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Sommario del 23/10/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: abolire pena di morte, no a carcere disumano

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Cristiani e uomini di buona volontà “sono chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte”, in “tutte le sue forme”, ma per il miglioramento delle “condizioni carcerarie”. È uno dei passaggi centrali del discorso tenuto da Papa Francesco in Vaticano a un gruppo di giuristi dell’Associazione penale internazionale. La voce del Papa si è levata anche contro il fenomeno della tratta delle persone e della corruzione. Ogni applicazione della pena, ha affermato, deve essere fatta con gradualità, sempre ispirata dal rispetto della dignità umana. Il servizio di Alessandro De Carolis

L’ergastolo è una “pena di morte coperta”, per questo l’ho fatta cancellare dal Codice Penale Vaticano. L’affermazione a braccio di Papa Francesco si incastona in una intensa, particolareggiata disamina di come gli Stati tendano oggi a far rispettare la giustizia e a comminare le pene. Il Papa parla con la consueta schiettezza e non risparmia critiche a tempi come i nostri in cui, afferma, politica e media incitano spesso “alla violenza e alla vendetta pubblica e privata”, sempre alla ricerca di un capro espiatorio. Il passaggio sulla pena di morte è molto sentito. Papa Francesco ricorda che “San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte”, come pure il Catechismo, non solo punta il dito contro il ricorso alla pena capitale, ma smaschera in un certo senso anche quello alle “cosiddette esecuzioni extragiudiziali o extralegali”, che lui chiama “omicidi deliberati”, commessi da pubblici ufficiali dietro il paravento dello Stato:

“Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, anche, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte coperta”.

Lo sguardo e la pietà di Papa Francesco sono evidenti in tutta la sua esplorazione sia delle forme di criminalità che attentano alla dignità umana, sia del sistema punitivo legale che talvolta – dice senza giri di parole – nella sua applicazione legale non è, perché quella dignità non rispetta. “Negli ultimi decenni – rileva all’inizio il Papa – si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina”. Questo ha fatto sì che il sistema penale abbia varcato i suoi confini – quelli sanzionatori - per estendersi sul “terreno delle libertà e dei diritti delle persone”, ma senza un’efficacia realmente riscontrabile:

“C’è il rischio di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative”.

Papa Francesco definisce ad esempio il ricorso alla carcerazione preventiva una “forma contemporanea di pena illecita occulta”, celata dietro “una patina di legalità”, nel momento in cui procura a un detenuto non condannato un’“anticipo di pena” in forma abusiva. Da ciò – osserva – deriva sia il rischio di moltiplicare la quantità dei “reclusi senza giudizio”, cioè “condannati senza che si rispettino le regole del processo” – e in alcuni Paesi sono il 50% del totale – sia, a cascata, il dramma della vivibilità delle carceri:

“Le deplorevoli condizioni detentive che si verificano in diverse parti del pianeta, costituiscono spesso un autentico tratto inumano e degradante, molte volte prodotto delle deficienze del sistema penale, altre volte della carenza di infrastrutture e di pianificazione, mentre in non pochi casi non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del potere sulle persone private della libertà”.

Ma Papa Francesco va oltre quando, parlando di “misure e pene crudeli, inumane e degradanti”, paragona a una “forma di tortura” la detenzione praticata nelle carceri di massima sicurezza. L’isolamento di questi luoghi, ricorda, causa sofferenze  “psichiche e fisiche” che finiscono per incrementare “sensibilmente la tendenza al suicidio”. Ormai, è la desolante constatazione del Papa, le torture non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere “la confessione o la delazione”…

“…ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo, si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena”.

E dalla durezza del carcere, insiste il Papa, devono essere risparmiati anzitutto i bambini, ma anche – se non del tutto almeno in modo limitato –anziani, ammalati, donne incinte, disabili, compresi “madri e padri che – sottolinea – siano gli unici responsabili di minori o di disabili”. Papa Francesco si sofferma con alcune considerazioni su un fenomeno da lui sempre combattuto. La tratta delle persone, sostiene, è figlia di quella “povertà assoluta” che intrappola “un miliardo di persone” e ne vede almeno 45 milioni costrette alla fuga a causa dei conflitti in corso. Quindi, osserva con durezza:

“Dal momento che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale”.

Il capitolo sulla corruzione è ampio e analizzato con grande scrupolo. Il corrotto, secondo Papa Francesco, è una persona che attraverso le “scorciatoie dell’opportunismo”, arriva a credersi “un vincitore” che insulta e se può perseguita chi lo contraddice con totale “sfacciataggine”. “La corruzione – afferma il Papa – è un male più grande del peccato” che “più che perdonato”, “deve essere curato”:

"La sanzione penale è selettiva. È come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare. Le forme di corruzione che bisogna perseguire con [la] maggior severità sono quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale – come per esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione – come in qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o [per] quelle di terzi”.

Al tirare delle somme, Papa Francesco esorta i penalisti ad usare il criterio della “cautela” nell’applicazione della pena”. Questo, asserisce, “dev’essere il principio che regge i sistemi penali”:

“Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona umana”.

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Francesco: non si può essere cristiani senza la grazia dello Spirito

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“Non si può essere cristiani, senza la grazia dello Spirito” che ci dona la forza di amare: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Al centro dell’omelia del Papa, la Lettera agli Efesini in cui San Paolo descrive la sua esperienza di Gesù, un’esperienza “che lo ha portato a lasciare tutto” perché “era innamorato di Cristo”. Il suo è un “atto di adorazione”: piega, innanzitutto, “le ginocchia davanti al Padre” che “ha il potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare”. Usa “un linguaggio senza limite”: adora questo Dio “che è come un mare senza spiagge, senza limiti, un mare immenso”. E Paolo chiede al Padre, per tutti noi, “di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore, mediante il suo Spirito”:

“Chiede al Padre che lo Spirito venga e ci rafforzi, ci dia la forza. Non si può andare avanti senza la forza dello Spirito. Le nostre forze sono deboli. Non si può essere cristiani, senza la grazia dello Spirito. E’ proprio lo Spirito che ci cambia il cuore, che ci fa andare avanti nella virtù, per compiere i comandamenti”.

“Poi, chiede un’altra grazia al Padre”: “la presenza di Cristo, perché ci faccia crescere nella carità”. L’amore di Cristo, “che supera ogni conoscenza”, “non si può capire” se non attraverso “questo atto di adorazione di quell’immensità grande”:

“Questa è un’esperienza mistica di Paolo e ci insegna la preghiera di lode e la preghiera di adorazione. Davanti alle nostre piccolezze, ai nostri interessi egoistici, tanti, Paolo scoppia in questa lode, in questo atto di adorazione e chiede al Padre che ci invii lo Spirito per darci forza e poter andare avanti; che ci faccia capire l’amore di Cristo e che Cristo ci consolidi nell’amore. E dice al Padre: ‘Grazie, perché Tu sei capace di fare quello che anche noi non osiamo pensare’. E’ una bella preghiera... E’ una bella preghiera”.

Il Papa, quindi, conclude la sua omelia:

“E con questa vita interiore si può capire che Paolo abbia lasciato perdere tutto e consideri tutto spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Cristo. Ci fa bene pensare così, ci fa bene adorare Dio, anche a noi. Ci fa bene lodare Dio, entrare in questo mondo di ampiezza, di grandiosità, di generosità e di amore. Ci fa bene, perché così possiamo andare avanti nel grande comandamento – l’unico comandamento, che è alla base di tutti gli altri –: l’amore; amare Dio e amare il prossimo”.

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Il Papa riceve il premier di Grenada

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Papa Francesco ha ricevuto, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il primo ministro di Grenada, Keith Mitchell, il quale ha poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, accompagnato da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - ci si è soffermati sulle buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e Grenada, nonché sull’importante apporto della Chiesa cattolica in campo educativo, sociale e caritativo, di fronte alle sfide del Paese, soprattutto per quanto riguarda la gioventù. Al riguardo, è stata affermata la necessità di una cooperazione tra tutte le forze sociali in vista della promozione del bene comune e dello sviluppo del Paese”.

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Padre Donato Ogliari nuovo abate di Montecassino. Nota di p. Lombardi

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Papa Francesco ha nominato abate ordinario dell’Abbazia Territoriale di Montecassino il padre benedettino Donato Ogliari, finora abate del Monastero di Santa Maria della Scala in Noci, in provincia di Bari.

Il Papa ha contestualmente applicato all’Abbazia territoriale di Montecassino il Motu Proprio “Catholica Ecclesia”, con conseguente riduzione del territorio della medesima, disponendo in particolare che: alla nuova configurazione territoriale della circoscrizione ecclesiastica “Abbazia territoriale di Montecassino” appartenga il territorio su cui sorgono la Chiesa Abbaziale ed il Monastero, con le immediate pertinenze; alla diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo passino le 53 parrocchie con i fedeli, il clero secolare e religioso, le comunità religiose, i seminaristi; la diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo muti il proprio nome in quello di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo.

Padre Donato Ogliari è nato a Erba, in provincia di Como, il 10 dicembre 1956. Entrato da ragazzo nell’Istituto Missioni Consolata vi ha percorso l'iter formativo fino al sacerdozio. Dopo il Liceo Classico, ha frequentato il biennio filosofico a Torino e il triennio di Teologia a Londra, dove ha ottenuto il Baccalaurato in Teologia e il Diploma di Master of Arts in Scienze Religiose.

Ha fatto la prima professione come membro dei Missionari dell'Istituto della Consolata, a Torino, il 3 settembre 1978 ed è stato ordinato sacerdote il 3 luglio 1982. Dopo l'Ordinazione sacerdotale ha fatto una breve esperienza in campo formativo e ha poi proseguito gli studi presso la Katholieke Universiteit di Lovanio (Belgio) dove ha conseguito il Baccalaurato in Filosofia, la Licenza e il Dottorato in Sacra Teologia.

Nel 1988 domandò di entrare nell'Abbazia di Praglia (Padova) per iniziare la vita monastica ed essere poi destinato all'Abbazia Madonna della Scala di Noci (Bari), dove è entrato nel 1989 ed ha emesso i voti solenni nel 1992. Qui ha ricoperto l'incarico di direttore editoriale della rivista "La Scala", dal 1990 ad oggi, di maestro dei Novizi, dal 1993 al 1999, e di priore amministratore, dal 2004 al 2006. Nel 2006 venne eletto abate della medesima comunità pugliese, ricevendo la Benedizione Abbaziale il 7 ottobre 2006.

Nella Provincia italiana della Congregazione Benedettina Sublacense ha rivestito il ruolo di consigliere (dal 2003 al 2012) e di presidente della Commissione per la Formazione (2003-2008). Dal 2008 è vice-presidente della Conferenza Monastica Italiana (C.I.M.) e dal 2012 è visitatore dei monasteri italiani della Congregazione Benedettina Sublacense-Cassinese. Ha, al suo attivo, la pubblicazione di alcuni libri e di numerosi articoli, soprattutto di carattere teologico e spirituale.

A proposito della riorganizzazione dell’Abbazia di Montecassino e della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha rilasciato questa nota esplicativa:

1. La Chiesa ha sempre avuto particolare sollecitudine per la vita monastica e perciò il Concilio Vaticano II ha insistito sulla necessità di consolidare il ruolo dell'Abate come padre della comunità religiosa, il cui ministero è dedicare la propria vita al Monastero, senza essere occupato dalle attività proprie degli Ordinari di circoscrizioni  ecclesiastiche, che devono svolgere il loro ministero con piena disponibilità per il bene dei fedeli affidati alle loro cure pastorali.

2. Il Papa Paolo VI, nel Motu proprio “Catholica Ecclesia” del 1976, aveva raccolto l'indicazione formulata dai Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II, stabilendo che le Abbazie territoriali non fossero più erette in futuro e che quelle esistenti “o siano più idoneamente definite quanto al territorio o  siano trasformate in altre circoscrizioni ecclesiastiche”. Con questa disposizione si voleva da una parte favorire una più specifica identità e un quadro giuridico più consono alla vita monastica, e dall'altra assicurare ai fedeli che vivono nei territori abbaziali una cura pastorale più rispondente alle dinamiche e alle esigenze del mondo odierno.

3. Per promuovere tale prospettiva, realizzandola in armonia con gli Accordi concordatari con lo Stato Italiano, e rispettando la grande eredità storica e culturale rappresentata dalle Abbazie territoriali, è stato disposto che in Italia non si procedesse alla soppressione dell'istituto delle Abbazie territoriali, ma ci si limitasse a restringerne al minimo indispensabile l'estensione del territorio, cioè alle aree d'interesse immediato per la comunità monastica: il cenobio stesso con le sue pertinenze.

4. La Santa Sede, pertanto, dopo prolungata ed accurata riflessione e attente consultazioni, ha ritenuto maturi i tempi per poter attuare anche per l'Abbazia territoriale di Montecassino il Motu Proprio “Catholica Ecclesia”, dopo averlo già applicato negli anni scorsi all'Abbazia di Subiaco (2002), all'Abbazia di Montevergine (2005) e all'Abbazia di Cava de' Tirreni (2013). Essa rimane una circoscrizione ecclesiastica equiparata a diocesi, sia pure con territorio notevolmente ridimensionato.

Dopo queste decisioni, la Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo passa da una superficie di 1.426 kmq a 2016; da una popolazione di 155.000 abitanti a 235.000; da 40 comuni a 60; da 91 parrocchie a 144; da 83 sacerdoti diocesani a 120; da 131 religiose a 181.

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Il Papa riceve il card. Filoni e mons. Ventura, nunzio in Francia

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo Luigi Ventura, nunzio apostolico in Francia, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

Ieri il Pontefice aveva ricevuto il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei).

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Tweet del Papa: ogni famiglia è un mattone che costruisce la società

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Il Papa ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “La famiglia è il luogo in cui noi ci formiamo come persone. Ogni famiglia è un mattone che costruisce la società”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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L'ergastolo è una pena di morte nascosta: all'associazione internazionale di diritto penale il Papa ribadisce il primato e la dignità delle persona umana.

Con la croce, il libro e l'aratro: nel cinquantesimo anniversario della proclamazione di san Benedetto patrono primate d'Europa, Mariano Dell'Omo sul breve "Pacis nuntius" di Paolo VI, con due documenti inediti: la prima parte del messaggio inviato dall'abate Gregorio Diamare al cardinale Schuster dopo la distruzione dell'abbazia e il testo integrale della lettera in cui Giovanni Battista Montini esprime un commosso pensiero per la sorte di Montecassino.

Lo stupro uccide la famiglia: intervista di Sandra Isetta a Denis Mukwege, vincitore del premio Sakharov.

Attacco al cuore del Canada: sparatoria presso il Parlamento di Ottawa causa la morte di un militare.

Ispirazione e verità: il segretario Klemens Stock sul documento della Pontificia Commissione Biblica.

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Oggi in Primo Piano



Terrorismo in Canada: si indaga sulla matrice jihadista

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"Il Canada non si farà intimidire dal terrorismo, faremo il possibile per contrastare le minacce e garantire sicurezza al Paese". Sono le parole del premier canadese, Stephen Harper, dopo l’assalto al parlamento che ieri mattina ha fatto piombare nel terrore la città di Ottawa. Forse un attacco di matrice filojihadista, saranno le prossime ore a dirlo. Intanto, si contano due morti, un militare e il terrorista, Michael Zehaf-Bibeau, canadese convertito all’Islam. “Vicinanza e preghiere” per quanti sono stati coinvolti l’ha espressa l’arcivescovo di Ottawa, Terrence Prendergas, mentre la comunità internazionale a una voce ribadisce la condanna per l'accaduto e la solidarietà al Paese colpito. Il servizio di Gabriella Ceraso

Si indaga a tutto campo ma ancora una certezza non c’è per quanto accaduto ieri mattina a Ottawa, quando un uomo armato ha ucciso un soldato e poi si è introdotto nel parlamento facendo fuoco, prima di essere freddato dalla sicurezza. L’estremismo interno antigovernativo sembra un’ ipotesi poco plausibile rispetto alla pista del terrorismo islamico. Se sotto forma di commando o di iniziativa autonoma, nutrita dall’auto-indottrinamento, lo diranno le prossime ore. Si indaga anche sul profilo di Michael Hill diventato, dopo la conversione all’islam, Michael Zehaf Bibeau, 32 anni, canadese, autore forse non solitario dell’assalto e già senza passaporto, perché sospettato di volersi unire a formazioni estremiste all’estero. Stesso identikit di un altro giovane assassino di un militare,il fatto è accaduto lunedì scorso, poco distante da Montreal. "Non sorprende che questi episodi avvengano in Canada”, dice ai nostri microfoni Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo nell'Università di Roma “Tor Vergata” e professore di Sociologia politica alla Luiss:

R. – Il Canada è uno dei Paesi più odiati dagli integralisti islamici, in primo luogo per il coinvolgimento che ha avuto come Paese combattente in Afghanistan. Non dimentichiamo che il Canada è stato uno dei Paesi che è intervenuto in maniera più massiccia, con l’invio di soldati, durante la guerra, che di fatto ha portato al crollo del regime talebano e allo smantellamento delle basi di al Qaeda in Afghanistan. La seconda ragione è da ricondursi al voto dell’8 ottobre scorso, quando il parlamento canadese ha approvato gli attacchi e i bombardamenti aerei contro l’Is. Pochi giorni dopo, uno dei portavoce dell’Is aveva indicato il Canada come uno dei Paesi da colpire al più presto.

D. – Potrebbe trattarsi di un commando organizzato, ma anche di un’iniziativa autonoma collegata al terrorismo, nel senso di auto-indottrinamento?

R. – La dinamica dell’agguato mi induce a ritenere che si sia trattato di un attentato del cosiddetto “lupo solitario”, anche per una ragione ben precisa, e cioè che in questo momento l’Is è concentrato a investire le proprie energie per mantenere i territori che ha occupato, e quindi l’atteggiamento prevalente dell’Is è quello di affidare questi attentati terroristici soprattutto a simpatizzanti che di fatto si organizzano da soli. L’organizzazione di un attentato terroristico richiede un grosso investimento di risorse, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista umano e non sempre queste risorse sono disponibili.

D. – Su quali punti seconod lei si muoverà la reazione canadese?

R. – Sotto il profilo politico, non credo che ci saranno cambiamenti significativi rispetto alla linea adottata negli anni precedenti. Il Canada è uno dei principali alleati degli Stati Uniti, è uno dei Paesi maggiormente impegnati nella lotta contro il terrorismo e la politica internazionale su questo fronte è sempre stata molto chiara. Il Canada, peraltro, ha investito molti soldi nella ricerca scientifica per lo studio del terrorismo, per lo studio dei processi di radicalizzazione. Quindi, probabilmente ci saranno delle decisioni e dei provvedimenti che definirei contingenti, ma la politica internazionale del Canada, che è una politica di lotta frontale contro il terrorismo, non cambierà o, se vuole, probabilmente diventerà ancora più dura. Consideri che il Canada ha investito negli ultimi dieci anni, cioè dal 2001 fino ad oggi, una grande quantità di dollari, centinaia di milioni di dollari, per combattere il terrorismo.

D. – E comunque, possiamo dire che l’offensiva dell’Is è ad oggi sempre più fuori dai confini della Siria e dell’Iraq, o no?

R. – Io dire che dobbiamo essere cauti, per due ragioni. La prima è che il fenomeno dei ragazzi che si "radicalizzano" in Occidente, che partono per combattere affianco all’Isis, è un trend crescente ma comunque contenuto. Vorrei anche aggiungere che le immagini che arrivano spesso – le decapitazioni – fanno orrore a noi tutti, ci impressionano, ci spaventano. Ma bisogna mantenere un distacco critico e fare delle analisi oggettive. L’Is non è una forza dirompente, come viene descritta dai giornali: consideri che Kobane è una piccola cittadina e l’Is non riesce a conquistarla ormai da molte settimane. Che l’Is rappresenti una minaccia, è senz’altro un pericolo. Ma non è quella forza dirompente, travolgente che sconvolgerà il Medio Oriente nell’arco di pochi mesi, come qualcuno vorrebbe far credere.

D. – Questo episodio, però, senza dubbio fa riflettere sul fenomeno dei ragazzi che nelle democrazie occidentali assumono idee radicali e poi danno vita ad azioni che sono spesso terroristiche…

R. – Quando parliamo di processi di radicalizzazione, di home-grown terrorism, cioè di terroristi cresciuti in casa, parliamo di ragazzi che si "radicalizzano" e nell’arco di 12 mesi diventano degli attentatori. Quindi, sia l’intelligence ha difficoltà a monitorare questo fenomeno ma anche gli studiosi, appunto perché largamente imprevedibile. E questo è un fenomeno preoccupante.

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Mons. Zenari: Siria, situazione sempre più drammatica

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Solo due giorni fa l’inviato dell’Onu per la Siria, De Mistura, in un incontro a Mosca con il capo della diplomazia Russa, aveva invocato di risolvere “urgentemente” con “il dialogo politico”, la crisi siriana anche perché – aveva aggiunto – “vi è una minaccia molto grave, quella del terrorismo”. Una pace oggi più complicata da negoziare. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria: 

Scenari di guerra in movimento: proseguono i raid della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti contro i miliziani jihadisti, in lotta con le popolazioni curde assediate a Kobane, in attesa dei curdi peshmerga iracheni, dopo il sì della Turchia a farli entrare nei propri confini, vincendo i timori di possibili rivendicazioni per l’autonomia del Kurdistan, diviso tra cinque Paesi: Siria, Turchia, Iraq, Iran e Armenia. Mons. Zenari:

R. - Qui in Siria le cose vanno purtroppo di male in peggio! C’è una tragedia che va avanti da tre anni e mezzo… Quindi qui abbiamo non solo il problema dell’Is e del terrorismo, ma in questo momento in Siria abbiamo anche il problema non risolto di questo grave e sanguinoso conflitto. L’Is - direi - è stato come la goccia che ha fatto traboccare il vaso qui in Siria, che ha causato panico e sofferenza enorme: però il vaso è colmo da più di tre anni! E’ colmo di vittime, più di 200 mila; è colmo di rifugiati, più di tre milioni; è colmo di quasi 7 milioni di sfollati interni; è colmo di distruzioni… Quindi non dobbiamo solo pensare - come vedo alle volte nei media - che in Siria si parli solo di Kobane: c’è Kobane, ma c’è anche Aleppo, dove si soffre molto; c’è Idlib, c’è Homs, ci sono anche i dintorni di Damasco, c’è il sud della Siria…

D. - Dunque come procedere per arrivare alla pace?

R. - Direi che è il momento che tutta la comunità internazionale e la comunità dei Paesi della Regione di fare un serio sforzo e di rivedere le loro posizioni, perché bisogna risolvere questo conflitto siriano, bisogna risolvere questa calamità dell’Is e porsi sinceramente questi punti interrogativi: perché è successo tutto questo? L'Is non è saltato fuori da un giorno all’altro, ha delle cause remote, ha delle cause prossime. Chi ha dato origine e da dove sono saltati fuori questi terroristi? Chi li ha sostenuti? Dove trovano ispirazione? E poi trovare delle soluzioni che vadano alla radice finalmente di questo conflitto in Siria e di questo terrorismo.

D. - Tanto più in questo momento la diplomazia internazionale è quindi chiamata in causa, proprio perché le stesse armi sembrano mostrare i loro limiti nel risolvere una guerra ormai senza confini…

R. - Bisogna trovare una soluzione globale. Occorrono delle soluzioni non palliative, ma veramente delle soluzioni coraggiose!

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Nigeria: Misna, altre 60 ragazze rapite da Boko Haram

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Ancora violenze degli islamisti di Boko Haram in Nigeria, nonostante un cessate il fuoco tra miliziani e governo di Abuja annunciato la scorsa settimana. Secondo quanto rivelato dall’agenzia missionaria Misna, sono almeno 60 le ragazze rapite dagli estremisti nella regione nord orientale di Adamawa, un’area da circa due mesi sotto il controllo dei ribelli. Nelle stesse ore una forte esplosione ha distrutto una stazione di autobus ad Azare, nello Stato di Bauchi, provocando 5 vittime. Degli ultimi attacchi di Boko Haram, Giada Aquilino ha parlato col direttore dell’agenzia Misna, padre Carmine Curci

R. – Quello che abbiamo saputo è che un centinaio di islamisti Boko Haram sono entrati in un villaggio nella zona di Adamawa: erano fortemente armati e hanno cominciato a sparare e a bruciare case e negozi, uccidendo anche due persone. Un’ulteriore conferma, quindi, che le trattative che si stanno tenendo in Ciad, per la liberazione delle ragazze - rapite precedentemente dai miliziani - in realtà non hanno portato ancora dei risultati concreti. Secondo i nostri calcoli, negli ultimi sei mesi, sono state rapite 360 persone, tra ragazzi e ragazze. Il gruppo più grande è quello delle 200 ragazze di Chibok, sequestrate nell’aprile scorso.

D. – A che punto sono, quindi, le trattative in corso in Ciad?

R. – Ci sono alcuni elementi che ci lasciano perplessi. Innanzitutto, di quale gruppo di Boko Haram si parla? Nel senso che Boko Haram si sta dividendo in tanti gruppi e molti di questi sono legati a bande locali. Secondo elemento: non è arrivata alcuna dichiarazione del leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, a proposito di queste trattative e di un cessate-il-fuoco. Il terzo elemento è che il governo di Abuja, soprattutto il presidente, sta usando questi colloqui per fini politici: non dobbiamo dimenticare che il prossimo anno ci saranno le elezioni presidenziali e Goodluck Jonathan vuole ricandidarsi ancora una volta.

D. – Al di là delle divisioni interne, i Boko Haram a cosa puntano?

R. – Innanzitutto, al controllo del territorio nel nord della Nigeria. Nella zona dove sono state rapite le 60 ragazze, infatti, già da due mesi questi Boko Haram controllavano l’area. Cosa significa tutto ciò? Noi dobbiamo tenere presente come si mantiene e come si finanzia Boko Haram, cioè con i sequestri, con la tassa che la gente deve pagare e con il bestiame, che ruba e poi rivende. Da fonti locali abbiamo inoltre saputo che stanno sempre più arrivando ad armi sofisticate: il punto di partenza di queste armi è la Libia, poi passano per il Ciad, arrivano in Nigeria e stanno sconfinando anche in Camerun.

D. – Le violenze dei Boko Haram hanno colpito, nelle ultime ore, anche una stazione degli autobus, ma pure - negli ultimi mesi – chiese e luoghi di culto. Ci possono essere dei collegamenti con l’estremismo islamico all’estero?

R. – Sappiamo che ci sono dei contatti con il gruppo estremista al-Shabaab della Somalia e con quelli del Mali. Boko Haram è un gruppo che sempre più si sta allargando. Però non ci risultano, a parte il Camerun, spostamenti oltre la zona del Sahel. E’ evidente comunque che Boko Haram, come nell’ultimo attacco nello Stato di Bauchi, stia sempre più rafforzando la sua posizione, usando la forza e la potenza di fuoco.

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P. Solalinde: arsi vivi, così sono morti gli studenti messicani

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Sono morti, bruciati vivi, uccisi dai narcos, i 43 studenti messicani scomparsi il 26 settembre scorso a Iguala, nello Stato meridionale di Guerrero. A dichiararlo è stato padre Alejandro Solalinde, difensore dei diritti umani, che ha riportato quanto raccontatogli da testimoni. Ma finora la magistratura non ha voluto riceverlo per ascoltare le sue dichiarazioni. Ieri, è stato ordinato l’arresto del sindaco di Iguala, ora latitante, e di sua moglie, parente dei narcos: sarebbero loro i mandanti della strage. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Sono morti bruciati vivi. E’ raccapricciante il racconto dell’uccisione dei 43 studenti messicani scomparsi da Iguala. A farlo è padre Alejandro Solalinde, conosciuto difensore dei diritti umani e direttore della "Casa del migrante". Il governo lo sa ma non lo ammette, ha detto il religioso. Le autorità avrebbero posto fino ad ora una serie di difficoltà per rallentare le indagini, ma i testimoni ascoltati da padre Solalinde avrebbero anche fornito una mappa del luogo della fossa comune. L’inchiesta ha visto l’arresto di oltre 50 persone, tra loro membri della polizia municipale e appartenenti al gruppo criminale dello Stato di Guerrero. Ieri, l’ordine di cattura anche per il sindaco, Jose Luis Abarca, della moglie e di un loro collaboratore, per aver ordinato la repressione degli studenti che manifestavano davanti al Comune per chiedere il finanziamento di loro attività scolastiche. I fatti sono stati raccontati dallo stesso padre Solalinde a Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire, scrittrice e profonda conoscitrice della realtà latinoamericana:

R. - Padre Solalinde conferma il fatto che i ragazzi sono stati bruciati vivi dai narcos, questa banda dei "guerreros unidos", e che le loro ceneri sono state poi sepolte alla periferia di Iguala...

D. – Perché finora padre Solalinde, che ormai già da qualche giorno è in possesso di queste informazioni, non è stato ascoltato dagli inquirenti? E’ parso evidente sin dall’inizio che la polizia volesse nascondere le possibili tracce...

R. – Questo caso degli studenti scomparsi ha messo il Messico sotto gli occhi dell’opinione pubblica internazionale. La cosa sconvolgente è che il caso degli studenti scomparsi è l’ultimo di svariati casi di scomparse di massa di persone, a Iguala e non solo. Lo conferma il fatto che alla periferia della città sono state trovate una serie di fosse comuni con corpi che non appartenevano agli studenti. Padre Alejandro denuncia da tempo la strategia dei narcotrafficanti che utilizzano, con la connivenza delle autorità, la scomparsa di massa delle persone. Ovviamente, il Messico ha sempre avuto interesse a non affrontare questa situazione e anche questo caso ne è la dimostrazione emblematica. Si continuano a cercare gli studenti come se fossero vivi, in realtà fin dall’inizio appariva chiaro, dalle testimonianze locali, che gli studenti erano stati uccisi. Sono stati anche arrestati alcuni testimoni che avevano confermato di avere assistito all’esecuzione degli studenti. Il problema è che il Messico non può permettersi di dire che ci sono pezzi del suo territorio in cui si fanno simili esecuzioni extragiudiziali, sotto gli occhi e con la connivenza delle autorità. Ecco perché ha tutto l’interesse a insabbiare questo caso, con una serie di confusioni, e screditando la testimonianza di padre Solalinde, che ovviamente non può rivelare la fonte che gli ha dato questa informazione, ma sicuramente è una fonte attendibile. Non dimentichiamoci che è stata la prima persona a denunciare in Messico la scomparsa sistematica dei migranti rapiti dai narcotrafficanti.

D. – Nello Stato di Iguala cosa c’entra l’intreccio di studenti, colpevoli solo di avere manifestato, con l’attività dei narcos, per quanto infiltrati nelle istituzioni della città? Qual è l’utilità di uccidere in massa i ragazzi?

R. – E’ esattamente la domanda che mi sono fatta io dall’inizio: perché scompaiono degli studenti in Messico che non c’entrano niente nella guerra della droga? In realtà, bisogna capire che ormai il Messico è passato a uno stadio successivo in cui i narcotrafficanti hanno interesse e controllano ampie porzioni di territorio. Controllare il territorio vuol dire controllare tutta una serie di traffici sul territorio: dal traffico degli esseri umani, alle tangenti, alle estorsioni, a tutti i vari tipi di contrabbando. Per acquisire il controllo di una porzione di territorio è necessario avere la connivenza delle autorità e terrorizzare la popolazione. La popolazione, infatti, non deve essere capace di ribellarsi. Da qui la tecnica, di cui gli studenti sono l’emblema, di far scomparire le persone, ovviamente non prese a caso, o anche prese a caso, ma in misura minore. Si scelgono sempre quelle persone che potrebbero in qualche modo fornire un contropotere rispetto ai narcos. Da qui la persecuzione verso gli studenti, verso i sacerdoti, verso gli attivisti per i diritti umani, verso la Chiesa stessa. Non dimentichiamoci che i catechisti, o chiunque rappresenti la Chiesa e quindi un potere alternativo, viene considerato dai narcos come un bersaglio. Ecco perché gli studenti sono scomparsi. Sono in realtà la goccia di un mare, che è quello dell’impunità messicana, in cui sistematicamente dei gruppi sociali vengono presi di mira e fatti sparire. Questa strategia serve ai narcos per controllare il territorio. L’unico modo che hanno è avere l'acquiescenza della popolazione e questa si ottiene unicamente con il terrore.

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Vertice Ue. Juncker: 300 miliardi di investimenti entro Natale

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Vertice europeo oggi a Bruxelles: sul tavolo le più importanti questioni interne e internazionali, dalla situazione economica dell'Ue al sedicente Stato islamico, fino a Ebola e alla necessità di aiuti per l’Africa occidentale. E’ l’ultimo Consiglio europeo guidato da Van Rompuy a cui parteciperà, come presidente della Commissione, Barroso. Solo dal primo novembre, infatti, assumerà pieno ruolo il nuovo esecutivo comunitario votato ieri dall’Europarlamento. Della nuova Commissione ci parla Fausta Speranza: 

Sarà l'esecutivo "dell'ultima chance" per l'Europa: a dirlo è Jean Claude Juncker, nuovo presidente della Commissione, approvata con 423 si', 209 no, e 67 astenuti e in carica fino al 2019. L'esponente lussemburghese del Partito Popolare Europeo, che ha guidato l’Eurogruppo dal 2005 al 2013, annuncia che la Commissione presenterà "entro Natale" un piano di investimenti da 300 miliardi. Sembra parlare a Parigi e a Roma quando afferma che sulla disciplina di bilancio non ci saranno svolte epocali, che "le regole di stabilità non si cambiano". Per poi aggiungere che si applicheranno "i margini di flessibilità consentiti dai trattati". Non senza raccomandare le riforme strutturali. Juncker ribadisce: con deficit e debito non si cresce.  Da parte sua, Federica Mogherini, che ha il ruolo di Alto commissario per gli Affari esteri, assicura che il nuovo governo europeo sarà "più politico ed efficace". 

Della promessa di investimenti per assicurare crescita e occupazione, abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all'Università Tor Vergata di Roma: 

R. - Ci sono molte incognite, perché per esempio se gli investimenti devono essere co-finanziati a livello nazionale, il rischio è che non si possano fare perché si può sforare il limite del deficit. In ogni caso, io credo che in questo momento l’Europa abbia bisogno di un cambio fondamentale. L’equilibrio di bilancio si può perseguire a livello nazionale ma solo se cambia la cornice della politica europea, quindi se c’è una politica di investimenti forti a livello europeo, e se c’è una politica monetaria diversa con una Bce che monetizza il debito, come stanno facendo negli Stati Uniti e in Inghilterra.

D. – Juncker sottolinea: “Con deficit e debito non ci può essere crescita”…

R. – Infatti ci vuole una ristrutturazione che riduce il debito, attraverso l’intervento della Banca centrale europea. E’ evidente che dobbiamo crescere mantenendo la sostenibilità economica, quindi evitando che il rapporto debito-Pil cresca. Ma la strada che abbiamo scelto finora, che era quella dell’austerità, ha clamorosamente fallito, perché i rapporti debito Pil sono aumentati tantissimo proprio per colpa dell’austerità. Soprattutto se guardiamo a Grecia, Portogallo e Spagna - la Spagna ha triplicato il suo rapporto debito-Pil -, e  anche se guardiamo al nostro Paese. La strada, quindi, è diversa: il rapporto debito-Pil si riduce aumentando il denominatore, non semplicemente tagliando la spesa. Lo ha detto anche Draghi, presidente della Bce. Draghi ha spiegato che non bisogna tagliare la spesa ma bisogna spostare la spesa pubblica da direzioni in cui è improduttiva, ed è spreco, a direzioni in cui invece può aumentare le risorse del Paese.

D. – Che cosa significa consolidamento fiscale? Altro punto centrale sul quale punta l’attenzione Jucker insieme agli investimenti…

R. – Io credo che lui ritenga necessario un uso migliore della politica fiscale, quindi laddove c’è la spesa, la spesa deve essere una spesa per investimenti: cioè, quella spesa che ha un moltiplicatore elevato e produce più risorse di quello che lo Stato spende, quindi ha un effetto positivo sia sul Pil che sul bilancio. E ovviamente questo andrebbe bene insieme anche ad una riorganizzazione del fisco, quindi delle aliquote sulle imprese per un’armonizzazione fiscale. Quindi ci vuole un tipo di azione che migliori complessivamente l’impatto della politica fiscale sull’economia europea.

D. – Professore, lei è tra i 340 economisti che lanciano un appello a Renzi a sfruttare la presidenza italiana per fare passi avanti proprio significativi in questo senso. C’è altro in quell’appello?

R.– Senz’altro, è un momento di politica alta. Tutti non stanno rispettando le regole in questo momento: abbiamo sei Paesi sopra il tre per cento - la Bce non ci dà l’inflazione del 2 per cento che sarebbe fondamentale per ridurre il debito - c’è bisogno di ridiscutere le regole, di creare un quadro di regole nuove, più adatto a quello che stanno facendo altri Paesi per affrontare la sfida della globalizzazione. Noi mettiamo sei punti. Uno di questi è la politica fiscale, espansiva dell’Europa, quindi in linea con quanto dice Juncker. Poi ci sono altri punti importanti che riguardano i ruoli della Bce e che riguardano anche il tema dell’armonizzazione fiscale, difficilissima l’unione monetaria con paradisi fiscali e aliquote fiscali così diverse.

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150 milioni di cristiani a rischio nel mondo. Petrosillo: sentirsi tutti coinvolti

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Almeno 150 milioni di cristiani rischiano la vita a causa di persecuzioni antireligiose. E’ il dato impressionante contenuto nel volume “Il libro nero sulla condizione dei cristiani nel mondo”, pubblicato dall’editrice francese Xoeditions, presentato oggi a Parigi tra gli altri dal prof. Andrea Riccardi, che è uno dei 70 autori del volume di oltre 800 pagine. Il libro verrà pubblicato in Italia da Mondadori il prossimo 6 novembre. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Tra 150 e 200 milioni di cristiani non possono vivere la loro fede liberamente nel mondo di oggi. Nel primo scorcio del XXI secolo, il 75 per cento delle violenze perpetrate contro una minoranza religiosa riguarda proprio i cristiani. Sono alcuni dei dati impressionanti del “Libro nero sulla condizione dei cristiani del mondo” che evidenziano che per tantissimi discepoli di Gesù il martirio non è solo un ricordo del passato. Nel volume, coordinato dal giornalista Samuel Lieven del quotidiano cattolico francese La Croix, decine di mappe, grafici e statistiche mostrano analiticamente e in modo oggettivo quanto i cristiani siano oggi sotto attacco in decine di Paesi del mondo. Se infatti, in Medio Oriente o in alcuni Paesi africani come la Nigeria, i cristiani sono entrati nel mirino degli islamisti, in alcune aree dell’Asia sono vittime di estremisti indù e buddisti. Ma i cristiani sono oggetto di minacce e violenza anche nella “cattolica” America Latina dove sacerdoti e operatori pastorali sono spesso bersaglio della criminalità organizzata e del narcotraffico.

Un quadro drammatico dunque che si riflette nella domanda che pone il libro fin dalla copertina “Una civiltà in pericolo?”. Sulle cause di questa persecuzione, abbiamo intervistato Marta Petrosillo, portavoce in Italia dell’associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre”:

R. – La prima ragione è che sono minoranza in tanti Paesi nel mondo. E’ un dato numerico, che però si associa anche ad un altro dato, ovvero che, nei Paesi in cui i cristiani sono la maggioranza, non si verificano discriminazioni o persecuzioni di carattere religioso così gravi. Un altro motivo, per cui i cristiani sono perseguitati, risiede proprio negli stessi valori cristiani. Mi ricordo che un paio di anni fa parlavo con un ragazzo di Baghdad, un cristiano caldeo, e lui mi ha detto: “Tutti sanno che noi non reagiremo mai, che noi non porteremo mai una pistola e questo ci rende maggiormente vulnerabili”.

D. - Anche Papa Francesco, ultimamente, parlando dei cristiani del Medio Oriente, ha detto che queste persecuzioni avvengono nell’indifferenza di tanti...

R. – E’ sempre importante mantenere l’attenzione alta. Come ha detto Papa Francesco, durante l’ultimo Concistoro, non dobbiamo rassegnarci ad un Medio Oriente senza cristiani. E questo deve veramente coinvolgerci tutti, perché dobbiamo essere tutti molto coscienti di quanto stia succedendo. Negli ultimi mesi si è parlato molto di Iraq, però in pochi sanno che, al di là di quest’ultima e drammatica crisi, la comunità irachena sta soffrendo veramente da molti anni. Nel 1987 vi erano 1 milione e 400 mila cristiani e adesso, quando è iniziata questa crisi, quando è iniziata l’avanzata dello Stato Islamico, erano 300 mila.

D. – “Aiuto alla Chiesa che soffre” pubblicherà proprio nei prossimi giorni un rapporto, che ha molto a che vedere con il tema di questa importante pubblicazione. Ci può dare qualche anticipazione, almeno a livello generale?

R. – Il 4 novembre presenteremo la nuova edizione del “Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo”, che è un rapporto che fotografa la situazione di ogni Paese. Vi saranno 196 schede diverse e la situazione della libertà religiosa, con riferimento non soltanto ai cristiani, ma a tutti i gruppi religiosi. Purtroppo, anche quest’anno, non si riscontrano miglioramenti. Al fondamentalismo si associano anche scelte governative - per esempio, il Pakistan con la legge antiblasfemia – o situazioni come, ad esempio, in India, dove il nazionalismo sta colpendo fortemente le minoranze. Come diceva Giovanni Paolo II: “La libertà religiosa è la cartina di tornasole del rispetto dei diritti in ogni Paese”. Lì dove la libertà religiosa è negata, probabilmente lo saranno anche tutti gli altri diritti umani.

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"Icsa": Europa non difenda solo confini, ma sia solidale

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Il presidio dei confini non si può disgiungere da attività di assistenza e di soccorso. E’ quanto si sottolinea nello studio, a cura della fondazione ‘Icsa’ (Intellgence Culture and Strategic Analysis), intitolato “Immigrati e controllo delle frontiere: una proposta per la salvaguardia della vita in mare”. Su questo dossier, presentato oggi a Roma, il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Nello studio, ricordando dati del Ministero dell’Interno, si sottolinea che sono circa 120 mila, su un totale di 130 mila in Europa, i migranti giunti in Italia via mare dal primo gennaio ad oggi. Sono più del doppio rispetto ai 60 mila arrivi dello scorso anno. Tra questi, più del 50% sono in fuga da guerre, violenze e persecuzioni. La maggior parte proviene da Eritrea (29%) e Siria (18%). Sono oltre 2500 le persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, di cui 2300 solo dall’inizio dell’estate. I migranti, come ha sottolineato recentemente anche Actionaid Italia, sono una preziosa risorsa: la maggior parte degli stranieri che vive in Italia produce il 12% della ricchezza nazionale, per un valore di 167 miliardi di euro. L’Unione Europea ha investito tra il 2007 e il 2013 oltre 4 miliardi di euro, ma di questi fondi quasi la metà, il 46%, è destinato al controllo delle frontiere e soltanto il 21% all’integrazione. La soluzione al fenomeno della migrazione – si ricorda inoltre nello studio - non può essere ricercata nel respingimento in mare, illegittimo in base a convenzioni e trattati internazionali. Ma nella solidarietà dei Paesi membri dell’Unione Europea, soprattutto nell’aiutare i migranti in difficoltà durante la traversata nel Mediterraneo. Ma quali sono le finalità di questo studio? Lo abbiamo chiesto al presidente della Fondazione Icsa, il generale Leonardo Tricarico: 

R. – Il pregio dello studio è quello di dare una visione diversa dell’Europa, una visione più realistica, finora non sufficientemente messa a fuoco, che la rende debitrice verso la comunità internazionale di un più perentorio impegno nel salvataggio della vita in mare.

D. – Come giudicare la sospensione del programma “Mare Nostrum” e l’avvio dell’operazione europea “Triton”?

R. – Mare Nostrum è un’attività partita in emergenza per tutelare chi era in pericolo in mare. L’operazione europea Triton è tutt’altra cosa ed è sempre costruita su quel concetto di proteggere le frontiere. Quindi sono due cose completamente diverse. L’atteggiamento dell’Europa – ripeto - è motivato solamente dalla necessità di proteggere le proprie frontiere. Tutto sommato, Frontex e tutti i derivati sono nati come meccanismo di compensazione di Shengen: quando sono state eliminate le frontiere interne all’Unione europea, è stata ravvisata la necessità di irrobustire quelle esterne. E quindi è nato Frontex. La finalità di Frontex è quella di Triton. Non può essere questo l’atteggiamento dell’Europa rispetto alle tragedie che si perpetrano quotidianamente nel Mediterraneo. Non si deve solo proteggere: l’Europa deve interpretare questo suo mandato come solidarietà prima che rispetto della legalità. Oggi la solidarietà non esiste nell’atteggiamento europeo.

D. – Qual è, per il Mediterraneo, la proposta della Fondazione Icsa?

R.  – La proposta della Fondazione Icsa, ravvisato un buco spaventoso nelle normative europee che riguardano il salvataggio della vita in mare, è di richiamare l’Europa a colmare questa lacuna enorme, magari con un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un capitolo che parli esclusivamente di questo. Un capitolo che individui quali sono le fattispecie di pericolo, come ha fatto l’Onu, naturalmente, e non ha mutuato l’Europa. E che vincoli i Paesi membri che hanno sottoscritto quegli accordi in ambito Onu ad assumere lo stesso impegno in ambito della comunità europea e ad attrezzarsi con una capacità robusta di ricerca e soccorso in mare. Questa va incardinata poi alla volontà politica di intervenire in qualunque punto si crei una situazione di pericolo a carico di chiunque navighi. Questo è il concetto e su questo concetto la politica dovrebbe costruire una iniziativa concreta alla quale l’Europa non si potrebbe sottrarre. Tutto sommato, fino ad adesso l’Europa è stata interessata con motivazioni giuste ma troppo generiche e quindi abbiamo avuto dall’Europa irritazione e nessun risultato concreto. Se il risultato è Triton, è un risultato ridicolo.

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"Cantiere legalità": proposta dei giovani del Movimento dei Focolari

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“Ero straniero e tu…. Cosa c’è dietro le migrazioni”. Questo il titolo dell’incontro organizzato a Roma dai giovani del Movimento dei Focolari. L’iniziativa si inserisce in un percorso più ampio, chiamato “Cantiere legalità” che prevede in tutto il territorio nazionale momenti formativi, incontri con testimoni e visite a luoghi significativi su una questione, la legalità appunto, che risulta cruciale per la politica, l‘economia e la società in Italia. Il servizio di Adriana Masotti

Da Palermo a Milano si moltiplicano gli eventi legati al progetto "Cantiere legalità": un modo per vivere una cittadinanza attiva che tiene conto del bene comune e prova a cambiare il negativo che c'è: sentiamo Maria Chiara Cefaloni, tra gli organizzatori del "Cantiere legalità" di Roma:

R. – Il “Cantiere Legalità”, in tutta Italia, è nato ormai da tre anni, in un momento nel quale ci siamo messi a riflettere su come poter incidere concretamente nella vita del nostro Paese e, in questo senso, essere cittadini attivi e responsabili. La sfida che ci siamo posti è stata quella di rileggere la realtà secondo il principio della fraternità universale, sia nella vita di tutti i giorni sia nelle questioni che hanno una rilevanza sociale, politica e che coinvolgono tutto quanto il Paese. Tre anni fa, quindi, è iniziato un percorso che ci ha visti protagonisti di attività ed eventi sul tema della legalità, un argomento che copre a 360 gradi tantissime questioni che hanno una rilevanza politica e sociale nel nostro Paese e che soprattutto viene messa in discussione in tanti momenti diversi. In tutta Italia - a Trento, a Milano, a Firenze, a Roma e poi ancora a Napoli e in tutta la Sicilia - abbiamo iniziato a organizzare questi incontri di riflessione e approfondimento su temi come il lavoro, l’immigrazione, l’ecomafia, l’economia, per poi promuovere delle attività concrete sui nostri territori.

D. – Che impatto hanno avuto queste iniziative sulle comunità che sono state coinvolte da voi?

R. – Diciamo che il “Cantiere Legalità” promuove queste attività sul nostro territorio, ma sempre in rete con altre associazioni che già lavorano sul tema della legalità o su altre tematiche. In questo senso, è stato molto importante il rapporto che per esempio abbiamo instaurato con "Libera" o con gli Scout in altre zone d’Italia, che ci hanno permesso di arrivare a tantissime persone diverse e a tantissimi giovani che sono stati contenti di prendere parte sia agli incontri di formazione sia alle attività concrete sul territorio. Il "feedback" è stato molto positivo, perché moltissime persone si stanno interessando e stanno veramente partecipando in maniera attiva alle nostre iniziative, ponendosi delle domande concrete su come intervenire su determinate questioni per cambiare quello che non funziona.

D. – Dall’esperienza vissuta finora, la vostra sensazione è che è possibile cambiare qualcosa?

R. – La risposta che mi viene da dare è: sì. Ovviamente, sempre con tutta la complessità che ogni questione porta con sé. Il “Cantiere Legalità” sicuramente mette in gioco energie positive.

D. – Qualche esempio di azioni pratiche messe in campo fin qui…

R. – Molte attività si sono rivolte proprio al tema delle migrazioni, per esempio a Milano e a Trento. Un'altra attività nell'ultimo anno, in tante città, è quella legata allo "Slot-mob" relativo al gioco d'azzardo. Noi, qui a Roma, abbiamo approfondito la questione dell'eco-mafia. Abbiamo fatto un incontro sulla gestione dei rifiuti nel Lazio. Poi, ci siamo spostati a Caserta per andare a conoscere situazioni virtuose che hanno permesso di sottrarre la gestione dei rifiuti alla camorra. Successivamente siamo andati a Colleferro, nel Lazio, dove c'è una situazione non molto lontana da quella della "Terra dei fuochi" a Napoli. Anche lì abbiamo visto le condizioni critiche del territorio e, dall'altra parte, abbiamo conosciuto persone che si sono messe in gioco per contrastare questo degrado.

Ma come è nato l'incontro romano sul tema delle migrazioni? Risponde Raffaele Natalucci, giovane impegnato nelle attività del "Cantiere legalità" di Roma e tra i promotori della serata:

R. – Questo incontro nasce da una esperienza vissuta quest’ estate a Siracusa, dove – con alcuni giovani – abbiamo incontrato dei nostri coetanei immigrati presso il centro di accoglienza di Priolo: da allora è rimasto un rapporto umano e un legame molto stretto con questi nostri coetanei. C’è chi ha attraversato per anni un continente intero, tra i conflitti, per scappare dalla fame… E ci siamo anche riconosciuti in tanti loro aspirazioni e interessi. L’incontro di questa sera vuole essere espressione di un percorso che vogliamo continuare anche qui a Roma.

 D. – Secondo voi, c’è bisogno di approfondire l’argomento immigrazione?

 R. – Secondo noi sì, perché vivendo in una città come Roma, ci troviamo ogni giorno, nella quotidianità, accanto a queste realtà e vediamo come spesso nei mezzi di comunicazione si ragiona più per pregiudizi che sulla base di informazioni reali. Quello che abbiamo sentito, come giovani, è di informarci e di approfondire queste tematiche.

 D. – Una volta approfonditi questi temi, voi pensate che possano nascere anche idee concrete per un qualche cambiamento, magari limitato a una località, a un quartiere?

 R. – Secondo noi, sì. Stiamo già portando avanti delle attività, come ad esempio la mensa che ogni lunedì sera si tiene a Piazzale Ostiense, qui a Roma… Quella di questa sera è soltanto una tappa di un percorso che vuole essere sia di formazione, sia di attività concrete. Soltanto dopo la formazione, però, potremo essere in grado di presentare anche delle proposte.

 D. –Anche l’iniziativa di questa sera rientra in un percorso più ampio, che è quello della proposta di una cultura della relazione, della fraternità?

 R. – Diciamo che il Cantiere Legalità fa parte delle attività che, come Giovani per un mondo unito del Movimento dei Focolari, stiamo portando avanti anche a Roma. Quello che ci spinge è proprio l’idea di vivere la regola d’oro, “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, secondo il messaggio di fraternità che riteniamo presente in tutte le religioni.

 D. – Tornando al tema dell’incontro di Roma: conoscere le ragioni che portano tanti a lasciare la propria terra aiuta a vedere questo fenomeno con occhi diversi…

 R. – Sicuramente, sì. Anche noi ci siamo resi conto che, una volta che abbiamo conosciuto questi ragazzi e le loro storie, i nostri orizzonti si sono ampliati e spostati in avanti: anche alcuni preconcetti e pregiudizi che potevamo portare con noi, sono svaniti nel momento in cui ci siamo resi conto che sono ragazzi come noi, che magari non sono mai andati a scuola, ma parlano un inglese molto avanzato… Ci sembrava quasi di ascoltare anche le storie dei nostri nonni immigrati oltreoceano: quindi una grande voglia di lavorare, di uscire fuori e di contribuire a costruire qualcosa di positivo.

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Philip Larrey: rivoluzione digitale è sfida epocale, umanità sia preparata

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“Futuro ignoto. Conversazioni sulla nuova era digitale” è l’ultimo libro di Philip Larrey, docente di filosofia della conoscenza all’Università Lateranense di Roma. Il testo, presentato oggi, attraverso 14 interviste con persone altamente qualificate del mondo della finanza, medicina, ma anche militare, informatico e imprenditoriale, racconta l'impatto che la rivoluzione digitale sta avendo sulla società, proiettandosi nel prossimo futuro. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso Philip Larrey: 

R. – Ho voluto fare due cose. Innanzitutto provocare una riflessione più approfondita sulla tecnologia rispetto all’uomo e dall’altra parte presentare una posizione molto realistica di quello che stiamo facendo e faremo. Dalle interviste emerge che stiamo cominciando una vera e propria rivoluzione, che forse non abbiamo ancora ponderato sufficientemente.

D.  – Nel testo si parla di droni di nano-tecnologie per quanto riguarda la medicina, si parla anche di finanza digitale, di droni da combattimento ... La tecnologia ci porta verso una costruzione o una distruzione?

R. – Dipende come la usiamo. Tutto deve avere un senso etico. Da una parte, si registra un po’ di angoscia perché il futuro è sempre ignoto; dall’altra bisogna considerare anche un aspetto antropologico fondamentale: che alla fine l’uomo è al centro. Le tecnologie sono mezzi che servono all’uomo e così sarà anche in futuro.

D. – Quando si parla di droni intelligenti in campo militare, non soltanto pilotati, ma macchine capaci di scegliere un bersaglio, di capire chi colpire, sono frontiere pericolose?

R.  – Già esistono. Il generale Lodovisi mi ha detto che oggi non c’è interesse per i droni autonomi, ma per macchine che facciano quello che vogliono i generali. Altri, invece, probabilmente useranno questa tecnologia in altro modo. Speriamo che i cervelli più moderati vincano.

D. – Si può dire che dal testo, dagli intervistati, emerga una grande domanda, ovvero: che ruolo avrà l’uomo nel futuro digitale?

R. – Tutti gli intervistati si sono posti la domanda se il futuro includerà l’uomo, come centro - fino ad oggi è stato così - o se saranno le macchine al centro. Penso che la risposta sia l’uomo al centro.

D. – Già nelle prime pagine dell’introduzione, riferendosi agli smartphone o ai Google glass, li definisce “primitivi ma efficaci precursori di quello che diventerà una seconda natura per i nostri nipoti”. Perché?

R. – Perché Larry Page, cioè il cofondatore di Google, ha annunciato che stanno sviluppando meccanismi che andranno dentro il corpo umano. Non saranno solo oggetti esterni ma interagiranno direttamente con il nostro sistema nervoso. I prototipi già ci sono. Quindi vedo la tendenza che, fra 10, 15 anni, anche prima, avremo una unione sempre più intima, più stretta, con le macchine.

D . – Questi dispositivi che funzione hanno?

R. – Sia per quanto riguarda il richiamo della memoria, quindi grandi banche dati, sia per comunicare fra di noi: avremo tutti il nostro personal digital assistent, un assistente personale digitale. Sono meccanismi che aiutano anche la salute del corpo.

D. – Questo scenario fa venire in mente quasi il grande Fratello di Orwell, dove tutti sono sotto controllo 24 ore su 24...

R.  – Il pericolo c’è sempre, nel senso che qualcosa può sfuggire dalle mani, come per esempio la bomba atomica. C’è sempre questo pericolo, ma fino ad oggi non si è realizzato. Dall’altra parte siamo sempre noi a gestire la cosa e credo che se manteniamo il controllo della sicurezza e della privacy, l’evoluzione digitale sarà sempre un evento positivo. Sono ottimista, ma non tutti gli intervistati lo erano.  Bisogna essere preparati per affrontare una sfida enorme, una sfida che probabilmente l’umanità non ha affrontato fino ad oggi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: patriarca Sako sospende clero espatriato senza consenso

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“Prima di essere ordinato, il sacerdote promette di offrire tutta la sua vita a Dio e alla Chiesa: è un’offerta che poggia sull'obbedienza ai Superiori senza alcuna riserva”. Per i monaci, poi, “i voti sono assoluti: castità, obbedienza, e povertà”. Inizia con questo deciso richiamo agli impegni connessi alla vocazione sacerdotale e religiosa, il Decreto pubblicato ieri dal patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphael I, per rendere note le misure disciplinari prese nei confronti di alcuni sacerdoti e religiosi caldei che negli ultimi anni hanno lasciato l'Iraq senza il consenso dei Superiori, chiedendo asilo in Paesi occidentali.

“Noi - si legge nel Decreto patriarcale, ripreso dall'agenzia Fides - abbiamo esempi luminosi di preti dei nostri giorni che ci danno eloquenti lezioni di fede”. Il patriarca cita i sacerdoti Hana Qasha e Ragheed Ganni, e il vescovo Paulus Faraj Rahho, uccisi negli ultimi anni, e ricorda i preti rapiti che sono rimasti nel Paese e quelli che, dopo essere stati cacciati dalle proprie case, hanno seguito i loro fedeli, condividendone la condizione di profughi.

Poi, in conformità al Diritto canonico e alle regole per la vita religiosa, il Decreto sospende dalla pratica del ministero sacerdotale sei monaci e sei sacerdoti diocesani che hanno lasciato le proprie diocesi e comunità religiose in Iraq per emigrare e trasferirsi all'estero senza il consenso dei Superiori, assumendo incarichi pastorali presso le comunità caldee nella diaspora.

La pubblicazione del Decreto – avverte il patriarca Louis Raphael I – è stata preceduta dalle dovute consultazioni con il Sinodo permanente della Chiesa caldea e con la Congregazione per le Chiese orientali, e arriva dopo “numerosi e purtroppo sterili ultimatum e tentativi” messi in atto in passato dalle precedenti autorità della Chiesa e delle comunità religiose, per mettere un freno al deplorevole fenomeno, che ha causato scandalo tra i fedeli della Chiesa caldea. (R.P.)

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Argentina: vescovi contro il progetto di legge su fecondazione assistita

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“Non tutto quello che è tecnicamente possibile è eticamente accettabile”. Questa l’affermazione della Commissione esecutiva della Conferenza episcopale argentina nel comunicato pubblicato ieri, contro il progetto di legge sulle tecniche di fecondazione assistita attualmente in discussione alla Camera dei Deputati.

“La vita umana non è da scartare” s’intitola il testo nel quale i vescovi argentini mettono in guardia sul progetto legge che “non cerca - come dicono - la protezione dell’embrione non impiantato, ma la legalizzazione dello ‘scarto’ di embrioni, la discriminazione degli embrioni, la distruzione obbligatoria e lo sfruttamento di embrioni per la ricerca e altre manipolazioni della vita concepita”.

La nota dell’episcopato ricorda che lo Stato non può astenersi dal suo compito di proteggere la vita e tantomeno “lasciare un campo cruciale come quello della procreazione ad interessi biotecnologici che fanno dell’essere umano un oggetto”. I vescovi si dicono consapevoli dei problemi e delle sofferenze che comportano l’infertilità e la sterilita, ma riaffermano che l’approccio non può essere esclusivamente tecnico-strumentale ma deve essere integrale della persona e della società, ad esempio, promuovendo l'adozione.

“Davanti alla sacralità di ogni vita umana, che è unica e irripetibile - ribadiscono i vescovi argentini - siamo chiamati ad attuare con la massima giustizia e rispetto della dignità della persona umana”. La nota si conclude con le parole di Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium, quando parla della minaccia della “cultura dello scarto” che “considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare”.

Infine la preghiera alla Madonna di Lujàn, patrona dell’Argentina perché illumini la riflessioni e abbia cura di ogni vita umana. (A cura di Alina Tufani)

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Hong Kong: governo pronto a usare la forza sui manifestanti

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Il governo di Hong Kong ha deciso di alzare il tono dello scontro con i dimostranti che da settimane occupano i quartieri centrali del Territorio, e li ha minacciati di "misure più dure" da parte delle autorità se i blocchi e i sit-in non verranno sgombrati. L'avvertimento, confermato al South China Morning Post da una fonte anonima ma "familiare con la situazione" - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato fatto filtrare dopo i falliti colloqui fra i membri dell'esecutivo e i rappresentanti della Federazione degli studenti.

Questi, insieme al gruppo Scholarism e al movimento Occupy Central, sono in sciopero oramai da tre settimane. La protesta nasce dalle richieste democratiche dei cittadini, che vogliono un vero suffragio universale e un procedimento democratico per le prossime elezioni del Capo dell'Esecutivo, previste per il 2017. Le richieste sono state respinte al mittente da Pechino, che ha presentato un piano di riforma che di fatto garantisce alla Cina continentale il controllo della politica nell'ex colonia britannica.

Dalla presentazione del piano, avvenuta a fine agosto, la tensione a Hong Kong è aumentata a dismisura. Blocchi stradali, sit-in, manifestazioni continuano a colpire i quartieri centrali di Admiral e Mong Kok. La polizia ha lasciato in diverse occasioni campo libero a gruppi di "anti-Occupy", che hanno usato la violenza e l'intimidazione per cercare di allontanare la gente dalle strade. Tuttavia, fino a ora l'ordine formale agli agenti di polizia è stato quello di "usare pazienza".

Ora le cose rischiano di precipitare: "Se l'approccio conciliatorio non funziona - spiega la fonte - le colombe all'interno del governo saranno superate dai falchi, che vogliono una risposta dura. Siamo preoccupati che l'amministrazione possa usare la forza bruta per disperdere i manifestanti: un certo spargimento di sangue sarebbe in quel caso inevitabile". (R.P.)

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Senegal. Card. Sarr: no a pratiche ancestrali e corruzione

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Impegnatevi nella costruzione della Chiesa e abbandonate le pratiche occulte: questo in sintesi il messaggio rivolto ai fedeli dal card. Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, in Senegal, all’apertura del nuovo anno pastorale. Il porporato ha chiesto ai cristiani di non chiudersi nelle proprie abitudini, ha esortato ad una conversione continua, personale e comunitaria, ed ha invitato soprattutto a rompere con le credenze tradizionali e a non prestare fede nelle forze occulte.

Forte l’appello del card. Sarr a non ricorrere a pratiche ancestrali, ma anche a non servirsi della corruzione, che, nonostante le campagne di sensibilizzazione, continua ad imperversare nel Paese. L’arcivescovo di Dakar, riferisce il portale www.lesoleil.sn, ha poi ricordato che compito della Chiesa è essere un luogo di misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati ed incoraggiati a vivere secondo il Vangelo.

Per il porporato i cristiani devono costruire una Chiesa in cui sia Gesù a creare unità. “Gesù è venuto per riunirci”, ha detto il card. Sarr che ha chiesto ai fedeli impegno perché nella Chiesa ci sia coesione fraterna, perché ciascuno contribuisca attivamente nella missione assegnatagli da Dio. “Servite la Chiesa e non servitevi di lei” ha concluso. (A cura di Tiziana Campisi)

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Alla Gregoriana Forum su "Religione e Politica"

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“L’Organizzazione delle Religioni Unite, l’Onu delle religioni auspicata da Shimon Peres, aiuterebbe il dialogo tra i diversi poteri politici. La religione, infatti, è fondamentale, perché là dove è assente la voce etica, non c’è pace tra le nazioni”. E’ uno dei passaggi più importanti della relazione di mons. Samuele Sangalli, docente alla Pontificia Università Gregoriana, nel corso del Forum su “Religione e Politica: il modello sturziano” tenutosi nello stesso ateneo dei gesuiti.

L’iniziativa si inserisce nel progetto denominato “Cenacolo Sinderesi”, il percorso di formazione annuale all’impegno socioeconomico e politico, attivo da quattro anni presso il Centro Fede e Cultura “Alberto Hurtado” della stessa Gregoriana. “Il dialogo interreligioso migliora e agevola il colloquio tra forze opposte” ha sottolineato mons. Sangalli, evidenziando che il concetto di “laicità positiva, ovvero di quella laicità che si arricchisce dell’esperienza religiosa, va sostenuto perché esalta i valori etici minimali, quali la pace e la giustizia”.

Il rinnovato ruolo pubblico delle religioni, ha aggiunto il docente, è una delle caratteristiche dell’età globale che, in un contesto ormai di pluralismo, “vediamo esercitarsi tra tentativo di dialogo in vista di rinnovate forme di consenso valoriale o, all’opposto, con espressioni di fondamentalismo e nazionalismo religioso che destano una ragionevole e giustificata preoccupazione”.

In questo contesto si inserisce a pieno titolo la lezione di Don Luigi Sturzo, il sacerdote di Caltagirone che “per combattere le male bestie dello statalismo, della partitocrazia e dell’abuso di denaro pubblico si ispirò proprio ai principi cristiani dell’amore per il prossimo per seguire l’ordine morale” ha detto il magistrato Gaspare Sturzo, presidente del Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo (Ciss).

“Dedicò la sua vita per combattere la corruzione politica e amministrativa ed è chiaro che intuì con largo anticipo quali sarebbero state le debolezze del potere” ha aggiunto il presidente del Ciss. Presente tra gli altri, anche Paolo Barelli, pronipote della Venerabile Armida Barelli, fondatrice della “Gioventù femminile”. “Anche in questo caso la laicità positiva è stata fondamentale per incidere su pregiudizi nei confronti delle donne. Grazie al lei, ancora oggi il contributo femminile alla vita della Chiesa, della società e della politica, è determinante” ha rilevato Barelli. (A cura di Davide Dionisi)

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Auxilium. D’Agostino: teoria gender mina identità personale

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“Chi mi può dire chi sono io? L’angosciosa domanda di Re Lear” ha dato il titolo alla prolusione del prof. Francesco D’Agostino, che ha inaugurato ieri il nuovo Anno accademico alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma, dopo  la Messa presieduta da don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore dei Salesiani e gran cancelliere della Facoltà. La relazione di D’Agostino, docente di Filosofia del Diritto all’Università Tor Vergata di Roma, si è collocata nella serie di interventi che la Facoltà ha riservato negli ultimi anni alla complessa questione gender, tra i temi di complessa attualità per i suoi risvolti sull’educazione e sul futuro dei giovani, con l’obiettivo di studiare ed offrire criteri interpretativi per individuare percorsi di crescita nella costruzione dell’identità maschile e femminile. L’intervento di D’Agostino, ospitato nell’Aula Magna della Facoltà, ha preso le mosse da due domande che ciascuno di noi si fa di fronte a un neonato: ‘è maschio o è femmina?’, ‘che nome gli è stato dato?’. “Sono domande – ha osservato D’Agostino - che si fondono e si confondono, perché è da esse e attraverso di esse che si costituisce il mistero dell’‘identità personale’”. L’approfondimento di D’Agostino ha ripercorso i differenti livelli con cui può essere affrontata la questione dell’identità e dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere e le conseguenti ottiche e ricadute immediate del problema che, in ultima istanza - per il relatore - non si pongono solo sul piano giuridico e sociale, ma antropologico, “in quanto mettono in questione la nostra stessa capacità di autocomprensione personale”. “Siamo uomini, o siamo donne - ha spiegato - perché rispondiamo, con la nostra identità sessuale, e fin dalla nascita, alle pro-vocazioni che ci giungono dal sesso opposto, pro-vocazioni che ci chiedono essenzialmente di riconoscere nellalterità sessuale il limite costitutivo della nostra soggettività”. Retta da oltre cinquant’anni dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, la Facoltà Auxilium è caratterizzata dall’internazionalità, come esperienza consolidata e vissuta, in una società sempre più multietnica e multiculturale. 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 296

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.