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Sommario del 22/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: l'invidia smembra la Chiesa, la carità la unisce

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La Chiesa è un corpo che Cristo ama con immensa “passione”, ma non è immune da invidie e gelosie che possono frantumarlo se i suoi membri non praticano la carità. È la sostanza della catechesi che Papa Francesco ha tenuto all’udienza generale in Piazza S. Pietro, davanti a oltre 40 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis

Lo Spirito Santo può ricomporre in un corpo vivo anche una distesa di ossa inaridite. Viceversa, gelosie e invidie possono arrivare a smembrare anche la fibra del corpo “capolavoro”, quello della Chiesa corpo di Cristo. La catechesi di Papa Francesco indaga sul “tratto distintivo” da lui ritenuto il “più profondo e più bello” della Chiesa, cioè il suo essere compaginata in unità tra tutti i suoi membri grazie al Battesimo. Un mistero che il Papa rende plastico con la visione biblica del profeta Ezechiele, cui Dio mostra una pianura di ossa abbandonate che riprendono carne e nervi e corporeità grazie al soffio dello Spirito:

“Questa è la Chiesa, è un capolavoro, il capolavoro dello Spirito, il quale infonde in ciascuno la vita nuova del Risorto e ci pone l’uno accanto all’altro, l’uno a servizio e a sostegno dell’altro, facendo così di tutti noi un corpo solo, edificato nella comunione e nell’amore”.

“Che bello se ci ricordassimo più spesso di quello che siamo, di che cosa ha fatto di noi il Signore Gesù”, esclama Papa Francesco:

“Siamo il suo corpo, quel corpo che niente e nessuno può  più strappare da lui e che egli ricopre di tutta la sua passione e del di tutto il suo amore, proprio come uno sposo con la sua sposa. Questo pensiero, però, deve fare sorgere in noi il desiderio di corrispondere al Signore Gesù e di condividere il suo amore tra di noi, come membra vive del suo stesso corpo”.

Ciononostante, la gramigna della divisione annida anche nel campo dove germoglia la comunione per eccellenza. Papa Francesco riprende l’esempio tante volte evocato dei credenti che accendono faide piuttosto che la fede:

“Pensiamo nelle comunità cristiane, in alcune parrocchie, pensiamo nei nostri quartieri quante divisioni, quante invidie, come si sparla, quanta incomprensione ed emarginazione. E questo cosa comporta? Ci smembra fra di noi. E’ l’inizio della guerra. La guerra non incomincia nel campo di battaglia: la guerra, le guerre incominciano nel cuore, con incomprensioni, divisioni, invidie, con questa lotta con gli altri”.

“Un cuore geloso è un cuore acido”, “mai felice”, “un cuore che smembra la comunità”, elenca di seguito Papa Francesco. Che indica la via d’uscita cristiana dall’angolo della divisione, l’atteggiamento giusto che salva e custodisce l’unità del corpo ecclesiale:

“Apprezzare nelle nostre comunità i doni e le qualità degli altri, dei nostri fratelli. E quando mi viene la gelosia – perché viene a tutti, tutti siamo peccatori – devo dire al Signore: ‘Grazie, Signore, perché hai dato questo a quella persona’. Apprezzare le qualità, farsi vicini e partecipare alla sofferenza degli ultimi e dei più bisognosi, esprimere la propria gratitudine a tutti”.

Al momento dei saluti finali ai gruppi in Piazza – numerose le provenienze dai vari continenti, anche da Cina, Vietnam e Giappone – Papa Francesco ha spronato in particolare giovani, malati e nuovi sposi “a rinnovare" l'"attiva cooperazione alla missione della Chiesa”, durante il mese missionario di ottobre. Prima dell’udienza, inoltre, Francesco aveva salutato una delegazione della squadra di calcio del Bayern Monaco, che ha donato al Papa un milione di euro per le sue attività caritative.

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Francesco: Giovanni Paolo II ricorda a tutti il mistero della Divina misericordia

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Oggi, per la prima volta, la Chiesa celebra la memoria di San Giovanni Paolo II. All’udienza generale, salutando i pellegrini polacchi Papa Francesco ha sottolineato come Papa Wojtyla abbia “invitato tutti ad aprire le porte a Cristo”: 

“A tutto il mondo ha ricordato il mistero della Divina misericordia. La sua eredità spirituale non sia dimenticata, ma ci spinga alla riflessione e al concreto agire per il bene della Chiesa, della famiglia e della società”.

Sulla figura di Giovanni Paolo II, ascoltiamo le voci di alcuni fedeli presenti in Piazza San Pietro, al microfono di Martina Boccalini

R. – L’ho visto in Colombia, mi è passato di fronte, e nella mia mente rimane ancora il suo sguardo e il suo sorriso. Dio mi ha benedetto, poi, concedendomi di venire qui a Roma a studiare. L’ho quindi salutato personalmente. Fa parte del mio percorso vocazionale e mi posso definire figlio di Giovanni Paolo II.

R. – Per me è un’emozione grandissima. Mi ispira tanta, tanta fiducia.

R. - Mi ha lasciato un senso di pace.

R. – L’ho visto per la prima volta nel lontano 1999: stava visitando una parrocchia. Il ricordo è ancora vivido, nonostante sia passato molto tempo, perché era la prima volta che vedevo il Papa da vicino. Sembrava ammantato di una luce personale. Emanava un carisma non descrivibile. Era una persona che capivi cosa fosse solo se gli stavi vicino.

D. – Me encantaba...
Mi piaceva. E’ stata una gioia immensa averlo come Papa.

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Festa San Giovanni Paolo II. Oder: cresce l'amore per la sua figura

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Oggi, dunque, la Chiesa festeggia San Giovanni Paolo II, Pontefice per quasi 27 anni. Elevato all’onore degli altari lo scorso 27 aprile da Papa Francesco, assieme a San Giovanni XXIII, Karol Wojtyla è tra le figure più amate nella storia recente della Chiesa. Un amore che cresce anche a nove anni dalla sua morte, come sottolinea il postulatore della Causa della Canonizzazione, mons. Slawomir Oder, intervistato da Alessandro Gisotti

R. – Non le nascondo che per me guardare la pagina del calendario con la data 22 ottobre è sicuramente un momento di grande commozione. Ed è una cosa impressionante come, ancora adesso, ormai da più di nove anni dalla sua morte, il nome di Giovanni Paolo II susciti nei cuori dei fedeli sentimenti di gratitudine, di gioia, di affetto. In questi mesi, io ho avuto occasione di partecipare a varie iniziative per ricordare San Giovanni Paolo II e le devo dire che mi commuovevo nel vedere le chiese piene, la partecipazione delle persone che con le lacrime agli occhi raccontavano la loro esperienza, il loro Giovanni Paolo II.

D. – Al di là delle analisi dei teologi, di quello che possano scrivere i vaticanisti, c’è un popolo di Dio che continua e accresce il suo amore per questa figura...

R. – Effettivamente, è un fenomeno che ho riscontrato già durante gli anni del processo, raccogliendo le testimonianze. Un fenomeno che trovava la sua espressione nelle parole, che ripetevano tutti come un ritornello: “Il nostro Papa! Il nostro Papa!”. Lo dicevano in polacco, lo dicevano in italiano, e continuano a dirlo in tutte le lingue del mondo. E’ rimasto il Papa dei nostri giorni, nel senso che ne è rimasta una memoria molto fresca, sempre viva: del suo sorriso, delle sue parole, del suo atteggiamento molto paterno, severo, ma anche benevolo, con la certezza della sua parola, della sua dottrina e della sua vicinanza alle persone bisognose di affetto e misericordia.

D. – Il 22 ottobre, ovviamente, è legato a tre parole che non si potranno mai dimenticare pensando a Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. In qualche modo, questa esortazione ha una proiezione verso l’avanti, cioè nel continuare a non avere paura nell’annunciare Cristo, anche se bisogna dire cose scomode per i nostri tempi...

R. – Questa è la funzione profetica della Chiesa e questo è anche il coraggio straordinario, che Giovanni Paolo II ha dimostrato in tutto il suo Pontificato, che è stato percepito come forza dai suoi avversari, ma anche dal popolo di Dio: ha posto Cristo al centro del suo Magistero, della sua parola, del messaggio che ha lasciato alla Chiesa. Perciò, le sue parole “non abbiate paura” davvero sono le parole che ancora oggi ispirano tantissime persone a prendere un cammino e fare scelte che vanno controcorrente, che sono scelte profetiche.

D. – In questi mesi, dopo la Canonizzazione, quindi dopo il 27 aprile, che cosa l’ha colpita? C’è anche magari un’esperienza, un racconto che le è proprio rimasto nel cuore, tra i tanti?

R. – Di recente, sono stato in Puglia, ho partecipato ad un evento molto bello – uno dei tanti, in questi giorni – che si iscrive ancora nella "peregrinatio" della reliquia di San Giovanni Paolo II, che continua la sua itineranza nel mondo. Quello che mi ha colpito è stata la Chiesa gremita di persone. Dopo la Messa vespertina, tantissime persone sono rimaste in Chiesa per tutta la notte: hanno pregato fino all’alba, fino alla Messa mattutina, affidando a Giovanni Paolo II le loro intenzioni, preoccupazioni, speranze e le loro gioie. Io penso che questo sia veramente il compito dei Santi e che lui stia svolgendo egregiamente questo suo ruolo: intercedere, ma anche invogliare le persone alla vita, secondo la misura alta. Quelle parole che ha affidato quasi alla fine del suo Pontificato, introducendo la Chiesa nel nuovo millennio - “Duc in altum!” prendete il largo” - veramente sono rimaste nei cuori delle persone. La santità incoraggia, la santità contagia, la santità attrae e veramente può incidere sulle scelte concrete della nostra vita.

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Il Papa: soluzioni per Meridiana. Il vescovo: anche politica responsabile

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All'udienza generale, il Papa ha lanciato un appello per la Meridiana. La compagnia aerea ha confermato di voler licenziare 1.366 persone, anche se il governo ieri ha avanzato una proposta che prevede incentivi agli esodi volontari e parziale ricollocazione degli esuberi nelle società del gruppo. Venerdi nuovo incontro a Roma. Alessandro Guarasci: 

"Auspico vivamente che si possa trovare un’equa soluzione, che tenga conto anzitutto della dignità della persona umana e delle imprescindibili necessità di tante famiglie. Per favore, faccio un appello a tutti i responsabili: nessuna famiglia senza lavoro!"

Sono almeno 150 i dipendenti Meridiana arrivati questa mattina a Piazza San Pietro, riconoscibili dalle loro magliette rosse con scritto: “Io sono un esubero Meridiana”. Hanno accolto con grande speranza l’appello di Francesco:

"Noi stiamo lottando da anni. Per la prima volta è stato il Papa a parlare apertamente di dignità. In questo Paese non viene imposta alle aziende una responsabilità sociale, che non permetta di sfruttare i cittadini italiani e di buttarli, quando non servono più, quando raggiungono una certa età, quando a 40 anni iniziano a costare troppo e perché? Perché hanno messo su famiglia, hanno acceso un mutuo in banca. No, li lasciamo a casa e prendiamo i ragazzini, perché costano meno e sono più facili da trattare. Questo non è giusto!".

E con gli stessi sentimenti parla il vescovo di Tempio-Ampurias, mons. Sebastiano Sanguinetti:

R. – Conforta l’intervento del Papa, conforta anche me e la Chiesa diocesana, che in questa vertenza è stata vicina, cerca al massimo di essere vicina ai dipendenti, ma cerca di essere vicina anche a quelli che sono i diritti di un territorio, perché nel futuro, nel presente, ci siano un minimo di garanzie economiche e sociali per le famiglie e i lavoratori.

D. – L’azienda ieri sera ha confermato i licenziamenti: quale sentimento si respira in Sardegna?

R. - Il fatto che sia stata sospesa, che non si sia dato immediato avvio alla procedura del licenziamento, fa sperare. Quindi si capisce che per le famiglie e per tutto il territorio la posta in gioco è davvero grande. Questa vertenza ha preso un versante che porta verso un quasi totale smantellamento dell’azienda, perché si tratta del licenziamento di 1.634 dipendenti su 2.100.

D. – Lei vede responsabilità anche da parte dell’azienda, un mancato piano di sviluppo? Perché se dovesse saltare la Meridiana, la Sardegna sarebbe ancor più isolata…

R. – Forse la società sta pagando errori strategici di acquisizione di altre compagnie decotte e quindi in grandissima crisi, le cui perdite poi sono andate a confluire sulla società madre. E quindi, sulle spalle, Meridiana si trova queste passività pregresse che evidentemente sono difficili da gestire se non con una politica in questo momento di dismissione a favore di una società collegata, che è l’Air Italy, low cost, che in qualche maniera ha contratti totalmente diversi  rispetto a quelli di Meridiana.

D. - Quello che però sembra manchi per la Sardegna, è un vero piano di sviluppo a livello un po’ più generale che punti sulle tipicità dell’isola, ma anche sull’innovazione che l’isola potrebbe dare. Lei è d’accordo?

R. – Anche la politica ha la sua responsabilità. La politica sia regionale, sia nazionale, sia anche europea. Quindi sicuramente manca una politica, una politica di sviluppo generale dove puntare su quelle che sono le risorse, per noi la risorsa generale è l’enogastronomia e quella ambientale. Si è preferito invece puntare su altri percorsi industriali, del tutto inadeguati a quella che è la caratteristica, la peculiarità della Sardegna.

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Sinodo. P. Lombardi: Francesco sempre sereno, suo merito trasparenza e libertà

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Mai in passato un Sinodo dei vescovi aveva destato tanta attenzione come quello sulla famiglia tenutosi, nei giorni scorsi, in Vaticano. Intenso anche il dibattito innescato tra le comunità locali di fedeli su un tema che, evidentemente, appassiona perché sentito come fondamentale nella vita di tutti. Sui lavori del Sinodo, il modo in cui l’ha vissuto Papa Francesco e l’aspetto della comunicazione nei lavori dell’assemblea sinodale, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana: 

R. – Mi è sembrata veramente una esperienza molto particolare e molto diversa da quella dei Sinodi precedenti, perché – come è stato detto e ridetto e come il Papa ha spiegato – questa volta si è trattato di una tappa di un cammino che non costituisce quindi un Sinodo chiuso in sé, un episodio concluso, ma un momento di un lungo e approfondito discernimento della Chiesa come comunità in cammino. E questo lo si è vissuto moltissimo. Tra l’altro il Papa ha scelto proprio questo itinerario complesso perché qui si tratta di affrontare dei temi molto difficili, molto appassionanti, legati alla vita, all’esperienza della comunità della Chiesa in tutta la sua ampiezza: il Popolo di Dio, i fedeli, i laici e anche i pastori come responsabili di questo cammino. Quindi si trattava di temi non specificamente dottrinali per così dire, ma dottrinali e pastorali insieme. E questo ha reso questo Sinodo particolarmente coinvolgente, particolarmente seguito. Qualcuno ha fatto il parallelo un poco anche con il Concilio Vaticano II e questo non è un parallelo completamente fuori luogo: come Giovanni XXIII, con il Concilio, ha messo in cammino la Chiesa universale, naturalmente su degli orizzonti amplissimi, che riguardano la sua vita in tutte le sue dimensioni; Papa Francesco ha messo in cammino la Chiesa universale su un tema più specifico come quello della famiglia, che però è estremamente coinvolgente. E lo ha fatto riuscendo a coinvolgere, grazie anche a questo metodo complesso e articolato, la comunità della Chiesa in tutti i suoi livelli: è partito con la consultazione nelle comunità; poi ha coinvolto il Collegio cardinalizio nel Concistoro; poi tutti i presidenti delle Conferenze episcopali con questo Sinodo; poi si rilancia da parte delle Conferenze episcopali nelle comunità in tutto il mondo; e poi si ritorna in un Sinodo ordinario e quindi con una rappresentanza allargata dei vescovi e probabilmente anche di osservatori, di uditori che rappresentino l’insieme della comunità della Chiesa. Quindi un coinvolgimento della comunità in cammino, in ricerca su dei temi che da diverso tempo noi conosciamo - non è che siano stati improvvisati, tutt’altro! – ma che veramente richiedevano una riflessione più sistematica, più approfondita e comunitaria sulla loro natura pastorale e dottrinale.

D. – Questo è il primo Sinodo di Francesco come Papa, ovviamente da cardinale aveva preso parte ad altri Sinodi e anche con ruoli importanti. Come ha visto il Santo Padre in questo Sinodo? Ha avuto modo anche di scambiare anche qualche parola con lui sull’andamento dei lavori?

R. – Il Papa, in questo Sinodo, ha seguito una linea molto precisa, che aveva previsto, e che è stata quella di intervenire con l’omelia di apertura, nella Messa di apertura, e nella prima Congregazione e poi di ascoltare. Ha voluto ascoltare per tutto il tempo, senza intervenire personalmente, proprio per lasciare lo spazio della libertà di espressione che lui ha molto, molto incoraggiato con il suo breve e forte intervento alla prima congregazione generale, invitando veramente tutti a parlare con totale chiarezza, con totale libertà, senza farsi minimamente preoccupazioni di quello che lui stesso avrebbe potuto sentire o pensare. Ha voluto garantire una piena libertà e questo è stato molto, molto apprezzato e si è riflesso effettivamente sulla dinamica del Sinodo. Poi è stato in silenzio fino al discorso finale del sabato sera, in cui ha tirato un po’ le fila dell’esperienza spirituale del Sinodo come evento ecclesiale e spirituale: lo ha fatto con una autorevolezza straordinaria. Credo che effettivamente senza questo discorso finale del Papa del sabato sera e l’omelia poi della Beatificazione di Paolo VI, ma soprattutto il discorso finale del sabato sera, il Sinodo sarebbe rimasto un po’ incompiuto e non letto nella chiave della fede, che è quella che veramente lo ha inspirato e motivato nella mente del Papa. Quindi il Papa è intervenuto all’inizio e alla fine: all’interno non è intervenuto. Però tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui, lo hanno sempre trovato estremamente sereno, anche nei momenti in cui poteva sembrare che ci fosse tensione o discussione interna al Sinodo. Questo non lo ha mai turbato: egli è stato sempre estremamente fiducioso nella guida dello Spirito – diciamo pure così – e quindi nella capacità della comunità della Chiesa e del Sinodo in particolare di partecipare a una ricerca spirituale, a una ricerca del bene della Chiesa, che alla fine avrebbe trovato il suo orientamento in una prospettiva corretta e non in una prospettiva semplicemente umana o di tensioni interne, ma sarebbe stato ricondotto al suo senso, alla sua natura spirituale vera dall’aiuto del Signore e lui – il Papa, come guida - ha autorevolmente riproposto la sua responsabilità proprio per la conduzione, secondo la volontà di Dio, del cammino della Chiesa. Questo tema del discernimento spirituale, che ha toccato con profondità nell’ultimo discorso, rimane estremamente importante anche per il seguito del processo del Sinodo. Questa è la vera chiave di lettura dell’intero processo del Sinodo, e il Papa, che è un uomo di fede, lo vive in questa prospettiva e in questa chiave. Per questo possiamo avere fiducia che il Sinodo giungerà, in tutto il suo cammino, ad una meta positiva per la Chiesa.

D. – Come ha visto il Sinodo sotto il profilo della comunicazione? Un Sinodo di cui si è molto parlato, anche sui mass media e, come diceva lei, ha appassionato, forse come nessun altro Sinodo nella storia recente…

R. – Sì. Bisogna tener conto che era un Sinodo sui generis: quindi non era paragonabile a quelli precedenti, non è che si potessero utilizzare esattamente gli stessi modelli, gli stessi schemi che si erano utilizzati per quello precedente. Questo si è riflettuto in particolare nella discussione sulla pubblicazione degli interventi durante il dibattito generale. Su questo bisogna avere un’idea anche abbastanza concreta per capire di che cosa si tratta, perché nei Sinodi precedenti il tempo del dibattito nell’Assemblea generale era assai più prolungato e quindi la distribuzione degli interventi era assai più graduale: in questo Sinodo ci siamo trovati ad avere in tre giorni e mezzo una media di 70 interventi al giorno, che non sarebbero stati – diciamo – smaltibili in una pubblicazione ordinata, a meno che i padri non avessero presentato  essi stessi delle sintesi molto ben precise e secondo uno schema omogeneo da pubblicare. Cosa che non avevano preparato… E’ assolutamente illusorio pensare che le potessero preparare, anche perché avevano già dovuto preparate altri due interventi, quello scritto richiesto già in anticipo dalla Segreteria del Sinodo e l’intervento lungo da presentare in aula. Quindi chi conosce veramente un po’ la realtà concreta si rende conto che questa pubblicazione di interventi da parte di una organizzazione della Segreteria del Sinodo e della Sala Stampa non era molto realistica. Per questo si sono scelte altre vie: incoraggiare tutti i padri a sentirsi liberi di esprimere ciò che avrebbero voluto esprimere a chi li avesse interrogati; si è fatta una organizzazione per facilitare una diffusione di interviste brevi in modo tale che potessero esprimere il loro pensiero e poi una presentazione ampia ma sintetica nella Sala Stampa dell’insieme degli interventi in modo tale che si avesse anche una certa presentazione globale, sufficientemente equilibrata, della ricchezza dei temi trattati. Questo perlomeno è quello che si è cercato fare. Bisognerà vedere se in un Sinodo organizzato con tempi diversi, come potrà avvenire l’anno prossimo, si potrà prevedere uno schema un po’ differente… L’altro tema su cui si è abbastanza dibattuto – anche da parte dei padri stessi – è la pubblicazione della Relatio post disceptationem, che di per sé è una cosa che si è assolutamente sempre fatta e quindi noi – né la Segreteria del Sinodo né la Sala Stampa – non abbiamo avuto alcun dubbio di doverlo fare. Ci si è resi conto che invece i padri non erano così consapevoli che questa sarebbe stata pubblicata. Probabilmente la sorpresa dipende dal grandissimo interesse che c’era quest’anno, mentre in altri casi una pubblicazione della Relatio post disceptationem non aveva particolari echi e non suscitava particolari dibattiti: questa volta, invece, è stato un elemento molto, molto importante nella dinamica. Valutando ora, io direi che possiamo anche dire che è stato un elemento positivo, perché è stato veramente uno dei passi fondamentali di una dinamica molto intensa di riflessione e di comunicazione. E’ stata questa Relatio post disceptationem che ha segnato il passaggio alla seconda fase, quella dei Circoli Minori, con una dinamica molto più interattiva fra i padri e che è stata compresa meglio e seguita meglio, rispetto ai Sinodi precedenti, anche dalla stampa e dagli osservatori che seguivano il Sinodo dall’esterno. Quindi io credo che sia stato opportuno e necessario pubblicare la Relatio post disceptationem e questo ha naturalmente poi influito anche sulla natura della comunicazione successiva: la pubblicazione completa delle relazioni dei Circoli Minori è diventata logicamente necessaria e naturale e così pure anche la pubblicazione completa della Relatio Synodi. Quindi bisogna dire che è stato un Sinodo che si è svolto con un livello di trasparenza e di intensità di comunicazione certamente superiore ai Sinodi precedenti. Questo era un po’ richiesto dal grandissimo interesse con cui era seguito. Naturalmente la comunicazione e gli echi sulla stampa nella comunicazione generale a volte sono poi un po’ squilibrati, magari si concentrano solo su certi temi e in questo caso erano ovviamente i due temi della comunione ai divorziati risposati e dell’omosessualità, che venivano sempre amplificati anche più di quanto non fosse giusto nell’insieme del Sinodo. Però nel complesso la ricchezza della comunicazione che c’è stata ha permesso di capire a tutti coloro che volevano effettivamente capire che cosa stava succedendo e di partecipare con una notevole intensità.

D. – Da queste sue ultime parole, che già un po’ dicono la sua su questo argomento, qual è il suo parere proprio su come dall’esterno è stato seguito questo Sinodo, che ha suscitato così grande interesse a livello mondiale?

R. – Il problema, dal mio punto di vista, è sempre quello della profondità con cui si comprende che cosa stia succedendo e quale sia il cammino della Chiesa: quello che generalmente manca o è insufficiente è un po’ il livello della comprensione nella fede, che per la Chiesa è essenziale. Il discorso finale del Papa ha aiutato e dovrebbe aiutare tutti ad entrare in questo livello di profondità. Non si tratta di valutare il Sinodo dal punto di vista degli schieramenti, dal punto di vista anche del governo della Chiesa da parte del Papa come un problema di carattere strategico umano, ma si tratta di capire che il Papa ha desiderato che la Chiesa si mettesse in cammino e la Chiesa si è effettivamente messa in un cammino di ricerca della volontà di Dio, alla luce del Vangelo e alla luce della fede, per trovare risposte alle questioni più vive della famiglia e in un certo senso anche dell’antropologia, della condizione dell’uomo e della donna nel mondo di oggi. Si è messa in cammino con una libertà e con una capacità di ascolto reciproco molto, molto grande e anche con una grande fiducia, senza timore. Il pellegrino che cammina cercando la volontà di Dio, in certo senso non sa dove arriverà – come Abramo che cammina guidato dal Signore – ma sa che il Signore lo accompagna e quindi è fiducioso; sa che andrà nella direzione giusta se continua a seguire fiduciosamente le indicazioni del Signore con una ricerca spirituale condotta comunitariamente, ma sotto la luce del Vangelo. Questo è quello che generalmente in una visione esterna viene a mancare, mentre è estremamente importante che noi lo teniamo molto presente e che questo sia anche proprio lo spirito con cui adesso il cammino continua, con cui il cammino sinodale continua tra una Sinodo e l’altro, tra quello straordinario e quello ordinario. Osserverei anche che adesso, grazie al fatto che tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali hanno partecipato a questo Sinodo straordinario e che siano stati quindi anche coinvolti personalmente da questa esperienza così intensa, è molto probabile che il rilancio della riflessione sia profondo, sia efficace, sia veramente articolato in tutte le conferenze episcopali guidate da persone che sono state toccate personalmente da questa esperienza, e che quindi si arrivi, con un’esperienza comunitaria molto larga e profonda, al prossimo Sinodo ordinario dell’anno venturo, come il Papa desidera.

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Mons. Auza all'Onu: prevenire nuovi genocidi in Iraq e Siria

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Dall’appoggio alla nascita dello Stato palestinese, alla drammatica situazione siriana, libanese e irachena, alla risposta al terrorismo internazionale, con riferimento al sedicente Stato islamico. Sono i contenuti dell’intervento sulla situazione in Medio Oriente, svolto ieri davanti al Consiglio di Sicurezza, dall'arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

Israele e Palestina, con il sostegno di Onu e comunità internazionale, devono lavorare verso l'obiettivo finale: la realizzazione del diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato, sovrano e indipendente, e del diritto degli israeliani a vivere in pace e sicurezza. L'intervento di mons. Auza è molto chiaro nei toni e nei contenuti, anche quando chiede alle parti in lotta in Siria, dove metà della popolazione ha bisogno di assistenza e circa un terzo è sfollato, di fermare le massicce violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani fondamentali e sollecita il sostegno della comunità mondiale affinché si giunga a una soluzione.

Mons. Auza chiede inoltre la solidarietà internazionale nei confronti del Libano, gravemente colpito dalla crisi siriana e dalla massiccia presenza di rifugiati. Allo stesso tempo, confermando il suo pieno appoggio ad un Libano sovrano e libero, esorta la classe politica del Paese a trovare al più presto una soluzione alla nomina del presidente della Repubblica. “Il Libano – si legge – è un  ‘messaggio’, un ‘segno’ pieno di speranza per la convivenza dei diversi gruppi che la compongono”.

L'arcivescovo si rivolge poi agli organi competenti delle Nazioni Unite affinché prevengano nuovi genocidi ad opera del  cosiddetto ‘Stato islamico’, e perché assistano il crescente numero di profughi. L’appello della Santa Sede è in particolare per la tutela delle minoranze, tra cui le comunità cristiane, vittimizzate per le loro origini etniche e credenze religiose. “La Santa Sede – scrive –  insiste sul rispetto del diritto di queste comunità e di tutti gli sfollati a tornare alle loro case e vivere in dignità e sicurezza”. Infine, l’auspicio che le Nazioni Unite reagiscano all’escalation dello spietato fenomeno del terrorismo attraverso il rafforzamento del quadro giuridico internazionale perché ci sia una comune responsabilità per la protezione delle persone dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica, dai crimini contro l'umanità e da tutte le forme di aggressione ingiusta.

“E’ il momento delle decisioni coraggiose – conclude mons. Auza – dopo le lezioni ricevute dalla nostra incapacità di fermare recenti orrori del genocidio e in questo momento di plateali, massicce violazioni dei diritti umani fondamentali e del diritto umanitario internazionale”. L’appello finale è ai leader religiosi della regione e di tutto il mondo, perché il loro sia un ruolo di primo piano nella promozione del dialogo interreligioso e culturale, nella tempestiva denuncia dell’uso della religione per giustificare la violenza, e nell'educare tutti alla comprensione e al rispetto reciproci.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un solo corpo: nella catechesi il Papa parla del tratto distintivo più profondo e più bello della Chiesa.

Impegno contro la tratta di persone: nelle Filippine a un anno dal ciclone Hayan.

Il prezzo della vita: Ferdinando Cancelli su questioni etiche connesse al costo dei farmaci.

Chi paga? Fabrizio Landi sulle dinamiche e implicazioni legate al mancato finanziamento di cure nei Paesi poveri.

Ponte verso la bellezza: Silvia Gusmano su gravidanza e creatività.

L'humus della pace: Luis Romera Onate su istituzioni e strutture sociali giuste.

Fate il futuro volando: Jorge Milia spiega come parla Jorge Mario Bergoglio.

Silvia Guidi su tre secoli di parole: presentata la ventitreesima edizione del Diccionario de la Lengua Espanola.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Mons. Audo: no soluzione militare, serve dialogo politico

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Dopo l’apertura, su decisione di Ankara, del corridoio in territorio turco che consentirà ai miliziani curdi iracheni di andare in aiuto di quelli siriani, impegnati nella difesa di Kobane, è atteso un voto del parlamento regionale curdo sull'invio di peshmerga e consiglieri militari nella città. Ed è proprio il nord della Siria dove gli scontri tra miliziani curdi e jihadisti del sedicente Stato islamico sono più cruenti. Su una possibile via d’uscita a questa situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria: 

R. – Non c’è una soluzione militare in Siria! Si deve ricercare nuovamente una soluzione politica, si devono invitare tutti i gruppi in conflitto in Siria, insieme, ad aprire un dialogo politico. Speriamo si possa arrivare a qualcosa di nuovo che vada contro la soluzione delle armi.

D. – Quello che spaventa, in questo momento, è anche l’atteggiamento dello Stato islamico. Un gruppo, un movimento con cui sembra non si possa dialogare…

R. – Penso che dietro a questi gruppi ci sia gente che dà i soldi, che dà armi e che hanno interessi in tutto questo. Ma quando verrà presa una decisione a livello internazionale di pace e di dialogo, questi gruppi armati non avranno più un influsso serio.

D. – Noi monitoriamo sempre la situazione della popolazione civile, delle minoranze, quella cristiana in particolare. Qual è la situazione ora?

R. – Forse, la situazione in Aleppo è quella più difficile di tutta la Siria, ci sono sempre bombe che cadono sulla città. C’è il problema del lavoro e la maggioranza della gente è senza soldi… Queste sono le ragioni per decidere di andare via. Per noi cristiani, questa è una grande perdita per la Chiesa, per la società, per il Paese. Questa è la domanda: facciamo tutto quello che possiamo per poter dare ragioni a questa gente per decidere di rimanere? Quando la maggioranza della popolazione diventa povera, questo è un vero problema non solo economico, umano ed anche di sicurezza. Questo problema dei cristiani di oggi ci dàuna grande tristezza: ogni giorno preghiamo, speriamo e attendiamo con pazienza  una soluzione politica di pace e di riconciliazione per tutto il Paese e per tutta la regione.

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Gas: slitta l'accordo tra Russia e Ucraina

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Tutto rimandato al 29 ottobre. È stato infatti fissato per mercoledì prossimo a Bruxelles il nuovo incontro tra Unione Europea, Russia e Ucraina sulla questione del gas. I colloqui di ieri infatti non hanno portato a un accordo definitivo tra Mosca e Kiev sul cosiddetto "pacchetto inverno", cioè le forniture russe all’Ucraina. I nodi, secondo la stampa internazionale, rimangono legati ai soldi che Kiev di fatto non ha – ma che sono necessari per pagare Gazprom – e ai timori ucraini che il colosso energetico russo possa non rispettare gli impegni vincolanti sottoscritti. Fin qui, comunque, un’intesa sarebbe stata raggiunta sul debito per le forniture pregresse e sul prezzo di quelle nuove. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Mosca Riccardo Mario Cucciolla, studioso di Asia centrale per l’Istituto di studi avanzati di Lucca: 

R. – Purtroppo, è saltato l’ennesimo round negoziale tra Ucraina, Russia ed Unione Europea, un negoziato che interessa non soltanto le forniture di gas verso l’Ucraina, ma anche quelle dirette verso l’Europa, soprattutto l’Europa centrale – pensiamo a Paesi molto interessati, come la Germania. Noi dobbiamo tenere distinta la questione del gas dal conflitto attualmente presente nel Donbass, perché la questione del gas tra Ucraina e Russia in realtà è un fatto ormai storico, che va avanti da più di un decennio. La questione fondamentalmente è la seguente: gli ucraini non accettano di pagare a un prezzo di mercato il gas russo. Non l’hanno mai fatto precedentemente, almeno finché l’Ucraina non ha deciso di essere, anche politicamente, indipendente e staccata rispetto al Cremlino, durante la cosiddetta "Rivoluzione arancione". In quel momento, i russi hanno chiesto di pagare il gas al prezzo di mercato. Comunque, nel corso degli ultimi negoziati – ad esempio di quelli dell’Asem a Milano – si erano presi degli accordi di massima molto importanti, perché ci si impegnava a definire una sorta di accordo quadro per le forniture verso l’Ucraina fino a marzo. La domanda ucraina di gas naturale russo è stimata per quattro miliardi di metri cubi. Il punto su cui non riescono a trovare un accordo è sui termini di pagamento. I russi, infatti, pretendono un pagamento anticipato delle rate. Tutto ciò deriva dal fatto che l’Ucraina ha accumulato un fortissimo debito nei confronti della Russia.

D. – Le autorità di Kiev hanno chiesto a Bruxelles un nuovo prestito da 2 miliardi di euro. Basteranno per poi concludere l’accordo?

R. – Potrebbero bastare, ma lo stesso ministro dell’Energia russo, Aleksandr Novak, si è mostrato contrario ad una possibile intermediazione delle istituzioni europee. E’ stato lo stesso Novak che ha proposto, ad esempio, l’idea di un prestito da parte del Fondo monetario internazionale o della Banca Europea di Ricostruzione e Sviluppo o di possibili altre istituzioni internazionali.

D. – Al di là del conflitto, per il controllo delle regioni orientali ucraine, perché la questione del gas ciclicamente ritorna ed è al centro delle tensioni tra Russia ed Ucraina?

R. – Quando Kiev e Mosca sono di comune accordo e fondamentalmente Kiev ritorna nella ex orbita di influenza del Cremlino, Kiev riesce ad ottenere dei prezzi molto più vantaggiosi rispetto a quelli di un regime di totale indipendenza o, comunque, di un momento in cui politicamente sembra affacciarsi più verso l’Occidente. Il gas, quindi, è un’arma politica formidabile, ma contingente, non direttamente ricollegata alle questioni appunto del Donbass e che continuerà probabilmente a ripresentarsi.

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Burkina Faso, proteste per il referendum costituzionale

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Centinaia di persone sono scese in piazze nella capitale del Burkina Faso, Ouagadougou, per protestare contro il referendum che permetterebbe al capo dello Stato, Blaise Compaoré, di restare al potere. Secondo la Costituzione, il presidente può essere riconfermato solo per due mandati. Nel caso vincessero i "sì", Compaoré potrebbe essere riconferamto alla guida del Paese. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Anna Bono, docente di storia dei Paesi e delle istituzioni africane all’Università di Torino: 

R. – Il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, non intende rinunciare alla propria carica, ma dovrebbe farlo in base alla Costituzione vigente perché è al potere dal 1987 ed è già stato riconfermato due volte alla carica. La Costituzione attuale prevede che questo sia il limite. La decisione quindi di indire un referendum costituzionale, che il governo propone e presenta come un atto di democrazia – “affidiamo ai cittadini il compito di decidere se modificare la Costituzione…” – in realtà è un modo di violare la Costituzione e mantenere il potere.

D. – Centinaia di persone sono scese in piazza nella capitale contro questo referendum…

R. – Può darsi che sia un segnale di successive mobilitazioni. Il problema in Burkina Faso è la comprensibile reticenza della popolazione a esporsi, perché la repressione può essere molto dura, determinata e spietata. D’altra parte, l’opposizione è da anni che sta cercando di sensibilizzare la popolazione e di indurla a protestare e non soltanto tramite il voto, quando è possibile, ma anche scendendo in piazza e manifestando la propria contrarietà nei confronti del governo.

D. – Il presidente del Burkina Faso è da quasi 30 anni al potere, ma il Paese è uno dei più poveri in Africa…

R. – I dati parlano chiaro! La popolazione continua a vivere in condizioni di povertà, anche estrema e con enorme difficoltà sia nei centri urbani, dove la mancanza di lavoro trasforma molte persone – soprattutto i giovani – in masse di disperati senza futuro. Sia nelle campagne, dove l’arretratezza, la mancanza di infrastrutture e il fatto che la maggior parte delle famiglie continuino a coltivare la terra con strumenti inadeguati, rende la povertà, la malnutrizione e quindi anche le malattie una minaccia costante.

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Settimana alimentazione: presentato Indice globale della fame

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“+ Giustizia – Spreco = Cibo x Tutti”. Questo lo slogan della Settimana dell’alimentazione, promossa in Italia da Lvia, Associazione di volontari laici d’ispirazione cristiana, impegnata da oltre 40 anni in progetti di solidarietà e cooperazione con i Paesi africani. In questo ambito, è stato presentato stamani all’Università di Torino “L’indice globale della fame” in 120 Paesi, elaborato dall’Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari (Ifpri). Roberta Gisotti ha intervistato Alessandro Bobba, presidente di Lvia: 

D. - Questo Rapporto parla di fame come fenomeno complesso, con aspetti nascosti, che riguardano oltre due miliardi di persone. Cosa s’intende?

R. - Si intende che il fenomeno della fame, come spesso ci ricorda Papa Francesco, non è solamente interpretabile come carenza di cibo, ma è un insieme di fattori, a partire dalla disponibilità del cibo e dall’accesso al cibo, fino ad altri fattori come la finanza che permette ampie speculazioni sul cibo e, di conseguenza, ne fa salire i prezzi e lo rende inaccessibile ancora oggi a 800 milioni di persone nel mondo. Inoltre, altro fattore importante è quello della pace, che non è solamente assenza di guerre, di violenze e di conflitti, ma è da intendersi come la possibilità per ciascun individuo di vivere una vita dignitosa. E per vivere una vita dignitosa è assolutamente necessario che vi sia un’alimentazione corretta, che permetta uno sviluppo sano nei bambini e nelle donne incinte, e quindi una crescita globale della persona umana.

D. - Quindi, la fame “nascosta” è la malnutrizione…

R. - La fame “nascosta” è un aspetto molto particolare dell’alimentazione, che riguarda la carenza di micronutrienti, che ha conseguenze spesso mortali: come la carenza di iodio, di zinco e di vitamina A, che provoca malattie anche gravissime - come la cecità, l’anemia, l’indebolimento del sistema immunitario - e che compromette lo sviluppo della persona e quindi lo sviluppo sociale ed economico di interi Paesi.

D. In questa settimana, vi sono molte iniziative di informazione e sensibilizzazione ed anche una raccolta fondi mirata….

R. - Certamente. Eventi che servono sia a informare che a sensibilizzare la popolazione, ma anche iniziative volte a raccogliere fondi per sostenere i nostri progetti di sicurezza alimentare. In particolare, quest’anno, ci vogliamo concentrare sulla Guinea che - come tutti sappiamo - è uno dei tre Pesi maggiormente colpiti dall’epidemia di Ebola, che ha conseguenze di carattere sanitario - di Ebola si muore, come abbiamo visto - ma anche conseguenze importanti sullo sviluppo sociale ed economico di questi Paesi. Infatti, il panico che si è creato presso le popolazioni locali ha fatto sì che i contadini disertassero il lavoro nei campi. Quindi, la stagione agricola quest’anno è praticamente saltata. Il che significa penuria di cibo, una carestia o, per lo meno, una forte crisi alimentare che è già in atto e che vedrà le sue conseguenze peggiori nei prossimi mesi. Questo è l’obiettivo della raccolta fondi di quest’anno, attraverso i banchetti - che sono oltre il centinaio in tutta Italia - dove proponiamo sacchetti di mele in cambio di un’offerta di cinque euro.

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Palermo celebra la memoria del Beato Pino Puglisi

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L’arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo, ha presieduto ieri in Cattedrale la Memoria liturgica del Beato padre Pino Puglisi Martire. La Memoria del sacerdote ucciso dalla mafia nel 1993 è stata celebrata in tutte le parrocchie, chiese e rettorie dell’Arcidiocesi nel giorno in cui padre Puglisi venne battezzato. E al Centro Padre Nostro fondato dal Beato Puglisi, spesso oggetto di atti vandalici, è giunta anche una inquietante telefonata anonima. Il servizio di Alessandra Zaffiro: 

La chiesa di Palermo ha celebrato ieri la memoria liturgica del Beato Giuseppe Puglisi martire. L’Eucaristia, in Cattedrale, è stata presieduta dall’arcivescovo, il cardinale Paolo Romeo, che nell’omelia ha così ricordato il sacerdote ucciso in odium fidei da un sicario della mafia il 15 settembre 1993, nel difficile quartiere Brancaccio:

“Don Pino non ha mai cercato né riflettori né microfoni né attenzioni particolari né titoli né grandiosità. Egli è stato sempre pronto a farsi trasparenza di Cristo, perché si percepisse che a parlare e ad agire fosse solo Lui. Sì, perché in fondo don Puglisi ha avvertito forte il suo essere unicamente ministro dell’amore di Dio”.

In cattedrale anche il missionario laico Biagio Conte:

“Figura preziosa il Beato padre Pino Puglisi, che veramente mi incoraggia tanto, lui che ha passato tante prove, tante umiliazioni”.

Intanto Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro, fondato dal Beato Puglisi, ha denunciato ai carabinieri una telefonata anonima giunta giovedì scorso alla struttura nella quale, una persona con nessuna inflessione dialettale, diceva: “Questa sera, al teatro Brancaccio ci sarà caldo, molto caldo”. Il Teatro è stato inaugurato nel 2013 ed è gestito dal Centro.

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"Cristiada": sugli schermi il film sulla rivolta dei "cristeros" in Messico

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E’ arrivato finalmente sugli schermi italiani “Cristiada” - in alcune città e il 5 novembre a Roma -, una impegnativa produzione cinematografica messicana sulla rivolta dei “cristeros”, esplosa sul finire degli anni ’20 del secolo scorso contro le leggi anticattoliche e laiciste volute dal governo massone e socialista del Messico. Il servizio di Luca Pellegrini: 

Le logge contro le chiese, un sedicente illuminismo riformista contro una vituperata metafisica, le leggi della plutocrazia contro le tradizioni della fede: un periodo turbolento si scatena nella prima metà del ‘900 in Messico, quando la massoneria al potere si scaglia contro un cattolicesimo radicato. Fu la guerra dei cosiddetti cristeros, il cui nome deriva da Cristos Reyes, i "Cristi-Re", come gli avversari definivano con intento spregiativo gli insorti cattolici che combattevano al grido di "Viva Cristo Re!", riprendendo il tema della regalità di Cristo, all'epoca molto popolare e in sintonia con l'istituzione della festa di Cristo Re proclamata nel 1925 da Pio XI. Una guerra civile nata con l’imposizione di leggi laiciste e oppressive imposte dal nuovo presidente messicano, massone e intransigente, il generale Plutarco Elías Calles, modernizzatore a suo modo, amico delle lobby statunitensi e filosocialista. Su quei fatti ancora poco divulgati, e poco nobili per tutti, che finirono con una resa comune gravida di conseguenze, in cui brillarono intolleranze e fanatismi, ma anche molti dei martiri della terra messicana, Cristiada, apre un sipario tragico e magniloquente. La rivolta, come il film, inizia nel 1926 e si conclude, anche se non definitivamente (strascichi della storia ancora gravano sul Messico moderno), nel 1929, con l’accordo tra Governo e Santa Sede, che voleva evitare ulteriori spargimenti di sangue. Dean Wright firma con questo soggetto impegnativo la sua prima regia  e per l’occasione viene chiamato un cast di stelle cine-televisive: Peter O’Toole, Andy Garcia, Eva Longoria, Catalina Sandino Moreno, Oscar Isaac, convinti dall’intraprendente, giovane produttore messicano Pablo Jose Barroso per una produzione da 40 milioni di dollari, la più impegnativa nella storia del cinema del suo Paese. "Un film uscito dal cuore – confessa il produttore – e non da un calcolo politico. Per dare un’immagine autentica del popolo messicano, della sua lotta per la libertà di culto e di religione ed evitare che questo passato ritorni”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Mons. Sako chiede ai musulmani più coraggio contro jihadisti

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Per vincere la cieca violenza del sedicente Stato Islamico serve un "fronte comune" di tutto il popolo irakeno, cristiani e musulmani, anche se finora "ha prevalso la paura". A più riprese "ho chiesto di uscire per le strade e testimoniare qual è il vero islam", che l'Isis non rappresenta la religione di Maometto, "che al Nusra e al Qaeda non rappresentano" il mondo musulmano. "Noi ci crediamo, ma bisogna dirlo in modo aperto".

È quanto racconta all'agenzia AsiaNews il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako, a Milano per un convegno dopo aver partecipato - nelle scorse settimane - ai lavori del Sinodo sulla famiglia e della parte del Concistoro dedicata ai cristiani del Medio oriente. Sua Beatitudine "crede" nel mondo musulmano, nei leader religiosi che respingono le violenze dei terroristi; tuttavia, egli aggiunge che "questa mancanza di coraggio" nello sconfessare attacchi, barbarie e brutalità dei jihadisti non aiuta. Serve un "rifiuto pubblico" forte, netto e di condanna delle violenze verso "innocenti, colpiti solo perché professano un'altra religione".

Il 17 ottobre scorso Papa Francesco ha ricevuto in udienza il patriarca di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena; al centro dell'incontro la drammatica situazione della comunità cristiana e di tutto l'Iraq, teatro delle violenze sanguinarie delle milizie dello Stato islamico, che hanno conquistato ampie porzioni di territorio, soprattutto al nord. Nel contesto della visita, il Pontefice ha promesso una "lettera di speranza" per i cristiani irakeni, che a centinaia di migliaia hanno dovuto fuggire dalle loro case e versano in condizioni "disperate" nei centri di accoglienza e alloggi temporanei.

Per il Patriarca di Baghdad ora serve una testimonianza concreta di vicinanza, morale e spirituale, perché (anche) questo la gente desidera e cerca: "Siamo stati a lungo una Chiesa isolata - racconta - quindi ora servirebbero visite, esempi di vita comune. Gruppi di giovani, suore, laici, sacerdoti dell'Occidente in visita alle famiglie cristiane dell'Iraq, andare nelle case e fra le persone, questo può aiutare quanto e più del denaro".

In vista dell'Avvento e del Natale, mar Sako chiede di incontrare i profughi irakeni e "perché no, portare un panettone in ciascuna famiglia, il dolce della festa, quale segno concreto di vicinanza e di solidarietà". Fra gli sfollati regnano ancora oggi paura, disillusione, sfiducia per una guerra che - stando agli annunci del governo statunitense - potrebbe durare anni. "E con i soli bombardamenti aerei - avverte il Patriarca - non si sconfigge lo Stato islamico, ma si causano altre vittime innocenti". Da qui il desiderio crescente di molte famiglie di "andare via" e "l'atteggiamento di alcuni sacerdoti, che fomentano questo fenomeno, non aiuta ma va condannato". (D.S.)

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Premio Sakharov al ginecologo congolese Mukwege

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“Un segnale forte che il Parlamento europeo ha voluto dare per dire a tutte le donne vittime di violenze sessuali in zone di conflitto che non sono sole, non vengono abbandonate al proprio destino. Una speranza e un auspicio che prossimamente la popolazione congolese possa finalmente vivere in pace e lavorare liberamente nei campi”: sono queste le prime parole pronunciate dal vincitore del premio Sakharov 2014, assegnato dal Parlamento europeo al ginecologo congolese Denis Mukwege.

Originario del Sud Kivu, nell’instabile regione orientale della Repubblica democratica del Congo, il ginecologo, 59 anni, viene sopranominato “l’uomo che cura le donne vittime di stupro”. Con il suo team di medici, psicologi e infermieri - riferisce l'agenzia Misna - ogni giorno dal 1999 nell’ospedale di Panzi accoglie donne i cui corpi sono stati martoriati e utilizzati come ‘armi di guerra’ dagli innumerevoli gruppi ribelli locali e stranieri attivi nell’est. In 15 anni di attività circa 450.000 donne stuprate e mutilate hanno ricevuto assistenza al Panzi.

In prima linea nella denuncia dei crimini contro l’umanità commessi ai danni delle donne nell’annoso conflitto, Mukwege ha anche rischiato la vita per la sua battaglia contro la barbarie: nell’ottobre 2012, al suo domicilio di Bukavu, è scampato a un tentato omicidio e, per un breve periodo di tempo, è stato costretto a rifugiarsi in Belgio, per poi rientrare in patria a rimettersi al servizio delle congolesi.

Un pensiero di Mukwege, che riceverà fisicamente il premio il prossimo 26 novembre a Strasburgo, è andato anche a tutti gli altri difensori dei diritti umani “perseguitati e costretti a nascondersi perché difendono diritti e vita degli altri”. Ogni anno dal 1988 il presidente del Parlamento europeo e i presidenti dei gruppi politici assegnano un premio per “la libertà di pensiero” – con in dotazione 50.000 euro – a individui o organizzazioni in prima linea nella lotta ai diritti umani e alla libertà di espressione.

Il primo vincitore, nel 1989, è stato Nelson Mandela, allora in cella in Sudafrica. Quest’anno una “menzione speciale” è andata al movimento ucraino pro europeo EuroMaidan, attivo dallo scorso novembre a Kiev. (R.P.)

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Centrafrica: “Antibalaka” costringono chiusura scuole salesiane

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Il gruppo “Antibalaka” era sorto a Bangui per proteggere la popolazione dalla guerra in corso nel Paese da oltre un anno e mezzo. Ora si è rivolto contro la stessa popolazione: “stanno commettendo saccheggi e stupri, inoltre ci hanno costretti a chiudere le scuole a Galabadja e Damala” avvertono i salesiani impegnati nella zona.

Entrambe le opere - riporta l'agenzia Fides - avevano deciso di aprire le porte della scuola ai bambini e ai giovani, affinché non perdessero altre ore di formazione. “Andare a scuola, poi, li aiutava ad avere una routine, delle abitudini, e dimenticare la violenza in cui vivono” spiegano in una nota dell’Ans inviata a Fides. “Ci sono barricate nelle strade oltre a molte armi in circolazione e la gente non lascia le proprie case per paura”.

Attualmente le missioni salesiane a Bangui accolgono oltre 1.400 persone sfollate a causa del conflitto. La violenza scatenata nei giorni scorsi impedisce ai religiosi di uscire dalla missione e non possono arrivare nemmeno gli aiuti umanitari. Dall’inizio della crisi sono fuggite dalle loro case oltre un milione di persone; più di 3.500 bambini sono stati costretti ad unirsi a gruppi armati e più di 2,6 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria urgente. (R.P.)

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Vescovi africani: “Rispettate l’alternanza democratica”

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“La chiusura delle frontiere non è la soluzione a Ebola” afferma il comunicato finale della riunione annuale del coordinamento del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam) che si è svolto dal 15 al 18 ottobre a Doula, in Camerun. Nel comunicato, pervenuto all'agenzia Fides, si ricordano le sofferenze delle popolazioni dei Paesi africani colpiti dalla febbre emorragica e si esorta ad essere “inventivi” nella ricerca di soluzioni.

Un altro punto affrontato dal comunicato è quello della democrazia in Africa, sottolineando che “il rifiuto dell’alternanza democratica e la mancanza di rispetto della legge fondamentale sono all’origine di tensioni e di situazioni di disordine in diversi Paesi africani”. Si fa appello quindi “al rispetto delle Costituzioni e dell’alternanza democratica, base di ogni sviluppo duraturo”.

Uno sviluppo che può essere reso possibile, ricorda il documento, dal corretto sfruttamento delle risorse naturali africane. Il Secam loda dunque l’iniziativa internazionale per la trasparenza nelle industrie estrattive e raccomanda che tutti gli Stati africani vi prendano parte ed esercitino controlli severi sulle ripartizioni dei proventi minerari. Si sottolinea inoltre la necessità di aprire un ufficio di collegamento con l’Unione Africana ad Addis Abeba.

Il comunicato si conclude con l’annuncio di un Congresso delle Commissioni “Giustizia e Pace” africane che si terrà nel marzo 2015 in Namibia, sul tema dello sviluppo integrale dell’uomo. (R.P.)

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Egitto: riprende il pellegrinaggio della Sacra Famiglia

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Per la prima volta dalla rivoluzione che ha portato alla caduta di Mubarak, i cristiani tornano a percorrere in modo pubblico i luoghi toccati dalla Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto. E, in modo ancora più significativo, è il governo a sostenere uno dei pellegrinaggi più antichi e importanti della Chiesa copta. Ieri sera - ripferisce l'agenzia AsiaNews - nel cortile del museo copto (quartiere vecchio del Cairo), il ministero del Turismo ha organizzato una cerimonia per lanciare il nuovo programma turistico, che promette di attirare almeno 500mila visitatori entro il prossimo anno. L'evento è stato pianificato in collaborazione con la Chiesa copta ortodossa.

Il patriarca Tawadros II ha spiegato: "Gesù è stato il primo 'turista' dell'Egitto. Per noi, per la nostra comunità, la sua permanenza in questa terra è stata una benedizione per il presente e per il futuro". Anche l'Egitto, ha aggiunto, "sta patendo per il materialismo: il turismo religioso, e questo pellegrinaggio in particolare, può rafforzare la fede di tutti".

L'unica fonte canonica a riportare questo episodio della vita di Gesù è il Vangelo secondo Matteo. Secondo la tradizione, la Sacra Famiglia fugge in Egitto dopo che un angelo appare in sogno a Giuseppe, avvertendolo dell'intenzione di Erode di uccidere il bambino. Le storie della loro permanenza in Egitto - durata circa tre anni - sono narrate in alcuni Vangeli apocrifi, e rivestono particolare importanza per la Chiesa copta.

Secondo questi testi Giuseppe, Maria e Gesù sono entrati a nord dal Sinai, e avrebbero poi raggiunto il sud dell'Egitto fermandosi in vari luoghi, su cui poi sono state erette chiese e luoghi di culto oggi toccati dal pellegrinaggio.

Il nuovo programma turistico si articolerà in cinque o sette tappe: partirà dalla città di Al-Arish (nord del Sinai) e passerà per il Delta orientale del Nilo, fino a raggiungere Wadi Natroun, dove si trovano quattro importanti monasteri. Toccherà il quartiere copto (dove si è svolta la cerimonia di lancio - ndr), dove sorge anche Abu Serga, la chiesa di San Sergio e Bacco, la più antica d'Egitto, costruita nel IV secolo. Secondo la tradizione, essa è stata eretta sopra una cripta, dove la Sacra Famiglia avrebbe trovato rifugio. Per chi volesse proseguire, il giro raggiungerà Assiut e culminerà nel monastero di Al-Muharraq.

Attraverso il rilancio di questo pellegrinaggio, il governo spera di riattivare il settore turistico, in crisi dopo la rivoluzione del 2011. Ma il sostegno delle autorità segna anche un cambio di passo fondamentale per la minoranza cristiana e cattolica in Egitto, duramente provata durante il regime dei Fratelli musulmani. "Con il governo Morsi - racconta ad AsiaNews Ramy Sabry, imprenditore copto presente alla cerimonia di lancio - avevamo paura. Per un anno intero abbiamo pregato, tutti i giorni perché quel regime finisse. Ho visto tanti copti e tanti cattolici, anche nella mia famiglia, fuggire dal Paese".

"Quando Morsi è caduto - ricorda - siamo scesi nelle strade e abbiamo festeggiato, perché per la prima volta dopo anni sentiamo di poterci esprimere liberamente nella nostra fede, e di poter costruire un Egitto migliore, tutti insieme: cristiani e musulmani". (G.M.)

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Chiesa filippina: in carcere troppi detenuti senza condanna

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La maggior parte dei detenuti rinchiusi nelle carceri filippine è stipata all'interno di celle sovraffollate, per anni, senza nemmeno un capo di imputazione preciso o una sentenza di condanna. È quanto denuncia la Commissione episcopale per la Pastorale delle carceri (Ecppc), secondo cui solo il 35% dei 114.368 prigionieri che fanno riferimento al Dipartimento carcerario e della pena (Bjpm) e del Dipartimento per la correzione (BuCor) sono colpevoli secondo la legge. Il restante 65% sono solo sospetti o incriminati in regime di detenzione preventiva, ma non hanno mai subito una condanna. "Essi sono rinchiusi perché i presunti crimini commessi non prevedono il rilascio su cauzione" sottolinea Rodolfo Diamante, segretario esecutivo Ecppc, oppure "non sono in grado di pagare la somma" stabilita dal giudice.

Fra i fattori che alimentano la congestione delle carceri - riuferisce l'agenzia AsiaNews - la durata dei processi e le "gravi carenze" intrinseche al sistema carcerario nazionale che determinano condizioni "disumane". A questo si aggiunge un budget insufficiente, che non è nemmeno in grado di "rispondere ai bisogni di base dei detenuti" aggiunge il leader cattolico filippino.

Le drammatiche condizioni delle carceri sono inoltre peggiorate da ripetuti abusi di potere da parte delle autorità, che sfociano in casi documentati di maltrattamenti, abusi sessuali, estorsioni dei prigionieri; violenze e vessazioni sono inoltre il risultato della "lotta per la supremazia" fra i vari detenuti, che si associano sovente allo "sfruttamento della manodopera" carceraria per profitto o tornaconto personale.

Le categorie soggette agli abusi sono i giovani, le donne, i vecchi, le persone affette da problemi mentali e i detenuti politici, mentre il carcere da strumento correttivo diventa sempre più spesso luogo di desolazione, privazione, istigazione alla delinquenza.

Il rapporto della commissione dei vescovi filippini giunge in concomitanza con la Settimana che la Chiesa dedica ogni anno alle carceri e alla giustizia. Per Rodolfo Diamante molti dei problemi sono legati al fatto che il sistema carcerario è tuttora basato su una modalità punitiva, dove l'uso della forza è visto come unico mezzo e si è persa di vista la finalità "correttiva". Anche fra l'opinione pubblica la percezione diffusa è che la pena debba "punire il colpevole", aggiunge l'attivista, dimenticando al contempo l'elemento di recupero e reinserimento sociale. (R.P.)

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Terra Santa: in mostra 35 antichi manoscritti della Custodia francescana

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Viene aperta al pubblico domani, a Gerusalemme, nella Biblioteca custodiale del Convento di San Salvatore una mostra di 35 antichi manoscritti. I volumi sono stati inventariati in questi ultimi due anni insieme ad altri preziosi esemplari, per un totale di circa 540 manoscritti datati, per la maggior parte, al XVIII e XIX secolo e redatti in varie lingue, altri al XIII, XV e XI secolo.

Si tratta, si legge sul portale www.custodia.org, di documenti liturgici, selezioni di vite dei santi, racconti di viaggi in Terra Santa, diari personali e libri di medicina usati nei dispensari che raccontano principalmente la vita francescana dei secoli trascorsi e testimoniano la presenza dei francescani in Terra Santa, ma soprattutto la coesistenza tra le varie comunità e culture. In esposizione ci saranno testi in arabo, greco, ebraico, ma anche armeno e siriaco. Ancor più sorprendenti sono alcuni manoscritti quali l’esemplare in lingua araba scritto in alfabeto ebraico o i numerosi in lingua turca scritti in caratteri armeni.

“Il valore per la storia di una collezione di manoscritti come questa, può essere paragonata ai resti di un battello che il mare getta sulla riva, dopo un naufragio. Non possiamo sapere come era la vita dei Francescani in Terra Santa nel XVI secolo, ma grazie a questi manoscritti, possiamo conoscerne qualche frammento” spiega il prof. Edoardo Barbieri, dell’Università Cattolica di Milano, che ha animato il progetto di catalogazione.

I manoscritti sono stati registrati nel catalogo on-line della Biblioteca della Custodia di Terra Santa e sono accessibili agli studiosi. L’inventario dei manoscritti è una tappa del più ampio progetto “Libri Ponti di Pace” (Books bridges of peace ), frutto della collaborazione tra Custodia e Creleb (Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca) dell’Università Cattolica di Milano e sostenuto dall’Associazione pro Terra Sancta, Ong della Custodia.

Durante l’inaugurazione della mostra verrà anche illustrato l’avvenuto trasferimento dell’intero catalogo della Biblioteca della Flagellazione nella Biblioteca Generale, per un totale di circa 100 mila libri disponibili nell’Opac collettivo delle biblioteche della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 295

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.