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Sommario del 02/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Rinnovamento nello Spirito in Piazza San Pietro con il Papa: attesi in 30mila

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“Vie di unità e di pace. Voci in preghiera per i martiri di oggi e per un ecumenismo spirituale” è l’appuntamento di domani pomeriggio, alla presenza di Papa Francesco, in Piazza San Pietro, e che darà il via alla 38.ma convocazione del Rinnovamento dello Spirito Santo. Un evento di spiritualità, di testimonianza, di fratellanza tra confessioni diverse. L’iniziativa è stata presentata nella sede della nostra emittente. C’era per noi Benedetta Capelli: 

“Un cenacolo di preghiera con voci diverse per i martiri di oggi”. Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento dello Spirito Santo, ha presentato così l’iniziativa di domani che si concluderà con l’abbraccio a Papa Francesco. Trentamila persone per che si lasceranno guidare dalla preghiera e dalla musica per raccontare l’ecumenismo del sangue – definizione coniata dallo stesso Francesco – e l’ecumenismo spirituale, strada di unità e pace tra i popoli. Per Salvatore Martinez è un ricambiare la visita del Papa allo Stadio Olimpico lo scorso anno che, proprio al Rinnovamento, aveva consegnato il compito di offrire una testimonianza di ecumenismo spirituale:

“Il Papa sta chiamando a raccolta tutti gli uomini e le donne di pace del mondo, coloro che hanno a cuore la preghiera perché superando anche le tradizioni, le appartenenze, le confessioni religiose abbiano a mostrare che questo nostro mondo sempre più inquietato da violenze, da oppressioni, da ingiustizie, può ancora mostrare questo volto bello fecondo dell’unità e della pace”.

“Di fronte all’umanità ferita e divisa, la preghiera è l’unica cosa di cui abbiamo bisogno”: ha sottolineato nel suo intervento mons. Policarpo Eugenio Aydin, metropolita e vicario patriarcale della diocesi siro-ortodossa dei Paesi Bassi. Un concetto sottolineato anche dallo stesso Salvatore Martinez:

“Quello di domani sera non è un gesto ideale ma è un grande gesto di realismo. Il realismo della fede, il realismo della preghiera. Non chiuderemo gli occhi, li terremo aperti nella realtà, nella speranza che sia davvero trasfigurata da questi nostri buoni propositi di dialogo e di pace”

Sull’ecumenismo del sangue si è soffermato anche l’arcivescovo David Moxon, rappresentante dell’arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede:

R. – When you look at…
Quando ti trovi di fronte all’ecumenismo del sangue? Quando – dice il Papa – un cristiano viene ucciso e la persona che compie l’omicidio non chiede di quale denominazione sia. Quindi il sangue di una persona uccisa è la testimonianza universale di tutti i cristiani. E questo si può allargare a tutte le fedi del mondo. Le due cose di cui abbiamo bisogno sono: ecumenismo spirituale ed ecumenismo del sangue. E io so ed ho visto che la maggior parte delle grandi confessioni del mondo hanno fede nel Papa quando dice queste cose. Lui è la persona che può chiamarci tutti a fare la differenza adesso. 

Gli artisti di punta di questo evento sono Andrea Bocelli e Noa, israeliana, che ha ricordato le tante volte che ha cantato in Piazza San Pietro. La cantante ha detto di apprezzare gli sforzi di Papa Francesco per la pace in Medio Oriente, per i ponti che sta gettando e a lui ha rivolto un affettuoso pensiero:

“Caro Papa Francesco, con le tue parole e azioni dai un significato nuovo all’unica frase che dà un senso alla vita stessa: 'Ama tuo fratello, come te stesso'. Grazie Santo Padre, per la luce che diffondi di cui abbiamo così disperatamente bisogno nell’oscurità che ci circonda. Possano i tuoi sforzi generare frutti, avvicinare tutti noi allo spirito di generosità e soprattutto alla pace”.

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Francesco: politica sia vissuta come forma alta di carità

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Papa Francesco invita a pregare “perché la responsabilità politica sia vissuta a tutti i livelli come forma alta di carità”. Si tratta dell'intenzione universale di preghiera proposta per il mese di luglio. Il servizio di Sergio Centofanti

Già nella Evangelii Gaudium il Papa aveva affermato che “la politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune”. “Prego il Signore – scrive Francesco - che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri”.  Politici che abbiano cura dei più deboli: gli affamati, i disoccupati, i senza tetto, gli immigrati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, i bambini ancora nel grembo delle madri. Tutti gli sfruttati e quanti la società attuale dello scarto ha trasformato in rifiuti, "avanzi", perché oggi, in questa “economia che uccide”, le “persone – ha detto in una Messa a Santa Marta (1 maggio 2013) - sono meno importanti delle cose che danno profitto a quelli che hanno il potere politico, sociale, economico”.

Il Papa chiede ai politici di cercare non il proprio tornaconto ma la dignità umana. Il pericolo – ha detto ripetutamente – è quello di cadere nella corruzione. Un termine che il Papa amplia ad una dimensione spirituale. Nella Messa per i parlamentari italiani, il 27 marzo 2014, Francesco ha ricordato che il corrotto è chi ha tanto indurito il cuore che non ascolta più la voce di Dio e si è chiuso ai bisogni della gente interessandosi solo alle sue cose e del suo partito. “Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini” che opprimono il popolo con tanti pesi che loro non toccano neanche con un dito. Il peccatore – rileva il Papa – può sempre pentirsi perché Dio “è misericordioso e ci aspetta tutti”, ma il corrotto è irremovibile perché giustifica se stesso ed è difficile che “riesca  a tornare indietro”.

Papa Francesco invita i politici, soprattutto quelli cristiani, ad essere coraggiosi: perché la politica – ha ricordato il 30 aprile scorso incontrando  le Comunità di vita cristiana – è una sorta di “martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere”. “Fare politica è importante” e “si può diventare santo facendo politica”: significa “portare la croce di tanti fallimenti e anche portare la croce di tanti peccati. Perché nel mondo – sottolinea il Papa - è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore; ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi” a “lottare per una società più giusta e solidale”.

“Se il Signore ti chiama a quella vocazione” – è stata la sua esortazione “fai politica. Ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Scarta anche il creato, perché il creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quella parola del beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità”. 

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Parolin: Papa in America Latina, continente della speranza

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Inizia domenica prossima il viaggio di Papa Francesco in America Latina. Tre Paesi – Ecuador, Bolivia e Paraguay – sette trasferimenti aerei, ventidue discorsi, migliaia e migliaia di persone in gioiosa attesa. La visita di Papa Francesco in America Latina, nono viaggio internazionale del pontificato, dal 5 al 13 luglio, avrà come tema unitario la gioia di annunciare il Vangelo e si preannuncia carico di aspettative, come spiega il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, intervistato da Barbara Castelli del Centro Televisivo Vaticano

R. – Credo che per capire l’importanza di questo viaggio, che è il più lungo del Pontificato, forse dobbiamo riferirci alle stesse parole del Papa: quelle parole da lui pronunciate in San Pietro, nella Basilica di San Pietro, il 12 dicembre dello scorso anno, in occasione della solennità di Nostra Signora di Guadalupe. Il Papa riprendeva la famosa espressione del suo predecessore, San Giovanni Paolo II, quando definiva l’America Latina il continente della speranza. E spiegava così, cito le sue stesse parole: “Perché il continente della speranza? Perché da essa si è attendono nuovi modelli di sviluppo che coniughino tradizione cristiana e progresso civile, giustizia ed equità con riconciliazione, sviluppo scientifico e tecnologico con saggezza umana, sofferenza feconda con gioia speranza”. Questa è un po’ la fisionomia dell’America Latina e anche dei tre Paesi che il Santo Padre si appresta a visitare.

D. – Il Documento di Aparecida ha in sé i punti salienti del Magistero di Papa Francesco: il primato della grazia, la misericordia, il coraggio apostolico… Quale ruolo gioca o può giocare questa parte di mondo nella Chiesa e quali impulsi può offrire alla politica mondiale?

R. – Sì, il continente latino-americano è un continente in movimento, dove sono presenti trasformazioni, cambiamenti a livello culturale, a livello economico, a livello politico. Durante questi decenni ha potuto godere di una fase molto positiva, che ha permesso a molte persone di emergere dalla povertà, di emanciparsi dalla miseria e dalla povertà estrema e di incorporarsi progressivamente anche nel ceto medio. D’altra parte, ci sono anche accentuati fenomeni di urbanizzazione - ad esempio, se pensiamo alle megalopoli dell’America Latina - e altri fenomeni legati un po’ alla globalizzazione, che si percepisce in modo evidente anche in questa parte del mondo. Allora, di fronte a questi scenari che portano anche a una progressiva secolarizzazione della società latino-americana, anche se in forme che non sono semplicemente omologabili con la secolarizzazione del mondo occidentale, ecco di fronte a questi nuovi scenari la Chiesa ha scelto la via della conversione pastorale, ha scelto la via della missionarietà, dell’impegno missionario e, in questo senso, può diventare anche paradigmatica per molte altre parti del mondo. E direi che questo è il contributo e lo vediamo anche nel Magistero del Papa: questo Magistero che fonda le sue radici proprio su Aparecida e che viene proposto oggi all’intera Chiesa universale. E da un punto di vista politico, direi che l’America Latina può essere vista come un vero e proprio laboratorio, dove si stanno cercando e si stanno sperimentando nuovi modelli di partecipazione, forme più rappresentative che diano voce anche a delle fasce di popolazione che fino ad ora – forse – non erano state sufficientemente ascoltate. E una via è la ricerca di una via propria alla democrazia, che tenga conto delle peculiarità di questi Paesi e che sappia coniugare la partecipazione di tutti: quindi il pluralismo; quindi le libertà, le libertà fondamentali; e quindi il rispetto dei diritti umani.

D. - In Ecuador, la Chiesa gioca un ruolo fondamentale nella formazione della società civile, soprattutto ponendosi come coscienza critica di fronte ai sempre ricorrenti tentativi di minare l’istituzione della famiglia e la sacralità della vita. Quali sono le difficoltà che incontra oggi la Chiesa ecuadoriana e cosa si aspetta da questo viaggio?

R. - La Chiesa – in generale – continua a esercitare un ruolo profetico di fronte a quelle che il Papa stesso ha definito le ‘colonizzazioni ideologiche’, vale a dire questi tentativi di imporre modelli, che non solo non sono adatti all’ethos e alle tradizioni delle popolazioni, ma molte volte tendono proprio a sovvertirli. E un po’ il fronte della famiglia e della vita; è il fronte principale in cui queste colonizzazioni ideologiche cercano di imporsi. Allora la Chiesa dovrà continuare a predicare il Vangelo, che è appunto una buona notizia anche nei confronti della famiglia e della vita, in questa situazione in cui si trova. Ed è anche il compito della Chiesa in Ecuador. L’anno scorso, nel 2014, i vescovi hanno pubblicato una lettera pastorale in cui hanno cercato di descrivere quale sia il ruolo della Chiesa nella società e hanno cercato di definire anche cosa si intenda per una sana laicità, per una vera laicità. La Chiesa domanda soltanto la possibilità di esercitare la propria missione, che contribuisce al bene della società, che contribuisce al dibattito democratico, che contribuisce alla promozione di ogni persona umana e soprattutto dei gruppi più vulnerabili. 

D. - In Bolivia, Papa Francesco sarà accolto dal presidente Evo Morales, con il quale condivide diverse preoccupazioni: pensiamo – ad esempio – all’attenzione ai poveri, in un contesto mondiale dominato dalla finanza; e alla tutela ambientale. Sarà l’occasione per ribadire le responsabilità della comunità internazionale?

R. - Il Papa lo ha già espresso in molti suoi interventi e soprattutto nell’ultima Enciclica, Laudato si’. Ed allora quali sono questi inviti? L’invito alla salvaguardia del creato, della ‘casa comune’, come la chiama il Papa; l’invito alla giustizia sociale; l’invito a ricercare una pace che sia rispettosa dei diritti di tutti; l’invito a una società che sia più inclusiva dei poveri, alla lotta contro le forme estreme di povertà perché sia riconosciuta la dignità di ogni persona; e poi anche il rispetto di quella che è l’identità culturale di ogni Paese, contro questa tendenza della globalizzazione a uniformare tutto; e di evitare che anche i rapporti sociali siano commercializzati, ma rimangano con la loro caratteristica di ricchezza di ogni partecipante.

D. - Infine, la terza tappa del viaggio, il Paraguay, dove Papa Francesco sarà un pellegrino – un “missionario” hanno detto i vescovi del Paese annunciando la visita – che desidera accompagnare il popolo nel suo triennio dedicato all’evangelizzazione della famiglia. Dunque, la famiglia torna a essere al centro dell’attenzione…

R. – In questo caso ritorna proprio questa centralità della famiglia. Il Papa si inserisce nel cammino delle Chiese locali. Anche qui vuole mettersi al fianco della Chiesa del Paraguay nel suo itinerario catechetico e missionario, che in questo triennio sarà centrato soprattutto sulla famiglia. Una famiglia che rispecchia la famiglia latinoamericana, quindi che ha tanti valori. Per esempio, in Paraguay le famiglie sono ancora solide e numerose, è uno dei paesi più giovani del mondo. E poi vorrei sottolineare anche l’impegno del Paese proprio a livello costituzionale per il rispetto della vita, dal suo inizio alla sua fine, ma che naturalmente presenta anche tante debolezze. Per esempio, le famiglie unigenitoriali, dove la mamma è sola e praticamente porta tutto il peso della famiglia; il tema della disoccupazione o della sottoccupazione, che evidentemente compromette la stabilità e la vita normale delle famiglie; il tema anche della droga, che destabilizza molte famiglie. Ebbene, di fronte a questa situazione, il Papa vuole essere una presenza di vicinanza a tutte le famiglie, soprattutto a quelle che soffrono per uno di questi motivi e di incoraggiamento per andare avanti.

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Tweet: smettiamo di rovinare il giardino che Dio ci ha affidato

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex in nove lingue: “Una grande sfida: smettere di rovinare il giardino che Dio ci ha affidato perché tutti possano goderne”.

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Convegno di Giustizia e Pace: l'intervento del segretario di Stato

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“Nell’Enciclica Laudato si' Papa Francesco esorta allo sviluppo di un’etica autentica. Terra e clima sono un bene comune i cui frutti devono essere per tutti”. Così il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, intervenendo oggi alla conferenza sul tema “Le persone e il pianeta al primo posto: l’imperativo di cambiare rotta”, in corso in questi giorni a Roma e organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace con la rete di ong cattoliche Cisde. Il servizio di Elvira Ragosta

Nella prima giornata di lavori della conferenza su "Le persone e il pianeta al primo posto", il card. Pietro Parolin è intervenuto sull’importanza dell’Enciclica Laudato si' per la Chiesa e per il mondo intero, soprattutto in vista degli prossimi appuntamenti in sede Onu, in particolare la Conferenza sul Clima di Parigi, che si riunirà il prossimo novembre per adottare un nuovo accordo. Al segretario di Stato abbiamo chiesto se l’attenzione e il supporto ecumenico registrati dall’Enciclica potranno fare da slancio emotivo al vertice di Parigi:

"Sì, certamente. Noi cerchiamo, appunto, ambiti nei quali si possa consolidare, rafforzare e ampliare questa collaborazione ecumenica. Crediamo, infatti, che i cristiani insieme possano dare una risposta molto più efficace ai grandi problemi del mondo di oggi, dell’umanità di oggi, che non quando sono divisi o quando agiscono in ordine sparso".

Accanto alla necessità di una nuova etica nelle relazioni internazionali per limitare i danni del surriscaldamento terrestre ed evitare disuguaglianze nell’accesibilità delle risorse, è necessario anche che ciascun cittadino della "casa comune" modifichi i piccoli gesti quotidiani. Ancora il card. Parolin:

"Mi pare che nell’Enciclica il Papa ci dia proprio delle indicazioni molto concrete su che cosa possiamo fare. E questo, forse - al di là di tutta la discussione, che è molto seria – è quello che a me sembra veramente importante: cioè che ognuno di noi può dare il suo contributo specifico. Cominciamo, quindi, a mettere in pratica quello che il Papa ci indica nella Laudato si'".

E sull’importanza di questa conferenza organizzata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha un panel di esperti provenienti dal mondo ecclesiastico, scientifico, politico e del volontariato, il card. Parolin afferma:

"E’ un momento molto importante per far conoscere e diffondere l’Enciclica Laudato si', ed è importante proprio perché è importante l’Enciclica. L’Enciclica è importante perché credo tocchi uno dei temi fondamentali del nostro presente e del nostro futuro. Quindi io sono lieto di essere qui e di dare una piccola mano a questa diffusione".

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Santa Sede: turismo, è nato il "cittadino del mondo"

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Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti ha pubblicato il suo Messaggio in occasione della prossima  Giornata Mondiale del Turismo che sarà celebrata il 27 settembre  sul tema: “Un miliardo di turisti, un miliardo di opportunità”. Si tratta di una soglia raggiunta nel 2012, ma i numeri continuano a crescere, tanto che le previsioni stimano che nel 2030 si raggiungerà il nuovo traguardo di due miliardi. A questi dati si devono aggiungere cifre ancora più elevate legate al turismo locale.

“Siamo in una fase di mutamento, in cui cambia il modo di spostarsi e, di conseguenza – afferma il Messaggio - anche l’esperienza del viaggio. Chi si muove verso Paesi diversi dal proprio, lo fa con il desiderio, più o meno consapevole, di risvegliare la parte più recondita di sé attraverso l’incontro, la condivisione e il confronto. Il turista è sempre più alla ricerca di un contatto diretto con il diverso nella sua straordinarietà. Si è ormai affievolito il concetto classico di ‘turista’ mentre si è rafforzato quello di ‘viaggiatore’, ovvero, colui che non si limita a visitare un luogo, ma, in qualche modo, ne diventa parte integrante. È nato il ‘cittadino del mondo’. Non più vedere ma appartenere, non curiosare ma vivere, non più analizzare ma aderire. Non senza il rispetto di ciò e di chi si incontra”.

“Le imprese del settore – osserva il dicastero - sono le prime a doversi impegnare nella realizzazione del bene comune. La responsabilità delle aziende è grande, anche in ambito turistico, e per riuscire a sfruttare il miliardo di opportunità è necessario che ne siano consapevoli. Obiettivo finale non deve essere il guadagno quanto l’offerta al viaggiatore di strade percorribili per raggiungere quel vissuto di cui è alla ricerca. E questo le imprese lo devono fare nel rispetto di persone e ambiente”.

“Anche le comunità locali – prosegue il Messaggio - sono chiamate ad aprire i propri confini all’accoglienza di chi arriva da altri Paesi spinto dalla sete di conoscenza. Un’occasione unica per l’arricchimento reciproco e la crescita comune. Dare ospitalità permette di far fruttare le potenzialità ambientali, sociali e culturali, di creare nuovi posti di lavoro, sviluppare la propria identità e valorizzare il territorio”.

“Un miliardo di turisti, se ben accolto – si legge nel testo - può trasformarsi in un’importante fonte di benessere e sviluppo sostenibile per l’intero Pianeta. La globalizzazione del turismo porta, inoltre, al nascere di un senso civico individuale e collettivo. Ogni viaggiatore, adottando un criterio più corretto per girare il mondo, diventa parte attiva nella tutela della Terra. Lo sforzo del singolo moltiplicato per un miliardo diventa una grande rivoluzione. Nel viaggio si cela anche un desiderio di autenticità che si concretizza nell’immediatezza dei rapporti, nel lasciarsi coinvolgere dalle comunità visitate. Nasce il bisogno di allontanarsi dal mondo virtuale, tanto capace di creare distanze e conoscenze impersonali, e di riscoprire la genuinità dell’incontro con l’altro. E l’economia della condivisione è in grado di intessere una rete attraverso la quale si incrementano umanità e fratellanza capaci di generare uno scambio equo di beni e servizi”.

Ma “il turismo rappresenta un miliardo di opportunità anche per la missione evangelizzatrice della Chiesa” e dunque “è importante, in primo luogo, che accompagni i cattolici con proposte liturgiche e formative. Deve anche illuminare chi, nell’esperienza del viaggio, apre il suo cuore e si interroga, realizzando così un vero primo annuncio del Vangelo. È indispensabile che la Chiesa esca e si faccia prossima ai viaggiatori per offrire una risposta adeguata e individuale alla loro ricerca interiore; aprendo il cuore all’altro la Chiesa rende possibile un incontro più autentico con Dio. Con questa finalità si dovrebbe approfondire l’accoglienza da parte delle comunità parrocchiali e la formazione religiosa del personale turistico”.

“La Chiesa e le istituzioni – continua il Messaggio - devono, però essere sempre vigilanti per evitare che un miliardo di opportunità diventi un miliardo di rischi, collaborando nella salvaguardia della dignità personale, dei diritti lavorativi, dell’identità culturale, del rispetto per l’ambiente”.

“Il settore turistico – conclude il dicastero - può essere un’opportunità, anzi, un miliardo di opportunità anche per costruire strade di pace. L’incontro, lo scambio e la condivisione favoriscono l’armonia e la concordia. Un miliardo di occasioni per trasformare il viaggio in esperienza esistenziale. Un miliardo di possibilità per diventare gli artefici di un mondo migliore, consapevoli della ricchezza racchiusa nella valigia di ogni viaggiatore. Un miliardo di turisti, un miliardo di opportunità per diventare ‘gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza’ (Laudato si’, n. 53)”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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E' tempo di decisioni: la "Laudato si'" e il magistero sociale.

Il viaggio più lungo: sul Papa in America latina un'intervista del cardinale segretaro di Stato al Ctv.

Voce degli oppressi: l'eroismo di Marianela García Villas in El Salvador.

Come un gioco di specchi: Anna Foa su "Il mendicante di Gerusalemme" di Elie Wiesel.

Vangelo per gli occhi: Marco Valenti illustra gli affreschi dell'iconografo Nikolaos A. Houtos.

L'assoluto nell'istante: Adriano Fabris su cristianesimo e universalità.

Quei treni da Praga: morto a 106 anni lo Schindler britannico che salvò 669 bambini dai lager nazisti.

Un articolo di Edmondo A. Caruana dal titolo "Nati per non morire": dalla santità una luce per l'uomo contemporaneo.

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Oggi in Primo Piano



Grecia: nei primi sondaggi sul referendum sono avanti i "sì"

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Futuro della Grecia ancora in sospeso, a pochi giorni dal referendum che deciderà se accettare o no il piano di salvataggio proposto dai creditori. Il premier Tsipras ha chiesto ai greci di votare “no”, mentre il ministro delle Finanze Varoufakis si è detto pronto a dimettersi qualora non passasse la linea del governo. Il servizio di Michele Raviart: 

“Aspettiamo il risultato del referendum. È ora che i greci decidano il loro futuro”. Il presidente della Commissione Europea Juncker attende insieme al resto d’Europa gli esiti della consultazione di domenica prossima. Secondo i primi sondaggi diffusi sulla stampa, gli elettori greci sono divisi a metà. Il 47% degli intervistati si dice favorevole al piano dei creditori, che prevede un nuovo finanziamento del debito in cambio di riforme. Contrario il 43%, schierato sulle posizioni del governo. “Qualora vincesse il ‘sì’ potremmo dimetterci”, dice il ministro delle Finanze Varoufakis, “ma lo faremmo in spirito di collaborazione con chi dovesse succederci”.  “Una vittoria del “no” non rafforzerà il negoziato”, sostiene invece il presidente dell’Eurogruppo Dijsselblom, e metterà Atene in una posizione difficile verso l’Europa. Mentre l’agenzia Moody’s taglia il rating dei titoli statali a “Caa3”, giudicando possibile il default, i negoziati restano quindi in stallo. Tsipras puntava a riaprire i colloqui già in questi giorni, per trattare su un nuovo piano di salvataggio da 30 miliardi di euro. Secco il no dell’Eurogruppo e della Germania. Si ricomincerà a trattare da lunedì, quando il popolo greco avrà preso la sua decisione.

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Libia: parlamento di Tripoli boicotta i negoziati in Marocco

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Nuovo stop nei negoziati per la crisi in Libia. Oggi in Marocco era atteso un importante round di colloqui tra tutte le fazioni libiche per la nascita di un governo di unità nazionale. Ma con una mossa inattesa il portavoce del Parlamento islamista di Tripoli ha annunciato il boicottaggio dell’incontro. Secondo la stampa libica, nella fazione islamista sta montando una forte opposizione al dialogo. Da parte sua l'inviato speciale dell'Onu, Bernardino Leon, ha dichiarato di avere tenuto una riunione con tutte le delegazioni arrivate a Skhirat. Marco Guerra ha intervistato Gabriele Iacovino responsabile degli analisti del Centro Studi Internazionali: 

R. – Purtroppo – nuovamente – quando si cerca di arrivare a una conclusione del negoziato per trovare una soluzione, anche forzando un po’ la mano delle parti in causa, le divergenze tra tutti i protagonisti, messi con tanta difficoltà allo stesso tavolo da Bernardino León, vengono fuori prepotentemente. Di fatto, questo tentativo negoziale delle Nazioni Unite, che era partito tra i dubbi e le perplessità dell’intera comunità internazionale, ha portato con il tempo ad alcuni risultati, anche perché sono stati coinvolti gli attori tribali e alcuni attori locali libici, come le realtà di Misurata. Ma le divergenze tra il governo di Tobruk, da una parte, e il governo di Tripoli, dall’altra, rendono questo negoziato ancora molto difficile. In più, una situazione è quella che si può trovare in un albergo in Marocco o a Berlino, come alcuni giorni fa; un’altra cosa è la situazione sul campo, che vede ancora il Paese totalmente diviso al proprio interno, slegato sia istituzionalmente sia dal punto di vista della sicurezza.

D. Sembra che le difficoltà di oggi siano dovute soprattutto alle posizioni del governo islamista di Tripoli…

R. – Perché la realtà di Tripoli è la realtà istituzionale non riconosciuta a livello internazionale che forse più deve fare dei passi indietro rispetto al tentativo di negoziato di León, soprattutto in prospettiva futura - quindi della creazione di un nuovo parlamento che veda lo scioglimento dei due attuali, e che cerchi di creare un governo di unità nazionale. Le posizione delle realtà tripoline in questo momento sono ancora lontane, e questi ostacoli rischiano sempre di più di bloccare il processo negoziale, anche perché sappiamo per la storia di questa tipologia di negoziati che più si va avanti con le discussioni, più possono venire al pettine nodi sempre più grandi che quindi saranno sempre più difficili da sciogliere.

D. – Ieri la giornata di guerra nel Sinai con 100 terroristi uccisi; oggi, in Tunisia, 12 arresti legati alla strage nell‘hotel . L’instabilità della Libia sta avendo effetti su tutto il Maghreb?

R. – Sicuramente la situazione libica è un fattore di destabilizzazione per l’intera area. Se possiamo intravedere dei legami molto più stretti tra quello che sta succedendo in Tunisia e, di fatto, il buco nero che si è andato a creare in Libia, per quanto riguarda il Sinai, forse la situazione è meno legata direttamente. La realtà egiziana è una realtà che risente fortemente dell’instabilità successiva alla destituzione del regime di Mubarak, e che ha sempre visto nel Sinai una regione a forte instabilità, che risente delle realtà jihadiste che sono state sempre forti all’interno dell’Egitto.

D. – Lo Stato Islamico quale reale agibilità ha sul territorio libico che, appunto, sfugge al controllo delle varie autorità?

R. – Lo Stato Islamico cerca di inserirsi in questa instabilità, più che altro con il proprio messaggio globale. Il fatto che alcune realtà libiche si siano cominciate a rifare più allo Stato Islamico che ad al Qaeda, se vogliamo è anche una dinamica interna al mondo del jihadismo globale, che adesso vede lo Stato Islamico come più forte rispetto ad al Qaeda e che quindi potrebbe portare a maggiori prospettive di “forza” per delle realtà locali in Libia.

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Al Parlamento europeo la voce dei cristiani perseguitati

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“La persecuzione dei cristiani nel mondo” è il tema della conferenza che si è svolta ieri a Bruxelles presso il Parlamento europeo, organizzata dall’Unità per le attività interculturali ed il dialogo religioso. Un’iniziativa nata per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema. Al microfono di padre Leszek Gesiak, responsabile del Programma Polacco della Radio Vaticana, mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini presente a Bruxelles: 

R. - Io insisto molto su un clima persecutorio che è costituito da tante cose: è fatto di cultura generale dove, per esempio l’altro, è sempre un pericolo, è rifiutato... C’è un grande problema nella cultura arabo-musulmana sull’alterità: dove colloco l’altro? perché viene l’altro? Finché non ci si converte, resta sempre una specie di pericolo, di minaccia… Noi sappiamo che nella storia è stato messo a punto  uno statuto per i non musulmani, siano cristiani o ebrei, e quindi per questo non sono uguali agli altri ma possono stare insieme. Poi c’è anche un altro problema: la violenza che è una cosa molto antica nella cultura. Qualche volta la violenza è servita come strumento economico per sopravvivere e poi è diventata un po’ un elemento culturale… La violenza è una cosa molto pericolosa e sfocia nelle persecuzioni.

D. - Chi opera le persecuzioni nel mondo?

R. Apparentemente ci sono questi gruppi di fanatici come il sedicente Stato islamico ma dietro questo dobbiamo chiederci chi li manipola? Chi li aiuta? Chi li finanzia? Ecco i politici di questo Parlamento dovrebbero saperlo, cercarlo. Il Santo Padre in una sua intervista ha detto che bisogna “arrestare l’aggressore”.Ma chi è l’aggressore? Chi lo aiuta?

R. - Cosa possiamo fare per difendere i cristiani nel mondo?

R. - Io penso che noi cristiani dobbiamo un po’ svegliarci e difendere la verità. Quando uno difende il cristianesimo difende la verità: la verità delle persone, del loro statuto, dei loro diritti… dobbiamo fare qualcosa per combattere la cristianofobia.

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Sanzioni Onu per violenze in Sud Sudan. Attaccato campo sfollati

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Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha deciso di imporre sanzioni a sei generali del Sud Sudan ritenuti responsabili di alimentare disordini e violenze nella guerra civile che dal dicembre 2013 sconvolge il Paese africano, con continui combattimenti tra le truppe governative del Presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice Presidente Riek Machar. Si tratta del primo provvedimento del genere dall’inizio del conflitto che prevede per i militari - tre vicini al capo di Stato e tre fedeli al rivale - restrizioni finanziarie e negli spostamenti. Nelle stesse ore però in Sud Sudan si sono registrate nuove violenze. A Malakal, nello Stato dell’Alto Nilo, una base Onu che ospita decine di migliaia di civili in fuga dalla guerra, è stata attaccata da un gruppo armato che ha aperto il fuoco ed ha ucciso almeno una persona, ferendone un’altra decina. “Tutti gli attacchi contro siti a protezione dei civili costituiscono un’aggressione diretta contro le Nazioni Unite e potenzialmente un crimine di guerra”, ha dichiarato la missione del Palazzo di Vetro nel Paese africano, la Minuss. Per una testimonianza sull’accaduto, ascoltiamo suor Elena Balatti, missionaria comboniana in Sud Sudan, raggiunta telefonicamente da Giada Aquilino

R. – Io mi trovo a Juba e, da quanto ho sentito raccontare direttamente da persone di etnia dinka rifugiate nel campo delle Nazioni Unite, quattro persone armate sono riuscite ad arrampicarsi in un certo punto della rete di protezione, eretta dal personale Onu per proteggere gli sfollati delle principali tribù che sono state costrette a lasciare i propri villaggi a causa della guerra: le tribu dinka, shilluk e nuer. Quindi queste quattro persone armate - si presume facenti parte del movimento di ribellione al governo - hanno aperto il fuoco all’interno del campo: una persona è stata uccisa ed altre sono state ferite all’interno del campo.

D. – Perché è stato attaccato il campo?

R. – Una risposta ragionevole potrà essere data nelle prossime ore. Nei giorni scorsi, non appena le forze ribelli hanno riconquistato il territorio di Malakal - in cui non sono più presenti civili, è una città fantasma - i due comandanti dei ribelli hanno dato istruzioni alle loro forze di non molestare in alcun modo i civili dinka, secondo quanto ho sentito direttamente da persone di varie tribù. Purtroppo in questa guerra civile l’elemento tribale ha avuto un grosso peso e lo ha tutt’ora. È da verificare come mai, a quanto sembra, questi soldati non abbiano rispettato le istruzioni date dai loro comandanti…

D. – Lei ha detto che il campo Onu ospita persone di diverse etnie che si sono rifugiate lì per sfuggire alle violenze. In quali condizioni si vive in quelle zone?

R. – Le condizioni di vita all’interno del campo Onu, dove il numero degli sfollati ha raggiunto i 30 mila nel mese di aprile, sono particolarmente difficili. E questo anzitutto perché in aprile c’è stato un afflusso di sfollati abbastanza improvviso, dovuto all’intensificarsi delle operazioni militari nelle aree del nord. Le tensioni all’esterno e le operazioni militari hanno reso poi impossibile alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie, per parecchio tempo, ricevere i carichi di cibo e di altri beni da distribuire all’interno del campo. Perciò le scorte alimentari e di altri beni di prima necessità, come il sapone ad esempio, sono calate e questo ha comportato un impoverimento della dieta e delle condizioni igieniche.

D. – Proprio nelle ultime ore l’Onu ha sanzionato sei generali ritenuti responsabili di alimentare disordini e violenze. Basteranno questi provvedimenti a riportare la pace?

R. – Assolutissimamente no. Le Nazioni Unite o coloro che hanno messo in opera le sanzioni hanno fatto delle verifiche che hanno portato a concludere che i comandanti in questione abbiano beni all’estero, conti in banca e possano viaggiare all’esterno del Sud Sudan. In questi ambiti sono stati colpiti con le sanzioni. La guerra ha coinvolto un terzo del Paese: per riportare la pace c’è bisogno di un concorso di molte forze. La mia opinione è che i sud sudanesi debbano accordarsi fra loro, al di là della mediazione internazionale, soprattutto dell’Igad e di altri Paesi. Ma la pace non viene portata dalle sanzioni: viene da un accordo fra i vari gruppi che devono negoziare fra di loro, cercando di far sì che ogni gruppo possa vedere che i propri interessi legittimi siano rispettati. Spero vivamente che queste mie parole alla Radio Vaticana possano essere un invito per tante persone a pregare affinché la situazione di conflitto in cui si trova il Paese venga risolta e affinché si veda una luce che indichi la fine del tunnel.

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Procreazione assistita: ombre etiche e costi alti per sanità

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In Italia, sono state varate dal ministro della Sanità, Lorenzin le nuove Linee guida sulla Procreazione medicalmente assistita (Pam), che aggiornano ulteriormente la Legge 40, in vigore dal 2004, in massima parte emendata, sotto la spinta di svariate sentenze di Tribunali, fino alla Corte Costituzionale e ciò nonostante il referendum abrogativo nel 2005, fallito per astensionismo ne avesse di fatto riconfermato l’impianto. Ma quali novità sul piano medico e bioetico? Roberta Gisotti ha intervistato Emanuela Lulli, ginecologa bioeticista, segretario dell’associazione “Scienza e Vita”, opera nel Servizio sanitario nazionale a Pesaro. 

R. – Da un punto di vista medico, sicuramente c’è un’attenzione maggiore, clinica, sul rapporto rischi-benefici per l’accesso ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita. Per la prima volta si parla di complicanze ostetriche, di complicanze neonatali riguardo al bambino, ma anche di complicanze di queste tecniche relative alla madre; si parla di una anamnesi più attenta, dettagliata e va spiegato il motivo per cui si sceglie un certo numero di embrioni da produrre e da congelare e quindi c’è una maggiore trasparenza. Va dato atto al ministro di avere questa attenzione maggiore. E’ confermata la tutela dell’embrione da ogni deriva eugenetica, quindi anche riguardo alla fecondazione eterologa. Viene, inoltre, detto che l’accesso deve essere graduale: dalle procedure più semplici a quelle più complesse.

D. – Dott.ssa Lulli, ma quali restano le criticità?

R. – Sono molto le criticità! Non dimentichiamoci che questi accessi alla Pma producono così tanti embrioni morti, producono tanti lutti nelle coppie e tanti lutti di vite che sono appena iniziate… Su dieci embrioni fecondati soltanto due riescono ad arrivare in braccio ai genitori: quindi un grande fallimento direi non solo bioetico, ma anche medico.

D. – Ad un anno dall’ammissione della fecondazione eterologa sono stati pochissimi i casi in Italia: si è detto che, in realtà, in Italia mancano i donatori; donatori che ci sono all’estero, dove però c’è un pagamento…

R. – Intanto non chiamiamola donazione, perché qui non donano proprio un bel niente! All’estero, dove si trovano i cosiddetti donatori, questi vengono pagati profumatamente…

D. –…..donatore di una vita che non avrà mai la possibilità di risalire ai propri genitori biologici…

R. – Certo! Si parla di diritto ad avere il figlio a tutti i costi, ma non di diritti dei figli, a partire da quello alla vita, perché pochissimi bambini riescono a vedere la luce; e tanto più ora con questa ammissione dei congelamenti embrionali è ancora più leso questo diritto. Insomma le ombre bioetiche sono parecchie! Pensi che nella Legge 40, art. 3, si dice che l’operatore deve anche chiarire ai futuri genitori il possibile accesso all’adozione e all’affidamento. Sembra una barzelletta: in realtà così è scritto, ma evidentemente nessuno lo fa! Lo stesso carico finanziario che queste tecniche, sempre più sofisticate, hanno sulla nostra spesa sanitaria, la vedo come una grande criticità.

D. – La procreazione medicalmente assistita, compresa la fecondazione eterologa, rientrerà nel Servizio Sanitario Nazionale, che – sappiamo – è già al collasso…

R. – Esatto. Lei pensi che nei nostri ospedali, della nostra provincia, quando una mamma va a partorire deve portarsi i pannolini per il figlio che nasce; oppure i nostri anziani, assisti a casa, che hanno i pannoloni dal Servizio Sanitario Nazionale ne ricevono solo due al giorno… Questo per dire una delle ultime notizie che si sono avute. Quindi fa un po’ stridore vedere questi flussi enormi di denaro messi a disposizione per queste tecniche. Adesso il ministro ha fatto questo bel Piano della fertilità e noi siamo tutti contenti, però bisogna lavorare sul sociale perché il diritto ad avere il figlio a 40 anni vada in qualche modo rimosso. Bisogna approcciare i ragazzi a conoscere e a tutelare la propria fertilità. Se no non se ne esce! I problemi sociali sono tanti, però bisogna iniziare ad amare a conoscere la fertilità e poi avere il coraggio di fare i figli nel decennio in cui questa è massima per l’uomo e per la donna, cioè tra i 20 e i 30 anni.

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Allerta caldo: per gli anziani un programma di S. Egidio

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Arriva il grande caldo e in Europa è allerta. In Francia si sono già raggiunti picchi superiori a quelli record del 2003, in Spagna si sono toccati i 45 gradi, preoccupazione anche in Portogallo e nei Paesi Bassi. In Italia, fino all’8 luglio, l’anticiclone africano porterà a un costante aumento delle temperature, in particolare nelle città del Nord e del Centro. A Roma, una delle città più colpite, la Comunità di Sant’Egidio sta intensificando le attività di “Viva gli anziani”, il programma di monitoraggio attivo della popolazione over 75. Eugenio Murrali ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio: 

R. – Il programma sta dimostrando che la visita e il monitoraggio degli anziani ultrasettantacinquenni prevengono i ricoveri negli istituti, nelle Rsa o negli ospedali. La compagnia, il consiglio, l’interesse verso queste persone e anche il dare un po’ di informazioni di educazione sanitaria sono una grande opera di prevenzione. Dunque: migliora la qualità di vita dell’anziano, perché rimane a casa, si riducono le spese dello Stato, perché l’anziano non si ricovera.

D. – Il grande nemico degli anziani non è solo il caldo, però?

R. – No. Il loro più grande nemico è l’isolamento. Noi abbiamo migliaia di anziani lontani dalle loro famiglie e di cui nessuno di occupa. La Comunità di Sant’Egidio – con questo programma e con l’azione dei suoi volontari e dei suoi membri in tutta Roma, in cui seguiamo ben 18 mila anziani – sta moltiplicando le iniziative per rompere proprio questo isolamento. Io vorrei fare un appello ai cittadini romani, ai cittadini del Lazio, perché in questo periodo di “emergenza caldo” si ricordino che esistono gli anziani: quelli che abbiamo a casa con noi, quelli che sono nei nostri condomini, nei nostri palazzi, ma anche quelli che vivono da soli negli istituti, nei cronicari, nelle Rsa. Andiamo a trovare gli anziani, portiamo loro da bere, parliamo con loro, ascoltiamo le loro esigenze…

D. – Questo modello di assistenza è diverso anche perché non si basa sull’emergenza…

R. – No, è un programma di assistenza che dura tutto l’anno, perché l’emergenza in un certo senso c’è sempre e quindi non c’è mai. Il problema di fondo è fare delle politiche lungimiranti, che invertano la tendenza a ricoverare gli anziani negli istituti e li aiutino, invece, a vivere a casa loro con semplici supporti, come può essere quello del programma, come può essere la telefonata degli operatori, una visita o mobilitando le forze attorno agli anziani, che sono i condomini, che sono i negozi, che sono le parrocchie, le farmacie… Tutto quello che ruota attorno al mondo degli anziani.

D. – Come agiscono in concreto i vostri operatori?

R. – Innanzitutto ogni anziano ultrasettantacinquenne che è inserito nel programma – e sono 5 mila adesso – viene monitorato telefonicamente per sapere se ci sono esigenze particolari. In questo periodo di caldo a tutti viene recapitato un dépliant con i consigli per proteggersi e vengono incentivate le visite.

D. – L’Italia sta invecchiando, dobbiamo preoccuparci?

R. – La vecchiaia – come ci dice Papa Francesco – è una grande opportunità, una grande occasione, perché è il tempo della saggezza, è il tempo della memoria. Ci dobbiamo preoccupare invece della separazione degli anziani dai giovani. Bisogna ricreare quell’istinto – anche naturale – che rimetta insieme le generazioni, perché solo da un incontro virtuoso tra le generazioni si potrà capire perché la vecchiaia è bella. 

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Le Caritas a sostegno degli immigrati sfruttati in agricoltura

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Ci sono luoghi dove diritti e legalità sembrano parole sconosciute come le tante terre in cui il lavoro agricolo è svolto da immigrati malpagati e costretti a vivere in condizioni inaccettabili. Duemila persone, secondo la rilevazione dello scorso 30 giugno. Di questo si è parlato all’Expo di Milano in un Convegno dal titolo: “Cibo, terra, lavoro: i migranti economici nell’area del Mediterraneo”, promosso dalla Caritas italiana. Un’occasione per presentare il Rapporto 2015 del “Progetto Presidio”, finanziato dalla CEI e coordinato da Caritas italiana, a cui aderiscono 10 Caritas diocesane e che ha l’obiettivo di garantire una presenza costante di operatori sui territori interessati al fenomeno per offrire aiuto e assistenza ai lavoratori stranieri. In maggioranza uomini, gli immigrati provengono da Burkina Faso, Ghana, Marocco, Tunisia, ma anche Romania e Bulgaria. Tra loro le donne affrontano condizioni di vita e di lavoro ancora più difficili, caratterizzate da segregazione, violenza, sfruttamento sessuale. Adriana Masotti ha intervistato don Raffaele Sarno, direttore della Caritas di Trani-Barletta-Bisceglie che al Convegno ha portato l’esperienza della sua diocesi: 

R. – Il fenomeno è abbastanza consistente. Purtroppo soprattutto nelle campagne del Sud l’opera dei caporalati a volte diventa anche spietata, perché questi lavoratori vengono completamente sfruttati con paghe irrisorie che pertanto finiscono soprattutto nelle tasche di coloro li sfruttano. Noi cerchiamo di fare emergere un po’ tutto questo attraverso la presa di coscienza di questo sfruttamento e quindi conseguentemente la ricerca della dignità di queste persone.

D. – In quali regioni la situazione è più critica?

R. – Soprattutto in Campania e in Calabria la situazione diventa un po’ più drammatica.

D. – Quando si sente dire: “Va bene, i rifugiati possono anche rimanere in Italia, ma rimandiamo a casa i migranti economici”, lei che cosa pensa?

 R. – Mi viene in mente che c’è molta strumentalizzazione sotto questo punto di vista e non si tiene conto di quella che è la reale situazione. Noi ci rendiamo conto che, per esempio, anche da noi, senza il lavoro di questi agricoltori stranieri, alcune colture non potrebbero essere portate avanti e quindi c’è bisogno sicuramente di manodopera. E’ chiaro che poi bisogna fare il passaggio da una situazione di illegalità ad una situazione invece di rispetto per le condizioni economiche di queste persone. Questo è un po’ il lavoro che noi stiamo facendo. Cercare di sensibilizzare anche il territorio e quindi ottenere condizioni più dignitose per tutti loro.

D. - Ci dica qualcosa di più sul lavoro che state svolgendo nella sua diocesi…

 R. – Per quello che riguarda la nostra diocesi noi stiamo lavorando anche attraverso una convenzione con gli enti territoriali. Proprio l’altro giorno abbiamo firmato questo protocollo di intesa con i due comuni maggiormente interessati, in modo tale che il nostro non sia un lavoro isolato. Sotto questo punto di vista ci sarà la collaborazione piena dei comuni attraverso il segretariato sociale, attraverso anche la messa in comune delle proprie risorse, per la realizzazione concreta di percorsi di accompagnamento dei lavoratori.

D. – Chi sono i lavoratori stranieri con cui voi siete in contatto e per quale tipo di lavoro sono impiegati?

R. – Dipende un po’ anche dal tipo di coltivazione. Per esempio per la coltivazione di ortaggi è prevalente la presenza di cittadini rumeni, per la raccolta delle olive sono presenti in maniera particolare i cittadini del Maghreb e dell’Africa centro-meridionale… Ci sono molti irregolari presenti. Il problema più grosso, per esempio, per loro è il problema abitativo. Molti di questi lavoratori alloggiano in casolari abbandonati e quindi in condizioni igienico-sanitarie notevolmente precarie. Non a caso, uno dei nostri obiettivi è cercare di creare condizioni abitative che possano permettere loro di vivere in maniera un po’ più dignitosa.

D. – In sintesi, qual è il significato della vostra presenza lì dove esiste il fenomeno dello sfruttamento agricolo?

R. – La nostra presenza è soprattutto il voler garantire la dignità di queste persone. Il più delle volte vengono considerati semplicemente manodopera, magari utile per l’agricoltura, utile per l’economia della zona, ma semplicemente manodopera. Per noi non sono semplicemente mani che vengono utilizzate per il lavoro dei campi. Per noi sono persone che sicuramente hanno abbandonato situazioni molto precarie nei propri luoghi di provenienza per trovare qui opportunità di lavoro e di vita migliori. Noi li vogliamo accompagnare proprio perché vogliamo rispettarli come persone e perché vogliamo che effettivamente realizzino pienamente le loro aspettative di vita.

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Il tema della "mancanza" al centro del Meeting di Rimini 2015

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“Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”. Un verso del poeta Mario Luzi dà il titolo alla 36.ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i Popoli in programma dal 20 al 26 agosto a Rimini. Quest’anno, il Meeting, presentato ufficialmente in serata a Roma, vuole interpellare il cuore dell’uomo scoprendo l’esperienza di una mancanza, spesso spirituale, e l’origine di questa mancanza. L’indifferenza nei confronti degli altri, la paradossale solitudine dentro un mondo tecnologico e sempre connesso, la sensazione di soffocare perché le circostanze e i fatti della vita diventano una prigione, rischiano di annullare l’uomo nei diversi campi del vivere quotidiano, dalla scienza, all’economia, alla politica. Sul significato del Meeting di Rimini 2015, ascoltiamo Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting, al microfono di Luca Collodi: 

R. – Il titolo del Meeting è un verso di Mario Luzi, in cui il poeta chiede al cuore, al suo cuore, e al cuore di tutti: “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”. "Di che?" uno dice immediatamente. Ma è vero: il cuore manca, il cuore è mancante di qualcosa, io mi accorgo che manco di qualcosa, e allora si domanda di che cosa è mancante. È un tema che ha un’apparenza di grande spiritualismo. Viceversa, il tema della mancanza è un tema di assoluta quotidianità: se l’uomo non mancasse, non cercherebbe gli altri; e questa mancanza, che non si ferma mai, che non si arresta mai, induce l’uomo anche a chiedersi: “Ma tutte queste mancanze, tutti questi bisogni, forse sono causati da una mancanza più grande?”.

D. – In sostanza, Il Meeting interroga la superficialità dell’uomo che allontana la speranza e crea confusione nel quotidiano…

R. – Sì, perché un uomo che non si accorge di essere mancante, che non si accorge dello spessore del suo "Io", non si accorge della grandezza di ciò che è, si trasforma in un uomo appiattito. E’ un uomo che non può altro che essere fattore di violenza e di inimicizia all’interno del mondo.

D. – Si pone anche il tema della ricerca della verità come soluzione ai problemi del mondo…

R. – Assolutamente sì, anche perché la ricerca e la tensione degli uomini è sempre una tensione alla verità, in cui ognuno ha il suo percorso, in cui nessuno può essere giudice dell’altro; però, sicuramente, la tensione dell’uomo è una tensione alla verità. Vorrei dire ancora di più: nel momento in cui l’uomo intuisce che la sua esistenza è nel rapporto con l’altro, nel momento quindi in cui intuisce una prospettiva religiosa alla sua vita, ciò diventa fattore di amicizia e fattore di pace. Noi quest’anno apriremo il Meeting con un grande incontro, il cui titolo, che abbiamo “rubato” al cardinale Tauran, è: “Le religioni sono parte della soluzione, non il problema”. All’incontro saranno presenti il cardinale Tauran, il rabbino capo di Francia e l’imam di Lione.

D. – Qualche pessimista dice che per i problemi di oggi non ci sarebbero soluzioni…

R. – È vero, questo è il convincimento. Io credo che ci sia un paradosso nella situazione di oggi: il grande paradosso è che i problemi sono immensi, giganteschi, e sembrano irrisolvibili. Dall’altra parte, però, è anche evidente che ciò che li può affrontare, non so se risolvere, è il singolo uomo, la persona, l’Io; quello che noi ci sentiamo continuamente dire da tutti i nostri grandi testimoni del Medio Oriente – cito uno per tutti, padre Pizzaballa – ma tutti ci dicono che il problema è un senso a ciò che lì accade, da una parte – e i cristiani sono la testimonianza di questo senso presente – e dall’altra parte una capacità di incontro e di perdono continuo, che vuol dire la possibilità di ricominciare dal fratello che hai vicino.

D. – Come sarà il Meeting di Rimini 2015 ?

R. – Il Meeting di quest’anno porterà testimoni di una speranza nella vita. Il tema del perdono, la violenza nel Sud America, nel Venezuela, persone che operano con i disabili in situazioni internazionali terribili. Avremo anche tantissimi temi di carattere culturale. Il tema dell’umanesimo cristiano, che noi affronteremo attraverso la mostra dedicata alla Piazza del Duomo di Firenze, che l’opera del Duomo sta allestendo anche in occasione del Convegno della Cei di novembre, alla presentazione della quale sarà presente il cardinale Betori. Poi ancora un dialogo interessantissimo tra il professor Joseph Weiler, ebreo, e don Julián Carrón, il presidente della fraternità di Comunione e Liberazione, che vorrà mettere a tema, partendo dalle grandi figure bibliche, uno sguardo rivolto alle sfide dell’oggi. Avremo su un tema di estrema attualità – il tema “Chiesa e denaro” - il cardinale Pell. Sui temi internazionali interverrà mons. Tomasi, osservatore della Santa Sede all’Onu a Ginevra. Il titolo del Meeting sarà affrontato dall’abate Lepori, il capo dei Cistercensi. Avremo i grandi temi della scuola, dell’educazione, della famiglia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Egitto: solidarietà della Chiesa copta ai militari dopo attacchi nel Sinai

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Dopo la serie di attacchi compiuti ieri da gruppi jihadisti contro 18 postazioni dell'esercito nel Sinai settentrionale, la Chiesa copta ortodossa esprime vicinanza e supporto pieno alle forze armate egiziane, in un comunicato ufficiale in cui l'esercito è definito “pilastro della Nazione”. Nel testo del messaggio, ripreso dall'agenzia Fides, i militari vengono appoggiati per la lotta da essi sostenuta “contro le forze del male che minacciano la sicurezza nella regione e nel mondo”, e si invoca Dio “affinchè salvi l'Egitto da ogni male”.

L'esodo delle 400 famiglie copte che vivono nel Sinai
L'offensiva coordinata di attentati suicidi e attacchi contro le postazioni dell'esercito nella regione del Sinai settentrionale ha provocato la morte di decine di soldati. Secondo i dati forniti dal governo egiziano, negli attacchi sarebbero morti anche più di cento miliziani jihadisti, e la situazione nell'area sarebbe tornata sotto controllo. Da anni, nonostante le campagne repressive condotte dall'esercito, il Sinai del nord continua ad essere territorio di forte radicamento di gruppi jihadisti che adesso dichiarano la propria affiliazione al sedicente Stato Islamico (Daesh) e hanno sempre mostrato particolare accanimento nei confronti della locale popolazione copta. Secondo fonti del patriarcato, nel Sinai settentrionale risiedono almeno 400 famiglie copte, ma da tempo è iniziato il loro lento e costante esodo verso aree più sicure.

Dopo la fine di Morsi, aumentate violenze e minacce contro i copti
​Anche nel Sinai le minacce dirette contro i cristiani sono aumentate dopo che il patriarca copto ha sostenuto l'operazione con cui, ai primi di luglio 2013, forze armate hanno esautorato il Presidente islamista Mahmud Morsi. Il 6 luglio di quello stesso anno era stato ucciso a el-Arish il sacerdote Mina Abud, stretto collaboratore del vescovo Kosman. Da allora la locale comunità copta è stata colpita da una lunga serie di omicidi e rapimenti con richiesta di riscatto, attribuibili in buona parte alla fazione jihadista Ansar Bayt al- Maqdis. A quello stesso gruppo si devono le minacce di morte rivolte a tutti i cristiani del Sinai, accusati di appoggiare il Presidente Abdel Fattah al-Sisi e di non pagare la “tassa di protezione” a sostegno dei combattenti jihadisti. Intanto, secondo indiscrezioni diffuse dai media locali, dopo l'attentato che è costato la vita al Procuratore generale egiziano Hisham Barakat, sono aumentate anche le misure di protezione intorno al patriarca copto ortodosso Tawadros II. (G.V.) 

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Salesiani nello Yemen: il Paese è un inferno, manca quasi tutto

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La situazione in Yemen è ogni giorno sempre più insostenibile. L'80% della popolazione del Paese, oltre 20 milioni di persone, ha bisogno di assistenza umanitaria urgente, secondo quanto riferito da organizzazioni internazionali. I missionari salesiani, ancora una volta, restano vicino alla gente, in particolare “i più poveri, che, come sempre, sono quelli che soffrono di più” spiegano. “Manca l’elettricità, solo in alcuni giorni si riescono ad avere 3 o 4 ore di energia, le infrastrutture sono distrutte dai bombardamenti, mancano i medicinali, l’acqua, il cibo…”, dicono i missionari salesiani che hanno scelto di rimanere in Yemen per essere vicini alle persone cui si dedicano.

Città devastate. Allarme per epidemia di Dengue
Città come Aden e Taiz – riferisce l’agenzia salesiana Ans - vengono devastate e la situazione è davvero complicata. “Ad Aden hanno luogo pesanti combattimenti e c’è una grande carenza dei bisogni più elementari. La vita lì è davvero miserabile”, affermano i missionari. E a peggiorare le cose “sembra che ci sia una epidemia di Dengue e che ne siano state colpite circa 5.000 persone. Alcuni sono morti”. La mancanza di pulizia, l’acqua stagnante, i cadaveri che restano giorni per le strade potrebbero esserne la causa.

Chiese saccheggiate e distrutte. Danni fisici e psicologici soprattutto nei bambini
Ad Aden, in aggiunta, due delle tre chiese animate dai Salesiani sono state saccheggiate e parzialmente distrutte. “Hanno rotto le immagini e hanno preso quel poco che c’era di valore, ma questi sono solo gli edifici. Abbiamo a cuore le persone che stanno cercando di sopravvivere”, hanno riportato i missionari alla Procura Missionari Salesiana di Madrid. “Milioni di persone vivono in modo veramente miserabile, continuamente nella paura dei bombardamenti. Molte sono mutilate o sono vittime di gravi ferite. Inoltre, il danno psicologico nei bambini e giovani è impossibile da calcolare”. Nonostante gli sforzi internazionali, i colloqui di pace a Ginevra sono falliti, mentre i bombardamenti continuano. (I.P.)

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India: marcia e veglia di preghiera per l'aggressione ad una suora

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Una marcia silenziosa e una veglia di preghiera per esprimere solidarietà alle Suore Missionarie Salesiane di Maria Immacolata e per chiedere giustizia: con questo spirito oltre 2000 persone si sono riunite ieri sera nei pressi della cattedrale di San Francesco a Nagpur, città nello Stato indiano di Maharashtra, a 15 giorni dall’aggressione a una religiosa. All’iniziativa ha preso parte anche l’arcivescovo di Nagpur, mons. Abraham Viruthakulangara che ha condannato fermamente l'aggressione alla suora 43enne avvenuta nella notte tra il 19 e il 20 giugno, all’ospedale maternità di Raipur.

Mons. Viruthakulangara condanna l'indifferenza del governo
 L’arcivescovo ha espresso profondo rammarico poichè “a 15 giorni dall’aggressione, le autorità non hanno ancora trovato i colpevoli che hanno commesso l’atroce crimine di attaccare l'integrità di una donna”. “Il Governo dovrebbe garantire la sicurezza e la protezione di tutti, specificamente dei più vulnerabili come bambini, donne e minoranze” ha rimarcato, protestando per “l’atteggiamento indifferente del governo, della polizia, della burocrazia”. “Chiediamo che sia fatta giustizia al più presto” ha proseguito.

Appello a fermare la violenza contro le donne
Alla marcia hanno preso parte giovani, donne e bambini di varie comunità: indù, musulmani, sikh e cristiani di varie confessioni. “Noi cristiani siamo una comunità pacifica, siamo parte integrante di questa antica terra madre. Non è tollerabile che la nostra vita tranquilla sia disturbata da attacchi pianificati” ha concluso l’arcivescovo. Esponenti delle diverse comunità presenti hanno condiviso questi sentimenti e lanciato un appello al governo perché “faccia di più per tutelare i cittadini, in particolare i più deboli”. Tutti hanno ricordato che le donne in India subiscono molestie e discriminazioni e hanno chiesto di fermare la violenza contro le donne, avviando una raccolta di firme e accendendo ceri per esprimere solidarietà alle vittime di abusi e violenze. (R.P.)

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Rifugiati e vittime di tratta: sfida comune per le Chiese in Europa

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“L’incontro di Vilnius è stato occasione di confronto tra varie esperienze legate insieme dal tema dell’accoglienza, ha ricordato in apertura dal card. Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria, come l’esigenza per la quale non cedere alle paure e alle semplificazioni a cui una parte della politica ci ha abituato in questi giorni nei diversi contesti nazionali”. Mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, ha preso parte questa settimana all’incontro dei responsabili della pastorale dei migranti e itineranti delle Conferenze episcopali d’Europa, riuniti nella capitale lituana dal Ccee. 

Forme di nazionalismo stanno intaccando la storia solidale dell'Europa
Prima di lasciare Vilnius, mons. Perego afferma all'agenzia Sir che durante i lavori “si è sentita la volontà di contrastare le forme di nazionalismo che sta ritornando” in diversi Paesi “e che rischia di incrinare la storia solidale dell’Europa costruita in questi decenni”. Mons. Perego aggiunge: “Si è passati da una lettura del tema dei rifugiati alla verifica di una problematica della tratta che attraversa l’Europa, ma di cui ancora debole è la consapevolezza non solo sul piano numerico ma anche della conoscenza delle diverse storie”. Sul piano pastorale “è stato interessante confrontarsi sulle esperienze di collaborazione tra le chiese in Europa dove si è registrato l’impegno a costruire dei modelli condivisi sul piano dello scambio ma anche dell’organizzazione ecclesiale”. 

Una pastorale per i cinesi in Italia
“Interessante è stato, a partire dall’esperienza del Centro pastorale per i cinesi a Prato - aggiunge mons. Perego - approfondire questa presenza migrante originale quale è quella dei cinesi” (l’Italia raccoglie una delle comunità più numerose in Europa con 350mila persone), che “interpella una prima evangelizzazione per chi ha vissuto una vicenda solo di ateismo”. Un incontro, “qui a Vilnius, di grande interesse proprio in un momento in cui l’Europa chiede anche dal punto di vista ecclesiale, di parlare a una sola voce a tutela della dignità dei migranti”. 

Ogni operatore pastorale deve essere la sentinella dell’accoglienza
​Il responsabile della Migrantes aggiunge una riflessione conclusiva maturata in questi giorni: “Accogliere non è un atto di bontà, è un progetto politico, di riesame della nostra vita comune alla luce del mondo, di cui i migranti sono i veri attori, le avanguardie. Rifiutare l’accoglienza è invece una colpa, ma soprattutto significa non raccogliere la sfida a ripensare la città, la politica. Come Chiesa che cammina, come ci ha abituato a fare il Concilio Vaticano II, che ascolta, come ci ha ricordato Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam, e ribadisce spesso papa Francesco, ogni operatore pastorale oggi avverte il dovere di essere la sentinella dell’accoglienza: perché ognuno - tanto più se povero, perseguitato, offeso - si senta a casa dove arriva, senta la responsabilità di partire non prima di aver regalato i doni di una cultura, di una religiosità, di una storia. Il futuro non lo costruiamo senza incontri, senza i migranti”. (R.P.)

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Hong Kong: cattolici alla marcia per democrazia e libertà

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Oltre 48mila persone hanno preso parte ieri a Hong Kong alla prima marcia in grande stile dopo il voto del 17 giugno col quale i parlamentari hanno respinto il pacchetto di riforme per continuare a chiedere un vero suffragio universale e un miglior livello di vita nella città. Tra l'altro ieri, 1 luglio - riferisce l'agenzia AsiaNews - si commemorava il 18mo anniversario del trasferimento di sovranità di Hong Kong al governo cinese. La marcia è stata organizzata dal Civil Human Rights Front, che collega gruppi religiosi, partiti, parlamentari, gruppi civili e femminili. 

Invocata una vera democrazia per Hong Kong
La marcia si è snodata dal Victoria Park fino al Central Government Office. I manifestanti hanno chiesto di “costruire una vera democrazia per Hong Kong” e di “riconquistare il futuro della città”. Malgrado una temperatura di oltre 30 gradi, la popolazione locale ha marciato per la democrazia e la libertà in Hong Kong, per un emendamento alla Legge fondamentale, per una maggiore protezione per i diritti dei disabili e delle minoranze e per una maggiore libertà in campo accademico. I disabili hanno chiesto anche maggiori aiuti finanziari per il trasporto.

Preghiera ecumenica nel Victoria Park
Prima dell’inizio della marcia, cattolici e protestanti hanno dato vita a un momento di preghiera nel Victoria Park. Centinaia di cristiani si sono uniti all’incontro ecumenico e hanno pregato per il progresso politico di Hong Kong, per un migliore ambiente di vita nella disparità di ricchezza nella società, per la Chiesa, perché abbia il coraggio di dire la verità, e per un regime di diritto a Hong Kong. “Noi – ha detto il vescovo ausiliare Joseph Ha a coloro che hanno preso parte all’incontro di preghiera – ci siamo riuniti non solo per vincere un sistema elettorale, ma perché amiamo, amiamo la nostra società, la nostra nazione, il nostro popolo”. “Nell’attuale sistema politico – ha aggiunto – noi vediamo sofferenze,  ingiustizie sociali, i deboli che non hanno via d'uscita dagli stenti. I livelli di vita e la politica del popolo sono strettamente legati”. Il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong e numerosi sacerdoti cattolici e pastori protestanti erano presenti e hanno benedetto insieme i presenti, prima di unirsi alla marcia. (V.M.)

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Chiesa sudafricana commenta il rapporto sulla strage di Marikana

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Il massacro di Marikana insegna molte lezioni. E’ quanto afferma la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) dopo la pubblicazione, una settimana fa, del rapporto della Commissione d’inchiesta governativa sull’uccisione, 16 agosto 2012, di decine di minatori che manifestavano a Marikana. La Commissione d’inchiesta ha chiesto l'apertura di un'indagine penale sull’operato della polizia per accertare gli errori e le responsabilità del massacro, il più grave avvenuto in Sudafrica dalla fine dell’apartheid. I lavoratori uccisi furono 34 ed erano fra quelli in sciopero da settimane che chiedevano aumenti salariali e più diritti nelle miniere gestite dalla multinazionale Lonmin. Le forze di polizia si sono sempre difese dicendo che erano state costrette a sparare sui manifestanti per autodifesa.

Gravi errori da parte della polizia e ritardi nei soccorsi
Ma il rapporto presentato nei giorni scorsi alla stampa dal Presidente Zuma, afferma che la polizia avrebbe dovuto comprendere che la situazione era tale che "sarebbe stato impossibile disarmare e disperdere gli scioperanti senza un significativo spargimenti di sangue" e ha per questo anche messo in discussione le capacità direttive del capo della polizia. Nel rapporto si denunciano anche che i ritardi nei soccorsi ai minatori feriti furono all’origine di almeno un decesso.

Per Giustizia e Pace urgente cambiare il sistema minerario
Giustizia e Pace – riferisce l’agenzia Cisa - denuncia, da parte sua, i problemi strutturali del settore minerario in Sudafrica che hanno creato le condizioni per lo sciopero e la violenta repressione che ne è seguita e che a tutt’oggi restano immutati: “Se questi  nodi strutturali non vengono affrontati in modo adeguato e l’attuale sistema minerario che mette il profitto prima delle persone non viene rimesso in discussione, avremo presto un’altra Marikana”, ha ammonito il presidente della Commissione episcopale, mons. Abel Gabuza.

La solidarietà ai familiari delle vittime
Giustizia e Pace esprime poi tutta la propria solidarietà con i familiari delle vittime: “I nostri cuori sono con tutti coloro che hanno perso i propri cari e stanno cercando di sanare le loro ferite, mentre cercano di capire le implicazioni del rapporto. Tutto il Paese ha bisogno di guarire dalla sua strutturale cultura della violenza”, conclude la Commissione episcopale. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 183

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