Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 03/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Mons. Toso: su pace e diritti, leader mondiali ascoltino Francesco

◊  

Al via oggi alla Casa Frate Jacopa di Roma la tradizionale “Scuola di pace” di inizio anno. L’evento è stato aperto dalla relazione dall’arcivescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace che si è soffermato sul messaggio di Francesco per la Giornata mondiale della pace di quest’anno incentrata sul tema “Non più schiavi, ma fratelli”. Alessandro Gisotti ha chiesto a mons. Toso che, recentemente ha pubblicato per la Lev il volume “Riappropriarsi della Democrazia”, di commentare il messaggio del Papa con uno sguardo all’anno appena iniziato: 

R. - Mediante le moderne forme di schiavitù l’essere umano è schiacciato, non gli è riconosciuta la dignità trascendente e gli è tolta la libertà. Con ciò stesso è mantenuto vivo un virus che, oltre a distruggere il singolo, intacca mortalmente la vita della società, che si regge sull’uguaglianza, sul riconoscimento reciproco, sulla comunione e sull’unione morale tra persone. Si favorisce una società ove c’è chi fa da padrone e chi è ridotto a cosa, merce, mezzo. Un’assurdità dal punto di vista civile e morale. Occorre reagire prontamente, afferma il Papa, innanzitutto tramite il superamento di un’indifferenza generalizzata e una mobilitazione corale per battere una delle piaghe che  umiliano le persone, specie i più deboli e indifesi. A cominciare dai singoli, dalla società civile e dagli Stati, sul piano nazionale ed internazionale. Accanto ad un urgente e convergente lavoro istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili, occorre un vasto impegno articolato secondo tre linee fondamentali: il soccorso alle vittime; la riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo; la reintegrazione nella società di destinazione o di origine. Uno snodo decisivo per l’azione di contrasto, secondo Papa Francesco, è dato dalle legislazioni nazionali riguardanti le migrazioni, il lavoro, le adozioni, la delocalizzazione delle imprese e la commercializzazione di prodotti realizzati mediante lo sfruttamento, che devono realmente, e non solo formalmente, rispettare la dignità delle persone. Detto altrimenti, si può dire che la piaga della schiavitù moderna può essere guarita mediante quello Stato sociale, che oggi viene progressivamente smantellato sotto i colpi di un neoindividualismo utilitarista che non riconosce la relazionalità e la solidarietà. Può essere prevenuta mediante l’universalizzazione di una democrazia ad alta intensità, ove è reso possibile a tutti l’accesso all’educazione, al lavoro, alla sicurezza sanitaria, alla casa, al cibo, alla terra. Così, può essere vinta mediante l’affermazione di uno Stato di diritto che, come ha asserito papa Francesco davanti al Parlamento europeo (25 novembre 2014), poggia sulla dignità trascendente dell’uomo e va preservato da quel neoindividualismo libertario e da quel neoutilitarismo che oggi sembrano sgretolarlo, ponendo in gioco gli stessi diritti, la sicurezza delle norme e la certezza delle pene.

D. - “La pace è sempre possibile”, ha detto Papa Francesco all’Angelus del primo gennaio. Proprio alla fine del 2014 abbiamo visto la storica svolta tra Usa e Cuba, favorita dal ruolo del Papa. E’ possibile che anche altri leader politici possano avvalersi di quello che viene chiamato “effetto Francesco”?

R. - Sicuramente. Peraltro, purtroppo, anche la guerra è sempre possibile. Lo stesso Papa Francesco ha parlato dell’esistenza di una “Terza Guerra Mondiale a pezzetti”. Gli equilibri tra Stati e superpotenze, raggiunti con grandi sforzi e anni di lavoro, se non sono adeguatamente sostenuti e rafforzati, possono rompersi. Basti anche solo pensare, senza andare troppo lontano, ai rapporti tra comunità europea e la Russia di Putin, al loro raffreddamento e al loro incrinarsi con riferimento alla questione della Crimea e dell’Ucraina, alle conseguenze economiche e politiche. Non si debbono poi dimenticare gli arsenali di armi micidiali che continuano ad esistere e che vengono aggiornati con terribili strumenti di morte di nuova generazione. In definitiva, non ci si può fermare sulla strada della costruzione della pace, sulla rimozione delle possibili cause della guerra. La via migliore per prevenirla è sempre quella dell’educazione, della buona politica, dell’efficace contrasto nei confronti del deterioramento dello Stato di diritto e della democrazia, oggi inclinata verso forme populiste, oligarchiche, assistenzialistiche. Non si possono accettare forme democratiche che in definitiva coinvolgono ed avvantaggiano solo un terzo della popolazione, indebolendo le classi medie ed emarginando i più deboli, fomentando così conflitti sociali.

D. - Il 2014 è stato un anno purtroppo contrassegnato da nuove guerre, violenze e da persecuzioni contro i cristiani e altre minoranze, basti pensare all’Iraq. Quale contributo potrà dare secondo lei il Papa e la Chiesa in un mondo così frammentato?

R. - Il contributo può e dev’essere diversificato. Vi sono senz’altro le parole, i gesti del Pontefice. Di particolare rilevanza il suo impegno nell’incontrare e parlare con i diversi capi religiosi per stabilire un’alleanza contro tutte le forme di fanatismo, fondamentalismo e di laicismo aggressivi ed escludenti, a difesa del diritto alla libertà religiosa per tutti. C’è, poi, l’azione dei vari dicasteri della Curia Romana che sono chiamati ad aiutare il pontefice e la chiesa in tal senso. Ma vi è pure un fronte proprio dei Christifideles laici che con le loro associazioni e i loro movimenti debbono battersi con più coraggio per i diritti delle minoranze, ma in genere per i diritti di tutti. Anche in questo campo si deve lavorare sul piano della prevenzione, della difesa e promozione di uno Stato di diritto non solo fondato sul consenso sociale ma anche e primariamente sulla legge morale naturale, sulla comune ricerca del vero, del bene e di Dio. Quando sono misconosciute queste premesse della libertà religiosa è molto arduo poter sconfiggere quello spirito settario ed escludente che è all’origine delle persecuzioni e purtroppo è anche rafforzato dall’individualismo libertario, sempre più pervasivo e corrosivo.

D. - Il Papa ha annunciato che è prossima la pubblicazione della sua Enciclica dedicata all’ambiente e allo sviluppo. Cosa possiamo attenderci da questo documento, pensando ai tanti pronunciamenti di Francesco su questo tema anche recentemente?

R. - Credo che uno dei punti principali sarà rappresentato dalla presentazione dell’attuale questione ambientale come questione prettamente antropologica ed etica. Nella soluzione di una tale grande questione, inevitabilmente intrecciata con molteplici altri problemi culturali e sociali, sarà decisivo un umanesimo trascendente e relazionale che solo una cultura aperta a Dio può mettere in campo. Un secondo aspetto che non sarà dimenticato sarà senz’altro quello dell’intrinseca connessione tra questione della vita umana e questione dell’ambiente, aspetto peraltro già ben evidenziato da papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Non si può pensare di risolvere la questione ambientale senza un’ecologia umana. Non si può sperare in una soluzione che salvi il pianeta dal suo inesorabile declino quando si prende d’assalto lo Stato di diritto e si procede a smantellarlo a cominciare dal riconoscimento di un fantomatico diritto all’aborto, come è recentemente avvenuto in Francia.

inizio pagina

Napolitano scrive al Papa: necessario un deciso sforzo contro la criminalità

◊  

“È necessario un deciso sforzo nella lotta alla criminalità nelle sue svariate forme, dallo sfruttamento della prostituzione alla pratica del lavoro nero, dalla corruzione al traffico di esseri umani”. E' quanto scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera a Papa Francesco in occasione della 48.ma Giornata mondiale della Pace. Il servizio di Giampiero Guadagni: 

Nel suo discorso di fine anno, Napolitano aveva sottolineato la necessità di contrastare l’indifferenza globale denunciata con vigore da Papa Francesco. Oggi (ieri - ndr.) il capo dello Stato italiano torna sul tema nella lettera inviata al Pontefice in occasione della Giornata mondiale della Pace. La globalizzazione, scrive Napolitano condividendo l’invito del Papa in questo senso, deve essere trasformata in una forza positiva di solidarietà. Colmare le disparità economiche e le divaricazioni sociali oggi esistenti, osserva Napolitano, è compito prioritario della politica che dovrebbe rivolgere particolare attenzione a lavoro e istruzione. Altrettanto deciso, sottolinea Napolitano, deve essere lo sforzo nella lotta alla criminalità nelle sue svariate forme: sfruttamento della prostituzione, lavoro nero, corruzione, traffico di esseri umani. Napolitano osserva poi che alcune riflessioni contenute nel messaggio del Papa, non a caso, sono al centro dell’agenda politica nazionale ed europea: a partire dal tema dell’accoglienza per migranti e richiedenti asilo, sul quale Papa Francesco ha sempre attirato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Infine, il capo dello Stato condivide l’ammirazione e la gratitudine del Papa per il lavoro delle tante associazioni di volontariato, sia religiose sia laiche, attive in questi campi, spesso a costo di grandi sacrifici personali da parte dei loro membri.

inizio pagina

Papa vicino ai malati di Ebola, felice per guarigione medico

◊  

Vicino con le sue preghiere ai malati di Ebola e a chi li cura con eroismo quotidiano. È quanto Papa Francesco ha espresso al ministro della Salute italiano, Beatrice Lorenzin, nel corso di una telefonata nella quale si è congratulato per la guarigione di Fabrizio Pulvirenti, il medico italiano colpito dal virus in Sierra Leone.

Il Papa si è anche informato sui progressi della ricerca e sugli interventi in Africa occidentale e ha salutato la dedizione mostrata da medici e dal personale sanitario come messaggio di speranza per le popolazioni colpite dal Ebola e, insieme, per tutti gli italiani, che possono gioire per l’esistenza di strutture in grado di coniugare eccellenza, professionalità e umanità.

inizio pagina

Papa, tweet: gioia dei discepoli diffonde cristianesimo

◊  

Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il cristianesimo si diffonde grazie alla gioia di discepoli che si sanno amati e salvati”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Scuotere il mondo dall'indifferenza: intervista di Nicola Gori al cardinale Leonardo Sandri sulla situazione dei cristiani in Medio oriente.

La brevità prima di tutto: Mary Ann Walsh sulle tre regole per predicare come Papa Francesco.

Artista perché cristiano: la prefazione del cardinale Lorenzo Baldisseri al libro del cardinale Luis Martinez Sistach "Gaudì:

l'uomo, l'artista, il cristiano".

La teologia dell'aquilone: Jorge Milia spiega come parla Jorge Mario Bergoglio.

L'ago della bilancia: Carlo Petrini nel decimo anniversario della Carta europea dei ricercatori.

Sette volumi per Gesù: Silvia Guidi sull'opera, ancora non conclusa, di Meier.

Click per un mosaico di emozioni: Gabriele Nicolò sul libro "Photoansa 2014".

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Centrafrica, arcivescovo Bangui: superiamo le diffidenze

◊  

Deporre le armi e puntare sull’istruzione per ricostruire la pace nella Repubblica centrafricana. Questo, in sintesi, il messaggio dell’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, nel corso di un’intervista alla radio "Ndeke Luka", dopo le minacce di morte ricevute nel villaggio di Gbangou. Il servizio di Elvira Ragosta

L’intimidazione era avvenuta nei giorni scorsi, durante una visita del presule con una delegazione della Caritas locale nel villaggio di Gbangou. A minacciarlo un esponente delle milizie Anti-Balaka. Da due anni teatro di una sanguinosa guerra civile, il Centrafrica vede opposti da un lato gli ex ribelli Seleka e dall’altro i miliziani anti-balaka, fedeli all’ex presidente Bozizé, deposto nel marzo 2013. Ma ascoltiamo un estratto dell’intervista dell’arcivescovo di Bangui:

R. – Le sens de ce geste vient du fait…
Il senso di questo gesto viene dal fatto che mi trovo di fronte ad esseri umani ridotti allo stato animale. Quando li ho visti, due mesi fa, nella “brousse”, ho provato grande indignazione e non sono potuto restare indifferente. Ne ho parlato, cercando di attirare l’attenzione del governo, della comunità internazionale. I giornali hanno scritto articoli: “Gbangou, città fantasma”. Si ha l’impressione che nessuno osi muoversi e così si lascia morire lentamente questa popolazione. Ho preso allora il mio bastone di pellegrino per andare dai miei fratelli e dalle mie sorelle per dire loro, forte e chiaro, che Dio non li ha dimenticati, che è vicino a loro. Ho mobilitato i fratelli in Cristo, ho reperito i mezzi sanitari per curarli e vestiti, per ridare loro la dignità.

D. – Durante i suoi spostamenti, lunedì scorso, lei si è recato in diverse zone per parlare con i leader religiosi, con i gruppi anti-balaka e anche con gli insegnanti. Qual è stato il messaggio che ha portato loro?

R. – En général quand nous sommes dans l’obscurité…
In generale, quando siamo nell’oscurità, abbiamo bisogno della luce. E credo che le persone che hanno studiato, che hanno ricevuto una formazione, abbiano il dovere di avere una piccola luce per illuminare gli altri. Ed è mio dovere, in quanto primo responsabile della Chiesa, di riunire i miei fratelli: quando li incontro, di parlare con loro, rassicurarli, consolarli, incoraggiarli. Nelle loro città, la presenza di queste persone è una forza nel cuore di questo mondo, è luce nel cuore di questa popolazione. Attirano i giovani e soprattutto permettono loro di continuare a sperare, contro ogni speranza. Mi fermo a parlare con gli insegnanti, e vi faccio l’esempio della città di Gbangou, che dal 2012 non ha più scuole: quale avvenire possiamo dare loro? E quindi è tempo che io incontri gli insegnanti per dire loro: “Iniziate, anche se ci sono dei problemi. Questi bambini devono imparare a leggere e a scrivere”. Noi stiamo perdendo una intera generazione: questa generazione della quale io ho sempre detto che è stata “sacrificata”. Cosa hanno fatto questi giovani per meritare la sorte che noi adulti, oggi, abbiamo riservato loro? E’ tempo di richiamare soprattutto alla responsabilità, gli uni per gli altri, di superare le nostre differenze, i nostri problemi nell’interesse di questi bambini. Ne va dell’avvenire del nostro Paese! Ma mi fermo anche a parlare con gli anti-balaka: mi sembra che ci siano molti anti-balaka, si parla addirittura di un partito politico che si chiama “Partito centrafricano per l’unità del popolo”, un partito che raccoglie tutti quelli che ieri si chiamavano anti-balaka. Li invito a deporre le armi, a portare il loro contributo, ad ascoltare anche la voce della popolazione, a lavorare in simbiosi, a lavorare in coesione. Ora, invece, quanta disperazione, quanto dolore! La giustizia arriva, a piccoli passi. E se sarà la giustizia a fermarvi, dico loro, lascerete orfani e vedove. Guai a voi! Sarete degli incoscienti, degli sconsiderati. Invece, la vostra vita ha valore, la vostra famiglia ha bisogno di essere costruita, voi avete bisogno di giocare il vostro ruolo come padri di famiglia. Attenzione, la giustizia internazionale si interessa a voi: quindi, fate attenzione! Non cadete in questa trappola! Io faccio appello alla presa di coscienza gli uni degli altri, per valutare le conseguenze dei nostri atti. Domani sarà troppo tardi... Oggi bisogna prendere una decisione. O dire: “Basta! Ho fatto quel che potevo, ora non mi impegno più”, o prendere la decisione giusta per costruire il mio Paese, per costruire la mia famiglia e soprattutto aprire le porte ad un nuovo Centrafrica.

inizio pagina

Sanzioni Usa a Pyongyang, dopo gli attacchi hacker alla Sony

◊  

Linea dura del presidente americano, Barack Obama, contro la Corea del Nord. Il capo della Casa Bianca ha dato ieri il suo assenso a sanzioni in merito agli attacchi di hacker contro la Sony Pictures, attribuiti dalla Fbi a Pyongyang. Le incursioni informatiche avevano infatti lo scopo di bloccare l’uscita del film satirico sul leader nordcoreano, Kim Jong-un. Le nuove sanzioni si aggiungono alle misure restrittive già imposte dalla comunità internazionale a causa per il programma nucleare di Pyongyang e arrivano proprio mentre la Corea del Nord lancia segnali di dialogo con la Corea del Sud. Per un commento sulla decisione di Obama, Marco Guerra ha intervistato il prof. Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali: 

R. – E’ un segnale dovuto all’aggressività di Pyongyang. Ricordiamoci che, non potendo competere in maniera convenzionale contro gli Stati Uniti, la Corea del Nord  ha sviluppato un potenziale di guerra cibernetica fortissimo, in grado non soltanto di colpire i dispositivi militari americani, ma soprattutto la quotidianità dell’occidente. E per questa ragione, un segnale doveva essere dato.

D. – Ricordiamo che tutto nasce dall’attacco cibernetico dopo l’uscita del film “The Interview”…

R. – E’ bene essere molto chiari su questo. La vicenda che ha colpito Hollywood è la punta dell’iceberg. Sono ormai anni che la Corea del Nord fa "shopping" nelle aziende occidentali, comprese quelle italiane, rubando segreti e tecnologie che sono costati ai cittadini dei diversi Paesi tanti, tanti soldi e tanto lavoro e studio.

D. – Infatti, il segretario al tesoro americano ha detto: “Impiegheremo tutti gli strumenti per difendere le nostre aziende”...

R. – Basti considerare cosa voglia dire per un’azienda occidentale, vista la crisi economica, impiegare budget in ricerca e sviluppo, ore-lavoro di personale qualificato, formazione di personale qualificato e poi, con una mossa ardita, arrivano i pirati informatici e ti portano via quella tecnologia. E magari dopo poco tempo te la mettono sul mercato in maniera concorrenziale e a prezzo minore.

D. – Poi, c’è la questione dell’area: questa decisione arriva proprio mentre il leader nordcoreano, Kim Jong Un, ha aperto a colloqui di alto livello con Seul, prospettando un grande cambiamento nelle relazioni tra i due Paesi…

R. – Non ci credo alla buona fede nordcoreana. Finché il governo della Corea del Nord continuerà ad affamare la propria popolazione, con migliaia e migliaia di persone che ogni anno muoiono di fame, per sviluppare tecnologie missilistiche e tecnologie militari non potrò credere alla loro buona fede. Prima di tutto un governo – di qualunque latitudine e longitudine – deve pensare al benessere dei propri cittadini. Immaginare di far morire di fame migliaia di persone per sviluppare missili e tecnologie militari è una cosa indegna.

D. – Poi, appunto, c’è anche la questione nucleare che incombe sempre sulla penisola coreana…

R. – Si sta cercando, a livello di gruppo di contatto, di far sì che la Corea del Nord rinunci totalmente alla componente nucleare militare che ha portato allo sviluppo di ordigni nucleari, affinché la penisola coreana – e possibilmente anche un’area più ampia – sia libera da rischi di guerre atomiche.

D. – Pechino e Washington, però, possono svolgere un ruolo importante nella normalizzazione della penisola coreana…

R. – Assolutamente sì. Devono svolgere un ruolo di normalizzazione ed è per questo che è sempre più importante che Pechino e Washington si parlino di più.

inizio pagina

Calabria. Salvi i 360 migranti a bordo della nave Ezadeen

◊  

Sono tutti salvi i 360 immigrati di nazionalità siriana stipati a bordo del mercantile Ezadeen e soccorsi ieri al largo della costa della Calabria, dopo che gli scafisti hanno abbandonato la loro imbarcazione. Lo sbarco è terminato questa mattina nel porto di Corigliano Calabro, a bordo 54 donne e 74 minori. Massimiliano Menichetti: 

Stanno tutti bene i immigrati che erano a bordo della Ezadeen. Sono sbarcati nel porto di Corigliano Calabro e sono stati smistati in diversi centri di accoglienza per l'identificazione. 360 persone abbandonate su una nave di sessanta metri, battente bandiera della Sierra Leone, partita dalla Turchia e guidata dal pilota automatico. E’ stata questa, infatti, la strategia degli scafisti che dopo avere impostato la rotta verso le coste italiane, hanno lasciato il mercantile e il suo carico al proprio destino. La nave non si è incagliata, non ha urtato altre imbarcazioni, non è affondata e la Guardia costiera italiana ha potuto recuperarla nel Mare Jonio, insieme alla nave islandese Tyr della missione Ue Frontex. Il rischio di morire però c’è stato fino all’ultimo: il cargo si è fermato per avere esaurito il carburante, le onde alte sette metri hanno impedito l’abbordaggio e i soccorritori sono riusciti a salire a bordo usando un verricello di un elicottero dell'Aeronautica militare. Una volta sul ponte i mariani si sono resi conto però che i comandi erano fuori uso, poi la decisione di trainare la Ezadeen, verso Corigliano Calabro, usando la nave islandese Tyr e la speranza di 360 persone è diventata salvezza.

inizio pagina

Mons. Nunnari: Mafiosi convertitevi! 'ndrangheta è il Maligno

◊  

“La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”. A scriverlo sono i vescovi calabresi in una nota pastorale, intitolata “Testimoniare il Vangelo”, pubblicata oggi (ieri - ndr). “Chi fa parte della ‘ndrangheta – si legge nel documento – non solo tradisce il Vangelo, ma è come se vivesse calpestandolo ogni giorno”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La Chiesa “esperta in umanità” – si legge nella nota - vuole “porsi come Madre”, sostenendo il bene e denunciando il male, di fronte ai Doni di Dio nella meravigliosa terra di Calabria e a laceranti ferite, come la corruzione, la disoccupazione e la ‘ndrangheta, ormai “una tragedia da tanti decenni”. Il fenomeno aberrante della ‘ndrangheta – si sottolinea nel documento - è in tutta evidenza opera del Maligno: è “l’antistato, con forme di dipendenza”, e “l’antireligione, con simbolismi utilizzati per guadagnare consenso”. Chi fa parte della mafia è fuori dalla comunione ecclesiale.

La Chiesa e le istituzioni dello Stato
Nel documento viene inoltre posto in luce “il rapporto di collaborazione tra Chiesa e istituzioni civili” per combattere il male. Si sottolinea che la Chiesa è Madre e desidera la salvezza di ogni uomo, “anche del peccatore più incallito”. Nella nota si affronta anche il tema del “cammino verso la conversione”. Non bastano le parole: la conversione, anche se comincia nell’interiorità, deve diventare “visibile”. Un percorso “irto di fatiche ma non impossibile”. L’auspicio, espresso dai vescovi, è che inizi davvero “una stagione nuova” con i semi dell’onestà e dell’amore fraterno.

Creazione di un Direttorio
Nel documento si annuncia, infine, la creazione di un Direttorio nel quale quanto sancito nel documento diventerà “legge all'interno della comunità ecclesiale, con risvolti concreti e norme che guideranno la vita di tutti i giorni”.

Su questa nota si sofferma l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, mons. Salvatore Nunnari, presidente della Conferenza episcopale calabra: 

R. – La ‘ndrangheta è negazione del Vangelo, la ‘ndrangheta non ha nulla di cristiano. E’ una struttura di peccato. Si pone come una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’unico vero Dio.

D. – La Chiesa desidera però la salvezza di ogni uomo, anche del peccatore più incallito…

R. – Gridiamo al mafioso quello che San Giovanni Paolo II ebbe a dire ad Agrigento: “Convertitevi, altrimenti perirete tutti”. La Chiesa è madre ed è sempre pronta ad accogliere. Convertitevi – è il nostro invito – nel nome di Gesù: Egli ha fiducia nell’uomo. Comprendete così il valore del dolore, del pentimento, della conversione, del ritorno al Padre. Anche l’uomo che ha sbagliato tutto nella vita può riprendere il suo cammino di conversione, di riconciliazione con la Chiesa e con l’uomo.

D. – Nel documento si annuncia anche la creazione di un Direttorio. Di cosa si tratta?

R. – Questo è molto importante. Noi vescovi vogliamo mettere in mano alle nostre chiese uno stile di comportamento per quello che riguarda il mafioso, per dare un aiuto ai nostri preti. Al mafioso che si presenta, il prete può dire con chiarezza: “I vescovi mi dicono questo: convertitevi, e poi venite a chiedere i sacramenti”. Abbiamo dovuto soffrire molto il discorso delle processioni, perché i mafiosi in pratica, in maniera subdola, si inseriscono in questi momenti della religiosità popolare per avere quasi un riconoscimento da parte della Chiesa. E questo ha creato – e può creare ancora – una falsa immagine dell’uomo mafioso, che è anche cattolico, secondo loro. Poi, c’è il discorso dei Sacramenti e anche il discorso dei funerali. Papa Francesco disse a Sibari: “Voi siete scomunicati”. Non è una scomunica in senso canonico, ma in senso morale. Il vostro non può essere Vangelo, anzi: è il capovolgimento del Vangelo. Poi, c’è anche il discorso dei padrini e questo è il discorso più delicato. Tante volte il mafioso si presenta e vuole essere ammesso a fare da padrino: come fa un uomo che è contro il Vangelo ad essere garante di fede per il figlioccio? Quel Vangelo che loro tradiscono lo troviamo spesso nei bunker, la Bibbia, addirittura, le immaginette dei Santi… Allora creeremo questo Direttorio è per dare la possibilità ai nostri sacerdoti di essere chiari con quanti vogliono servirsi della religione. Il Direttorio, incominceremo a discuterlo dal prossimo 19 gennaio nella Conferenza episcopale calabra; speriamo di prepararlo per la prossima Pasqua, per avere anche nella Chiesa idee chiare perché qualche volta, dobbiamo ammetterlo, degli errori - pochi - ci sono stati. Ma ci sono stati momenti con responsabili di connivenze e, soprattutto, quel maledetto vizio che è l’omertà.

inizio pagina

Istat: Italia ultima tra i Paesi Ocse per spesa in istruzione

◊  

L’Italia è ultima, tra gli Stati europei membri dell’Ocse, per spesa pubblica nell’istruzione in rapporto al Prodotto interno lordo. A certificarlo è l’Istat, nel tradizionale annuario statistico pubblicato nell’ultima settimana dell’anno, precisando che per la formazione dei giovani, in tutti i livelli del ciclo educativo, si investe il 4,6% del Pil. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’Italia è l’ultima della classe per spesa in istruzione. A questo poco lusinghiero dato si contrappone quello relativo alla Danimarca, lo Stato tra i Paesi europei dell’Ocse che investe maggiormente nella formazione, quasi l’8% del Pil. Investono nettamente più dell’Italia anche Stati duramente colpiti dalla recessione come Irlanda, Spagna e Portogallo. Sono sempre meno, inoltre, i giovani ad iscriversi all’università. Se nel 2003 erano quasi 73 gli immatricolati su 100 diplomati nel 2012 sono stati in media solo 55. Contestualmente, continuano a calare i lettori di libri e quotidiani. Il commento di Marcello Pacifico presidente di “Anief”, Associazione sindacale professionale, che ha analizzato i dati dell’Istat:

“l’Italia è l’ultima, è la ‘maglia nera’ di tutte queste classifiche. Basti pensare che dal 1995 ad oggi, ovvero negli ultimi 20 anni, non ha aumentato neanche di un euro la spesa per studente. I livelli italiani sono di 2 punti percentuali sotto la media dell’Ocse. Purtroppo, tutto questo è legato anche al taglio di 200 mila posti, al blocco degli stipendi, che è di 4 punti percentuali sotto dell’inflazione… Sono tutti dati negativi! E noi chiediamo a questo punto al governo di intervenire con urgenza per cambiare tutto questo stato di cose, altrimenti non potrà crescere il Paese!”.

Ma perché l’Italia continua a non investire nell’istruzione? La riflessione di Giuseppe Bertagna, docente di Pedagogia all’Università di Bergamo:

R. – Il perché – a mio avviso – è ciò che può risolvere la questione, perché noi non possiamo spendere mantenendo una struttura che non sia efficiente in tutti i suoi aspetti; quindi, è un problema di ricambiare la struttura. Non possiamo nemmeno immaginare, come si è immaginato, che tutti debbano andare all’Università per avere una formazione superiore, perché in tutti i Paesi esiste una formazione superiore non universitaria. La delusione che molti laureati provano perché non trovano lavoro oppure perché devono andare all’estero, oppure perché rimangono ad un livello di professionalità inferiore rispetto a quello che hanno maturato. E quello che hanno maturato è tale che corrisponde ad una analoga richiesta di posti che invece restano inutilizzati per professioni molto alte, molto interessanti ma che non sono quelle per cui l’università forma. Quindi è una carenza. E per ultimo, è che noi siamo riusciti in 40 anni ad espungere dalla mentalità collettiva l’idea che il lavoro sia un fortissimo giacimento culturale ed educativo che deve cominciare dai sei anni ed arrivare fino all’Università, e abbiamo - invece che “rotto” - “consolidato” il pregiudizio che studio e lavoro siano due alternative tra loro incompatibili. Oggi, invece, ci accorgiamo del contrario e, se vogliamo far cambiare il trend, dobbiamo per forza intervenire su questi tre segmenti.

La spesa nell’istruzione potrebbe comunque far registrare nei prossimi mesi significativi cambiamenti. L’Italia, dopo anni di tagli, nel 2014 ha aumentato il proprio bilancio per la formazione dello 0,6%. E per il 2015 è stato stanziato nella legge di stabilità un miliardo di Euro.

inizio pagina

Neonata abbandonata. Fondazione Rava: aiutare mamme in difficoltà

◊  

Il 2015 si è aperto con una storia che ha commosso l’Italia: quella di Daniela, la bimba prematura ma in buona salute, trovata il primo dell’anno nella culla termica dell’Ospedale Careggi di Firenze. Non è la prima volta che una culla riscaldata del progetto “Ninna ho”, promosso dalla Fondazione "Francesca Rava" e dal Network KPMG salva una vita. Era già accaduto a Roma e da allora queste eredi delle antiche “ruote” sono arrivate a Napoli, Padova, Milano, Parma e Varese. Al telefono con Roberta Barbi, la presidente della Fondazione, Mariavittoria Rava, esprime tutta la sua emozione: 

R. - Io sono stata raggiunta da questa notizia mentre ero qui in Haiti dove l’abbandono dei bambini è molto frequente, ma per la disperazione delle mamme che sono davvero impossibilitate a curare i loro bambini. Spesso è davvero l’ultimo gesto d’amore, e pensare che in Italia ci siano situazioni così mi ha molto colpito ed è anche il motivo per cui la Fondazione Francesca Rava, insieme a KPMG, si è messa al servizio di questo progetto.

D. - Ovviamente la deposizione di un bimbo nella culla termica avviene in forma anonima. Vi siete fatti un’idea di chi potrebbe utilizzare queste culle?

R. - Stiamo proprio facendo, quest’anno, con la Società Italiana di Neonatologia e cento punti nascita in Italia, una ricerca per capire chi possano essere queste donne. I dati che sono emersi fino ad oggi dicono che le donne in difficoltà non sono solo, come si potrebbe immaginare, donne straniere, immigrate, ma anche donne giovani italiane che sono in situazioni di emarginazione sociale, difficoltà economica: giovani donne che si trovano ad aspettare un bambino senza averlo "pianificato" e senza il supporto della famiglia. Sono donne che non hanno neanche avuto il tempo di capire se il loro bambino stava bene o meno, perché magari hanno anche vissuto la gravidanza tenendola nascosta, mettendo a rischio la propria vita e la vita del loro bambino, non usufruendo delle cure che in Italia gli ospedali danno anche gratuitamente a tutte le donne con o senza permesso di soggiorno.

D. - Perché nonostante l’esistenza delle culle e la legislazione italiana che consente di partorire in assoluto anonimato leggiamo ancora di bimbi abbandonati nei cassonetti?

R. - Perché il lavoro è ancora all’inizio. Noi, come fondazione Francesca Rava insieme a KPMG, ci siamo messi a servizio di questo importante problema che sta nascendo ed è sempre più evidente in Italia, ma non ci si immaginava in questo modo perché siamo un "Paese evoluto". Abbiamo individuato questo problema e non è sicuramente risolvibile dal progetto “Ninna ho” in sé, ora. Il grande sforzo di comunicazione che noi stiamo mettendo in atto è quello di prevenire. Mi permetto di lanciare un appello a tutte le donne: mi rivolgo a tutte voi donne che siete in difficoltà, non abbiate paura, rivolgetevi all’ospedale! In anonimato sarete seguite e aiutate gratuitamente, anche se non avete il permesso di soggiorno, potrete partorire anche senza riconoscere il vostro bambino, e se deciderete di non riconoscerlo, sarà adottato da una famiglia che si prenderà cura di lui.

D. - Come è nato il progetto “Ninna ho”?

R. - Come tutti i progetti della Fondazione Francesca Rava, non è nato a tavolino, ma dal bisogno, dal grido che viene dai bambini e dalle donne in difficoltà. Cinque anni fa, intorno ai giorni di Natale, abbiamo sentito il professor Agosti, primario del reparto di Neonatologia dell’ospedale Del Ponte di Varese. Ci ha raccontato un caso che è finito su tutti i giornali e telegiornali: un bimbo abbandonato in un cassonetto al freddo e al gelo di quel periodo, trovato semi-assiderato e salvato per il rotto della cuffia perché un passante, o forse un netturbino, aveva sentito questo gemito che sembrava più di un gattino, ha frugato nell’immondizia e ha trovato questo piccolo corpicino. Questo fatto mi ha colpito tantissimo e, non da ultimo, ha colpito anche il primario che non aveva avuto mai casi di questo genere. Ci siamo detti: dobbiamo fare qualcosa. In quel periodo, quest’azienda che si chiama KPMG, che da anni segue e sostiene il nostro lavoro, doveva festeggiare i suoi 50 anni, così ci siamo detti: perché invece di festeggiare i vostri 50 anni con feste o celebrazioni, non dedicate questo vostro anniversario a un gesto importante di responsabilità sociale d’azienda? La risposta è stata immediata: sì, e insieme abbiamo costruito e realizzato le prime culle. C’è una grande lista d’attesa in tutta Italia in realtà, perché questa domanda e questa sensibilità ci è giunta da tantissimi punti nascita, da tantissimi primari, perché questo problema evidentemente è sentito nel territorio. Io penso, quindi, che questa sia solo la punta di un iceberg: questa bimba abbandonata nella culla di Firenze, è un allarme che deve essere sentito, ascoltato da tutti. La punta di un iceberg, di un problema che molto spesso è occulto: per una madre lasciare il proprio bambino non è un gesto di cattiveria, è sempre un gesto di disperazione.

inizio pagina

Don Ezechiele Pasotti commenta il Vangelo della domenica

◊  

Nella seconda domenica dopo Natale, la liturgia ci presenta il Prologo del Vangelo di Giovanni:

“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio … In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

“La luce splende nelle tenebre”. Ecco il grido di speranza che ci accoglie in questo nuovo anno appena iniziato e ci lancia verso la notte vittoriosa della Pasqua: le tenebre non hanno vinto. Non sono le tenebre, non è la morte l’ultima parola sulla vita dell’uomo, ma la vittoria di Cristo, della Parola, del Verbo che si è fatto carne, che è venuto a mettere la sua tenda in mezzo a noi, dandoci il potere di diventare figli di Dio. Il dono che il Padre ha fatto all’uomo, rivestendo il Figlio suo di una carne come la nostra, attacca alla radice quel potere maligno che aveva provato a rovinare la creazione di Dio sin dai suoi inizi: ora questo Figlio viene fra la sua gente, pur sapendo che non lo accoglieranno, viene a restituire alle sue creature la pienezza della loro immagine e somiglianza, viene a farle ancora più grandi di prima, a farne dei figli. Egli scende tra di noi, si appropria delle pene della nostra esistenza – commenta un teologo ortodosso –, del nostro dolore, della nostra morte, dei nostri peccati, per riversarsi completamente dentro di noi e amalgamarsi con noi, rendendoci templi suoi, sue membra e restituirci alla gloria del Padre suo. Così, quel Dio che nessuno ha mai visto, ci viene svelato dal Figlio suo e non come un Essere lontano, il motore immobile dei filosofi antichi e moderni, ma come un Padre dolcissimo, innamorato delle sue creature che vuole partecipi della sua stessa vita divina.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Africa. Trattato Onu sulle armi: vittoria anche delle Chiese

◊  

Per il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, è un “passo storico” e significativa è stata anche la data: la vigilia di Natale ha segnato infatti l’entrata in vigore del Trattato internazionale sul commercio di armi (‘Arms trade treaty’ o Att). Ratificato da 61 Stati e firmato complessivamente da 130, il documento tenta di introdurre il principio della responsabilità nel settore - finora in larga parte senza regole - della vendita di armamenti 

Il ruolo delle Chiese africane
Tra le più forti sostenitrici del trattato - riferisce l'agenzia Sir - negli anni, ci sono state le Chiese, in particolare quelle africane. Anche i partecipanti al secondo Sinodo sull’Africa, nel 2009, auspicarono la fine del commercio illegale, una maggiore trasparenza di quello legale e soprattutto un embargo sulle armi leggere.

Commercio delle armi e instabilità degli Stati
Nella stessa sede era stata evidenziata anche “la stretta relazione tra lo sfruttamento delle materie prime, il commercio delle armi e un’instabilità mantenuta intenzionalmente”. Al contrario, ha notato anche una ricerca di ‘Chatham House’, a risentire di più di un maggiore investimento in armi sono gli stanziamenti per sanità, scuola e creazione di lavoro. Anche per questo si deve sperare che il numero degli Stati africani parte del trattato - oggi 7 su 54 - aumenti rapidamente. (R.P.)

inizio pagina

Libia: sette copti egiziani rapiti dalle milizie islamiste

◊  

Nella Libia travolta e devastata dalla guerra per bande seguita all'intervento occidentale contro il regime di Gheddafi, i cristiani copti egiziani continuano a essere oggetto di violenze mirate. Lo scorso 30 dicembre, pochi giorni dopo il brutale assassinio di un dottore copto, di sua moglie e di sua figlia, 7 copti sono stati rapiti nell'area della città di Sirte da uomini armati affiliati alla rete radicale islamista Ansar Al-Sharia mentre erano sulla via del ritorno in patria. Tutti i rapiti sono originari di Samalut, città situata nel governatorato di Minya.

Richiesta di riscatto
I sequestratori – riferiscono siti vicini alla Chiesa copta - hanno chiesto un riscatto per permettere ai rapiti di far ritorno in Egitto. Secondo altre fonti consultate dall'agenzia Fides, i miliziani islamisti starebbero negoziando la liberazione dei copti chiedendo in cambio il rilascio di alcuni prigionieri detenuti nelle carceri dei due governi - insediati rispettivamente a Tripoli e a Tobruk – che si contendono il controllo del Paese.

Nel febbraio scorso un'altra strage
Alla fine dello scorso febbraio, sette egiziani copti erano stati barbaramente assassinati a Bengasi, in una strage attribuita a bande armate islamiste. (R.P.)

inizio pagina

Indonesia. Arcivescovo di Jakarta: no alla pena di morte

◊  

“Nessuno ha il diritto di togliere la vita”: così mons. Ignatius Suharyo, presidente della Conferenza episcopale dell’Indonesia, si è pronunciato in questi giorni contro la pena di morte. La dichiarazione del presule arriva dopo l’annuncio del Capo di Stato indonesiano, Joko Widodo, di riprendere le esecuzioni capitali per i colpevoli di narcotraffico. “Nell’insegnamento della Chiesa non è concepita la pena capitale”, ha ribadito mons. Suharyo, sottolineando poi che la condanna a morte “non può essere adottata come deterrente del crimine”, perché essa “non risolve i problemi” all’origine dei reati.

Esecuzioni riprese nel 2013
In Indonesia, il Codice penale prevede la pena di morte, tramite fucilazione, per i crimini di omicidio e traffico di droga. Tuttavia, dal 2008 al marzo 2013, le autorità nazionali hanno osservato una moratoria delle esecuzioni; successivamente, le sentenze capitali sono riprese e ne sono state eseguite cinque. Attualmente, sono 136 i detenuti nel braccio della morte delle prigioni indonesiane: 64 di loro sono colpevoli di narcotraffico, due di terrorismo, mentre gli altri sono stati condannati per crimini di sangue. (I.P.)

inizio pagina

Filippine: processione del Nazareno Nero nel segno del viaggio papale

◊  

"Spirito del Signore Gesù il Nazareno, misericordia e compassione della Chiesa". Si ispira al motto del viaggio apostolico di Papa Francesco nelle Filippine il tema scelto per l’edizione 2015 della tradizionale processione del Nazareno Nero, celebrata ogni anno nelle Filippine il 9 gennaio. Al’evento sono attesi milioni di fedeli da tutto il Paese, che accompagneranno a piedi nudi il simulacro - una copia dell’originale - dal parco Rizal alla Basilica di Quiapo, dove viene conservata la statua lignea a cui si attribuiscono poteri miracolosi.

Una tradizione che risale al XVII secolo
La processione è l'evento religioso più importante dell'unica nazione a maggioranza cattolica dell'Asia. La devozione alla statua, che rappresenta Gesù piegato sotto il peso della Croce a grandezza naturale , risale al XVII secolo, quando le Filippine erano sotto la Spagna. Essa fu infatti portata a Manila da un sacerdote agostiniano spagnolo nel 1607 a bordo di una nave proveniente dal Messico. Secondo la tradizione l'imbarcazione prese fuoco durante il viaggio, ma l'immagine del Cristo scampò miracolosamente all'incendio assumendo il colore nero. Nonostante il danno, la popolazione di Manila decise di conservare e onorare l'effigie. La devozione suscitata dall’icona ha incontrato il favore della Santa Sede, che nel 1650 , sotto il pontificato di Innocenzo X, istituì canonicamente la Confradia de Jesus Nazareno. Anche Pio VII, nel XIX secolo, volle onorare il Nazareno Nero concedendo l’indulgenza plenaria “a chi lo prega in maniera pia”. 

Un simbolo della devozione del popolo filippino
Nei secoli l'aura miracolosa che circonda l'immagine del Cristo ne ha fatto uno dei simboli del popolo filippino. Alla processione dell’anno scorso a Manila hanno partecipato 10 milioni di persone, uno in più dell’anno precedente. In questi anni i vescovi hanno concesso una copia della statua ai cristiani di Mindanao, troppo lontani per partecipare in massa alla processione a Quiapo. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Chiesa irlandese: libertà di parola nel referendum su nozze gay

◊  

Un dibattito aperto in cui sia possibile fare sentire tutte le voci pro e contro. E’ quanto chiede il Primate irlandese mons. Eamon Martin a proposito del referendum sulla legalizzazione dei matrimoni omosessuali in Irlanda fissato per il prossimo mese di maggio.

Chiesa chiede dibattito libero
“Crediamo di avere qualcosa da dire sulla questione e vorremmo poterlo fare liberamente nell’arena pubblica”, afferma l’arcivescovo di Armagh in un’intervista alla rivista cattolica inglese “The Tablet” in cui parla delle sfide e dei cambiamenti in corso nella Chiesa irlandese. Un dibattito libero – puntualizza il presule - significa una discussione “senza insulti, ingiurie o offese contro nessuno, che si tratti di persone con orientamenti omosessuali, o di credenti che si opporrebbero al cambiamento proposto, perché nella sostanza sarebbe una ridefinizione del matrimonio”.

Ascoltare la voce della Chiesa per il bene comune
Secondo mons. Martin, anche se il punto di vista della Chiesa sul matrimonio quale unione esclusiva tra un uomo e una donna aperto alla procreazione non è interamente accettato da molte persone, esso va ascoltato per il bene comune e per quello dei bambini e della società nel suo insieme.
Il documento dei vescovi sul significato del matrimonio

In gioco la natura stessa del matrimonio
L’intervento di mons. Martin giunge a un mese dalla pubblicazione del documento pastorale dell’Episcopato sul significato del matrimonio. Nel documento si afferma che ciò che è in gioco con la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso non è “l’uguaglianza o la distinzione tra una visione religiosa e una visione civile del matrimonio”, ma la “sua stessa natura e l’importanza che la società attribuisce al ruolo delle madri e dei padri nell’educazione dei figli”, ribadendo che quindi che complementarietà uomo-donna è un elemento “intrinseco” dell’istituto matrimoniale. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Israele. Presidente Rivlin incontra leader religiosi cristiani

◊  

Si è svolto il 30 dicembre scorso, a cavallo tra il Natale dei cattolici di rito latino e quello delle Chiese orientali, l’incontro tra il nuovo presidente di Israele, Reuven Rivlin e i capi religiosi delle comunità cristiane che vivono sul suolo israeliano. A riferirlo è il sito Terrasanta.net - ripreso dall'agenzia Sir - per il quale il saluto al presidente Rivlin è stato pronunciato, a nome dei nove leader cristiani presenti, dal patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, il quale ha messo al centro del suo discorso il tema del dialogo, e la condanna di “ogni violenza, ogni atto di terrorismo o tentativo di perseguitare individui e comunità”.

Il dialogo riduce le tensioni e sradica i pregiudizi
Secondo il patriarca “per edificare una società basata sulla pace, la giustizia e la riconciliazione, abbiamo imparato la potenza del dialogo. Impegnarsi in un dialogo costruttivo non significa che dobbiamo risolvere ogni questione, o raggiungere un pieno consenso su ogni materia. La forza del dialogo sta precisamente nei frutti che porta. E il primo frutto di un genuino dialogo è uno spirito di comprensione più profonda. Il dialogo riduce le tensioni, sradica i pregiudizi e promuove la compassione. Questi frutti sono essenziali per la buona salute di una comunità umana”.  
Dialogo che le stesse comunità cristiane in Terra Santa devono ancora affinare, ma un cammino è stato fatto “per sradicare animosità e pregiudizi e per guarire le memorie del passato”.

Condannate le persecuzioni contro i cristiani in Medio Oriente
Stando ai comunicati ufficiali, il presidente Rivlin ha menzionato le persecuzioni in corso contro le minoranze religiose in Medio Oriente - chiaro, anche se non esplicito, il riferimento allo Stato Islamico. “A causa della loro fede - ha detto il Presidente di Israele - centinaia di migliaia di persone sono esiliate, convertite a forza, attaccate e brutalmente uccise. C’è una guerra contro l’estremismo. C’è una guerra scatenata da chi innalza il vessillo della distruzione e dell’odio contro chi invece proclama la libertà di culto e la coesistenza”.

2015 anno di comprensione e rispetto
“Possiamo, noi cristiani, musulmani ed ebrei, figli d’Abramo, insieme con tutti coloro che professano fedi differenti, - ha concluso - vedere il compimento della visione del profeta Isaia, secondo cui ‘un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, e non ci sarà più la guerra’. Che il 2015 possa essere un anno di amicizia e collaborazione. Che sia un anno di comprensione e rispetto reciproci”. (R.P.)

inizio pagina

Algeria: Natale e Moulud rafforzino dialogo cristiano-islamico

◊  

“E’ il momento di privilegiare ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide”: è quanto scrive mons. Claude Rault, vescovo della diocesi di Laghouat-Gardaïa, in Algeria, nella sua riflessione, pubblicata sul portale www.eglise-catholique-algerie.org sulle feste del Natale e del Mouloud, la nascita di Maometto, che quest’anno ricorre oggi, 3 gennaio.

Un “dialogo di vita”
“Le nostre differenze ci appaiono quasi inconciliabili quando ci lanciamo in paragoni di ordine ideologico o teologico. Ma a livello della vita quotidiana, degli atti semplici di devozione o anche delle pratiche religiose, siamo su un terreno più comune e più vitale” osserva il presule che cita i numerosi auguri ricevuti in occasione del Natale da tanti amici musulmani. “Sono sicuro che sapremo anche testimoniare la nostra vicinanza ai nostri amici in occasione della loro festa” aggiunge mons. Rault definendo questo scambio di auguri “dialogo di vita”, dialogo che invita a cogliere quanto può far crescere i legami fraterni tra cristiani e musulmani.

Fare crescere la nostra comune umanità
“La nostra esistenza è fatta di numerosi gesti, numerosi costumi, attraverso i quali esprimiamo la nostra fede – osserva il vescovo di Laghouat-Gardaïa –. E’ attraverso il cuore del nostro legame con Dio che ritroviamo il meglio. Quello che ci lega di più sono i nostri rapporti umani, la nostra preghiera semplice, le nostre relazioni rispettose, i nostri gesti d’aiuto e di mutua solidarietà”. Nel rispetto delle diverse identità, per il presule, ciò che di prezioso c’è da promuovere, preservare, rispettare, far crescere, è la comune umanità, la sua dimensione divina, l’adorazione “in spirito e verità”, come diceva Gesù alla samaritana. E provvidenziale mons. Rault definisce infine la prossimità quest’anno delle feste del Natale e del Mouloud, perché avvicinino sempre più cristiani e musulmani. (A cura di Tiziana Campisi)

inizio pagina

Diocesi Roma: dolore e sgomento per stato di fermo sacerdote

◊  

“Dolore e sconcerto” in Vicariato per lo stato di fermo del sacerdote romano, don Alessandro De Rossi, su mandato della magistratura argentina per fatti che risalirebbero al tempo in cui era missionario fidei donum nel Paese sud-americano. “Il sacerdote, che era tornato a Roma all’inizio del 2013 per motivi di salute, dopo aver trascorso vari anni in missione - si legge in una nota del Vicariato ripresa dall'agenzia Sir -, era accompagnato da un giudizio positivo da parte del vescovo locale; per questo motivo gli era stata affidata nel settembre 2013 la cura pastorale della parrocchia di San Luigi Gonzaga”.

I provvedimenti del Vicariato
Appresa la notizia, “il Vicariato ha provveduto ad affidare temporaneamente la cura pastorale della parrocchia ad altro sacerdote, in attesa di approfondimenti e della decisione della magistratura italiana, alla quale si esprime piena fiducia”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 3

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.