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Sommario del 22/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: cattolici e luterani mostrino misericordia di Dio

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Cattolici e luterani insieme, testimoni della misericordia nelle società di oggi. È l’auspicio col quale Papa Francesco ha salutato la delegazione ecumenica finlandese, giunta a Roma per il pellegrinaggio annuale nella festa di Sant’Enrico e ricevuta in udienza in Vaticano, nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il servizio di Alessandro De Carolis

Testimonianza comune davanti alle persecuzioni
Guardare chi è diviso inginocchiarsi e pregare insieme nel nome del Vangelo, e insieme dare visibilità dell’amore di Dio, è fondamentale specie dove regnano diffidenze e persecuzioni. È l’aspetto che Francesco coglie e sottolinea della presenza in Vaticano dei delegati della Chiesa luterana, una dozzina, giunti dalla Finlandia a rappresentare il vincolo ecumenico che li lega alla Chiesa di Roma:

“Cattolici e luterani possono fare molto insieme per rendere testimonianza della misericordia divina nelle nostre società. Una testimonianza cristiana condivisa è particolarmente necessaria davanti alla diffidenza, all’insicurezza, alle persecuzioni e alle sofferenze sperimentate da tante persone nel mondo di oggi”.

Unità solo attraverso la grazia di Dio 
“L’evento di quest’anno – nota il Papa – si è rivelato un vero incontro spirituale ed ecumenico tra cattolici e luterani”, nel solco di una tradizione ormai trentennale. E un lasso di tempo di questo genere chiama direttamente in causa l’azione di dialogo portata avanti da Giovanni Paolo II. Francesco fa risuonare le parole che il Papa Santo rivolse alla prima delegazione ecumenica finlandese, giunta a Roma proprio trent’anni fa:

“Il fatto che voi siate venuti qui insieme è già una testimonianza dell’importanza degli sforzi per l’unità. Il fatto che voi preghiate insieme è una testimonianza della vostra fede che soltanto per grazia di Dio si potrà raggiungere l’unità. Il fatto che voi recitiate insieme il Credo è una testimonianza all’unica fede comune di tutto il cristianesimo”.

Dialogo sul concetto di Chiesa
In questi 30 anni, riconosce il Papa, “molto è stato fatto e – ne sono certo – molto ancora verrà fatto in Finlandia per far crescere”, e qui Francesco cita ancora Papa Wojtyla nella ‘Ut unum sint’, “la comunione parziale esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità”. Il “progresso” dei rapporti, conclude Papa Francesco, continuerà a ricevere linfa anche dal dialogo teologico, come dimostrano i frutti di “riconciliazione e collaborazione” nati dalla firma congiunta, nel 1999, della Dichiarazione  comune sulla Dottrina della Giustificazione:

“Il Dialogo nordico luterano-cattolico in Finlandia ed in Svezia, sul tema Giustificazione nella vita della Chiesa, sta riflettendo su importanti questioni derivate dalla Dichiarazione comune. Ci auguriamo che un’ulteriore convergenza possa emergere da questo dialogo sul concetto di Chiesa, segno e strumento della salvezza donataci in Gesù Cristo”.

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Francesco: non farsi scoraggiare da pericoli che preoccupano umanità

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Papa Francesco ha ricevuto oggi il personale dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza che lavora presso il Vaticano in occasione dello scambio di auguri per il nuovo anno, che segna il 70° anniversario dell’attività della polizia italiana nelle aree intorno a San Pietro. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Non perdersi d'animo di fronte a ombre e pericoli

“Grato apprezzamento” per il lavoro” svolto quotidianamente “con professionalità e dedizione”. Papa Francesco esprime la sua riconoscenza alla polizia italiana e parla di attese e speranze:

“All’orizzonte vediamo anche ombre e pericoli che preoccupano l’umanità. Come cristiani siamo chiamati a non perderci d’animo e a non scoraggiarci. La nostra speranza poggia su una roccia incrollabile: l’amore di Dio, rivelato e donato in Cristo Gesù, nostro Signore. Ricordiamo le parole consolanti dell’apostolo Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? ... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35.37)”.

Pellegrini custoditi da presenza polizia
La polizia italiana – osserva il Papa - ha “il compito di custodire e sorvegliare luoghi che hanno grandissima importanza per la fede e per la vita di milioni di pellegrini”. E tante persone che vengono per visitare il cuore della Roma cristiana non di rado si rivolgono agli agenti:

“Che ciascuno possa sentirsi aiutato e custodito dalla vostra presenza e dalla vostra premura. Sì, cari fratelli e sorelle, siamo tutti chiamati ad essere custodi del nostro prossimo. Il Signore ci chiederà conto della responsabilità a noi affidata, del bene o del male che avremo compiuto nei confronti del nostro prossimo”.

Affidare a Maria ogni preoccupazione
Il Papa invoca infine la materna protezione della Vergine Madre all’inizio di questo nuovo anno: “Affidiamo a lei ogni preoccupazione e speranza, perché in tutte le circostanze della vita possiamo amare, gioire e vivere nelle fede del Figlio di Dio che per noi si è fatto uomo”.

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Papa: salvezza e intercessione di Gesù più importanti di guarigioni

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La cosa più importante non è la grazia di una guarigione fisica, ma il fatto che Gesù ci salva e intercede per noi: è quanto ha detto il Papa riprendendo a Santa Marta le Messe mattutine con i gruppi di fedeli. Ce ne parla Sergio Centofanti

Il popolo vede in Gesù una speranza
Commentando il Vangelo del giorno che mostra la folla accorrere a Gesù da ogni regione, il Papa osserva che il popolo di Dio trova nel Signore “una speranza, perché il suo modo di agire, di insegnare, tocca il loro cuore, arriva al cuore, perché ha la forza della Parola di Dio”: 

“Il popolo sente questo e vede che in Gesù si compiono le promesse, che in Gesù c’è una speranza. Il popolo era un po’ annoiato dal modo di insegnare la fede dai dottori della legge di quel tempo, che caricavano sulle spalle tanti comandamenti, tanti precetti, ma non arrivavano al cuore della gente. E quando vede Gesù e sente Gesù, le proposte di Gesù, le beatitudini… ma sente dentro qualcosa che si muove - è lo Spirito Santo che sveglia quello! - e va a trovare Gesù”.

Purezza d'intenzione nel cercare Dio
La folla va da Gesù per essere guarita: cioè, cerca il proprio bene: “Mai – afferma il Papa - possiamo seguire Dio con purezza di intenzione dall’inizio, sempre un po’ per noi, un po’ per Dio … E il cammino è purificare questa intenzione. E la gente va, sì, cerca Dio, ma anche cerca la salute, la guarigione. E si gettavano su di Lui per toccarlo, perché venisse fuori quella forza e li guarisse”.

Gesù salva
Ma la cosa più importante “non è che Gesù guarisca” – spiega Papa Francesco – questo “è un segno di un’altra guarigione”; e nemmeno è il fatto che “Gesù dica parole che arrivino al cuore”: questo, certamente aiuta per incontrare Dio. La cosa più importante la dice la Lettera agli Ebrei: “Cristo può salvare perfettamente quelli che per mezzo di Lui si avvicinano a Dio. Egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore”. “Gesù salva e Gesù è l’intercessore – commenta il Pontefice - Queste sono le due parole chiave”:

“Gesù salva! Queste guarigioni, queste parole che arrivano al cuore sono il segno e l’inizio di una salvezza. Il percorso della salvezza di tanti che incominciano ad andare a sentire Gesù o a chiedere una guarigione e poi tornano da Lui e sentono la salvezza. Ma quello che è più importante di Gesù è che guarisca? No, non è il più importante. Che ci insegni? Non è il più importante. Che salvi! Lui è il Salvatore e noi siamo salvati da Lui. E questo è più importante. E questa è la forza della nostra fede”.

Gesù intercede
Gesù è salito al Padre “e di là intercede ancora, tutti i giorni, tutti i momenti per noi”:

“E questa è una cosa attuale. Gesù davanti al Padre, offre la sua vita, la redenzione, fa vedere al Padre le piaghe, il prezzo della salvezza. E tutti i giorni, così, Gesù intercede. E quando noi, per una cosa o l’altra, siamo un po’ giù, ricordiamo che è Lui che prega per noi, intercede per noi continuamente. Tante volte dimentichiamo questo: ‘Ma Gesù …sì, è finito, se ne è andato in Cielo, ci ha inviato lo Spirito Santo, finita la storia’. No! Attualmente, ogni momento, Gesù intercede. In questa preghiera: ‘Ma, Signore Gesù, abbi pietà di me’. Intercede per me. Rivolgersi al Signore, chiedendo questa intercessione”.

Il fiuto del popolo di Dio
Questo è il punto centrale, afferma il Papa: che Gesù è “Salvatore e Intercessore. Ti farà bene ricordare questo”. “Così la folla cerca Gesù con quel fiuto della speranza del popolo di Dio, che aspettava il Messia, e cerca di trovare in Lui la salute, la verità, la salvezza, perché Lui è il Salvatore e come Salvatore ancora oggi, in questo momento, intercede per noi. Che la nostra vita cristiana – è la preghiera conclusiva del Papa - ogni volta sia più convinta che noi siamo stati salvati, che abbiamo un Salvatore, Gesù alla destra del Padre, che intercede. Il Signore, lo Spirito Santo, ci faccia capire queste cose”.

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Papa riceve in udienza mons. Fisichella e Ignazio Marino

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo Salvatore Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, l’arcivescovo Pier Luigi Celata, e il sindaco di Roma, Ignazio Marino.

In Francia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Quimper, presentata da monsignor Jean-Marie Le Vert, in conformità al canone 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico.

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Papa, tweet: ogni vita è un dono

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“Ogni vita è un dono”: è questo il tweet lanciato da Papa Francesco dal suo account @Pontifex. Il messaggio è dedicato alla 42.ma Marcia e Veglia per la Vita, celebrate ogni anno negli Stati Uniti, a Washington, tra il 21 e il 22 gennaio per ricordare l'anniversario della sentenza “Roe vs Wade” della Corte Suprema, che nel 1973 legalizzò l’aborto nel Paese. Con la Veglia e la Marcia, culmina anche la terza edizione della “Novena di preghiera e penitenza”, che in questi giorni sta coinvolgendo tutte le diocesi statunitensi.

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Mons. Paglia: da laici grande contributo a Sinodo famiglia

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“Rileggere insieme il Sinodo straordinario sulla famiglia”. Con questo titolo si sono aperti oggi a Roma i lavori del Convegno internazionale - promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia e dalla segreteria del Sinodo dei vescovi - cui prendono parte oltre 80 movimenti e gruppi per la famiglia e la vita, provenienti da 30 diversi Paesi. A dare il via ai lavori, in corso fino a sabato, il segretario del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, e mons. Vincenzo Paglia, presidente del dicastero vaticano per la famiglia. Mons. Paglia spiega le ragioni di questo convegno, nell'intervista di Davide Dionisi

R. – E’ la prima volta che tanti movimenti familiari si ritrovano assieme per dibattere attorno a un tema come quello della famiglia, che non è solo la ragione della loro esistenza perché nonostante la varietà, alla fine, quello che unisce tutti è il tema della famiglia nel mondo. Ma il valore aggiunto è che ciò accade in questo momento storico che è qualificante nei confronti della famiglia, sia per il Sinodo che la Chiesa sta svolgendo, sia anche per la situazione nel mondo. E’ impressionante l’attenzione dei mass media su questo tema e su questo evento del Sinodo.

D. – Lei ha detto nella sua relazione introduttiva che c’è bisogno di una profezia in più…

R. – Sì, non c’è dubbio, anche perché la profezia della famiglia in un mondo dove l’individualismo impera, dove le disuguaglianze sociali provocano una violenza incredibile all’interno delle famiglie e anche fuori - pensiamo ai bambini, agli anziani, pensiamo alle banlieue dove le famiglie sono disgregate - in questo mondo conflittuale e individualizzato, la Chiesa deve riscoprire la responsabilità di annunciare la famiglia come una buona notizia, come una cosa appetibile, come una cosa attraente, perché il tema di fondo direi che è questo. La cultura contemporanea ha messo a lato, ha messo al margine la famiglia: non è più attraente, tanto che i giovani preferiscono rimandarla, preferiscono non legarsi, preferiscono restare a casa propria o peggio ancora preferiscono essere soli.

D. – Che contributo vi aspettate dai laici in vista anche del Sinodo?

R. – Un contributo particolarmente qualificato perché i movimenti laicali nati dopo il Concilio hanno sottolineato l’importanza della famiglia e spendono la loro vita per questo: sono uomini, donne, famiglie che stanno vivendo una straordinaria avventura. Io mi chiedo: chi meglio delle famiglie può parlare delle famiglie? Chi meglio di persone impegnate ad aiutare le famiglie che soffrono, a sostenere le giovani coppie, può parlare meglio di questi temi? Credo che questo sia parte integrante del Sinodo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Chi intercede per noi: messa a Santa Marta.

Bisogna testimoniare insieme: il Papa alla delegazione ecumenica della Chiesa luterana di Finlandia.

In prima pagina, un editoriale di Maurizio Gronchi dal titolo “Recezione e approfondimento”: nella fase intermedia del sinodo sulla famiglia.

Nigeriani in fuga: oltre un milione di sfollati per le violenze di Boko Haram.

La presentazione del cardinale Gerhard Müller al libro di Claudio Bertero “Persona e comunione. La prospettiva di Joseph Ratzinger”.

Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo “Quell’enclicica sempre più attuale”: ancora troppo fraintesa l’“Humanae vitae” richiamata da Papa Francesco.

Racconto di formazione: Emilio Ranzato recensisce il film colombiano “Mateo”.

Gabriele Nicolò su quell’arcobaleno di Rubens: una mostra a Londra sul pittore fiammingo.

La riconciliazione inizia con l’ascolto dell'altro: Gregory J. Fairbanks sui progressi nelle relazioni con riformisti, battisti e anabattisti.

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Oggi in Primo Piano



Congo. Monsengwo: basta uccidere i civili! Kabila via nel 2016

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Altissima tensione nella Repubblica Democratica del Congo dopo le manifestazioni anti-governative represse nel sangue dalla polizia, in questi giorni a Kinshasa, con un bilancio di oltre 40 morti. La popolazione è scesa per le strade della capitale per protestare contro i tentativi di riformare la legge elettorale in modo che il presidente Kabìla, al potere dal 2001, possa essere rieletto per un nuovo mandato. Dimostrazioni e scontri si sono verificati anche a Goma e Bekavu nell’Est del Paese. Drammatico l’appello lanciato alle autorità dal cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa. Jean-Baptiste Cocagne lo ha intervistato:

Basta uccidere la popolazione!
R. –Mon message porte trois éléments principaux…
Il mio messaggio ha tre elementi principali. Prima di tutto ho chiesto di smettere di assediare la città di Kinshasa perché nessuno può uscire, andare a scuola o lavorare. La polizia ha sparato sulla popolazione con proiettili veri. Ho detto: basta uccidere la popolazione, basta uccidere il vostro popolo, non camminate sulle ceneri dei vostri cittadini. In secondo luogo, ho ricordato che la popolazione si è ribellata perché si vuole cambiare la legge e il processo elettorale in modo che il presidente continui fino al 2017 ed eventualmente oltre. Abbiamo detto: basta! Terzo, che si ridia la libertà ai media perché la gente non sia costretta a seguire solo i media ufficiali che sono a favore della maggioranza al potere.

Kinshasa sotto assedio
D. – Perché aver scelto di lanciare questo messaggio proprio adesso?

R. – J'ai passé ce message du fait que Kinshasa ...
Ho fatto questo messaggio ora perché Kinshasa sembrava una città sotto assedio e non riusciamo a capire perché. La popolazione era in rivolta mentre alcuni politici, con le forze dell’ordine, creavano la desolazione e l’insicurezza generale. E’ per questo che ho lanciato questo messaggio per chiedere loro di smettere di uccidere la popolazione e di fermare queste azioni che hanno già causato molti morti tra la popolazione.

Oscurate radio e Tv: non è democrazia
D. – Qual è oggi la situazione a Kinshasa?

R. – Actuellement c'est un peu calme mais tout le monde est assez nerveux ...
Adesso è un po’ calma ma tutti sono abbastanza agitati, perché stanno ancora esaminando alcune modifiche della legge che riguarda il processo elettorale. Adesso hanno tagliato il segnale ai telefoni, hanno oscurato i media privati, le televisioni e le radio private e quindi siamo costretti a seguire unicamente la televisione di Stato che commenta gli avvenimenti a modo suo. Abbiamo chiesto al ministro responsabile dei media di ridare la libertà ai media audiovisivi di cui aveva abusivamente interrotto le trasmissioni. La radio cattolica funziona ancora ma la televisione cattolica, no. Abbiamo detto che questa non è democrazia. La democrazia presuppone un pluralismo di opinioni e di pensieri e le ripugna il pensiero unico. E’ per questo che riteniamo ingiusto che le reti nazionali non veicolino che il pensiero della maggioranza al potere. Chiediamo di ripristinare i segnali di queste televisioni che sono state oscurate. Inoltre, chiediamo che il popolo sia vigile, che utilizzi mezzi legali e pacifici per opporsi con tutte le sue forze alla modifica delle leggi essenziali del processo elettorale nel nostro Paese, ma evitando ogni forma di saccheggio dei beni privati e dei beni pubblici.

Kabila finisca il mandato nel 2016
D. – Qual è l’obiettivo di queste manifestazioni?

R. – Le peuple ne veut pas du tout que cette modification apportée à la loi ...
Il popolo non vuole assolutamente che queste modifiche apportate alla legge elettorale possano assegnare surrettiziamente un altro mandato al capo di Stato; il popolo vuole che queste elezioni si svolgano nel 2016 e che il presidente Kabila non continui un giorno di più a essere capo di Stato: deve finire il suo mandato nel 2016 e non devono cercare sotterfugi per arrivare cambiare questo.

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Libia: sospesi colloqui Onu. Medico italiano irreperibile

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Gli islamisti libici hanno sospeso i colloqui di pace recentemente avviati dall’Onu a Ginevra, accusando il governo del premier Abdullah Al Thinni - riconosciuto dalla comunità internazionale - di non aver rispettato la tregua. E hanno fatto sapere che non riprenderanno i negoziati, nemmeno se venisse accolta la loro richiesta di tenerli in Libia. Secondo gli islamisti, l'esercito regolare avrebbe attaccato una filiale della banca centrale a Bengasi.

Nei giorni scorsi, le Nazioni Unite avevano tracciato una "road map" in vista di nuovi negoziati tra le due fazioni che si contendono la titolarità del governo centrale libico: l’esecutivo di Abdullah Al Thinni - espressione del parlamento eletto con il voto del giugno scorso e recentemente trasferito da Tobruk ad Al Beyda - e il governo a maggioranza islamista guidato da Omar Al Hassi, legato all’ex Congresso generale nazionale riunito a Tripoli. Nell’esercito, inoltre, sta assumendo un ruolo sempre più rilevante l’ex generale, Khalifa Haftar, in lotta contro le milizie islamiste. Nelle ultime ore, poi, cresce l’apprensione per le sorti di un medico italiano operante nel Paese nordafricano, che risulterebbe irreperibile dal 6 gennaio.

In questo quadro, che immagine ne esce della Libia? Risponde Renzo Guolo, docente di Sociologia dell’Islam all’Università di Padova, intervistato da Giada Aquilino

R. – Siamo in una situazione di estrema frammentazione, nel senso che la Libia oggi ha due governi, due parlamenti: Tripoli e Tobruk. Il governo di Tobruk è quello riconosciuto dalla comunità internazionale e quello di Tripoli, che nella realtà controlla la capitale, è invece in mano a uno schieramento islamista, seppure molto composito al suo interno. Non si riesce a trovare una soluzione, perché ciascuno non riconosce nell’altro una legittimità, persino in presenza di guerra per procura, combattuta anche dai Paesi vicini: pensiamo al sostegno che alcuni Paesi arabi, in particolare l’Egitto, offrono al general Haftar.

D. – La sospensione dei colloqui a Ginevra può essere una strategia o le trattative possono considerarsi in stallo, se non addirittura naufragate?

R. – E’ difficile che in questa situazione ci possa essere fondamentalmente una ripresa veloce dei colloqui, che porti almeno ad una soluzione a breve, anche se il tavolo può rimanere aperto. Qui il problema vero è che ormai ciascuno pensa che l’altro sia un nemico, non un avversario con cui ricomporre un quadro unitario del Paese. Il vero nodo è che in questo modo anche tutte le spinte autonomiste e l’ipotetica divisione tra la Tripolitania, l’area della Cirenaica e il Fezzan - di cui nessuno parla ma che gravita, più che verso il Mediterraneo, ormai verso l’Africa subsahariana - possano diventare realtà.

D. – Nel caos libico del post Gheddafi, che ruolo stanno giocando le milizie jihadiste di Ansar al-Sharia, le cellule dello Stato islamico concentrate al Sud?

R. – E’ ovvio che questo è un grande rischio, perché soprattutto nell’area di Derna, che è la più problematica, Ansar al-Sharia è già ben consolidata e diffusa e la sua alleanza con il Califfato dello Stato islamico può generare un serissimo problema, ossia trovarsi un gruppo alleato di al-Baghdadi sulle sponde del Mediterraneo. Anche se ovviamente oggi questo gruppo tende ad un controllo territoriale limitato e non è d’accordo con l’altra ala islamista, quella legata ai Fratelli Musulmani, se non nell’obiettivo tatticamente convergente di opporsi al governo di Tobruk.

D. – Ha già detto degli appoggi egiziani all’ex generale Haftar: ma che figura è?

R. – Faceva parte delle forze armate gheddafiane e poi si è stabilito negli Stati Uniti. Ha cercato di diventare il punto di riferimento dei poteri che nell’area e nella regione si battono appunto contro l’affermazione islamista, soprattutto in versione radicale. In questo senso ha ottenuto l’appoggio sia dell’Egitto, sia di alcuni Paesi del Golfo. Si gioca, quindi, anche una partita che ha a che fare con la stabilità degli altri Paesi, in questa vicenda.

D. – Il dipartimento di Stato americano ha lanciato un nuovo allarme per tutti i cittadini statunitensi a lasciare la Libia. D’altra parte, nel Paese continuano le sparizioni e i rapimenti. La situazione è ormai fuori controllo?

R. – Sì, sicuramente, la Libia può essere annoverata purtroppo ormai nel lungo elenco dei cosiddetti Stati falliti, il cui territorio è fuori controllo proprio perché, al di là della presenza di due governi, nessuno in realtà lo controlla fino in fondo, se non in determinate aree. In questo contesto, proliferano non solo fazioni che si battono, ma poi anche gruppi di predoni che si muovono con logiche proprie e che quindi puntano a massimizzare la rendita che deriva da queste vicende, compresa la presa di ostaggi. Quindi questo è un grande problema: cioè il problema della sicurezza, forse oggi insieme alla gestione degli introiti economici derivanti dalla vendita del petrolio e ovviamente insieme alla crisi politica, è il fattore chiave della decomposizione di quella che un tempo si usava chiamare la ‘quarta sponda’.

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Londra, vertice dei Paesi anti-Is

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A Londra, vertice dei rappresentanti di 21 dei 60 Paesi di tutti i continenti, compresi diversi Stati arabi, che hanno aderito alla coalizione internazionale contro il cosiddetto Stato islamico, lanciata dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel settembre scorso. Il servizio di Roberta Gisotti

A pochi passi da Buckingham Palace si sono riuniti a Lancaster House i capi delle diplomazie dei Paesi più coinvolti nella lotta agli jihadisti del sedicente Stato islamico. Presenti anche delegati dell’Unione Europea e dell’Onu. Folta la rappresentanza degli Stati arabi: Bahrein, Egitto, Iraq, Giordania, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi, a significare quanto la minaccia jihadista sia in primo piano nelle preoccupazioni non solo dei Paesi occidentali. Da segnalare anche la presenza della Turchia. Dopo la prima riunione a Bruxelles, il 3 dicembre scorso, della Coalizione nata in formato ristretto di 10 Paesi divenuti ben presto 60, sul tavolo di Londra sono misure per fermare il flusso di denaro e di volontari verso lo Stato islamico e maggiori aiuti alla forze che combattono gli jihadsti sul terreno e aiuti umanitari alle popolazioni perseguitate.

Alla luce dell’aggravarsi della situazione nei territori occupati dalle milizie dell’Isis e della minaccia del terrorismo islamista, ci si chiede infatti a che punto è l’operato della coalizione. Arturo Varvelli, esperto dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), a capo del programma sul Terrorismo:

R. – Quello che abbiamo visto finora è una sorta di contenimento che la coalizione internazionale è riuscita ad effettuare del fenomeno “Stato islamico”. Contenimento per quanto riguarda la sua espansione territoriale – quindi un obiettivo, il primo – è stato raggiunto e bisognerà passare a un secondo obiettivo che è quello dell’annientamento dello Stato islamico. In realtà, bisognerebbe poi focalizzarsi su un terzo obiettivo, che è fondamentale per la portata generale dell’intervento, che è un intervento più politico: cioè, che cosa fare di Paesi il cui collasso ha permesso il proliferare dello Stato islamico. Parliamo in particolar modo di Siria da una parte e di Iraq dall’altra, che sono essenzialmente le cause della nascita di Isis. Quindi, da questi incontri ci aspettiamo qualcosa di più sul secondo e sul terzo punto.

D. – Quali sono però gli equilibri all’interno della coalizione? Sappiamo della presenza di diversi Stati arabi…

R. – E’ essenziale che la coalizione proceda naturalmente con un’unica volontà politica. Quello che abbiamo visto in passato, in interventi internazionali, ad esempio in quello in Libia, è che la comunità internazionale interviene con diversi intenti e subito dopo la fine del conflitto, o anche durante il conflitto, gli attori, pur appartenendo a una coalizione internazionale, agiscono ognuno indipendentemente, per i propri interessi nazionali, appoggiando una fazione rispetto ad un’altra. E’ quello che è successo anche nella guerra siriana e che ha permesso un proliferare di Isis. Quindi, in realtà è necessario che prima di pensare ad azioni in gioco l’una contro l’altra, ci debba essere una volontà comune a livello internazionale. Paesi molto diversi partecipano alla coalizione internazionale. I Paesi arabi hanno rivalità interne molto forti. Abbiamo visto un’adesione dell’Egitto, ma ci sono anche altri Paesi che hanno approcci molto diversi.

D. – Ma dobbiamo aspettarci di più da una possibile azione militare condivisa o invece da mediazioni politiche?

R. – L’ipotesi, che sembra sia stata scartata, è ancora quella di mettere “boots on the ground”, cioè di scendere sul terreno direttamente con i militari della coalizione: questa sembra un’ipotesi scartata, ma sarebbe certamente un’ipotesi che porterebbe a diverse problematiche. La soluzione che si sta provando è di armare ulteriormente altri gruppi, come ad esempio i curdi, che finora hanno fatto fortemente da argine alla penetrazione di Isis in nuovi territori. Anche questo alla fine potrà causare ulteriori e nuovi problemi. Pensiamo se vincessero i curdi, se riuscissero ad avere la meglio su Isis, alla fine delle vicende potrebbero reclamare uno spazio di indipendenza o di autonomia. Quindi, mentre noi interveniamo dobbiamo essere consapevoli delle conseguenze che noi stiamo già causando. Sono situazioni che noi abbiamo già visto, che si sono verificate con l’Afghanistan. Quella dell’Afghanistan è un’ipotesi che fa scuola: armavamo gli insorgenti afghani contro l’Unione Sovietica e abbiamo finito per creare i talebani. Quindi, i pericoli sono esattamente quelli.

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India: in aumento violenze anticristiane. Appello dei vescovi

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In India, negli ultimi mesi sono ripresi in diverse parti del Paese attacchi contro chiese e cristiani: nel 2014, sono stati uccisi cinque cristiani, tra i quali un bambino. E sono più di 7mila gli episodi di violenza compiuti, lo scorso anno, da gruppi estremisti indù contro la comunità cristiana. E’ quanto emerge dal dossier “Persecution Report” diffuso dall’organizzazione cattolica “Catholic Secular Forum”. Epicentro delle violenze - si legge nel rapporto - è lo Stato indiano del Chhattisgarh, dove “è più pericoloso essere un cristiano”. I vescovi indiani hanno chiesto in una nota inviata al primo ministro Narendra Modi un intervento urgente. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Crescita di gruppi estremisti indù
In India la crescita di gruppi estremisti indù, coincisa con la salita al potere del partito conservatore “Baratiya Janata Party” (Bjp), è stata accompagnata da una recrudescenza della violenza contro le minoranze religiose e, in particolare, contro le comunità cristiane. Uno dei problemi più gravi – si denuncia nel rapporto - è la complicità delle istituzioni alla quale si aggiunge, per gran parte dei casi registrati, anche il silenzio mediatico da parte dei mezzi di informazione locali. Sono circa 7 mila gli episodi censiti ma si tratta di un bilancio “solo indicativo e non esaustivo”. Tra le vittime di violenze anche 1.600 donne e 500 bambini. E sono più di 300 i cristiani, tra cui sacerdoti e leader di comunità, che hanno subito aggressioni. Almeno 60 chiese sono state sconsacrate e sono diventate la sede di gruppi estremisti indù. In una nota, i vescovi indiani chiedono al primo ministro Narendra Modi, leader del partito “Baratiya Janata Party”, un intervento urgente per fermare la deriva confessionale che sta mettendo a repentaglio l’unità del Paese e la laicità dello Stato sancita dalla Costituzione.

Sulla difficile situazione dei cristiani in India, aggravata dal diffondersi dell'ideologia nazionalista, si sofferma Maria Grazia Coggiola giornalista ed esperta del mondo indiano: 

Escalation di violenze contro chiese e cristiani
R. – Questo rapporto e anche altri che sono stati presentati negli scorsi mesi evidenziano un’escalation delle violenze contro le chiese e contro i cristiani. Questo è dovuto alla presenza più forte rispetto al passato delle organizzazioni radicali indù, in particolare del movimento dell’estrema destra indù, chiamato “Rss”, tradotto “Corpo nazionale di volontari”. E’ un’organizzazione affiliata a partito di governo, il Bjp. E’ un’organizzazione di volontari con un’agenda anticristiana e contro le minoranze, perché nell’obiettivo ci anche le altre minoranze, come quella musulmana. La presenza, chiaramente, di un governo della destra forte, come quello di Narendra Modi, ha rafforzato questi gruppi che già esistevano prima che, però, alzavano meno la voce, erano meno potenti. Si sono viste delle violenze anche a Delhi. Tra l’altro, prima di Natale, è stata bruciata una Chiesa, alla periferia di New Delhi; io ho seguito questo caso, ci sono state proteste di piazza dei cattolici e anche della Chiesa, della Conferenza episcopale, che chiedevano al governo e al premier Modi di pronunciarsi, se non altro su questa situazione che sta creando molta tensione e molta paura; però, fino ad oggi, c’è stato del silenzio da parte del premier Narendra Modi.

Riconversioni forzate all'induismo
D. – Recentemente, nell’Orissa, i cristiani sono stati vittime di violenze e persecuzioni. Adesso c’è un altro Stato indiano scosso dale violenze, il Chhattisgarh...

R. - Il Chhattisgarh è uno Stato in una parte dell’India dove c’è una popolazione tribale molto numerosa. Sono comunità indigene che sono state convertite al cristianesimo in passato. L’agenda di queste organizzazioni, come dicevo prima l’Rss e anche l’agenda del Bjp, è quella di riconvertire queste popolazioni riportandole alle origini induiste. C’è un programma apposito che tradotto dalla lingua hindi significa “torna a casa”, per conversioni di massa. Anche perché ci sono convenienze economiche; questo è un aspetto che non è sempre chiaro in Occidente che però incide e va anche sottolineato. Le minoranze in India, anche quella cristiana, purtroppo non godono di certi diritti invece riservati alle caste induiste, in quanto non sono indù. Quindi, riconvertendosi all’induismo, certe fette di popolazione, chiaramente povere, hanno altri diritti: per esempio all’impiego, alle quote di iscrizione alle scuole… Fra l’altro, molti Stati indiani prevedono leggi anti-conversione per impedire che avvengano conversioni degli indù.

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Card. Scola: ogni fede ha diritto di essere rispettata

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Dopo i fatti che hanno insanguinato Parigi, domenica scorsa,  inizio della Settimana per l’Unità dei Cristiani, l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, ha chiesto ai sacerdoti e alle comunità cristiane della diocesi di pregare in modo particolare per la pace durante le celebrazioni della messa. Si è pregato per la Nigeria, i cento bambini trucidati in Pakistan, i drammatici scontri in Ucraina, la violenza in Terra Santa, il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq, i tanti conflitti che interessano l’Africa. Nella Diocesi di Milano, la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani si concluderà sabato prossimo, con il conferimento presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, della laurea honoris causa al teologo ortodosso Ioannis Zizioulas, Metropolita di Pergamo, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli: una nuova tappa del percorso intrapreso dal cardinale Scola con una serie di viaggi, incontri col mondo ortodosso e scambi tra scuole di riflessione teologica. Sul terrorismo di matrice fondamentalista, ascoltiamo il cardinale Angelo Scola al microfono di Luca Collodi

R. – Abbiamo deciso di rispondere alla tragedia di Parigi, che non va sconnessa da altre tragedie per certi versi ancor più terribili che sono presenti nel mondo, con quell’atteggiamento della preghiera che noi riteniamo il più importante, il più prezioso, il più immediato. Come diceva San Bernardo, di fronte al mistero di iniquità, bisogna avere il coraggio di porlo dentro le ferite di Cristo. Noi abbiamo voluto fare questo, perciò abbiamo preparato un testo in cui abbiamo elencato il più possibile attentamente tutti i luoghi di prova tragica, soprattutto di persecuzione per i cristiani, per gli uomini delle religioni e gli uomini di buona volontà.

D. – I cittadini europei cosa possono fare per combattere la violenza nel mondo?

R. – Anzitutto, partirei proprio da ciò che abbiamo fatto con il gesto di preghiera. E’ illusorio, cioè, pensare che ci sia un cambiamento che non incominci da ciascuno di noi ed è illusorio pensare che ci sia un cambiamento se questo cambiamento non è da subito, ma viene rinviato a domani, al dopo.

D. – Intanto, card. Scola, l’Occidente pubblica vignette mentre in Africa gruppi islamisti bruciano le chiese: c’è un limite alla libertà di satira?

R. – Senza volere in nessun modo sminuire l’atrocità inaccettabile di ciò che è successo a Parigi, tuttavia dobbiamo legare in termini costruttivi la libertà espressiva, da una parte, alla libertà di coscienza, ma dall’altra parte anche al bisogno della vita buona che oggi non può non essere intesa in termini globalizzati. Quindi, l’invito, secondo me molto preciso, alla prudenza che ha fatto il Santo Padre è importante, dove la prudenza non va intesa come uno “stare indietro” ma, come diceva San Tommaso, come il cocchiere di tutte le altre virtù. Bisogna sempre avere l’intelligenza di misurare il rischio di violare il diritto altrui e mi pare che il diritto al rispetto del proprio credo non possa essere sottovalutato.

D. – Oltre alla satira contro Maometto, spesso troviamo satira molto dura anche con i cristiani: nel giornale satirico francese Charlie Hebdo troviamo vignette con scene sessuali sulla Trinità. I cristiani, però, stanno zitti: perché?

R. – Questo è un problema di fondamentale importanza, che la questione della satira mette in evidenza come la punta di un iceberg, ma è un problema che riguarda tutto il cristianesimo in Europa. Non a caso, già da tempo in molti diciamo che siamo, come cittadini europei, stanchi, affaticati. Ma lo siamo anche come cristiani. Il problema è quello di ripartire dalla testimonianza intesa in senso integrale: non solo come buon esempio, ma come modo di conoscenza della realtà e quindi come modo di comunicazione della verità. Bisogna che il cristiano, le famiglie cristiane, le associazioni, i movimenti laicali, le parrocchie, le nostre Chiese europee, le diocesi, mobilitino tutti a raccontare, a narrare con spontaneità la bellezza e la verità e la bontà della sequela di Cristo. Poi, evidentemente, in una società plurale abbiamo anche il dovere di dire come certe grandi istituzioni dovrebbero essere concepite per una vita buona. Per esempio, abbiamo una certa idea della famiglia ed è giusto, in una società in cui ci sono visioni diverse, esporla anche pubblicamente, con i mezzi appropriati, tendendo al massimo riconoscimento possibile, in modo che il legislatore sia aiutato a rispettare realmente le intenzioni profonde del popolo.

D. – Card. Scola, sul piano più umano come si può perdonare una fede quando mi offende come cristiano?

R. – Dobbiamo intenderci sulla parola “perdono”: il perdono è un lavoro che lascia operare la misericordia di Dio nel nostro cuore e nella nostra mente e nella nostra azione. In concreto, credo che di fronte al grande cambiamento che è in atto nell’islam – come ogni giorno posso imparare dal Centro Studi “Oasis” a cui, con amici di tutto il mondo, abbiamo dato vita 14 anni fa, questi grandi cambiamenti hanno bisogno di conoscenza. Sono molto colpito dal fatto che fino a poco tempo fa non c’era in Occidente un desiderio di conoscenza dell’islam. Mancava forse la premessa per una comprensione di questi fenomeni e per una conseguente azione.

D. – Sul fronte sociale, però, il laicato cattolico in Italia, ma anche in Europa, sembra in difficoltà, addirittura scomparso dal dibattito culturale e politico della dottrina sociale…

R. – Effettivamente, con la crisi, per stare all’Italia, del cosiddetto “cattolicesimo politico” – crisi che non possiamo ovviamente qui analizzare – realmente si è aperta una gravissima lacuna e questo deve mettere in moto un processo di educazione integrale, di tutti i fedeli, in particolar modo dei fedeli laici, perché assumano tutte le loro responsabilità all’interno di quel quotidiano che una volta si chiamava “il secolo” e oggi si può chiamare “la storia”. I cristiani intendono condividere l’esperienza che l’incontro con Gesù e la vita con Lui nella comunità cristiana rende possibile un modo "conveniente" di amare e generare, di lavorare e di riposare, di educare, di condividere gioie e dolori, di assumere la storia, di accompagnare e prendersi cura della fragilità, di promuovere la libertà e la giustizia.

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No gender a scuola: già raccolte 50 mila firme.

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Ha già raccolto oltre 50 mila firme la petizione online di varie associazioni al governo per una sana educazione sessuale e contro l’introduzione dell’ideologia del gender nelle scuole. Ieri al Senato la presentazione da parte delle Associazioni promotrici. Pro Vita Onlus, Associazione Genitori Scuole Cattoliche, Giuristi per la Vita e Movimento per la Vita chiedono alle istituzioni il coinvolgimento delle famiglie su temi etici e sensibili come educazione alla sessualità e all’affettività. Lanciato su Twitter l’hashtag #Nogender. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Un Family Day 3.0. Le associazioni definiscono così, alla luce del consenso raccolto, la petizione da loro lanciata contro il gender a scuola. Spesso in modo subdolo, sotto l’etichetta della giusta lotta al bullismo e al femminicidio, tale ideologia omosessualista –  denunciano – viene introdotta fin dall’asilo nido attraverso un’educazione sessuale priva di riferimenti morali e affidata esclusivamente a esponenti del mondo Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisex, Transgender). Toni Brandi, presidente di Pro Vita Onlus:

“Dagli asili nidi in poi vengono distribuiti libretti che promuovono le famiglie omogenitoriali, che negano le differenze sessuali. Non si possono indottrinare bambini di tre, quattro anni! Giù le mani dai nostri bambini!”

La petizione sollecita una sana educazione sessuale a scuola con il coinvolgimento dei genitori e chiede il ritiro della Strategia Nazionale Unar 2013 2015 per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'identità di genere sottoscritta dal governo Monti che promuove il gender nelle scuole. Gianfranco Amato, presidente dei giuristi per la Vita:

R. - Siamo all’inizio del 2015 ed entro quest’anno dovrà essere completato il ciclo di questa strategia. Sta diventando sempre più diffusa, per cui dobbiamo stare molto attenti.

D. – I genitori se ne accorgono in corso d’opera, non sono spesso avvisati preventivamente dalla scuola dell’introduzione del gender…

R. – Assolutamente, questo è il problema. Ed è uno dei motivi per cui nasce questa petizione. Non sono più dei casi isolati e sporadici, qui siamo di fronte ad una strategia. Dall’emergenza siamo passati all’allarme.

D. – Cosa chiedete al governo?

R. – Fermare questa forma di indottrinamento, che è diventata appunto sistematica; ragionare serenamente, soprattutto coinvolgendo uno dei tre attori della scuola, cioè i genitori. Perché tutto questo sta avvenendo soltanto coinvolgendo la gran parte delle associazioni lgbt. Gli attori nella scuola invece dovrebbero essere tre: gli studenti, i professori e i genitori.

D. – Buono l’obiettivo: lotta alla discriminazione e contrasto al bullismo di ogni tipo…

R. – Ma certo, quello che contestiamo è che non si può attraverso la sacrosanta lotta al bullismo omofobico - come a qualunque altro bullismo, perché anche gli obesi sono oggetto di bullismo - introdurre una teoria e un’ideologia che capovolge la concezione antropologica che noi abbiamo ereditato da duemila anni di civiltà. E’ chiaro che bisogna lottare contro qualunque tipo di discriminazione. Questo, peraltro, lo dice già l’art. 3 della Costituzione italiana: tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di condizioni personali, sociali ed opinioni politiche.

Presenti alla conferenza stampa in Senato diversi  esponenti politici. Olimpia Tarzia, presidente del Movimento Politica Etica Responsabilità:

“Il Papa giustamente mette in allarme rispetto ad un colonialismo ideologico, perché imporre la teoria del gender vuol dire di fatto stravolgere lo stesso impianto antropologico della persona e della famiglia. Il problema è che dietro ci sono lobby estremamente invasive sul piano della cultura. Bisogna chiedere chiarimenti sui fondi che, per esempio, si stanno destinando su progetti che teoricamente parlano di lotta alla discriminazione, lotta al bullismo, perché spesso nascondono proprio l’ideologia lgbt”.

Le Associazioni mettono in guardia inoltre dal progetto di legge a firma Fedeli (Pd), che prevede lo stanziamento di 200 milioni di euro per introdurre il gender a scuola e nelle università. Ernesto Mainardi, presidente dell’Associazione Genitori Scuole Cattoliche.

R. – Dal punto di vista del contenuto, il progetto di legge Fedeli ha tutta una premessa condivisibile che parte da quelli che erano i problemi del femminicidio, della discriminazione contro le donne e, da questo punto di vista, è assolutamente condivisibile. Poi, si va agli articolati di legge – sono 6 articoli – semplici, veloci, dove però la cosa diventa generica, cioè si parla solo dell’introduzione dell’educazione di genere. Lottiamo contro gli stereotipi, va bene, contro i pregiudizi, va bene, ma lottiamo contro i costumi, le tradizioni, basate sulla differenza sessuale… Ma siamo matti! Ma di che cosa si sta parlando?

D. – Ed è una strategia, un tipo di lavoro che ha dei costi per lo Stato…

R. – Sì, per preparare gli insegnanti, per cambiare i libri di testi e così via sono previsti all’inizio 200 milioni. I genitori devono prendere più coscienza e chiedere di fronte ad ogni iniziativa, a ogni progetto che appare “che cosa è?”, “di che si tratta?”, in modo da essere preparati.

La petizione è scaricabile all’indirizzo citizengo.org oltre che dai siti delle associazioni aderenti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Niger: vescovi sospendono tutte le attività della Chiesa

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I vescovi del Niger hanno sospeso “fino a nuovo ordine” tutte le attività della Chiesa cattolica (scuole, Centri di sanità, opere caritative e di sviluppo) “a seguito dei saccheggi delle chiese e delle infrastrutture della nostra istituzione e della profanazione dei nostri luoghi di culto”. Lo si apprende da un comunicato inviato all’agenzia Fides.

Solidarietà alla Chiesa nigerina
Tra il 16 e il 17 gennaio, varie chiese e comunità religiose del Niger hanno subito danni ingenti a causa dei manifestanti che protestavano contro le pubblicazioni del settimanale francese “Charlie Hebdo”. “Il provvedimento - si legge nella nota - ci permetterà di pregare e di leggere, in serenità, gli avvenimenti dolorosi che abbiamo subito”. “Ringraziano molto cordialmente tutti coloro che hanno espresso la loro solidarietà in questi momenti difficili. Preghiamo gli uni per gli altri affinché si stabilisca la pace nei cuori”, concludono i vescovi. 

L'appello del Papa
Ieri a conclusione dell'Udienza generale, Papa Francesco ha espresso la sua accorata vicinanza al dramma dei cristiani in Niger, colpiti dalle violenze compiute da estremisti islamici affermando che “Non si può fare la guerra in nome di Dio”. (R.P.)

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Re Abdallah II elogia il Papa: non si offendono le religioni

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Le considerazioni espresse da Papa Francesco durante la sua recente visita in Asia sulla necessità di coniugare libertà di espressione e rispetto delle fedi e dei simboli religiosi, sono state elogiate e fatte proprie da Re Abdallah II di Giordania, durante un incontro coi capi della tribù beduina di Beni Sakhr. “Ieri - conferma all'agenzia Fides l'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato latino di Gerusalemme - Re Abdallah ha fatto esplicito riferimento alle parole espresse dal Papa sul fatto che la libertà di espressione è un diritto e in certi casi addirittura un dovere, ma che nello stesso tempo essa ha dei limiti, e non può arrivare a offendere le convinzioni religiose degli altri. Il monarca ha definito positive tali considerazioni, mostrando di condividerle”.

Gli estremisti non rappresentano l'autentico islam
Soffermandosi sulla questione dell'estremismo di matrice islamista, Re Abdallah ha ribadito che gli estremisti non rappresentano l'autentico islam e che la reputazione dei musulmani va tutelata e difesa. Il monarca del Regno hascemita ha spiegato la sua partecipazione alla marcia di Parigi con l'intento di mostrare la propria solidarietà a un “Paese amico”, dove vivono anche “sei milioni di musulmani”.

Allarme per la crescita dell'islamofobia
Re Abdallah, nella conversazione con i capi beduini, ha anche lanciato l'allarme sulla crescita dell'islamofobia in Europa, insistendo sulla necessità di proteggere l'immagine di moderazione e di tolleranza dell'autentico islam e di coinvolgere tutte le comunità musulmane nella condanna dei gruppi estremisti e terroristi che strumentalizzano il Corano. (R.P.)

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Chiesa malese. Sentenza su parola 'Allah': a rischio libertà religiosa

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Una sentenza che mette a repentaglio la libertà religiosa in Malesia. Così l’arcivescovo di Kuala Lumpur mons. Julian Leow commenta la decisione del Tribunale Federale del Paese di respingere il ricorso presentato dalla Chiesa cattolica per portare fino alla Corte Suprema la vicenda della parola "Allah" anche per i non musulmani. Una sentenza che potrebbe porre la parola fine all’annoso contenzioso che coinvolge il settimanale cattolico locale “The Catholic Herald”. I cinque giudici del Tribunale hanno infatti negato all’unanimità la possibilità di ogni ulteriore azione legale perché "non vi sono stati errori procedurali" nei precedenti gradi di giudizio.

Rischio di una stretta sulle minoranze religiose in Malesia
Al “Malaysian Insider” mons. Leow ha dichiarato che il verdetto potrebbe “scoperchiare un vaso di Pandora” che finirà per portare a una stretta "sui diritti delle minoranze, in merito alla gestione degli aspetti che riguardano la propria religione". Il presule chiede quindi di continuare a pregare e di "confidare che vi sia una luce in fondo al tunnel".

Un caso non ancora chiuso secondo il legale della Chiesa
Secondo il legale della Chiesa cattolica, l'avvocato Datuk Cyrus Das, nonostante tutto, sul caso "Allah" potrebbe non essere stata ancora detta l’ultima parola, perché ci sono "elementi centrali" in questa vicenda, fra cui l'aspetto della libertà religiosa, che potrebbero essere "rivisti" in futuro alla luce di vicende giudiziarie molto simili a quella appena archiviata.

Più pessimista il direttore del Catholic Herald
Di avviso diverso il direttore del Catholic Herald Malaysia, padre Lawrence Andrew, che ritiene invece conclusa la battaglia legale per il proprio settimanale. Tuttavia, il sacerdote auspica che "si possa comunque vivere insieme in pace e armonia" e, al tempo stesso, che “i diritti delle minoranze non siano calpestati".

Cristiani terza religione del Paese dopo musulmani e buddisti
In Malaysia, nazione a maggioranza musulmana (60%), i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni su una popolazione di 28 milioni di abitanti. Un dizionario latino-malese risalente a 4 secoli fa dimostra come, sin dall'inizio, il termine "Allah" era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale. (A cura di Lisa Zengarini)

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Argentina: sul caso Nisman i vescovi chiedono verità

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"Sentiamo il bisogno di invitare le autorità e tutti i leader politici a compiere ogni sforzo con onestà per raggiungere la verità, unica base della giustizia", afferma un comunicato del Comitato esecutivo della Conferenza episcopale argentina sulla morte del procuratore a Alberto Nisman. Nisman è stato trovato morto in casa, ucciso da un colpo di pistola alla testa, il 19 gennaio, giorno nel quale avrebbe dovuto presentare in Parlamento i documenti con cui accusava la Presidente Cristina Kirchner di aver negoziato un accordo segreto per garantire l'impunità ad alcuni cittadini iraniani accusati in relazione all'attentato contro l'associazione ebraica Amia nel 1994.

L'ombra di impunità danneggia la democrazia
Il Comitato esecutivo ha espresso fiducia che le istituzioni della Repubblica possano "superare l'ombra di impunità che danneggia la salute della democrazia", e ha ricordato che le attuali sfide si devono affrontare "basandosi sulla morale e i valori profondi" che sono il sostentamento della convivenza, perché "la mancanza di verità risveglia una profonda sfiducia e finisce per danneggiare il tessuto sociale".

Sale la tensione: invito all'unità del Paese
La Chiesa invita a mantenere l’unità nella comunità nazionale, ma secondo le ultime notizie giunte all’agenzia Fides, in Argentina sono in corso diverse manifestazioni contro la Presidenza che stanno alzando la tensione. (R.P.)

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Card. Vegliò: essere apostoli e testimoni tra circensi e fieranti

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“Essere tra i circensi e fieranti apostoli e testimoni autentici di Gesù, fonte dell’acqua viva che soddisfa il desiderio”. Lo ha scritto il card. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, in un messaggio inviato al Convegno annuale del Forum europeo delle organizzazioni cristiane per la pastorale dei circensi e dei fieranti che si è concluso nel Principato di Monaco. “Siate premurosi - l’invito del porporato - verso le famiglie e i giovani che sono il futuro delle vostre comunità, aiutateli ad aprirsi al Vangelo e ai valori spirituali e incoraggiateli a spendere per Dio il loro carico di entusiasmo, di autenticità e di verità”.

Celebrazione ecumenica allo Chapiteaux del Festival di Monaco
Per l’Italia all’incontro erano presenti mons. Piergiorgio Saviola, fondatore del Forum, e mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Migrantes. “Durante il Forum - dice mons. Perego - un momento importante come sempre è stata la celebrazione ecumenica sotto lo Chapiteaux del Festival di Monaco. Il mondo del circo sempre più è un mondo ecumenico e interreligioso. Seguendo l’Evangeli gaudium di Papa Francesco, questo mondo può diventare un importante laboratorio per sperimentare forme inedite di dialogo ecumenico e interreligioso, a partire da un’esperienza condivisa di gioia e di bellezza”. (R.P.)

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Costa d'Avorio. Plenaria vescovi: Chiesa viva e in cammino

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La Chiesa della Costa d’Avorio è “una Chiesa viva, in cammino, che va sempre avanti”: è quanto ha detto mons. Alexis Touabli Youlo, presidente dei vescovi ivoriani, inaugurando la 99.ma Assemblea plenaria, in corso ad Abengourou fino al 25 gennaio. “L’anno 2014 è stato ricco di avvenimenti portatori di grazia”, ha detto il presule citando le numerose ordinazioni sacerdotali, i tanti battesimi e matrimoni celebrati, la visita ad limina e l’udienza con Papa Francesco avuta lo scorso settembre in Vaticano, così come il Sinodo straordinario sulla famiglia svoltosi ad ottobre ed al quale lo stesso mons. Touabli ha preso parte.

Ricordo del card. Agré, scomparso a giugno
“Rendiamo grazie a Dio – ha continuato il presule – per tutti questi avvenimenti che, nella sua bontà, ci ha donato da vivere insieme”. Il presidente della Ceci ha poi ricordato la scomparsa del card. Bernard Agré, arcivescovo emerito di Abidjan, deceduto in seguito ad una malattia il 9 giugno scorso all’età di 88 anni. Un porporato “di grande levatura”, ha sottolineato mons. Touabli, “che ha vissuto pienamente il suo motto episcopale, ovvero essere tutto per tutti”.

Chiesa sostiene istituzioni a servizio della nazione
La settimana di lavori della Plenaria, evidenzia ancora il presidente della Ceci, sarà un momento “di grazia e di gioia, perché si pregherà insieme alla ricerca delle risposte adeguate di fronte alle numerose sfide che presenta oggi la Chiesa”. Infine, il presule ha salutato e ringraziato le autorità politiche, amministrative e militari che hanno preso parte all’inaugurazione della Plenaria, ribadendo che “la Chiesa accompagna e sostiene l’esercizio quotidiano delle istituzioni a servizio della nazione”. (I.P.)
 

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Vescovi Andalusia: non ridurre ore di religione nelle scuole

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“Il governo dell’Andalusia rispetti il diritto costituzionale dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose”: scrivono così i vescovi dell’Andalusia, in Spagna, in una nota diffusa al termine della 130.ma Assemblea plenaria, svoltasi a Cordoba. In particolare, i presuli fanno riferimento all’intenzione del governo locale di ridurre da 90 a 45 minuti settimanali l’orario di insegnamento della religione nelle scuole primarie della regione, proponendo l’ora alternativa di “valori sociali”. Un’intenzione che una parte della popolazione non ha gradito, tanto che sono state raccolte 430mila firme per chiedere una corretta regolamentazione dell’insegnamento della religione negli istituti di formazione.

Rispettare i diritti sanciti dalla Costituzione
Sostenendo la raccolta popolare di firme, i vescovi andalusi ricordano, quindi, che “conformemente all’articolo 27.3 della Costituzione spagnola, le autorità pubbliche devono garantire il diritto che spetta ai genitori affinché i loro figli ricevano la formazione religiosa e morale confacente alle loro convinzioni religiose”. Di qui, l’appello perché non siano violati “i diritti costituzionali riconosciuti alla famiglia e gli accordi tra la Spagna e la Santa Sede, negando il diritto ad una formazione religiosa di qualità e rispettosa della legislazione vigente”.

Ora di religione indispensabile nel processo educativo
“L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole – continua la nota episcopale – viene sollecitata dall’87% dei genitori, a livello dell’educazione primaria”, un dato che “i responsabili politici di una società democratica devono tenere in conto”. Al contempo, i vescovi del sud della Spagna esprimono la loro solidarietà ai 2.700 docenti di religione che rischiano di perdere il lavoro “in un momento tanto difficile per l’occupazione”. “La formazione religiosa – annotano ancora i presuli – è una dimensione indispensabile nel processo educativo dei figli e sia i genitori che i professori devono tutelarla e promuoverla”. Di qui, l’invito alle istituzioni affinché aprano al dialogo “in una forma rispettosa del sentimento della maggioranza dei genitori andalusi e del lavoro dei docenti”. (I.P.) 
 

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Donazione della Comunità ebraica al Policlinico Gemelli

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Il Magnifico Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il prof. Franco Anelli, ha indirizzato una lettera di ringraziamento al presidente della Comunità ebraica di Roma,  Riccardo Pacifici, a seguito della decisione di donare al reparto oncologico del Policlinico Gemelli,  la somma che il Tribunale di Roma ha stabilito fosse corrisposta alla Comunità quale simbolico risarcimento per le gravi offese di stampo antisemita diffuse da esponenti di un movimento neofascista e xenofobo.

Per ricordare le vittime italiane della Shoah
“È, questo, l’esito della vostra determinazione nel sostenere una battaglia di civiltà fondamentale per l’intera collettività - scrive il rettore - un atto di giustizia che ci conduce alla celebrazione della ormai imminente Giornata della Memoria con rinnovata consapevolezza e fiducia. Siamo perciò molto onorati del fatto che questa scelta significativa, con cui si sono volute ricordare le 7.128 vittime italiane della Shoah, abbia individuato nel nostro Policlinico Universitario la propria destinazione".

Un gesto per contrastare ogni forma di discriminazione
"Questo gesto – conclude il prof. Anelli - richiama la nostra attenzione e sollecita il nostro impegno per contrastare ogni forma di discriminazione nel pieno rispetto della dignità di ogni persona umana". (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 22

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.