le iniziative a favore della famiglia, a livello locale, nazionale e internazionale – osserva - sono molto lontane dalle sue esigenze reali e questa è una lacuna da colmare”.

“Mai come in questo momento – scrive Papa Francesco - il mondo ha bisogno di unità tra le persone e tra le Nazioni per superare le divisioni esistenti e i conflitti in atto, e soprattutto per cercare concrete vie d’uscita da una crisi che è globale, ma il cui peso ricade maggiormente sui poveri”. “La Chiesa cattolica, mentre prosegue la sua attività caritativa nei diversi continenti – conclude il Papa - rimane disponibile ad offrire, illuminare e accompagnare sia l’elaborazione delle politiche sia la loro attuazione concreta, consapevole che la fede si rende visibile mettendo in pratica il progetto di Dio sulla famiglia umana e sul mondo attraverso quella profonda e reale fraternità che non è esclusiva dei cristiani, ma include tutti i popoli”.

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Il Papa a giovani Fuci: cultura odierna ha fame dell'annuncio del Vangelo

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“Studio, ricerca, frontiera”: sono le tre parole che il Papa consegna alla Fuci, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, in occasione del Congresso Straordinario organizzato ad Arezzo per la Beatificazione di Papa Montini, domenica 19 ottobre. L’incontro, che vuole ricordare Paolo VI negli anni in cui fu assistente centrale della Fuci (1925-1933), si svolge sul tema: “In spiritu et veritate. La testimonianza di Giovanni Battista Montini nell’università e nella cultura contemporanea”. Il servizio di Sergio Centofanti

La prima parola che il Papa affida ai giovani della Fuci è studium. “L'essenziale della vita Universitaria – scrive - risiede nello studio, nella fatica e pazienza del pensare che rivela una tensione dell'uomo verso la verità, il bene, la bellezza”. “Non accontentatevi – è la sua esortazione - di verità parziali o di illusioni rassicuranti, ma accogliete nello studio una comprensione sempre più piena della realtà. Per fare questo sono necessarie l'umiltà dell'ascolto e la lungimiranza dello sguardo. Studiare non è appropriarsi della realtà per manipolarla, ma lasciare che essa ci parli e ci riveli qualcosa, molto spesso anche su noi stessi; e la realtà non si lascia comprendere senza una disponibilità ad affinare la prospettiva, a guardarla con occhi nuovi. Studiate quindi con coraggio e con speranza”.

La seconda parola è ricerca. “Il metodo del vostro studio – è l’invito del Papa - sia la ricerca, il dialogo e il confronto. La Fuci sperimenti sempre l'umiltà della ricerca, quell'atteggiamento di silenziosa accoglienza dell'ignoto, dello sconosciuto, dell'altro e dimostri la propria apertura e disponibilità a camminare con tutti coloro che sono spinti da un'inquieta tensione alla Verità, credenti e non credenti, stranieri ed esclusi. La ricerca s'interroga continuamente, diviene incontro con il mistero e si apre alla fede: la ricerca rende possibile l'incontro tra fede, ragione e scienza, consente un dialogo armonico tra esse, uno scambio fecondo che nella consapevolezza e nell'accettazione dei limiti della comprensione umana permette una ricerca scientifica condotta nella libertà della coscienza, Attraverso questo metodo di ricerca è possibile raggiungere un obiettivo ambizioso: ricomporre la frattura tra Vangelo e contemporaneità attraverso lo stile della mediazione culturale, una mediazione itinerante che senza negare le differenze culturali, anzi valorizzandole, si ponga come orizzonte di progettualità positiva”. “La cultura del nostro tempo – ricorda Papa Francesco ai giovani - ha fame dell'annuncio del Vangelo, ha bisogno di essere rianimata da testimonianze forti e salde”. Quindi cita le parole di Montini: «È l'idea che guida l'uomo, che genera la forza dell'uomo. Un uomo senza idea è un uomo senza personalità».

La terza parola è frontiera. “L'Università – scrive il Papa nel messaggio - è una frontiera che vi aspetta, una periferia in cui accogliere e curare le povertà esistenziali dell'uomo”. “Abbiate sempre cura di incontrare l'altro, cogliere l' «odore» degli uomini d'oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce. Non opponete mai barriere che, volendo difendere la frontiera, precludono l'incontro con il Signore”. Invece – è l’esortazione del Papa – “portate speranza e aprite sempre agli altri il vostro lavoro, apritevi sempre alla condivisione, al dialogo. Nella cultura soprattutto oggi abbiamo bisogno di metterci a fianco di tutti. Potrete superare lo scontro tra i popoli, solo se riuscirete ad alimentare una cultura dell'incontro e della fraternità. Vi esorto a continuare a portate il Vangelo nell'Università e la cultura nella Chiesa!”.

Questo l’appello finale: “abbiate sempre gli occhi rivolti al futuro. Siate terreno fertile in cammino con l'umanità, siate rinnovamento nella cultura, nella società e nella Chiesa. Ci vuole coraggio, umiltà e ascolto per dare espressione al rinnovamento”.

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Beatificazione Paolo VI. Card. Re: Montini figura di straordinaria attualità

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Si è tenuto in Sala Stampa vaticana un briefing sulla figura di Paolo VI in occasione della Beatificazione di domenica. All’incontro sono intervenuti il card. Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, padre Antonio Marrazzo, postulatore della Causa di Beatificazione, don Pierantonio Lanzoni, delegato vescovile per la promozione della memoria di Paolo VI nella diocesi di Brescia, vice postulatore della Causa di Beatificazione, e don Davide Milani, portavoce della Diocesi di Milano. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Alla Beatificazione di Papa Montini è prevista la partecipazione di Benedetto XVI. E’ quanto annunciato da padre Lombardi all’apertura della conferenza stampa. Un incontro che si è soffermato su questa grande figura da approfondire e, per certi versi, da riscoprire. Paolo VI, un Papa geniale, impegnato nel dialogo con tutti, dotato di una grande spiritualità, ha detto il cardinale Giovanni Battista Re, bresciano come Montini, che del futuro Beato è stato anche collaboratore. Il porporato ha sottolineato quanto sia stato fondamentale il ruolo di Paolo VI nel portare a termine il Concilio Vaticano II. Ha poi ricordato che proprio a Montini si deve l’istituzione del Sinodo. Quindi, ha messo l’accento sulla modernità incarnata dallo stile e dall’azione pastorale del nuovo Beato:

“Pochi come lui hanno saputo capire le ansie, le attese e le aspirazioni degli uomini e delle donne del nostro tempo. Fu proprio molto sensibile alle sfide che la modernità poneva alla fede e in questo si rivelò un grande uomo di dialogo”.

Il cardinale Re ha ricordato i tanti primati di Paolo VI, primo Papa a viaggiare all’estero a partire dallo storico viaggio in Terra Santa nel gennaio del 1964. Non era un Papa “amletico” come qualcuno sosteneva, ha detto ancora il porporato, ma in realtà era un uomo che voleva sempre approfondire le regioni degli altri. Paolo VI, definito da Papa Francesco “la mia luce” nell’età della gioventù, ha soggiunto il card. Re, è stato inoltre Papa vicino ai poveri. Fece vendere la sua tiara e i soldi ricavati furono donati a Madre Teresa per i suoi poveri in India. Inoltre riformò profondamente la Curia Romana. Il cardinale Re ha auspicato dunque che la Beatificazione faccia riscoprire Paolo VI:

“L’augurio è proprio questo: che la beatificazione di Paolo VI serva a far conoscere di più questo Papa e anche a far accogliere il grande messaggio che ci viene da tutta la sua vita, che è stata realmente ricca di spiritualità”.

Dal canto suo, il postulatore, padre Marrazzo ha ricordato che non si beatifica solo il Papa ma tutto l’uomo Giovanni Battista Montini. Ha così evidenziato che Paolo VI ha sempre difeso la vita e colpisce dunque che il miracolo che gli consente di salire agli onori degli altari sia proprio la guarigione di un feto gravemente malato alla 24.ma settimana, avvenuto 13 anni fa negli Stati Uniti. Padre Antonio Marrazzo ha raccontato il felice epilogo della vicenda dopo le preghiere dei genitori a Paolo VI:

“Praticamente alla 34.ma settimana di gravidanza, abbiamo una remissione spontanea della patologia. E non solo: alla 39.ma settimana il bambino nasce dopo 15 settimane di preghiere e di speranza, nasce in buone condizioni, completamente sano, con una spontanea attività di pianto e di respirazione”.

Il bambino, un tredicenne, è sano. Il postulatore ha poi spiegato che né lui né i suoi genitori – per questione di privacy – saranno alla Beatificazione. L’immagine dell’arazzo di Paolo VI è tratto da una foto di Pepi Merisio e ritrae Montini in piedi sorridente con le mani levate verso il cielo. E’ stato dunque reso noto che il corpo del Beato rimarrà nella tomba attuale nelle Grotte Vaticane e che non è stata fatta ricognizione sul corpo. Come reliquia che verrà presentata a Papa Francesco – durante la celebrazione – ci sarà, in una teca, una maglia macchiata di sangue che Paolo VI indossava a Manila quando fu vittima di un attentato.

Dal canto loro, i rappresentanti delle diocesi di Brescia, don Lanzoni, e di Milano, don Milani, hanno informato su tutta una serie di iniziative legate alla Beatificazione. In particolare a Brescia, terra natale del Beato, si vivrà un Anno montiniano proprio a partire da domenica fino all’ 8 dicembre del 2015. In tutte le parrocchie bresciane e ambrosiane saranno inoltre celebrate delle veglie di preghiera. A Roma, infine, sono attesi almeno 5 mila fedeli da Brescia e 3 mila da Milano.

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Paolo VI: ispirata a lui la musica liturgica della Beatificazione

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Per il giorno della Beatificazione di Paolo VI, la liturgia avrà anche una veste musicale d’eccezione. Una compagine ispirata all’esperienza di vita di Papa Montini e soprattutto l’Inno ufficiale “In nomine Domini”. La musica è del direttore della Cappella Musicale Pontifica "Sistina", don Massimo Palombella, e il testo del gesuita padre Eugenio Costa. Ma in che modo la figura del Pontefice vivrà in questa musica? Gabriella Ceraso lo ha chiesto allo stesso don Massimo  Palombella

R. – L’inno scritto per la Beatificazione di Paolo VI è, fondamentalmente, un inno a Cristo dove si rende grazie attraverso la vita di Paolo VI. Il cuore dell’inno è dato dal testo del ritornello – "Christus, lumen gentium! Christus in Ecclesia! Mittat nos ad gentes!" – che in tre incisi scritti per una grande assemblea, sintetizza tutta la vita di Paolo VI: con al centro Cristo e con “l’essere mandati alle genti” . Le tre strofe poi che compongono l’inno, scritte in una maniera pluriarticolata da padre Eugenio Costa – in una maniera veramente intelligente e speciale – permettono un intervento della Schola Cantorum, un intervento del solista, intercalato con un intervento assembleare, dove l’assemblea interviene dicendo, “In nomine Domini”, che è il motto di Paolo VI. Le strofe che tratteggiano la personalità di Paolo VI, e quindi anche nella scrittura musicale, sono delicate e raffinate perché l’uomo è tale: è grande perché delicato e raffinato.

D. – Quindi, vocazione personale, azione di pastore e irradiamento di questa figura tutt’oggi nella Chiesa. È questo Paolo VI attraverso questa musica?

R. – Sì, decisamente. "A noi oggi parli ancora”, recita la terza strofa, perché effettivamente tutto quello che noi stiamo facendo, nell’attuazione del Concilio Vaticano II, è la riforma liturgica. Abbiamo ancora come punto di riferimento quello che Paolo VI intuì e cominciò ad attuare, ma è un cammino che è solo all’inizio. A noi il compito di essere fedeli al mandato del Concilio.

D. – Anche nella compagine musicale che parteciperà e animerà la giornata di domenica c’è qualcosa di Paolo VI. In che modo?

R. – Due grosse presenze. La prima è il coro del Duomo di Milano: il cardinale Montini fu arcivescovo di Miliano e proprio in quegli anni ci fu un grande studio, un grande approfondimento di tutto il canto ambrosiano. Quindi, il coro del Duomo di Milano canterà insieme alla Cappella Musicale Pontificia “Sistina”. Con questa particolarità, che anche durante la celebrazione eucaristica ci sarà un’inserzione ambrosiana, il canto dopo il Vangelo. E poi, ci sarà la presenza di un coro della diocesi di Brescia – circa 60 persone – che si uniranno a un coro inglese, che verrà per l’occasione, e al normale coro guida che canta nelle celebrazioni per un totale di circa 270 persone, che faranno il cosiddetto “coro guida”, cioè il coro che fa la parte dell’assemblea. Mentre il Pontificio Istituto di Musica Sacra parteciperà cantando tutte le parti gregoriane della celebrazione, in risposta alla polifonia della Cappella Sistina e del coro del Duomo di Milano.

D. – Quindi, la musica per comunicare cosa di questa figura così complessa, così bella e ricca?

R. – Per comunicare, fondamentalmente, che il dialogo con la modernità, la ricerca e lo studio sono il veicolo dell’evangelizzazione e anche questa interazione di soggetti celebranti, di diverse "schole cantorum", di strumenti musicali fa parte, in fin dei conti, di quella grande intuizione ecclesiologica che sta dietro e a tutta la riforma liturgica che ha chiesto il Concilio Vaticano II.

D. – E quindi  Paolo VI…

R. –  Paolo VI, ovviamente.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La fame minaccia la pace: messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale dell'alimentazione.

Cultura dell'incontro: il Pontefice alla Fuci.

Qui non si può entrare: Giovanni Preziosi sull'ingegnosa suor Augustine e i rastrellamenti nazisti.

Il braccio lungo di Pio XII: Dominique Oversteyns su padre Pfeiffer secondo Stefan Samerski.

Le medaglie dell'anima: Gaetano Vallini recensisce il documentario di Oren Jacoby - presentato al Festival del film di Roma - sugli italiani che salvarono gli ebrei.

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Oggi in Primo Piano



Vertice Asem: Ucraina, non c'è ancora soluzione politica

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"Il conflitto in Ucraina è ancora senza una soluzione politica". E' quanto ha sottolineato il presidente del Consiglio Ue, Van Rompuy, al termine degli incontri sull'Ucraina tenutisi oggi a Milano a margine dell'Asem, il vertice eurasiatico (Asia-Europe Meeting). C’è accordo solo sulla necessità di attuare il protocollo di Minsk ma restano “divergenze di vedute su vari aspetti”. Intanto, sul terreno continuano gli scontri con vittime. La crisi ucraina cattura tutta l’attenzione dei media a Milano ma in realtà il dibattito al centro del vertice Asem è sulle sfide importanti in termini di collaborazione tra Ue e Asia. Fausta Speranza ne ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri: 

R. – Il discorso dell’Asia e dell’Europa è di un’importanza cruciale, perché ciò che è successo, in questi ultimi dieci o quindici anni, è un cambiamento epocale. L’Asia è diventata il terzo grande pilastro del sistema internazionale, dell’economia mondiale, quindi la collaborazione tra Europa – che già era da tempo un pilastro – e questo nuovo pilastro è fondamentale. Naturalmente è una collaborazione che presupporrebbe da parte dell’Europa una capacità di gestire un negoziato, di gestire una strategia come attore unitario, un’Unione Europea quindi fortemente coesa. Questo è il lato più debole, invece, di tutto l’incontro sulle potenzialità di scambio tra queste due aree, perché l’Europa era e rimane profondamente divisa e lo è ancora di più nel momento in cui, come sappiamo, è alle prese ancora nell’area dell’euro con una sua crisi. I Paesi europei sono molto più propensi a negoziare poi con i singoli Paesi dell’Asia o con la Cina, che ne rappresenta il grande pilastro, di quanto non siano interessati a sviluppare una strategia comune.

D. – La Russia, però, riesce a tenere banco: Putin catalizza l’attenzione ...

R. – La Russia tiene banco perché purtroppo il conflitto con l’Ucraina, come sappiamo, è un pericolo immediato.

D. – A questo primo piano politico di Putin quale piano economico della Russia corrisponde?

R. – Il piano economico è un piano in forte peggioramento. L’economia russa sta pagando fortemente, molto più di quanto non costino a noi, le sanzioni e anche una sorta di isolamento che è avvenuto a livello – non dimentichiamolo – finanziario. Quindi Putin è costretto in qualche maniera, comunque, a mostrare disponibilità nelle mediazioni. Per ora sono prime timidissime aperture, se non delle mosse tattiche, perché dietro, nella sostanza, concessioni vere non se ne sono viste e non se ne vedono. Ma naturalmente non dobbiamo illuderci, la partita è tutt’altro che risolta e le tensioni, ma soprattutto il braccio di ferro, andranno ancora avanti per lungo tempo. Dietro, infatti, ci sono delle mire da parte della Russia, che sono mire di medio periodo e sono mire dirette poi a scardinare quello che per noi rappresenta un ordine fondamentale, che è quello delle sovranità nazionali.

D. – A questo decimo vertice Asem l’Europa e l’Asia con quale stato di salute si sono rispettivamente presentate?

R. – Purtroppo lo stato di salute è simmetricamente opposto. L’Asia si presenta come un insieme di economie fortemente interdipendenti e integrate, che gode di una crescita e soprattutto di un processo di industrializzazione e ristrutturazione che va avanti ormai da moltissimi anni e che conosce qualche flessione ma registra comunque tassi di crescita che sono ‘n’ volte i tassi che riguardano invece un’area come quella dell’Europa. E l’Europa si presenta invece in una situazione ancora di forte debolezza, nel senso che – come abbiamo visto in questi giorni - basta poco a livello internazionale per vederci precipitare di nuovo in una situazione di turbolenza finanziaria. Ma, soprattutto, è l’economia reale in Europa che continua a soffrire fortemente. C’è un ristagno molto diffuso, soprattutto nella periferia dell’Europa. Le ricette non mancano - sono note, sono applicabili, economicamente sono anche testate – quello che manca è una volontà e capacità politica di metterle in atto. Questa è la divisione che in qualche maniera oggi, dal punto di vista politico, soprattutto sta spaccando il Nord dell’Europa dal Sud. E’ molto preoccupante, perché naturalmente, su una divisione di questo genere, non possiamo costruire un’Europa più forte, un’Europa in grado di dialogare con un grande polo continentale, come è diventato quello asiatico.

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Iraq. Usa: Is non minaccia Baghdad. Mons. Warduni: c'è paura

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In Iraq, imposto il coprifuoco totale a Ramadi per il rischio imminente di attentati, l’esercito lancia un’offensiva a Tikrit, mentre secondo il Pentagono Baghdad non è più sotto la minaccia del sedicente Stato islamico (Is). Intanto, sul fronte siriano i jihadisti arretrano a Kobane, ma c’è un nuovo video che spaventa la comunità internazionale. Il servizio di Cecilia Seppia: 

Lo Stato Islamico continua a seminare terrore nonostante la morsa in cui prova a stringerlo la comunità internazionale. In Iraq, sono diverse le città sotto assedio: a Ramadi le autorità hanno imposto il coprifuoco totale dalla mezzanotte scorsa, perché secondo informazioni di intelligence i jihadisti sarebbero pronti a colpire le forze di sicurezza e gli abitanti in modo indiscriminato. A Tikrit, l’esercito ha lanciato un’offensiva per liberare almeno le zone del nord, occupate da giugno. Baghdad, invece ieri è stata teatro di sanguinosi attacchi cosati la vita a 36 persone, in seguito rivendicati dai miliziani, però poi il Pentagono ha rassicurato: “La capitale non è più sotto la minaccia imminente dell'Is”. A Kobane, città siriana al confine con la Turchia, si combatte ancora, ma secondo fonti giornalistiche locali il sedicente Stato islamico starebbe perdendo terreno e nell’arco di pochi giorni – stando anche ai peshmerga curdi – potrebbe essere cacciato definitivamente, sempre con il sostegno dei raid della coalizione internazionale che nelle ultime ore sono stati 14. E mentre il costo di vite umane si è fatto pesantissimo – oltre 660 le persone rimaste uccise nella cittadina – arrivano nuove minacce in video: a volto scoperto in inglese, francese e tedesco i miliziani dicono “taglieremo le teste di tutti quelli che manderete”. 

Nonostante le rassicurazioni del Pentagono, in molte città irachene, e soprattutto a Baghdad la preoccupazione resta forte e non c’è alcuna chiarezza sulle strategie usate. Lo spiega mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei, al microfono di Cecilia Seppia

R. – Questi miliziani hanno seminato terrore. Non c’è tranquillità. La gente non è più tranquilla perché pensa sempre che queste persone possano arrivare da un momento all’altro, anche se sono lontano, perché tutti dicono una cosa ma poi ne accade un’altra. E' stato così in Siria, così è stato qui nella Piana di Ninive, a Mosul. Per questo, la gente da una parte teme queste cose, ma dall’altra deve vivere: va e viene, continua a lavorare quando può e dove c’è lavoro, perché molti non hanno lavoro.

D. – Quindi, fondamentalmente, questa dichiarazione che avrebbero fatto gli Stati Uniti, dicendo che non c’è minaccia reale per Baghdad da parte dello Stato islamico, secondo lei è vera o no?

R. – Spero sia così, perché questa sarebbe una grande grazia per il nostro popolo. Però, loro hanno il loro punto di vista, sono sul campo di battaglia, noi non possiamo sapere... Abbiamo la speranza che sia così, cioè che questo gruppo non arrivi a Baghdad. Poi, d’altra parte, noi dobbiamo pensare che ci sono sei milioni di persone a Baghdad e la maggioranza di loro è contro l’Is. Quindi, speriamo non ci sia minaccia per la capitale. Però, dicevo ciò che si vede, e cioè che si dice una cosa e dopo si sente altro. Io avevo detto che il mondo deve prendere la questione sul serio, deve agire insieme con un progetto concreto.

D. – Lei diceva anche: “Stiamo cercando di stare vicino alle persone e di pregare ovviamente”. Che cosa sta facendo in concreto la Chiesa?

R. – La Chiesa cerca prima di tutto di trovare case per le persone che si trovano a nord. Loro hanno molte difficoltà. Poi, cerca di dare loro ciò che possono per vivere: cibo, cose per riscaldarsi un po’ di notte, di giorno, così… La Chiesa fa ciò che può.

D. – Ieri, Baghdad è stata scossa da una serie di attacchi sanguinosi. Inizialmente, si pensava che fossero i soliti attentati tra sunniti e sciiti. Invece, poi è arrivata la rivendicazione dello Stato islamico. Quindi, c’è una guerra che si aggiunge alla guerra. La situazione in Iraq si sta davvero complicando con la presenza dello Stato islamico.

R. – Certamente. Non è facile. Ho sempre detto che non è facile. Si sente subito che questi sono andati lì, sono arrivati lì, sono forti. D'altra parte, il governo non fa niente, l’esercito iracheno è debole - e si vede - mentre dall’altra parte i Daech (Is) fanno le cose in segreto e vanno avanti. Speriamo che le forze internazionali riescano a tenerli lontani. La nostra fiducia però è nel Signore, solo nel Signore.

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Ebola: Ue e Onu chiedono fondi e sforzi maggiori

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“Ebola può diventare una catastrofe umanitaria di grandissime dimensioni, servono azioni rinforzate da tutto il mondo". Lo ha detto il presidente della Commissione europea Barroso promettendo decisioni importanti nel Consiglio Ue della prossima settimana. L’Onu finora ha raccolto solo il 38% del miliardo di dollari richiesto. L’America sta pensando al sostegno logistico in Africa con l’invio di 4 mila militari e a breve avrà un coordinatore interno per l’emergenza. Intanto si contano tre casi sospetti negli Stati Uniti, uno in Spagna. Negativi i test su pazienti in Francia. Il punto sulla situazione e sullo stato dei vaccini con il virologo Giovanni Maga, responsabile del laboratorio di virologia molecolare del Cnr di Pavia. L’intervista è di Gabriella Ceraso: 

R. – In quasi nove mesi ormai di epidemia, al di fuori del Continente africano, ci sono solo tre casi confermati. E questo indica evidentemente come la fuoriuscita del virus sia un evento estremamente raro. In termini di probabilità era già stato stimato che gli Stati Uniti fossero uno dei Paesi più a rischio, ad esempio, con oltre il 20 per cento di probabilità di avere almeno un caso. E, infatti, si è verificato. Il nostro Paese è a livelli bassissimi: soltanto l’arrivo di un caso sarebbe già un evento estremamente improbabile e poi ci sarebbero strutture sanitarie adeguate e pronte. Quindi anch’io sono d’accordo che non ci sia nessun rischio di epidemia in Europa.

D. – Sul fronte invece africano, diecimila nuovi casi, da qui a gennaio, a settimana, secondo l'Oms. Ci vogliono soldi e azioni, ribadisce la Gran Bretagna, si è fatto troppo poco. Che ne pensa?

R. – C’è stato un ritardo nella valutazione della situazione sul campo, per tanti motivi, anche per il fatto che, comunque, storicamente, Ebola in 40 anni è stato un virus che ha causato un migliaio o poco più di infezioni. Adesso, però, le proiezioni mostrano lo scenario peggiore, se le risorse messe in campo non dovessero essere sufficienti. In realtà, ci sono già dei segni che l’epidemia in alcune zone comincia a rallentare. Quindi se verranno investite risorse, senza badare a spese, noi potremmo anche già spegnere l’epidemia all’inizio dell’anno prossimo.

D. – Il fronte su cui sicuramente bisogna agire è quello dei vaccini. A che punto è la ricerca ed esistono veramente già vaccini utilizzabili?

R. – Di vaccini ce ne sono almeno due molto promettenti, in fase di sperimentazione, che però non saranno pronti per l’uso generalizzato a breve, ma sono ovviamente uno dei focus della ricerca. Ci sono anche dei farmaci, almeno due, anche questi all’inizio della sperimentazione, che sembrano funzionare e che potrebbero essere autorizzati per l’utilizzo sul fronte dell’epidemia, magari più rapidamente dei vaccini.

D. – La Glaxo, che mi sembra sia una delle industrie farmaceutiche all’avanguardia, ha detto che sarà molto difficile avere un vaccino su larga scala. Che significa?

R. – Certo, perché per potere arrivare alla somministrazione generale di un vaccino alla popolazione sana, bisogna completare tutte e tre le fasi cliniche, e questo richiede un lungo tempo. Quello che potrebbe succedere, ad esempio con questo vaccino Glaxo, se funzionerà sulla fase due, se mostrerà cioè un’efficacia su un numero limitato ovviamente di persone affette, è che potrebbe essere utilizzato nella situazione calda dell’epidemia, per cercare di dare un supporto, e quindi limitare il più possibile l’infezione. Ma chiaramente non si può pensare ad un uso commerciale o generalizzato, prima del completamento di tutte le fasi cliniche.

D. – E, in Africa, il personale cosa utilizza?

R. – Per contrastare l’epidemia, l’unica cosa che si può veramente fare è supportare le funzioni vitali del paziente, sperando che il sistema immunitario poi reagisca. In un caso su due, grossomodo, il paziente può guarire. E’ stato autorizzato, ad esempio, l’utilizzo di siero prelevato da pazienti che sono guariti, che può venire fatto e viene anche fatto. Come dicevo, i farmaci, siccome non sono ancora disponibili, sono proprio di solito appannaggio di pochi centri. Non è, dunque, certamente un approccio generalizzato. E’ solo la buona medicina clinica in questo momento, dunque, che può aiutare sul fronte africano.

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Povertà, Report di Caritas italiana. Don Soddu: politiche inadeguate

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Italiani sempre più in difficoltà a causa della crisi. Nei primi sei mesi del 2014, più di 45 mila persone hanno chiesto aiuto a 531 Centri di ascolto delle Caritas (il 18,7% del totale). Quasi uno su due è italiano. E’ quanto emerge dal “Report su povertà ed esclusione sociale” in Italia e in Europa, presentato oggi a Roma dalla Caritas italiana. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

In Europa, nel 2012 erano oltre 124 milioni i cittadini a rischio di povertà o di esclusione sociale. L’Unione Europea – si ricorda nel dossier – ha indicato come obiettivo quello di liberare, entro il 2020, almeno 20 milioni di persone dal dramma della povertà. Ma solo sei Paesi europei (Olanda, Repubblica Ceca, Germania, Portogallo, Polonia e Romania) hanno raggiunto, o quasi, il loro obiettivo nazionale. L’Italia è lontana dall’obiettivo prefissato di far uscire, entro il 2020, due milioni e 200 mila persone dalla povertà. Complessivamente, in Italia nel 2013 le persone in povertà assoluta erano più di sei milioni. Di particolare gravità la questione meridionale. Nelle regioni del Sud, le persone che non riescono a far fronte alle spese base, quelle che garantiscono una vita dignitosa, sono il 14,6% del totale. Nel Report si sottolinea anche che, nel corso del 2013, Caritas italiana ha supportato le Caritas diocesane con sostegni economici mirati.

Il “Report su povertà ed esclusione sociale” si può leggere in una duplice e contrapposta prospettiva. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore della Caritas Italiana, don Francesco Soddu

R. – Quella in positivo, che è ciò che ha prodotto il Report, è l’impegno delle Caritas e quindi della Chiesa sul campo. L’altra è la conferma, purtroppo, dell’aumento della povertà in Italia e in Europa.

D. – A questi nuovi percorsi di impoverimento corrisponde anche un impegno maggiore e sempre più prezioso, da parte delle Caritas…

R. – Non soltanto un impegno, ma una maggiore specializzazione in quello che è l’approccio alle nuove povertà, alle quali non si deve rispondere con metodi vecchi. E’ importante che le Caritas siano sempre più specializzate e non soltanto indaffarate.

D. – Resta sempre aperta, e forse anche maggiormente acuita, la ferita della questione meridionale. Il Sud è sempre più abbandonato, così appare…

R. – Ahimè sì, ma questo non ci deve assolutamente far demordere, anzi serve un’attenzione a quelli che possono essere – di fatto sono e speriamo che non lo saranno – focolai ulteriori di povertà e di sacche di povertà. Se non sono tenute sotto controllo, rischiano di generare la generazione ulteriore di quello che purtroppo è matrice di nuove ingiustizie e povertà. Mi riferisco alla mafia, all’ndrangheta…

D. – Come giudicare le misure di contrasto alla povertà in atto in Italia e anche quanto contenuto nella Legge di stabilità?

R. – Certamente, sono insufficienti e inadeguate. Sono inadeguate perché è necessario farle incanalare non in un unico canale, ma generare almeno un doppio canale dove si fa la differenziazione tra povertà assoluta e povertà – diciamo così – normale, di cui si parla tutti i giorni. Facendole convergere in un unico canale, per l’appunto, si genera una realtà simile alle alluvioni che abbiamo visto in questi giorni a Genova… Bisogna fare un po’ di pulizia nei canali e generare altri canali.

D. – Una sorta di prevenzione economica?

R. – Si, chiamiamola cosi.

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La Fidae: questa legge di stabilità ci condanna al declino

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Allarme nel mondo della scuola per i tagli al settore contenuti nella Legge di Stabilità. A preoccupare anche il calo dei contributi per gli istituti paritari. Il provvedimento prevede solo 200 milioni, anche se il governo ha assicurato che su un altro fondo sono disponibili ulteriori 272 milioni. Alessandro Guarasci

Il principio del governo sembra essere: con una mano tolgo e con un’altra do. La Legge di stabilità con un miliardo finanzia il progetto “La Buona Scuola”, che tra l’altro prevede l’assunzione di 140 mila precari e rafforza il rapporto scuola-lavoro. Viene però ridotto il numero degli Ata, i vecchi bidelli e il personale amministrativo. Poi, sono abolite le supplenze per un giorno per i docenti, tra l’altro già molto rare, e la supplenza scatta dopo i 7 giorni per i collaboratori scolastici. Inoltre, sono ridotti dai 220 milioni di quest’anno ai 200 del 2015 i contributi per le paritarie. Duro il giudizio della Fidae, il presidente don Francesco Macrì:

R. - Amarezza, perché purtroppo assistiamo a un declino continuo della scuola paritaria cattolica, costretta a chiudere perché non ha alcun finanziamento pubblico, quindi non regge più i costi di gestione. È un settore importantissimo del nostro sistema scolastico nazionale che va a perdersi ed è anche una grande tradizione pedagogica che sparisce. L’altro sentimento è quello di delusione perché, con questa norma, abbiamo la smentita alle ripetute dichiarazioni da parte di molti esponenti di questo governo dell’intenzione di mettere al centro dell’Agenda politica la scuola intesa come motore di sviluppo dell’intero Paese. Ora la scuola paritaria, al pari della scuola statale, è un motore di sviluppo economico e non solo, anche umano, sociale, politico. Purtroppo, questa legge di stabilità ci condanna appunto al declino.

D. - C’è il rischio chiusure per alcune scuole? C’è rischio licenziamento per alcuni insegnanti secondo lei?

R. - Certamente. Noi già quest’anno abbiamo avuto alcune centinaia di chiusure. Molte scuole non hanno chiuso, però si sono contratte al massimo per cui reggeranno ancora un anno o due. Noi abbiamo dovuto licenziare centinaia e centinaia di persone, perché le scuole hanno chiuso le loro attività. Quindi, credo che il governo, qualunque governo, dovrebbe porsi anche il problema dell’occupazione di queste persone che operano nell’ambito della scuola paritaria.

In allerta anche i sindacati. Per il segretario generale della Cisl scuola, Francesco Scrima, è gravissimo l’ulteriore blocco del rinnovo dei contratti:

“Qui si tratta da una parte di fare demagogia e dall’altra si mette in difficoltà la scuola con questi provvedimenti. La scuola è una filiera molto delicata: ci vuole coerenza rispetto a quello che si dice”.

 

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Terni, sciopero Ast. Il vescovo: aiuti senza lavoro sono elemosina

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Sono migliaia i cittadini di Terni che hanno condiviso la protesta dei lavoratori delle acciaierie dell’Ast. Il lungo il corteo di protesta, con circa 10 mila persone, è stato organizzato nel giorno dello sciopero generale di otto ore, che di fatto ha bloccato la città. Sulla crisi che sta investendo migliaia di famiglie, Martina Boccalini ha chiesto un parere al vescovo di Terni, mons. Giuseppe Piemontese

R. – Noi siamo rimasti veramente mortificati dal fallimento della trattativa tra azienda ThyssenKrupp e i sindacati, mediata dal governo. Si avevano molte speranze in questa trattativa. In questo momento c’è fermento da una parte e dall’altra: i sindacati hanno inteso proclamare questo sciopero proprio per ribadire l’attaccamento alle Acciaierie di Terni e la loro preoccupazione per i posti di lavoro e anche per il futuro della città.

D. – Lei ha rivolto la sua attenzione alle famiglie che stanno attraversando questo momento drammatico, a coloro che non sono più in grado di sostenere il proprio nucleo familiare. Secondo lei, l’arma da usare contro questa problematica è la solidarietà collettiva?

R. – Le famiglie sono le più penalizzate in questa situazione, perché le Acciaierie – almeno nella prospettiva che c’era qualche anno fa – vivevano una relativa tranquillità, perché il prodotto di Terni è un prodotto richiesto. Quindi, le famiglie hanno fatto anche dei progetti riguardo al futuro per la propria famiglia, anche in riferimento ai figli e alla scuola dei proprie figli. Una interruzione brusca della posizione lavorativa veramente getterebbe sul lastrico le famiglie di questa zona. A questo punto, altre soluzioni a mio avviso non ci sono: la solidarietà senza il lavoro diventa un aiuto molto, molto relativo e parziale, quasi un’elemosina… Bisogna ridare dignità alle persone attraverso la promozione del lavoro, attraverso un vero piano industriale. Partiamo da un presupposto: nella nostra società non ci sono possono essere prese di posizione unilaterali, soprattutto quando è in essere un contratto, una relazione che dura da anni. Certamente, i mercati possono cambiare, possono mutare, ma ci sono alcune variabili però che andrebbero valutate in maniera più chiara ed evidente. Nella soluzione di questi problemi occorre dialogare veramente, mettendo al primo posto le persone, certamente anche il profitto, ma un profitto che non vada a scapito delle persone e sulla testa delle persone. I paletti posti dall’Europa un anno fa, quando si era venduta l’azienda, hanno creato – credo – malumori e disagi e rischiano di pagare un prezzo veramente molto alto, che significa la morte della città di Terni.

D. – Cosa si augura, quindi, per i suoi cittadini e attraverso quale opera solidale la Chiesa può operare in questo ambito prettamente politico?

R. – Noi, la nostra solidarietà, la diamo soprattutto a chi è più debole e in questo caso certamente sono più deboli le famiglie, tenendo conto di tutte le esigenze in campo e non soltanto di alcune. Certamente, è un momento di crisi. Da parte nostra, incoraggiamo il dialogo e ciò che possiamo fare soprattutto è la preghiera e chiedere al Signore che illumini e rafforzi queste persone.

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Famiglia, inediti di Papa Wojtyla. Card. Comastri: Sinodo fondamentale

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Capire l’importanza dell’ amore vero, quello che si consacra con il matrimonio, e si rinnova giorno dopo giorno all’interno della famiglia. E’ un cammino all’educazione verso l’amore, i due volumi “Sposi amici dello sposo“ e “Educare ad amare”, che raccolgono scritti inediti di Karol Wojtyla, presentati ieri pomeriggio a Roma al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II. I testi, editi da Cantagalli, fanno parte della collana “Sentieri dell’ amore”, dedicata proprio al tema del  matrimonio e famiglia. Marina Tomarro ha intervistato  il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, intervenuto alla presentazione: 

R. – Lo ha confessato lo stesso Giovanni Paolo II, che da giovanissimo sacerdote immediatamente capì che il tema dell’amore è fondamentale. Una società si qualifica in rapporto al tipo di amore che vive. E Giovanni Paolo II capì anche che la famiglia è il primo luogo in cui si fa l’esperienza dell’amore e se manca l’amore nelle famiglie, si spegne l’amore nel mondo. Ora, questa intuizione che Giovanni Paolo II ha avuto all’inizio del suo cammino sacerdotale, l’ha accompagnato per tutta la vita, al punto tale che Papa Francesco si può dire sia quasi stato costretto a dire: “Ma questo è il Papa della famiglia”. Allora, è bello che il Sinodo dei vescovi tenga conto di questa definizione che ha dato Papa Francesco e guardi all’insegnamento di Giovanni Paolo II proprio per trovare anche il cammino del Sinodo dei vescovi.

D. – Quanto è importante accompagnare anche i giovani nel cammino verso il matrimonio?

R. – Io credo sia decisivo l’accompagnamento al matrimonio e anche, dopo il matrimonio, l’accompagnamento delle giovani famiglie. Insisto sulla preparazione, perché molti giovani affrontano il matrimonio con una leggerezza impressionante. Il matrimonio è un impegno. Il matrimonio è una missione. E da come sono le famiglie, dipende anche la futura società. Nella lacerazione delle famiglie di oggi, quali piaghe, cioè quali ferite, si creano nel cuore dei figli? E questi figli che futuro avranno? Che società creeranno? Ecco, allora, quanto è importante prepararci alla famiglia. Bisogna davvero dedicare tempo e forze e anche gente qualificata, preparare i giovani alla famiglia, perché la società – diceva Leone XIII – è fatta da famiglie ed è come sono le famiglie. E’ verissimo.

D. – In che modo poter aiutare le famiglie attuali a superare i disagi, le difficoltà che incontrano nel loro cammino?

R. – Io credo che dobbiamo dedicare tanto tempo alle famiglie e, sicuramente, se nella famiglia c’è una grande fede allora si superano tutte le difficoltà. Io ricordo un particolare di una giovane coppia che ho sposato e di cui ho benedetto il matrimonio. Dopo il matrimonio ho regalato loro un crocifisso e ho detto: “Guardate, ogni giorno conservate questo crocifisso nella vostra casa e quando avete qualche momento di difficoltà guardatelo e dite ‘quello è l’amore’”. Sa cosa mi hanno detto dopo tanti anni: “Abbiamo avuto prove, difficoltà, ma molto spesso la sera abbiamo ripreso il crocifisso e ci siamo ricordati delle sue parole e, guardando Gesù, abbiamo superato le crisi”.

D. – Siamo ormai quasi alla conclusione del Sinodo, quali saranno le ripercussioni, secondo lei, sulla famiglia di oggi?

R. – Il primo frutto del Sinodo è questo: avere in qualche modo rimesso la famiglia al centro; avere detto alla società e al mondo - non solo alla Chiesa – “guardate, la famiglia è decisiva”. Per la qualità della società, dare più tempo alla famiglia, e questo sarà sicuramente a vantaggio di tutti.

D. – Oggi è l’anniversario di Giovanni Paolo II, nella sua salita al soglio di Pietro. Qual è il suo ricordo personale di questo Papa Santo ormai?

R. – Il primo aprile 2005 ebbi la gioia di entrare nella camera di Giovanni Paolo II e di vederlo, si può dire, sulla soglia della morte. Quello che ricordo di quel momento sono gli occhi. Vidi due occhi così sereni, che dentro di me dissi: “Ma questi occhi sembrano già due riflessi del Paradiso, una finestra aperta sul Paradiso”. Era sereno, perché sapeva che andava dal Signore. Ma era contento anche perché era convinto di avere vissuto bene la sua missione. E credo che alla fine della vita avere la consapevolezza di essere stati fedeli alla missione affidata dal Signore sia la gioia più grande che uno possa avere. Quegli occhi sereni di Giovanni Paolo II ci dicono: “Impegnate bene la vita, perché è un grande dono”.

All’incontro era presente anche il curatore dei due volumi, don Przemysław Kwiatkowski, docente presso il Pontificio istituto Giovanni Paolo II.  Il suo commento: 

R. – Credo che i motivi siano almeno due. Il primo è quello dell’esperienza, non soltanto del contesto in cui viviamo, delle cose che possiamo guardare, della nostra esperienza umana, perché abbiamo un vivo bisogno di crescere, di essere educati nell’amore. L’esperienza, quindi, ci spinge a fare questo. L’altro motivo è che abbiamo una grande eredità di Giovanni Paolo II che, da un lato, ci sembra molto conosciuta e, dall’altro, è ancora tutta inesplorata. Bisogna quindi riscoprirla.

 D. – Qual è il messaggio che questi scritti vogliono trasmettere?

 R. – Il messaggio del primo volume, “Sposi, amici dello sposo”, è che il matrimonio dà la possibilità di partecipare all’amore divino. Questo, quindi, è il primo messaggio di un orizzonte così profondo, che noi spesso dimentichiamo. L’altro volume, “Educare ad amare”, è proprio sulla necessità di educare all’amore, ma anche sulla possibilità di viverlo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Asia Bibi: parroco Lahore, “non è detta l’ultima parola”

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“Bisogna continuare a pregare e sperare per Asia Bibi. Non è detta l’ultima parola” per la donna pakistana condannata a morte per blasfemia, dopo che l’Alta Corte di Lahore ha confermato in appello la sentenza di condanna. Lo dice all’agenzia Fides padre Yousaf Emmanuel, direttore della Commissione nazionale giustizia e pace dei vescovi pakistani e parroco a Lahore. “La conferma della condanna - prosegue - è una brutta notizia per tutti noi. Gli avvocati hanno fatto del loro meglio e tutta la comunità cristiana attendeva con fiducia. Domenica pregheremo nelle nostre chiese per la vita di questa donna innocente”. Il sacerdote assicura comunque che “la speranza vive: ci sarà un ricorso alla Corte suprema”, ricordando i casi in cui la Corte ha ribaltato le sentenze emesse nei gradi precedenti di giudizio, come ad esempio il caso “di Ayub Masih, un cristiano anch’egli condannato a morte per blasfemia e salvato proprio grazie al verdetto assolutorio della Corte suprema”. Padre Emmanuel riafferma la vicinanza, la solidarietà e la preghiera della Chiesa cattolica pakistana “ad Asia, alla sua famiglia e a tutti coloro che soffrono per un’ingiustizia e sono in carcere da innocenti: sono immagine del Cristo sofferente”. Su eventuali cambiamenti alla legge sulla blasfemia, il religioso nota infine che “non sembrano all’ordine del giorno nell’agenda politica. Islamabad è tuttora agitata da turbolenze e proteste di piazza, il governo e il parlamento sono presi da altre faccende”. (G.A.)

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Olp: entro fine ottobre risoluzione all’Onu su Palestina

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Nonostante le richieste degli Stati Uniti, i palestinesi intendono presentare entro la fine di ottobre al Consiglio di sicurezza dell'Onu la risoluzione per il riconoscimento dello Stato palestinese. Lo ha detto, citato dai media di Ramallah, il segretario del Comitato esecutivo dell'Olp, Abed Rabbo. ''Non ci sono giustificazioni per far slittare la risoluzione'', ha spiegato Rabbo, augurandosi che gli Usa non ricorrano al veto in Consiglio di sicurezza. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, aveva invece chiesto ai palestinesi di far slittare a fine novembre, dopo le elezioni statunitensi, la presentazione del documento. Il presidente Abu Mazen aveva assicurato che ''la leadership palestinese insiste per rivolgersi al Consiglio di sicurezza''. (G.A.)

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R.D. Congo: vescovi condannano aggressione a due parroci

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La Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo condanna l’aggressione subita da due parroci domenica scorsa a Lodja, a 750 km a nord di Mbuji-Mayi, capoluogo del Kasai orientale. I sacerdoti, riporta l’agenzia Fides, erano stati aggrediti da alcuni giovani dopo aver letto durante la Messa la lettera pastorale dei vescovi locali, critica rispetto alla proposta di revisione costituzionale che permetterebbe al presidente in carica, Joseph Kabila, di candidarsi per un terzo mandato. Lo stesso giorno un convento di suore era stato devastato. “È inammissibile - scrivono i presuli - prendersela con il personale ecclesiastico che, fedele alla gerarchia, esercita il suo ministero pastorale”. La lettera pastorale, aggiungono, “ha suscitato un vivo dibattito” ma con il testo i vescovi hanno esercitato il loro diritto e “la loro missione profetica di sentinelle e di persone chiamate a ridestare le coscienze”. La Conferenza episcopale del Paese africano precisa inoltre che “non c’è alcuna ribellione dei fedeli cattolici contro la gerarchia della Chiesa, ma una manipolazione di alcuni giovani non cattolici a fini inconfessabili”. I vescovi chiedono quindi  alle autorità di garantire la sicurezza di preti, di religiosi e religiose, degli operatori pastorali, così come dei luoghi di culto. Si invitano infine i fedeli a pregare per il bene della nazione. A tal fine, sono stati organizzati tre giorni di preghiera, da oggi al 19 ottobre, “affinché Dio illumini l’avvenire della nazione”. (G.A.)

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Nigeria, elezioni 2015: valide nonostante violenze Boko Haram

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Le elezioni presidenziali e legislative in Nigeria del febbraio 2015 saranno valide, nonostante le violenze di Boko Haram e il tentativo degli estremisti islamici di impedire agli elettori di recarsi alle urne. Se n’è detto certo ad Abuja il responsabile della Commissione elettorale indipendente della Nigeria, Attahiru Jega. La preoccupazione maggiore riguarda gli Stati di Adamawa, Borno e Yobe, i più colpiti dagli attacchi della guerriglia islamista e in cui vige lo stato di emergenza da oltre un anno. In quelle zone, secondo le Nazioni Unite, 700 mila persone sono state costrette a lasciare le loro case a causa delle violenze. Le consultazioni generali del 2011 furono caratterizzate da numerose irregolarità e violenze post-elettorali, con un bilancio di centinaia di morti. (G.A.)

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Colombia: cardinale Salazar Gómez, pace più vicina

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"Ci attendiamo che la pace sia vicina". lo ha detto, nel corso di una recente visita alla città di Pereira, il cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà, parlando del processo di pace in atto per la Colombia. Il porporato - secondo una nota della Conferenza episcopale colombiana, riportata dall’agenzia Fides - ha pure auspicato che l'Eln, l’Esercito di liberazione nazionale, riesca a entrare nelle trattative negoziali. "E' molto difficile giudicare dall'esterno come si sta gestendo il processo di pace. Posso dire - ha aggiunto il cardinale Salazar Gómez - che ho fiducia nella serietà del governo, che sta facendo tutto il possibile per portare avanti il processo di pace, con tutta la serietà del caso. Allo stesso tempo, ho fiducia anche nella serietà delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia - ndr)". Il porporato ha ribadito inoltre l'impegno di tutti i colombiani nel realizzare una pace assoluta e duratura, che nasca da ogni casa, da ogni famiglia. L’arcivescovo di Bogotà ha visitato Pereira, dove ha tenuto una conferenza presso l'Università Cattolica e ha presieduto una Messa nella Cattedrale della città, dedicata a Nostra Signora della Povertà. (G.A.)

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La Slovacchia ricorda i bambini non nati

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Gli “aspetti spirituali, educativi ed economici” vengono sottolineati in Slovacchia dal Forum per la vita (Ffl), in occasione della 12.ma edizione del progetto “Una candela per i bambini non nati”, che tradizionalmente prende avvio a ottobre fino al 2 novembre in tutte le parrocchie cattoliche del Paese. Lo riferisce l’agenzia Sir. “Ricordiamo nella preghiera quei bambini che per una ragione o per l’altra non hanno avuto l’opportunità di nascere, preghiamo per i loro genitori e anche per coloro che sostengono e praticano l’aborto”, ha spiegato Marcela Dobesova, presidente del Forum. I membri e i volontari di questa piattaforma visitano scuole, comunità e varie istituzioni per parlare della necessità di proteggere la vita umana e la sua dignità dal momento del concepimento. “È un’occasione per poter parlare alla coscienza della gente alla luce delle candele accese e per commemorare i più innocenti che non possono difendersi”, ha dichiarato la coordinatrice del progetto, Ela Miskovicova, ricordando l’importanza dell’aspetto economico del progetto: “E' solo grazie ai fondi raccolti con il sostegno della Conferenza episcopale che siamo in grado di portare avanti le nostre attività, facendo in modo che questioni di primaria importanza come la protezione della vita non vengano relegate in secondo piano bensì poste al centro dell’attenzione nella nostra società”. (G.A.)

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Lev pubblica libro sugli insegnamenti del Papa su vita e famiglia

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La Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato il volume “Gli insegnamenti di Jorge Mario Bergoglio Papa Francesco sulla famiglia e sulla vita 1999-2014”, primo titolo della collana “Famiglia e Vita”, curata dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il volume riunisce 35 interventi del cardinale Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, e oltre 130 interventi di Papa Francesco, tra Angelus, discorsi, messaggi, omelie, catechesi e meditazioni mattutine. Dal volume emerge come famiglia e vita siano due costanti punti di riferimento della odierna predicazione di Papa Francesco, ma come abbiano anche caratterizzato il suo magistero fin da quando era pastore della capitale argentina.

“Oggi, Papa Francesco parla come si esprimeva ieri il cardinale Bergoglio. Concetti chiari, immediati e diretti, che sensibilizzano i cuori, turbano le coscienze assopite e provocano le intelligenze. Questo, ci sembra, il suo itinerario culturale: si parte dal cuore per cambiare la coscienza, provocando l’intelligenza e la ragione” scrive nella presentazione padre Gianfranco Grieco, capoufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia e curatore dell’opera.

“Tra i punti più qualificanti della predicazione francescana di Papa Bergoglio – osserva nel saggio introduttivo l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia – emergono delle priorità significative: la ‘buona notizia’ della famiglia è una parte molto importante dell’evangelizzazione; la famiglia è una comunità di vita che ha una sua consistenza autonoma e i suoi diritti; la famiglia si fonda sul matrimonio tra un uomo e una donna; la passione per i due poli della vita familiare: l’infanzia e la vecchiaia; la famiglia deve vivere la gioia della fede; la famiglia trova in Gesù la vera gioia; il matrimonio è un cammino, mano nella mano, per sempre, per tutta la vita”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 290

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.