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Sommario del 11/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa battezza 33 bimbi: troppe mamme non possono sfamare figli

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“Il Battesimo ci inserisce nel corpo della Chiesa, popolo Santo di Dio in cammino”. Così il Papa nella Messa della Festa del Battesimo del Signore, celebrata nella Cappella Sistina, durante la quale ha amministrato il sacramento del Battesimo a 33 bambini. Francesco ha esortato genitori, madrine e padrini a crescere i loro figli nella luce della Parola di Dio. Dal Santo Padre un appello e una preghiera in favore delle tante mamme che nel mondo non sono in grado di sfamare i loro figli. Paolo Ondarza

Non si può essere cristiani fuori della Chiesa
Una candela che, attinta la luce dalla sorgente del cero pasquale, rappresentazione del Cristo Risorto, vivo tra noi, passa di mano in mano, di generazione in generazione. E’ l’immagine con cui Francesco indica alle mamme, ai papà, alle madrine e ai padrini, la fede della Chiesa, popolo in cammino,  tramessa nel battesimo ai bambini:

"E' la fede della Chiesa. E’ la fede di Maria, nostra Madre, la fede di san Giuseppe, di san Pietro, di sant’Andrea, di san Giovanni, la fede gli Apostoli e dei Martiri, che è giunta fino a noi, attraverso il Battesimo. E’ molto bello questo! (…) Questa luce la prendete nella Chiesa, nel corpo di Cristo, nel popolo di Dio che cammina in ogni tempo e in ogni luogo. Insegnate ai vostri figli che non si può essere cristiano fuori dalla Chiesa, non si può seguire Gesù Cristo senza la Chiesa, perché la Chiesa è madre e ci fa crescere nell’amore a Gesù Cristo". 

Pregare per le mamme che non possono sfamare i figli
Nella cornice della “Parola dipinta” della Cappella Sistina la cui bellezza è confermata, mai disturbata, dalle vocine e dai pianti dei 33 neobattezzati, Francesco esorta gli adulti delle loro famiglie, dai genitori ai nonni, a “nutrirli della Parola di Dio, del Vangelo di Gesù, “cibo sostanzioso” che fa crescere, portare buoni frutti nella vita, “come la pioggia e la neve fanno bene alla terra e la rendono feconda”. La Parola è il cibo buono che Dio come un bravo papà e una brava mamma vuole dare ai suoi figli:

“Voi mamme date ai vostri figli il latte – anche adesso. Se piangono per fame, allattateli, eh? Tranquilli. Se hanno fame e piangono, potete dare loro il latte. Ringraziamo il Signore per il dono del latte, e preghiamo per quelle mamme – sono tante, purtroppo – che non sono in condizione di dare da mangiare ai loro figli. Preghiamo e cerchiamo di aiutare queste mamme. Dunque, quello che fa il latte per il corpo, la Parola di Dio lo fa per lo spirito: la Parola di Dio fa crescere la fede”.

Aiutare i figli a crescere nell'amore di Dio
E’ in questa fede che i bambini vengono battezzati, consacrati dallo Spirito Santo, nel quale è stato immerso Gesù in tutta la sua esistenza terrena:

“E allora, cari genitori, cari padrini e madrine, se volete che i vostri bambini diventino veri cristiani, aiutateli a crescere 'immersi' nello Spirito Santo, cioè nel calore dell’amore di Dio, nella luce della sua Parola”.

Pregare lo Spirito Santo tutti i giorni
Quindi l’invito a portare sempre con sè il Vangelo ed a invocare ogni giorno, alla scuola di Maria, lo Spirito Santo:

"Di solito preghiamo Gesù. Quando preghiamo il 'Padre Nostro', preghiamo il Padre. Ma, lo Spirito Santo non lo preghiamo tanto… E’ tanto importante pregare lo Spirito Santo perché ci insegna a portare avanti la famiglia, perché questi bambini crescano in questa atmosfera della Trinità Santa. E’ proprio lo Spirito che li porta avanti. Per questo non dimenticate di invocare spesso lo Spirito Santo, tutti i giorni. Potete farlo, per esempio, con questa semplice preghiera: 'Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore'”.

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Il Papa all'Angelus: stiamo vivendo il tempo della misericordia

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All’Angelus, Papa Francesco ha approfondito il significato della festa del Battesimo del Signore, sottolineando che con questo evento “è finito il tempo dei cieli chiusi”: siamo nel tempo della misericordia. Ce ne parla Sergio Centofanti

Possiamo incontrare Cristo nei poveri, nei malati, nei carcerati
Il Battesimo di Gesù squarcia i “cieli chiusi”, che stanno ad indicare la separazione tra Dio e l’uomo, conseguenza del peccato. “Il peccato – ha affermato Papa Francesco - ci allontana da Dio e interrompe il legame tra la terra e il cielo, determinando così la nostra miseria e il fallimento della nostra vita. I cieli aperti indicano che Dio ha donato la sua grazia”. Adesso, “ciascuno di noi ha la possibilità di incontrare il Figlio di Dio, sperimentandone tutto l’amore e l’infinita misericordia”:

“Lo possiamo incontrare realmente presente nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Lo possiamo riconoscere nel volto dei nostri fratelli, in particolare nei poveri, nei malati, nei carcerati, nei profughi: essi sono carne viva del Cristo sofferente e immagine visibile del Dio invisibile”.

Oggi c'è tanto bisogno di misericordia
“C’è tanto bisogno oggi di misericordia – ha detto il Papa - ed è importante che i fedeli laici la vivano e la portino nei diversi ambienti sociali”:

"Avanti! Noi stiamo vivendo il tempo della misericordia, questo è il tempo della misericordia!".

Lo Spirito Santo spinge a portare il Vangelo in tutto il mondo
Nel Battesimo di Gesù - ha poi proseguito - c'è la discesa dello Spirito Santo, che - ha sottolineato - è "il grande dimenticato nelle nostre preghiere", ma è il medesimo Spirito che guida l’esistenza cristiana. "Porre sotto l’azione dello Spirito Santo la nostra vita di cristiani e la missione, che tutti abbiamo ricevuto in virtù del Battesimo, significa ritrovare coraggio apostolico necessario per superare facili accomodamenti mondani”:

“Un cristiano e una comunità ‘sordi’ alla voce dello Spirito Santo, che spinge a portare il Vangelo agli estremi confini della terra e della società, diventano anche un cristiano e una comunità ‘muti’ che non parlano e non evangelizzano”.

Invito a pregare per il viaggio in Asia
Al termine della preghiera mariana, il Papa ripete il suo invito a ricordare il giorno del proprio Battesimo e parla del suo imminente viaggio apostolico in Sri Lanka e nelle Filippine. Ieri sera si è recato a pregare nella Basilica di Santa Maria Maggiore in vista di questa sua nuova missione:

“Vi chiedo per favore di accompagnarmi con la preghiera e chiedo anche agli srilankesi e ai filippini che sono qui a Roma che preghino specialmente per me per questo viaggio”.

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Papa: attenzione ai poveri è Vangelo, non comunismo o pauperismo

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“L’attenzione per i poveri è nel Vangelo, non è un’invenzione del comunismo”: così il Papa in un’intervista rilasciata ad Andrea Tornielli, coordinatore di “Vatican Insider”, e Giacomo Galeazzi, vaticanista del quotidiano “La Stampa”. L’intervista al Pontefice conclude il libro intitolato “Papa Francesco. Questa economia uccide”, dedicato al magistero sociale del Pontefice. Il volume raccoglie ed analizza i documenti del magistero su povertà, immigrazione, giustizia sociale e salvaguardia del Creato. Edito da Piemme, il libro uscirà martedì 13 gennaio, ma oggi “La Stampa” ha anticipato ampi stralci dell’intervista al Papa. Il servizio di Isabella Piro: 

Scelta preferenziale per i poveri deriva da parole di Gesù

“L’attenzione per i poveri è nel Vangelo ed è nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla”: spiega così Papa Francesco la continuità, nella tradizione ecclesiale, della “scelta preferenziale per i poveri”. “Un’attenzione che ha la sua origine nel Vangelo – ribadisce – documentata già nei primi secoli del cristianesimo”: basti citare i primi Padri della Chiesa, del II o del III secolo. Le loro omelie non si possono definire “marxiste”, spiega il Pontefice, perché quando”la Chiesa invita a vincere la ‘globalizzazione dell’indifferenza’ è lontana da qualunque interesse politico e da qualunque ideologia”. Essa è “mossa unicamente dalle parole di Gesù” e “vuole offrire il suo contributo alla costruzione di un mondo dove ci si custodisca e ci si prenda cura l’uno dell’altro”.

Aborto, risultato di cultura dello scarto
A proposito della globalizzazione, Papa Francesco ne mette in risalto le luci e le ombre: da una parte, essa “ha aiutato molte persone a sollevarsi dalla povertà”, portando ad “una crescita della ricchezza mondiale in termini assoluti”, ma dall’altra la globalizzazione “ha condannato tante altre persone a morire di fame”, provocando un aumento “delle disparità” e la nascita di “nuove povertà”. È un sistema economico e sociale che pone al centro il denaro, lo trasforma in idolo – sottolinea il Pontefice – e riduce uomini e donne a “semplici strumenti”, provocando “profondi squilibri”. Ciò che predomina nella cultura, nella politica, nella sociologia è “lo scarto” di ciò che non serve: bambini, giovani, anziani. “La cultura della scarto porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto”, ribadisce il Papa che poi si dice “colpito” dai “tassi di natalità così bassi in Italia”, perché “così si perde il legame con il futuro”.

Eutanasia nascosta per anziani abbandonati
La cultura dello scarto porta anche “all’eutanasia nascosta degli anziani che vengono abbandonati”, invece di essere considerati “come la nostra memoria, il legame con il nostro passato, una risorsa di saggezza per il presente”. Anche i giovani sono colpiti da questo atteggiamento, tanto che – nota Papa Bergoglio – “nei Paesi sviluppati ci sono tanti milioni di giovani al di sotto dei 25 anni che non hanno lavoro”. Sono i giovani “né-né” – li definisce il Pontefice – “non studiano perché non hanno possibilità di farlo e non lavorano perché manca il lavoro”. Il Papa, allora, pone un interrogativo: “Quale sarà il prossimo scarto?”.

Risolvere povertà per guarire il mondo
Di qui, l’appello forte: “Fermiamoci, per favore!”, “non consideriamo questo stato di cose come irreversibile, non rassegniamoci”, ma “cerchiamo di costruire una società e un’economia dove siano al centro l’uomo ed il suo bene, non il denaro”, perché “senza una soluzione ai problemi dei poveri, non risolveremo i problemi del mondo”. Ciò che occorre, ribadisce il Papa, è “l’etica nell’economia e nella politica”; servono “programmi, meccanismi e processi orientati ad una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione del lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso”.

No ad autonomia assoluta dei mercati
Soprattutto, occorrono “uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo”, consapevoli che “l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo” non sono  “un prodotto” dell’uomo, ma “un dono da chiedere”. Questi uomini e queste donne, esorta il Papa, si impegnino a tutti i livelli – sociale, politico, istituzionale ed economico – “mettendo al centro il bene comune”, perché “i mercati e la speculazione non possono godere di un’autonomia assoluta”. “Non possiamo più aspettare – mette in guardia il Pontefice - per risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le nostre società da una malattia che può portare solo a nuove crisi”.

Pauperismo, caricatura del Vangelo
Infine, Papa Francesco ricorda che il Vangelo “non condanna i ricchi, ma l’idolatria della ricchezza che rende insensibili al grido del povero”. E quindi mette in guardia dal pauperismo, definendolo “una caricatura del Vangelo e della stessa povertà”. Al contrario, “il legame profondo tra la povertà ed il cammino evangelico”, insegnatoci da San Francesco d’Assisi, è il vero “protocollo” sulla base del quale l’uomo sarà giudicato: esso significa “avere cura del prossimo, di chi è povero, di chi soffre nel corpo e nello spirito, di chi è nel bisogno”. E questo non è pauperismo – conclude il Papa - ma Vangelo.

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Francesco: pregate per il mio viaggio in Sri Lanka e Filippine

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All’Angelus, Papa Francesco ha chiesto di pregare per il suo viaggio apostolico nello Sri Lanka e nelle Filippine che si svolgerà dal 12 al 19 gennaio. Ieri sera si è recato a pregare nella Basilica di Santa Maria Maggiore in vista di questa sua nuova missione: “Vi chiedo per favore di accompagnarmi con la preghiera e chiedo anche agli srilankesi e ai filippini che sono qui a Roma che preghino specialmente per me per questo viaggio”. Si tratta del più lungo dei viaggi apostolici internazionali di Francesco, il settimo. Su questo suo ritorno in Asia, il servizio del nostro inviato, Alessandro De Carolis

La “prua” del Pontificato vira a est, esattamente cinque mesi dopo. Era l’estate italiana, quando Francesco si imbarcava per la Corea del Sud. Dal 38.mo parallelo questa volta la rotta del settimo viaggio apostolico punta nel Sudest asiatico, appena sopra l’equatore. Prima destinazione, lo Sri Lanka, fino al 1972 e per secoli conosciuta come Ceylon, mitica terra dei pescatori di perle.

Religioni in armonia
Il Papa viene come 45 anni fa Paolo VI e 20 anni fa Giovanni Paolo II in un Paese di minoranza per la Chiesa – 7% di cattolici, altrettanto di musulmani, stragrande maggioranza di buddisti – ma casa di pacifica convivenza per le varie fedi che vi hanno messo radici, vale a dire una tessera di valore esemplare nell’immenso mosaico umano dell’Asia, non poche volte ostile al Vangelo. Una eccezione recente a questo quadro è purtroppo rappresentata dalla nascita di alcuni gruppi estremisti di religione buddista che hanno portato attacchi in particolare contro la comunità islamica. E la solidità di questa convivenza verrà apprezzata già nel pomeriggio del primo giorno, quando Papa Francesco si intratterrà coi leader religiosi, a Colombo, incontro preceduto in mattinata da un altro a porte chiuse coi 20 vescovi locali e dalla visita protocollare alle autorità di una nazione che ha appena scelto il suo nuovo presidente, Sirisena, ma che per una norma prevista dalla Costituzione vedrà per due anni ancora a capo dello Stato lo sconfitto Rajapaksa.

Ai piedi della Madonna di Madhu
Francesco verrà a parlare anche di riconciliazione alle due etnie che compongono lo Sri Lanka, la maggioranza cingalese e la minoranza secessionista tamil, divise per un trentennio fino al 2009 da una terribile guerra interna, con i cingalesi vittoriosi alle armi e i tamil, raggruppati al nord, costretti a piegare la testa. Su quella che fino a pochi anni fa era una linea del fronte, sorge il Santuario mariano “Our Lady of Madhu”: qui il Papa si inginocchierà per pregare per la pace, seminata nell’isola già dai primi missionari, così come narra la storia del Beato Giuseppe Vaz, che Papa Francesco canonizzerà il 14 gennaio.

Misericordia e compassione
Giovedì 15 gennaio, sei ore abbondanti di volo porteranno il Papa da Colombo a Manila. E di fatto comincerà un nuovo viaggio apostolico perché praticamente opposto allo Sri Lanka è lo scenario delle Filippine, Paese asiatico a maggioranza cattolica. I riflettori dei media saranno accesi in particolare sulla giornata di sabato, quella in cui Francesco prenderà l’aereo per raggiungere Tacloban e camminare tra le rovine ancora evidenti lasciate dal passaggio del tifone “Hayan”, che sul posto hanno ribattezzato “Yolanda”, tra i più spaventosi mai registrati: 6.200 morti, 30 mila feriti, mezzo milione di case sbriciolate. Il Papa celebrerà la Messa con la gente del posto, pranzerà con una trentina di superstiti, benedirà il Centro costruito con il contributo di “Cor Unum”, ma soprattutto farà sentire vicino il calore di un padre che vive a Roma ma ha il cuore sempre vicino a chi soffre, è solo, colpito da miseria.

A Manila incontro a Rizal Park
Tre giorni durerà il soggiorno di Papa Francesco nelle Filippine e ci sarà spazio per stare con i giovani, con le famiglie, con il clero del Paese, con le autorità. Soprattutto, ci sarà spazio e tempo per concludere là dove Giovanni Paolo II mise il sigillo alla sua Gmg del ’95, presiedendo quella che è passata alla storia come la più grande Messa mai partecipata, quattro milioni di persone disseminate sui 60 ettari di Rizal Park di Manila e delle zone limitrofe. Un modo per riascoltare e rinnovare il polso e il cuore di una grande Chiesa di frontiera, che sulla carta sembra un piccolo atollo - piccolo atollo cristiano - piantato tra due immensità, il Pacifico a est la Cina a ovest.

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Jorge Milia: l'Asia nel cuore di Papa Francesco

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Sri Lanka e Filippine sono le tappe del settimo viaggio apostolico di Papa Francesco che si svolgerà dal 12 al 19 gennaio. Il Papa torna in Asia dopo circa sei mesi dalla visita in Corea del Sud. Luca Collodi ne ha parlato con Jorge Milia, giornalista, scrittore argentino e amico di Francesco: 

R. - L’Asia è stata storicamente una sollecitudine missionaria della Compagnia di Gesù. Il Papa è un gesuita. Oggi, solo il tre per cento dei cattolici del mondo vive in Asia. Tuttavia le statistiche vaticane mostrano che l’anno scorso si sono battezzati più cattolici in Asia che in Europa. I cattolici sono anche una comunità apprezzata per le loro azioni nel campo dell’educazione e del sociale, anche se il loro livello di penetrazione è soprattutto la classe media. La Chiesa cattolica vuole estendere il suo compito di evangelizzazione ai settori popolari della società, basandosi sul ruolo dei laici e non tanto dei ministri consacrati.

D.  – Milia, il viaggio del Papa in Oriente, in Asia, guarda anche verso la Cina? 

R.  – Per me è certo. Papa Francesco comincia il 2015 con un viaggio estenuante, una settimana di lavoro difficile, stancante, ma la data di partenza, per me è una questione importante, è la stessa, lunedì 12 gennaio, in cui parlerà a 180 ambasciatori accreditati in Vaticano: non mi sembra solo casualità. Sembra  ben pensato, no? Il Papa fa il suo discorso al mattino e nel pomeriggio se ne va in Oriente. Ora, Cina e Vaticano non hanno relazioni diplomatiche dal 1951. Pio XII scomunicò due vescovi nominati dal governo di quel Paese e, allo stesso tempo, il governo cinese espulse il nunzio apostolico trasferito a Taiwan. Ma l’importante è cominciare. Credo che l’idea di Francesco è cominciare. E il Papa cerca di avvicinarsi alla Cina, accompagnato da un intenso lavoro del segretario di Stato, il cardinale Parolin. Forse, il primo gesto fu, prima di partire per la Corea, di chiedere al governo cinese il permesso di sorvolare lo spazio aereo del Paese. La Cina, che aveva negato il permesso a Giovanni Paolo II nell’89, ha accolto la richiesta. Ciò può essere letto come un primo gesto di avvicinamento.

D.  – Da giovane Papa Francesco voleva fare il missionario in Giappone. C’è qualche relazione con l’attenzione che Papa Francesco ha oggi per l’Asia?

R.  – E’ un po’ difficile tracciare un parallelo. Sono tempi diversi. Sono diverse situazioni personali. Ma è lo stesso Bergoglio. Come è dimostrato fin dall’inizio del suo Pontificato, Francesco cerca con tutti i mezzi a sua disposizione di diventare un leader mondiale nella ricerca della pace. Un lavoro che - penso - fa solo chiedendo: “Pregate per me”.

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Oggi in Primo Piano



Nigeria dopo stragi Boko Haram chiede aiuto internazionale

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Aiutateci: è la drammatica richiesta d’aiuto alla comunità internazionale del portavoce del ministro della Difesa nigeriano, apparso ieri sera al telegiornale dopo gli ultimi sanguinosi attentati del gruppo estremista Boko Haram, a sole cinque settimane dalle elezioni presidenziali e legislative nel Paese. Il servizio di Roberta Barbi: 

Gli ultimi atroci fatti di sangue dovrebbero convincere tutti che “Boko Haram è il male e dobbiamo eliminarlo tutti insieme”. È l’accorato appello rivolto ieri sera alla comunità internazionale da parte del portavoce del ministro della Difesa nigeriano, Chris Olukolade. Il generale ha definito l’attentato dei giorni scorsi a Baga, che pare abbia causato oltre duemila vittime, “il più letale in cinque anni d’insurrezione” con almeno 14mila morti, ma anche l’utilizzo di donne sempre più giovani come kamikaze, addirittura bambine forse inconsapevoli – come quella che ieri, di appena 10 anni, è stata fatta esplodere nel mercato di Maiduguri all’ora di punta, uccidendo 19 persone – indica che i terroristi stanno accentuando i loro attacchi in vista delle elezioni. Il militare nigeriano chiede aiuto e respinge le accuse di incapacità del suo esercito, il più grande dell’Africa occidentale: “Uomini e mezzi vengono mobilitati per fronteggiare la situazione”, ha assicurato, ma pare che molti soldati abbiano lamentato l’inadeguatezza delle proprie armi, rifiutandosi a volte di schierarsi di fronte a un nemico più forte, meglio armato e determinato a costruire uno Stato islamico affiliato all’Is di al Baghdadi nel nord-est a maggioranza musulmana della Nigeria. Resta grave anche il problema degli sfollati: un milione e 600mila secondo le ultime stime, con nessuno che si occupa di loro.  

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Nigeria, i musulmani prime vittime della violenza di Boko Haram

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Dopo il massacro senza precedenti di Boko Haram nella città di Baga e l'attentato della bimba kamikaze a Maiduguri, si teme un'espansione della crisi non solo in Nigeria ma in tutta la regione. Marco Guerra ne ha parlato con l’africanista Marco Massoni

Boko Haram punta alla conquista di tre Stati federali
R. – Fondamentalmente è un salto di qualità, dovuto da un lato alla inefficacia, all’inefficienza e, oserei dire, anche all’accidia, in molte situazioni, da parte delle forze armate federali della capitale Abuja. Pur avendo sempre detto che la soluzione militare non può essere l’unica, sta di fatto, però, che nel momento in cui c’è un atto di guerra militare, un’avanzata militare la puoi contrastare solamente con mezzi analoghi. Il punto è proprio questo: l’inefficienza, l’inefficacia da parte di chi deve gestire la sovranità territoriale di quelle zone così remote del Nord-Ovest, del Nord-Est nigeriano, fa sì che costoro abbiano effettivamente una presa totale sul territorio. L’obiettivo è, infatti, quello di prendere completamente il resto dei territori dei tre Stati federali, che da 20 mesi - Borno, Yobo e Adamaoua – sono stati dichiarati appunto sotto emergenza. Il punto che riguarda la cittadina di Baga è importante, perché si riferisce alla cuspide di confine fra Nigeria, Ciad, Camerun, ed è appunto l’head-quarter delle forze di sicurezza, per tentare di contrastare le nuove attività di Boko Haram.

Confini virtuali, zona fuori controllo
D. – Il fatto che arrivino notizie frammentate da queste zone - non si capisce bene neanche il bilancio delle vittime – fa capire che sono aree totalmente fuori dal controllo di Abuja…

R. – Sì, sono aree totalmente fuori dal controllo di Abuja; sono confini quasi virtuali, come spesso avviene, molto fluidi in questi territori, sia che sia savana, sia che sia, più in senso generale, Sahel o anche appunto foresta tropicale. Ed è il motivo per cui spesso le retrovie di Boko Haram o anche certi attentati, certe operazioni, hanno luogo in Camerun o anche nello stesso Ciad, proprio perché i confini sono in realtà non controllati e anche molto virtuali.

Primo bersaglio di Boko Haram sono i musulmani
D. – Che collegamenti ci sono tra Boko Haram, che continua ad imperversare, lo Stato islamico e più in generale questa nuova fiammata del terrorismo internazionale?

R. – Sono fenomeni distinti, con tentativi di addentellato da parte delle sette islamiste nigeriane, nel volersi far riconoscere come interlocutori di livello nello scacchiere, da parte di chi era già assurto ai massimi livelli internazionali: al Qaeda in primo luogo, in seconda battuta l’Isis e tutto il potere polarizzante che hanno saputo conquistarsi. Ma il problema fondamentale è che il fondamentalismo promosso da Boko Haram è in primo luogo ai danni dei poveri musulmani, che vivendo in quelle zone subiscono questi attacchi terribili e, allo stesso tempo, dimostra il fatto che non attecchisce se non attraverso la violenza. Sembra molto simile a quanto tentarono – quindi c’è una sorta di lezione appresa, nel ripetere certi comportamenti analoghi – fra i qaedisti nel Nord del Mali, tre anni fa, nel momento in cui occuparono quei territori assieme ai tuareg irredentisti, imponendo la sharia a gente che sicuramente non la voleva seguire.

Ruolo della comunità internazionale
D. – Colpisce il fatto che questa tragedia sia stata ignorata da tutta la stampa occidentale e credo che sia da escludere un eventuale  intervento occidentale in Nigeria. Dobbiamo aspettarci che la Nigeria continuerà ad essere lasciata sola in questa battaglia contro Boko Haram?

R. – Insomma, da tempo si parla di soluzione africana a problemi africani. Bisognerebbe favorire una sorta di intervento ovviamente di Paesi volenterosi africani, non necessariamente confinanti, con un avallo dell’Unione Africana, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che poi possa fare da apripista ad una missione, come avviene di norma in questi casi, un po’ più strutturata delle Nazioni Unite. Se non si continuassero ad utilizzare due pesi e due misure - perché una persona bianca assassinata per terrorismo è un conto e una di pelle nera è un altro - probabilmente il problema sarebbe stato arginato da tempo. La cosa più grave è che c’è il più completo disinteresse da parte delle autorità, in questo momento sempre di più, a ridosso delle elezioni, nel gestire la cosa. Lasciare decadere la situazione è anche un modo per confinarla, arginarla e non farla esplodere altrove. Francamente temo che ci sia una strategia non intelligente da parte delle autorità nigeriane nei confronti di questo problema.

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Parigi: oltre un milione di persone per la marcia antiterrorismo

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“Parigi oggi è la capitale del mondo”: così il presidente francese Hollande nel giorno della grande marcia contro il terrorismo organizzata dopo i recenti attentati nel Paese e alla quale partecipano capi di Stato e di governo da tutto il mondo. Intanto, la scorsa notte, l’archivio di un quotidiano tedesco di Amburgo, è stato dato alle fiamme: l’episodio potrebbe essere legato alla pubblicazione di alcune vignette in solidarietà a quanto accaduto al settimanale francese Charlie Hebdo. La polizia avrebbe già arrestato due persone. Sulla marcia ci aggiorna, da Parigi, Francesca Pierantozzi: 

Parigi accoglie oggi un milione, forse un milione e mezzo di persone per la grande marcia repubblicana contro il terrorismo. La città è blindata, il percorso della manifestazione segue, in realtà, due itinerari per arrivare da Place de la République a Place de la Nation. Tutto è transennato: 2.500 agenti e 1.350 militari sono mobilitati per assicurare la sicurezza, oltre ai 150 agenti speciali in borghese che seguono le personalità. All’Eliseo, dal presidente François Hollande, ci sono i capi di Stato e di governo venuti da tutto il mondo, tra cui Matteo Renzi, Cameron, Merkel, i presidenti israeliano e palestinese. Intanto va avanti l’inchiesta: oggi è stato postato un video in cui Ahmedi Coulibaly, uno dei terroristi, rivendica le sue azioni a nome dell’esercito islamico. Dice di aver coordinato l’attacco con i fratelli Kouachi, autori della strage di Charlie Hebdo, e di aver fornito loro i soldi per acquistare le armi. La polizia ha confermato l’autenticità del video e cerca ora eventuali complici. Il video sarebbe, infatti, stato postato dopo gli attentati da qualcuno che ha montato le immagini di Coulibaly e anche i testi. Intanto sono state liberate le cinque persone in stato di fermo per l’inchiesta - tutti parenti dei terroristi - mentre è attivamente ricercata la compagna di Coulibaly, Hayat Boumeddien, che si troverebbe in Siria.

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Una teologa musulmana: generalizzare causa nuove violenze

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Un invito a evitare critiche generalizzate al mondo islamico, dopo gli attacchi terroristici in Francia, arriva dalla teologa musulmana Shahrzad Houshmand, docente alla Pontificia Università Gregoriana e all'Università La Sapienza di Roma. L'intervista è di Fabio Colagrande

Generalizzare, atto di ignoranza
R. -    E’ chiaro che non si può in nessun campo giustificare un atto violento e l’uccisione di persone innocenti, questo è senz’altro condannato da tutti i capi religiosi, non solo islamici, perché qui non si tratta della violenza islamica ma è la violenza che ha colpito il cuore dell’uomo, in sé. Come diceva Ghandi: chi non è in pace con sé stesso è in guerra col mondo intero. Riprendo le parole anche di questo grande messaggero di pace che è Papa Francesco, che riprende, illumina, ci sveglia, ci scuote – come ripete sempre - da questa “globalizzazione dell’indifferenza” che alla fine è, anch’essa, la causa del malessere che viviamo oggi. Lui, infatti, ripete spesso di non generalizzare. Questo sarebbe un atto di grande ignoranza e un’altra violenza verso una grande fetta dell’umanità che comprende un miliardo e mezzo di persone. Quello che si sta un po’ facendo è questa generalizzazione che non sarà a favore di nessuno, non solo non a favore dei musulmani, ma nemmeno a favore dell’Occidente stesso, perché se non si usa con sapienza un atteggiamento accogliente, capace di un’analisi vera e profonda, questo non farà altro che causare altre forme di violenza. Io chiedo all’homo sapiens sapiens di oggi, che nonostante la sua sapienza ha messo in primo piano le fabbriche belliche e l’economia, di rivedere il messaggio profondo della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza. Se non approfondiamo questo terzo slogan – fratellanza - fin quando l’homo sapiens sapiens, che pensiamo di essere noi, non punterà su questo terzo punto, discrimina una fetta dell’umanità e non sceglie politiche sociali intelligenti per l’integrazione, per la dignità e per il rispetto, ma sceglie la generalizzazione, andremo a cadere in altre forme di violenze.

L'Islam, ma non solo, ha bisogno di riforma
D. – C’è chi dice che eventi tragici come quello di Parigi si ripeteranno fino a che non verranno purificate le fonti di questa violenza che sono in alcune forme di cultura islamista…

R. – Ogni essere umano ha bisogno di riformarsi sempre. L’individuo ha bisogno di riformarsi, come le comunità, le società, anche le religioni. Tutti questi eventi ci portano a riflettere e rivedere alcune delle nostre posizioni. Questo vale anche per una fetta dei musulmani nel mondo che hanno una visione stretta dell’islam, soprattutto quelle scuole coraniche: lo Stato del Pakistan dice di non avere le risorse sufficienti per aumentare le scuole pubbliche e i privati - che non si sa da dove esattamente vengono - costruiscono queste scuole coraniche che danno una visione particolarissima del Corano. Allora, la riforma dovrebbe avvenire sicuramente nell’islam ma anche l’Europa ha bisogno di una riforma, di uscire da questo eurocentrismo profondo che non vede nelle altre culture nessuna positività, nessuna forma di democrazia, di benessere. Allora, questo atteggiamento dovrebbe essere reciproco. Abbiamo bisogno di riformarci a livello umano, di ripensare la fraternità e di medicare le ferite non con le bombe ma con l’istruzione, il dialogo e l’incontro. Infatti, leggo il paragrafo 253 della bellissima Esortazione “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco: “Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni”. Dobbiamo riformarci tutti, veramente.

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Arriva nei cinema "Exodus" di Ridley Scott

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Arriva giovedì prossimo sugli schermi italiani "Exodus - Dei e Re", il film che Ridley Scott dedica al fratello Tony scomparso due anni fa. Ispirato al libro dell'Esodo, il regista racconta in modo epico e spettacolare la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù d'Egitto e fa di Mosè un guerriero audace, un eroe coraggioso e un uomo tormentato nel rispondere alla chiamata di Dio. Il servizio di Luca Pellegrini

(clip del film)
Il faraone Seti: "Mosè, Ramses: voi siete cresciuti insieme come fratelli, abbiate cura l'uno dell'altro".
Mosè: "Sempre"

Una spada d'oro forgiata per un dio di carne e un cuore umano che non sa di doverLo incontrare. Il faraone Ramses attende di essere adorato dal suo popolo mentre è servito dagli Israeliti sottomessi in schiavitù; Mosè sente l'inquietudine scorrergli nel sangue perché sa di dover affrontare prima o poi la sua origine, adorando e servendo l'unico vero Dio. L'uno e l'altro si fronteggiano, perche saranno le loro ragioni opposte a crearli nemici, dopo che un destino li aveva resi fratelli. Tanti episodi della Bibbia sono rafforzati da un flusso narrativo epico punteggiato di forti emozioni e proporzioni che il cinema molte volte ha ceduto alla tentazione di raccontare, enfatizzando l'aspetto mitico e manipolando quello teologico e scritturistico. Se Ridley Scott, come altri registi, non è esente nel suo "Exodus - Dei e Re" - sette anni di gestazione, 140 milioni di dollari d’investimento, suggestivo 3D - da errori storici, omissioni bibliche e una calcolata, parziale infedeltà ai testi sacri, va detto che nulla lascia di intentato nel rendere visivamente avvincenti alcune delle pagine più famose dell'Esodo. E pur concedendosi le libertà che inevitabilmente un regista avoca a sé, dirige un film che ha il pregio di concentrarsi tutto sulla personalità difficile e tormentata di Mosè, rendendolo un comprensibile eroe moderno, dando giustamente spazio alla rivalità familiare con Ramses e ciò che la sua figura di egiziano, diametralmente opposta, rappresenta. Ma non è lo scontro immediato tra il politeismo e il monoteismo quello che potrebbe emergere da una lettura facile e strumentale, così come sono del tutto marginali e pretestuose le critiche che si sono addossate sul film, come se fosse in grado di avvalorare e corroborare le attuali piaghe che affliggono il mondo contemporaneo. Se gli attori hanno un certo colore della pelle, se i monumenti e i loro tempi di realizzazione non sono corretti, se alcune immagini possono essere di fantasia e la rappresentazione della personalità di un grande patriarca non accontenta tutte le interpretazioni che sono nate in seno alle diverse tradizioni religiose, questo non è motivo sufficiente - e non lo sarà mai nella storia del cinema - per disprezzare un film, che tale rimane.

Scott si concentra su un Mosè guerriero, dilaniato dall'identità che lo affligge, spaventato dal compito immane e doloroso che il Signore, che è il "Dio degli eserciti", gli vuole affidare. E' una figura epica, senz'altro, che convive con quella religiosa, nell'alveo - delicato e terribile insieme - della storia della salvezza. E il film regge la spettacolarizzazione dell'Egitto e dei popoli in guerra, accreditando a Scott anche il coraggio, inusitato oggi in tempi di scontri e intolleranze fratricide, di riproporre la Bibbia e una delle figure più amate e conosciute raccontata nelle sue pagine. Alcuni personaggi - scelta necessaria - rimangono seminascosti (Aronne, Miriam e la moglie Zippora), alcuni segmenti e oggetti del racconto vengono messi in ombra o del tutto omessi, alcuni dialoghi giustamente attualizzati, ma il Mosè di Christian Bale, così inserito in un dramma prima di tutto familiare, che esplode poi in quello di una civiltà e due popoli, è frutto di un importante lavoro d'attore. Fin da quando è costretto ad ascoltare la voce del Signore - rappresentato, con una scelta pur discutibile ma efficace, nelle vesti di un bambino né tenero né accondiscendente ma radicalmente determinato - che lo interpella mentre lui è bloccato in una morsa di fango, quello da cui Adamo il peccatore era stato forgiato e lui, il liberatore, riemerge spaventato. Ci sono momenti bellissimi nel film: le piaghe, appunto, che scaturiscono l'una dall'altra come da una natura impazzita e terribile, fino al buio della notte e della morte; le frastagliate personalità di israeliti e egiziani, che difendono le loro ragioni; la riflessione sul potere, messa in bocca al vecchio faraone Seti morente; la forgiatura delle Tavole della Legge, nelle quali l'uomo Mosè è coinvolto perché saranno Comandamenti ai quali da quel momento tutta l'umanità, e non solo Israele, sarà chiamata all'osservanza. Magniloquente e intimo, "Exodus" arriva teso alla resa dei conti finale tra fratelli e popoli, con il Mar Rosso che si placa e furioso si richiude, segno anche della divisione che da quelle acque scaturisce. E poi ecco Mosè, canuto, affaticato e indebolito, che protegge con piccoli gesti l'Arca dell'Alleanza, accarezzandola: segno di riverenza e affetto per la presenza del Signore tra il suo popolo e, da allora, anche nella nostra storia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nuova offensiva dell’Is in Iraq e duplice attentato in Siria

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Nuova offensiva del sedicente Stato islamico (Is) in Iraq, dove i jihadisti hanno sferrato un attacco a sorpresa a Gwer contro le forze curde: hanno attraversato il fiume Zab e dopo qualche ora di assedio sono stati respinti, ma con un bilancio di 26 morti tra i peshmerga. Intanto, il sito iracheno al-Sumaria News riferisce del trasferimento da parte dell’Is di decine di militanti dalla provincia siriana di Deir Ezzor all’Iraq, dove incontra maggiore difficoltà a causa dei raid aerei americani. Sembra, infatti, che proprio le linee di rifornimento dalla Siria all’Iraq siano diventate il centro dei combattimenti tra jihadisti e truppe irachene e curde. Inoltre, due autobombe sono esplose ieri sera nella zona di Aleppo, in Siria, uccidendo 18 persone: la prima a un posto di blocco gestito dal Fronte al Nusra fedele ad al Qaeda; la seconda a un altro posto di blocco delle milizie curde a 30 km di distanza. (R.B.)

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Egitto. Torna la violenza nel Sinai: decapitati 4 beduini

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Torna a far parlare di sé per azioni terroristiche anche il Sinai egiziano, dove le brigate Ansar Bait al-Maqdis, autosoprannominatesi Stato del Sinai dopo l’affiliazione con il sedicente Stato islamico (Is) di al Baghdadi, hanno decapitato quattro giovani beduini colpevoli di collaborare con l’esercito del Cairo al quale fornivano informazioni sui luoghi più impervi della penisola. I corpi sono stati rinvenuti nell’aera di Sheikh Zuweid, a sud di Arisha. Le forze di sicurezza dell’Egitto, inoltre, hanno sgominato una cellula terroristica che stava pianificando un attentato al canale di Suez, luogo strategico per l’economia del Paese, e hanno arrestato quattro esponenti dei Fratelli Musulmani. Un commando di miliziani armati, inoltre, questa mattina ha fatto saltare in aria una palazzina a Rafah, sempre nel nord del Sinai, dove fortunatamente non c’era nessuno e quindi non ci sono state vittime. Infine, una bomba è stata disinnescata ieri al centro del Cairo, nascosta nei pressi dell’unica sinagoga egiziana; la comunità ebraica d’Egitto – ormai sempre più esigua – è comunque una delle più antiche al mondo. (R.B.) 

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Libano: doppio attacco a Tripoli dei jihadisti di al Nusra

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È salito a 9 morti e 35 feriti il bilancio del doppio attentato avvenuto ieri sera nel Café Omran, un bar di Tripoli, città nel Libano settentrionale. L’attacco è avvenuto nel quartiere alawita ed è stato rivendicato dal Fronte al Nusra, una formazione jihadista siriana vicina ad al Qaeda, della quale ricalca la dinamica: una prima esplosione e poi una seconda non appena sono giunti sul posto i primi soccorritori. L’attentato è stato immediatamente condannato dal premier libanese Tamam Salam: “Un tentativo di portare il Paese alla guerra civile – l’ha definito – i terroristi hanno ancora una volta allungato le mani su Tripoli minacciandone la sicurezza e attaccando la sua gente”. (R.B.) 

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Gelo nella Striscia di Gaza, muoiono 3 neonati e un adulto

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Tre neonati e un adulto sono morti assiderati negli ultimi giorni nella Striscia di Gaza, colpita da un’eccezionale ondata di freddo denominata “la tempesta di Huda”. L’ultimo decesso di cui si ha notizia è quello di un bebé di due mesi, morto di freddo ieri in un rifugio per sfollati a Beit Hannun, nel nord della Striscia, mentre nella stessa giornata, a Khan Yunes, un pescatore e un altro bimbo sono morti nella loro casa, severamente danneggiata dai bombardamenti dell’estate scorsa durante il conflitto con Israele. Inoltre, un altro neonato era morto venerdì scorso per gli stessi motivi. Oltre al freddo anche la pioggia insiste specialmente su Gaza City, dove ha causato diversi allagamenti: si calcola che in tutto il territorio ci siano almeno centomila sfollati, ma la situazione, certamente peggiorata dal clima, era già aggravata dalla mancanza di corrente elettrica che nella Striscia viene erogata solo quattro ore al giorno. (R.B.)

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Caritas Serbia aiuta gli ortodossi colpiti dalle alluvioni

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Circa due milioni e mezzo di euro sono stati stanziati dalla Caritas a favore delle popolazioni dell’area dei Balcani colpite lo scorso anno dalle alluvioni. Lo riferisce L’Osservatore Romano. In Serbia e in Bosnia-Erzegovina le abbondanti piogge hanno provocato la morte di decine di persone, interi villaggi e aree rurali sono stati sommersi dalle acque, migliaia di abitazioni sono risultate inagibili e i trasporti interrotti. Grazie al sostegno dei volontari della Caritas e all’impegno per un ecumenismo della solidarietà le comunità locali hanno saputo reagire. «Da soli non ce l’avremmo fatta», ha raccontato Zarko Kovacevic, agricoltore di 50 anni che abita a Mrdenovac, provincia di Sabac. La terra e il bestiame hanno sempre assicurato a lui e alla famiglia di che vivere ma, ricorda, l’acqua ha distrutto tutto in soli 15 minuti: «Il fiume ha invaso il cortile e la casa e siamo dovuti fuggire». La famiglia Kovacevic è rimasta ospite di amici per diverse settimane. Poi, all’inizio di ottobre, è iniziata la ricostruzione della casa.

Aiuti per oltre 2 milioni di euro
«Grazie all’aiuto della Caritas ho avuto il materiale da costruzione — spiega l’agricoltore — e abbiamo ricevuto anche un aiuto dallo Stato ma molto modesto». L’intervento della Caritas ha rappresentato tantissimo, «anche perché — spiega Zarko — è arrivato quando nessun’altra organizzazione avrebbe potuto farlo». L’aiuto della Caritas alle persone colpite dalle alluvioni nella provincia di Sabac ammonta a 400.000 euro, mentre per l’intera Serbia la somma sale a più di due milioni di euro fino a questo momento. Dall’inizio dell’emergenza i volontari sono stati in prima linea distribuendo cibo, vestiti e coperte. Sono stati donati migliaia di kit igienici, pompe di drenaggio, tonnellate di foraggio per animali.

Ecumenismo della carità
«Tra poco — spiega il coordinatore nazionale della Caritas Serbia, Darko Tot — sarà terminato anche il progetto di ricostruzione delle case». Con l’arrivo dell’inverno sono stati distribuiti materiali per il riscaldamento, stufe elettriche, frigoriferi e lavatrici. La situazione ora sembra sotto controllo. «I cattolici nelle zone colpite sono stati pochissimi — chiarisce Tot — per questo il 99 per cento dei destinatari del nostro aiuto sono ortodossi». Un fatto che non è passato inosservato, tant’è che il vescovo ortodosso di Sabac, Lavrentije Trifunovic, ha espresso «grande gratitudine ai fratelli cattolici dai quali possiamo imparare molto nel servizio di carità per il prossimo. Questo esempio di applicazione della fede nella vita ci spinge a imitarli e a non dimenticare i poveri». Secondo l’arcivescovo di Belgrado, monsignor Stanislav Hočevar, «la carità di Cristo ha spinto a non rimanere ciechi e sordi di fronte ai bisogni degli altri e a cercare l’unità nella diversità».

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Perù. Card. Cipriani Thorne: creare Ministero della famiglia

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L’arcivescovo di Lima, cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, ha proposto la creazione di un ministero della famiglia per tutelare le relazioni umane tra genitori e figli, promuovere l’educazione civica e combattere l’individualismo malsano. «Lo schema sociale attuale — ha spiegato il cardinale, citato da L’Osservatore Romano — prevede che il marito rientri stanchissimo la sera ed esca presto la mattina. E la moglie anche. Dobbiamo fare in modo di favorire l’incontro nella famiglia. Dobbiamo far sì che nel 2015 la famiglia faccia un passo avanti».

No all’individualismo “malato”
Il cardinale ha suggerito di dare alle famiglie numerose la possibilità di detrarre le tasse. Inoltre, ha puntato l’attenzione sulla tutela della famiglia. «Dobbiamo vedere come aiutare e proteggere l’arrivo di una nuova vita in famiglia, del nascituro indifeso. Si potrebbe creare un ministero perché ci sono uomini, donne, bambini e giovani. Ogni volta che c’è un attacco alla famiglia, questa istanza dello Stato potrà dire che si sta maltrattando la famiglia e si stanno limitando i diritti e i doveri della famiglia». Infine, il porporato ha ricordato che «l’individualismo malaticcio va contro la felicità, la pace e la prosperità che tutti cerchiamo. Non c’è benessere possibile su un’isola. Questo individualismo — ha concluso — ha creato molti danni nella politica, nell’economia, nel Governo e tra la gente».

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 11

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.