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Sommario del 14/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa canonizza Vaz: libertà religiosa è diritto fondamentale

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Circa 500mila fedeli hanno partecipato questa mattina alla Messa per la canonizzazione di Giuseppe Vaz primo santo dello Sri Lanka, morto nel 1711 a 59 anni. La celebrazione si è svolta nel Galle Face Green di Colombo, un parco urbano che si estende per cinque chilometri lungo il litorale dell'Oceano Indiano. Un lungo applauso è seguito alla lettura della formula con cui il Papa ha proclamato il nuovo santo, nato in India da famiglia portoghese e approdato nello Sri Lanka per sostenere i cattolici durante la persecuzione ad opera dei calvinisti olandesi. Al termine della Messa, il card. Ranjith, arcivescovo di Colombo ha consegnato al Papa per le sue opere di carità, un assegno di 70mila dollari, frutto della colletta dei fedeli. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

Giuseppe Vaz esempio per superare divisioni
San Giuseppe Vaz è uno stimolo a perseverare nella via del Vangelo, è una guida per chi segue il cammino sacerdotale, e un esempio “per superare le divisioni religiose nel servizio alla pace”. Francesco, a poche ore dall’appello ai leader religiosi a non fare della fede un’arma, torna a invocare l’unità delle religioni affinché nel nome di esse non si perseveri nella violenza. Giuseppe Vaz, arrivato nello Sri Lanka “ispirato da zelo missionario e da un grande amore per queste popolazioni”, si confrontò con la persecuzione religiosa che lo portò a travestirsi, a incontrare in segreto i fedeli, tutto pur di confortare spiritualmente e moralmente la popolazione cattolica assediata.   

"I encourage each of you to look to saint Joseph …
Incoraggio ognuno di voi a guardare a san Giuseppe come a una guida sicura. Egli ci insegna ad uscire verso le periferie, per far sì che Gesù Cristo sia conosciuto e amato ovunque”.

Libertà religiosa
Nel canonizzare una figura così “esemplare”, un missionario che come noi “è vissuto in un periodo di rapida e profonda trasformazione; i cattolici erano una minoranza e spesso divisa all’interno; si verificavano ostilità, perfino persecuzioni, all’esterno”, il Papa ci dice che il suo amore per Dio e il prossimo e la sua dedizione al prossimo sono di esempio ancora oggi per la Chiesa dello Sri Lanka che nel suo servizio “non fa distinzione di razza, credo, appartenenza tribale, condizione sociale o religione”  e “volentieri e generosamente serve tutti i membri della società”.

"Religious freedom is a fundamental human right ...
La libertà religiosa è un diritto umano fondamentale. Ogni individuo deve essere libero, da solo o associato ad altri, di cercare la verità, di esprimere apertamente le sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne. Come ci insegna la vita di Giuseppe Vaz, l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti".

Offrire bellezza Vangelo con rispetto
Ed è proprio questo l’”esempio di zelo missionario” che regala il santo Vaz, che arrivato a Ceylon “per soccorrere la comunità cattolica, nella sua carità evangelica” raggiunse chiunque.

"Saint Joseph knew how to offer the truth …
San Giuseppe sapeva come offrire la verità e la bellezza del Vangelo in un contesto multi-religioso, con rispetto, dedizione, perseveranza e umiltà. Questa è la strada anche per i seguaci di Gesù oggi. Siamo chiamati ad “uscire” con lo stesso zelo, con lo stesso coraggio (…) Siamo chiamati ad essere discepoli missionari".

L’appello ai cristiani dello Sri Lanka è quindi quello a continuare a dare un contributo ancora maggiore alla pace, alla giustizia e alla riconciliazione nella società srilankese.

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Papa al Santuario di Madhu: dopo guerra, Dio porti guarigione

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La guerra in Sri Lanka, conclusa nel 2009 dopo un conflitto trentennale, ha portato “tanto odio, tanta violenza e tanta distruzione”. Ma dall’esempio di Maria, che ai piedi della Croce “ha perdonato gli uccisori di suo Figlio” Gesù, tutti gli srilankesi - Tamil e Singalesi - possano trovare “ispirazione e forza per costruire un futuro di riconciliazione, di giustizia e di pace”. È l’auspicio di Papa Francesco, che stamani ha visitato il Santuario Mariano di Nostra Signora di Madhu, nel nord del Paese, un luogo che, proprio a causa del conflitto, non era mai stato meta di pellegrinaggio nei precedenti viaggi dei Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II. Nel corso della celebrazione odierna, è stata innalzata una particolare preghiera mariana per il consolidamento della pace. Il servizio di Giada Aquilino

Perdono e riconciliazione
Dopo il lungo conflitto “che ha lacerato il cuore” dello Sri Lanka, ora Maria vuole guidarne la popolazione “ad una più grande riconciliazione, così che il balsamo del perdono di Dio possa produrre vera guarigione per tutti”. Nel Santuario Mariano di Nostra Signora di Madhu, il più frequentato del Paese, che si trova nella diocesi di Mannar, nel nord a maggioranza Tamil, Papa Francesco ha voluto ripercorrere gli anni più sanguinosi della storia srilankese, quelli della guerra tra i combattenti Tamil e le forze governative Singalesi.

Dopo un lungo abbraccio con la folla che lo ha accompagnato con canti e spontanee coreografie nel tragitto dall’eliporto e con i fedeli che in 500mila lo hanno atteso nell’area antistante il Santuario, tra loro anche chi gli ha donato una ghirlanda di orchidee, il Pontefice ha liberato una colomba bianca e, tradotto nelle lingue locali, ha poi esortato le due comunità srilankesi - qui rappresentate da un gruppo di famiglie duramente provate dalle ostilità - a “ricostruire l’unità che è stata perduta”:

“Only when we come to understand, in the light of the Cross …
Solo quando arriviamo a comprendere, alla luce della Croce, il male di cui siamo capaci, e di cui persino siamo stati partecipi, possiamo sperimentare vero rimorso e vero pentimento. Solo allora possiamo ricevere la grazia di avvicinarci l’uno all’altro con vera contrizione, offrendo e cercando vero perdono”.

La Madonna sempre accanto al popolo
In questo “difficile sforzo di perdonare e di trovare la pace” a guidarci è la Madonna, ha detto, "sempre" accanto al popolo: lei è madre “di ogni casa, di ogni famiglia ferita, di tutti coloro che stanno cercando di ritornare ad una esistenza pacifica”:

“Many people, from north and south alike, were killed…
Molte persone, dal nord e dal sud egualmente, sono state uccise nella terribile violenza e nello spargimento di sangue di questi anni. Nessuno Srilankese può dimenticare i tragici eventi legati a questo stesso luogo, o il triste giorno in cui la venerabile statua di Maria, risalente all’arrivo dei primi cristiani in Sri Lanka, venne portata via dal suo santuario”.

Solo Gesù sana le ferite
Come la statua di Maria è rientrata a Madhu dopo la guerra, così – ha aggiunto il Pontefice – “preghiamo che tutti i suoi figli e figlie Srilankesi possano ritornare ora alla casa di Dio in un rinnovato spirito di riconciliazione e fratellanza”:

“In the wake of so much hatred, violence and destruction…
Dopo tanto odio, tanta violenza e tanta distruzione, vogliamo ringraziarla perché continua a portarci Gesù, che solo ha il potere di sanare le ferite aperte e di restituire la pace ai cuori spezzati”.

Ringraziare Maria
Ma il Papa ha invocato anche dalla Madonna “la grazia della misericordia di Dio” e “la grazia di riparare i nostri peccati e tutto il male che questa terra ha conosciuto”:

“Today we thank her for protecting the people of Sri Lanka…
Oggi la ringraziamo per aver protetto il popolo dello Sri Lanka da tanti pericoli, passati e presenti. Maria non dimentica mai i suoi figli di questa splendida Isola. Come è sempre rimasta accanto al suo Figlio sulla Croce, così è sempre rimasta accanto ai suoi figli srilankesi sofferenti”.

Tamil e Singalesi, unica famiglia
Nel Santuario, “dimora di nostra Madre”, ha poi ricordato, “ogni pellegrino si può sentire a casa”: qui srilankesi, Tamil e Singalesi, “giungono come membri di un’unica famiglia”, affidando a Maria gioie e dolori, speranze e necessità. Si sentono dunque “sicuri” perché Maria “ci introduce alla presenza del suo Figlio Gesù”: “Dio è molto vicino”, ha proseguito. Per questo la speranza del Papa - che davanti alla statua lignea di Nostra Signora di Madhu ha posto in dono un rosario d’oro - è che il Santuario, nella cui zona in passato sono stati ospitati anche migliaia di sfollati di guerra, “possa sempre essere una casa di preghiera e un rifugio di pace”.

Così hanno pregato anche i fedeli, che nel loro raccoglimento hanno ricordato Giuseppe Vaz, appena canonizzato dal Santo Padre, ed ha sottolineato nel suo indirizzo di saluto pure mons. Joseph Rayappu, vescovo di Mannar: il presule ha ricordato i 400 anni di storia di un luogo di culto che, seppure costruito nella “fitta giungla”, riesce ad essere meta di preghiera di fedeli da tutto il mondo.

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Don Chirat: la Madonna di Madhu, simbolo di pace per lo Sri Lanka

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Sul significato di Madhu per i cattolici dello Sri Lanka, Silvonei Protz ha sentito don Anselmo Chirat, responsabile dei media per il viaggio del Papa: 

R. – Madhu è un simbolo della riconciliazione, perché è situata in una zona dove c’era la guerra, abitata dalla popolazione Tamil. Ci sono tantissimi cattolici anche lì: io sono stato lì, quando c’era la guerra. Ci sono tanti orfani che hanno perso oltre alla famiglia, anche la casa … vivevano lì … Avreste dovuto vedere la loro fede, in quei giorni: ogni mattina loro vanno a Messa e la chiesa è strapiena, strapiena! La gente canta ad alta voce … perché per loro la Madonna è la mediatrice e con Lei loro non hanno sentito la mancanza di Dio, nemmeno durante la guerra. Questo è un simbolo grande, grande, grande! Il vescovo della diocesi di Mannar ha deciso di condividere la statua con il Paese e la statua ha iniziato a girare per il Paese. Dopo un anno, sono iniziati i primi negoziati di pace. Questo è un simbolo: la Madonna sicuramente ci ha salvati dalla guerra. Poi, la chiesa è sempre, ogni giorno, piena di pellegrini: non solo da quella zona, ma da tutto lo Sri Lanka. Il Papa è venuto per dire grazie alla Madonna per questo dono della pace.

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Una religiosa: solo il perdono può aiutare tamil e singalesi

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Sulle ferite lasciate dalla guerra nello Sri Lanka ci parla suor Yogarani Rajarathani, delle Suore della Carità di Gesù e Maria, presente a Madhu per la visita del Papa. L’intervista è del nostro inviato Alessandro De Carolis

R. – La situazione è fatta di molte ferite di questi popoli dopo la guerra. Posso dire che qui tutti sono felici di ricevere il Papa. La sua benedizione è molto importante. Un giorno storico per noi: il Papa viene qua, dove noi siamo feriti. Non sono soltanto i tamil, ci sono anche i singalesi che hanno tanti problemi.

D. – Quali sono le sofferenze dei tamil e quali le sofferenze dei singalesi oggi?

R. – I tamil hanno perso le loro famiglie, non sanno dove sono i componenti delle loro famiglie… Tanti, tanti sono morti e tanti non si sa dove siano. Alcuni sono ancora nelle prigioni... Tutto questo è molto difficile per loro. Molti ancora non hanno una casa, non hanno potuto ricostruirla dopo la guerra e ancora vivono sotto gli alberi. Per tutto questo è molto importante l’istruzione e l’educazione. Sono tanti anche i tamil che vivono fuori dal loro Paese, perché non possono vivere qui. Ma anche la situazione per i singalesi è difficile, perché i militari non hanno sempre avvisato tutti i familiari quando c’erano dei morti e quindi ora si occupano anche dei bambini di altre famiglie perché non si sa dove sia il papà… Quindi tutti e due i popoli – tamil e singalesi – soffrono! Due popoli che hanno perso i loro familiari e per i quali riconciliarsi è difficile: sempre dicono “Ma tu hai ucciso la mia famiglia”; “Tu hai ucciso quello”... E’ un grande problema. Però questo santuario unisce tutti per la riconciliazione e per vivere insieme.

D. – Come insegnate voi questo sia ai singalesi che  ai tamil, come Chiesa?

R. – Solo con il perdono. Dobbiamo perdonare gli altri, accettando le nostre differenze. Io sono tamil e non posso cambiare; come un singalese è singalese e non può cambiare e diventare un tamil… Quindi accettare questa differenza e perdonare. Solo la riconciliazione può aiutarci a ricostruire il nostro Paese, lo Sri Lanka.

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Mons. Andradi: i buddisti amano Papa Francesco

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Sul significato della visita del Papa nello Sri Lanka, uno dei nostri inviati, Silvonei Protz, ha sentito mons. Norbert Marshall Andradi, vescovo di Anuradhapura: 

R. – Per noi è una opportunità importante, per il suo messaggio di pace e di riconciliazione tra i popoli di questo Paese. Infatti, noi dobbiamo – come Nazione – camminare verso la pace permanente, nel senso che dobbiamo trovare un meccanismo politico che garantisca i diritti alle minoranze.

D. – Lei come vive in un Paese in cui i cattolici sono la minoranza?

R. – La questione è significativa, per me, perché nella diocesi in cui vivo io i cattolici sono l’1 per cento della popolazione. Noi cerchiamo di vivere tra loro al meglio … In questo periodo non ci sono grandi difficoltà; ogni tanto c’è qualche estremista che crea problemi, ma normalmente conviviamo tranquillamente …  Per esempio, incontro spesso i capi buddisti: loro sono stati molto contenti del nostro invito ad incontrare il Papa …

D. – Lei che ha contatti con i buddisti, c’è qualcosa del Santo Padre che richiama la loro attenzione?

R. – Il suo amore verso i poveri, il suo sforzo per creare la pace nel mondo e tutto quello che cerca di fare nel mondo intero: per esempio, con i suoi viaggi pastorali, andando recentemente in Palestina, in Turchia e anche in Albania … Loro lo amano per questo impegno che compie come uomo di pace, di riconciliazione e anche per essere un uomo che ama i poveri, un uomo che cerca di creare buoni rapporti con tutte le altre religioni …

D. – Quale frutto si aspetta da questo viaggio?

R. – Credo che con questo viaggio del Santo Padre ci sentiamo tanto incoraggiati. Ci ha colpito il fatto che lui sia venuto qui, in questo piccolo Paese, prima ancora di andare nel suo Paese natale, dove ancora non si è recato. Il fatto che egli abbia deciso di venire da noi è un grande incoraggiamento per noi, per crescere nella nostra fede, per conoscere meglio la nostra vocazione alla santità.

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Lombardi: viaggio di Francesco in Sri Lanka apre cuori alla speranza

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Domani mattina, prima di congedarsi dallo Sri Lanka e volare verso le Filippine, Papa Francesco si recherà in preghiera nella Cappella dedicata a “Nostra Signora di Lanka” a Bolawalana. Per un bilancio del viaggio del Papa in questo Paese, a partire da alcuni avvenimenti non previsti, ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Silvonei Protz:  

Incontro del Papa con l’ex presidente
R. – Sono stati tre avvenimenti semplici, ma significativi, che si sono aggiunti – come spesso avviene – al programma. Il primo è stato la visita di cortesia dell’ex presidente, con suo fratello, che era anche un ministro del governo precedente, e con le rispettive mogli. Siccome questo ex presidente era lui che aveva invitato il Papa a venire in Sri Lanka, era anche giusto e normale che desiderasse salutarlo e dargli un saluto di gratitudine per essere venuto e il suo compiacimento per la buona riuscita della visita. Quindi una visita di cortesia, molto semplice, abbastanza breve, ma che dà un senso anche di armonia, di serenità per il fatto di questo cambiamento che probabilmente non molti prevedevano. Si è svolto in modo così pacifico e così rispettabile, che è un segno certamente di maturità anche per la democrazia e per il Paese dello Sri Lanka e dei suoi responsabili: quindi questo incontro credo che sia un elemento per la popolazione dello Sri Lanka che in gran parte avevano votato anche per questo presidente. Un segno positivo.

Visita in un Tempio buddista
D. – C’è stato un incontro anche in un tempio buddista?

R. – Sì. Il Papa aveva incontrato all’aeroporto un autorevole rappresentate di una delle organizzazioni buddiste, che gli aveva detto che desiderava vederlo e che desiderava incontrarlo. Questo personaggio era anche venuto all’incontro interreligioso di ieri, insieme a tutti gli altri monaci buddisti che erano presenti. Il Papa ha colto la possibilità di questo tempo di questa sera per fare una rapida visita al centro, in cui c’è anche il tempio e anche la sala religiosa di preghiera di questa comunità buddista. E’ stato accolto con grande familiarità. Gli è stata spiegata bene la realtà di questo luogo di preghiera e gli è stato mostrato lo Stupa, che contiene reliquie e che è uno degli oggetti sacri che tengono nel tempio, davanti alla statua di Buddha; e lo hanno anche aperto per il Papa, cosa che avviene – sembra – una sola volta l’anno. Quindi è stata una apertura eccezionale in segno di rispetto, di onore, di amicizia per questa grande autorità religiosa che li ha visitati. Mentre aprivano questo contenitore delle reliquie, alcuni giovani monaci che era lì presenti – hanno recitato un canto, una preghiera con molta naturalezza e semplicità. E’ stato un momento breve, ma significativo della naturalezza vorrei dire, dello stile familiare con cui il Papa porta avanti i rapporti con le persone, anche delle altre religioni. E’ un po’ la sua cultura e pedagogia dell’incontro personale che fa andare avanti poi delle grandi cause come quella del dialogo interreligioso. Anche in questo caso lo abbiamo notato. Devo dire che questo personaggio buddista aveva lì esposta una bella fotografia con Papa Benedetto XVI: quindi si vede che è una persona che coltiva il dialogo con le altre religioni ed era stato in Vaticano in occasione di una udienza. C’era una bella foto sua, del 2007, con Papa Benedetto XVI… Quindi non era una persona nuova al rapporto amichevole con i cattolici.

L’abbraccio con i vescovi del Paese
D. – Il terzo evento di questo pomeriggio…

R. – Il Papa ha voluto andare, perché non c’era andato ieri, all’arcivescovado. Era in programma ieri mattina, poco dopo l’arrivo, una visita all’arcivescovado per un incontro con tutti i vescovi del Paese e il pranzo con loro: in realtà, poiché il viaggio era stato lungo e sotto il sole, il Papa era stanco e il tempo era ridotto, aveva preferito riposare per essere poi invece in forma per gli incontri del pomeriggio. Cosa che, infatti, è avvenuta… Ma questa sera, che il Papa stava molto bene al termine della giornata e allora ha voluto recuperare anche con un atto di amicizia, di simpatia questa visita ai vescovi. In realtà i vescovi stavano tornando da Madhu, dal nord del Paese, e avevano avuto dei problemi perché erano partiti tardi e c’era già l’oscurità e quindi sono arrivati con ritardo: sono loro, questa volta, che hanno fatto aspettare il Papa… E’ stato un incontro breve, ma cordiale e simpatico.

D. – Una chiacchierata?

R. – Sì, il Papa ha detto due parole e ha anche spiegato il senso di questa canonizzazione, che per lui aveva molto il significato dell’evangelizzazione, perché Vaz è una bellissima figura di evangelizzatore.

Canonizzazione di Giuseppe Vaz
D. – Tornando con queste parole all’inizio della giornata del Santo Padre, il grande momento della celebrazione eucaristica e la canonizzazione di Giuseppe Vaz…

R. – Sì, questo era evidentemente l’evento centrale dal punto di vista pastorale di questa visita. E non ha deluso. Tra l’altro è stato preparato pastoralmente veramente molto bene qui dalla Chiesa locale, con una lunga veglia la sera precedente; e con le confessioni, perché hanno fatto tutta una serie di confessionali tutti attorno all’area della preghiera, che sono stati frequentatissimi sia ieri sera durante la veglia, sia questa mattina prima della celebrazione… Il che vuol dire che la gente si è preparata pregando e – diciamo – con un atteggiamento spirituale di attenzione, di accoglienza, di riflessione.

La colletta dei fedeli e il dono del Papa
D. – Alla fine della celebrazione, i doni: il dono dello Sri Lanka, dei fedeli al Santo Padre…

R. – Il cardinale ha detto una cosa bella. Ha detto: “Noi siamo un Paese povero, però anche noi vogliamo aiutare la carità del Papa”. E quindi ha dato al Papa un assegno di 70 mila dollari, raccolti dai fedeli. Raccolti dai fedeli proprio come segno di attenzione a questo impegno del Papa per i poveri. La solidarietà fra i poveri, tramite la figura del Papa. E il Papa ha dato al cardinale un antico documento, molto interessante, che riguarda la storia della Chiesa dello Sri Lanka: un decreto del re di Kandy, che era il re buddista al centro dell’isola, che autorizzava il superiore della Congregazione dell’Oratorio del tempo, quella di San Giuseppe Vaz, ad annunciare il Vangelo, a costruire chiese e autorizzava i buddisti del suo regno a convertirsi anche al cristianesimo. E questo alla fine del Seicento. Questo documento è scritto, è inciso su una piccola lastra di rame ed era stato portato da un arcivescovo del Ceylon al Papa Leone XIII. I vescovi dello Sri Lanka si ricordavano che esistesse questo documento e desideravano averlo anche qui, perché è così importante per la loro storia. Quindi hanno chiesto di poterlo riavere: è stata fatta una copia perfetta, che è stata donata a loro questa mattina. E’ un dono che si inseriva molto bene nel contesto della storia dell’evangelizzazione di Vaz ai suoi tempi nel Regno di Candy.

Il Papa nel Santuario di Madhu
D. – Il pomeriggio il Santo Padre si sposta a Madhu, al Santuario di Madhu. Giovanni Paolo II non è potuto andare, Paolo VI non è andato… Il primo Pontefice che arriva in questo simbolo di riconciliazione – possiamo dire – del popolo dello Sri Lanka…

R. – Più che un simbolo di riconciliazione è un santuario mariano, un santuario mariano amatissimo. Ora c’è questa cosa straordinaria di chi conosce la profondità della spiritualità mariana nella religiosità cristiana, il santuario è agente di riconciliazione, perché è il luogo dove tutti vanno: anche se sono diversi fra di loro sono attratti dall’amore della Madre comune e vanno da Lei per esserne protetti, per confidarsi, per essere consolati, per essere illuminati. E la Madre porta ad incontrare suo Figlio ed è fonte di consolazione e di pace. Ecco, quindi, è la figura di Maria che unisce. Si tratta di capire questo: non è che uno dice “allora, andiamo a fare un atto di riconciliazione in quel luogo”. Ma “andiamo in quel luogo perché vogliamo tutti bene alla Madonna e naturalmente così ci sentiremo più vicini e capaci di riconciliarci”. Questo è poi il luogo dove il Papa può fare un discorso come quello che ha fatto, che – a mio avviso – era il più impegnativo di questi giorni, sul tema della riconciliazione, perché è quello in cui ha parlato esplicitamente anche del perdono, del chiedere e del dare perdono. Qui siamo un po’ al cuore del messaggio cristiano, del messaggio evangelico e qui si arriva a sanare le radici poi del male, del conflitto, del peccato e della divisione. Quindi non c’era altro luogo migliore di questo per poterlo fare, perché è il luogo dove spontaneamente vanno tutti, i cristiani, i cattolici, i tamil e i singalesi, buddisti, induisti; vanno da una Madre comune, da una figura che sentono protettrice, consolatrice e capace quindi di fare il bene dell’intero popolo.

Francesco abbraccia la statua della Madonna
D. – Due momenti interessanti anche di Madhu: il Santo Padre che dona la corona, dona il Rosario e anche a lui è stata regalata una immagine della Madonna; il Santo Padre ha abbracciato, come ha fatto anche con la Madonna in Brasile, come a dire: “Vieni con me”, con una espressione molto bella.

R. – Sì, il Papa vive in prima persona la religiosità popolare cristiana e mariana in particolare. E la esprime con dei gesti molto semplici, come sono naturalmente il baciare l’immagine; fare un atto di venerazione; un dono, come ha fatto oggi, mettendo al collo della Madonna la corona, il Rosario… E poi quando gli danno un’immagine, lui se la tiene in braccio, con un atteggiamento così, diciamo molto confidente, affettuoso, che esprime di per sé proprio un suo atteggiamento del cuore, per cui l’immagine sacra dice la realtà che l’immagine manifesta, cioè la Madonna, la Madonna con il Bambino sono così vicini e presenti al suo cuore e alla sua mente.

Straordinario contributo del Papa, superiore alle aspettative
D. – Padre Lombardi, per concludere: questi due giorni intensi in Sri Lanka…

R. – Il Papa ha dato veramente un contributo assolutamente straordinario, direi molto superiore a quello che uno potesse immaginarsi. Aiutato anche da una circostanza in qualche modo inaspettata, che è il fatto che queste elezioni, che erano così temute, si sono svolte poi nella pace e in qualche modo con il cambiamento hanno aperto delle speranze, che fanno pensare che anche nella vita concreta di questa società, questi messaggi, queste parole del Papa di riconciliazione, di costruzione comune di una nuova società riconciliata, possano diventare realtà. E questa è una cosa molto bella e noi speriamo che avvenga. La Chiesa si è dimostrata molto attiva, presente, capace di una preparazione pastorale profonda di questi eventi. Quindi credo che la Chiesa sarà anche capace di portare avanti l’eredità di questo viaggio e dei messaggi che il Papa le ha affidato per il bene della società nel suo insieme.

Papa molto contento del viaggio
D. – Il Papa è contento del viaggio?

R. – Certo che è contento! Molto contento! Lui la vive come una grazia di Dio e sente molto l’aiuto della Provvidenza che gli dà le forze per fare delle cose che normalmente una persona della sua età non riuscirebbe a fare e anche gli dà le occasioni di incontrare persone, popoli in una forma così positiva che apre il cuore alla speranza.

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Padre Spadaro: cattolici ponte di pace tra singalesi e tamil

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Papa Francesco è giunto nello Sri Lanka per confermare i cattolici nella fede, ma anche per rilanciare il loro ruolo in una società alla ricerca della pace: è quanto afferma il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, al seguito del Papa in questo viaggio. L’intervista è di Silvonei Protz

R. – Certamente confermare nella fede i cattolici, ma anche confermare il desiderio dei cattolici di essere ponte in questa società, ponte di riconciliazione. Il cristianesimo è interessante in questo Paese, perché sono cristiani sia i singalesi sia i tamil. Ci sono quindi, tra i cristiani, le due etnie, che spesso sono state in conflitto tra loro: la singalese buddista, sostanzialmente, e la tamil induista. Ci sono stati fenomeni di violenza molto forti, come anche un’intensificazione del nazionalismo da parte dei singalesi. La Chiesa è un ponte naturale e il Papa vuole confermare la Chiesa come ponte naturale, elemento di riconciliazione all’interno di questa società.

D. – Possiamo dire che il Papa è molto amato e che in Sri Lanka non solo i cattolici e i cristiani, anche i buddisti vedono in lui la semplicità e l’umiltà…

R. – Quello che posso dire, dopo essere andato in giro in questi due giorni, è che c’è proprio un rapporto di simpatia, lo definirei così. C’è una simpatia a priori nei confronti di questo Papa che, se vogliamo, è paradossalmente confermata anche dall’ostilità di piccoli gruppi nazionalisti, soprattutto, che vedono in questa visita del Papa un pericolo, cioè il pericolo della riconciliazione, che loro non vogliono. Allora, tutta la gente che vuole la pace, che vuole vivere bene, che sente che questo popolo, anche dopo le recenti elezioni, deve incamminarsi in una via di riconciliazione, questa gente sente la presenza del Papa con simpatia. Quindi, evidentemente, quello che prevale in questa società è il desiderio di unità.

D. – L’augurio del Santo Padre è che questi giorni della sua visita siano giorni di amicizia, di cooperazione, di unità…

R. – Sì, il grande valore che vive Papa Francesco non è tanto la diplomazia, anche se poi è molto bravo in questo, ma è l’amicizia. Secondo lui le relazioni nascono se c’è un’autenticità di rapporto. Allora vediamo che il cuore del Papa batte davanti alle persone, non tanto davanti ai problemi e alle tensioni. E’ consapevole dei problemi e delle tensioni, ma sa che queste possono essere sciolte solo se c’è reale amicizia tra le persone e i popoli, anche di fede differente.

D. – Nel suo primo discorso il Papa ha citato anche l’orrore della guerra civile…

R. – In realtà direi che questo viaggio è stato preceduto dal discorso al Corpo Diplomatico, che è stato un discorso straordinario, di grande ampiezza, in cui ha fatto notare come nella carta del mondo ci siano luoghi di tensione addirittura dove si vivono situazioni di orrore e di conflitto. Questa terra le ha vissute, le sta vivendo in qualche modo e quindi il desiderio che emerge da questo popolo è un desiderio rinnovato di riconciliazione, dove le diversità - come ha detto in questo suo primo discorso, appena giunto all’aeroporto – sono importanti: non sono una minaccia, ma sono - se riconciliate - una ricchezza, una fonte di arricchimento.

D. – Il frutto di questo viaggio? Qual è l’auspicio?

R. – Che questa società composta da singalesi - per il 70 per cento -, da indù - per il 12 per cento -, da musulmani - per il 9 per cento -, e da cristiani - per il 7 per cento -, possa essere una società unita, soprattutto perché è una società giovane. 

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Tagle: Francesco nelle Filippine, centro del viaggio l'incontro coi poveri

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Papa Francesco lascerà domani lo Sri Lanka per le Filippine, seconda tappa del suo nuovo viaggio in Asia. Arriverà a Manila verso le 10.45 ora italiana. E’ la quarta volta che un Pontefice visita l’arcipelago: il primo fu Paolo VI, 45 anni fa, seguito poi da Giovanni Paolo II nel 1981 e nel 1995. Il viaggio di Francesco, come quello di Papa Montini nel 1970, avviene in un Paese ancora ferito dal recente tifone del dicembre scorso. Il nostro inviato Sean Lovett ne ha parlato con il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila, che ricorda in modo ancora vivo la visita di Paolo VI: 

Il ricordo del viaggio di Paolo VI
R. – The Philippines was just rising…
Le Filippine si stavano appena riprendendo da un tifone in quel momento e i miei ricordi sono ancora nitidi: di alberi spogliati senza neppure una foglia, viali ripuliti velocemente per l’arrivo del Papa, strade ripavimentate e così via… Così, come in questa visita di Papa Francesco, le Filippine erano state devastate da un tifone. Le persone erano entusiaste e accolsero Paolo VI come una grazia dal cielo. Paolo VI volle andare anche dai poveri: visitò le famiglie povere del distretto di Tondo, a Manila, conosciuto per essere una delle aree più povere della zona metropolitana, e lì ancora ricordano quella visita. Quando andai in parrocchia per una festività religiosa, il parroco e altre persone mi indicarono dove si trovava la casa che Paolo VI aveva visitato. I ricordi, le immagini e le conseguenze di quella visita sono ancora lì dopo 45 anni.

D. – Ci sono delle chiare relazioni tra queste visite papali, come il tema della misericordia e del dialogo…

R. – Yes, there is. We need to remind…
Sì, è vero. Dobbiamo ricordare alle persone che quando Paolo VI venne in visita nel 1970, i vescovi dell’Asia andarono ad incontrarlo. E lì, a Manila, con l’incoraggiamento di Paolo VI, nacque la Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia. Quello è stato l’inizio. Il Papa inaugurò anche Radio Veritas Asia nel 1970, così che potesse esserci evangelizzazione attraverso la radio. Queste sono tutte cose che rimangono. In un certo modo, la sua visita è stata come ricevere il Vaticano II in Asia, con la figura del Papa che ci invitava a dialogare e il documento Ecclesiam Suam. Quattro anni dopo, a Taipei, nel 1974, c’è stata la prima assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia sul tema dell’evangelizzazione in Asia. Secondo Paolo VI, l’evangelizzazione doveva avvenire attraverso il dialogo. Quindi gli eventi sono davvero collegati.

Papa Francesco e i poveri
D. – Non sono molti quelli che collegano Paolo VI a Papa Francesco. Lei lo fa?

R. – Oh yes, I do!...
Oh sì, lo faccio! Quando le persone dicono, sia positivamente che negativamente: “Papa Francesco sta facendo una rivoluzione, sta dialogando, abbracciando i poveri”, io dico di averlo già visto in Paolo VI, nel suo percorso, nella sua personalità. Questa intuizione, questa visione che Papa Francesco sembra riprendere e riproporre, l’ho già vissuta come testimone nei miei studi e nel mio incontro con Paolo VI nelle Filippine. I gesti simbolici di Paolo VI sembrano avere aperto la strada a Papa Francesco.

No a preparativi costosi
D. – Papa Francesco ha detto che viene per portare un messaggio di compassione ai poveri, alle vittime del tifone e del terremoto e di spendere poco per i preparativi …

R. – Yes, that has been a mark…
Sì, questa è l’impronta delle sue visite papali. E’ stato lo stesso in Corea. I vescovi coreani dissero a noi filippini che eravamo in Corea per la visita, che il Papa non sarebbe stato contento di vedere preparativi vistosi. Anche l’altare doveva parlare della sobrietà, che è il segno di questo Papa, della sua semplicità.  

D. – I filippini sono molto generosi nell’esprimere il loro affetto. E’ stato difficile contenerli?

R. – In a way, yes.…
In un certo modo, sì. Ma poi abbiamo fatto capire alle persone non solo i desideri del Papa, ma i segni dei tempi. Non vogliamo suscitare scandalo. Tutti possono trovare una scusa per dargli un benvenuto sontuoso, dopo tutto è il Papa. Ma dobbiamo essere coscienti delle tante persone che ogni giorno dobbiamo accogliere in mezzo a noi: i poveri e gli affamati. Quindi, tutti i soldi risparmiati per la visita papale, andranno in beneficenza, andranno ai poveri. Ed il Papa è stato molto esplicito su questo.  

Tifoni climatici e sociali nelle Filippine
D. – C’è stata molta attenzione da parte del mondo alle Filippine dopo il tifone, ma lei ha spesso parla dei tifoni che quotidianamente colpiscono le Filippine…

R. – Yes, we’re used to having typhoons…
Sì, siamo abituati ad avere tifoni, in media dai 20 ai 22 all’anno. Siamo avvezzi anche ai terremoti di differente magnitudo. Catturano l’attenzione del mondo per la vastità della devastazione. Ma come ho detto in molte occasioni, non dovremmo dimenticare i tifoni giornalieri, i terremoti giornalieri causati dalla povertà, dalla corruzione, dagli accordi commerciali indecenti e dalle pratiche sleali. Anche quando il sole splende, il buio si diffonde nelle vite di così tante persone. Anche durante il Sinodo dei vescovi sulla famiglia ho ricordato alle persone nei piccoli gruppi come, per noi in Asia, la povertà non sia qualcosa di estrinseco alla famiglia: incide sull’essenza, sul tessuto della famiglia. Quando ho visitato una casa di accoglienza per bambini e giovani presi a vagare per le strade durante la notte, mi sono reso conto che i genitori tollerano tutto questo perché sperano che le agenzie del governo possano accogliere i loro bambini e nutrirli nelle case di accoglienza. Non sono genitori che trascurano i propri figli: sono genitori che non hanno nulla da dare loro da mangiare, e allora dicono: “Perché non vai fuori, e quando la polizia ti porta nella casa di accoglienza, non vai con loro? Sarai al sicuro per la notte. Per questa notte, avrai un tetto sulla testa e cibo”.

Papa sarà rafforzato nella fede dai poveri
D. – Papa Francesco ha detto di volere che in questo viaggio l’attenzione si focalizzi non su di lui, ma su Gesù nel volto dei poveri. Quali altre linee guida vi ha dato per questa visita?

R. – How can I put it?...
Come posso dire? Non vuole perdere tempo in cose che potrebbero distrarlo dalla sua missione, dal centro della sua missione, che è davvero quello di incontrare i poveri ed ascoltare i poveri. Durante le visite papali, molte persone chiedono: “Possiamo passare un minuto con il Papa? Possiamo offrirgli questo o quello?” Sono tutte belle cose, ma se si hanno solo tre giorni bisogna scegliere. E deve anche risparmiare le sue energie. Questi lunghi voli, il cambiamento climatico, il cambio d’orario, il cambio di cibo e così via, potrebbero esaurire le forze di una persona di 78 anni, che sarebbe meglio fosse usata per focalizzarsi sulla sua missione. Quindi lo stiamo aiutando a concentrarsi. La cosa su cui ci stiamo concentrando sono i suoi incontri con le famiglie e con i giovani di Manila. Ma anche in quegli incontri ascolterà le storie delle famiglie in difficoltà, quelle che nella loro vita hanno subito diversi tifoni, e ascolterà i giovani. C’è un tipo di tifone che, come ho detto, non capita solo in un posto, ma capita ovunque. Il Papa li ascolterà e pero che non solo sarà lui a dare loro una parola di conforto, ma che anche lui, il Papa, sia rafforzato nella sua stessa fede da questa povera gente.

Senso di famiglia
D. – Qual è la sfida più grande per lei, come arcivescovo di Manila, nell’organizzare qualcosa di così complesso come questa visita?

R. – It’s really bringing people together…
Sta davvero riunendo le persone. Abbiamo creato un bellissimo gruppo con persone del governo, del settore economico, della Chiesa. E questo è già un frutto della visita papale: il pastore universale crea un senso di famiglia. Ed io sono molto felice. Sono sicuro che anche dopo la visita, questo senso di comunione, di lavoro in collaborazione tutti insieme, continuerà. Voglio mantenere questa collaborazione.

Sofferenza e Resurrezione
D. – Cosa pensa caratterizzerà questa visita?

R. – An encounter with a lot of suffering…
Un incontro con tanta sofferenza. Ma il messaggio cristiano non si conclude con la sofferenza, c’è sempre una Resurrezione. E spero che il Santo Padre vedrà questo tra coloro che hanno sofferto e che continuano a soffrire.

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Papa a Napolitano: stima per esemplare servizio all'Italia

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Papa Francesco ha inviato un telegramma al presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, subito dopo aver appreso del suo congedo dalle funzioni di capo dello Stato. “Le sono spiritualmente vicino – afferma - e desidero esprimerle sentimenti di sincera stima e di vivo apprezzamento per il suo generoso ed esemplare servizio alla nazione italiana, svolto con autorevolezza, fedeltà e instancabile dedizione al bene comune. La sua azione illuminata e saggia – afferma ancora il Pontefice - ha contribuito a rafforzare nella popolazione gli ideali di solidarietà, di unità e di concordia, specialmente nel contesto europeo e nazionale segnato da non poche difficoltà. Invoco su di lei, sulla sua consorte e sulle persone care – conclude Francesco - l’assistenza divina, assicurando un costante ricordo nella preghiera”.

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Messaggio del Papa per incontro Commissioni dottrinali europee

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In occasione dell’incontro dei presidenti delle Commissioni Dottrinali delle Conferenze Episcopali europee con la Congregazione per la Dottrina della Fede promosso a Esztergom, in Ungheria, dal 13 al 15 gennaio, il Papa ha inviato un saluto letto dal cardinale Gerhard L. Müller, prefetto del dicastero vaticano.

Il Papa ringrazia il porporato “per questa opportuna iniziativa, che mira a valorizzare gli Episcopati locali, e in particolare le Commissioni Dottrinali, nella loro responsabilità per l’unità e l’integrità della fede nonché per la sua trasmissione alle giovani generazioni”. Ribadisce quindi quanto scritto nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, riprendendo l’insegnamento della Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II: “le Conferenze Episcopali possono portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente” (n. 33). Francesco auspica che questo incontro “contribuisca ad affrontare collegialmente alcune difficoltà dottrinali e pastorali che si pongono oggi nel continente europeo, con lo scopo di suscitare nei fedeli un nuovo slancio missionario e una maggiore apertura alla dimensione trascendente della vita, senza la quale l’Europa rischia di perdere quello ‘spirito umanistico’ che pure ama e difende (cfr. Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 2014)”. 

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Nomina episcopale negli Stati Uniti

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Papa  Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Grand Island (U.S.A.), presentata da S.E. Mons. William J. Dendinger, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Grand Island (U.S.A.) Mons. Joseph G. Hanefeldt, del clero dell’arcidiocesi di Omaha, finora Parroco della "Christ the King Parish" ad Omaha. Mons. Joseph G. Hanefeldt è nato il 25 aprile 1958 a Creighton (Nebraska), nell’arcidiocesi di Omaha. Dopo aver frequentato la scuola elementare "Saint Ludgar" e la "Creighton Community High School", ha svolto gli studi filosofici presso il "Saint John Vianney Seminary" e la "University of Saint Thomas" a Saint Paul (Minnesota) (1976-1980). Successivamente, ha frequentato il Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma (1980-1984), ottenendo il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (1983) e il Diploma in Teologia Sacramentale presso il Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo (1984). È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Omaha il 14 luglio 1984. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della "Saint Mary Parish" a West Point (1984-1988) e della "Saint Joan of Arc Parish" ad Omaha (1988-1992); Direttore dell’Ufficio arcidiocesano delle attività pro-vita (1991-2005); Moderatore dell’"Archdiocesan Council of Catholic Women" (1992-1995); Parroco della "Saint Joseph Parish" ad Omaha (1992-1995) e della "Saint Elizabeth Ann Seton Parish" ad Omaha (1995-2007); Direttore Spirituale (2007-2012) e, poi, Direttore della Formazione Spirituale (2009-2012) presso il Pontificio Collegio Americano del Nord. Dal 2012 è Parroco della "Christ the King Parish" ad Omaha e Membro del Consiglio Presbiterale e del "Priests’ Personnel Board". Nel 2010 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Oltre l’inglese, conosce l’italiano.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore sul viaggio del Papa in Sri Lanka.

Il telegramma del Papa in occasione delle dimissioni del presidente Napolitano.

L'orrore e la pietà: i bambini usati dal terrorismo.

Daniela Bandelli sull'"idea vincente "dei Billings per fronteggiare la crisi che la famiglia attuale sta vivendo.

Marco Beck illustra l'europeismo ante litteram di Plutarco.

L'imitazione senza rivalità: Oddone Camerana a proposito di una rilettura della celebre opera di Tommaso da Kempis.

Dalla parte dei vincitori: Gaetano Vallini sulla guerra del Vietnam vista dai fotografi viet-cong.

L'altra faccia della moneta: Gabriele Nicolò sulla Zecca di Gela e l'operosità del popolo siciliano.

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Oggi in Primo Piano



Napolitano si dimette. Istituto Sturzo: giudizio positivo su presidenza

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Giorgio Napolitano si è dimesso da presidente della Repubblica. Un doppio mandato durato nove anni come nessuno in precedenza. Un ruolo svolto con estremo equilibrio, garantendo così la credibilità dell'Italia nel mondo ma soprattutto in Europa, in momenti molto difficili per il Paese. Il presidente del Senato Piero Grasso assume così le funzioni di presidente della Repubblica supplente: avrà pieni poteri fino all'elezione del nuovo capo dello Stato. 

E sono già partirte le consultazioni all'interno dei partiti per trovare un successore. Stamattina, Matteo Renzi ha riunito la segreteria del Pd. I Dem
puntano all'elezione del nuovo inquilino del Quirinale alla quarta-quinta votazione. 'Avremo colloqui con tutti i partiti', dice il vicesegretario Deborah Serracchiani. "#GraziePresidente" è il tweet con cui il premier Renzi commenta le dimissioni di Giorgio Napolitano. La prima votazione dovrebbe essere il 29 gennaio alle 15. 

Napolitano da molti è stato definito un abile arbitro dei poteri della Repubblica. D'accordo il presidente dell'Istituto Sturzo Nicola Antonetti, intervistato da Alessandro Guarasci: 

Giudizio positivo
R. – Per la grande esperienza politica di cui è stato dotato ed è dotato il presidente Napolitano, l’ha fatto in un momento difficilissimo per la storia della Repubblica. Do un giudizio positivo della sua presidenza della Repubblica.

D. – Possiamo dire che è stato anche il garante della credibilità dell’Italia nel mondo, ma soprattutto in Europa? Ricordiamoci che l’Italia ha avuto grossi problemi finanziari, qualcuno ha anche parlato di default. Napolitano ha garantito per questa credibilità?

R. – Ecco, Napolitano è stato al Paelamento europeo; è stato anche un attentissimo analista dei problemi europei ed è conosciuto in Europa. Forse la cosa più difficile per il futuro è trovare una persona che abbia un credito in Europa e nel mondo simile a quello di Napolitano.

Garante unità nazionale
D. – Appunto. Per il futuro bisognerà continuare sulla stessa linea di Napolitano: dunque un garante dell’unità nazionale e con una personalità forte?

R. – Napolitano è intervenuto perché il sistema politico aveva dei vuoti, dei buchi enormi. E siccome in natura come in politica il vuoto non è sopportabile e Napolitano aveva un carattere e un’esperienza politica, è intervenuto. Se il sistema funziona, non dico che il prossimo presidente sarà un “taglianastri”: sarà una persona che farà di meno, entrerà di meno nelle dinamiche politiche. Se si farà una legge elettorale e quindi un governo serio, se si abolisce il bicameralismo e se si rientra nel credito europeo, il nostro presidente sarà l’unitario rappresentante della Nazione come vuole la Costituzione.

Personalità forte?
D. – Ma due personalità forti come il premier Renzi e comunque anche Berlusconi, secondo lei, accetteranno una personalità forte?

R. – Io credo che comunque si arrivi al Quirinale perché si è personalità forte, anche se non si è personalità di primo piano. Se loro non sopportano una personalità forte, è perché hanno paura di non reggere una personalità forte, cioè di non essere capaci di offrire un sistema politico che non dia spazio al presidente. Io, se fossi un Renzi o se fossi un Berlusconi, mi occuperei del sistema politico, più che del presidente.

Alternanza laico-cattolico da non trascurare
D. – Un segnale forte del Parlamento italiano, in un’Italia in cui la politica litiga continuamente, non sarebbe arrivare all’elezione già nelle prime due o tre votazioni?

R. – Sarebbe assolutamente una cosa molto importante. Infatti, non capisco perché Renzi dica “dalla quarta in poi” ... sì lo capisco bene: perché è più facile raggiungere quella percentuale di votanti. Sarebbe nel mondo un segnale importante da questo Paese. Da questo Paese, non solo per la sua condizione particolare, ma da questo Paese che insieme agli altri Paesi europei adesso è sotto l’onda di problemi internazionali pesantissimi. L’alternanza laico-cattolico non è una cosa da niente, in un momento in cui i problemi religiosi sono così evidenti. Non è essenziale, però non è neanche da trascurare. Soprattutto che sia un personaggio il cui nome risuoni nel mondo. Se si dice un nome, a Washington sappiano chi sia, a Bruxelles sappiano chi sia. Ecco. Questo è importante.

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Al Qaeda rivendica strage Parigi e minaccia nuove tragedie

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Cresce la preoccupazione in Europa dopo l’allarme su terroristi locali pronti ad agire lanciata dall’Europol. Intanto Al Qaeda nella penisola arabica ha rivendicato ufficialmente la strage presso la redazione di Charlie Hebdo: in un videomessaggio diffuso su Internet l’organizzazione terroristica afferma di aver incaricato gli attentatori di compiere l’attacco di Parigi e minaccia "nuove tragedie e terrore". Eugenio Bonanata ha sentito Maurizio Calvi, presidente del Centro alti studi per la lotta al terrorismo: 

R. – In questa fase politica c’è un’incertezza tra la rete di Al Qaeda, che ha una sua visione diversa rispetto all’Is, e l'Is che è una sorta di grande mare che si sta allargando e che determina un’inquietudine nell’Occidente. Dal punto di vista più generale, ovviamente, questi attentati sono delle metastasi che derivano da un tumore primario, che è appunto l’Is. Se non si interviene sul tumore primario credo che le metastasi continueranno ad allargarsi soprattutto nel continente europeo.

D . – In Europa c’è ancora tanta paura soprattutto dopo l’allarme lanciato dall’Europol. In che modo arginare il pericolo?

R. – Non v’è dubbio che in questa fase occorrono gli uomini sul territorio: questi rappresentanti o di Al Qaeda o di Is - che sono schegge impazzite, che agiscono in un contesto di carattere solitario - possono essere colpiti meglio se noi mettiamo in campo, sì, un concerto dei diversi Paesi europei o extra europei. Ma non v’è dubbio che in questa fase conta più l’uomo con ‘la barba finta e i baffi finti’.

D. – Per l’antiterrorismo dell’Ue è impossibile prevedere attacchi come quelli avvenuti in Francia che sono condotti appunto da lupi solitari o da piccole cellule… Cosa dire a riguardo, siamo sguarniti?

R. – Non v’è dubbio che in Francia si sono compiuti errori macroscopici nell’affrontare questo sistema, queste schegge impazzite. Quindi diventa molto più complicato, complesso, decifrare da dove arrivino e in che direzione vanno anche perché poi le schegge colpiscono tutto e tutti: non c’è più un epicentro e ci sono tutta una serie di fasi in cui gli obbiettivi possono essere allargati, molto più complessi, e quindi molto più allarmanti dal punto di vista della sicurezza interna dell’Europa.

D.  – Le autorità europee puntano il dito anche contro le prigioni considerate un incubatore di massiccia radicalizzazione. Cosa fare?

R.  – Noi dobbiamo inserire dentro il sistema carcerario questi massacratori. Lo schema non può essere che quello, anche se, ovviamente, possono essere disseminati in contesti diversi. Insomma: non c’è bisogno di raggrupparli nella stessa area, nella stessa struttura. Ci sono modi molto semplici per evitare questo.

D.  – Secondo lei l’ipotesi di sospendere il Trattato di Schengen è praticabile, è opportuna?

R. – Schengen deve restare l’elemento forte della politica dell’Europa. Avere informazioni su come si muovono queste cellule impazzite, serve; ma non serve all’Europa e ai cittadini dell’Europa che devono attraversare l’Europa senza nessun problema. E’ il livello di sicurezza ai confini dell’Europa che va controllato: chi viene e chi esce, chi esce e chi entra. Questo è il problema, senza mettere in crisi il sistema di libertà al quale nessuno vuole rinunciare.

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A Ginevra si discute della difficile transizione in Libia

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Raggiungere un accordo sulla gestione della parte restante del periodo di transizione in Libia: questo l’obiettivo della riunione organizzata a Ginevra dalla Missione di sostegno delle Nazioni Unite nel Paese nordafricano (Unsmil). E’ urgente la formazione di un governo di unità nazionale che permetta un processo costituzionale per arrivare a una nuova costituzione permanente.  Nei colloqui si discute anche di possibili misure di sicurezza per porre fine ai conflitti armati che imperversano in diverse parti del Paese. Della situazione drammatica della Libia e delle dinamiche interne, Fausta Speranza ha parlato con il professor Luigi Serra, studioso in particolare dell’area del Maghreb dell’Orientale di Napoli: 

R. – Siamo di fronte ad un Paese destabilizzato e non solo: un Paese completamente allo sbando, che si regge ancora grazie alla connessione realizzata all’interno dagli interessi estranei al Paese, col quale comunque coincidono. La Libia, infatti, è riserva petrolifera e Paese dove convergono interessi economici da parte di forze esterne, tutto sommato. Non a caso i pozzi petroliferi, anche se minacciati, continuano a produrre.

D. – Si rischia la guerra civile? C’è una strategia della comunità internazionale in questo momento?

R. – No, assolutamente non c’è una strategia, perché innanzitutto si parla a più voci, anche se ciò non appare con estrema evidenza. C’è sempre qualche comunicato che sembra mediare una posizione partorita dall’Onu o da altre sedi internazionali autorevoli. Non c’è Paese che abbia una visualizzazione del dramma libico assolutamente e interamente corrispondente alla visione di un altro Paese. Ci sono interessi nascosti, interessi che non sono palesati e che, comunque, si perseguono con manovre poco chiare e non sempre sicure di successo.

D. – Ma chi sono gli attori in Libia?

R. – Personaggi, realtà, fazioni, gruppi innanzitutto libici, numerosi, che si dividono e si possono connotare come referenti ad aree libiche diversificate: Bengasi cioè ha le sue espressioni; Tripoli ha le sue rivendicazioni da avanzare. Quando dico Bengasi, quando dico Tripoli, intendo dire Cirenaica, intendo dire Tripolitania, con il Fezan che ruota a seconda del fascino o degli incantesimi che offre ora la prima regione che richiamavo, la Cirenaica, ora la seconda, la Tripolitania. E’ un’area quindi di fluidificazione delle appartenenze.

D. – Si tratta di posizioni politiche esasperate o si tratta di terrorismo vero e proprio?

R. – L’aspetto grave è proprio questo: si tratta di posizioni politiche esasperate, miscelate da presupposti di impegno a livello terroristico delle proprie forze da parte dei gruppi sullo scenario libico. Ci sono due realtà che scendono nel profondo della regione, nella diversità, nella dicotomia della composizione etnico-linquistico-culturale della Libia: c’è la componente araba, ufficialmente dominante, istituzionalmente autorevole; e la componente berbera, che è la componente autoctona, antica, originaria della Libia, come dell’intero Nord Africa dal punto di vista etnico-culturale-linguistico. Ora sappiamo che Gheddafi è caduto anche per la discesa in campo pesante, forte e significativa - dal punto di vista del successo - di quanti volevano l’eliminazione di Gheddafi, appunto dei berberi. Alludo a mercenari occidentali, europei - ceceni, jugoslavi e quanto altro - senza i quali Gheddafi probabilmente, non avendoli contro, sarebbe ancora in sella al potere. C’è quindi il rischio di un’implosione interna alla Libia dei contrasti, a tal punto che si possa configurare uno stato di guerra civile. 

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Ucraina, tregua ancora violata. Salta il vertice di Astana

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Nei combattimenti in Ucraina dell’est delle ultime 24 ore si registrano ancora vittime: un soldato di Kiev e 12 civili, rimasti uccisi nella strage di ieri a Volnovakha,  dove un minibus è stato centrato da un colpo di artiglieria e del quale ancora non si conoscono i responsabili. Continuano quindi le continue violazioni del cessate il fuoco, così come continua anche l’arretramento dell’azione diplomatica dopo il rinvio a data da definire del vertice straordinario di Astana, in Kazakistan, previsto per domani tra Francia, Germania, Russia e Ucraina proprio per discutere della crisi. Francesca Sabatinelli ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – Io credo che, se non ci sarà a breve una svolta decisiva, quello che possiamo aspettarci è che continui esattamente così, e cioè che ci sia questo cessate-il-fuoco dichiarato, continuamente interrotto da episodi di violenza, di cui è molto difficile l’attribuzione, perché non nascondiamoci il fatto che i nostri giornali, i nostri media tendono a prendere per buone le dichiarazioni del governo di Kiev e per cattive le dichiarazioni dei ribelli filo-russi. Non voglio dire che sia il contrario; diciamo solo: stiamo un po’ attenti. Anche nel caso dell’autobus le informazioni che noi abbiamo sono quelle di Kiev; non è necessariamente detto che in una situazione di guerra, con le opposte propagande al lavoro, sia la verità.

D. – E’ giunta la notizia che sia saltato il vertice di Astana, rinviato a data da stabilire, per la mancanza dei presupposti. E questi “presupposti”, quali sarebbero?

R. – Bè, è difficile dirlo perché questi sono incontri di diplomazia piuttosto riservati. Però è chiaro che i russi vogliono un maggior coinvolgimento nelle trattative – chiamiamole così – “di pace”, se si possono chiamare così, da parte dei rappresentanti dei ribelli filo-russi del Donbass, cosa che Kiev non vuole o che comunque fa, peraltro – da un certo punto di vista anche giustamente – molta fatica ad accettare. Naturalmente, se i rappresentanti dei ribelli filo-russi partecipassero ufficialmente a questi incontri diplomatici, avrebbero ottenuto una sorta di semi-riconoscimento ufficiale che, ovviamente, a Kiev non può andare tanto bene – per usare un eufemismo – e non può andare tanto bene neanche ai partner di Kiev, cioè agli Stati Uniti e all’Unione Europea che hanno condannato il separatismo filo-russo. Quindi, la questione è molto complicata.

D. – Veramente riesce difficile vedere non solo una possibile uscita da questa crisi, ma riesce difficile proprio vedere la buona volontà …

R. – Ma, io credo che la buona volontà nelle parti in questo momento non ci sia, non sia ancora uscita allo scoperto; credo che le ferite siano troppo fresche e poi credo anche che, parlando un po’ più in generale, sia stata fin dall’inizio male interpretata, questa crisi, e soprattutto raccontata in una maniera molto discutibile, perché comunque un problema di minoranza filo-russa in Ucraina c’è sempre stato; naturalmente – altrettanto naturalmente – Mosca ha soffiato su questo fuoco … Però, il racconto che viene fatto di questa crisi, come di una crisi artificialmente creata da Mosca, è un racconto molto parziale e, secondo me, almeno in parte fuorviante. La crisi del Donbass è una crisi che ha radici molto più profonde e complesse che non semplicemente pro-Mosca o contro Mosca. Per esempio, qualcuno dovrebbe decidersi a raccontare che sono i dirigenti politici del Donbass che hanno – non adesso, ma storicamente, da quanto l’Ucraina è uno Stato indipendente – occupato la politica di Kiev: è di fatto il Donbass che ha diretto l’Ucraina, non il contrario. Il che, naturalmente, rende tutti gli attori della crisi del Donbass particolarmente forti e particolarmente potenti e capaci di disgregare la situazione generale. Ovverosia, il Donbass non è una landa periferica dell’Ucraina dove ci sono i filo-russi e che quindi viene tranquillamente mobilitata a favore di questo o di quello; il Donbass è la regione decisiva per l’Ucraina: è l’Ucraina, in un certo senso. Quindi, questo rende particolarmente acute tutte le crisi e tutti i problemi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa-Iran: riprendono i dialoghi sul nucleare iraniano

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Un nuovo giro di colloqui sul nucleare iraniano comincia domani. Già oggi John Kerry, segretario di Stato Usa, e Javad Zarif, ministro iraniano degli esteri, si incontrano nella città svizzera per studiare vie di avvicinamento. I 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Germania) e l'Iran dovrebbero stilare entro il primo marzo un accordo politico che porti al controllo del programma nucleare di Teheran e a una riduzione dei processi di arricchimento dell'uranio. In cambio l'Iran vedrebbe cancellate le sue sanzioni. La conferma dell'accordo con tutti i dettagli tecnici - riferisce l'agenzia AsiaNews - dovrebbe essere pronto per il primo di luglio.

Iran spera nella fine dell'embargo
Per l'Iran sarebbe un'enorme occasione di liberarsi dall'embargo che in un modo o in un altro dura da più di 30 anni, ridando fiato alla sua economia; per il mondo, ma soprattutto per gli Usa si aprirebbe una stagione di collaborazione con Teheran, resa urgente anche dalla lotta che Washington ha ingaggiato con l'Isis in Iraq, a cui l'Iran potrebbe dare un contributo decisivo. Secondo diversi esperti, già ora Teheran compie raid aerei nella regione dello Stato islamico e trasporta armi per l'esercito irakeno.

Usa e Iran devono frenare l'opposizione interna 
Gli Usa devono combattere contro molte frange del Partito repubblicano che cercano di bloccare ogni accordo con l'Iran, venendo incontro alle richieste di Israele e del suo premier Benjamin Netanyahu. In Iran, il presidente Hassan Rouhani cerca di fermare l'influenza dei "falchi", radunati attorno alle Guardie della rivoluzione, che dipingono il possibile accordo come un'umiliazione del Paese. Alcune dichiarazioni dei giorni scorsi fanno trasparire segnali positivi e una maggiore confidenza di Rouhani nel riuscire a mettere all'angolo l'opposizione.

Iran in crisi per il calo del prezzo del petrolio
Lo scorso 28 dicembre, Ali Shamkhani, segretario del Consiglio nazionale supremo della sicurezza, ha condannato tutti coloro che criticano "senza sostanza" le politiche economiche del Presidente Rouhani. Egli ha anche detto che non avere cura dell'economia dell'Iran rischia di portare il Paese a gravi conseguenze sociali e di sicurezza. Il riferimento di Shamkhani è al calo del prezzo del petrolio che assottiglia ancora di più il bilancio dello Stato, già segnato dall'embargo. Tale difesa è ancora più importante se si pensa che il contrammiraglio Shamkhani è stato in passato membro delle Guardie rivoluzionarie islamiche. (R.P.)

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Terra Santa: i vescovi Usa e Ue visitano Cremisan ed Hebron

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I 16 vescovi partecipanti alla visita organizzata in questi giorni in Palestina e Israele dall'Holy Land Coordination - organismo che riunisce vescovi e rappresentanti delle Conferenze episcopali di Europa e Nord America - ieri hanno raggiunto la Valle di Cremisan, al centro di una lunga contesa giudiziaria tra i proprietari dei terreni e le autorità israeliane, che in quell'area verde intendono far passare il tracciato del muro di separazione dai Territori palestinesi.

Il muro divide terreni agricoli e due istituti salesiani
Durante l'escursione, i vescovi sono stati accolti da padre Faisal Hijazin, parroco a Beit Jala, e si sono intrattenuti con l'avvocato Raffoul al-Mutawakkil della Society of St. Yves – organismo per la tutela dei diritti umani collegato al patriarcato latino di Gerusalemme - e con alcuni dei 58 proprietari dei terreni agricoli minacciati dal proseguimento dei lavori. Il tracciato del muro di sicurezza nella valle di Cremisan mette a repentaglio anche l'opera spirituale e educativa svolta da due istituti religiosi salesiani.

I vescovi chiedono di rivedere il tracciato del muro
Fonti locali contattate dall’agenzia Fides confermano che, alla fine della visita, la delegazione dei vescovi diffonderà una dichiarazione in cui si farà riferimento anche alla questione di Cremisan. Già lo scorso anno, alla fine di gennaio, l'Holy Land Coordination aveva lanciato un appello per chiedere “giustizia nella valle di Cremisan” e affermare la necessità di accantonare o rivedere il progetto.

Il muro si discosta dala Linea Verde
“Riconosciamo il diritto dello Stato di Israele alla sicurezza ed a confini sicuri” scrivevano i vescovi in quel loro appello, ribadendo tuttavia che il tracciato del muro di sicurezza cade in gran parte su territorio palestinese e si discosta nettamente dalla Linea Verde - la linea di demarcazione internazionalmente riconosciuta, che separa Israele e i territori palestinesi conquistati nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 – e anche per questo è stato definito come illegale dalla Corte internazionale di giustizia. 

La tappa ad Hebron
La delegazione - riferisce l'agenzia Sir - si è poi recata ad Hebron, cuore della Cisgiordania, 30 chilometri a sud di Gerusalemme. Una città costellata da insediamenti israeliani, anche dentro la città vecchia, a difesa dei quali l’esercito con la stella di David ha posto un gran numero di soldati, creando di fatto un regime di separazione e di restrizioni di movimento all’intera popolazione della città. Sono continue le provocazioni dei coloni ai danni della popolazione palestinese secondo quanto riferito ai vescovi da alcuni membri dell’Ong israeliana per la difesa dei diritti umani B’tselem. 

Non c'è libertà ma solo divieti
“Gli stessi coloni - afferma mons. Felix Gmur, vescovo di Basilea che, insieme agli altri presuli, è stato accompagnato in giro per la città dagli osservatori del Temporary International presence in Hebron (Tpih) - si sono imprigionati da soli all’interno di Hebron. Non esiste libertà ma solo divieti. È triste vedere tutto ciò. Una città separata per la quale non si vede via di uscita”.

Rispetto della dignità dei palestinesi
Per monsignor William Kenney, membro della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea, “colpisce la mancanza di dignità che accompagna la vita dei palestinesi di Hebron. La situazione è difficile ma ciò che si deve tenere presente è che ogni uomo ha la sua dignità che va rispettata in ogni momento. Ben vengano, dunque, le campagne di Ong per la difesa dei diritti umani come B’tselem che aiutano i palestinesi a difendere i loro diritti con strumenti di denuncia delle violazioni come le riprese video”. (D.R.)

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Caritas Libano: casi di assideramento tra i profughi siriani

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L'ondata di gelo abbattutasi nei giorni scorsi su ampie regini del Medio Oriente ha provocato le prime vittime tra i profughi siriani rifugiati in Libano. “Sono almeno quattro i morti per assideramento - conferma all'agenzia Fides padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano - e la preoccupazione cresce, poiché è annunciato un nuovo abbassamento delle temperature”. 

Temperature sotto zero
Le situazioni più gravi si registrano nella valle della Bekaa, nel nord del Paese, dove gli accampamenti di rifugiati sono stati coperti dalla neve, le strade sono rimaste bloccate e la temperatura è scesa sotto lo zero.

Emergenza cronicizzata
La guerra in Siria ha costretto almeno tre milioni di profughi siriani a trovare rifugio fuori dal proprio Paese. “In Libano - riferisce padre Karam - le stime ufficiali parlano di un milione e 200mila profughi registrati presso gli organismi dell'Onu, ma secondo le nostre stime il dato reale arriva a un milione e 600mila. Cerchiamo di fare il possibile per distribuire cibo, coperte, stufe, carburante, vestiti pesanti. Ma la situazione di emergenza si va ormai cronicizzando. La comunità internazionale ha messo il conflitto siriano nel cono d'ombra. E i più inermi, quelli che pagano il prezzo più alto, sono i ragazzi e i bambini, che rappresentano quasi la metà di questa immensa moltitudine di rifugiati”. (R.P.)

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Vescovi italiani: Messaggio sull'ora di religione

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Avvalersi dell’ora di religione “non è una dichiarazione di appartenenza religiosa, né pretende di condizionare la coscienza di alcuno”. A precisarlo sono i vescovi italiani, nel Messaggio della presidenza della Cei per l’insegnamento della religione cattolica (Irc), inviato come è tradizione - riferisce l'agenzia Sir -nel periodo dell’iscrizione al prossimo anno scolastico. “La società italiana è sempre più plurale e multiforme, ma la storia da cui veniamo è un dato immodificabile”, scrivono i vescovi esortando le famiglie italiane ad avvalersi anche per il prossimo anno scolastico dell’Irc. Il punto di partenza sono le parole pronunciate da Papa Francesco il 10 maggio scorso, durante l’incontro in piazza san Pietro con il mondo della scuola: “L’educazione non può essere neutra: o arricchisce o impoverisce”.

Non si vuole condizionale la coscienza di nessuno
“Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti - si legge nel messaggio - che questa scelta non è una dichiarazione di appartenenza religiosa, né pretende di condizionare la coscienza di qualcuno, ma esprime solo la richiesta alla scuola di voler essere istruiti anche sui contenuti della religione cattolica che costituisce una chiave di lettura fondamentale della realtà in cui noi tutti oggi viviamo”. 

Il contributo della Chiesa per la società
“Il mondo si sta trasformando sempre più velocemente, i conflitti e le contrapposizioni diventano sempre più drammatici e anche la società italiana è diventata sempre più plurale e multiforme - constata la Cei - ma la storia da cui veniamo è un dato immodificabile e le tracce che in essa ha lasciato e continua ad offrire la Chiesa costituiscono un contributo evidente ed efficace per la crescita della società di tutti”.

Perchè avvalersi dell'Irs
Proprio a partire dallo “stimolo” del Papa “a imparare e coltivare il vero, il bene e il bello” nella scuola i vescovi invitano le famiglie “a compiere la scelta di avvalervi dell’Irc non solo perché consapevoli dell’importanza e del valore educativo di questa disciplina scolastica, ma anche e soprattutto sulla base di una reale conoscenza dei contenuti specifici di questa materia su cui siete chiamati a pronunciarvi, riferendovi in concreto alle Indicazioni didattiche proprie dell’Irc”. “Se vorrete avvalervi dell’opportunità offerta dall’insegnamento della religione cattolica - la conclusione del Messaggio - sappiate che potrete trovare negli insegnanti delle persone professionalmente molto qualificate, ma anche testimoni credibili, capaci di cogliere gli interrogativi più sinceri di ogni persona, accompagnando ciascuno nel suo personale ed autonomo percorso di crescita”. (R.P.)

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Delhi: dissacrata statua della Madonna in una chiesa cattolica

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Questa mattina la grotta mariana della chiesa Nostra Signora delle Grazie a Vikaspury, quartiere di New Delhi, è stata dissacrata. Grazie ai video delle telecamere di sicurezza, che hanno ripreso la fuga di tre uomini con turbante da sikh, la polizia ha già identificato i colpevoli.

Distrutta statua della Madonna
"I vandali - spiega all'agenzia AsiaNews Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) - sono arrivati alla grotta intorno alle 4:20 del mattino. È stato un piano ben ordito: uno ha rotto il vetro, un altro ha buttato a terra la statua della Madonna e insieme l'hanno distrutta".

La politiza sfrutta le appartenenze religiose
Secondo il leader cristiano, la dissacrazione è legata alle future elezioni per la nuova Assemblea legislativa di Delhi, che si terranno il prossimo 7 febbraio. Due giorni fa la Commissione elettorale ha annunciato la data. "Con le elezioni di Delhi dietro l'angolo - sottolinea il presidente del Gcic - alcuni cercheranno di polarizzare i voti sfruttando le appartenenze religiose. Questo è un colpo terribile all'armonia sociale, alla tolleranza interreligiosa e al mutuo rispetto". (N.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 14

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.