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Sommario del 19/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Rispetto, poveri, famiglia: le tre parole del viaggio di Francesco

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Papa Francesco è ripartito oggi da Manila a conclusione del suo viaggio apostolico nello Sri Lanka e nelle Filippine, il settimo internazionale del suo Pontificato. Migliaia le persone che si sono riversate per le strade per salutarlo. L’arrivo dell’aereo papale alle 17.40 all'aeroporto romano di Ciampino. Il Pontefice ha inviato i tradizionali telegrammi ai capi di Stato dei Paesi sorvolati, tra cui la Cina: “Assicuro le mie preghiere per lei e per tutto il popolo della Cina – scrive Papa Francesco al presidente cinese - invocando su di voi abbondanti benedizioni di armonia e prosperità". Il nuovo viaggio in Asia del Papa è stato caratterizzato da messaggi forti. Ce ne parla Sergio Centofanti

Il rispetto degli altri promuove la pace
Tre parole sono risuonate di più in questi giorni di viaggio: rispetto, poveri, famiglia. Papa Francesco ha affermato che l’odio e la violenza si possono vincere solo con la forza del bene e con il “rispetto per ogni persona”. Anche la Chiesa ha imparato nella storia ed è “cresciuta tanto nella coscienza del rispetto” per le altre religioni. Non bisogna dimenticare la propria identità – ha detto ai leader religiosi nello Sri Lanka – ma “se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune”. Il dialogo è essenziale per “capirci e rispettarci l’un l’altro”. Nello stresso tempo “non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza”: “uccidere in nome di Dio è un’aberrazione” ha detto con forza, e in questi casi occorre denunciare. Ha però ricordato la necessità di non offendere o deridere le religioni: “non si può insultare la fede degli altri” considerando le religioni “una sorta di sottocultura”. Anche la libertà di espressione ha un limite. Dunque, il rispetto porta la pace: non l’offesa, ma “il balsamo della solidarietà fraterna”.

Giustizia e dignità per i poveri
I poveri, l’altra parola del viaggio, sono stati loro il messaggio, ha detto Papa Francesco: i poveri che hanno fede, i poveri sfruttati, i poveri che sono “al centro del Vangelo”. Occorre combattere le cause di una “scandalosa disuguaglianza”.  E’ un imperativo morale “assicurare la giustizia sociale” ed è Vangelo “ascoltare la voce dei poveri”. Il Papa mette in guardia da una “compassione mondana” che si acquieta la coscienza donando qualche moneta. Bisogna invece vincere la corruzione e l’egoismo e ridare dignità e diritti ai poveri.

Nuove colonizzazioni ideologiche contro la Famiglia
La terza parola è la famiglia. Oggi – ha detto il Papa – famiglia e matrimonio “sono sempre più sotto l’attacco di forze potenti”. “Stiamo attenti – ha sottolineato – alle nuove colonizzazioni ideologiche” che “cercano di distruggere la famiglia”. Ci sono “crescenti tentativi” per “ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita”. “Ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa”. “Il futuro passa attraverso al famiglia – ha esortato con il Papa - Dunque, custodite le vostre famiglie! Proteggete le vostre famiglie!”.

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Un missionario guanelliano: viaggio Papa risveglia coscienze

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Uno dei grandi eventi del viaggio del Papa nello Sri Lanka e nelle Filippine è stata la Messa conclusiva a Manila, alla quale hanno partecipato 7 milioni di persone. Emanuela Campanile ne ha parlato con il padre guanelliano Luigi De Giambattista, per tanti anni missionario nelle Filippine: 

Il Papa ha risvegliato le coscienze
R. – Certo, è stato davvero uno spettacolo stupendo, un bagno di folla per il Papa. Mi ha scaldato il cuore vedere quello che stava avvenendo sotto gli occhi del mondo, perché non era soltanto un avvenimento delle Filippine: il Papa che viene in questa nazione, che ha ricevuto il Vangelo ormai 500 anni fa - e che si appresta appunto a vivere quell’anniversario - e il Papa che porta fuoco. Come diceva il cardinale Tagle: “Lei Papa Francesco ha portato tra noi il fuoco e ha causato un terremoto”. I filippini sono abituati a vedere il fuoco, specialmente nelle zone degli slum, dove vivono milioni di baraccati, di fratelli e sorelle in situazioni subumane molte volte. Il fuoco distrugge e il terremoto devasta, ma il fuoco che ha portato Papa Francesco è un fuoco che purifica, che davvero illumina e riscalda il cuore, e il terremoto è un terremoto che non devasta, ma che risveglia una coscienza della bellezza del Vangelo, ma anche delle responsabilità grandi. I cristiani in quella nazione, infatti, si sentono richiamati dal Papa ad essere evangelizzatori, profeti di speranza, testimoni di solidarietà, di questo amore grande di Dio, che vuole raggiungere tutti, a partire dagli ultimi, dai più piccoli, da chi è emarginato.

I poveri ci evangelizzano
D. – L’Asia risponde alla chiamata di Papa Francesco. Che cosa, allora, questo viaggio può rappresentare per l’Occidente? 

R. – Sicuramente, ci si può accorgere che là dove è arrivato il Vangelo, portato dai missionari che partivano dal nostro Occidente cristiano - dove per primo la Chiesa ha messo le sue radici storicamente - adesso c’è un ritorno del Vangelo. Dobbiamo metterci in ascolto di quello che rende attenta e stupita la gente povera di questa porzione dell’umanità e di Chiesa, e capire che bisogna riscoprire la freschezza, la novità del Vangelo a partire da una vita più sobria. Ecco, non si tratta di andare e far tornare indietro la storia o di negare il progresso, che ci ha portato a livelli tecnologici insperati, altissimi, nel nostro mondo occidentale, ma dobbiamo reimparare che le cose essenziali sono quelle che cambiano il cuore, sono quelle che mettono in relazione le persone, non sulla base di quanto mi dai e quanto ho in tasca, ma sulla base della ricchezza del cuore, che è la misura davvero autentica del valore della persona. I poveri ci evangelizzano e non ho assolutamente nessuna esitazione nel dire di essere andato come missionario - atterrato nelle Filippine nell’’89 – ed essermi accorto nei primi giorni, andando tra i più poveri della zona del porto di Manila e poi tra i lebbrosi, in un’altra parte della città, che bisognava levarsi i sandali, perché quella era una terra santa: era una terra dove il Vangelo aveva attecchito più a fondo e doveva, dunque, essere riscoperto anche da noi missionari, per poterlo condividere con gioia e celebrarlo con la nostra gente. Noi guanelliani siamo lì in modo semplice, nella periferia della città di Manila, a fare famiglia con ragazzi e persone disabili, con handicap fisici e psichici molte volte dimenticati e nascosti.

I poveri al centro del Vangelo
D. – Gli ultimi degli ultimi insomma…

R. – Eh, ma si vede stando con loro come davvero il Signore abbia cominciato da lì. Il Papa diceva molto chiaramente: “Non c’è Vangelo senza mettere i poveri al centro”, perché Gesù ha cominciato da lì. Non si tratta di fare ideologia e di spaccare il mondo tra poveri e ricchi, no. Il Vangelo è per tutti, ma bisogna cominciare a riscoprirlo da un incontro appassionato con chi è più aperto, è più libero dentro, perché non ha niente da difendere e tutto da attendersi di provenienza del Signore.

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Tweet: ai miei amici in Sri Lanka e Filippine, Dio vi benedica tutti

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Il Papa, a conclusione del suo viaggio, ha lanciato oggi un nuovo tweet: “Ai miei amici nello Sri Lanka e nelle Filippine: Dio vi benedica tutti. Per favore pregate per me”.

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Mons. Toso nominato nuovo vescovo di Faenza

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Papa Francesco ha nominato vescovo di Faenza-Modigliana mons. Mario Toso, salesiano, finora vescovo titolare di Bisarcio e segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Mons. Toso è nato a Mogliano Veneto (Treviso) il 2 luglio 1950. Ha emesso la professione solenne nella Congregazione Salesiana di San Giovanni Bosco il 16 agosto 1967. E' stato ordinato presbitero il 22 luglio 1978. Ha compiuto i suoi studi secondari conseguendo la Maturità classica e seguendo i corsi di Filosofia prescritti prima di frequentare gli studi teologici presso la sezione della Facoltà di Teologia di Torino Crocetta, dove ha conseguito il Baccalaureato in Teologia.

In seguito ha conseguito i seguenti titoli accademici: Laurea in Filosofia presso l'Università Cattolica del S. Cuore di Milano nel 1978; Licenza in Filosofia presso l'Università Pontificia Salesiana nel 1981; Licenza in Teologia presso l'Università Pontificia Lateranense nel 1982. Ha ricoperto innumerevoli incarichi tra cui: docente di Filosofia presso la Pontificia Università Salesiana (dal 1980), Ordinario di Filosofia Teoretica (1991), decano della Facoltà Filosofica (1994 – 2000). Nel 2003 è stato nominato rettore della medesima Università Pontificia.

Il 22 ottobre 2009 è stato nominato segretario del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax ed è stato eletto alla sede titolare di Bisarcio. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 12 dicembre successivo.

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Nomine in Eritrea ed Etiopia

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Erezione della Chiesa Metropolitana sui iuris eritrea e nomina del primo Metropolita
Il Santo Padre ha eretto la Chiesa Metropolitana sui iuris eritrea, dividendola dall’Arcieparchia Metropolitana di Addis Abeba. La sede della nuova Chiesa metropolitana è Asmara che è stata elevata ad Arcieparchia Metropolitana. Il Papa ha nominato primo Metropolita S.E. Mons. Menghesteab Tesfamariam, M.C.C.J., finora Vescovo eparchiale di Asmara.

La Chiesa Metropolitana sui iuris
La Chiesa Metropolitana sui iuris, è retta dai cc. 155-173 del CCEO e nella sua forma canonica si distingue da una provincia ecclesiastica avente a capo un metropolita. Il Metropolita di una Chiesa sui iuris entro i confini della medesima Chiesa esercita la sua potestà sugli altri Vescovi, il clero e gli altri fedeli a norma dei canoni sopracitati. In questo suo compito è coadiuvato dagli altri Vescovi riuniti nel Consiglio dei Gerarchi. A questo organo collegiale di governo spetta il potere legislativo, quello di presentare la terna dei candidati all’episcopato per la successiva nomina da parte del Romano Pontefice, la gestione delle norme liturgiche e tutte le altre competenze necessarie per il governo della Chiesa sui iuris previste dal diritto.

La nuova Metropolia sui iuris si estende sul tutto territorio Eritreo e comprende le seguenti Eparchie:
- Arcieparchia di Asmara, con le seguenti regioni: centrale (Asmara), del Mar Rosso Settentrionale (Massawa) e del Sud (Mendefera). II territorio è di 23.886 kmq, con 30.886 cattolici su 1.308.015 abitanti. Fu eretta con la Costituzione Apostolica Quod Venerabiles di Papa Giovanni XXIII del 20 febbraio 1961, elevando l'Esarcato Apostolico ad Eparchia.
- L’Eparchia di Barentu copre quasi interamente la regione del Gash-Barka. Il territorio è di 44.986 kmq, con 40.543 cattolici su 765.000 abitanti. È stata eretta il 21 dicembre 1995 con la Costituzione Apostolica Quia opportunumdi Papa Giovanni Paolo II, smembrando il territorio dall'Eparchia di Asmara.
- L’Eparchia di Keren comprende le province di Senhit e di Sahil. Il territorio è di 25.949 kmq, con 48.494 cattolici su 445.860 abitanti. È stata eretta il 21 dicembre 1995 con la Costituzione Apostolica Communitates in orbe di Papa Giovanni Paolo II, smembrando il territorio dall’Eparchia di Asmara.
- L’Eparchia di Segheneity comprende la regione del Mar Rosso Meridionale e parte del Debub. La superficie è di 29.499 kmq, con 35.557 cattolici su 306.636 abitanti. È stata eretta il 24 febbraio 2012 con la Costituzione Apostolica Cum visum sit di Papa Benedetto XVI, smembrando il territorio dall’Eparchia di Asmara.

S.E. Mons. Menghesteab Tesfamariam, M.C.C.J.
S.E. Mons. Menghesteab Tesfamariam, M.C.C.J., è nato il 24 dicembre 1948 a Berakit, nell’eparchia di Asmara. È entrato nel noviziato dei Missionari Comboniani il 1° settembre 1971 ed ha emesso i voti temporanei il 25 giugno 1973. Dopo cinque anni, il 15 marzo 1978, ha professato i voti perpetui. Ha compiuto gli studi regolari ed ha frequentato i corsi Istituzionali di filosofia e teologia fino al sacerdozio. Ordinato presbitero il 18 febbraio 1979, è diventato vicario parrocchiale a Namalu, in Uganda, dal 1979 al 1985. Si è dedicato all’attività di formazione dei Postulanti Comboniani ad Addis Abeba, dal 1985 al 1990. Dal 1° luglio al 31 dicembre 1990 ha frequentato un corso di specializzazione all’Università di Chicago (USA). Successivamente, dal 1° gennaio 1991 al 31 ottobre 1993, è stato incaricato della formazione degli scolastici Comboniani a Chicago e dal 1° novembre 1993 al 31 dicembre 1996 è stato nominato Superiore locale sempre a Chicago. Il 25 giugno 2001 è stato nominato da Giovanni Paolo II Vescovo di Asmara ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale dal suo predecessore ZekariasYohannes il 16 settembre 2001. Dal 2001 ad oggi è il Vescovo eparchiale di Asmara.

Erezione dell’Eparchia di Bahir Dar - Dessie (Etiopia) e nomina del primo Vescovo
Il Santo Padre ha eretto l’Eparchia di Bahir Dar - Dessie (Etiopia), con territorio dismembrato dall’Arcieparchia Metropolitana di Addis Abeba e con la sede a Bahir Dar, rendendola suffraganea della medesima Circoscrizione ecclesiastica. Il Papa ha nominato primo Vescovo di Bahir Dar - Dessie (Etiopia) S.E. Mons. Lisane-Christos Matheos Semahun, finora Vescovo titolare di Matara di Numidia e Ausiliare di Addis Abeba.

Dati statistici
La nuova Eparchia di Bahir Dar - Dessie (Etiopia) Comprende tredici zone amministrative degli stati regionali di Benishangul, Amhara e Afar con una superficie di circa 221.776,23 kmq ed una popolazione totale di 16.215.850 abitanti, di cui 17.544 cattolici e 3.090 catecumeni, raccolti in 24 parrocchie con 51 cappelle e 2 centri pastorali. I sacerdoti secolari sono 3, e fra i religiosi vi sono 21 sacerdoti e 4 frati, le religiose sono 43. Le comunità religiose presenti sul territorio della nuova Eparchia sono: i Cappuccini, i Cistercensi, i Comboniani, i Lazzaristi, i Missionari Servi dei poveri, i Gesuiti, le Comboniane, le Figlie di Sant’Anna, le Figlie della Carità, le Carmelitane, le Domenicane di Santa Caterina da Siena, le Orsoline della Vergine Maria Immacolata, le Missionarie della Carità e le Missionarie dell’Africa. La catechesi è tenuta dai 51 catechisti, ai quali si aggiungono per l’apostolato della carità gruppi di volontari.

S.E. Mons. Lisane-Christos Matheos Semahun
S.E. Mons. Lisane-Christos Matheos Semahun è nato il 19 dicembre 1959 nella zona di Gurage presso Addis Abeba. Ha frequentato il primo ciclo di Teologia a Roma ed è stato ordinato sacerdote l’8 maggio 1988. Ha conseguito la Licenza in Spiritualità alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma. È stato Cappellano per la Gioventù, Coordinatore della pastorale e Segretario Generale del Segretariato Cattolico dell’Arcieparchia e Protosincello della stessa. In data 18 dicembre 2009 il Santo Padre Benedetto XVI lo ha nominato Vescovo titolare di Matara di Numidia ed Ausiliare della Sede Metropolitana di Addis Abeba, con speciale responsabilità pastorale per la zona di Bahir Dar. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 18 aprile 2010. Ha ricoperto anche l’incarico di Vescovo Delegato della CBCE per i cattolici etiopi in diaspora.Conosce l’inglese, l’italiano e le lingue liturgiche gheez, tigrina e amharica.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "La domenica del Santo Niño".

Il viaggio del Papa in Sri Lanka e nelle Filippine sulla stampa internazionale.

Tensione sul Golan.

Lo stato del dialogo teologico fra cattolici e ortodossi: Andrea Palmieri sulla settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

Quasi solo effetti speciali: Emilio Ranzato recensisce il deludente film di Ridley Scott "Exodus - Dei e re".

Gabriele Nicolò su ambiente e arte a rischio nel Suffolk di Constable.

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Oggi in Primo Piano



Boko Haram sconfina e rapisce 80 persone in Camerun

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L'esercito del Camerun ha liberato 24 delle 80 persone rapite ieri nel nord del Paese dai miliziani Boko Haram. I terroristi islamici hanno sconfinato dalla Nigeria e nel villaggio di Mabass hanno preso in ostaggio decine di persone, tra cui 50 bambini. Nelle stesse ore, nel nord-est della Nigeria un nuovo attentato kamikaze colpiva la città di Potiskum, con un bilancio di almeno quattro morti e 35 feriti. Ma qual è la situazione al confine tra Nigeria e Camerun, teatro delle azioni dei Boko Haram? Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua, in Camerun: 

R. - La zona montagnosa di Maroua-Mokolo, quindi nella diocesi confinante con la nostra, è molto colpita attualmente dai Boko Haram che sono scesi 200-300 km più a sud rispetto alla loro zona di combattimento, che si trova all’estremo nord. In questa zona, stanno colpendo e cercando di fare pressione sulle autorità. Questo perché da qualche giorno è entrato in Camerun, in appoggio alle forze armate camerunensi, un contingente molto forte di soldati ciadiani.

D.- C’è quindi il pericolo che queste azioni si allarghino sempre più nell’area?

R. - È un po’ quello che temiamo, dato che all’estremo nord c’è questo fronte formato dai militari di Camerun, Ciad e Nigeria che vuole confinare i Boko Haram in una zona più interna, per cercare di sconfiggerli. Quindi cercano di allontanarsi da tale area.

D. - I miliziani hanno rapito dei bambini e, nelle loro azioni, impiegano e sacrificano la vita dei più piccoli. Perché? A cosa puntano?

R. – Puntano, come in altre zone, ad utilizzarli come kamikaze soprattutto nelle azioni in grandi agglomerati o nei mercati. Sono manipolati e mettono loro addosso bombe ed esplosivi per poterli fare saltare in zone dove c’è tanta gente, perché i bambini sono meno controllati degli adulti. Quindi è proprio una scelta dei Boko Haram quella di utilizzare i bambini sia come soldati, sia come kamikaze.

D. - La popolazione lì al confine come vive le azioni dei Boko Haram?

R. - La popolazione qui è molto frastornata. Sulla strada nazionale 1, che passa per Maroua, molti villaggi - che ho attraversato ieri - sono deserti. Sono stati ritenuti o collaborazionisti di Boko Haram, la gente è stata cacciata da altri, oppure Boko Haram li ha consideratati come collaborazionisti delle autorità e quindi lo hanno incendiato le case. Diciamo dunque che molti villaggi ormai sono vuoti.

D. - Quindi si tratta anche di assistere rifugiati e sfollati. Lei, come coordinatore della Caritas diocesana e con l’aiuto di Fondazione Pime Onlus che ha un progetto di assistenza, come affronta questa emergenza?

R. – In questi giorni mi trovo nella provincia più a nord del Camerun, per vedere quali sono i problemi attuali dei rifugiati e degli sfollati. Attualmente c’è un aumento di queste persone, perché sono aumentate la pressione e la tensione. Forniamo assistenza alimentare e di tipo sanitario, oltre all’acqua potabile. Cerchiamo, inoltre, di aiutare i ragazzi a continuare ad andare a scuola, perché se non vanno a scuola sono preda di persone che li arruolano e li portano ad avvicinarsi ai Boko Haram. Se vanno a scuola, invece, hanno almeno una possibilità di esser aiutati a riflettere e sono occupati.

D.- E voi, come operatori, riuscite a muovervi, a portare gli aiuti?

R. - C’è pericolo. Le strade sono minate, non tutte per fortuna. Noi ci muoviamo con la scorta, che ci accompagna nel trasporto delle medicine, degli alimenti. Ho appena parlato con il prefetto locale, per organizzare un invio di alimenti e medicinali a Fotocol, una zona che è stata molto colpita negli ultimi due o tre mesi.

D. - In questo quadro di emergenza, qual è il suo appello?

R. - Non dimenticare che ci sono delle persone che purtroppo sono vittime di questo odio, di tipo ideologico, di un islam molto radicale. Inoltre attualmente sta cambiando, diventando anche una questione di tipo politico, di potere. Quindi è giusto che ci si occupi delle tante zone, anche in Europa, dove ci sono stati gli ultimi attentati, ma non dimentichiamo che l’Africa è un po’ il retroterra che produce poi questi flussi di migranti che arrivano anche da noi. Quindi, se si aiuta questa gente a vivere nella serenità, sarà anche un aiuto per i nostri Paesi in Europa.

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Ministri Esteri Ue cercano unità su lotta terrorismo

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Emergenza terrorismo al centro oggi a Bruxelles del Consiglio europeo dei Ministri degli Esteri, primo vertice dopo gli attentati di Parigi. Tra i provvedimenti annunciati: un archivio comune - Pnr (personal number record)- che raccolga tutti i dati dei passeggeri delle Compagnie aeree. La  proposta di legge da anni è all’esame dal Parlamento di Strasburgo ed ora si chiederà di superare i veti. Normative simili sono già in vigore negli Stati Uniti, in Canada e Australia. Roberta Gisotti ha intervistato l’esperto di terrorismo Lorenzo Vidino, dell’Ispi, Istituto di studi politici internazionali: 

D. – Prof. Vidino, l’Europa cerca unità nella lotta al terrorismo e sembra disposta a sacrificare la difesa personale della privacy per garantire la sicurezza collettiva. Anzitutto ci chiediamo se non si arrivi tardi e se basterà per contrastare i movimenti dei terroristi...

R. – Questi sono giorni molti tesi e forse non sono i giorni più adatti – quelli che seguono un attentato, un attentato poi importante come è stato quello di Parigi! – per fare dei cambiamenti legislativi su una materia indubbiamente sensibile come quella del terrorismo. Molto è già stato fatto, in realtà, negli ultimi anni! E’ chiaro che ogni ordinamento e ogni Paese è leggermente diverso. Però, siamo ormai in molti Paesi al limite di quella che è l’invasione accettabile delle libertà civili.

D. – Spesso, però, si sente dire che le autorità di Polizia non collaborano abbastanza…

R. – Su questo è stato fatto molto, ma comunque rimangono ancora dei problemi, anche internamente a molti Paesi, ad esempio, un’agenzia non passa informazioni ad un’altra agenzia all’interno di uno stesso Paese. Figuriamoci quindi a livello internazionale, nonostante sia stato fatto molto, incluso qualcosa su iniziativa dell’Italia nell’ultimo semestre di presidenza a livello europeo. Forse una delle cose che tutti i Paesi dovrebbero migliorare è quello di aumentare il budget delle agenzie di intelligence: una delle ‘lezioni’ di Parigi, come di molti altri attentati degli ultimi anni, è la mancanza di effettivi alle agenzie, che spesso hanno le informazioni, conoscono i soggetti che poi diventano attentatori, ma non hanno il personale, non hanno i numeri necessari per monitorarli tutti.

D. – C’è poi il fronte di Internet…

R. – Internet è molto problematico da monitorare, perché esistono dei problemi legali. Molti dei server – ad esempio – sono in America e oscurare un determinato sito, un determinato profilo su Facebook e su Twitter è molto, molto complicato. Serve molto tempo ed una volta che anche viene fatto ci vogliono tre minuti per ricreare un nuovo profilo. Quindi, è un gatto che rincorre il topo ad aeternum. Internet poi rimane anche un posto utile dove le agenzie di intelligence raccolgono informazioni utili, perché su Internet si vedono molte delle cose che attentatori o possibili attentatori pensano e fanno… La rete è chiaramente un altro ramo molto difficile da toccare, senza parlare poi dell’invasione della privacy.

D. – C’è anche un fronte che è già aperto, quello delle banche…

R. – Diciamo che nelle nuove forme di terrorismo il finanziamento non è un fattore così importante come lo era magari 10-15 anni fa. Mentre gli attentati dell’11 settembre – per esempio – avevano richiesto somme ingenti di denaro e quindi passaggi da banche, questo è un terrorismo più ‘fai-da-te’, che richiede poche migliaia, se non qualche centinaia di euro, che qualsiasi soggetto può reperire facilmente. E’ chiaro poi che avere accesso a determinate informazioni bancarie può comunque essere utile. Anche qui ci sono dei problemi con certi determinati Paesi.

D. – E cosa ne pensa dell’idea di costituire una Procura europea, che possa quindi seguire unitariamente tutto il capitolo terrorismo?

R. – E’ molto importante fare ed avere una Procura e un coordinamento anche a livello di magistratura. Esistono, in questo momento, relazioni a livello bilaterale o gruppi di Paesi che hanno questo coordinamento giudiziario; farlo a livello europeo, in un fenomeno così transnazionale, è importantissimo. Ugualmente importante è in ambito nazionale, creare – come l’on. Dambruoso ha proposto - una struttura in Italia anche di magistratura specializzata, simile  come la abbiamo per l’antimafia, per il terrorismo ed avere un coordinamento a livello anche giudiziario.

D. – Prof. Vidino, lei da esperto, cosa suggerirebbe oggi ai politici, al di là dell’ondata emotiva che abbiamo?

R. – Proprio di non soccombere a questa ondata emotiva! Forse più risorse sono necessarie, qualche cambiamento legislativo è necessario, ma non stravolgere l’architettura democratica dei nostri Paesi, per un atto che – se lo riportiamo in contesto storico – non è così eccezionale, perché comunque con il terrorismo di diverse matrici ci scontriamo da più di un secolo. Bisogna andarci con i piedi di piombo, in sostanza.

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Raid israeliano nel Golan. Uccisi sei miliziani Hezbollah

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Torna a salire la tensione nel Golan siriano. Ieri missili israeliani hanno colpito un’unità di miliziani Hezbollah. Almeno sei i combattenti uccisi. Il movimento sciita libanese dal canto suo promette ritorsioni e condanne sono arrivate dall’Iran e dal movimento islamico palestinese di Hamas. Il servizio di Marco Guerra

L’elicotteri israeliani da combattimento hanno colpito con due razzi un’unità Hezbollah in perlustrazione in prossimità di Kuneitra, capoluogo siriana del Golan. In linea d'aria a pochi chilometri dalle postazioni israeliane nelle alture occupate dal 1967. Tra le sei vittime accertate spicca Jihad Mughnyeh. E' il figlio di Imad Mughniyeh, storico comandante militare degli Hezbollah ucciso nel 2008 a Damasco in un’esplosione attribuita ad Israele. La carriera di Jihad Mughnyeh era seguita personalmente dal leader dell'organizzazione, Hassan Nasrallah. Significativa, ma ancora da confermare, appare anche la presenza fra le vittime di un miliziano delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Un quadro che confermerebbe un’unità del blocco sciita impegnato in quelle aree a combattere le milizie jihadiste sunnite. In Israele, sull'episodio, c'è grande riserbo. La radio militare si limita a confermare che l'aviazione israeliana è entrata in azione per sventare un attacco. Intanto diversi esponenti di Hezbollah hanno promesso una risposta definita “inaspettata” e “dolorosa”, il ministro degli esteri iraniano ha parlato di atto terroristico e il movimento palestinese Hamas ha accusato lo stato ebraico di "scherzare con la sicurezza della regione''. Ma per un’analisi sentiamo la giornalista e storica del Medio Oriente Marcella Emiliani:

R. - Il punto è che Israele vuole tenere lontano dal Golan siriano, prospicente a quello annesso da Israele, formazioni come Al Nusra o altre brigate jihadiste. Lo scontro con Hezbollah del resto è uno scontro che vediamo riaccendersi periodicamente. Ormai Hezbollah è decisamente in prima linea nella difesa ad oltranza della Siria di Bashar al-Assad e insieme ad Hezbollah anche l’Iran, tant’è che tra il computo dei sei morti tra le file di Hezbollah libanese viene contato anche un pasdaran, cioè membro della Guardia della rivoluzione islamica iraniana. Diciamo che ormai, in questo tipo di guerra cronica a bassa intensità che si è stabilita tra Israele ed Hezbollah, oltre alla Siria - ma soprattutto oltre all’Iran - ovviamente sono coinvolte delle realtà che combattono a livello regionale. Quello che Israele non vuole è che tutto questo si trasformi in uno scontro aperto con i jihadisti che sono molto meno controllabili di quanto non lo siano gli effettivi di Hezbollah o dei pasdaran.

D. - Fonti di Hezbollah hanno giurato vendetta. Dobbiamo aspettarci un’impennata delle violenze tra Libano ed Israele o si tratta di episodi isolati che, come abbiamo detto, rientrano in una guerra a bassa intensità che va avanti da 30-40 anni?

R. - Certamente io la metterei nel conto di un’impennata della conflittualità a bassa intensità, però non sottovalutiamo un fatto: le azioni di Hezbollah si intensificano in genere quando Israele attraversa dei periodi particolarmente delicati, e indubbiamente questo lo è per due ragioni: prima di tutto, perché a marzo ci saranno le elezioni; tutte le volte che c’è stata una campagna elettorale in Israele abbiamo assistito ad offensive sia di Hezbollah a nord che di Hamas a sud. Secondo: il clima internazionale con tutto quello che è accaduto in Francia negli ultimi tempi, chiaramente non aiuta a mantenere stabile un quadro regionale.

D. - La presenza di miliziani sciiti libanesi nel Golan, l’interesse dell’Iran e tutto quello che sta avvenendo significa che il fronte siriano e quello libanese ormai sono un tutt’uno …

R. - Il quadro della situazione è estremamente fragile, mutevole. Per cui il tutto viene articolato e deciso soprattutto in base al tipo di sviluppi che si hanno sul terreno e a livello politico internazionale. In questo momento, possiamo dire che il quadro a livello sia regionale che internazionale è estremamente delicato e questo giustifica questa impennata di conflittualità sul fronte israeliano, siriano e con Hezbollah che ormai agisce a tutto campo su tutta la regione e chiaramente questo non può essere foriero di niente di buono.

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Nel 2016 ricchezza nelle mani dell'1 per cento popolazione

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L’uno per cento della popolazione mondiale sarà, nel 2016, più ricco del rimanente 99%. A sottolinearlo è l’Oxfam, confederazione di 17 organismi non governativi che operano in 100 Paesi del mondo, nel rapporto pubblicato in vista del World Economic Forum, dal 20 gennaio a Davos, in Svizzera. Secondo il documento, dal 1970 ad oggi la tassazione per i più ricchi è diminuita in 29 Paesi su 30 pertanto 7 persone su 10 vivono in nazioni dove la disuguaglianza è aumentata. E' necessaria “una conversione della mente e del cuore”, ha detto nelle Filippine Papa Francesco. Stessa richiesta da parte del direttore di programmi di Oxfam Italia Alessandro Bechini. L’intervista è di Benedetta Capelli

R. – Immagini non soltanto che nel 2016 l’uno per cento avrà più del 99 per cento, ma che anche ad oggi l’uno per cento ha il 48; l’anno scorso aveva il 46; e due anni fa il 44… Come dire, ci stiamo avvicinando a lunghissimi passi verso questo sorpasso, con tutte le conseguenze del caso, perché continuiamo ad avere una persona su nove sul nostro Pianeta che soffre la fame. E questo in un quadro dove ci sono i grandissimi ricchi che hanno un patrimonio medio di oltre 2 milioni e 700 mila euro. Siamo davvero di fronte alla necessità che anche i decisori politici prendano atto di questo. E’ difficile, perché ovviamente i grandi – avendo anche un’importante disponibilità economica – possono fare anche molta attività di lobby, ovviamente con i governi, con gli Stati, per riuscire a costruire legislazioni favorevoli: le aziende di assicurazioni e finanza, ad esempio, hanno speso, nel 2013, 550 milioni di euro per attività di lobby su Bruxelles e su Washington, e quindi sui grandi gangli decisionali, cercando appunto di influenzare le scelte. Quindi si pone anche una questione non soltanto in ambito economico, ma anche in tema di democrazia.

D. – Andando più nello specifico dei Paesi, quali sono quelli dove la diseguaglianza è aumentata?

R. – Sappiamo, ad esempio, che i Paesi cosiddetti Brics – il Brasile, la Russia, l’India, la Cina e il Sudafrica – hanno aumentato, in questi ultimi tempi, la loro ricchezza complessiva, però molto spesso noi non andiamo ad analizzare dentro questi Paesi come evolve il quadro delle diseguaglianze. Quindi abbiamo alcuni Paesi, come Cina ed India, dove si concentrano maggiormente i poveri: circa 700 milioni di poveri nel mondo sono concentrati tra Cina e India. Poi c’è ovviamente sempre il tema drammatico di grandi zone dell’Africa, dove si continua a vivere con meno di un dollaro e 25 al giorno. Questo ovviamente genera tutta una serie – a cascata – di difficoltà nell’accesso ai servizi, alle cure mediche…

D. – Ci sono, invece, dei Paesi che hanno investito in politiche e in strategie per ridurre la forbice tra i più ricchi e i meno ricchi?

R. – La Danimarca, per esempio, ha spinto molto la questione del welfare ed oggettivamente ha un tasso di disuguaglianza inferiore rispetto a quelli dove, invece, si è investito meno in questo senso.

D. – L’Italia, invece, come è messa?

R. – Non troppo bene! Da noi il tasso di disuguaglianza sta crescendo molto e sta crescendo parallelamente alla diminuzione di investimenti in ambito pubblico. Secondo noi, l’inizio del cambio di ciclo inizierà proprio quando lo Stato si rifarà carico di ridistribuire la ricchezza attraverso una tassazione finalmente progressiva, che vada a colpire le grandi ricchezze, anche quelle delle multinazionali, che operano in tutto il mondo ma vanno a pagare le tasse dove più conviene loro e dove in generale si riesca ad avere una proporzionalità tra il reddito e la tassazione.

D. – Quindi, queste sostanzialmente sono le vostre richieste alla vigilia del Vertice di Davos, in Svizzera?

R. – Sì! L’idea è che si cominci davvero a farsi carico del tema, perché è una questione urgente in un mondo con questi tassi di disuguaglianza estrema e non dovuta al talento o al merito. E’ una diseguaglianza estrema, perché poi la maggior parte dei grandi ricchi, queste ricchezze le ha ereditate e quindi in qualche modo diventa anche difficile poter pensare ad un ciclo economico virtuoso: un concetto ribadito anche dal Fondo Monetario Internazionale. Questo è, secondo noi, il primo vero aspetto che Davos deve prendere in considerazione.

D. – Il Papa, nel suo viaggio nelle Filippine, ha parlato di diseguaglianza come di una macchia del volto della società e ha chiesto anche un cambio di passo con la conversione della mente e del cuore...

R. – Io spero che non resti inascoltato, devo dire la verità… Credo che Papa Francesco abbia più volte, nel corso del suo Pontificato, sottolineato questo tema della disuguaglianza ed è verissimo che senza una inversione di tendenza, noi rischiamo di avere davvero un periodo molto, molto difficile per il 99 per cento della popolazione mondiale.

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Ebola: fine epidemia in Mali, ma c’è ancora molto da fare

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Il ministro della Salute del Mali ha annunciato la fine dell'epidemia di Ebola nel Paese, dopo un periodo di 42 giorni senza nuovi contagi. Il Mali ha registrato 6 morti dall'inizio dell'epidemia, che si è diffusa in Africa occidentale ed ha ucciso oltre 8.400 persone in Guinea, Sierra Leone e Liberia. In questi Paesi l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala il calo nelle ultime settimane di nuovi contagi. Roberta Barbi ha chiesto a Miguel Lupiz, infermiere di Medici senza Frontiere appena tornato dalla Sierra Leone, se si può parlare d’inversione di tendenza: 

R. – Parlare di una inversione di tendenza? Noi incrociamo le dita e speriamo assolutamente di sì. I numeri effettivamente nei Paesi stanno calando, ma la cosa importante non è calare la guardia, perché il problema di ebola non è assolutamente risolto e rimane una malattia estremamente contagiosa. Il lavoro enorme che stiamo facendo sul territorio è quello di ricerca dei casi, villaggio per villaggio, casa per casa, per andare a cercare – diciamo – l’ebola dove si può nascondere: dobbiamo avere anche la certezza che i numeri calano perché calano i pazienti.

D. – Cosa ha contribuito maggiormente a questo risultato? Le campagne nazionali e internazionali hanno dato i loro frutti?

R. – Il tema della sensibilizzazione è stato molto importante. Se voi andate in uno qualunque dei tre Paesi, cartelloni luminosi, cartelloni per strada, numeri di telefono ai quali la gente può fare riferimento sono costanti e sono dappertutto. Questo sta funzionando ed è determinante sotto due aspetti: il fatto che le persone si avvicinino ai centri ebola ci permette anzitutto di prenderli in tempo e quindi di aumentare la possibilità di guarigione; il secondo aspetto fondamentale è quello di togliere - letteralmente – le persone dalla strada e quindi evitare ulteriori contagi.

D. – Il maggiore coinvolgimento delle comunità locali nella risposta alla malattia, che si traduce nel cambiamento di alcune usanze in merito ai rituali di guarigione e alle sepolture, è stato determinante?

R. – Sì! Adesso la gente sta cominciando a capire il pericolo, il rischio della gestione dei funerali. Il fatto che in certe comunità abbiamo avuto il permesso di cremare i corpi e che in altre abbiamo avuto il permesso di seppellire i corpi nelle body-bags, in queste sacche enormi di plastica, ci permette di gestire in prima persona – insieme ad altri gruppi – le sepolture, allontanare i corpi dalle persone e quindi abbassare il contagio in maniera molto importante.

D. – Restano, comunque, 50 focolai, alcuni in nuove aree. La battaglia, dunque, non è ancora terminata?

R. - No, la battaglia non è terminata! Nel Centro ebola di Freetown, in questo momento – si tratta di un centro con 100 posti letto- è tutto pieno e la situazione pediatrica è molto impegnativa. Quindi c’è bisogno di un supporto di più. È vero, sì, che i numeri stanno calando, ma l’ebola è ancora lì.

D. – La popolazione ha paura?

R. – La popolazione ha molta paura! All’inizio questo ha provocato il panico totale, al punto di avere medici, infermieri e personale sanitario che fuggivano: erano i primi a sparire! Bisogna anche capire che sono stati i primi a morire, perché trattavano pazienti con una sintomatologia che all’inizio è molto simile a un’influenza: in realtà – poveretti – non sapevano cosa avessero tra le mani.

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Traettino: straordinario contributo di Francesco a unità cristiani

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“Dammi da bere”. Sono queste parole, rivolte da Gesù alla Samaritana presso il pozzo di Giacobbe, il tema scelto quest’anno per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si svolge dal 18 al 25 gennaio. Il dialogo tra i due è immagine di ogni dialogo che deve essere sempre possibile, al di là di ogni barriera, così come Gesù ha superato le fratture tra Giudei e Samaritani. La Settimana vuol far prendere coscienza ai cristiani della divisione scandalosa tra le Chiese invitandoli ad accelerare i tempi di una maggiore comunione. Molte le iniziative in programma in questo senso. Adriana Masotti ha chiesto al pastore Giovanni Traettino, presidente della Chiesa evangelica della Riconciliazione di Caserta, che aderisce all’Alleanza Evangelica Italiana ed Europea, con quali sentimenti vive questi momenti: 

R. – L’animo è un po’ quello del seminatore. A un certo punto la Scrittura dice che il seminatore va piangendo quando semina, però poi gioirà con il raccolto. Ho presente una preghiera del vescovo Oscar Romero. Egli dice: “Nulla di quello che facciamo è completo”, il che significa che il Regno è sempre davanti a noi. Nessuna dichiarazione dice tutto ciò che poteva essere detto e nessuna preghiera può esprimere pienamente la nostra fede. “Questo è quello che cerchiamo di fare”, dice ancora Romero: “piantiamo semi che un giorno cresceranno, innaffiamo semi già piantati sapendo che essi sono promessa di futuro; poniamo le basi che necessitano di un ulteriore sviluppo. Gli effetti di lievito che forniamo vanno molto al di là delle nostre possibilità”. Ecco, con questo spirito entro in questa Settimana.

D. – E in che modo celebra questa Settimana, la sua comunità?

R. – Lo spirito è lo spirito del Riconciliatore, di Cristo stesso che è il Riconciliatore tra il Padre e l’uomo e tra l’uomo e il Padre. Dal punto di vista pratico, come comunità nazionale, parteciperemo a diversi incontri ed eventi di preghiera, e a livello locale – solo a mo’ d’esempio – io sarò a Pescara, a Fano e poi ancora a Caserta, a Sessa; altri fratelli, altri pastori della nostra comunità in Calabria, al Nord … Qui a Caserta ci sarà una serata organizzata alla cattedrale cattolica della città, alla quale parteciperanno il vescovo stesso di Caserta e diversi altri pastori evangelici.

D. – Lei ritiene che siano utili questi momenti, che possano – appunto – far crescere in questo cammino verso la comunione, l’unità?

R. – Sì: lo sono nella misura in cui sono semi che vengono seminati nella speranza, appunto, che poi fioriscano. Certamente, occorre dire che questa Settimana di Preghiera ha contribuito a far crescere la consapevolezza dell’importanza di questo cammino, di questo processo e quando questo processo è avviato ha una sua dinamica per cui poi porterà il suo frutto.

D. – Tema della Settimana di quest’anno, le parole di Gesù alla Samaritana presso il pozzo di Giacobbe: “Dammi da bere”. Quale riflessione le suscitano queste parole, proprio in merito all’unità dei cristiani?

R. – Penso a una parola che dice Gesù in quel contesto. Dice: “Tu non sai chi è che ti ha chiesto da bere, non sai che cosa Dio può darti per mezzo di Lui. Se solo tu lo sapessi …”. Ecco, io dico: se solo noi sapessimo quanto è vero che Gesù può soddisfare la nostra sete più grande, e quindi l’importanza di volgere lo sguardo a Cristo, giudei e samaritani, evangelici, cattolici, ortodossi; convertirci a Cristo, di più, a Cristo, unirci a Cristo, valorizzare Cristo tra di noi, perché Gesù è l’unico che possa darci l’acqua che può soddisfare la nostra sete di vita, di senso, di unità. E questo ci consentirà anche di fare un cammino dalla periferia delle nostre storie, delle nostre tradizioni verso il centro della piena rivelazione del proposito di Dio in Cristo.

D. – Lei ha incontrato il Papa: è venuto lui a trovarla il 28 luglio scorso, ma lo conosce da tempo. Il Papa raccomanda sempre, in molti suoi discorsi, proprio l’unità. Quindi è molto viva in lui questa esigenza ...

R.- Sì, sì: è assolutamente vero. Il contributo che Papa Francesco sta dando a questo cammino è assolutamente straordinario. Abbiamo bisogno di pregare per lui perché il Signore continui a tenerlo in vita e a dare questo contributo di qualità straordinaria a questo cammino. Lui è un uomo che ha capito che dobbiamo partire da Cristo, avere uno spirito di accoglienza reciproca, semplicemente camminando insieme a partire da quello che abbiamo in comune che è molto più importante di quello che ci divide.

D. – Che cosa può portare nel mondo l’unità tra i cristiani?

R. – Gesù ha pregato “che siano tutti uno affinché il mondo creda”: ci rende tutti più credibili davanti al mondo. E credo che noi siamo in certo senso forzati a porci questo problema, dal contesto di un mondo che è sempre più multiculturale, multireligioso. In un certo senso è come se in questo contesto le nostre distanze fossero diventate assolutamente relative, e quindi è assolutamente importante che le nostre comunità dialoghino tra di loro e si conoscano sempre di più e che valorizzino il patrimonio comune.

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Convegno famiglia a Milano. Introvigne: troppa disinformazione

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Non si placa la bufera mediatica attorno al convegno organizzato sabato dalla Regione Lombardia a Milano sul tema “Difendere la famiglia per difendere la comunità”. Polemiche sulla presenza in aula di personaggi controversi, ma gli organizzatori spiegano: “l’ingresso era libero”. Nelle scorse settimane alcuni attivisti avevano chiesto l’annullamento dell’iniziativa denunciandone la matrice omofoba. Un’accusa infondata - affermano gli organizzatori - che ha pesato sui lavori disturbati dall’incursione di un giovane. “Il tema è stato quello della famiglia, non si è parlato di gay”, spiega al microfono di Paolo Ondarza uno dei relatori, il prof. Massimo Introvigne, presidente del comitato “Sì alla Famiglia”: 

R. – Il Convegno era aperto al pubblico, quindi chiunque – a meno che non avesse uno scolapasta in testa, come certi “simpatici provocatori” – veniva fatto entrare dai vigili e dalla polizia che gestivano la sicurezza: la Regione non è responsabile se tra i 3.000 partecipanti c’era qualche personaggio con idee diverse da quelle degli organizzatori. Il tema non era l’omosessualità; nessuno ha definito l’omosessualità una malattia o una perversione, anzi: piuttosto, questa tesi è stata smentita. Semplicemente si sono chieste leggi più rispettose della famiglia, un fisco più a misura di famiglia, perché il fisco attuale non lo è; il matrimonio – è stato ribadito - è solo tra un uomo e una donna; il bambino per crescere – come ha detto il Papa lo scorso aprile – ha bisogno di un papà e di una mamma, da cui anche la contrarietà alle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso.

D. – La difesa della famiglia è trasversale: al convegno erano rappresentate – potremmo dire – tutte le aree politiche …

R. – Sì: si può difendere la famiglia da qualunque sponda politica. L’importante è abbassare i toni. Noi, al convegno, per la verità, abbiamo cercato di farlo; anche qualche organo di stampa non favorevole ce ne ha dato atto. E’ chiaro, invece, che quando si dà la parola all’insulto e alla disinformazione, allora quella concordia civile che sarebbe una premessa necessaria per affrontare argomenti così delicati, rischia davvero di venire meno.

D. – Perché tanta disinformazione su questo convegno, ad esempio per quanto riguarda la presunta matrice omofoba dell’iniziativa, o disinformazione sui numeri di chi ha partecipato? Un quotidiano parla di appena 400 partecipanti e 2.000 manifestanti contrari fuori …

R. – Le cifre sono ben diverse, le ha fornite la Questura di Milano, che non credo sia un pericoloso covo di omofobi. Tra le persone che non sono riuscite ad entrare e che hanno ascoltato da microfoni all’esterno, e quelle distribuite in sala, hanno partecipato circa 3.000 persone. Penso che l’etichetta “omofobia” ormai sia utilizzata come una sorta di bastone: cioè qualunque tesi che non sia favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso e all’adozione di bambini da parte di persone dello stesso sesso, magari utilizzando anche la pratica dell’utero in affitto, immediatamente viene bollata come omofoba.

D. – Così è accaduto sabato, quando il convegno è stato interrotto per pochi minuti, se non erro, dall’intervento di un ragazzo che protestava contro la “teoria riparativa”?

R. – L’interruzione è durata meno di due minuti, quindi non ha turbato il convegno. Qualche amico mi ha detto che nel filmato mi si vede non solo tranquillo, ma sorridere. Sorridevo perché ho visto che il ragazzo è salito sul palco insieme ad un giornalista de "Le Iene". La cosa era così preparata che io seguivo la cronaca quasi in diretta sul sito di "Repubblica". Il ragazzo aveva un foglietto dal quale avrebbe dovuto leggere la sua presunta domanda; in realtà era una critica, e l’episodio del ragazzo e il contenuto della domanda sul foglietto sono apparsi sullo stesso sito meno di un minuto dopo l’incidente. Ora, o i giornalisti di "Repubblica" sono così bravi che in un minuto riescono a scrivere un articolo dopo un incidente che li ha colti di sorpresa, oppure le cose sono andate un po’ diversamente.

D. – Insomma, avrebbero preferito farvi tacere …  Colpisce, tutto questo, in giorni in cui in Europa e nel mondo si manifesta a favore della libertà d’espressione …

R. – Ma sì, devo dire che trovo curioso che gli stessi organi di stampa che scrivono “Je suis Charlie”, dicendo che la libertà di esprimere qualunque idea sia assoluta, senza “se” e senza “ma”, poi fanno un’eccezione quando si parla della famiglia. Sembra che di una cosa sola non si possa parlare, e cioè di un modello di famiglia che esprima poi critiche nei confronti di chi parla di famiglia al plurale e di chi vuole i matrimoni e le adozioni omosessuali.

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Nella Chiesa e nel mondo



Filippine: vescovi in Assemblea dopo la visita del Papa

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I vescovi delle Filippine sono riuniti a Manila per l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale. Come appreso dall'agenzia Fides, l’incontro durerà fino al 22 gennaio ed avrà tra i temi principali la nuova evangelizzazione e "l’Anno dei poveri", proclamato dalla Chiesa locale per il 2015.

La Chiesa ha ricevuto dal Papa consolazione ed entusiasmo
“Naturalmente si guarderà a queste urgenze in modo nuovo dopo lo shock positivo rappresentato dalla visita del Papa” spiega alla Fides padre Melvin Castro, Segretario della Commissione per la famiglia e la vita della Conferenza episcopale. “Tra i vescovi, tra il clero e tra i fedeli, c’è un grandissimo entusiasmo per quello che Papa Francesco ha donato alla nostra Chiesa. Il Papa ha ricevuto energia spirituale dalla folla di fedeli che lo ha accolto, e la nostra Chiesa nelle Filippine, dal canto suo, ha ricevuto grande consolazione e una forte iniezione di entusiasmo per vivere e professare la sua fede, dalla presenza e dalle parole di Papa Francesco” prosegue padre Castro.

Modello di Chiesa vicino ai poveri
“Il Papa – rimarca – ci ha mostrato un modello di Chiesa attenta ai poveri, che si prende cura dei sofferenti, che è povera e vicina ai poveri. Questo approccio avrà un forte impatto anche a lungo termine nella Chiesa filippina. Soprattutto perché non si guarda ai poveri in modo paternalistico o assistenzialistico, ma come a dei maestri di vita. I poveri insegnano che l’uomo vale per quello che è, e non per quanto ha, poi insegnano la fiducia in Dio e nella sua Provvidenza”.

Il messaggio del Papa in difesa della famiglia
Padre Castro nota anche l’impulso dato al laicato filippino, che dopo il viaggio del Papa, “darà frutti di un maggiore e più ampio coinvolgimento nella pastorale, soprattutto per le famiglie e i giovani”. Sul tema della famiglia, padre Castro nota: “Siamo felici che il Papa abbia parlato chiaramente in difesa della famiglia e abbia stigmatizzato la colonizzazione ideologica che viene dalla cultura occidentale, che esporta divorzio, aborto, matrimoni omosessuali, invitandoci a promuovere la famiglia e a difenderla secondo i valori tradizionali della cultura filippina” conclude padre Castro. (P.A.)

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Card. Filoni in visita pastorale in Vietnam

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Il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, arriva oggi in Vietnam per una visita pastorale di una settimana. Dopo aver accompagnato il Santo Padre Francesco nel suo viaggio apostolico nello Sri Lanka e nelle Filippine, il prefetto del Dicastero Missionario si reca quindi in Vietnam, accogliendo l’invito della Conferenza episcopale, dove avrà diversi incontri, da nord a sud, con vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e popolo di Dio.

Le tappe ad Hanoi e al santuario di La Vang
Durante la sua visita, domani il card. Filoni incontrerà ad Hanoi, la Conferenza episcopale, i sacerdoti rappresentanti delle diocesi della provincia di Hanoi, e presiederà la Messa concelebrata nella cattedrale. Il 21 gennaio visiterà una parrocchia della diocesi di Hung Hoa, caratterizzata dalla presenza delle minoranze etniche, e il 22 gennaio si recherà al Santuario mariano di La Vang, dove la Madonna apparve nel 1798, per affidare alla Vergine il cammino dell’evangelizzazione nel mondo e in particolare in Vietnam.

Ad Hoi An per il 400° di evangelizzazione del Vietnam
Venerdì 23 gennaio, il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli visiterà la parrocchia di Hoi An, la città più antica del Vietnam oggi rimasta, che vanta 400 anni di cristianesimo. Infatti il 18 gennaio 1615, due Gesuiti, accompagnati da alcuni cristiani giapponesi, sbarcarono nel porto di Hoi An e cominciarono l'opera missionaria in questo territorio. Quindi celebrerà nel centro pastorale di Da Nang la Santa Messa per il 50° della Diocesi, concludendo così due anni di giubileo (2013-2015), e il 400° anniversario dell’evangelizzazione del Vietnam. Nel corso della celebrazione amministrerà i sacramenti dell’iniziazione cristiana ad una cinquantina di catecumeni adulti.

Messe nelle cattedrali di Xuan Loc e Saigon
Il giorno seguente, 24 gennaio, il card. Filoni presiederà una Messa solenne nella cattedrale di Xuan Loc, per il 50° di questa diocesi, che si è preparata all’evento con un programma pastorale di cinque anni incentrato sulla famiglia. Domenica 25 gennaio, la Messa nella cattedrale di Saigon, seguita dall’incontro con preti, religiosi, religiose e laici, la visita al Seminario maggiore St. Joseph e ad un luogo missionario, concluderanno la visita pastorale del card.Filoni. (S.L.)

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Patriarca Raï: anche la povertà destabilizza il Medio Oriente

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Anche la povertà e la privazione “stanno destabilizzando” il Medio Oriente, perchè “non ci può essere pace dove c'è sottosviluppo”. Con queste parole il patriarca maronita Béchara Boutros Raï ha richiamato l'attenzione su fattori fondamentali e spesso dimenticati dei conflitti che destabilizzano l'area mediorientale, dove le fazioni jihadiste - riferisce l'agenzia Fides - guadagnano spazi anche in virtù delle risorse finanziarie con cui riescono a stipendiare nuovi combattenti arruolati nelle proprie file.

Visita al Capo del Consiglio musulmano alawita
Le considerazioni del patriarca, rilanciate dai media libanesi, sono state pronunciate in margine alla visita da lui compiuta ieri, a Jabal Mohsen, il sobborgo di Tripoli dove lo scorso 10 gennaio due attentati suicidi hanno provocato la morte di 9 persone e il ferimento di altre 30. Con la sua visita il patriarca ha voluto offrire di persona le proprie condoglianze a Assad Assi, capo del Consiglio musulmano alawita, e alle famiglie delle vittime, di confessione alawita, da lui elogiate anche per aver evitato di soffiare sul fuoco dei conflitti settari dopo l'attentato. (R.P.)

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Sako: cristiani e musulmani uniti nella lotta al fondamentalismo

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"I nostri fratelli musulmani devono assumere, per primi, l'iniziativa e promuovere una campagna che respinga ogni forma di discriminazione di natura confessionale". È quanto ha sottolineato il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako, intervenendo ad un convegno organizzato nel fine settimana a Baghdad dall'Iraqi Center for Diversity Management (Icdm). Il patriarca si rivolge agli oltre 1,6 miliardi di fedeli musulmani, in maggioranza moderati, sparsi nel mondo, invitandoli promuovere un progetto congiunto volto a "smantellare l'ideologia fondamentalista" in ogni sua forma. Una proposta che, per avere successo, deve essere sostenuta e guidata proprio dagli stessi fedeli dell'islam.

Il dramma dei cristiani di Mosul e Piana di Ninive
Nel suo intervento, mar Sako parla del dramma dei cristiani di Mosul e della piana di Ninive, dove circa 500mila persone sono fuggite fra giugno e agosto dello scorso anno, in seguito all'avanzata del sedicente Stato Islamico, che ha fondato un Califfato e imposto la sharia. I cristiani, assieme ad altre minoranze religiose, "un tempo erano maggioranza" hanno "legami profondi" col territorio; essi hanno contribuito - aggiunge mar Sako - alla costruzione dell'Iraq e allo sviluppo della stessa cultura islamica.

La minaccia dell'ideologia takfiri
Queste comunità "oggi sono emarginate" e "sono state trattate in modo duro e brutale", tanto che oggi a Mosul e nella piana di Ninive "non vi è nemmeno un cristiano". Per il patriarca di Baghdad la minaccia più grande "non è solo il terrorismo dello Stato Islamico" o di altre "organizzazioni terroriste", ma è l'ideologia "takfiri" che considera "miscredenti" gli stessi musulmani che non appoggiano il modo di pensare e agire, basato sulla violenza e la sopraffazione. Egli punta il dito contro "forze" che commettono violenze e sono incentrate su logiche di potere "coperte dal manto della religione".

Proposta di un progetto comune anti-fondamentalismo
Per superare uno dei periodi più difficili della storia dell'Iraq, della regione mediorientale e delle stesse minoranze cristiane, mar Sako propone un progetto comune incentrato su tre punti principali: costruire una opinione pubblica islamica "aperta e illuminata", mediante "la revisione dei testi" religiosi e storici; a questo si aggiunge una interpretazioni dei testi "appropriata", che metta al bando la logica della violenza; infine, la promozione di una "cultura dell'accettazione e della conoscenza reciproca", come "fratelli e cittadini" di una stessa nazione. In quest'ottica sarà essenziale il ruolo "delle autorità religiose e politiche" musulmane, per "vincere ogni forma di violenza". (R.P.)

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Vescovi francesi: cambiamenti climatici minaccia per la società

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“Speriamo che a Parigi siano coraggiosi”: così, il 15 gennaio scorso, durante la conferenza stampa sull’aereo in volo da Colombo a Manila, nell’ambito del suo settimo viaggio apostolico, Papa Francesco rispondeva ad una domanda di un giornalista sull’ecologia e la salvaguardia del Creato. L’auspicio del Pontefice si riferiva alla 21.ma Conferenza internazionale sul clima (Cop21), in programma a Parigi nel prossimo dicembre. In vista di questo importante appuntamento, anche i vescovi d’Oltralpe (Cef) hanno espresso la loro posizione, in un dossier che racchiude alcune riflessioni. Intitolato “Cambiamenti climatici: un kairos planetario, il momento opportuno per costruire un mondo comune”, il documento sottolinea, in primo luogo, che “i cambiamenti climatici possono essere la più grave minaccia che pesa sulla società umana a medio e lungo termine”.

Sviluppo non è solo crescita economica
Di fronte alle conseguenze dovute all’emissione di gas-serra ed all’uso del petrolio – ovvero la perdita di biodiversità, la distruzione dell’ecosistema e di mezzi di sussistenza come acqua e terreni coltivabili, la diffusione di malattie parassitarie, le crisi economiche, le migrazioni di massa ed i conflitti internazionali – i presuli ribadiscono che “è urgente agire”, soprattutto perché è necessario “trovare un’altra forma di sviluppo”, che non sia solo quello della crescita economica e dell’aumento costante della produzione e del consumo.

Sradicare la povertà è possibile
Per questo, la Cef sottolinea un’importante coincidenza: il 2015 è l’anno in cui si conclude il raggiungimento degli Obiettivi per lo sviluppo del Millennio. Obiettivi che sono stati ottenuti solo in parte, evidenziano i presuli, perché se è vero che è diminuita la povertà a livello globale – “un segno di speranza” che dimostra che l’indigenza “non è una fatalità” impossibile da sradicare – è altrettanto vero che “si sono accentuate le disuguaglianze tra i singoli Paesi o all’interno delle singole nazioni”. Di qui, il richiamo al fatto che il 2015 può offrire l’opportunità di “articolare in maniera nuova la questione ecologica insieme alla questione economica e sociale”, per il bene del pianeta e dell’umanità.

Chiesa offre speranza per il futuro
Dal suo canto, spiegano i vescovi francesi, la Chiesa ha tre contribuiti da offrire: “la speranza di fronte al futuro, l’universalità del bene comune e la solidarietà come base del vivere insieme”. Riguardo al primo punto, la Cef ricorda che la speranza cristiana porta ad “un nuovo stile di vita che mette in moto un’altra maniera di consumare, di produrre, di abitare lo spazio”, così da “costruire una vita che assicuri a ciascuno la possibilità di essere riconosciuto come co-creatore e non solo come consumatore”.

Il povero non è la sua povertà
Il secondo contributo della Chiesa, ovvero il bene comune, è messo in risalto dal fatto che “attualmente, i cambiamenti climatici sono la prova più evidente di una interdipendenza irreversibile tra tutti i Paesi”. Di qui, il richiamo a tutte le nazioni affinché si passi da “una politica nazionale ad una politica universale”, proprio in nome del bene comune. Al terzo punto, la Chiesa di Parigi pone “la solidarietà universale”, intesa non in senso riduttivo, ovvero del mero “aiuto da portare ai poveri”, ma come “un principio organizzatore della vita collettiva, fondata sull’idea che ogni uomo ed ogni donna ha qualcosa da donare e da ricevere dagli altri”. “Il povero non può essere ridotto alla sua povertà – ribadiscono i vescovi francesi – ma è chiamato a mettere le sue competenze a servizio di un progetto comune”.

Sì alla cooperazione internazionale
Questo tipo di solidarietà, continua ancora la Cef, che non è “pensata per i poveri, bensì con loro ed a partire da essi”, può ispirare nella giusta direzione la questione dei cambiamenti climatici. Il 2015 offre, dunque, un’occasione fondamentale per il pianeta e l’umanità – concludono i presuli – ripensare lo sviluppo su nuove basi, uno sviluppo che miri ad una vita comune insieme, piuttosto che ad una prosperità da condividere; che si fondi sulla cooperazione internazionale e non sulla concorrenza e la difesa di interessi locali; che permetta la partecipazione dei poveri alle istanze di governance. “Un mondo nuovo sta per nascere – sottolinea infine la Cef – E tutti noi siamo chiamati a far sì che ciò avvenga”. (I.P.)

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Martinez riconfermato presidente del Rinnovamento nello Spirito

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Con oltre il 93% dei voti validi, Salvatore Martinez è stato riconfermato presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo. “Accolgo con gratitudine a Dio questo segno di fiducia e di amicizia che mi giunge da tutto il RnS, una chiamata di anno in anno sempre più esigente e sfidante – ha commentato Martinez, in una nota - Si chiude un quadriennio denso e ricchissimo in cui abbiamo sperimentato le meraviglie del Signore, ma se ne apre uno nuovo, fortemente orientato dal pontificato di Papa Francesco, segnato in special modo dalla chiamata alla conversione pastorale per una nuova stagione missionaria ed evangelizzatrice”.

“Stare nella Chiesa e nel mondo”
“I responsabili del RnS – ha aggiunto - sono chiamati a servire, a ribadire l’importanza di “stare” nella Chiesa e nel mondo in un tempo di fughe e deroghe dall’impegno, specie quando la comunione è esigente, l’amore sfidante, la carità crocifiggente”. Riuniti in Assemblea nazionale a Sacrofano, vicino Roma, dal 16 al 18 gennaio, i 250 delegati del RnS hanno anche riconfermato nella carica di coordinatore nazionale Mario Landi. Di nuova elezione il direttore nazionale, Amabile Guzzo, membro uscente del Comitato Nazionale di Servizio.

Mons. Galantino: amare la Chiesa e servire
Nell’ambito dell’Assemblea, sabato 17 gennaio è intervenuto anche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che ha indicato ai responsabili del RnS tre criteri fondamentali di riferimento: contemplare Gesù, amare la Chiesa e servire. Il primo punto, ha detto mons. Galatino, significa “scegliere sempre nuovamente Gesù, via per vincere ogni idolatria, ogni orgoglio che, mentre ci spinge a primeggiare sugli altri, dagli altri ci separa”. Amare la Chiesa implica, invece,  il non cadere “nell’attivismo che spegne lo spirito” e il camminare con la Chiesa, “armonizzando le novità dello Spirito”. Infine, mons. Galantino ha invitato a “servire i fratelli come ha fatto Gesù”, tendendo la mano “agli ultimi, i poveri e tutti coloro che la sapienza di questo mondo e l’egoismo di uno sviluppo miope condannano alla periferia dell’emarginazione”. Attualmente, il RnS è un Movimento ecclesiale che in Italia conta più di 200 mila aderenti, raggruppati in oltre 1.900 gruppi e comunità. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 19

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