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Sommario del 01/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: sono vicino al popolo greco, si salvi la sua dignità

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Prima la dignità delle persone, poi il resto. Papa Francesco interviene nel febbrile negoziato in corso tra la Grecia e l’Unione Europea, teso a evitare il “default” del Paese ellenico, per esprimere solidarietà alla gente e ricordare l’ordine delle priorità.

“Le notizie provenienti dalla Grecia – afferma in una dichiarazione il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi – preoccupano per la situazione economica e sociale del Paese. Il Santo Padre desidera far sentire la propria vicinanza a tutto il popolo ellenico, con speciale pensiero alle tante famiglie gravemente provate da una crisi umana e sociale, tanto complessa e sofferta”.

“La dignità della persona umana – conclude la dichiarazione – deve rimanere al centro di ogni dibattito politico e tecnico, così come nell’assunzione di scelte responsabili. Papa Francesco invita tutti i fedeli ad unirsi in preghiera per il bene dell’amato popolo greco”.

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Papa prega per l'America Latina: società sia più fraterna

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A pochi giorni dalla partenza per il suo nono viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay, dal 5 al 13 luglio prossimi, il Papa dedica l’intenzione di preghiera di questo mese ai cristiani dell’America Latina: “Di fronte alle disuguaglianze sociali – si legge – possano dare testimonianza di amore per i poveri e contribuire ad una società più fraterna”. Sulle attese per questa visita, Paolo Ondarza ha raggiunto telefonicamente in Bolivia mons. Eugenio Scarpellini, vescovo di El Alto, città dove il Papa atterrerà mercoledì 8 direttamente dall’Ecuador: 

R. – Siamo contentissimi, abbiamo una gioia immensa, siamo in attesa del Santo Padre! C’è un lavoro enorme di preparazione, però lo facciamo con gioia! E speriamo che anche il mondo intero possa cogliere da questa visita del Santo Padre nei tre Paesi dell’America Latina un messaggio grande di attenzione verso un popolo credente. Un popolo che ancora deve crescere nella dignità, nel superamento dei limiti, delle difficoltà, delle crisi e delle ingiustizie che ci sono, ma un popolo che guarda con speranza al futuro.

D. – Il tema della gioia, l’"alegria", è centrale in questo viaggio. Ed è stato ricordato anche da Papa Francesco in un videomessaggio diffuso in questi giorni…

R. – Esattamente. Lui vuole venire per essere vicino a noi, per percepire le nostre preoccupazioni ma anche per portarci questa gioia del Vangelo. Leggere la nostra vita e su questa vita darci la gioia, la speranza che il Vangelo ci annuncia. Vuole essere, giustamente, il pastore che vive in mezzo alla sua gente, che non solo conosce perché ha informazioni, ma vuole guardare in faccia la gente: vuole vedere gli occhi, le espressioni e cogliere da questi volti la nostra vita in Bolivia e in questa vita inserire la sua parola, il suo messaggio di speranza e di gioia.

D. – Per utilizzare un’espressione cara al Papa, vuole “essere un pastore con l’odore delle sue pecore”…

R. – Esattamente. E lui atterrerà proprio in una grande città che è l’ultima città che è sorta in Bolivia. Pensiamo che 30 anni fa questa città aveva 200 mila abitanti, oggi ne ha più di un milione e 50 mila, con quartieri periferici grandi, con situazioni ancora di mancanza di strutture basilari, quindi con problematiche sociali, di vita, molto preoccupanti. Il Papa atterrerà qui a El Alto, la mia città, la mia diocesi.

D. – Il Papa prega pensando all’America Latina: di fronte alle disuguaglianze sociali i cristiani di queste terre possano dare testimonianza dell’amore per i poveri e contribuire a una società più fraterna…

R. – Sicuramente, in Bolivia si sono fatti passi importanti per superare le disuguaglianze. Passi importanti che però non possono distogliere lo sguardo dalla realtà che abbiamo e che è ancora molto, molto preoccupante. Disuguaglianze a livello di divario economico, fra ricchi e poveri, disuguaglianze  a livello culturale, di accesso all’educazione, disuguaglianze a livello di salute… Tutte queste situazioni ancora preoccupano e stimolano noi tutti, come Chiesa, in generale, a testimoniare la carità. Dobbiamo ricordare che in Bolivia la Chiesa ancora ha molte opere sociali, è al servizio della gente. Abbiamo più di 1.500 scuole, opere di salute, centri per ragazzi con disabilità, orfanotrofi, che sono a carico nostro. Quindi, la Chiesa svolge un lavoro grosso, purtroppo di supplenza. Noi speriamo che la visita del Santo Padre svegli la società intera su queste realtà in modo tale che ci sia un lavoro fatto insieme, fatto in comune, senza pensare se apparteniamo alla Chiesa o alla società civile, se siamo privati o pubblici…

D. – E’ questo l’auspicio che come vescovo formula in vista di questa importante visita del Papa?

R. – Senz’altro. Noi abbiamo fissato due parole, come motivo conduttore di questa visita: rinnovamento e riconciliazione. Il rinnovamento nasce da un desiderio di cambiare atteggiamenti e di essere attenti l’uno all’altro, superare le particolarità e sentire che nella diversità siamo una ricchezza uno per l’altro. La riconciliazione perché dobbiamo mettere da parte quello che può dividerci, negli aspetti  culturali, storici, religiosi. Le diversità, le divisioni del passato non possono continuare a ferire la nostra società, il nostro Paese. Bisogna avere il coraggio di guardare avanti e in Gesù riscoprire il senso del perdono reciproco per unire le forze e camminare verso una società più giusta, più degna per ogni persona che qui vive.

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Il Papa: Bédros, voce attenta delle sofferenze del popolo armeno

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Era profondamente radicato sulla Roccia che è Cristo. Riteneva che il tesoro più prezioso che il vescovo è chiamato ad amministrare, sia la fede derivante dalla predicazione apostolica e Sua Beatitudine si è generosamente prodigato per la sua diffusione, in particolare favorendo la formazione permanente del clero affinché, anche in contesti difficili, i ministri di Dio rinnovassero la loro adesione a Cristo, unica speranza e consolazione dell’umanità.

Il messaggio letto dal card. Sandri
E’ il ricordo che Papa Francesco traccia di Nèrsos Bédros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia degli armeno cattolici, spentosi il 25 giugno scorso per un arresto cardiaco. Il messaggio è stato letto ieri dal card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in occasione dei funerali del patriarca nella cattedrale di Sant’Elia a Beirut, in Libano.

Il patriarca si è speso per la giusta commemorazione delle sofferenze del popolo armeno
Francesco, rattristato dalla notizia della scomparsa del Patriarca,  ricorda l’incontro con lui in occasione della commemorazione delle vittime del Metz Yeghern (il Grande Male) e della proclamazione a Dottore della Chiesa di San Gregorio di Narek, nella Basilica di San Pietro, lo scorso 12 aprile. Sua Beatitudine, si legge ancora nel messaggio, si è speso affinché la giusta commemorazione delle sofferenze subite dal popolo armeno nel corso della sua storia divenisse un’azione di grazia a Dio,  considerando l’esempio dei martiri e dei testimoni,  ottenendo al tempo stesso, da Lui, il balsamo della consolazione e della riconciliazione, il solo che può guarire le più profonde ferite delle anime e dei popoli.

Francesco invita tutti a raccogliere l'eredità di Bédros XIX
Il patriarca, conclude il Papa, ha potuto gioire, con tutto il popolo armeno, della elevazione a Dottore della Chiesa di San Gregorio di Narek, auspicando che la spiritualità di questo grande santo possa divenire un esempio per pastori e fedeli. Francesco invita quindi tutti a raccogliere l'eredità di Bédros XIX, implorando allo stesso tempo lo Spirito Santo di continuare a rinnovare il volto della Chiesa armeno cattolica, e affidando al Signore le fatiche legate ai limiti e alle fragilità della condizione di essere pellegrini in cammino verso la Patria eterna.

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Giustizia e pace: cambiare rotta seguendo l'Enciclica del Papa

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“Cambia il Pianeta - Cura le persone” è la campagna lanciata oggi nel corso della presentazione, in Sala Stampa Vaticana, della Conferenza: “Le persone e il pianeta al primo posto: l’imperativo di cambiare rotta”, in programma domani e venerdì a Roma. L’incontro è organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace insieme alla rete Cisde, associazioni di ong cattoliche. Ce ne parla Benedetta Capelli

L’Enciclica di Papa Francesco: “Laudato si’” è la guida, il faro che indica la strada per invertire la rotta sul fronte dei cambiamenti climatici. I relatori che in Sala Stampa vaticana hanno presentato la Conferenza di domani e venerdì a Roma lo hanno sottolineato più volte mettendone in luce la prospettiva innovativa e il richiamo urgente all’azione. Secondo il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, bisogna partire dall’osservazione del Papa ovvero che il clima è un bene comune, che siamo di fronte ad una delle sfide più importanti di questi tempi, che l’attività umana ha danneggiato l’ambiente con inevitabili ripercussioni a livello sociale, economico e politico. Pertanto è necessario cercare nuovi modi di intendere l’economia e il progresso. L’intervento del porporato è stato letto da Flaminia Giovanelli, sottosegretario del dicastero vaticano:

“Yet the single biggest obstacle…
L’unico grandissimo ostacolo ancora all’imperativo di cambiare corso non è economico, scientifico o anche tecnologico, ma piuttosto interno alle nostre menti e ai nostri cuori. Le stesse menti, che impediscono di prendere decisioni radicali e invertire il trend del riscaldamento globale, impediscono anche di raggiungere l’obiettivo di eliminare la povertà. E’ necessario un approccio nel complesso più responsabile per affrontare entrambi i problemi: la riduzione dell’inquinamento e lo sviluppo dei Paesi e delle regioni più povere”.

Bernd Nilles, segretario generale della Cisde, "International Alliance of Catholic Development Organisation", ha messo in luce la necessità di lavorare insieme perché la solidarietà aiuta ad affrontare alla radice i problemi. Il suo è un invito alla partecipazione, a combattere la sfida del cambiamento climatico mettendo in campo soluzioni che possono partire dal basso, dai nostri stili di vita, dal far sentire la propria voce facendo pressioni sui governi e per questo la Conferenza di Parigi sul clima sarà cruciale. E in vista di questo appuntamento ha lanciato una campagna ad hoc:

“We launched today…
Abbiamo lanciato oggi, con questa conferenza stampa, la nuova campagna internazionale 'Change for the planet, care for the people' sullo stile di vita, che invita le persone a cambiare la propria vita e a percorrere una strada verso un futuro sostenibile”.

Sette i punti toccati dal prof. Ottmar Edenhofer, co-chair dell'"Intergovernmental Panel on Climate Change", per raccontare l’Enciclica del Papa che non è solo un testo sul clima ma riguarda anche la povertà e l’ineguaglianza. “Difficile ma non impossibile”: così Naomi Klein, giornalista e scrittrice canadese, da anni teorica e attivista del movimento no-global, ha voluto invitare la politica a non nascondersi di fronte alla sfida dei cambiamenti climatici. Un intervento di grande impatto per lei che si definisce “femminista, ebrea e laica”, stupita dall’invito ma particolarmente colpita dall’Enciclica di Papa Francesco, che ha invitato a leggere con il cuore. Sotto accusa anche il sentirsi più forti della natura che ha portato all’incapacità di rispettare il creato:

"We can save ourselves…
Possiamo salvarci, ma solo se abbandoniamo il dominio e la supremazia e impariamo a lavorare con la natura".

Nella sua analisi, Naomi Klein evidenzia come i modelli economici dominanti abbiano calpestato le persone:

“The truth is that we have arrived…
La verità è che siamo arrivati ad un punto pericoloso, in parte perché molti degli esperti economici ci hanno deluso, esercitando le loro forti capacità tecnocratiche senza saggezza. Hanno prodotti modelli che davano scandalosamente pochissimo valore alla vita umana, soprattutto a quella dei poveri, proteggendo i profitti aziendali e la crescita economica a tutti i costi.

“La posta in gioco è alta – afferma – e non possiamo dividerci, né permettere alle differenze di dividerci”. Naomi Klein ha ricordato la marcia di 400 mila persone nel settembre scorso a New York e il grido lanciato che va ascoltato:

“But difficult is not the same…
‘Difficile’ non è ‘impossibile’. Smettere di avere fiducia in un lavoro che può salvare innumerevoli vite e prevenire tanta sofferenza, semplicemente perché è difficile, costoso e richiede sacrificio, non è un atteggiamento pratico: è il tipo più vigliacco di resa”.

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Turkson: "ecologia integrale" insegna a sentirci fratelli

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Che tipo di mondo lasceremo alle future generazioni? E’ l’interrogativo che Papa Francesco lancia con toni severi nell’Enciclica "Laudato si'", dedicato alla cura del pianeta. Un testo che tanto più si apprezza se letto attraverso gli occhi dei bambini, così come ha fatto il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, in un incontro dedicato alle agenzie che si occupano di infanzia, ospitato oggi nella sede dell’Unicef, a New York. Il servizio di Roberta Gisotti

Il Papa parla nell’Enciclica alla “famiglia umana multigenerazionale”, che va al di là di chi vive oggi, e critica profondamente - ha ricordato il cardinale Turkson - “i genitori che egoisticamente sprecano ampie risorse in ciò che non è realmente necessario, lasciando i loro figli con meno possibilità di costruire una vita propria in seguito”. Con l’espressione "ecologia integrale", Francesco vuol significare che tutti siamo interamente connessi con ogni cosa e con ognuno, e prendendoci cura della "casa comune" e della famiglia umana che vi abita, a partire dai nostri bambini, il confine tra noi e gli altri si ammorbidisce, sfuma, perfino scompare.

“Attraverso gli occhi dei bambini noi possiamo scoprire - ha ricordato il porporato - una volta ancora la bellezza, la meraviglia, la maestà del nostro pianeta e della nostra esistenza”. Attraverso le loro domande - qual è lo scopo della nostra vita in questo mondo? Perché siamo qui? Qual è l’obiettivo del nostro lavoro e di tutti i nostri sforzi? - “noi siamo posti faccia a faccia con le nostre ipocrisie, i compromessi che abbiamo fatto con i nostri valori, le scelte che dobbiamo riesaminare alla luce di ciò che noi sappiamo nei nostri cuori essere giusto e vero.” “Queste lenti da bambino ci riportano a chi siamo ora come adulti”. “Non basta più dire - scrive il Papa - che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni”, ma “rendersi conto che in gioco è la dignità di noi stessi… i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo... Un dramma che chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.”

“I giovani - ha rimarcato infine il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace - stanno anelando a fare la differenza in molti Paesi”. Da qui l'invito agli organismi che si occupano di infanzia e gioventù - e anche alla Chiesa -  “a collaborare con loro e a sostenere i loro sforzi”. “L’interesse dei giovani nella lotta ai cambiamenti climatici - ha concluso il porporato - è più grande del nostro.”

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Tomasi: o Stati fanno fronte comune o terrorismo dilagherà

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Un approccio internazionale per la lotta al terrorismo deve dare sempre la “priorità alle vittime” e non far prevalere interessi finanziari, politici o ideologici. L’affermazione è dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, l’osservatore della Santa Sede all’Onu di Ginevra che ieri è intervenuto ai lavori della 29.ma Sessione del Consiglio dei Diritti umani sul tema degli effetti del terrorismo sulla vita dei singoli e degli Stati. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il cosiddetto Stato islamico, i miliziani di Boko Haram. E prima ancora al Qaeda e le dozzine di sigle dietro le quali si schierano uomini e donne con un fucile mitragliatore in mano e in testa l’obiettivo di costruire qualcosa spargendo paura e sangue di innocenti. Ne elenca i nomi, mons. Tomasi, e fa un calcolo: dal Duemila a oggi, osserva, “il mondo ha assistito a un aumento vertiginoso del 500% del numero di vittime di attacchi terroristici”. Solo nel 2013, soggiunge, “l'82% di queste vittime è stato ucciso in soli cinque Paesi: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria”. Un quadro di brutale efferatezza senza speranze all’orizzonte. Anzi, afferma con realismo mons. Tomasi, si profila il rischio di un peggioramento se la comunità internazionale non troverà il modo di fare fronte comune a quella che chiama “l'impunità” di cui i terroristi sembrano godere.

Il terrorismo – riflette il presule stringendo sul tema specifico della seduta a Ginevra – si è tradotto per milioni di persone in una morsa che ha stritolato diritti umani e libertà fondamentali. “Il terrorismo – afferma mons. Tomasi – è l'antitesi dei valori condivisi e degli impegni che sono alla base della convivenza pacifica nazionale e internazionale”. È sotto gli occhi una "globalizzazione del terrorismo" che si avvale, sostiene, di “poteri politici antagonisti” tentati “di giocare un ruolo” fornendo alle organizzazioni integraliste “risorse della moderna tecnologia, armi avanzate e finanziamenti”, con ricadute umanitarie e sociali drammatiche.

Poiché “il terrorismo non riconosce la dignità delle sue vittime”, la sua virulenza – spiega mons. Tomasi – genera una sorta di “effetto domino”: una volta “negato a una persona il suo diritto alla vita, si abusa degli altri diritti fondamentali, compreso il diritto alla libertà di credo e di culto, il diritto di espressione e la libertà di coscienza, il diritto all'istruzione e il diritto di essere trattati con pari dignità come ogni altro cittadino di una nazione, nonostante la differenza di religione, di status sociale ed economico, di lingua o etnia”.

Dove con la sua follia distruttiva “il terrorismo ha effettivamente preso piede, è stato compiuto – prosegue l’osservatore vaticano – un danno sociale e culturale irreparabile che si ripercuoterà sulle generazioni future. Distruggendo le infrastrutture delle città e delle regioni, soprattutto attaccando gli edifici governativi, le scuole e le istituzioni religiose, il terrorismo costringe letteralmente una società in ginocchio. Inoltre la demolizione di siti culturali e antichi da parte dei terroristi minaccia di annientare la storia delle culture e popolazioni. Tale distruzione – sottolinea ancora mons. Tomasi –crea terreno fertile per l'estremismo più violento, perpetuando così il circolo vizioso della violenza con la moltiplicazione di ulteriori violenze”.

Dopo aver parlato delle influenze che il terrorismo esercita sulle democrazie, specie se non ancora affermate – compresi i condizionamenti sugli Stati che talvolta ne utilizzano la minaccia come una “scusa” per ridurre le libertà fondamentali – mons. Tomasi ribadisce la profonda convinzione della Santa Sede per cui il terrorismo, “in particolare quelle forme che derivano dall’estremismo religioso, debbano essere contrastate da sforzi politici concertati”, in particolare con tutte le parti locali e regionali interessate. E conclude: “Gli sforzi per raggiungere un approccio comune per la lotta al terrorismo devono sempre dare la priorità alle vittime del terrorismo. Motivi finanziari, politici o ideologici non dovrebbero mai prevalere sulla capacità di giungere a una visione unitaria di come la piaga del terrorismo debba essere combattuta”.

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Vaticano: grati ai marittimi per aiuto prestato ai migranti

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In vista della “Domenica del mare” del 12 luglio prossimo – una celebrazione speciale che la Chiesa organizza dal 1975 per ricordare i marittimi e pregare per loro, per le loro famiglie e per quanti si dedicano al loro servizio – il Pontificio Consiglio dei Migranti esprime in un messaggio gratitudine al personale marittimo in particolare per l’abnegazione mostrata nel prestare soccorso in mare alle persone in fuga lungo le rotte del Mediterraneo.

Di seguito, il testo integrale del messaggio:

“Per trasportare merci e prodotti in tutto il mondo, l'economia globale fa grande affidamento sull’industria marittima, sostenuta da una forza lavoro di circa 1,2 milioni di marittimi che, nei mari e negli oceani, governano navi di qualsiasi tipo e dimensione e spesso affrontano le potenti forze della natura. Per il fatto che i porti sono costruiti lontano dalle città e per la velocità di carico e scarico della merce, gli equipaggi di queste navi sono persone "invisibili". Come individui non riconosciamo l'importanza e i vantaggi che la professione marittima porta alla nostra vita ma diventiamo consapevoli del loro lavoro e dei loro sacrifici solo quando avviene qualche tragedia.

Nonostante lo sviluppo tecnologico che rende la vita a bordo più confortevole e facilita la comunicazione con i propri cari, i marittimi sono costretti a trascorrere lunghi mesi in uno spazio circoscritto, lontano dalle loro famiglie. Norme restrittive e ingiuste spesso impediscono loro di scendere a terra quando sono in porto e la continua minaccia della pirateria su numerose rotte marittime aggiunge stress durante la navigazione. Siamo sempre convinti che la ratifica e l'entrata in vigore della Convenzione sul Lavoro Marittimo (2006) in un numero crescente di Paesi, accompagnata da controlli efficaci da parte dei singoli Governi, si tradurrà in un miglioramento tangibile delle condizioni di lavoro  a bordo di tutte le navi.

L'attuale situazione di guerra, violenza e instabilità politica in diversi Paesi, ha creato un nuovo fenomeno che sta condizionando il settore dei trasporti marittimi. Dallo scorso anno, insieme con le Guardia costiera e le forze navali di Italia, Malta e Unione Europea, i mercantili che transitano nel Mar Mediterraneo sono attivamente impegnati in quello che è diventato il salvataggio quotidiano di migliaia e migliaia di migranti, che cercano di raggiungere principalmente le coste italiane su ogni tipo di imbarcazioni sovraffollate e non adeguate alla navigazione.

Da tempo immemorabile i marittimi onorano l'obbligo di prestare assistenza alle persone in difficoltà in mare, in qualsiasi condizione. Tuttavia, come è stato sottolineato da altre organizzazioni marittime, per le navi mercantili salvare i migranti in mare rimane un rischio per la salute, il benessere e la sicurezza degli stessi equipaggi. Le navi commerciali sono progettate per il trasporto di merci (container, petrolio, gas, etc.), mentre i servizi di bordo (alloggi, cucina, bagni, ecc.) sono costruiti a misura del numero limitato dei membri dell'equipaggio. Pertanto tali navi non sono attrezzate per fornire assistenza a un gran numero di migranti.

I marittimi sono professionalmente qualificati nel loro lavoro e sono formati per gestire alcune situazioni di emergenza, ma il salvataggio di centinaia di uomini, donne e bambini che cercano freneticamente di salire a bordo per mettersi al sicuro, è qualcosa a cui nessun corso di formazione della scuola marittima li ha preparati. Inoltre, lo sforzo messo in atto per salvare quante più persone possibile e, talvolta, la vista di corpi senza vita che fluttuano sul mare, rappresentano un'esperienza traumatica che lascia i membri degli equipaggi stremati e psicologicamente stressati, tanto da necessitare di un sostegno psicologico e spirituale specifico.

Nella Domenica del Mare, come Chiesa cattolica vogliamo esprimere la nostra gratitudine ai marittimi in generale, per il loro fondamentale contributo al commercio internazionale. Quest'anno in particolare, desideriamo riconoscere il grande sforzo umanitario svolto dagli equipaggi delle navi mercantili che, senza esitazione, e a volte a rischio della propria vita, si sono adoperati in numerose operazioni di soccorso salvando la vita di migliaia di migranti.

La nostra riconoscenza va anche a tutti i cappellani e volontari dell'Apostolato del Mare per il loro impegno quotidiano a servizio della gente del mare; la loro presenza nei porti è il segno della Chiesa in mezzo a loro e mostra il volto compassionevole e misericordioso di Cristo.

In conclusione, mentre facciamo appello ai Governi europei e dei Paesi di provenienza dei flussi migratori, come pure alle organizzazioni internazionali affinché collaborino alla ricerca di una soluzione politica duratura e definitiva, che metta termine all'instabilità esistente in quei Paesi, chiediamo anche maggiori risorse da impegnare non solo per missioni di ricerca e soccorso, ma anche per prevenire la tratta e lo sfruttamento di persone che fuggono da condizioni di conflitto e povertà”.

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Chiesa, educazione e sport in un convegno alla Lumsa

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Formare educatori e professionisti dello sport in modo da trasmetterne i valori più autentici. E’ quanto si propone un nuovo corso di studi  promosso dall’Università Lumsa e presentato oggi a Roma. Un’occasione per parlare del rapporto tra Chiesa, sport ed educazione. Il servizio di Michele Raviart: 

Lo sport è un’attività che prescinde dai bisogni primari e per questo, anche se sembra inutile ai fini pratici, eleva l’uomo e lo rende libero. Così il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, spiega l’importanza antropologica dello sport e il suo filo diretto con la spiritualità. La stessa parola “ascesi”, continua, deriva da un termine tecnico greco per indicare l’esercizio fisico:

“Non bisogna mai dimenticare che lo sport suppone in sé l’esercizio, e l’esercizio è un lavoro faticoso, costante, continuo, di formazione e di impegno. Per questo motivo è indispensabile che ci sia accanto una persona che ti formi anche dal punto di vista semplicemente tecnico. D’altra parte, proprio perché consideriamo l’esperienza sportiva - il gioco - come un’esperienza antropologica globale, è necessario che ci sia accanto una sorta di maestro, il quale ti conduce non solo a formarti tecnicamente, ma anche umanamente. Perché l’esercizio vero è la crescita in umanità, e non soltanto in tecnica sportiva”

Lo sport “educa alla vita attraverso una competizione virtuosa”, dice mons. Mario Lusek, responsabile della Cei per la Pastorale del tempo libero turismo e sport. La sua presenza accanto alle delegazioni “azzurre” durante le olimpiadi e i mondiali sottolinea la vicinanza della Chiesa a questo mondo, al quale si rivolge spesso anche il Papa

Papa Francesco sta quasi creando un nuovo alfabeto della pratica sportiva, sta indicando delle possibilità e dei modi con cui la Chiesa può essere vicina a questo mondo. Lui indica sempre per un giovane tre dimensioni: il lavoro, lo sport e la scuola - la formazione - e le mette insieme dicendo che il futuro di un giovane è in questi tre elementi. Allora la Chiesa abita il mondo dello sport, anche con la figura del prete, che assume un significato non solo liturgico-cultuale, ma anche educativo e formativo, dando quell’anima che spesso manca al mondo dello sport”

Decisivi in questo senso gli oratori, presìdi educativi in tante “periferie”. Dove si impara il rispetto per l’altro e l’importanza del lavorare insieme per raggiungere un obiettivo comune. Giovanni Malagò, presidente del Coni, Comitato olimpico nazionale italiano.

“La presenza dello sport all’interno degli oratori passa e si muove attraverso il mondo degli enti di promozione: il Csi, i salesiani, le Acli, che sono fortemente radicati su tutto il territorio. Lì c’è una storia che parte da lontano, dall’inizio del secolo passato, su cui si è potuto praticare lo sport, in un contesto di fede e anche di studio. È un modello che ha portato molte soluzioni ai problemi sociali del Paese e soprattutto ha portato grandi campioni che hanno reso il nostro Paese importante nel mondo”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina: L’ultima carta di Tsipras. Il premier greco apre alle condizioni europee ma con alcune modifiche. Trattative a oltranza per arrivare a un accordo.

Sotto, Incubo terrorismo anche in Italia. Vasta esercitazione a Londra per prevenire possibili attacchi

Nelle pagine della Cultura: Un nuovo terreno comune; la «Laudato si’» nel mondo islamico di Abdullah Hamidaddin

Incubo moderno. Catastrofi ambientali al cinema, di Emilio Ranzato

Angeli con il volto da indio. La storia del Paraguay segnata dalle Riduzioni dei gesuiti, di Gianpaolo Romanato

Musica classica in discarica e La profezia (avverata) di don Quijote; Cervantes e la monumentale edizione della Real Academia Española di Silvia Guidi

In ultima pagina, Quel diploma mai consegnato; a colloquio con Cecilia, una delle nipoti di monsignor Óscar Romero, di Silvina Pérez

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Oggi in Primo Piano



Grecia, si tratta no stop: Merkel: no aiuti, prima referendum

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Continua il dialogo tra Grecia e creditori, dopo il mancato pagamento ellenico al Fondo monetario Internazionale. A breve il premier Tsipras terrà un discorso alla nazione. Nel pomeriggio teleconferenza dell’Eurogruppo per discutere la richiesta greca di un terzo salvataggio, ma la cancelliera tedesca, Angela Merkel, frena: “Nessun negoziato su nuovi aiuti prima del referendum in Grecia”. Anche questa mattina lunghe file davanti alle banche che hanno aperto per il pagamento in contanti delle pensioni o per i prelevamenti dei correntisti sprovvisti di bancomat o carta di credito, sempre per un massimo di 120 euro a settimana. Intanto, sono diversi gli attori internazionali, non europei, che guardano con interesse geopolitico alla situazione greca. Elvira Ragosta ha raccolto il commento di Alessandro Politi, ricercatore senior del Cemiss: 

R.  – La Russia ha interessi essenziali in cui la Grecia è un supporto perché sa benissimo che la Grecia già dai tempi della Guerra Fredda non è mai passata di campo e ha scarse possibilità di farlo. Però, tutto fa brodo per mantenere una certa iniziativa che si è presa a caro costo in Crimea.

D.  – Come si può leggere la posizione della Turchia anche in riferimento al gasdotto “Turkish stream”?

R. – E’ una posizione che ancora una volta sconta interessi superiori: cioè Erdogan non ha ottenuto la maggioranza qualificata che gli serviva per trasformare la sua presidenza, è in un processo delicatissimo di negoziati con i curdi all’interno della Turchia per chiudere una lunghissima guerra civile e naturalmente ha le dita nella presa di corrente mediorientale. Quindi, diventare un “hub” gasiero è senz’altro una cosa che alla Turchia interessa molto e quindi la Grecia è in subordine, perché il primo accordo è quello ovviamente con i russi. Anche questo tipo di accordo però è sottomesso al problema del calo dei prezzi energetici. Quindi, è un po’ difficile immaginare un nuovo gasdotto, che naturalmente è strategico perché aggira la forca caudina ucraina. Però, non è che i russi abbiano tutti questi soldi da buttare nel nuovo gasdotto.

D. – Quanto è forte poi l’influenza cinese in Grecia?

R. – Il Mediterraneo oggi è profondamene cinese e ancora molti non se ne accorgono perché semplicemente è il terminale della nuova via della seta e perché questo è senz’altro uno dei mercati interessanti per la Cina. Troppi governi italiani hanno trascurato il collegamento diretto ferroviario tra Gioia Tauro e il Nord Europa ed è una cosa assolutamente criminale e per pochi soldi i cinesi si sono presi il controllo di due terminal del Pireo che stanno facendo funzionare a ritmo serrato. Questo è uno degli interessi geopolitici più seri e meno visibili e continuerà se la Cina riesce a garantire una crescita sostenibile al suo sistema economico, cosa che non è scontata.

D . – Ci sono altri Paesi interessati alla geopolitica greca?

R. – Senz’altro gli americani. La posizione di Obama di simpatia e appoggio per la Grecia è una di quelle posizioni che permettono di mantenere un piede in un posto importante, perché l’accoppiata Grecia e Turchia significa il controllo delle vie di accesso al Mar Nero, e al tempo stesso mantenere divisi gli europei che peraltro da soli ci riescono benissimo a essere divisi.

R.  – Che vantaggi può trarre la Grecia dagli interessi di questi attori non europei?

R. – Finora, il vantaggio netto per la Grecia rispetto a questi Paesi è che è un mezzo di pressione sui maggiori Paesi europei. Vedremo adesso qual è il voto del referendum, ma se i maggiori Paesi europei insistono nella loro miopia costringeranno la Grecia a uscire dall’orbita europea con pesantissime conseguenze geopolitiche e geoeconomiche.

D.– E’ fantapolitica pensare ad una Grecia fuori dall’Europa e più vicina all’Asia?

R. – Non nei grandi patti strategici, ma in una serie di realtà molto più quotidiane e direi terra terra, sì. E’ del resto quello che fanno Paesi saldamente inseriti nell’Europa come la Bulgaria, che però si propongono come “hub” regionali. E quando si parla di “hub” regionale non è soltanto la penisola balcanica, ma è per esempio la Turchia e la Russia, seppure con le dovute accortezze.

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Egitto: l'Is rivendica gli attacchi ai check-point nel Sinai

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Il sedicente Stato Islamico ha rivendicato l’attacco contro alcuni check-point militari nel Sinai egiziano. Negli scontri sarebbero morti più di 30 soldati, mentre il portavoce militare egiziano riferisce di oltre 20 terroristi uccisi. I jihadisti avrebbero inoltre assediato la stazione di polizia di al-Arish, dove il governo sta però mandando rinforzi. Queste azioni terroristiche seguono l'attentato contro il procuratore generale Hisham Barakat, assassinato al Cairo lo scorso 29 giugno. Eugenio Murrali ha chiesto le ragioni di questa escalation di violenza a Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento: 

R. – L’Egitto sta attraversando una fase di ristrutturazione: il fatto è che il colpo di Stato contro Morsi e i Fratelli musulmani del 3 luglio 2013, in realtà, è stato un elemento di destabilizzazione, perché i Fratelli musulmani erano andati al potere regolarmente, attraverso un processo elettorale democratico. La repressione di cui sono stati oggetto evidentemente li ha radicalizzati e ha radicalizzato tutte quelle correnti interne che possono essere contestatrici del regime di al-Sisi. Quindi è evidente che questo elemento di debolezza è alla base, parallelamente, di una debolezza e dell'incapacità di far fronte alle sfide che vengono dall’esterno: siano esse le sfide jihadiste dell’Is, che potenzialmente minacciano tutto il Nord Africa, siano esse le sfide dei gruppi armati, che nel Sinai trovano rifugio e protezione.

D. – Che tattica sta seguendo il sedicente Stato Islamico?

R. – E’ evidentemente una strategia tesa a destabilizzare tutto il Nord Africa, così si giustificano gli attentati contro la Tunisia e gli attentati contro l’Egitto: queste forze terroristiche devono innanzitutto consolidarsi e radicarsi nei territori musulmani.

D. – Il Presidente al-Sisi ha una strategia di difesa?

R. – Dal punto di vista propagandistico, presentandosi come l’erede di Nasser, mira a tre obiettivi: innanzitutto il consolidamento e l’irrobustimento del nazionalismo interno. In secondo luogo, la proiezione internazionalistica di un Egitto particolarmente forte, che vuole ritrovare il suo ruolo nel mondo arabo e in genere in Medio Oriente. Iin terzo luogo, la gestione di una politica laica e quindi una gestione del potere che fa a meno dell’islam e che arriva addirittura al punto di reprimerlo. E’ verosimile che questa strategia di difesa e di rafforzamento del suo regime, che al-Sisi persegue, possa essere in realtà fallimentare.

D. – Che ruolo stanno giocando in tutto questo i Fratelli musulmani?

R. – Dal punto di vista ufficiale i Fratelli musulmani, oggi come oggi, in Egitto non ci sono più. Quindi è evidente che i Fratelli musulmani, che si sentono ancora tali, o si mimetizzano o vanno all’estero o vanno in occultamento e potenzialmente possono essere delle mine vaganti che scelgono la lotta armata. Io non so se dietro a questi attentati ci sia la mano di gruppi dei Fratelli musulmani che sono entrati in clandestinità … L’ipotesi è possibile: non dico probabile, ma possibile. Però, a quanto mi risulta, al momento attuale i Fratelli musulmani sono piuttosto allo sbando in Egitto.

D. – Qual è la percezione della popolazione?

R. – La maggior parte della popolazione egiziana è assolutamente passiva, nel senso che c’è stato un allontanamento dal processo rivoluzionario. Purtroppo la rivoluzione è sempre un processo violento e la popolazione, a un certo punto, ha deciso di scaricare – se posso dire così – la rivoluzione, accettando quindi il ritorno dei militari.

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Atteso annuncio della riapertura delle ambasciate tra Usa e Cuba

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È uno degli annunci più attesi da quando Stati Uniti e Cuba hanno ripreso a dialogare: Washington e L’Avana si apprestano a riaprire le reciproche ambasciate. Nelle prossime ore, le dichiarazioni del Presidente statunitense Barack Obama e del Segretario di Stato Usa, John Kerry. In contemporanea potrebbero parlare anche i vertici cubani. Nel dicembre scorso, sia Obama, sia il Presidente cubano Raul Castro avevano annunciato la svolta storica, con la mediazione del Vaticano, nelle relazioni tra i due Paesi dopo oltre 50 anni, salutata con “vivo compiacimento” da Papa Francesco: il Pontefice nei mesi precedenti aveva scritto ai due leader “per invitarli a risolvere questioni umanitarie d’interesse comune, tra le quali la situazione di alcuni detenuti, al fine di avviare una nuova fase nei rapporti” bilaterali. Ora la decisione di riaprire le rappresentanze diplomatiche appare un passo cruciale, come spiega Gianluca Pastore, docente di Storia delle relazioni politiche tra il Nord America e l’Europa, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), intervistato da Giada Aquilino

R. – Da un punto di vista formale lo è sicuramente: la riapertura dell’ambasciata significa legalmente la ripresa delle relazioni diplomatiche fra due Paesi e la fine del periodo di tensione che aveva impedito il mantenimento di queste relazioni diplomatiche.

D. – A fine maggio l’annuncio del Dipartimento di Stato americano della cancellazione di Cuba dalla ‘lista nera’ degli Stati considerati sponsor del terrorismo. Ciò è accaduto dopo ben 33 anni. E’ stato un segnale forte?

R. – Dopo oltre 30 anni, nella riapertura e nella ripresa delle relazioni economiche ha sicuramente una valenza. D’altro canto credo che entrambe le parti ormai fossero abbastanza stanche - seppur per ragioni diverse - per il perdurare di una situazione che era negativa sicuramente per Cuba, ma per molti aspetti anche per Washington.

D. – Uno spiraglio fu aperto a dicembre 2013 dalla storica stretta di mano tra Obama e Raul Castro alle commemorazioni in Sudafrica per la morte di Mandela. A lavorare per un dialogo tra i due Paesi è stata poi anche la Chiesa cattolica: che tipo di mediazione ha portato avanti?

R. – La Chiesa cattolica è un soggetto che tradizionalmente ha svolto un ruolo importante in queste mediazioni apparentemente ‘impossibili’. Non dimentichiamo che in un caso e nell’altro – sia nel caso degli Stati Uniti, sia nel caso di Cuba – quella cattolica è una componente importante della popolazione.

D. – La visita di due Papi sull’isola caraibica, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ha migliorato le relazioni con il potere cubano. Francesco andrà a breve ed ha scritto anche ad Obama e Raul Castro per chiedere di superare i disaccordi. Un punto importante, per esempio, è la questione dei prigionieri…

R. – Chiaramente lo stato è di prigionieri politici e di dissidenti, in ultima analisi. La decisione comunque di intavolare un dialogo sulla questione dei prigioni politici è un segnale di distensione molto evidente, ma soprattutto un segnale della volontà del governo cubano di ripensare l’approccio ideologico che ha avuto dagli inizi degli anni Sessanta.

D. – Cosa è cambiato nel tempo?

R. – La rivoluzione cubana nasce come una rivoluzione populista, come una rivoluzione di ispirazione marxista, ma sicuramente non come una rivoluzione legata all’adesione ai principi, ai valori e all’ideologia sovietica. Nel corso degli anni - nel corso degli anni Sessanta e Settanta - questa dimensione ideologica si è invece rafforzata in maniera molto forte. Tale rafforzamento ideologico ha portato, dal punto di vista delle relazioni internazionali, ad un irrigidimento dei rapporti con gli Stati Uniti e, dal punto di vista degli equilibri interni, ad un rafforzamento della macchina repressiva del governo. Poi, a partire dalla fine degli anni Ottanta, dalla crisi dell’Unione Sovietica e poi successivamente dalla sua dissoluzione, Cuba si è trovata sempre più isolata e sempre più priva di punti di riferimento a livello internazionale.

D. – La sfida più grande rimane quella della fine dell’embargo verso Cuba: quanto manca?

R. – In questo momento gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo, in qualche misura, di ‘sospensione’. Non dimentichiamo che il 2016 per gli Stati Uniti sarà l’anno elettorale: sarà l’anno in cui il Paese sceglierà il nuovo Presidente. E’ molto probabile che Obama voglia sfruttare questi ultimi mesi che gli rimangono alla Casa Bianca per poter lasciare un segno storico, un ricordo della sua presidenza che sia nella storia. D’altro canto, però, non dimentichiamo neanche che le resistenze alla rimozione dell’embargo sono molto consistenti. Io credo che la questione di Cuba entrerà in maniera evidente nella competizione fra i diversi candidati alla presidenza: molto probabilmente potremo vedere la classica contrapposizione fra un candidato democratico o una serie di candidati democratici che premeranno per portare avanti - con maggior o minore convinzione - la linea avviata ed aperta da Obama e uno o più candidati repubblicani che, al contrario, cercheranno di rilanciare la questione della pericolosità di Cuba e della necessità di perseguire una politica di “regime change” - di cambiamento di regime – attraverso il mantenimento dell’embargo.

D. – Anche perché dovrà esserci l’approvazione del Congresso americano…

R. – Assolutamente. Non dimentichiamo che tutti gli atti internazionali degli Stati Uniti devono essere ratificati dal Congresso.

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Terrorismo. 10 arresti tra Italia e Albania: pronti a partire in Siria

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Terrorismo, dieci arresti in Italia tra Milano, Grosseto e Bergamo: sono 4 italiani, un canadese e 5 albanesi, accusati a vario titolo di associazione e organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo. In un'operazione distinta, a Roma, i carabinieri del Ros hanno arrestato due maghrebini con l'accusa di terrorismo internazionale. Un terzo indagato è già in carcere in Marocco per reati di terrorismo. Sul fenomeno dei combattenti stranieri Alessandro Filippelli ha intervistato Arduino Paniccia, direttore della Scuola di competizione economica internazionale di Venezia: 

R. -  Il fenomeno dei Foreign Fighters continuerà nei prossimi anni, soprattutto perché scarsa è la capacità e la voglia da parte dell’Occidente, e da parte delle sue organizzazioni di difesa come la Nato, di combattere veramente l’Is. Inoltre, considerata la massa ormai in Europa di immigrati di terza o seconda generazione, è inevitabile che anche una piccolissima quota di questi sia attratta dalla propaganda dell’Is e dall’idea del Califfato. Di conseguenza, penso che gli arruolamenti continueranno; l’antidoto è l’intelligence, e anche il coordinamento a livello dei Paesi europei – soprattutto di quelli più esposti – che, mi pare, sia ancora abbastanza scarso.

D. – Il fenomeno dei combattenti stranieri coinvolge anche l'Italia: è possibile contrastarlo? E come?

R. – L'Italia è uno dei meno coinvolti. Io partirei dall’epicentro, da cui arrivano questi mercenari, che è sicuramente il Nord Africa - credo che il vero centro direzionale delle operazioni nel Mediterraneo sia oggi la Libia. L’Europa non sembra fino a questo momento aver raccolto queste informazioni; questa notizia fa malissimo, ma in realtà il numero dei combattenti che proviene da quell’area, e dalle aree contigue, è in questo momento il numero più alto.

D. – Quali misure è possibile adottare per fare prevenzione di fronte alla minaccia terroristica?

R. – Un tempo avremmo risposto che si poteva far fronte alla minaccia molto di più con la forza e con le operazioni militari. Le operazioni militari, invece, sono una delle possibilità e non certamente la prima. Intanto, dobbiamo vedere anche gli aspetti psicologici di quella che un tempo veniva chiamata la propaganda di tutta l’attività in rete. A mio parere la comunicazione strategica è un elemento assolutamente trascurato oggi, pur essendo invece essenziale. Naturalmente è un elemento difficile, ma noi - tutti i media e l’opinione - stiamo supportando, quasi come fossero una novità, degli eroi, questi personaggi del sedicente Stato Islamico, e non combattiamo invece nessuna battaglia a livello di comunicazione strategica per cercare intanto di intervenire. La stiamo combattendo poco anche in rete, e invece si deve fare molto di più. Quindi c’è molto su cui intervenire.

D. – Come si può interpretare il fatto che i miliziani dell’Is siano rientrati a Talabiad, la cittadina al confine tra Siria e Turchia, di alto valore strategico, che avevano perso tre settimane fa?

R. -  Io imputo molti di questi avanzamenti all’intervento o meno delle potenze confinanti - facenti parte quasi tutte del mondo musulmano - che stanno sostenendo a corrente alternata l’Is a seconda anche delle loro vicende interne. Questo mi pare chiarissimo.

D. – C’è una notizia presente su internet: un video con un’esplicita minaccia dell’Is ad Hamas. Perché, secondo lei, lo Stato Islamico accusa Hamas di non essere aderenti alla Legge Islamica?

R. – Nella lista è entrato naturalmente anche Hamas, per il semplice motivo che ha sempre tenuto un atteggiamento obliquo, soprattutto dal punto di vista dei finanziamenti: pur essendoci moltissimi sunniti, i suoi esponenti hanno dei legami alternati con gli sciiti iraniani, con le forniture di armi e con i finanziamenti. E quindi sono diventati anch’essi per il momento dei “nemici”. E questo succede – ripeto – a moltissime aree, tribù ed etnie, che in questo momento, non così sotto la luce del riflettore, si stanno organizzando, compresi anche i loro mercenari - i loro Foreign Fighters - contro lo Stato Islamico.

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137 mila i rifugiati arrivati in Europa dall'inizio del 2015

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Una cifra record di 137 mila migranti ha attraversato il Mediterraneo verso l'Europa, durante i primi sei mesi del 2015. Tra loro, la maggioranza era in fuga da guerre, conflitti o persecuzioni. I dati sono stati diffusi oggi a Ginevra sono dell'Acnur, Alto commissariato Onu per i rifugiati. Siria, Afghanistan e Eritrea i principali Paesi di provenienza. Il servizio di Adriana Masotti

Sono per lo più rifugiati da proteggere gli uomini e le donne che attraverso il Mediterraneo arrivano in Europa. Il loro flusso è di “proporzioni storiche”, secondo l’Acnur. L’incremento degli arrivi da gennaio a giugno dell’anno in corso è del l'83% rispetto allo stesso periodo del 2014: 137 mila a fronte di 75 mila. Un terzo dei migranti arrivati via mare in Italia o in Grecia provenivano dalla Siria. Il secondo Paese di provenienza è l'Afghanistan, seguito dall'Eritrea, e in tutti questi casi, osserva l’Acnur, si tratta di persone aventi diritto allo status di rifugiato o ad altre forme di protezione. Un dato che obbliga a cambiare sguardo e politiche d’accoglienza. Mons. Giancarlo Perego, direttore di Migrantes:

 

“Effettivamente, i dati dell’Acnur confermano che una persona su tre ha attraversato il Mediterraneo in fuga da guerre, conflitti dimenticati, persecuzioni e disastri ambientali e quindi confermano la necessità di rafforzare le forme di protezione internazionale e di evitare, come tante volte si fa nel linguaggio politico, di utilizzare il termine 'clandestino', il termine 'respingimento', il termine 'rimpatrio' per queste persone. Quindil, mi pare che venga da questi dati un segnale molto chiaro sul rafforzamento di strutture e strumenti di accoglienza e di tutela di queste persone. I dati sull’Italia ricordano soprattutto le quattromila e più persone che sono arrivate dalla Nigeria e ci dicono come occorra preoccuparsi anche di chi è in fuga da una persecuzione politica, religiosa, e da tutte quelle situazioni drammatiche di cui stiamo tante volte parlando”.

Secondo il rapporto dell’Acnur, la rotta del Mediterraneo orientale, che va dalla Turchia verso la Grecia, ha ormai superato come numero di arrivi, quella del Mediterraneo centrale, cioè dal nord Africa verso l'Italia. Riguardo al numero dei morti in mare, il livello record è stato raggiunto ad aprile. Il successivo calo, ha osservato l'Alto commissario Onu per i rifugiati, Antonio Guterres, è "incoraggiante, segno che con la giusta politica, sostenuta da una risposta operativa efficace, è possibile salvare più vite in mare". Ancora mons. Perego:  

“Certamente, nei primi mesi del 2015, con l’abbandono di 'Mare nostrum', i morti sono aumentati. Soltanto in questo ultimo mese, con il ritorno a un’operazione più allargata di tutte le forze europee sul Mediterraneo e con un’attenzione non solo a presidiare i confini, ma con la centralità dell’attenzione a salvaguardare la vita delle persone, in mare si è arrivati a diminuire il numero delle morti. Quindi, occorre aumentare e rafforzare questo impegno comune nel salvataggio delle vittime in mare da parte di tutti i Paesi europei".

Che tra i migranti che arrivano via mare si confondano anche terroristi è un possibilità che alcuni ritengono molto reale e che richiederebbe maggiore rigore nell’accoglienza, come, ad esempio, nel chiudere gli accordi di Schengen. Una richiesta che trova d’accordo mons. Perego?  

“Assolutamente no. Proprio la necessità di una tutela della sicurezza del nostro Paese chiede un’attenzione a tenere fortemente l’accordo di Shengen proprio per evitare che le persone che stanno arrivando in Grecia e in Italia si concentrino e vengano fermate soprattutto in questi Paesi e soprattutto non vengano tutelate. E quindi a maggior ragione, Shengen aiuta ad arrivare a una consapevolezza europea della necessità della protezione internazionale, evitando che la necessaria identificazione non diventi un procedimento sommario per respingere le persone che invece hanno diritto a questa protezione internazionale”.

Insieme con gli altri direttori di Migrantes Europa e ai vescovi delegati delle Conferenze episcopali europee (CCEE) mons. Perego è a Vilnius, in Lituania, per partecipare ad un incontro sul tema delle migrazioni e della tratta degli esseri umani che si concluderà domani. Ci racconta che cosa è emerso finora:

"E’ stato molto evidente come la parola 'accoglienza' è stata la parola importante per tutti: è stata la parola chiave con cui leggere la situazione di oggi nell’Europa per quanto riguarda il discorso dei rifugiati. Il secondo tema che abbiamo trattato proprio oggi è stato quello della tratta degli esseri umani, portando anche qui a un’attenzione comune su questo dramma che interessa profondamente almeno 900 mila persone nel contesto europeo e che vede oggi, ancora una volta, l’Europa non essere attenta al punto tale da segnalare solo nel numero di 35 mila persone, nei propri rapporti, le vittime di tratta".

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Milano. Card. Scola riflette sulla "Laudato si'" all'Expo

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Cambiare stili di vita per concretizzare un’ecologia integrale dell’uomo. E’ la meta delineata nell’Enciclica di Francesco e su cui hanno concordato le molte voci che hanno animato il dibattito sulla “Laudato si’”, svoltosi all’interno di Expo. Il servizio da Milano di Fabio Brenna

“Un documento per superare la frammentazione del presente, l’ha definita l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ma soprattutto una proposta universale capace di parlare a tutti, credenti e non credenti”:

“Potrebbe essere questa una grande occasione di riscoprire il nesso profondo che esiste tra lo stile quotidiano di vita, personale e comunitario, e il senso della creazione e perciò in ultima analisi, la mano potente e delicata e tenera di Dio nei nostri confronti, che ci ha preparato un giardino, una dimora, una casa e affidandolo alla nostra responsabilità ci aiuta a guardare ai tanti aspetti che il Santo Padre mette in evidenza che sono collegati al tema dell’ecologia, che purtroppo invece spesso è presentato come un frammento, come un elemento separato rispetto alla totalità dei problemi che ognuno di noi deve affrontare”.

L’Enciclica prende in considerazione un ambiente non in grande salute, secondo Neil Thorns, direttore della Caritas inglese e consulente del governo per i cambiamenti climatici. Molte letture si sono soffermate proprio su questo aspetto, ma secondo Thorns, il problema del surriscaldamento globale va necessariamente messo in correlazione col tema della povertà.

Molto interesse hanno suscitato i passaggi dell’Enciclica dedicati alla finanza internazionale. A un banchiere, Carlo Fratta Pasini, il compito di riconoscere come l’egocentrismo abbia preteso di sostituirsi a Dio, producendo come effetto collaterale l’impoverimento di interi popoli e lo sfruttamento selvaggio della risorse del pianeta.

Così non resta che una conversione decisa, cambiare stili di vita per assumerne di più responsabili e sostenibili. Il rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli:

“La questione è un’altra: se accetto l’idea che il pianeta, la natura, è creazione, quindi che è dono, perché è stato creato così come l’essere umano è creatura, allora il senso dell’agire di quest’ultimo è diverso, è il senso del destinatario di un dono che ha un dovere di curarlo e di conservarlo, di migliorarlo e di trasmetterlo ai posteri”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: a Erbil sta nascendo la "Lega dei Caldei"

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Inizia oggi a Erbil, e si protrae fino al 3 luglio, la Conferenza internazionale di fondazione della “Lega dei Caldei”, organismo fortemente voluto dal patriarca caldeo Louis Sako come strumento votato ad affrontare le problematiche politiche e sociali che coinvolgono le comunità caldee in tutto il mondo. Alla Conferenza fondativa, oltre al patriarca, partecipano rappresentanti delle comunità caldee provenienti da tutto il mondo, insieme ai vescovi caldei dell'Iraq e ad altri vescovi caldei venuti dall'estero, come il gesuita siriano Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo. All'ordine del giorno, l'approvazione definitiva dei regolamenti dell'associazione e la creazione degli organismi interni. Al termine della Conferenza verrà diffusa una dichiarazione finale per riassumere finalità e campi d'azione della nuova organizzazione.

Un'associazione per rappresentare le istanze dei caldei nella società civile 
L'intento dell'associazione è soprattutto quello di coinvolgere professionisti, intellettuali ed esperti competenti nelle varie discipline per rappresentare in maniera coordinata e organica le istanze della comunità caldea nella società civile, a livello locale e internazionale. In un momento delicato come quello presente, in cui la stessa unità nazionale irachena è messa in discussione da spinte centrifughe di ogni genere, l'associazione si propone di consolidare i fondamenti della coesistenza e nel contempo difendere i diritti dei caldei, ponendosi anche come “strumento di pressione” sui processi decisionali che condizionano la convivenza civile. 

Una Lega indipendente  rispetto a sigle e partiti politici
​La nuova organizzazione potrà partecipare con propri rappresentanti ai forum internazionali e dovrà mantenere un profilo indipendente rispetto a sigle e partiti politici. Le risorse finanziarie dovranno provenire soltanto da donazioni private e dalla raccolta delle quote d'iscrizione. Nel febbraio 2014 era stato lo stesso patriarca caldeo Louis Sako a lanciare il progetto di un'associazione concepita come strumento per favorire il contributo dei caldei alla società civile e aiutare l'Iraq a vincere le derive del settarismo confessionale e etnico. (G.V.)

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Terra Santa: nuove minacce jihadiste ai cristiani di Gerusalemme

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Un nuovo volantino firmato dal sedicente “Emirato di Gerusalemme” contenente minacce ai cristiani della Città Santa è stato fatto trovare nel quartiere gerosolimitano di Beit Hanina. Il testo del foglio rinvenuto lunedì scorso, ripete le intimidazioni già contenute in un analogo volantino diffuso la scorsa settimana, che preannunciava la cacciata di tutti i cristiani dalla Città Santa entro la fine del Ramadan.

Per i leader palestinesi un'operazione sospetta
Davanti alle minacce anti-cristiane contenute nei volantini, le autorità palestinesi hanno reagito con dichiarazioni caute e non prive di allusioni. In un'intervista all'emittente televisiva al Arabiya, il Presidente del'Autorità Palestinese, Mahmud Abbas, ha sottolineato che i volantini sono stati rinvenuti “in aree controllate da Israele” e ha fatto riferimento alle notizie circolate sui miliziani feriti nel conflitto siriano e curati nelle strutture sanitarie israeliane: “Quando sappiamo - ha detto Abbas - che membri di questo gruppo (la fazione islamista al-Nusra, ndr) vengono curati in Israele, come va interpretata questa situazione?”. Anche il governo dell'Autorità palestinese, in una dichiarazione ufficiale, ha definito “dubbio” il contenuto del volantino “che tenta di danneggiare l'unità del popolo e di fomentare il conflitto nella Città Santa”. (G.V.)

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India: scuole cattoliche in sciopero contro stupro della suora

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Tutte le istituzioni educative cristiane dello Stato di Chhattishìgarh “sono rimaste chiuse oggi in segno di protesta simbolica contro lo stupro della suora, per sensibilizzare sulla sicurezza delle donne nel Paese”. Con queste parole - riferisce l'agenzia Asianews - mons. Victor Henry Thankur, arcivescovo di Raipur, ha indetto oggi uno sciopero simbolico, in riferimento alle violenze subite da una suora cattolica nella notte tra il 19 e il 20 giugno scorsi, quando due uomini l’hanno drogata e legata, per poi abusare di lei.

La solidarietà delle Chiese e della società civile
Alla dimostrazione partecipano circa 30 istituti educativi gestiti dalla Church of North India (Cni) e molte altre istituzioni private dello Stato del Chhattisgarh. “La nostra – spiega il presule – è una chiusura simbolica e di protesta, per esprimere il nostro dolore e la nostra afflizione per quello che è successo, che non è un problema di importanza minore”. “Questo è un problema – spiega l’arcivescovo – che colpisce la società civile, e noi siamo incoraggiati dal sostegno e dalla solidarietà che la Chiesa cattolica sta ricevendo da parte di tutte le Chiese cristiane e anche dalla società civile”.

La gente non è soddisfatta dalla lentezza delle indagini
Secondo mons. Thankur, “la società civile è sconvolta e indignata per la violenza subita dalla suora e anche se le autorità stanno cercando di catturare i colpevoli, la gente non è soddisfatta dalla lentezza delle indagini e desidera che sia fatta giustizia in tempi brevi”. “Circa 30 diverse organizzazioni della società civile e vari gruppi per i diritti delle donne – afferma il presule – stanno lavorando insieme perché, come dicono loro, non si tratta di un problema solo della Chiesa, ma che riguarda le donne e l’umanità intera. Questi gruppi sono infaticabili nel fare pressioni al governo per avere indagini serie e affinché i colpevoli siano presi”.

La suora continuerà nel servizio disinteressato per la dignità delle donne
“Ho incontrato la suora – racconta mons. Thankur – e ho visto che la sua fede è incrollabile. Anche se ha subito un trauma la sua dedizione e il suo impegno nella missione è risoluto. È piena di coraggio. La sorella è impaziente che i colpevoli vengano portati di fronte alla giustizia, perché sia dato un forte segnale ai responsabili di questi efferati crimini contro le donne, e continuerà nel servizio disinteressato per la dignità e l’uguaglianza delle donne e delle ragazze”. (N.C.)

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Burundi: alcuni sacerdoti costretti alla fuga per le minacce

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“Oggi si festeggia l’indipendenza nazionale. Le celebrazione nel centro della capitale, Bujumbura, si svolgono senza problemi, ma i quartieri periferici sono bloccati per la presenza di manifestanti dell’opposizione” dicono all’agenzia Fides fonti locali dalla capitale del Burundi, dove il 29 giugno scorso, si sono tenute le elezioni comunali e legislative. Le elezioni sono state contestate dall’opposizione e dalla comunità internazionale, a causa del clima di forte tensione provocato dall’annuncio del Presidente Pierre Nkurunziza di presentarsi alle presidenziali del 15 luglio, per ottenere un terzo mandato in violazione della Costituzione. Negli scontri delle scorse settimane, almeno 70 persone sono rimaste uccise.

La gente ha avuto il coraggio di esprimere il proprio dissenso
“Dai risultati parziali appena pubblicati appare che i partiti dell’opposizione, che pure avevano boicottato le elezioni, hanno ricevuto diversi voti. Questo perché le milizie armate della maggioranza presidenziale hanno esercitato forti pressioni sulla popolazione perché si recasse alle urne e la gente ha avuto il coraggio di esprimere il proprio dissenso votando per l’opposizione. I partiti alleati al partito del Presidente hanno avuto ben pochi voti” dicono le fonti di Fides che per ragioni di sicurezza chiedono l’anonimato. “Siamo in attesa dei risultati definitivi. In ogni caso i partiti dell’opposizione, la società civile e la comunità internazionale (Onu, Unione Africana, Stati Uniti, Unione Europea) affermano che queste sono elezioni irregolari per il contesto nelle quali si sono tenute: violenze, intimidazioni, chiusura dei media indipendenti, mancanza di osservatori elettorali indipendenti” continuano le fonti Fides.

In fuga anche alcuni preti minacciati di morte
​“Stiamo vivendo una situazione molto dura, anche se al momento sembra esserci una tregua. Ma la gente continua a scappare all’estero, nei Paesi vicini (Rwanda, Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Tanzania) e, chi ha disponibilità economiche, in Kenya o in Europa. Secondo le nostre stime sono circa 200.000 i burundesi rifugiatisi all’estero. La novità è che sono stati costretti alla fuga anche 4 o 5 preti perché sono stati minacciati” concludono le fonti di Fides. (L.M.)

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Pakistan: 1.000 morti per il caldo torrido, sopratutto poveri

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In seguito all’ondata di caldo torrido che sta colpendo Karachi, la città più grande del Pakistan dove vivono 23 milioni di abitanti, sono morte 950 persone in soli 5 giorni. Gli obitori non sono sufficienti ad accogliere tutti i cadaveri che continuano ad arrivare e gli ospedali sono saturi. Il fenomeno - riferisce l'agenzia Fides - è il peggiore registrato negli ultimi 50 anni. Sebbene il caldo riguardi tutta la provincia australe del Sindh, dove sono morte 1.100 persone, la capitale rimane la più colpita, e la maggior parte dei decessi sono registrati tra i poveri, doppiamente danneggiati per la mancanza di accesso all’elettricità e perché vivono ammassati in locali poco riparati dal sole e dal calore.

50% dei morti sono mendicanti, tossicodipendenti e ambulanti
Secondo la principale organizzazione umanitaria del Paese, la Fondazione Edhi, il 50% dei morti sono stati raccolti per la strada ed è altamente probabile che si tratti di mendicanti, tossicodipendenti e piccoli lavoratori. Gli ospedali sono sotto pressione per dover accogliere circa 40 mila persone di tutta la provincia colpite da insolazione e disidratazione. Secondo le autorità sanitarie del principale ospedale civile di Karachi, il centro si sta occupando esclusivamente dei casi di emergenza. Le ong sostengono che ci siano decine di migliaia di persone che vivono e lavorano in strada tra mendicanti, venditori ambulanti e lavoratori manuali. Oltre il 62% della popolazione di Karachi vive in insediamenti informali con una densità di quasi 6 mila persone per chilometro quadrato.

Molti sono privi dei servizi basilari come acqua e elettricità
​Una modalità molto diffusa per accedere alla rete dell’energia elettrica è tramite sistemi illegali. Tuttavia anche il 46% delle famiglie del Paese che sono collegate alla rete elettrica non hanno la garanzia di avere energia senza interruzioni. Le famiglie più ricche possono ricorrere ai generatori, ma i circa 91 milioni di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno non hanno alcuna opzione. (A.P.)

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Vescovi calabresi: forte preoccupazione per i mali della Regione

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I vescovi calabresi esprimono “una forte preoccupazione” per le condizioni in cui versano non poche realtà politico-istituzionali regionali, soprattutto a causa del “perpetrarsi di scandali che minano la fiducia della gente e in particolare - ferita questa assai profonda! - dei giovani, alimentando in essi un comprensibile distacco dalla politica stessa, spesso vissuta come scelta etica”. È quanto scrivono i vescovi calabresi in una nota diffusa oggi e ripresa dall'agenzia Sir, dopo l’incontro di ieri a Laurignano, in provincia di Cosenza. 

Vescovi auspicano seria inversione di rotta dei politici per la gestione della cosa pubblica
Lo scorso 26 giugno l’inchiesta su “rimborsopoli”, avviata nel 2013 dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha coinvolto diversi ex consiglieri regionali della passata legislatura e indagati con l’accusa di peculato e falso. I vescovi, “in attesa fiduciosa dell’operato della magistratura”, esprimono “solidarietà” nei confronti del popolo calabrese e “incoraggiano” quelle esperienze positive che “non mancano in alcuni contesti politici” auspicando “una seria inversione di rotta di alcuni politici e amministratori della cosa pubblica che non operano per il bene comune”.

I presuli calabresi condannano tutti gli atti di corruzione e di malaffare
“Facendo eco agli appelli accorati di Papa Francesco” i vescovi nella nota “condannano con forza tutti gli atti di corruzione e di malaffare che non fanno crescere la nobile terra di Calabria” e “insieme” al popolo calabrese, “attendono che il Governo regionale, dopo mesi difficili per la composizione della stessa Giunta, prende ad operare con incisiva operosità in una Regione in cui è necessario ricostruire, prima di ogni altra cosa, la fiducia dei cittadini nelle istituzioni”. 

Nuovo documento per evitare subdole infiltrazioni della mafia nella vita religiosa
Nell’incontro di ieri, presieduto da mons. Salvatore Nunnari, i vescovi hanno approvato il documento “Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare. Orientamenti pastorali per le Chiese di Calabria”. Il documento - spiega la Cec - è in “piena sintonia” con la Nota pastorale “Testimoniare la Verità del Vangelo”, dello scorso mese di gennaio, e “rende operative le linee pastorali in essa contenute, con particolare attenzione alla presenza di fenomeni mafiosi nei momenti di vita religiosa, nella ferma determinazione di scongiurare ed evitare pericolose quanto subdole infiltrazioni”. I vescovi, inoltre, esprimono “solidarietà e vicinanza” ai dipendenti della Provincia di Vibo Valentia e a tutti quei lavoratori pubblici e privati che “da mesi attendono drammaticamente il pagamento degli stipendi”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 182

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.