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Sommario del 08/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa celebra la Messa per le vittime della strage di Parigi

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Papa Francesco ha celebrato stamane a Santa Marta la Messa per le vittime dell’attacco di Parigi. Ieri la sua ferma condanna per "l’orribile attentato" e l’appello a opporsi al diffondersi dell’odio. Oggi ha lanciato anche un hashtag su twitter: "#PrayersForParis", preghiere per Parigi. Il servizio di Sergio Centofanti

Tanta crudeltà umana
Le prime parole del Papa all’inizio della celebrazione a Santa Marta sono per l’attacco di ieri nella sede del settimanale satirico "Charlie Hebdo", nel centro della capitale francese:

“L’attentato di ieri a Parigi ci fa pensare a tanta crudeltà, crudeltà umana; a tanto terrorismo, sia al terrorismo isolato, sia al terrorismo di Stato. Ma la crudeltà della quale è capace l’uomo! Preghiamo, in questa Messa, per le vittime di questa crudeltà. Tante! E chiediamo anche per i crudeli, perché il Signore cambi il loro cuore”.

Orribile attentato
Già ieri il Papa aveva espresso “la più ferma condanna per l’orribile attentato” che ha seminato “la morte, gettando nella costernazione l’intera società francese, turbando profondamente tutte le persone amanti della pace, ben oltre i confini della Francia”.

Opporsi al diffondersi della violenza
Papa Francesco – riferisce il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi –“partecipa nella preghiera alla sofferenza dei feriti e delle famiglie dei defunti ed esorta tutti ad opporsi con ogni mezzo al diffondersi dell’odio e di ogni forma di violenza, fisica e morale, che distrugge la vita umana, viola la dignità delle persone, mina radicalmente il bene fondamentale della convivenza pacifica fra le persone e i popoli, nonostante le differenze di nazionalità, di religione e di cultura. Qualunque possa esserne la motivazione, la violenza omicida è abominevole, non è mai giustificabile, la vita e la dignità di tutti vanno garantite e tutelate con decisione, ogni istigazione all’odio va rifiutata, il rispetto dell’altro va coltivato”.

Guarire le cause dell'odio
“Il Papa – prosegue padre Lombardi - esprime la sua vicinanza, la sua solidarietà spirituale e il suo sostegno per tutti coloro che, secondo le loro diverse responsabilità, continuano ad impegnarsi con costanza per la pace, la giustizia e il diritto, per guarire in profondità le sorgenti e le cause dell’odio, in questo momento doloroso e drammatico, in Francia e in ogni parte del mondo segnata da tensioni e violenze”.

Il Papa incontra l'arcivescovo di Parigi
Proprio oggi il Papa ha ricevuto l’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, cui ha indirizzato anche un messaggio esprimendo “la sua profonda vicinanza alle persone ferite” e alle famiglie di quanti sono stati colpiti dall’attentato, “chiedendo al Signore di recare loro conforto e consolazione in questa prova”.

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Tauran: violenza che minaccia tutte le libertà, imam d'accordo

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“Scioccati per l’odioso attentato” a Parigi, il cardinale Jean-Louis Tauran – presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso – e quattro imam francesi in visita in Vaticano hanno pubblicato una dichiarazione congiunta per condannare la strage alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo e ribadire la necessità del dialogo tra persone di diverse fedi. Nel documento si invitano inoltre i “credenti a manifestare attraverso l’amicizia e la preghiera la propria solidarietà umana e spirituale verso le vittime e le loro famiglie”. “Senza la libertà di espressione – si legge poi nella dichiarazione – il mondo è in pericolo”. Per questo, prosegue, “è imperativo opporsi all’odio e a tutte le forme di violenza che distruggono la vita umana”. I responsabili religiosi, avvertono il card. Tauran e gli imam, sono “chiamati a promuovere sempre una cultura di pace e di speranza”.Considerando “l’impatto dei mezzi di comunicazione – prosegue la nota – si invitano i loro responsabili a offrire una informazione rispettosa delle religioni, dei loro fedeli e delle loro pratiche, promuovendo così una cultura dell’incontro”. E concludono ribadendo che “il dialogo interreligioso permane la sola via da percorrere insieme per dissipare i pregiudizi”. Manuella Affejee ha chiesto al cardinale Jean-Louis Tauran cosa abbia provato di fronte a quanto accaduto:

R. – D’abord, c’est évidemment un dégout profond pour ce genre d’action, de crime…
Intanto, ovviamente profondo disgusto per questo tipo di azione, di crimine. Si tratta evidentemente di giovani completamente deviati. E’ terribile pensare che si possa pensare di risolvere i problemi con la violenza e perpetrare questi atti di violenza in nome di una religione. Credo che tutte le libertà siano minacciate …

D. – In questo clima si è svolta la visita in Vaticano di quattro imam francesi impegnati nel dialogo interreligioso. Avete firmato una Dichiarazione comune…

R. – Oui, bien, décidément ils ont été très choquées comme nous tous par ce qui est arrivé à Paris…
Naturalmente, erano profondamente sconvolti – come tutti noi – per quello che è successo a Parigi. In queste circostanze, hanno ricordato che il mondo è in pericolo quando non è garantita la libertà d’espressione. Che quindi è imperativo opporsi all’odio e ad ogni forma di violenza volta a distruggere la vita umana, che violi la dignità della persona e che mini la coesistenza tra le persone e i popoli. Noi abbiamo detto che i responsabili religiosi sono chiamati a promuovere innanzitutto una cultura della pace e della speranza, capace di vincere la paura e di costruire ponti tra gli uomini. Un aspetto che è stato messo in risalto nella dichiarazione è che – considerando l’impatto dei mezzi di comunicazione, come la televisione, in particolare – i membri della delegazione invitano i responsabili dei mezzi di comunicazione sociale a offrire un’informazione rispettosa delle religioni, dei loro adepti e delle loro pratiche per favorire la cultura dell’incontro. E poi abbiamo ribadito che il dialogo interreligioso rimane l’unica via percorribile per dissipare i pregiudizi. Due sono le strade: il dialogo o la guerra. Noi siamo “condannati” al dialogo.

D. – Lei pensa che il dialogo sia volontà generale, oppure che – ad eccezione di alcuni casi – si debba dialogare solo con alcune “eccezioni”?

R. – Vous savez, je crois que comme dans toutes choses, il y a du bon e du mauvais…
Vede, credo che come in tutte le cose ci sia il buono e il cattivo. La cosa particolarmente importante, quella prioritaria, è l’educazione: la scuola e l’università. Bisogna imparare a conoscersi, a comprendere quello che l’altro vive, cosa crede, quali sono i suoi valori, e questo suppone un lungo cammino che si fa attraverso la scuola. Credo molto nell’insegnamento della Storia nella maniera più oggettiva possibile, perché i problemi, i pregiudizi nascono dall’ignoranza.

D. – In linea con quello che lei ha appena detto, come evitare – in questo caso – la confusione, le mescolanze che sono a portata di mano in queste situazioni?

R. – Ah, bien, uniquement d’abord par la connaissance des fait et ensuite en parlant entre nous …
Certamente unicamente attraverso la conoscenza dei fatti e poi parlandone in seno alla comunità, dialogando. E’ molto importante prendersi il tempo di osservare gli altri, di ascoltarli, di comprendere la loro lingua, una sana curiosità, in definitiva …

D. – In una dichiarazione del 12 agosto 2014, lei aveva detto che tutti i leader religiosi avrebbero dovuto condannare gli atti di barbarie, gli atti di terrore commessi in nome di Dio, perché diversamente la credibilità del dialogo sarebbe stata inesistente. E’ sufficiente “condannare”? Cosa bisognerebbe fare di più?

R. – Je crois que depuis cet appel du mois d’août, il y a eu des progrès qui ont été réalisés …
Intanto, da questo appello del mese di agosto, ci sono stati dei progressi : i capi delle religioni musulmane si sono espressi in maniera piuttosto energica e penso che sia opportuno incoraggiarli ; ma è necessario anche comprendere che per loro, per un vero musulmano, è una grande umiliazione vedere la loro religione vilipesa in questo modo, perché associata alla violenza cieca …

D. – Eminenza, cosa vorrebbe dire a quei musulmani che possono ascoltarci?

R. – Je dirais que ce qui est important c’est que dans les prêches dans les mosquées, on incite toujours …
Direi che è importante che nei sermoni che si svolgono nelle moschee si inciti sempre al dialogo : infatti, la formazione dei musulmani in definitiva avviene nel momento della preghiera del venerdì e quindi quello è il luogo e l’occasione in cui si deve coltivare questa attenzione all’incontro e al dialogo. Quindi, è necessario preparare bene i sermoni …

Gli imam francesi, al termine dell’udienza generale di ieri, hanno incontrato il Papa che ha augurato loro di proseguire con coraggio l’impegno “al servizio della pace, della fraternità e della verità”. Xavier Sartre ne ha parlato con mons. Michel Dubost, vescovo d’Evry-Corbeil-Essonnes e presidente del Consiglio per le relazioni interreligiose della Conferenza episcopale francese: 

R. – E’ stato qualcosa di meraviglioso vedere il Papa domandare a degli imam musulmani francesi, in francese, “priez pour moi”, pregate per me. Questo è stato molto importante. Seconda cosa: tutta la giornata di ieri abbiamo vissuto il dramma dell’attentato di Parigi e l’abbiamo vissuto con questi imam che sono stati colpiti come francesi, ma anche come musulmani, accusati di fare qualcosa a favore della violenza. Questo è orribile, perché sono persone perbene e le accuse sono terribili. L’abbiamo vissuto con loro e per me è stato un momento molto importante.

D. – Questo dramma è pure la prova che il dialogo interreligioso, soprattutto tra cattolici e musulmani, è sempre più importante …

R. – Il dialogo è importante, Papa Francesco lo dice sempre. Il dialogo tra i cattolici e i musulmani è un esempio per tutti i dialoghi che devono esistere nella società.

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Il grazie degli yazidi a Papa Francesco: il sostegno continua

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina una delegazione della comunità mondiale degli yazidi. La delegazione era guidata dal capo di tutti gli Yazidi, Tahsin Said Ali Beg, e dal loro capo spirituale supremo, il “Baba Sheikh”, Skeikh Kato, residenti ambedue nel Kurdistan iracheno. Facevano parte della delegazione anche tre altri rappresentanti degli yazidi del Nord Iraq, della Georgia e della diaspora in Germania. Gli yazidi nel mondo sono circa un milione e mezzo, di cui circa mezzo milione in Iraq, altri vivono in Turchia, in Georgia, in Armenia e in diaspora in molti altri Paesi. Sono, insieme ai cristiani, tra le minoranze in Iraq costrette a lasciare la Piana di Ninive dalle violenze dei jihadisti del sedicente Stato islamico (Is).

“La Delegazione, ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi, ha ringraziato il Papa - indicato da uno dei delegati come ‘padre dei poveri’ per il suo sostegno per gli yazidi in questo tempo di persecuzione e sofferenza - ha informato sulla situazione delle circa cinquemila donne yazide ridotte in schiavitù dall’Isis, ha messo in risalto le buone relazioni fra gli yazidi e i cristiani e sulla loro reciproca solidarietà”.

“Il Santo Padre – ha proseguito padre Lombardi - ha assicurato ai delegati la sua vicinanza spirituale e il suo sostegno in questo tempo di prova, augurando che presto si possano ristabilire la giustizia e le condizioni per una vita libera e pacifica per gli yazidi, come per tutte le minoranze oggetto di discriminazione e violenza”.

L’incontro è durato oltre mezz’ora e si è svolto nella Biblioteca privata nel Palazzo Apostolico.

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Francesco: è l’amore la via per conoscere Dio, non basta l’intelletto

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Dio ci precede sempre nell’amore. E’ uno dei passaggi dell’omelia di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta con un gruppo di fedeli, la prima dell’anno 2015. Il Pontefice ha sottolineato che l’amore cristiano è fatto di opere concrete, non parole. Ed ha ribadito che per conoscere Dio non basta l’intelletto, è necessario l’amore. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Solo per la strada dell’amore si conosce Dio
In questi giorni dopo Natale, ha rilevato Francesco, la parola chiave nella liturgia è “manifestazione”. Gesù si manifesta: nella festa dell’Epifania, nel Battesimo e ancora alle nozze di Cana. Ma, si è chiesto il Papa, “come possiamo conoscere Dio?”. E’ proprio questo, ha annotato, il tema da cui parte l’Apostolo Giovanni nella Prima Lettura, sottolineando che per conoscere Dio il nostro “intelletto”, “la ragione” è “insufficiente”. Dio, ha soggiunto, “si conosce totalmente nell’incontro con Lui e per l’incontro la ragione non basta”. Ci vuole qualcosa di più:

“Dio è amore! E soltanto per la strada dell’amore, tu puoi conoscere Dio. Amore ragionevole, accompagnato dalla ragione. Ma amore! 'Ma come posso amare quello che non conosco?'; 'Ama quelli che tu hai vicino'. E questa è la dottrina di due Comandamenti: Il più importante è amare Dio, perché Lui è amore; Ma il secondo è amare il prossimo, ma per arrivare al primo dobbiamo salire per gli scalini del secondo: cioè attraverso l’amore al prossimo arriviamo a conoscere Dio, che è amore. Soltanto amando ragionevolmente, ma amando, possiamo arrivare a questo amore”.

L’amore di Dio non è una telenovela
Ecco perché, ha esortato, dobbiamo amarci “gli uni gli altri”, perché “l’amore è da Dio” e “chiunque ama è stato generato da Dio”. E ancora, ha soggiunto, per conoscere Dio bisogna amare:

“Chi ama conosce Dio; chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Ma non amore di telenovela. No, no! Amore solido, forte; amore eterno, amore che si manifesta – la parola di questi giorni, manifestazione – nel suo Figlio, che è venuto per salvarci. Amore concreto; amore di opere e non di parole. Per conoscere Dio ci vuole tutta una vita; un cammino, un cammino di amore, di conoscenza, di amore per il prossimo, di amore per quelli che ci odiano, di amore per tutti”.

L’amore di Dio è come il fiore del mandorlo
Francesco ha così osservato che non siamo stati noi a dare l’amore a Dio, ma è stato “Lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Nella persona di Gesù, è stata la sua riflessione, “possiamo contemplare l’amore di Dio” e seguendo il suo esempio “arriviamo – scalino per scalino – all’amore di Dio, alla conoscenza di Dio che è amore”. Richiamando poi il profeta Geremia, il Papa ha detto che l’amore di Dio ci “precede”, ci ama prima ancora che noi lo cerchiamo. L’amore di Dio, ha sottolineato, è come “il fiore del mandorlo”, che è “il primo a fiorire in primavera”. Il Signore “ci ama per primo”, “sempre avremo questa sorpresa”. Ed ha osservato che “quando noi ci avviciniamo a Dio attraverso le opere di carità, la preghiera, nella Comunione, nella Parola di Dio”, “troviamo che Lui è lì, per primo, aspettandoci, così ci ama”.

L’amore di Dio ci aspetta sempre
Il Papa ha così rivolto il pensiero al Vangelo odierno che narra della moltiplicazione dei pani e dei pesci da parte di Gesù. Il Signore, ha affermato, “ebbe compassione” della tanta gente che era andata ad ascoltarlo, perché “erano pecore che non avevano pastore, disorientate”. Ed ha rilevato che anche oggi tanta gente è “disorientata” nelle “nostre città, nei nostri Paesi”. Per questo, Gesù insegna loro la dottrina e la gente lo ascolta. Quando poi si fa tardi e chiede di dare loro da mangiare, però, i discepoli rispondono “un po’ innervositi”. Ancora una volta, ha commentato il Papa, Dio è arrivato “primo, i discepoli non avevano capito niente”:

“Così è l’amore di Dio: sempre ci aspetta, sempre ci sorprende. E’ il Padre, è nostro Padre che ci ama tanto, che sempre è disposto a perdonarci. Sempre! Non una volta, 70 volte 7. Sempre! Come un padre pieno di amore e per conoscere questo Dio che è amore dobbiamo salire per lo scalino dell’amore per il prossimo, per le opere di carità, per le opere di misericordia, che il Signore ci ha insegnato. Che il Signore, in questi giorni che la Chiesa ci fa pensare alla manifestazione di Dio, ci dia la grazia di conoscerLo per la strada dell’amore”.

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Joël Mercier nuovo segretario Congregazione per il Clero

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Il Papa ha nominato segretario della Congregazione per il Clero mons. Joël Mercier, finora officiale della Congregazione per i Vescovi, elevandolo in pari tempo alla Sede titolare di Rota, con dignità di arcivescovo.

Mons. Joël Mercier è nato il 5 gennaio 1945 in Francia, a Chaudefonds-sur-Layon, nella diocesi di Angers. Dopo gli studi secondari, ha cominciato gli studi superiori in Lettere Classiche a Parigi presso l'Università La Sorbonne e poi, nel 1964, è entrato nel Seminario Universitario di Angers, ottenendo il Baccalaureato in Filosofia e la Licenza in Teologia presso la Facoltà di Teologia dell'Université Catholique de l'Ouest a Angers.

E' stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1970 per la diocesi di Angers. Dal 1971 al 1974 ha completato la formazione presso l'Università Gregoriana a Roma, dove ha conseguito la Licenza e il Dottorato in Diritto Canonico. Ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali nella diocesi di Angers: vicario parrocchiale nella parrocchia Saint-Joseph a Angers (1974‑1979); cappellano di Collegi e di Licei cattolici a Angers (1979‑1987); segretario del vescovo di Angers (1987‑2001). Nello stesso tempo, dal 1975, è stato membro del Tribunale ecclesiastico dei "Pays de Loire" e, dal 1980, insegnante presso la Facoltà di Teologia di Angers.

Dal gennaio 2002 è officiale della Congregazione per i Vescovi e dal settembre 2007 direttore spirituale al Seminario Francese a Roma. Il 31 ottobre 2005 è stato nominato cappellano di Sua Santità.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto stamani il card. Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi); il card. Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta; mons. Santiago Olivera, vescovo di Cruz del Eje (Argentina) e l'onorevole Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio.

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Francesco in Sri Lanka e Filippine: intervista con il card. Parolin

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Sono «due i punti di forza» della missione della Chiesa nel continente asiatico: «le attività caritative nel campo della salute e dell’educazione»; e il dialogo tra le religioni che «è fondamentale per la pace oggi nel mondo e che quindi diventa un dovere di tutte le religioni». Lo afferma il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, nell’intervista realizzata dal Centro Televisivo Vaticano in collaborazione con L’Osservatore Romano alla vigilia del viaggio del Pontefice in Sri Lanka e Filippine: 

D. - Papa Francesco ritorna in Asia a cinque mesi dalla visita in Corea, dove ha indicato nel dialogo interreligioso la prima missione della Chiesa nel Continente. Ritiene che anche in questi due Paesi così diversi insisterà su questo punto?

R. - La missione della Chiesa nelle Filippine e nello Sri Lanka è quella della Chiesa in tutto il mondo: annunciare il Vangelo, proclamare la buona notizia di Gesù che è fonte di vita e di speranza per tutti gli uomini. Tenendo conto naturalmente del contesto nel quale essa si trova a vivere e a operare. Un contesto caratterizzato da una molteplicità, quasi da un mosaico di società, di culture e di religioni. Il continente asiatico è la culla delle grandi religioni del mondo. E poi tenendo conto del fatto che la Chiesa è una piccola minoranza, un piccolo gregge in mezzo a questa realtà così vasta. E allora anche questa missione dovrà modularsi in base a queste caratteristiche. Mi sembrano due i punti di forza di questa missione: da una parte l’aspetto delle attività caritative e umanitarie nel campo della salute e dell’educazione che già riscuotono grande apprezzamento presso l’intera popolazione e i Governi dei vari Paesi; e sull’altro versante l’aspetto del dialogo interreligioso: promuovere e consolidare sempre più l’incontro, il rispetto e l’accettazione reciproca, tenendo conto anche di quello che il Papa dice nell’Evangelii gaudium che il dialogo interreligioso è fondamentale per la pace oggi nel mondo e che quindi diventa un dovere di tutte le religioni. Questo sarà un punto nodale, focale dell’attenzione del Papa durante il viaggio.

D. - Nello Sri Lanka purtroppo le differenze etniche e religiose continuano a essere motivo di tensione tanto che nel Paese si è sviluppato persino un fondamentalismo buddista. Qual è in questo scenario complesso la missione, il compito dei cristiani?

R. - A me sembra che se c’è un luogo nel quale si deve parlare di una funzione di ponte è proprio nello Sri Lanka. Ed è proprio nella Chiesa nello Sri Lanka. Anche perché la Chiesa è facilitata in questo suo compito dal fatto che raccoglie membri, raccoglie fedeli da entrambe le etnie principali, sia dai tamil sia dai cingalesi, e quindi la Chiesa conosce un po’ quello che c’è nel cuore di ognuno e conosce anche le aspettative; e quindi può svolgere questo compito, questa funzione di riconciliazione, di dialogo e di collaborazione. Però vorrei sottolineare anche il fatto che lo Sri Lanka tradizionalmente ha conosciuto un grande sviluppo di questa armonia religiosa fra le varie religioni, si è sempre caratterizzato per questo incontro, per questo dialogo. Purtroppo, ultimamente sono sorti dei gruppi estremisti che manipolano un po’ l’opinione pubblica e creano tensione utilizzando la religione per scopi che non sono chiari. Noi auspichiamo appunto che questa tradizione che c’è di dialogo interreligioso e di collaborazione possa prevalere su questi nuovi tentativi di destabilizzare la situazione e nello stesso tempo auspichiamo anche che le autorità possano intervenire proprio per preservare questi che sono valori fondamentali della popolazione.

D. - Il Papa visiterà anche il santuario di Madhu nella regione a prevalenza Tamil. Qual è l’itinerario che deve seguire il cammino di riconciliazione dopo tanti anni di guerra che hanno seminato numerosissime vittime?

R. - Direi che Madhu è un po’ il simbolo di questa “Chiesa ponte” di cui parlavo, proprio perché è un centro di preghiera ed è anche un centro di incontro. Il santuario di Madhu è conosciuto e apprezzato e frequentato anche da membri di altre religioni, non solo dai cattolici. Ricordiamo poi anche gli episodi legati alla guerra civile, quando Papa Benedetto chiese all’allora presidente della Repubblica di fare di tutto per preservare l’incolumità di quel santuario proprio per questa sua caratteristica: si trovava allora sulla linea del fronte fra i due gruppi che si combattevano, ed era diventato un centro di presenza di molti sfollati da entrambe le parti. Credo che Papa Francesco, come ha fatto l’8 febbraio, quando ha incontrato la comunità srilankese in San Pietro, ricorderà tutti questi episodi dolorosi, le tante lacrime, lui diceva, che sono state versate a causa della violenza e della crudeltà del conflitto. Non tanto per riaprire ferite, quanto piuttosto per lanciare uno sguardo al futuro. Questo impegno di riconciliazione deve caratterizzare tutte le componenti della società dello Sri Lanka. Un impegno di riconciliazione che passa attraverso il riconoscimento della verità. Credo siano queste le tappe: un’attenzione alla giustizia e una collaborazione di tutti per il bene comune.

D. - Le Filippine sono l’unico Paese a maggioranza cattolica dell’Asia. Come si può valorizzare la presenza di questa Chiesa giovane e dinamica all’interno del continente?

R. - Mi hanno detto proprio ieri sera dei filippini che sono tornati in questi giorni dal loro Paese, che in queste settimane c’è veramente una preghiera corale intensissima in preparazione alla visita del Papa. Queste sono premesse molto positive. Credo che la valorizzazione passi attraverso il riconoscimento del ruolo che la Chiesa nelle Filippine ha sia nel contesto asiatico e del Sudest asiatico sia nel contesto mondiale. Il Papa vuole con questo viaggio, in continuazione appunto con quello in Corea, concentrare l’attenzione della Chiesa su questa realtà; e nello stesso tempo anche inserirsi in quel cammino di nove anni che ci sta portando alla celebrazione del quinto centenario dell’arrivo del Vangelo nelle Filippine, nel 1521. E quest’anno è l’anno dedicato ai poveri. Allora la centralità deriva dal numero: cioè le Filippine sono uno dei Paesi del Sudest asiatico dove la maggioranza della popolazione è cattolica. Dico uno, perché c’è anche Timor Est, dove il novanta per cento della popolazione è cattolica: non dobbiamo dimenticare anche questo. Le Filippine sono stato anche geograficamente un po’ il centro: basti pensare a quanti incontri importanti vi si sono svolti, a partire dalla visita del beato Paolo VI nel 1970, che poi diede anche origine alla costituzione della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche. Credo che l’altro punto importante sia la centralità delle Filippine per esempio per gli studi di tantissimi giovani che da vari Paesi asiatici limitrofi vengono per approfondire la loro formazione che si dà nelle differenti università cattoliche del Paese. E infine c’è anche l’irradiazione dei filippini nel mondo: sappiamo come i filippini siano presenti in tantissimi Paesi dell’Asia, ma anche dell’America e dell’Europa. Quindi le potenzialità di evangelizzazione delle Filippine sono molteplici, l’importante è che la Chiesa nelle Filippine accolga questo messaggio e questo impulso dato da Papa Francesco a essere una Chiesa in uscita: una Chiesa che sente il compito di evangelizzazione e di annuncio del Vangelo.

D. - Il tema sarà misericordia e compassione e Papa Francesco le mostrerà e le chiederà per le vittime dei tifoni e dei terremoti, ma anche per le vittime di povertà, ingiustizie e corruzione…

R. - Questo è un po’ il tema del viaggio: mostrare compassione, mostrare misericordia nei confronti delle tante persone che soffrono, che soffrono per le calamità naturali, soprattutto nelle Filippine; che soffrono per ingiustizie strutturali, come sono la povertà e la corruzione; che soffrono anche per le conseguenze ancora vive del conflitto civile. È una misericordia, una compassione che guarisce, in primo tempo. Quindi è questo un po’ il senso della presenza del Papa: portare un elemento, una dimensione di guarigione e di conforto in questa situazione. E nello stesso tempo — proprio perché in questo senso la misericordia e la compassione sono elementi attivi — richiamare tutti a dare il proprio contributo affinché queste ferite possano essere rimarginate e questi dolori possano essere confortati e soprattutto si possano superare le cause che li hanno provocati.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, “Violenza abominevole. Papa Francesco prega per le vittime del feroce attentato a Parigi. E si susseguono le dichiarazioni di condanna e solidarietà”.

Francia ferita. Si cercano ancora gli autori dell’eccidio nella sede di «Charlie Hebdo». A fondo pagina, “Vicini nella prova”; il Papa ha ricevuto una delegazione degli yazidi.

Nelle pagine della cultura, Agostiniano convinto e convincente, un ricordo di padre Trapè nel centenario della nascita, Montano d’Arezzo e la sua rivoluzione, un articolo del direttore dei Musei Vaticani sull’autore della «Maestà» di Montevergine.

Nella pagina seguente “Umano troppo umano” di Dario Fertilio, una chiave interpretativa della violenza terroristica, e "Turisti non per caso" di Gabriele Nicolò, il grande racconto del viaggio in Italia da Guy de Maupassant a Edith Wharton.

A pagina sette, “Il Signore cambi il cuore dei crudeli”; è in suffragio delle vittime dell’attentato terroristico avvenuto a Parigi che Papa Francesco ha celebrato, giovedì mattina 8 gennaio, la messa nella cappella della Casa Santa Marta. Lo ha detto egli stesso all’inizio del rito, manifestando tutto il suo dolore per questo feroce e vile atto, esprimendo una particolare vicinanza ai familiari delle persone rimaste uccise o ferite e pregando perché possa cambiare il cuore degli attentatori.

A fondo pagina, Misericordia e dialogo, un’intervista al cardinale Pietro Parolin sul viaggio del Papa in Sri Lanka e Filippine.

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Oggi in Primo Piano



Lutto in Francia dopo la strage a Parigi, caccia ai killer

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Lutto nazionale in Francia, mentre continuano le indagini per assicurare alla giustizia gli autori del barbaro attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Si cercano ora i 2 fratelli jihadisti franco-algerini sospettati di essere i killer delle 12 vittime, mentre un 18enne, considerato l’autista degli attentatori si è recato al commissariato di polizia per attestare la sua estraneità ai fatti e i suoi compagni dicono che ieri era regolarmente a scuola. In mattinata c’è stata una sparatoria nel sud di Parigi, morta una poliziotta, mentre nessuna vittima si registra nell’esplosione vicino una moschea nei pressi di Lione. Secondo alcune fonti, i due ricercati per l'attacco a Charlie Hebdo sarebbero ora barricati in un'abitazione a nordest di Parigi. Intanto a Reims, restano in stato di fermo cinque persone collegate all'inchiesta, tra cui la sorella dei due ricercati, suo marito e la moglie di uno di loro. Il servizio di Fausta Speranza: 

I ricercati, i due fratelli franco-algerini con precedenti di teppismo e vicinanza al mondo islamico radicale, sarebbero in un'abitazione della cittadina di Crepy-en-Valois, a circa 70 chilometri a nordest di Parigi. Sul posto è in corso un'operazione ma non c’è alcuna conferma da parte di autorità. Per tutta Parigi, sono decine i posti di blocco, blindato l'Eliseo. E’ caccia anche alla persona sospettata di essere l'autore della sparatoria in cui questa mattina a sud di Parigi è morta una agente di polizia. Alibi di ferro, invece, per il giovane Amid Mourad di 18 anni, inizialmente chiamato in causa: si è costituito in nottata presentando le testimonianze dei compagni di scuola, dove si trovava al momento dell’attentato. Resta da dire che il giorno dopo la strage a Charlie Hebdo, la Francia si è fermata per un minuto di silenzio in segno di lutto. Diversi gli episodi violenti anti islamici: il più grave, a Le Mans, nella regione della Loira, dove una moschea è stata attaccata con granate ma non ci sono feriti. Si prova a reagire. Il settimanale fa sapere che sarà regolarmente in edicola la prossima settimana con un numero simbolico. Annunciata una manifestazione nazionale domenica. E in molti auspicano massiccia partecipazione del mondo musulmano.

La Francia è sotto shock, ma la gente cerca di reagire. In programma per oggi una seconda manifestazione sia in Place de la Republique che in tante altre piazze del mondo per continuare a manifestare in favore della libertà di espressione. Sul clima che si respira a Parigi, Cecilia Seppia ha raccolto la testimonianza di Thomas Chabolle, già nostro collega alla Radio Vaticana: 

R. – Credo che la parola principale, la parola chiave di questi giorni sia la costernazione, ed è questa la parola anche che possiamo leggere questa mattina sui visi delle persone, nelle strade. Ancora la gente è sotto shock. Ovviamente, la vita rimane quella che è: la gente è in strada, i negozi sono aperti, però si sente che i francesi sono stati veramente feriti, toccati a morte con questo atto terroristico. Si è creato un clima di grande tristezza qui nel Paese e nella capitale.

D. – Dopo l’attentato di ieri al giornale, anche quello di questa mattina vicino la moschea e poi nel Sud di Parigi dove è rimasta uccisa una poliziotta, quindi grande clima di tensione: ci sono agenti in strada, sono state intensificate le misure di sicurezza?

R. – Sì: in questo momento ci sono tantissimi poliziotti. Posso dire che questa mattina, con la moto, ho preso la famosa Rue de Rivoli: ad ogni incrocio c’era un poliziotto a sorvegliare il traffico, ma ovviamente preposto alla sicurezza. Bisogna sapere che il ministro degli Interni ha attivato il “plan Vigipirates” antiterrorismo, che è il massimo della sicurezza qui, in Francia. Anche sui Champs Elysées: adesso sono molto vicino e posso confermare che dal posto in cui mi trovo vedo una decina di macchine della polizia. Penso che andrà avanti così per più giorni.

D. – Stanotte c’è stata anche una grande manifestazione per la democrazia, la libertà; oggi ce n’è in programma un’altra. Tu eri lì: come si è svolta, questa manifestazione?

R. – Eravamo più o meno 35 mila persone, riunite – questo è importante – in maniera spontanea. Quindi, non c’è stato nessun richiamo politico, della serata di ieri: sono tutti venuti in calma per testimoniare la loro rabbia, la loro indignazione dopo questo attentato. Abbiamo visto, sulla piazza, gente che alzava delle penne, delle tessere dei giornalisti perché, lo sappiamo, sono stati uccisi dei giornalisti, dei caricaturisti: la matita poi è il simbolo del disegno. E loro hanno alzato in alto la matita, ma anche le foto di questi caricaturisti – va ricordato – tra i più famosi di Francia e nel mondo …

D. – Anche la scritta “Je suis Charlie”, che ha fatto il giro del mondo viaggiando su Twitter, Facebook come per dire “siamo tutti come Charlie”, per esprimere solidarietà al popolo francese … Avete accolto la solidarietà della comunità internazionale, del mondo intero, l’avete sentita?

R. – Sì … guardavo i luoghi dove la gente si riunirà in solidarietà al giornale, e ho visto che sono previste manifestazioni, negli Stati Uniti, ma anche in Europa: in Germania, in Italia … a Roma, alle 18 faranno qualcosa a Piazza Farnese; ho letto delle manifestazioni spontanee, in Germania, in Inghilterra, ma anche in Svizzera … credo che questa scritta “Je suis Charlie” sia stata fortissima e ripresa ovunque nel mondo … Vedevo anche su Facebook, su Twitter: le persone hanno tolto le loro foto dal profilo e al loro posto compare appunto “Je suis Charlie”, in molti hanno aderito. Quindi, vedo una grande solidarietà per il giornale, per le famiglie addolorate.

D. – Quello che ha colpito in modo particolare in piazza è stata la presenza dei giovani, sia adolescenti, sia universitari, che hanno voluto essere lì proprio per manifestare in favore della libertà di espressione …

R. – C’erano tantissimi giovani in piazza, ieri sera! C’erano – penso – più giovani che persone adulte; giovani che si sono anche riuniti sotto il nome delle scuole che frequentano: vedevo gli slogan delle scuole di giornalismo, delle università di giornalismo a Parigi, tipo il Cfj - “Centre de formation des journalistes” - o ancora le scuole d’arte, come l’Ecole Estienne. Oppure, anche, ho visto giovani che alzavano cartelli con la scritta “Union des Etudiants juifs de France”, cioè l’Unione degli studenti ebrei di Francia … Quindi, tantissimi sono stati i giovani che sono venuti ieri sera spontaneamente.

L’attacco terroristico del 7 gennaio a Parigi è stato paragonato a quello storico dell’11 settembre negli Usa. Fabio Colagrande ne ha parlato con padre Laurent Basanese, gesuita,  docente di Teologia araba cristiana e Islamistica alla Pontificia Università Gregoriana, che in questi giorni si trova presso la facoltà dei gesuiti della capitale francese: 

R. – Perché semplicemente ci sono già vari fattori comuni. Per esempio, erano tutti islamici, cioè musulmani; hanno preso il giornale di sorpresa, anche se erano protetti da anni, dal 2006, dalla pubblicazione di caricature su Maometto sul giornale; poi in piena città, a mezzogiorno… E c’è anche l’ampiezza dell’emozione: cioè, qui a Parigi c’è stata grande mobilitazione della gente, tutte le città per dire “Basta” e “Sosteniamo Charlie Hebdo”, “Je suis Charlie”… Però, come diceva un ufficiale del ministero dell’Interno, alcuni mesi fa, la domanda non è se la Francia sarà colpita dai terroristi islamici, ma quando? Quindi, non è tanto una sorpresa, neanche per me.

D. - Questo anche per la partecipazione della Francia all’impegno militare contro il sedicente Stato islamico?

R.  – Sì, ha contribuito ad alimentare sempre di più l’odio contro la Francia, o l’Europa in generale. Ricordiamo che la Francia era il Paese nominato dopo gli Stati Uniti nel discorso del Califfo Al-Baghdadi a Mossul quando ha parlato a luglio scorso. Quindi sì, sicuramente contribuisce.

D.  –  Ora si riparla di un Occidente sotto attacco da parte dell’islam. In Italia molti citano i libri, gli appelli non ascoltati di un intellettuale come Oriana Fallaci. Cosa ne pensa lei?

R. – Sì, è vero che da alcuni anni l’Europa non era colpita. Però, dobbiamo ricordare che abbiamo avuto New York, Madrid, Londra. L’ultima volta nel 2005, quindi 10 anni dopo, riprende. Ma l’odio, di questi movimenti contro l’Occidente, non è mai diminuito, c’è sempre stato. E’ sempre stato alimentato da discorsi nei Paesi arabi o altrove, discorsi nelle moschee, nelle prediche, su Internet. Quindi c’è sempre stato un loro “cibo particolare” per continuare ad alimentare sogni di conquista, di fare tacere l’Europa, etc.

D.  – Da un punto di vista di credenti, di cattolici, come dobbiamo considerare questa sfida contro il terrorismo islamista?

R. – E’ una sfida e come tutte le sfide bisogna pensare: cioè, non basta condannare. Condannare è la cosa più semplice, la cosa normale, naturale e immediata ma è il minimo. E’ veramente il minimo. Non basta condannare. Bisogna risolvere i problemi alle radici e questo è anzitutto il compito dei musulmani, degli uomini di legge e anche gli uomini di dialogo. Va bene, condanniamo, ci raduniamo, facciamo una dichiarazione comune, però dobbiamo andare alle radici se no cadiamo nell’ipocrisia, nel doppio discorso, perché sentiamo dappertutto che l’islam pretende di essere una religione di pace ma non lo vediamo. Quindi non basta dire che l’islam è una religione di pace, bisogna provarlo. E’ anzitutto un problema intellettuale e spirituale, e poi sociale e politico.

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Is. Denuncia Unicef: bambini senza diritti, assistono a orribili crimini

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I piani strategici del sedicente Stato islamico per la presa del potere non risparmiano l’infanzia. Secondo quanto denuncia l’Unicef sarebbero centinaia di migliaia i bambini coinvolti nel piano di chiusura delle scuole nelle zone conquistate dall’Is. Roberta Gisotti ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia: 

R. – In Siria si stima che circa 670 mila bambini vengano privati dell’educazione, dopo che le forze del sedicente Stato Islamico hanno ordinato la chiusura delle scuole per cambiare i piani di studio. A dicembre c’è stato un decreto dell’Is, che ordinava di fermare l’educazione nelle zone sotto il suo controllo, perché i programmi di studio dovevano essere rimodellati o ripensati. Quindi i bambini iscritti alle scuola elementari e secondarie delle zone di Al-Raqqa e Deir el-Zor, specialmente nelle zone rurali, e nella periferia di Aleppo sono stati coinvolti da queste chiusure.

D. – Questo contraddice i diritti fondamentali dei bambini…

R. – Sì! L’accesso all’istruzione è un diritto che deve essere sostenuto per tutti i bambini, indipendentemente da dove vivono o quanto siano difficili le circostanze in cui vivono. In questo caso le scuole sono un punto di stabilità per i bambini che vivono - non dimentichiamolo! - come i bambini siriani, più che mai in un momento di grandissima difficoltà, perché c’è un conflitto che entra nel suo quinto anno. E’ un fatto fondamentale per la loro esistenza. Non dimentichiamo neanche che ci sono stati 160 bambini uccisi e circa 350 rimasti feriti negli attacchi alle scuole in Siria solo lo scorso anno, ed è un bilancio che probabilmente rappresenta una stima al ribasso, proprio perché c’è una difficoltà di accesso ai dati. Oltre a questo non dimentichiamo che questo è un conflitto che fino ad oggi ha prodotto oltre 3 milioni di rifugiati, di cui la metà sono bambini. Quindi è una situazione di privazione di diritto allo studio che si va ad aggiungere ad un dramma che sembra non finire…

D. – Che cosa si può fare? Forse mettere in evidenza questo aspetto dei bambini può servire ad indicare la follia del progetto dello Stato Islamico…

R. – Io partirei da un dato fondamentale: le scuole devono essere rispettate come delle zone di pace e di rifugio sicuro, dove i bambini possono imparare senza paura e non vi devono - purtroppo - morire o essere feriti. L’Unicef, in questi mesi, ha invitato tutte le parti in conflitto a sostenere la responsabilità di proteggere i bambini, le scuole, le infrastrutture da questo conflitto. Ed è un appello che noi ripetiamo con grande urgenza proprio in questi giorni e in queste ore. Purtroppo – anche questo non dobbiamo dimenticarlo – c’è questa nuova forma di "reclutamento 2.0", che avviene proprio ai danni dei bambini reclutati come soldati dall’Is attraverso la Rete, che viene utilizzata per incitare la jihad; inoltre i bambini sono spesso costretti a subire situazioni molto gravi, come l’osservare crocifissioni, uccisioni, flagelli in qualsiasi luogo questi vengano presi, portati o appunto reclutati. Il dato fondamentale – secondo me – deve emergere in queste ore è che purtroppo tutte le recrudescenze di odio cui assistiamo vengono anche da conflitti come quello siriano, che dura da cinque anni e che non trova soluzione. La pace purtroppo, ancora una volta, è lontana e le conseguenze, specie sui bambini, sono enormi.

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Acnur: aumentano le persone in fuga, soprattutto i siriani

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Nel mondo sono in aumento le persone in fuga. Lo rivela il nuovo rapporto "Mid-Year Trends 2014" dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur). Con la guerra che incendia ampie aree del Medio Oriente, dell'Africa e non solo, il documento stima che 5,5 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case nei primi sei mesi del 2014. Di queste, 1,4 milioni sono fuggite attraverso i confini internazionali, divenendo rifugiate, mentre il resto è sfollato all'interno dei propri Paesi. In generale, il numero delle persone assistite dall’Unhcr si è attestato a 46,3 milioni intorno alla metà dell’anno passato, circa 3,4 milioni in più rispetto alla fine del 2013. Giada Aquilino ne ha parlato con Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati: 

R. – Già nel rapporto dell’anno scorso avevamo visto che era stato raggiunto il numero più alto di persone in fuga dalla Seconda Guerra Mondiale. Questo numero è destinato, purtroppo, a essere superato: il motivo principale è dato dalla terribile crisi siriana che continua, che è entrata nel suo quarto anno e che non vede una soluzione all’orizzonte.

D. – Per la prima volta, appunto, i siriani sono diventati la più grande popolazione di rifugiati sotto il mandato dell’Acnur: per oltre 30 anni erano stati gli afghani. Che fattori hanno inciso? E come si assiste queste persone?

R. – Metà della popolazione siriana è in fuga. In media, ogni siriano è scappato almeno dieci volte nella propria vita. Quindi si parla di quasi oltre 9 milioni di persone che sono fuggite e che sono scappate prevalentemente nei Paesi vicini alla Siria: Libano, Giordania, Turchia e Iraq. Poi è scoppiata un’altra crisi e quindi le persone si sono trovate a fuggire anche all’interno dell’Iraq. In particolare, in questo momento, i rifugiati stanno vivendo ore terribili perché è in corso una tempesta che sta attraversando tutto il Medio Oriente, che ha abbassato tantissimo le temperature. E’ tutto completamente coperto di neve e noi in questo momento stiamo portando aiuti che permettano a tutti di affrontare l’inverno: dalle stufe alle coperte, agli isolanti per le abitazioni, ai fornelli per cucinare, agli abiti, al cibo, a tutto quello di cui hanno bisogno.

D. – Lei ha parlato di Paesi ospitanti. Cosa comporta accogliere queste persone per Paesi come, ad esempio, il Libano, la Turchia, la Giordania?

R. – Un enorme cambiamento; uno sbilanciamento molto forte, sia a livello di risorse sia anche in termini di equilibrio sociale: pensiamo ad esempio che in Libano ogni quattro persone una è un rifugiato siriano. La proporzione per noi è inimmaginabile. Ci sono 300 mila bambini libanesi che vanno a scuola e 400 mila bambini siriani che devono andare a scuola in Libano…

D. – Ci sono anche altre realtà critiche, come la Somalia, il Sud Sudan, tutte legate a guerre o a situazioni d’emergenza. Qual è l’appello dell’Acnur alla comunità internazionale?

R. – Che si ritrovi la capacità di leadership per prevenire e trovare soluzioni ai conflitti.

D. – Ai dati sulle persone in fuga vanno poi aggiunti quelli relativi alle vittime dirette delle guerre o ai morti lungo le rotte delle migrazioni: cosa attendersi per il futuro?

R. – Continuiamo ad assistere alla tragedia ulteriore di veder morire persone che nella loro fuga dalla guerra sono costrette a dover attraversare il Mare Mediterraneo, nel nostro caso, e tante di queste persone hanno come ultima risorsa quella di cercare un tentativo di salvezza in Europa. In particolare, per i rifugiati siriani non esiste alcun modo legale di entrare in Europa e chiedere protezione e questo fa sì che si imbarchino su mezzi pericolosissimi – navi, barche, gommoni – mettendo a rischio la propria vita. Purtroppo, nel 2014, più di 3.500 persone sono morte così.

D. – Cos’è mancato, finora, nelle varie missioni internazionali?

R. – Dal punto di vista dell’accoglienza in Europa, quello che noi chiediamo è che si riprenda la capacità di salvare persone in mare ai più alti livelli di efficacia. Che si faccia un lavoro di salvataggio in mare che abbracci la più ampia porzione possibile del Mediterraneo. E che si prevedano anche modalità per fare arrivare i rifugiati in modo legale e sicuro nel nostro Continente.

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Nella Chiesa e nel mondo



Attentato di Parigi condannato dal mondo islamico

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Studiosi, istituzioni religiose ed educative, leader politici e governi del mondo islamico sono uniti nella condanna dell’attacco alla sede del settimanale francese Charlie Hebdo, che ieri a Parigi ha provocato 12 morti.

Al Azhar denuncia la violenza
Al Azhar, la più alta istituzione religiosa egiziana, considerata autorevole espressione dell’Islam sunnita - riporta l'agenzia Misna - ha sconfessato gli autori del “criminale attacco armato” in una dichiarazione diffusa dalla stampa. La religione islamica, vi si legge, “denuncia qualsiasi violenza”. Anche vari autorevoli studiosi di tutto il mondo hanno seguito questa linea.

Traditi i valori dell'islam
Rilevante la presa di posizione di Tariq Ramadan, pensatore residente a Ginevra e nipote del fondatore dei Fratelli musulmani Hasan al-Banna, che ha affidato a Twitter la sua presa di posizione. “Contrariamente a quanto sarebbe stato detto dagli assassini dell’attacco contro la sede di Charlie Hebdo, non è il Profeta che è stato vendicato, ma è la nostra religione, i nostri valori e i principi islamici che sono stati traditi e disonorati”, si legge sul suo profilo. “No, no, no! La mia condanna è assoluta e la mia rabbia è profonda rispetto a questo orrore”, ha scritto ancora Ramadan.

Offese a Maometto non giustificano il terrorismo
Di “crimine barbaro e orribile” che “non può essere giustificato da alcuna religione” ha parlato invece Wael Shihab, esperto di sharia del sito onislam.net, augurandosi che “i colpevoli siano assicurati alla giustizia”. Stessa condanna della violenza nelle parole di Khaled Hanafy, che guida il Consiglio degli studiosi islamici in Germania e ha invitato a reagire ad eventuali “insulti al Profeta” attraverso “il pensiero, l’arte e le opinioni, non con l’assassinio e il terrorismo”. 

Condanne di Lega Araba e Paesi arabi
Non sono mancate le prese di posizione del mondo politico: la più importante è arrivata dal segretario della Lega araba Nabil al-Arabi, che ha “condannato fermamente l’attacco terroristico”, così come hanno fatto separatamente vari governi tra cui quello saudita e quello libanese. Parole di condanna sono giunte anche dall’Associazione dei giornalisti siriani, vicina all’opposizione, che si oppone “fortemente a qualunque giustificazione per questo crimine che viola i valori umani e i principi di base di qualunque religione”. (R.P.)

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Rapporto Onu: nel mondo lavorano 168 milioni di minori

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Attualmente in tutto il mondo lavorano 168 milioni di minori. Tra questi 115 milioni tra i 5 e i 17 anni di età sono impegnati in lavori considerati ad alto rischio, come minatori, agricoltori, muratori, lavoratori domestici e nei bar.

22mila bambini muoiono per incidenti sul lavoro
Secondo una nota dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), ripresa dall’Agenzia Fides, ogni anno muoiono in tutto il mondo 22 mila bambini e bambine a causa di incidenti sul lavoro, mentre non si conosce il numero di quanti rimangono feriti o si ammalano a causa del lavoro che svolgono. 
La mancanza di misure di sicurezza e sanitarie porta spesso ad un numero maggiore di incidenti, mortali e no, a disabilità permanenti, cattiva salute, danni psicologici, comportamentali ed emotivi.

Lo sfruttamento nel settore agricolo
L’organismo internazionale, con sede centrale a Ginevra, segnala che il fenomeno è diffuso sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo e, spesso, i piccoli iniziano a svolgere lavori pericolosi in una fascia di età molto prematura. Il settore agricolo continua ad essere quello dove vengono sfruttati in maggior numero i minori: sono 98 milioni in tutto il mondo, il 59%. Nel campo dei servizi sono 54 milioni e nell’industria 12 milioni. (R.P.)

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In crescita nel mondo le persecuzioni anti-cristiane

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Corea del Nord, Iraq e Somalia. Sono questi oggi i tre Paesi nel mondo in assoluto più pericolosi per i cristiani. E’ il dato, non sorprendente, che emerge dalla nuova Word Watch List 2015 stilata ogni anno da Open Doors International (Porte Aperte), una ong internazionale impegnata da più di 50 anni ad aiutare tutti i cristiani perseguitati per la loro fede. La graduatoria che copre il periodo dal 1° novembre 2013 al 31 Ottobre 2014, riporta ogni anno un elenco di 50 nazioni ordinate dal basso verso l’alto secondo il grado crescente di gravità delle persecuzioni.

Nella top ten altri tre Stati africani
Dall’analisi risulta confermata una generale crescita della persecuzione dei cristiani nel mondo, anche in luoghi dove non era così marcata nel recente passato, come in alcune regioni dell’Asia, dell’America Latina e specialmente dell’Africa sub-sahariana. Al 1° posto, per il 13° anno consecutivo, la Corea del Nord di Kim Jong-un - con 92 punti su un massimo teorico di 100 - seguita dalla Somalia controllata dagli estremisti islamici Shebab e dall’Iraq occupato dal sedicente Stato islamico. Entrano nella top ten altri tre Stati africani: Sudan, Eritrea e Nigeria. I dati raccolti da Open Doors confermano poi l’estremismo islamico come principale (non l’unico) protagonista di queste persecuzioni, anche con forme nuove come i califfati del sedicente Stato Islamico in Siria e Iraq e di Boko Haram in Nigeria.

Cristiani vittime di restrizioni anche in Paesi non musulmani
Ma i cristiani sono vittime di restrizioni crescenti anche in alcuni Paesi islamici moderati che stanno progressivamente imponendo pratiche islamiche a tutta la popolazione musulmana e non, in nome della salvaguardia delle cultura locale. E’ il caso di Gibuti, della Tanzania e delle Comore. Ripercussioni negative sui cristiani ha avuto inoltre l’affermarsi di partiti nazionalisti di matrice religiosa, come nell’India governata dal partito nazionalista indù “Bharatiya Janata Party”(Bjp), salita di sette posizioni con 62 punti, davanti all’Egitto. Al 41.mo posto la Turchia del Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdogan. Qualche piccolo miglioramento è stato rilevato invece in Etiopia (22° posto), Laos( 28°) e Sri Lanka (44°) .

I criteri usati per la graduatoria
La graduatoria di Open Doors è compilata con criteri obiettivi da analisti, ricercatori ed esperti sul campo e indipendenti all’interno dei vari Paesi. I livelli assegnati sono basati su vari aspetti della libertà religiosa. Nella fattispecie identificano principalmente il grado di libertà dei cristiani nel vivere apertamente la loro fede in cinque sfere della loro vita quotidiana: nel privato, in famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella chiesa che frequentano e nella vita pubblica del Paese in cui vivono, a cui si aggiunge una sesta area che serve a misurare l’eventuale grado di violenze che subiscono. (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi maroniti ai parlamentari: eleggete in fretta nuovo presidente

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I vescovi maroniti, riunitisi ieri per il loro incontro mensile presieduto dal patriarca Bechara Boutros Rai presso la sede patriarcale di Bkerkè, hanno ancora una volta esortato i parlamentari a eleggere in tempi rapidi il nuovo Presidente della Repubblica libanese. L'inizio del nuovo anno – si legge nel comunicato diffuso alla fine della riunione e ripreso dall'agenzia Fides – deve rappresentare un tempo favorevole per "rinsaldare nuovi legami nazionali e lasciarsi alle spalle il tunnel buio in cui il Paese è sprofondato a causa della vacatio della carica presidenziale”.

Paralisi istituzionale espone il Libano a gravi pericoli
Dopo l'insuccesso di ben 17 sessioni parlamentari convocate per l'elezione presidenziale e andate fallite per la mancanza di accordo tra i blocchi contrapposti che dominano la scena politica del Paese, i vescovi maroniti ribadiscono che la paralisi istituzionale sta esponendo il Libano a pericoli gravi – visti i conflitti che sconvolgono tutta l'area mediorientale – e invitano i membri delle varie fazioni a "operare nello spirito del superiore interesse nazionale".

I vescovi invocano un dialogo globale
L'Assemblea ha inoltre accolto con favore l'avvio di contatti, iniziati o annunciati, tra leader e gruppi politici finora in contrasto, invitando nel contempo tutte le forze a non limitarsi ad incontri bilaterali e ad aprirsi a un dialogo globale, che abbia come punto di riferimento comune il Patto nazionale e la Costituzione. “Il Libano - si legge nel comunicato finale dell'Assemblea episcopale maronita - non avrà un futuro luminoso se rimane prigioniero degli assi regionali e interni, ostaggio di interessi parziali o settari. Per questo serve trovare meccanismi che impediscano di bloccare le elezioni presidenziali alla scadenza di ogni mandato, o di provocare la paralisi delle altre istituzioni".

Sostegno all'esercito libanese
I vescovi maroniti hanno anche ribadito la propria vicinanza e il proprio sostegno all'esercito libanese, invitando il governo a fare tutto il possibile per favorire la liberazione dei soldati tenuti in ostaggio dai miliziani jihadisti di Jabhat al Nusra. (R.P.)

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Venezuela: la Chiesa invoca il dialogo per uscire dalla crisi

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La testimonianza di Papa Francesco a favore della famiglia con gesti concreti e con la III Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi, la canonizzazione di due Papi del secolo scorso, l'anniversario del Concilio Vaticano II e la proclamazione dell'Anno della vita Consacrata, sono i segni dei tempi “indicatori del cammino dell’evangelizzazione” citati da mons. Diego Padrón Sánchez, arcivescovo de Cumaná e presidente della Conferenza episcopale del Venezuela (Cev), nell’inaugurare ieri la 103.ma Assemblea plenaria dei vescovi, che si svolge fino al 12 gennaio a Caracas.

Contributo dei missionari per la nascita della nazione
In questo contesto, secondo il testo inviato all’agenzia Fides, mons. Padrón Sánchez ha detto: "Un evento di notevole importanza storica ed ecclesiale è il quinto centenario della fondazione dell’arcidiocesi di Cumanà, primogenita del continente. Una lettera dei vescovi metterà in evidenza gli inizi dell'evangelizzazione del Venezuela come ‘Tierra de Gracia’ con il contributo, fino al martirio, dei missionari francescani e domenicani. Prima ancora della nascita della Repubblica, i missionari hanno contribuito alla nascita della nostro sentirci nazione".

Perdita del rispetto delle persone e delle istituzioni
Quindi Mons. Padrón Sánchez ha parlato della situazione nazionale: "Ogni giorno il cittadino venezuelano sente la crisi in prima persona. Una crisi etico-politico ed economico-sociale. Il punto di partenza di questa crisi è, da un lato, la perdita dei valori morali repubblicani e, dall'altro, la natura e i servizi del sistema che ci governa. E' ormai comune dire che il Venezuela ha perso il rispetto tra le persone e il rispetto per le istituzioni. Ma ha perso anche i principi della legalità, la legittimità e la moralità che sono alla base del quadro giuridico, legale e costituzionale".

Dialogo come risposta a violenza e povertà
Alla conclusione del suo intervento, il presidente della Cev ha proposto il dialogo per uscire da questa realtà drammatica, dominata da violenza e povertà: "L'Assemblea nazionale dovrebbe essere il primo esempio di dialogo nel Paese. A nome della Cev, propongo ancora il dialogo tra il governo e gli altri settori del Paese, come un modo per trovare soluzioni concordate". (R.P.)

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Myanmar: gioia nella Chiesa per il primo cardinale birmano

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La Chiesa del Mynamar ha accolto con gioia la notizia che l’arcivescovo di Yangon, mons. Charles Maung Bo, è divenuto il primo cardinale della storia birmana. Mons. Bo è uno dei 20 nuovi cardinali annunciati domenica scorsa da Papa Francesco.

Sensibilità di mons. Bo per temi sociali e religiosi
Secondo il vescovo Felix Lian Khen Thang, Vescovo di Kalay e presidente della Conferenza episcopale, la nomina di Bo “è il coronamento delle attività della missione della Chiesa in Myanmar”. Come appreso da Fides, il vescovo ha rimarcato: “Bo è audace abbastanza per dire la verità, sia su temi sociali e religiosi, sugli affari politici, sulle questioni che toccano la Chiesa”.

Momento delicato per la storia del Myanmar
La nomina di Bo giunge in un momento delicato per la storia del Paese, impegnato in una transizione democratica, dopo anni di dittatura, e alla vigilia di nuove elezioni che dovrebbero tenersi nell’autunno 2015. Inoltre la nazione è alle prese con problemi di intolleranza religiosa, in particolare da parte di alcuni gruppi buddisti verso i musulmani della minoranza etnica Rohingya.

Difensore dei diritti umani e della libertà religiosa
In una nota inviata a Fides, Benedict Rogers, specialista dell’Asia dell’Ong “Christian Solidarity Worldwide” descrive Bo come “uomo di grandi qualità: il coraggio, la saggezza, la compassione, l'umiltà, l'umorismo, l'ospitalità e la generosità”. “In particolare – afferma – è stato uno dei leader religiosi più espliciti in Birmania sulle questioni dei diritti umani, della libertà religiosa, della democrazia, e sulle ingiustizie”. In Mynamar i cattolici sono circa l’1% su una popolazione complessiva di 51 milioni di abitanti, in maggioranza buddisti. (R.P.)

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Lotteria Vaticana: l'estrazione dei biglietti vincenti

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Nel pomeriggio di oggi  saranno estratti i biglietti vincenti della Lotteria di beneficienza per le Opere di carità del Santo Padre. L’estrazione avverrà nel Palazzo del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano alla presenza di una Commissione di garanzia, composta tra gli altri, dal segretario generale del Governatorato, mons. Fernando Vergez Alzaga. Ad estrarre le matrici dei biglietti dall’urna, venduti dal novembre scorso in Farmacia Vaticana, presso gli sportelli delle Poste, l’ufficio Pellegrini e Turisti, i Musei Vaticani e il centro alimentare annonario al costo di 10 euro l’uno, un bambino bendato secondo le regole classiche della lotteria.

Domani la lista dei biglietti vincenti
I numeri dei biglietti vincenti saranno resi noti nella giornata di domani, venerdì 9 gennaio, con comunicazioni affisse fin dal mattino nei punti vendita dello Stato Vaticano. Sempre domani, una nota con i numeri vincenti dei biglietti della Lotteria di Beneficienza sarà pubblicata dalla Sala Stampa Vaticana e trasmessa dalla Radio Vaticana. All’iniziativa di beneficienza, promossa dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, ha collaborato l’Elemosineria apostolica, con il vescovo Konrad Krajewski.

I 13 premi in palio
I 13 premi in palio, più una trentina di consolazione, frutto per lo più di donazioni e regali fatti al Papa, sono un’autovettura berlina Fiat Panda (1°premio), una bicicletta da corsa celeste (2° premio), una bicicletta da passeggio di colore arancio con cestini (3° premio) ed ancora una bicicletta da passeggio di colore grigio (4°), un tandem bianco (5°), una videocamera digitale ad alta definizione (6°), una macchina da caffè espresso (7°), un dispositivo wireless (8°), una penna a sfera argentata (9°), una cornice in argento (10°), un orologio da polso per uomo (11°), una borsa portadocumenti in cuoio (12°), un cappello bianco modello ‘Panama’ (13°).  

Il Papa destinerà il ricavato per opere di carità
Nei prossimi giorni, l’intero ricavato della lotteria di Beneficienza per le opere di carità del Papa sarà consegnata al Santo Padre. Sarà lo stesso Papa Francesco, direttamente o tramite i suoi collaboratori, a destinare il ricavato in opere di aiuto e sostegno per le persone in difficoltà.
(A cura di Luca Collodi)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 8

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.