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Sommario del 20/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: cristiani in Medio Oriente perseguitati nell'indifferenza di tanti

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Siria e Iraq, le comunità cristiane sono perseguitate nell’indifferenza di tanti. E’ la denuncia levata da Papa Francesco nel Concistoro dedicato anche alla situazione dei cristiani nella regione. Dal canto suo, il cardinale Pietro Parolin, ha esortato i musulmani a condannare nettamente le violenze dei jihadisti. Dal segretario di Stato vaticano anche l'invito ai cristiani a non “cedere alla tentazione di cercare di farsi tutelare o proteggere dalle autorità politiche o militari di turno”, ma piuttosto di favorire il dialogo tra le diverse comunità religiose. Il Concistoro è stato presieduto dal Papa per la Canonizzazione dei Beati Giuseppe Vaz, sacerdote dell’Oratorio di San Filippo Neri, fondatore dell’Oratorio della Santa Croce Miracolosa a Goa e apostolo di Sri Lanka e India, e di Maria Cristina dell’Immacolata Concezione, fondatrice della Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Pace e stabilità” per il Medio Oriente. E’ l’esortazione e al tempo stesso la preghiera di Papa Francesco che al Concistoro sulla regione auspica “la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo, la riconciliazione e l’impegno politico”. Nello stesso tempo, ha detto, “vorremmo dare il maggiore aiuto possibile alle comunità cristiane per sostenere la loro permanenza nella regione”:

“Come ho avuto occasione di ribadire a più riprese, non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti. Assistiamo ad un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili”.

Tanti nostri fratelli, ha soggiunto, “sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale”:

“Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana, sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti. Questa situazione ingiusta richiede, oltre alla nostra costante preghiera, un’adeguata risposta anche da parte della Comunità Internazionale”.

Sono sicuro, ha detto ancora, che, “con l’aiuto del Signore, dall’incontro odierno verranno fuori valide riflessioni e suggerimenti per potere aiutare i nostri fratelli che soffrono” E ha concluso il suo discorso con la speranza che si vada “incontro” al “dramma della riduzione della presenza cristiana nella terra dove è nato e dalla quale si è diffuso il cristianesimo”.

Dal canto suo il cardinale Pietro Parolin ha sottolineato che la comunità internazionale “non può rimanere inerte o indifferente di fronte alla drammatica situazione attuale” del Medo Oriente. Una situazione “inaccettabile” per le “atrocità inaudite perpetrate da più parti nella Regione”. E non ha mancato di ribadire la posizione della Santa Sede riguardo all'"ingiusta aggressione":

“Si è ribadito che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre, però, nel rispetto del diritto internazionale, come ha affermato anche il Santo Padre. Tuttavia si è visto con chiarezza che non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare. Esso va affrontato più approfonditamente a partire delle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista”.

Per quanto riguarda il cosiddetto Stato Islamico, ha soggiunto, “va prestata attenzione anche alle fonti che sostengono le sue attività terroristiche attraverso un più o meno chiaro appoggio politico, nonché tramite il commercio illegale di petrolio e la fornitura di armi e di tecnologia”. Quindi, il cardinale Parolin si è rivolto direttamente alla comunità musulmana:

“Nel caso concreto del cosiddetto Stato Islamico una responsabilità particolare ricade sui leader musulmani non soltanto per sconfessarne la pretesa di denominarsi “Stato Islamico” e di formare un califfato, ma anche per condannare più in genere l’uccisione dell’altro per ragioni religiose e ogni tipo di discriminazione”.

Nel suo articolato intervento, il porporato ha quindi messo l’accento sul drammatico esodo dei cristiani ed ha ribadito che il ruolo della Chiesa e, in particolare dei pastori, è di essere vicini al gregge che soffre. Da ultimo, il cardinale Parolin ha affermato che la Chiesa, “come una madre, è vicina a tutti i suoi figli che soffrono ingiustamente, prega e agisce per loro, li difende, non teme di affermare la verità divenendo parola per chi non ha voce, difesa e sostegno di chi è abbandonato o discriminato”.

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Concistoro: riconoscere ai cristiani del Medio Oriente i diritti degli altri cittadini

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Il Medio Oriente ha un bisogno urgente di ridefinire il proprio futuro: questa, in sintesi, la riflessione emersa dagli interventi in Aula dei partecipanti al Concistoro dedicato alla questione mediorientale. I circa trenta interventi dei cardinali e patriarchi hanno ribadito l’urgenza della pace nella regione e della tutela dei cristiani e delle minoranze, soprattutto nel diritto alla libertà religiosa. Il servizio di Isabella Piro: 

Iraq, Siria, Egitto, Terra Santa, Giordania, Libano: questi alcuni dei Paesi che hanno fatto sentire la loro voce in Aula del Sinodo, attraverso gli interventi dei rispettivi Patriarchi e Cardinali. In generale, sono stati ribaditi alcuni principi: l’esigenza della pace e della riconciliazione in Medio Oriente, la difesa della libertà religiosa, il sostegno alle comunità locali, la grande importanza dell’educazione per creare nuove generazioni capaci di dialogare tra loro, il ruolo della comunità internazionale.

Riguardo al primo punto, è stato sottolineato che il Medio Oriente ha un bisogno urgente di ridefinire il proprio futuro; è stata messa in risalto l’importanza di Gerusalemme come “capitale della fede” per le tre grandi religioni monoteiste ed è stata poi evidenziata la necessità di arrivare ad una soluzione dei conflitti israelo-palestinese e siriano. Di fronte alle violenze perpetrate dall’Is, è stato ribadito che non si può uccidere in nome di Dio.

In relazione alla libertà religiosa è stato sottolineato che la libertà di religione, insieme a quella di culto e di coscienza, è un diritto umano fondamentale, innato ed universale, un valore per tutta l’umanità. Accanto a tale diritto, si è evidenziata anche l’esigenza che ai cristiani siano riconosciuti tutti i diritti civili degli altri cittadini, soprattutto nei Paesi in cui attualmente la religione non è separata dallo Stato.

Riguardo, inoltre, al sostegno per le comunità locali della regione, è stato ribadito che un Medio Oriente senza cristiani sarebbe una grave perdita per tutti, poiché essi hanno un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio della regione e per il grande impegno nel settore dell’educazione. E’ essenziale quindi incoraggiare i cristiani affinché restino in Medio Oriente e perseverino nella loro missione, anche perché essi hanno sempre contribuito al benessere dei Paesi in cui vivono.

In quest’ottica, una riflessione è stata fatta anche riguardo al problema della migrazione dei cristiani: essi devono trovano accoglienza nelle Chiese e negli Stati in cui emigrano con l’auspicio di avere anche strutture pastorali adeguate per i diversi riti. Inoltre, è stato richiesto di proseguire l’invio di aiuti umanitari in Medio Oriente, affinché i cristiani siano incoraggiati a restare sul posto e di coltivare le diverse manifestazioni di solidarietà possibili da parte delle Chiese di altri Paesi, anche con viaggi e pellegrinaggi.

Quanto all’educazione, è stato fatto notare come in molti Paesi mediorientali i libri di testo scolastici non parlino in modo positivo delle religioni differenti da quella di Stato e come sia necessaria una riflessione su questo punto da parte delle istituzioni locali. In quest’ottica, è stato auspicato il dialogo interreligioso con i musulmani, a partire dalla base comune della ragione, ed una viva cooperazione ecumenica, affinché tutte le Chiese del Medio Oriente facciano sentire una loro unica voce.

Alla comunità internazionale, in particolare, è stato richiesto di garantire, ai profughi cristiani, la possibilità di tornare quanto prima nelle loro case, attuando delle “zone di sicurezza”, ad esempio nella Piana di Ninive. Infine, è stato anche levato un appello per tutte le persone rapite in Medio Oriente, affinché il mondo non si dimentichi di loro.

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Padre Lombardi: Concistoro, cristiani restino in Medio Oriente

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Nella Sala Stampa della Santa Sede, il direttore padre Federico Lombardi ha tenuto un briefing con i giornalisti sul Concistoro. Il servizio è di Paolo Ondarza

86 tra cardinali e patriarchi presenti al Concistoro. Tra i 25 e i 30 gli interventi susseguitisi in aula. Hanno preso la parola tutti i 6 patriarchi delle chiese orientali cattoliche mediorientali presenti al Sinodo, così come  tutti i capi dicastero vaticani più direttamente interessati. Tutti – ha detto padre Lombardi - hanno manifestato gratitudine al Papa per la sua sollecitudine e i patriarchi hanno vissuto questo momento come un vero sostegno e segno di vicinanza da parte del Pontefice  e del collegio cardinalizio alla loro situazione. Particolarmente apprezzato l’intervento del card. segretario di Stato Parolin. Le parole in aula dei patriarchi hanno passato in rassegna la situazione dei loro Paesi: Iraq, Siria, Egitto, Terra santa, Palestina, Libano. Unanime la condanna per le ingiustizie e le gravi difficoltà con cui i cristiani si confrontano, preoccupazione per il dilemma di quanti emigrano. Ascoltiamo padre Lombardi:

"Molta insistenza, con senso amplissimo, sull’importanza che rimangano i cristiani nel Medio Oriente: hanno un ruolo essenziale sia per la Chiesa universale, perchè non perda la sua dimensione orientale, sia anche per il ruolo che queste comunità hanno sempre avuto, pur essendo generalmente di minoranza nei loro Paesi, come mediatori di pace".

Il Concistoro ha evidenziato i  buoni rapporti con le altre confessioni cristiane in particolare con i patriarchi ortodossi della zona. I partecipanti hanno affrontato anche il ruolo svolto dalla Santa Sede presso la comunità internazionale e l’importanza del dialogo islamo-cristiano con la chiara convinzione di evitare l’idea di una guerra tra cristianesimo e islam:

"Condannando tutte le forme di fondamentalismo e naturalmente di estremismo e di terrorismo, e invece continuare a coltivare il dialogo sulla base della razionalità per la tutela dei diritti e per il bene delle persone".

Problematica in alcuni Paesi mediorientali – è stato rilevato - la mancanza di distinzione tra Stato e religione. Necessaria la solidarietà da parte della Chiesa alle comunità cristiane locali:

"Con i pellegrinaggi, con aiuti di carattere concreto, con la presenza. E’ stato fatto l’esempio delle prossime riunioni delle Conferenze episcopali europee a Gerusalemme, l’anno prossimo… quindi, tutti segni di presenza che possono incoraggiare e far sentire non abbandonate le comunità cristiane del Medio Oriente".

Ampia attenzione il Concistoro ha dedicato poi all’internazionalizzazione del conflitto e al problema dei sequestri. Interpellato su una possibile visita di Papa Francesco in Iraq, padre Lombardi ha risposto:

“Non c’è nulla di preciso e certamente nulla di imminente che riguardi una presenza del Papa in Medio Oriente”. 

Il Concistoro ha affrontato anche le due prossime canonizzazioni: quella  di Maria Cristina dell’Immacolata Concezione, la cui data non è ancora stata definita, e quella padre Giuseppe Vaz, apostolo di Ceylon che avverrà il 14 gennaio durante il viaggio del Papa in Sri Lanka.

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Sinodo. Mons. Paglia: evento di libertà al servizio di tutto il mondo

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Il Sinodo straordinario sulla famiglia si è concluso dopo due intense settimane di lavori. Ora la parola torna alle Chiese locali in attesa della prossima assemblea del 2015. Ascoltiamo il commento di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, al microfono di Sergio Centofanti

R. – E’ stata, a mio avviso, una tappa importante, direi molto importante. Si pone, infatti, su quella prospettiva propria del Pontificato di Papa Francesco, che è quella di obbedire al soffio dello Spirito. Il dibattito è stato molto acceso, importante, profondo, libero, e non c’è dubbio che il testo finale approvato prenda per mano tutti noi vescovi, anche con gli equilibri oscillanti dei voti. Certamente, però, è una porta aperta, che indirizza il lavoro di tutte le Chiese locali per cercare di rispondere, da una parte, all’alta vocazione della famiglia e, dall’altra, per aiutare tutte quelle famiglie che hanno bisogno di sostegno, per camminare verso una vita buona, una vita bella, che è appunto quella della famiglia.

D. – Una Chiesa che ha mostrato grande libertà nel dialogo: il Papa l’ha chiamata “parresia”...

R. – Sì, è stata una libertà a favore del mondo intero, perché quei 191 vescovi che riempivano l’Aula del Sinodo portavano sulle loro spalle, nei loro cuori e nei loro pensieri, le famiglie di tutto il mondo, anche quelle non credenti.

D. – Il Papa, nel suo discorso conclusivo, ha parlato di due tentazioni: la tentazione dei tradizionalisti e la tentazione dei progressisti...

R. – Sì, in effetti, sono due tentazioni che, in fondo, fanno restare fermi dove si è. Io credo che lo spirito di Papa Francesco spinga ad andare oltre queste categorie troppo umane, perché alla fine appunto sono categorie individualiste o di gruppi particolari. A noi è chiesto di comunicare a tutti il Vangelo della famiglia, il quale è teso a fare dell’intero genere umano una sola famiglia, quella di Dio. Ecco perché c’è bisogno di una profezia in più e non di litigi all’interno dello stesso circolo.

D. – Come valuta il lavoro dei mass media? Qualcuno ha voluto tirare la giacchetta del Papa da una parte o dall’altra...

R. – Sì, i mass media a volte obbediscono a linee ideologiche, a linee troppo strette - lo Spirito non sopporta camicie di forza come queste. E a volte è accaduto che la stampa abbia preso il braccio, che pure era stato allungato, e lo abbia strattonato, facendo sbilanciare, in qualche modo, anche i testi. Tutto questo non ci scandalizza. Sappiamo che è nella realtà delle cose. Ma quel che conta è non lasciarsi soggiogare dalla stampa.

D. – C’è qualche osservatore che ha notato che, dai vari messaggi che sono giunti dal Sinodo, alcuni fedeli sono rimasti un po’ confusi. Che dire a proposito?

R. – Probabilmente, è anche vero. Probabilmente, è anche esagerato. C’è magari chi ha interesse a sollecitare tutto questo. In verità, quando si ha un dibattito, è ovvio che significa che non tutto è chiaro. Ma la vita della Chiesa, come quella di qualsiasi famiglia, è fatta di chiarimenti, di domande, di dibattiti e non c’è dubbio che ci siano zone d’ombra o zone oscure. Ma, proprio per questo, il Signore ci ha detto che dobbiamo parlare con “parresia”, senza sottrarci. Vorrà dire che sarà importante, per chi magari ha poco compreso, che chi di noi ha partecipato faccia non solo un miglio, ma ne faccia due, per aiutare la comprensione, senza dimenticare che Gesù, come Papa Francesco sottolinea, non ha avuto paura di mangiare con tutti, di accogliere tutti e di indicare a tutti la strada da seguire, se c’era bisogno anche attraverso il cambiamento delle proprie azioni o delle proprie attitudini. 

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Santa Sede: fondamentalismo, conseguenza di globalizzazione che esclude

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Oggi, di fronte alle crescenti discriminazioni e alle violenze che si verificano in tutto il mondo, è necessario più che mai unire le forze per promuovere una cultura dell’inclusione per una società giusta e pacifica: è quanto afferma il tradizionale Messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso in occasione del Deepavali, la festa indù che simboleggia la vittoria della luce sulle tenebre, il trionfo del bene sul male, e che quest’anno viene celebrata il 23 ottobre. Il servizio di Sergio Centofanti:

“E' vero – si legge nel Messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso - che la globalizzazione ha aperto molte nuove frontiere e ha fornito nuove opportunità” sul fronte sociale e politico, ma “si può anche dire che la globalizzazione non ha raggiunto il suo obiettivo primario di integrare le popolazioni locali nella comunità globale. Piuttosto, la globalizzazione ha contribuito in modo significativo alla perdita da parte di molti popoli della loro identità socio-culturale, economica e politica”.

“La globalizzazione – afferma il dicastero vaticano - ha contribuito alla frammentazione della società e ad un aumento del relativismo e del sincretismo in materia religiosa, determinando anche una privatizzazione della religione. Il fondamentalismo religioso e la violenza etnica, tribale e settaria in diverse parti del mondo, oggi sono in gran parte le manifestazioni del malcontento, dell’incertezza e dell’insicurezza tra i popoli, in particolare dei poveri e degli emarginati che sono stati esclusi dai benefici della globalizzazione”.

“Le conseguenze negative della globalizzazione, come il diffuso materialismo e consumismo, inoltre, hanno reso le persone più egocentriche, assetate di potere e indifferenti ai diritti, bisogni e sofferenze degli altri”. Questo – come ha osservato Papa Francesco - ha portato ad una "globalizzazione dell'indifferenza che ci fa lentamente abituare alla sofferenza dell’altro chiudendoci in noi stessi" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 2014).

“Tale indifferenza – si sottolinea nel messaggio - dà luogo a una 'cultura dell’esclusione' (cfr Papa Francesco, Discorso al Movimento Apostolico Ciechi e la Piccola Missione per i Sordomuti 29 marzo 2014) in cui a poveri, emarginati e vulnerabili sono negati i loro diritti, così come le opportunità e le risorse che sono invece disponibili per altri membri della società. Essi vengono trattati come insignificanti, superflui, gravosi, inutili, da utilizzare o anche da scartare come oggetti. In vari modi, lo sfruttamento dei bambini e delle donne, l'abbandono di anziani, malati, diversamente abili, migranti e rifugiati, e la persecuzione delle minoranze, sono sicuri indicatori di questa cultura dell'esclusione”.

“Coltivare una cultura dell’inclusione diventa così una chiamata comune e una responsabilità condivisa, che deve essere attuata con urgenza. Si tratta di un progetto che coinvolge quanti hanno a cuore la salute e la sopravvivenza della famiglia umana qui sulla terra e che deve essere compiuta nonostante le forze che perpetuano la cultura dell'esclusione”.

Il Messaggio si conclude con un appello affinché indù e cristiani possano unirsi “con i seguaci di altre religioni e con le persone di buona volontà per promuovere una cultura dell’inclusione per una società giusta e pacifica”. 

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Mons. Auza all'Onu su bambini, clima e cooperazione internazionale

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Mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, è intervenuto nuovamente alla 69.ma sessione dell’Assemblea generale dell’Onu. Diversi i temi in discussione dalla condizione dei bambini al clima e alla cooperazione internazionale. Ce ne parla Benedetta Capelli:

Negli ultimi anni quasi tre milioni di bambini sono rimasti uccisi nei conflitti armati; sei milioni sono quelli che, in conseguenza delle guerre, sono diventati disabili; decine di migliaia i piccoli mutilati dalle mine antiuomo. E’ lo scenario disegnato da mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, che ha ricordato come i passi avanti per migliorare la mortalità infantile o l’accesso al cibo, all’acqua e all’istruzione siano sempre vanificati dai conflitti. Il presule ha inoltre posto l’attenzione anche sui bambini ai quali viene negato il diritto alla vita a causa del loro sesso o per sospetta disabilità. Ci sono poi quelli che soffrono per mancanza di cibo, di medicine o quanti sono venduti a trafficanti, sfruttati sessualmente, reclutati come soldati o impiegati in lavori debilitanti. “Eliminare la violenza contro i bambini – ha dichiarato mons. Auza - richiede che gli Stati, i governi, la società civile e le comunità religiose sostengano la famiglia”, da qui l’invito della Santa Sede a favorire le iniziative e le attività che favoriscano la promozione e la tutela dei diritti dei minori. Infine è stata accolta con favore la designazione dei premi Nobel per la pace all’indiano Kailash Satyarthi e alla pachistana Malala Yousafzay, entrambi impegnati nella difesa dei più piccoli.

Nel suo intervento sullo sviluppo sostenibile ed i cambiamenti climatici, mons. Auza ha ribadito che la Santa Sede riconosce come urgenti due sfide da cogliere al più presto: lo sradicamento della povertà e la sostenibilità ambientale. Il presule ha sottolineato che i cambiamenti climatici, dovuti principalmente alle emissioni dei gas serra da parte delle società più industrializzate, sono una minaccia per i Paesi poveri. “E’ per questo – ha affermato - che la Santa Sede ritiene che i cambiamenti climatici non sono solo una questione ambientale ma anche una questione di giustizia”, pertanto si potrebbe procedere mettendo a disposizione dei Paesi più in difficoltà le migliori tecnologie. Un particolare accento è stato poi posto sulla “responsabilità di proteggere” perché si tratta di proteggere il pianeta e dunque la famiglia umana come, più volte, Papa Francesco ha invitato a fare, esortando a cambiare particolari stili di vita e comportamenti che potrebbero danneggiare il Creato. “Il mondo è diventato un villaggio – ha affermato mons. Auza – così dobbiamo diventare sempre più consapevoli di questa responsabilità reciproca e comune” soprattutto per le generazioni future.

Ed un richiamo alla responsabilità è stato espresso anche nell’intervento dell’osservatore permanente sulla cooperazione internazionale riguardo all’uso pacifico dello spazio. “La Santa Sede – ha affermato mons. Auza - ritiene che la fede è in grado di ampliare e arricchire gli orizzonti della ragione pertanto gioisce nel meraviglioso progresso della scienza”. Così gli Stati sono chiamati a collaborare per assicurare che “i frutti di questi progressi” siano a beneficio dei poveri di tutto il mondo e che non diventino causa di nuove diseguaglianze economiche e sociali. Per il bene comune allora è necessario garantire l’uso pacifico dello spazio anche attraverso l’adozione di una condotta che aiuti a prevenire la corsa agli armamenti evitando così una nuova, grave minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Secondo mons. Auza, è utile l’uso dei satelliti nel monitoraggio della salute degli oceani e delle foreste allo stesso tempo bisogna fare attenzione perché lo sviluppo di questa tecnologia “non diventi uno strumento di dominio e un veicolo per imporre determinate culture e valori sugli altri”. “E’ convinzione della Santa Sede – ha concluso mons. Auza – che noi siamo amministratori temporanei del Creato, con la responsabilità non scritta ma moralmente impegnativa per preservarlo a vantaggio delle generazioni future”.

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Il Papa nomina mons. Snell vescovo ausiliare di Budapest

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In Ungheria, Papa Francesco ha nominato il rev.do can. György Snell vescovo titolare di Pudenziana ed ausiliare dell’Arcidiocesi di Esztergom-Budapest.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, "Grazie, caro e amato Paolo VI"; alla conclusione del Sinodo il Papa dichiara Beato Giovanni Battista Montini. E al Concistoro invita a non rassegnarsi a un Medio oriente senza cristiani. Di spalla, "La signoria di Dio", l'editoriale del direttore, Giovanni Maria Vian

Sotto, “Kobane trappola di civili; migliaia di persone non sono ancora riuscite a lasciare la città mentre i peshmerga curdi appoggiati dalla coalizione infliggono gravi perdite ai miliziani dell’Is.

Nelle pagine del servizio internazionale, ampio spazio è dedicato alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea per una risposta comune all’ebola in Africa.

A pagina 4, un articolo sul giovane Montini e la Grande guerra, di Cesare Repossi, e “Studenti coraggiosi, Fuci e antifascismo in una sera del 1931”, una lettera del futuro Papa al padre scritta a Roma il 21 maggio 1931 contenuta nel volume «Giovanni Battista Montini, L’ora della prova. Scritti antifascisti 1920-1939» a cura di Giselda Adornato. Sotto, “Al varco con pochi bagagli, Cento anni fa nasceva Mario Luzi” di Gianfranco Ravasi.

Nella pagina seguente, “Movimento di spiriti”, Papa Francesco conclude la terza assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi dedicata alla famiglia, mentre a pagina 6 e 7 viene pubblicata la «relatio synodi» in italiano, a pagina 12 sono riportate le parole pronunciate da Papa Francesco all’omelia della messa presieduta nella mattina di domenica 19 ottobre, in piazza San Pietro.

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Oggi in Primo Piano



Kobane : ok della Turchia a transito peshmerga iracheni

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Il Consiglio dei ministri degli esteri europei ha adottato nuove sanzioni contro il regime siriano di Assad. Colpite 16 persone e due entità con il congelamento dei beni e il divieto di spostamento nell’area Ue, per sostegno pratico alla repressione operata dal regime. Intanto la battaglia intorno a Kobane nel Nord curdo siriano continua anche col supporto della Turchia. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

A parlare è il ministro degli Esteri turco. “Ankara”, dichiara Mevul Cavusoglu, “ha preso delle misure per aiutare i combattenti curdi d’Iraq a raggiungere, attraverso il suo territorio, la città curda siriana di Kobane da quasi un mese teatro dell’avanzata dell’Is”. 200 i curdi prigionieri a Nord di Raqqa che chiedono l'apertura di corridoi di sicurezza. E la mossa turca potrebbe infliggere un colpo ulteriore alle perdite tra i jihadisti del sedicente Stato islamico che negli ultimi quattro giorni, sarebbero almeno una trentina grazie ai raid della coalizione e al supporto di armi americane alla difesa curda. Un flusso di armi a cui oggi si unisce ufficialmente anche Mosca: “continueremo ad aiutare Iraq e Siria nella lotta al terrorismo internazionale”, ha detto il ministro degli esteri Lavrov, “con armi e attrezzature militari”. Un flusso che, in un Paese ancora devastato dalla guerra civile, appare tutt’altro che risolutivo come conferma il padre gesuita Ghassan Sahoui raggiunto telefonicamente ad Aleppo:

 R. – L’Isis cerca di attaccare i villaggi curdi. Sono curdi quelli che arrivano ad Aleppo, profughi che chiedono di essere accolti e si chiedono perché vivono così, fino a quando e perché non ci sono aiuti…

D. – A proposito degli aiuti, finora l’intervento internazionale sembra essere stato quello di fornire armi ma non è questo che serve. Voi che lo vivete lo potete confermare?

R. – Certamente, ci vuole di più, ci vuole un impegno politico su tanti fronti. Non sono le armi che risolvono tutti i problemi.

D. – Il Papa oggi ha parlato di "terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili", in cui si è persa completamente di vista "la dignità dell’uomo"…

R. – Purtroppo è una questione morale difficile quella che viviamo, viviamo una violenza quasi senza limiti. Viviamo in un mondo che non rispetta l’altro, con le sue differenze: se non sei con me, devi essere contro di me.

D. – Vogliamo ribadire che volto ha oggi la Siria: è l’immagine di un Paese sofferente, in guerra? Come lo descriverebbe?

R.  – Malgrado tutte le difficoltà che incontriamo e la miseria piscologica, morale della popolazione, sono contento di vedere tante iniziative di solidarietà e di vedere anche che c’è un’amicizia che fa incontrare le persone nella sofferenza. Insieme, proviamo a confrontarci su questa situazione per salvare l’uomo. Quando c’è la morte - e ci è vicino ogni giorno, quando affrontiamo colpi di mortaio e altro -, la gente cerca l’essenziale, esce dalla superficialità. In questo senso, questa crisi può aiutare l’uomo ad andare fino in fondo al senso della vita.

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Hong Kong accusa: infiltrazioni esterne alle proteste

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Continuano ad Hong Kong le proteste degli studenti pro democrazia. Il capo del governo di Hong Kong, CY Leung, punta il dito contro il coinvolgimento di "forze straniere" nella protesta e avvertimenti all'ex colonia britannica in tal senso erano giunti nei giorni scorsi anche da Pechino. Sul significato politico di queste accuse di ingerenza esterna, Elvira Ragosta ha intervistato Silvia Menegazzi, ricercatrice della Luiss ed esperta di Cina: 

R. - Da un lato, credo che l’accusa di ingerenza straniera nelle proteste di Hong Kong sia il risultato di quello che Pechino considera dei veri e propri nteressi strategici: la stabilità del sistema, lo sviluppo economico ma, ancora di più, la non interferenza negli affari interni della Cina. Allo stesso tempo, però, l’idea che le proteste di Hong Kong - per le loro caratteristiche, se vogliamo globali - possano essere anche alimentate da forze esterne, permette alla Cina di concepirle non solo come un malcontento derivato proprio dalla struttura politica della Cina stessa, ma anche da fattori esterni. Quindi, c’è una situazione ambivalente e dunque l’accusa che è stata mossa a Stati Uniti e Inghilterra - di essere, appunto, troppo solidali con i movimenti pro-democratici di Hong Kong - resterebbe circoscritta in questo atteggiamento del governo cinese.

 D. - Queste accuse potranno cambiare il corso della protesta?

 R. - Credo che difficilmente cambieranno il percorso della protesta, così come qualsiasi risultato. È difficile realmente capire come la protesta evolverà, perché nonostante ci siano stati scontri violenti in questi giorni, allo stesso modo c’è una parte della popolazione e della comunità del business che sono sicuramente contrarie anche a queste proteste. Quindi, credo che molto dipenderà anche da come si evolverà la situazione all’interno del movimento e all’interno della stessa area di Hong Kong.

 D. - C’è attesa per questo incontro tra i manifestanti e i vertici del governo di Hong Kong: cosa ci si può aspettare a questo incontro?

 R. - In realtà, è difficile dire con certezza quale sarà l’esito dell’incontro: sicuramente, il governo centrale, così come quello di Hong Kong, hanno espresso un giudizio che credo difficilmente potrà essere cambiato.

 D. - Intanto, c’è una scadenza che il governo di Pechino vorrebbe rispettare: fare in modo che la protesta finisca entro il 12 novembre, cioè il giorno in cui si incontreranno a Pechino il presidente statunitense Obama e il primo ministro cinese Jinping …

 R. - Sicuramente è importante per il presidente Xi Jinping dare immagine di una Cina non sconvolta dalle proteste; però, queste proteste si svolgono ad Hong Knog, dunque anche il risalto dato nella stessa Cina continentale è stato molto limitato. Credo che difficilmente possa avere anche un impatto sull’incontro.

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Mons. Solmi: inammissibile trascrizione nozze gay a Roma

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Ancora polemiche dopo la decisione presa sabato scorso dal sindaco di Roma Marino di trascrivere nei registri del comune le nozze gay contratte all'estero. Il primo cittadino non arretra di fronte alla richiesta del prefetto Pecoraro di cancellare l’atto e, nel caso sia attivata per legge una procedura di annullamento, minaccia ricorso presso la Corte per i diritti dell'uomo. Ascoltiamo al microfono di Paolo Ondarza il commento di mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, presidente della Commissione per la Vita e la Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana: 

R. - Certamente, è una modalità non ammissibile dal punto di vista della legislazione italiana. Serenamente, mi pongo il problema di un cittadino che contravviene a una legge dello Stato e che - giustamente - viene ripreso e sanzionato; invece, un comune, un municipio, un sindaco può fare questo impunemente. Credo che questo sia il primo problema, e lo dico da cittadino. In secondo luogo, queste trascrizioni - che sono non legittime e non secondo lo Stato italiano - assumono anche un valore simbolico, nel momento in cui si concludeva il Sinodo proprio a Roma. Allora, credo che questo sia uno schiaffo, uno sberleffo al grande lavoro che qui è stato fatto e anche alla figura, e alla eminente autorità del Santo Padre come vescovo di Roma. Ci spiace tanto questo.

D. - In Italia ci troviamo di fronte a tentativi di equiparazione di altre forme di unione al matrimonio…

R. - Noi non possiamo attribuire il termine, il concetto di matrimonio alle unioni omosessuali. In queste unioni il grande rispetto della persona è ribadito, anche quando viene detto che la loro unione, la loro vita in comune, non è e non può essere un matrimonio. Io dico e sottolineo che per queste persone, se battezzate, c’è un cammino di santità che passa attraverso il vivere bene il loro battesimo, e anche quelle forme possibili di conversione, di crescita, date dalla loro libertà personale.

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Matera Capitale della cultura. L'arcivescovo: "Simbolo di rinascita"

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“Matera ha vinto perché ha saputo alzare la testa e tendere verso un bene comune”. Così l’arcivescovo di Matera, mons. Salvatore Ligorio, ha commentato la nomina della città lucana a Capitale europea della cultura 2019. Sconfitte le altre cinque finaliste: Ravenna, Cagliari, Lecce, Perugia e Siena. L’arcidiocesi è stata impegnata direttamente nella rinascita di Matera con progetti che hanno rilanciato le numerose chiese rupestri. Maria Gabriella Lanza ha intervistato proprio mons. Salvatore Ligorio.  

R. – E’ stata espressa grande gioia e una speranza ha accompagnato questi quattro anni di preparazione. Penso che questa sia stata la forza trainante.

D. – Perché Matera è riuscita a vincere la competizione con le altre città italiane?

R. – Per una memoria al passato: bisogna essere grati ai nostri antenati perché hanno saputo portare, con fatica e gioia, il  coraggio dei pesi della storia e hanno saputo alzare la testa e credere in un passaggio culturale e civile che ha dato il risultato raggiunto.

D. – L’arcidiocesi è stata direttamente impegnata nella rinascita della città con alcuni progetti…

R.  – Abbiamo firmato un protocollo di intesa con le istituzioni locali dove una cooperativa chiamata “Oltre l’arte” ha fatto suo l’invito che gli è stato rivolto: accogliere le Chiese rupestri che hanno dato al turismo il senso di una evangelizzazione e promozione umana.

D. – La presenza della Chiesa e i segni dell’arte sacra fanno parte quindi della storia di Matera?

R. – La cultura non può prescindere, soprattutto per Matera, da una espressione religiosa e di fede. Siamo veramente grati anche per la collaborazione che la Chiesa riesce a dare attraverso un dialogo costruttivo con tutte le istituzioni del settore. E c’è un’intesa pur nella diversità dei ruoli.

D. – Lei ha parlato del dono dell’accoglienza e dell’ospitalità che contraddistingue Matera…

R. – Quello che più mi ha colpito quando sono arrivato da giovane è stato lo spirito di accoglienza di questa comunità, cioè l’attenzione alla persona, alla sua dignità, all'espressione arricchente che la persona che arriva riesce a dare all’intera collettività. Questo mi ha fortemente impressionato e vedo che questo è stato rimarcato anche di fronte a coloro che sono venuti per esprimere un parere e un giudizio, colpiti da questa espressione, che è del Sud, ma per cui la Basilicata  si contraddistingue in modo particolare.

D. – Qual è il messaggio che Matera può portare all’Europa?

R. – Negli anni ’50 era un’espressione di “vergogna” abitare in questi sassi e in questo cinquantennio Matera ha saputo alzare la testa, ha sputo osare di più e ha raggiunto gli obiettivi di oggi,  a tal punto da poter essere candidata come città italiana a concorrere con la cultura europea. Penso che questo messaggio possa richiamare a tutto il Sud e all’intera nostra nazione che nei momenti in cui si vive come comunità si tende a un bene comune e gli obiettivi sono raggiungibili, anche quelli che forse meno si possono sperare.

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30.mo Popieluszko. Serretti: testimone di amore e di verità

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La Polonia ha ricordato ieri con commozione il 30.mo anniversario dell’uccisione del Beato padre Beato Jerzy Popieluszko, ad opera dei servizi segreti comunisti. Figura ancora amatissima dai polacchi e non solo, Popieluszko era legato profondamente a Giovanni Paolo II. Sull’attualità della testimonianza del sacerdote martire polacco, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo della Lateranense, don Massimo Serretti, che per il Centro Studi Europa Orientale (Cseo) – fondato da don Francesco Ricci – ha curato, già nel gennaio 1985, la prima pubblicazione in italiano delle omelie di Popieluszko: 

R. – A trent’anni, si potrebbe dire che quello che è rimasto, per certi versi è contenuto nelle ultime parole dell’ultima omelia che tenne poche ore prima di essere massacrato brutalmente da questi uomini dei servizi del Ministero degli Interni del Partito comunista polacco. Durante questa ultima Messa, nell’omelia lui disse: “Bisogna vivere con dignità la vita”, e quindi il richiamo alla dignità. Il richiamo alla dignità e il richiamo al fatto che non è possibile vivere nella dignità se non si afferma il bene anche contro il male che è “imperante”. E questa lotta nell’affermazione del bene che vince il male, questa lotta dev’essere fatta nell’amore. Questa era la sua persona: lui non era un rivoluzionario, uno che andava “contro” qualcuno, era uno che affermava la verità. Se si prendono i testi delle sue “omelie per la patria”, a cui ad un certo punto partecipava veramente una folla di persone, erano semplici meditazioni sul mistero di Cristo e sulla verità che è Cristo. E questo ha impaurito il potere fino al punto di arrivare a concepire il massacro di questo giovane sacerdote.

D. – In che modo lei è venuto a conoscere e poi a seguire non solo la figura, ma quello che è venuto dopo?

R. – Io frequentavo la Polonia già dal 1976, quindi nel 1984 avevo già una buona frequentazione; inoltre, avevo contatti diretti – grazie al Centro di Studi Europa Orientale, fondato da don Francesco Ricci – con gli ambienti di Solidarnosc, quindi conoscevo la figura di Jerzy Popiełuszko come quella di un uomo coraggioso.

D. – Poi ha avuto anche un ruolo nel far conoscere in Italia le omelie, quindi il pensiero e la parola di Popiełuszko

R. – Il Centro Studi Europa Orientale è stato il primo in assoluto a pubblicare in traduzione italiana tutte le “omelie per la patria” di Popiełuszko; peraltro, una cosa che lui faceva ma che non aveva inventato lui, e che faceva, come tutte le altre cose della sua vita, nella semplice obbedienza di vice parroco nella chiesa di San Stanislao a Kostka, a Varsavia: il parroco, vedendo che non era più in grado di tenere queste Messe, chiese a lui, al giovane sacerdote di farlo e così lui cominciò.

D. – Non si può in un qualche modo parlare di Popiełuszko senza parlare di Giovanni Paolo II. Lei che cosa può dire a riguardo, anche considerando la vicinanza a Karol Wojtyla?

R. – Certamente c’è un grande richiamo tra la realtà di Solidarnosc e la figura e l’insegnamento anche di dottrina sociale di San Giovanni Paolo II. Il legame tra queste due realtà è fortissimo, lo scambio è fortissimo. Se prendiamo, ad esempio, la grande Enciclica che rilancia la dottrina sociale della Chiesa dopo che tutti la dichiaravano finita e defunta, la “Laborem Exercens” - il grande testo sul lavoro dell’uomo -, questa è inconcepibile senza il riferimento a tutti questi uomini che vivevano questa realtà di Solidarnosc. E’ vero anche che quelli che hanno vissuto in prima persona le vicende storiche, attestano che quando tutti ormai avevano perso la speranza di riuscire ad avere un qualche effetto sulla vita sociale e politica della Polonia, Giovanni Paolo II invece non smarrì questa speranza e diede la spinta per procedere e non fermarsi, andare oltre: una speranza contro ogni speranza, che poi si dimostrò quella che produsse la vittoria senza lo spargimento di sangue.

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Palermo. Musical dei giovani sul Beato Pino Puglisi

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“Padre Pino. Una vita per gli altri”. E’ il musical che cinquanta ragazzi tra i 16 e i 30 anni di Alcamo porteranno al Teatro Savio di Palermo il 21 ottobre, il giorno in cui la Chiesa celebra la memoria liturgica del Beato Giuseppe Puglisi. L’incasso del musical contribuirà alla realizzazione di un docufilm sul Beato Puglisi, dall’ingresso in seminario al 25 maggio 2013, quando il sacerdote che ha contrastato la mafia è salito agli onori degli altari. Il servizio di Alessandra Zaffiro

Il 21 ottobre la Chiesa di Palermo celebra la memoria liturgica del Beato Giuseppe Puglisi Martire, ucciso in odium fidei da un sicario della mafia il 15 settembre 1993 nel difficile quartiere Brancaccio. Nello stesso giorno un gruppo di cinquanta ragazzi dell’associazione di volontariato “Apriti Cielo” di Alcamo si esibirà alle 21 al Teatro Savio del capoluogo siciliano nel musical “Padre Pino. Una vita per gli altri”. Tra i momenti più intensi in scena, il confronto fra il bene e il male: la preghiera recitata da padre Puglisi e la versione in dialetto reinterpretata da un mafioso. Ce ne parla Sergio Quartana, presidente dell’associazione culturale Polizia Municipale di Palermo che ha portato in città lo spettacolo:

“Il Padre Nostro di padre Puglisi e il 'padre nostro' di un mafioso: ecco, questa conflittualità tra andare verso il Padre - da parte di padre Puglisi - e la mentalità ben diversa di un 'padre nostro' intesto sotto l’aspetto mafioso”.

L’incasso del musical contribuirà alla realizzazione di un docufilm sulla vita del Beato Puglisi, diretto da Rosalinda Ferrante. Tanti i biglietti già venduti, altri ancora a disposizione. “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”, amava dire don Pino, con il suo sorriso dolce e uno sguardo nel quale si leggeva la volontà di una fede incrollabile. Insegnamento e impegno sociale, anche a costo dell’estremo sacrificio. Tra le iniziative dell’associazione presieduta da Quartana anche un fumetto dedicato a padre Puglisi, realizzato da Emanuele Alotta un anno fa alla vigilia della beatificazione, con prefazione del cappellano della Polizia Municipale di Palermo, monsignor Filippo Sarullo, parroco della Cattedrale, portato ai bambini di alcune scuole elementari e medie. “Molti ragazzini - spiega Sergio Quartana – si incuriosiscono, addirittura vogliono leggere qualcosa di più, quindi vanno ad acquistare dei libri su don Pino”. “Apriti Cielo”, attiva da dieci anni, è un’associazione giovanile alcamese della parrocchia Sacro Cuore di Gesù. Nasce dalla voglia di dimostrare che i giovani possono e vogliono costruire qualcosa di positivo nella società. Con la presenza discreta e attenta di don Enzo Santoro nascono il doposcuola per bambini con disagio, l’animazione in case di riposo per anziani, la raccolta di farmaci per la ‘Missione Speranza e Carità’ di Biagio Conte a Palermo, le visite al carcere di Trapani. Da qualche anno anche la realizzazione dei musical come “L’amore per gli ultimi a Calcutta”, dedicato alla vita di Madre Teresa e “La locanda di Emmaus”.

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Nella Chiesa e nel mondo



4mila profughi cristiani iracheni in fuga in Giordania

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Sono già 3mila i profughi cristiani iracheni fuggiti per l'offensiva dei jihadisti da Mosul e dalla Piana di Ninive che hanno trovato rifugio in Giordania, e nei prossimi giorni è annunciato l'arrivo di altri mille. Lo conferma all'agenzia Fides, l'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato latino di Gerusalemme.

La gran parte dei profughi cristiani – in larga maggioranza cattolici – sono distribuiti in 10 parrocchie latine, greco-cattoliche, siro cattoliche e armene. Per 2mila di loro l'assistenza è garantita direttamente da Caritas Giordania, mentre gli altri vengono sostenuti da una rete di associazioni umanitarie e di volontariato con profilo sia locale che internazionale.

Oltre a chiedere aiuto per le esigenze primarie di sopravvivenza, le famiglie dei profughi cercano anche di ottenere l'inserimento dei propri figli nelle scuole, mentre gli studenti universitari chiedono di poter seguire i corsi e sostenere gli esami presso gli Atenei del Regno Hascemita.

“Due tratti - riferisce a Fides l'arcivescovo Lahham - accomunano la stragrande maggioranza dei profughi cristiani: nessuno vuole più tornare in Iraq e tutti cercano di ottenere un visto per l'Australia o per l'America. In questo senso, le scelte delle ambasciate e delle cancellerie occidentali rischiano, a modo loro, di contribuire in maniera pesante al venir meno della presenza cristiana in Medio Oriente.

Il patriarca caldeo - sottolinea mons. Lahham - ha riconosciuto che ogni cristiano deve decidere secondo coscienza cosa fare e come guardare al futuro suo e della sua famiglia. Ma se si spalancano ai cristiani le porte dell'accoglienza in Paesi avanzati dell'Occidente, tra l'altro in maniera privilegiata rispetto al resto della popolazione araba, si finisce per fomentare la partenza anche di quelli che potrebbero rimanere. Così tutti i discorsi sulla necessità di tutelare le comunità cristiane radicate da millenni in Medio Oriente, assumono un sapore quasi beffardo”. (R.P.)

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Pakistan. Attivisti cristiani alla Corte Suprema: giustizia per Asia Bibi

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Attivisti e leader cristiani di tutto il mondo lanciano un appello alla Corte Suprema pakistana perché acceleri i tempi del processo di Asia Bibi, condannata la scorsa settimana anche in secondo grado alla pena capitale per blasfemia. In prima fila il movimento Christian Solidarity Worldwide (Csw), che chiede al contempo sicurezza e garanzie per la donna cristiana, madre di cinque figli, oggetto di minacce di morte in carcere. Prima di arrivare a verdetto, solo quest'anno i giudici hanno rimandato per ben cinque volte l'udienza e sono stati oggetto - assieme agli avvocati della difesa - di minacce di morte ad opera di gruppi fondamentalisti islamici.

Alla lettura della sentenza, il 16 ottobre scorso - riferisce l'agenzia AsiaNews - erano presenti in aula il leader religioso Qari Saleem che ha sporto denuncia contro Asia Bibi ed esponenti del gruppo Jamaat ud Dawa (JuD), braccio politico del movimento estremista islamico pakistano Lashkar-e-Taiba (LeT). Essi volevano ottenere anche in secondo grado la condanna della donna, a fronte di accuse pretestuose, montante ad arte e infondate.

Asia Bibi, arrestata il 19 giugno 2009 e condannata a morte in primo grado nel novembre 2010, da allora sottoposta al regime di isolamento per motivi di sicurezza, è da tempo un simbolo della lotta contro la blasfemia. Per averla difesa, nel 2011 gli estremisti islamici hanno massacrato il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro federale per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico.

La comunità cristiana pakistana ha promosso a più riprese giornate di digiuno e preghiera - cui hanno aderito anche musulmani - per la sua liberazione. Nella sentenza di condanna, il giudice ha ritenuto valide le accuse delle due donne musulmane che hanno testimoniato sulla presunta blasfemia commessa da Asia.

Andy Dipper, responsabile dell'ufficio operativo di Csw, parla di "profonda delusione" per la decisione dell'Alta corte di Lahore; secondo l'attivista la sua ingiusta condanna è un segno dei "continui abusi" commessi in nome delle leggi sulla blasfemia e della "debolezza" del sistema giudiziario pakistano. Egli parla di "pregiudizio, inefficienza, corruzione e mancanza di sicurezza" nei casi di blasfemia, che colpiscono in modo particolare le minoranze; e auspica al contempo che il suo caso venga approfondito con la massima urgenza e speditezza - tra il primo e secondo grado di giudizio sono trascorsi quattro anni - dal giudice capo Nasirul Mulk, ai vertici della Corte Suprema.

A difesa di Asia Bibi si schiera anche Michelle Chaudhry, presidente della Cecil&Iris Chaudhry Foundation (Cicf), che crede con "fiducia e ottimismo" nel proscioglimento al terzo grado di giudizio. L'auspicio è che i supremi giudici, autori il 19 giugno scorso di una sentenza volta a garantire maggiori protezioni e tutele alle minoranze, mantengano fede ai propositi e assicurino giustizia alla donna.

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Vescovi Usa: sostegno alla Chiesa del Congo contro riforma costituzione

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I vescovi degli Stati Uniti ribadiscono l’impegno a collaborare con la Casa Bianca “per promuovere la pace e la prosperità del popolo della Repubblica Democratica del Congo (Rdc)”. Così si conclude la lettera inviata nei giorni scorsi da mons. Richard E. Pates, presidente della Commissione episcopale per la giustizia e la pace internazionale, all’Ambasciatore Russ Feingold, Inviato speciale di Washington nella Regione dei Grandi Laghi.

Alla missiva è allegata la recente lettera pastorale della Conferenza episcopale congolese (Cenco) in cui i vescovi del Paese africano avevano ribadito la loro opposizione alla riforma dell’articolo 220 della Costituzione che stabilisce, tra l’altro, che “il numero e la durata dei mandati del Presidente della Repubblica non possono essere oggetto di alcuna riforma costituzionale”.

Un eventuale emendamento costituzionale permetterebbe di aumentare a tre, invece che due, i mandati del Capo dello Stato, consentendo così al Presidente Joseph Kabila, di ricandidarsi alle elezioni del 2016. Secondo la Cenco la riforma sarebbe una “marcia indietro lungo il cammino per la costruzione della nostra democrazia e rischia di compromettere gravemente il futuro armonioso della Nazione”. Di qui opposizione alla riforma espressa nuovamente nel messaggio diffuso lo scorso settembre, mentre i vescovi congolesi si trovavano a Roma per la loro visita ad limina.

Nella sua lettera mons. Pates invita l’ambasciatore Feingold a tenere presente tale posizione nella definizione delle politiche dell’Amministrazione americana verso la Repubblica Democratica del Congo in vista dell’importante appuntamento elettorale del 2016: “Il mio auspicio – si legge - è che possiate trovare il modo per sostenere gli sforzi della Chiesa volti ad assicurare che il Governo della Rdc si impegni per il bene comune”.

Le critiche alla proposta di revisione costituzionale dei vescovi congolesi, che non hanno mai mancato in questi anni di fare sentire la loro voce per denunciare gli abusi e le violenze del potere, ha suscitato un vivace dibattito nel Paese, degenerato nei giorni scorsi anche in aggressioni contro sacerdoti e religiosi.
(A cura di Lisa Zengarini)

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Giornata Missionaria: preghiera per don Dziedzic rapito in Centrafrica

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Si è pregato per la liberazione di don Mateusz Dziedzic, il sacerdote Fidei Donum polacco rapito nella Repubblica Centrafricana, durante le celebrazioni della Giornata Missionaria Mondiale ieri in Polonia. Secondo fonti delle Pontificie Opere Missionarie della Polonia, i fedeli sono stati invitati a partecipare alla marcia di solidarietà con il sacerdote rapito che si è tenuta nella sua diocesi di origine, quella di Tarnow.

Don Dziedzic - riporta l'agenzia Fides - è stato rapito domenica 12 ottobre a Baboua, una località appartenente alla diocesi centrafricana di Bouar. Secondo fonti di Fides, don Dziedzic ha potuto contattare telefonicamente la sua famiglia in Polonia, mentre un sacerdote della diocesi centrafricana (anch’egli di origine polacca) ha provveduto a recapitare ai rapitori i farmaci antimalarici dei quali necessita il sacerdote.

Il gruppo che lo ha rapito chiede la liberazione del proprio leader, Abdoulaye Miskin, detenuto nel vicino Camerun. Il governo di Bangui ha inviato una delegazione a Yaoundé per discutere la questione con le autorità camerunesi. (R.P.)

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Card. Gracias: minacce alla vita cercano di eliminare Dio dalla società

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La vita umana "va protetta dall'utero alla tomba. La secolarizzazione, l'individualismo e il consumismo hanno provocato insieme un impatto negativo per la vita di molte persone, portando a una perdita del senso del peccato e persino del divino. Dobbiamo cercare soluzioni costruttive per risvegliare le persone e reinstallare nei loro cuori l'amore per Gesù Cristo e per il Suo messaggio. È triste vedere che molte persone oggi pensano di non aver bisogno di Dio nelle proprie vite".

È il senso del lungo intervento del card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, letto durante il convegno nazionale dal tema "Proteggere, preservare e promuovere il dono della vita umana. Le sfide emergenti".

Il convegno - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato organizzato dalla Commissione dottrinale della Conferenza episcopale cattolica indiana, in collaborazione con il Centro bio-medico Fiam e la Commissione diocesana per la vita umana, e si è concluso ieri a Mumbai. Circa 600 delegati fra sacerdoti, religiose e professionisti del settore si sono riuniti nel Collegio san Pio X per analizzare e discutere - anche alla luce del Sinodo sulla famiglia che si è appena concluso in Vaticano - le minacce alla vita nella società moderna. L'intervento del card. Gracias è stato letto da un suo sacerdote, dato che egli è appunto a Roma per i lavori sinodali.

Il presidente della Commissione dottrinale, mons. Agnelo Gracias, spiega: "Le minacce alla vita umana abbondano nel mondo contemporaneo. Siamo ad esempio testimoni della pressione per ottenere l'eutanasia, mascherata dal concetto di 'morire con dignità', e di pratiche come la fecondazione in vitro, la maternità surrogata e tanto altro. Molti cattolici non sono neanche consapevoli di quali siano gli insegnamenti della Chiesa in queste materie".

L'intervento principale è stato pronunciato dal padre Eberhard Schockenhoff, docente di Teologia morale all'università di Friburgo. Ad AsiaNews, egli sottolinea: "Questa è la mia prima visita in India, e devo dire che la vita è un dono che qui viene molto rispettato. La famiglia tradizionale ha delle radici profonde, e la popolazione indiana ha un grande amore per la vita. Questo è certamente positivo. Ma a causa della rapida industrializzazione del Paese, necessaria per il progresso e lo sviluppo, le future generazioni indiane si troveranno a dover affrontare le stesse sfide alla famiglia già esistenti in Occidente".

Nell'era del secolarismo e della tecnologia, riflette ancora il card. Gracias, "la sfida che si pone alla medicina contemporanea è quella di fornire ai pazienti dei trattamenti che come prima cosa siano rispettosi della persona umana. Ogni essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio, e di conseguenza la vita ha un valore inestimabile. Ognuno di noi ha ricevuto nel momento della creazione una sublime dignità, basata sull'intimo legame con il nostro Creatore. In ognuno di noi brilla un riflesso di Dio".

Per questo, conclude, "tutti coloro che sono coinvolti nel campo della medicina e della ricerca scientifica sono chiamati a mostrare amore, cura, compassione, comprensione e preoccupazione per coloro che vengono loro affidati. Ogni paziente va trattato in maniera umana: serve una 'umanizzazione' della salute, che possa costruire una civiltà di amore e vita senza la quale l'esistenza dei singoli individui e della società perde la maggior parte delle sue qualità umane". (R.P.)

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Morto don Mario Rocchi, fondatore della Città dei Ragazzi

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Si è spento ieri pomeriggio all’età di 101 anni don Mario Rocchi, storico fondatore della Città dei Ragazzi di Modena. Nato a Montefiorino, dopo l’ordinazione sacerdotale fu destinato alla parrocchia modenese di Saliceta S.Giuliano che seguì per molti anni.

Nell’immediato dopoguerra - riferisce l'agenzia Sir - decise di creare una sorta di grande oratorio capace di formare, educare e divertire i più giovani e in grado di per rispondere alle richieste di addestramento professionale di una classe di operai specializzati e artigiani. Nacque così la Città dei Ragazzi di Modena, che è stata e continua a essere un concreto punto di riferimento per intere generazioni di ragazzi e dove don Mario ha continuato ad abitare.

Nel corso degli anni sono aumentati i corsi in locali e laboratori che sono stati attrezzati e ammodernati con strumenti e apparecchiature sempre attuali, in modo da poter rispondere alle nuove esigenze formative del mondo del lavoro. Contemporaneamente alle attività rivolte ai giovani, si realizzano anche corsi di formazione per adulti occupati.

L’Edseg - Ente diocesano salvezza educazione gioventù - Città dei Ragazzi ospita oggi 250 ragazzi minorenni che frequentano i corsi di formazione professionale e tantissimi scout e giovani che seguono le iniziative sportive e di animazione che il Centro propone giornalmente. I funerali di don Mario si terranno domani alle 15 nel Duomo di Modena. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 293

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.