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Sommario del 03/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco incontra il Rinnovamento. Martinez: dare voce a cristiani perseguitati

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Papa Francesco incontra oggi alle 18.00 in Piazza San Pietro oltre 30mila aderenti al Rinnovamento nello Spirito Santo. Un appuntamento di preghiera per i tanti cristiani perseguitati ancora oggi: cristiani di diverse confessioni ma uniti in quello che il Papa ha chiamato ecumenismo del sangue. In programma testimonianze e canti: presenti, tra gli altri, Andrea Bocelli e la cantante israeliana Noa. Ci parla dell’evento Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento, al microfono di Benedetta Capelli: 

R.  – Piazza San Pietro è la madre di tutte le piazze ed è il luogo nel quale ribadire l’urgenza di una fede che promuova unità, che promuova attenzione agli ultimi, come dice costantemente Francesco. Ed è impressionante pensare che gli ultimi sono anche i cristiani. Il desiderio di unità esprime questa povertà forte che c’è. Siamo drammaticamente divisi. Parlare di ecumenismo spirituale significa trovare vie di riconciliazione fra di noi; parlare di ecumenismo del sangue significa comprendere quanto sia importante che il genere umano sia unito. Allora abbiamo pensato di fare un regalo a Papa Francesco. Lui ci spingeva a lavorare per l’ecumenismo. Abbiamo quindi chiamato tanti amici da tante parti del mondo per far sentire loro il calore e l’affetto di questa unità intanto con lui, perché come centri concentrici questa unità si diffonda in tutto il mondo e gli altri possano vedere in questo format, in questa iniziativa che mette insieme preghiera e concerto ecumenico, una possibilità per stare insieme e per far vedere cosa la fede può generare.

D. - Avete trovato solidarietà anche da parte di altre confessioni religiose anche di fronte a una persecuzione contro i cristiani che è spesso silenziosa, come dice Papa Francesco…

R. – Sì. E’ silenziosa, come dice lui, e per altri versi chiassosa. C’è tanto rumore intorno a questi eventi. La politica si agita, l’economia si agita, le culture si agitano… La gente però soffre, la gente non ha voce. “Voci in preghiera” è il titolo di questo evento: vogliamo dare voce a coloro che non possono rivendicare il diritto di vivere, di vivere in casa, di vivere con una famiglia, di vivere con i propri cari, il diritto di confessare una fede e confessarla liberamente. Questa è una delle poche piazze al mondo in cui è possibile dire la fede pubblicamente. Dobbiamo recuperare questo spazio di intimità con Dio e di solidarietà umana fra gli uomini.

D.  – Il Rinnovamento nello Spirito Santo ha avuto tante persone che hanno partecipato all’evento allo Stadio Olimpico, quest’anno si ripeterà la stessa presenza?

R. – Sì, penalizzati probabilmente dalla data ci sarà una leggera flessione nei numeri ma saranno tante migliaia di persone, come lo scorso anno, sia in Piazza San Pietro che allo stadio Olimpico.

D. – Questo significa che c’è un bisogno di fede?

R. – Sì e che la gente chiede di stare insieme, di essere radunata, ecco perché torniamo a Roma e torniamo con Papa Francesco.

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America Latina. Il Papa verso le periferie dal cuore mariano

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Tra meno di 48 ore, Papa Francesco si imbarcherà all’aeroporto di Fiumicino per fare rotta sull’Ecuador: 13 ore di volo e oltre 10 mila km per raggiungere Quito, in Ecuador, prima tappa del viaggio apostolico di nove giorni che lo porterà a visitare anche la Bolivia e il Paraguay. I tre Stati, certamente non tra i più grandi e ricchi del continente, incarnano quel desiderio del Papa di farsi vicino soprattutto alla gente meno considerata dai circuiti internazionali, siano essi economici, politici o mediatici. Il servizio di Alessandro De Carolis

Le periferie, dovunque siano, quelle che mai o quasi avevano visto il vestito bianco del Papa. Francesco continua a privilegiarle, attirando il sole dei media in luoghi dove una testata internazionale non invierebbe neanche uno stagista. E invece saranno lì, i maggiori vaticanisti, e le telecamere con i loghi più celebri, arrampicati su fino a El Alto, l’Everest delle città, che si affaccia su La Paz a più di quattromila metri sul livello del mare, dove quasi non si respira e dove l’acqua arrivava a dorso di mulo, e che da un centinaio di anni è invece casa per quasi un milione di indios. Saranno radunati lì i grandi broadcaster a raccontare, mercoledì prossimo, le prime parole d’affetto che avrà voluto riservare alle persone tra la più povere della Bolivia il Vicario di Cristo che inaugurò il suo ministero extravaticano tra i senza patria di Lampedusa.

Pesi "minimi"
El Alto è uno dei simboli del prossimo viaggio apostolico, che riporta il Papa latinoamericano verso quella “fine del mondo” lasciata due anni fa per spalancare alla Chiesa universale un orizzonte e uno stile mai visti. Anzi ai bordi della fine del mondo, perché Ecuador, Bolivia e Paraguay, sulla bilancia della geopolitica, non sono considerati pesi massimi da nessuno e per questo hanno peso nel cuore di Francesco. El Alto dunque sarà un simbolo come lo sarà Quito, capitale e dell’Ecuador, altra località dove la storia è stata scritta ad alta quota, tra una piantagione e una miniera d’argento: oggi polo industriale e culturale, ieri terra di incontro e scontro tra le civiltà precolombiane e gli scopritori del “nuovo mondo”, ma ancora terreno di una faticosa costruzione della democrazia, tra antiche povertà e periodiche crisi di un Paese che adesso, all’ombra del Papa, vuole riscoprire la solidità di una ricchezza più stabile di quella liquida garantita dal petrolio, ma troppo legata alle discese ardite e le risalite dei mercati.

Crisi e democrazia
Dalle metropoli di periferia più vicine al cielo – ma ci sarà stata una puntata alla città portuale ecuadoriana di Guayaquil e alla mezza collina boliviana di Santa Cruz de la Sierra per l’incontro mondiale dei Movimenti popolari – giù ai meno 50 metri sul livello del mare di Asunción, la capitale che sorge lungo le rive del fiume Paraguay che dà il nome al terzo Paese che visiterà Papa Francesco. Popolo di agricoltori e allevatori soprattutto, il Paraguay è uno Stato dalla storia turbolenta simile a tante nel continente – 31 presidenti solo nei primi 50 anni del Novecento – che oggi fa i conti con i morsi di una economia che di recente ha alternato stati di crisi a strappi di crescita in positivo, senza mai però sconfiggere quello che studi e stime identificano come il primo nemico, la stragrande diffusione del lavoro sommerso.

Assieme alla Virgen
Anche il Paraguay chiede a Francesco parole di risveglio, che certamente arriveranno dal Papa che padroneggia da maestro la lingua del pueblo e ha nelle vene lo stesso sangue spirituale di tutta la gente dell’America Latina, quello che si affida ogni giorno alla Virgen, in tutti i titoli con cui Ella è venerata nel continente. Sarà questa, l’anima mariana, la chiave da non sottovalutare in nessun istante per comprendere a fondo gli eventi che si susseguiranno a ritmo incalzante la prossima settimana. Eventi, non a caso, racchiusi tra l’aria rarefatta di Quito e La Paz, anzi “Nuestra Señora de La Paz”, e i pati in stile andaluso che profumano d’arancia di Asunción, anzi “Nuestra Señora Santa María de la Asunción”.

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Carriquiri: Papa in America Latina, per una Chiesa in uscita

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Grande dunque l'attesa per il viaggio di Papa Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay dal 5 al 13 luglio. Sul significato di questa triplice visita, Paolo Ondarza ha intervistato uno dei membri del seguito papale, il prof. Guzmán Carriquiri, segretario della Pontificia Commissione per l'America Latina: 

R.  – Così, come per l’Europa, il Santo Padre non ha voluto cominciare dalla Spagna o dalla Francia, dalla Germania, ma dall’Albania e la Bosnia, così non visita i “grandi” dell’America Latina in primo luogo, ma tre Paesi che io chiamerei di “periferia emergente”, in condizioni molto diverse da quelle dei tempi della visita di Giovanni Paolo II, trent’anni fa. Oggi io dico “periferie emergenti”, perché hanno vissuto questi 12 anni di grande crescita economica. Perfino nel 2015, in condizioni internazionali sfavorevoli, stanno crescendo attorno al 5 per cento annuo e, dunque, questo significa che durante tutti questi anni, la crescita economica ha tolto questi Paesi da un certo immobilismo. E’ un dato significativo soprattutto se si pensa alle masse indigene, contadine così presenti in questi Paesi. Certo sussistono ancora seri problemi di povertà, di disuguaglianza, di ricadute autoritarie, ma questi Paesi hanno vissuto una traiettoria storica, ultimamente, molto positiva. E la Chiesa, d’altro canto, sarà forse diversa dalle Chiesa che aveva trovato San Giovanni Paolo II: allora c’era molta tensione, molta polarizzazione, si era in pieno dibattito sulla teologia della liberazione. Oggi Francesco troverà una Chiesa più serena, nella comunione, che vive la missione dopo Apareçida, interpellata da ciò che Papa Francesco propone nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium.

D.  – Evangelii Gaudium e il documento di Apareçida sono importanti punti di riferimento per entrare dentro questo viaggio…

R. – Certo. La Chiesa deve concentrarsi sull’essenziale del Vangelo: essere missionaria, in uscita, misericordiosa, senza escludere nessuno, con questo amore e predilezione per i poveri, chiamata ad essere Chiesa piena di compassione e di tenerezza.

D. – Quali saranno i momenti più significativi?

R. – Il Papa dice sempre che dalla periferia si vede meglio l’insieme. Io penso che il Papa sarà dentro la realtà di questi singoli Paesi, ma sempre con l’orizzonte di ciò che il Papa ama chiamare “la patria grande latinoamericana”. Bisognerà essere molto attenti a tutti gli accenti che il Papa potrà fare sulla fraternità, sulla cooperazione, sull’integrazione tra i Paesi latinoamericani. Sappiamo bene quanto il Papa apprezzi la religiosità popolare di questi Paesi, che è la forma di inculturazione della fede così radicata nella storia, nell’anima di questi popoli. Penso alla visita del Papa ai santuari mariani: la visita a Nuestra Señora de Quince, patrona dell’Ecuador; a Nuestra Señora de Caacupé, patrona del Paraguay. Peccato che non possa andare a visitare Nuestra Señora de Copacabana, la patrona della Bolivia, perché si trova nel Lago Titicaca e logisticamente sarebbe troppo complicato arrivare lì. Il Papa dedica sempre un incontro speciale ai più poveri, ai più sofferenti, come ci ha abituato. Visiterà il carcere penale di Santa Cruz de la Sierra, che dicono sia uno dei più violenti dell’America Latina, e quell’ospedale che rimane tra Asunción e Caacupé, che raccoglie bambini, malati, disabili, il cui nome ricorda l’iniqua guerra della Triplice Alleanza, che ha provocato quasi – direi – un genocidio in Paraguay.

D. – Come si vive l’attesa del Papa in America Latina?

R. – Lei si può immaginare cosa sarà questo abbraccio di amore, di devozione dei nostri popoli al Papa, pastore universale, che viene dall’America Latina.

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Udienze e nomine

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Papa Francesco ha ricevuto nel pomeriggio di ieri il Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

Il Santo Padre ha nominato Vescovi Ausiliari dell’arcidiocesi di Cebu (Filippine): Mons. Dennis C. Villarojo, del clero dell’arcidiocesi di Cebu, Moderatore dei sacerdoti della Parrocchia di Our Lady of the Sacred Heart, assegnandogli la sede titolare vescovile di Gisipa; e il Rev.do Oscar J. L. Florencio, del clero dell’arcidiocesi di Palo, Rettore della Saint John School of Theology a Palo, assegnandogli la sede titolare vescovile di Lestrona.

Mons. Dennis C. Villarojo è nato a Cebu City, nell'arcidiocesi di Cebu, il 18 aprile 1967. Ha compiuto gli studi superiori al Collegio de San José- Recoletos a Cebu City, quelli di Filosofia al San Carlos Seminary College di Cebu City e quelli di Teologia all'University of Santo Tomas a Manila, ottenendovi in seguito anche la Licenza in Filosofia. Dal 1998 al 2001si è formato a Roma, presso la Pontificia Università della Santa Croce ove ha conseguito il Dottorato in Filosofia. E' stato ordinato sacerdote, per l'arcidiocesi di Cebu, il 10 giugno 1994. Per quattro anni, dal 1994 al 1998, è stato Segretario Personale dell'Arcivescovo di Cebu, il Cardinale Vidal. Dopo gli studi a Roma, rientrato in Patria, ha continuato, fino al 2010, a svolgere le funzioni di segreteria presso il Porporato e quelle di Coordinatore del Pastoral Planning Board dell'arcidiocesi. Dal 2010 è Moderatore dell'Equipe del personale pastorale della Parrocchia di Our Lady of the Sacred Heart, Capitol, a Cebu City. Nel 2015 è stato nominato anche Segretario Generale del 51° Congresso Eucaristico Internazionale che si svolgerà a Cebu nel gennaio 2016.

Il Rev.do Oscar J. L. Florencio è nato a Capoocan, Leyte, nell'arcidiocesi di Palo, il 5 febbraio 1966. Ha compiuto gli studi superiori e di Filosofia al Sacred Heart Seminary a Palo, e quelli di Teologia all'University of Santo Tomas a Manila, ottenendovi la Licenza. Dal 1994 al 1999 si è formato a Roma, presso la Pontificia Università della Santa Croce, ove ha conseguito la Licenza e il Dottorato in Sacra Teologia. E' stato ordinato sacerdote, per l'arcidiocesi di Palo, il 3 aprile 1990. Dopo alcuni anni come Vicario-Parrocchiale, è stato Direttore Spirituale al Sacred Heart Seminary a Palo. Tornato dagli studi a Roma, è stato tra gli educatori del Saint John the Evangelist School of Theology, il seminario arcivescovile di Palo prima di diventare Parroco: prima di Saint Francis of Assisi parish (2004-2006), poi di Sacred Heart parish (2006-2009). Nel 2009 è tornato al servizio del Saint John the Evangelist School of Theology di cui è diventato Rettore nel 2013. Dal 2009 è anche Vice-Cancelliere dell'arcidiocesi di Palo.

Il Papa ha nominato Vice Comandante della Guardia Svizzera Pontificia, col grado di Tenente Colonnello, l’Ill.mo Sig. Philippe Morard.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Furia Boko Haram: trucidati decine di fedeli in preghiera in una moschea.

Cambio di passo: il cardinale segretario di Stato sull'importanza della "Laudato si''" per la Chiesa e per il mondo.

Tra disagi e solidarietà: l'impegno umanitario per il soccorso dei migranti al centro del messaggio per la domenica del mare, il 12 luglio.

Un articolo di Claudio Toscani dal titolo "Il rovescio della tela": l'omaggio di Jo Baker a Jane Austen.

Silvia Guidi su quanta storia è nascosta in un catechismo: dall'Inghilterra edoardiana al Celeste impero.

Alla radice dell'idealismo: Marco Tibaldi sul morbo della specializzazione.

Mia dia del "voi" e non del "lei": Mussolini e l'autarchia linguistica in un articolo di Francesca Romana de' Angelis.

Manzoni e la virgola fuori posto: Gabriele Nicolò su grammatica e pigrizia.

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Oggi in Primo Piano



Tsipras: accordo dopo referendum. Mons. Rossolatos: cresce disperazione

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A due giorni dal referendum in Grecia, i sondaggi parlano di un elettorato diviso quasi a metà tra il sì e il no alla bozza di accordo proposta dai creditori di Atene: decisivo, quindi, sarà il voto dei cosiddetti “indecisi”, finora pari all’11 per cento. Il premier greco Tsipras, lanciando un nuovo forte appello per il "no", ha detto che un accordo sarà firmato dopo il voto, al massimo dopo 48 ore. Il Consiglio di Stato greco si potrebbe esprimere nelle prossime ore sulla legalità del referendum. Secondo il Fondo Monetario Internazionale le necessità di finanziamento complessive del Paese ammontano a 50 miliardi di euro fino a tutto il 2018. Il servizio di Roberta Barbi:  

“Non è troppo tardi; l’intesa è imminente”. Questa la posizione del ministro delle Finanze ellenico Varoufakis, che a una radio irlandese ha dichiarato: “Anche se domenica vincesse il no, c’è un accordo in vista”. E mentre stasera in piazza Syntagma il premier Tsipras lancerà l’ultimo appello ai connazionali affinché respingano le proposte dei creditori, rompe un silenzio durato cinque anni l’ex premier greco Karamanlis, sotto il cui mandato il deficit greco lievitò. “Il no sarà interpretato come la scelta della Grecia di uscire dall’Europa – ha detto l’esponente di Nea Democratia – così si espone il Paese a una serie di pericoli, anche di sicurezza nazionale”. E se appare chiaro che la divergenza ancora da superare si gioca sull’alleggerimento o meno del debito, il presidente della Commissione europea Juncker ha fatto sapere che anche se il risultato del referendum sarà sì “il negoziato sarà difficile”; in caso contrario, invece “la posizione della Grecia sarà drammaticamente indebolita”.  

Di una situazione "disperata" parla mons. Sevastianos Rossolatos, arcivescovo cattolico di Atene: 

R. – Vedo - anche camminando per strada - i pensionati in fila fuori delle banche per prelevare soltanto 60 euro al giorno e alcuni svengono per le ore che passano ad aspettare. Molti sono quelli che si alzano di notte e arrivano in banca alle 3 del mattino per essere i primi a prelevare i soldi. E’ una situazione veramente di disperazione. La cosa peggiore è che non si sa cosa accadrà da lunedì in poi.

D. – Lei si sente di dire qualcosa sul referendum del 5 luglio?

R. – La stazione televisiva statale cerca di convincerci a votare il ‘no’, secondo la posizione del governo. Tutte le altre stazioni televisive, però, fanno capire che uscire dall’euro sarà proprio la distruzione dell’economia. Quindi la gente non capisce, non sa cosa votare. Gli imprenditori si sono ribellati, perché capiscono che fuori dell’euro l’economia farà molta fatica a riprendersi, ci vorranno degli anni. Anche il sindaco di Atene e quello di Salonicco, apertamente, in televisione, invitano la gente a votare il ‘sì’, cioè a restare nell’euro.

D. – La gente, dunque, in questi giorni sta cercando semplicemente di accaparrare i beni di prima necessità - viveri, vestiti e così via – perché hanno paura per il futuro…

R. – Si vive in un’insicurezza totale. Anche le diocesi, le parrocchie devono pagare gli impiegati e non possono pagarli, perché non hanno soldi e se hanno soldi li devono depositare in modo elettronico nelle banche, dove la gente, però, non può andare a riscuoterli.

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Iraq. Warduni: il sangue degli innocenti irriga la terra

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In Iraq prosegue l’offensiva dell’esercito nella zona nord contro l’avanzata del sedicente Stato Islamico. In un colloquio con il vicepresidente degli Stati Uniti, Biden, il premier iracheno al Abadi ha precisato che le operazioni segnano continui progressi. La situazione degli sfollati iracheni, intanto, si fa sempre più drammatica. Mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei, ha lanciato un appello al dialogo e alla misericordia. Eugenio Bonanata lo ha intervistato: 

R. - La guerra è perdere. Il dialogo è vincere perché dal dialogo si arriva a un accordo, a una tregua, a mettere da parte le armi… Anche questi dell’Is  avranno mogli, sorelle, mamme, bambini! Ma non guardano a cosa succederebbe se qualcuno li cacciasse dalle loro case? Cosa sarebbe della loro vita?

D.  – Come fare per avviare il dialogo secondo lei?

R.  – Questa esperienza dovrebbero averla i capi delle nazioni perché se ciascuno rimane nella sua posizione non arriveremo mai ad alcuna soluzione. Perciò dovrebbero esserci persone mature, persone che vogliono l’interesse della gente, l’interesse dei bambini, dei poveri, degli anziani. Questo è il frutto della misericordia. Sappiamo bene che il Papa ha detto che questo è l’Anno della misericordia. La stessa misericordia per la quale i musulmani chiamano e dicono che “Dio è misericordia”: potrebbero già cominciare da qui, potrebbero avere la mente e un po’ il cuore per poter dialogare.

D. – Gli islamici moderati possono aiutare in questo percorso?

R. – Certamente, certamente e ci sono tanti musulmani che vogliono fare il bene anche con questa moderazione. In Iraq e nelle altre nazioni, abbiamo bisogno di questa gente che potrebbe almeno dare qualche speranza, qualche spiraglio di luce e dire “basta”. Dove siete? Perché diventare così sciocchi da non avere nessuna misericordia nel cuore? Cosa avete fatto di buono? Uccidere? E poi? Il sangue di tutta questa gente che non ha colpa irriga la terra… Sono venuti come matti per andare a fare la guerra. Ed è per questo che dicevo, diciamo, e diremo: non c’è mezzo migliore del dialogo, della misericordia.

D. – Qual è il suo auspicio per i cristiani e le altre minoranze in Iraq?

R.  – Io cerco sempre di essere ottimista però visto come vanno le cose, ci si muove quasi verso il pessimismo perché andiamo di peggio in peggio. Si vede e si piange. Questi bambini che vivono anche in caravan dove entra il caldo. In questo momento sono in macchina e la temperatura è di 48 gradi e dicono che arriverà a 55: quale colpa hanno questi bambini, gli anziani, i malati e le mamme di vivere in questa situazione? Io auspico tutto il bene per tutti quanti, ma la realtà non è questa. Perciò chiedo e supplico tutti i capi delle nazioni di guardare con misericordia umana alla situazione irachena.

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Attentati in Nigeria, 150 morti. Kaigama: serve aiuto internazionale

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In Nigeria è di quasi 150 morti il bilancio delle vittime, tutti fedeli musulmani, di una nuova ondata di attacchi dei terroristi di Boko Haram, compiuti anche da donne kamikaze, in particolare nella zona di Maiduguri, capitale dello Stato del Borno. Un gruppo di terroristi armati ha assaltato diversi villaggi, uccidendo padri e figli riuniti in preghiera in due moschee, mentre altri hanno scagliato la loro furia sulle donne, cercandole casa per casa. Nella moschea di Malari, sempre nello Stato del Borno, una giovane ragazza si è fatta esplodere uccidendo almeno 13 persone. Della violenza di Boko Haram, che continua a destabilizzare il Paese, colpendo sia cristiani che musulmani, Elvira Ragosta ha parlato con mons. Ignatius Kaigama, vescovo di Jos: 

R.  – Questa è la brutalità del gruppo, non sorprende che questo accada. Per loro quando uno non partecipa alla loro filosofia è nemico, bisogna ucciderlo. Per loro il rispetto per la vita, la sacralità della vita non esiste. E’ incredibile, ma è la realtà. Speriamo che con l’aiuto di Dio e con l’aiuto della comunità internazionale arriveremo a una soluzione.

D. – Quali sono i principali problemi nella zona di Maiduguri, che tipo di testimonianze ha ricevuto da questa zona?

R.  – Questa mattina è partito dalla mia casa il vescovo di Maiduguri e abbiamo parlato quasi tutta la notte dei problemi, dei rifugiati che stanno ritornando adesso ai loro villaggi. Ma il problema principale è che non hanno niente, non hanno una casa, non c’è da mangiare… Lui è preoccupato di queste persone che ritornano ma senza avere niente per ricominciare a vivere. Questo è un grande problema.

D. – Quest’ultima ondata di attentati ha provocato il numero di morti maggiore dall’insediamento del nuovo presidente. Secondo lei Boko Haram vuole continuare questa destabilizzazione di un Paese che vuole riprendere, che vuole cambiare rotta?

R. – Il nuovo governo, il presidente Buhari è pronto ad affrontare questa minaccia di Boko Haram. Però gli attacchi recentemente sono aumentati e lui sta facendo tutto il possibile per trovare la soluzione. Ma prima di riuscire ad avere successo sembra che purtroppo bisogna passare attraverso queste tragedie...

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Sudan: pena morte per due cristiani accusati di blasfemia e spionaggio

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In Sudan, nuovo episodio di persecuzione contro i cristiani: due pastori cristiano-evangelici, i rev.di Yat Michael e Peter Yein Reith rischiano la pena di morte per diverse accuse tra cui blasfemia e spionaggio. La stessa vicenda, esattamente un anno fa, aveva riguardato Meriam Ibrahim, cristiana all'ottavo mese di gravidanza e madre di un bambino, condannata a morte per apostasia e poi liberata sull'onda di una mobilitazione internazionale. Purtroppo, per i due pastori sembrano esserci poche speranze, come riferisce Antonella Napoli di "Italians for Darfur". Gabriella Ceraso l’ha intervistata: 

R. – Si tratta di accuse per le quali è prevista la pena di morte e nei prossimi giorni sarà emessa la sentenza. Questo avviene in un contesto di vera e propria persecuzione, perché da alcuni mesi la comunità evangelico-presbiteriana è presa di mira: sono state abbattute delle strutture della Chiesa e numerosi fedeli sono stati arrestati. È evidente quindi un tentativo da parte del governo sudanese di allontanare i cristiani.

D. – Si tratta di garantire una libertà religiosa che è nella Costituzione?

R. – Sì, è espressa nella Costituzione “ad interim” del Sudan e, proprio sulla base di questo principio, la vicenda di Miriam aveva trovato una soluzione. Infatti, in questo caso si parla di reati diversi, quindi c’è una sorta di accanimento nei confronti dei cristiani…

D. – Voi come “Italians for Darfur” avete chiesto aiuto al parlamento italiano, ma anche all’europarlamento: è successo qualcosa?

R. – Sono state raccolte centinaia di migliaia di firme, però visto quello che era successo con la vicenda di Miriam, e dopo le rassicurazioni che erano state date agli esponenti della nostra diplomazia, riteniamo che si possa fare di più. Purtroppo, al momento non vedo grossi margini di manovra per una soluzione positiva. E' un momento davvero di grande difficoltà per chi si batte per la difesa dei cristiani, in questo caso, ma per chiunque in Sudan venga sottoposto a violazione dei diritti umani.

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Mons. Spinillo su Carinaro (Whirlpool): si allontana un incubo

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Dopo l’accordo di ieri al Ministero dello Sviluppo Economico sulla Whirlpool, oggi assemblea allo stabilimento di Carinaro, in provincia di Caserta. Il piano industriale, rivoluzionato rispetto al primo testo, cancella i 2 mila licenziamenti in tutta Italia e la chiusura del sito produttivo in Campania, mentre mantiene oltre 500 milioni di investimenti. Per il segretario generale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, viene restituita “una missione produttiva a uno stabilimento che nel piano industriale iniziale era completamente morto".  Soddisfazione anche nella diocesi di Aversa. Alessandro Guarasci ha sentito il vescovo, mons. Angelo Spinillo: 

R. – Questo sembra allontanare un timore, un incubo in un certo senso, che pesava enormemente sulla situazione della nostra realtà sociale. La notizia che tutto questo viene ora ad essere sostituito da un nuovo piano - che prevede certamente una riduzione di personale, ma anche un accompagnamento per quelli che dovessero uscire dal lavoro e che modifica in parte il sistema di produzione - a noi fa piacere, perché soprattutto conserva nel territorio una struttura produttiva di notevole importanza per il numero delle persone coinvolte.

D. – Carinaro diventerà, in qualche modo, un po’ un centro all’avanguardia per la produzione di elettrodomestici. Questo vuol dire, secondo lei, che anche al Sud in sostanza si può fare una produzione di qualità?

R. – Io credo che il problema non sia più il luogo in cui si trova un sito produttivo, ma sicuramene anche le competenze e le capacità acquisite da lavoratori anche nel corso di questi anni, grazie all’impegno che hanno svolto nell’azienda. Credo che queste cose non siano più una difficoltà e credo che siano anche scelte che, di volta in volta, le direzioni fanno. Ci fa piacere che abbiano cambiato idea. Però nel giro di due mesi siamo passati dal crollo alla possibilità di edificare: allora questo vuol dire che dipende dalle scelte che si fanno. Però, forse, certe possibilità vanno valutate anche per tempo.

D. – Un ruolo importante lo ha avuto il governo. Lei che cosa chiede all’esecutivo affinché quell’area della Campania possa conoscere un “nuovo rinascimento” sociale ed industriale?

R. – Mi permetto, però, di dire anche che sono grato alla Prefettura della Casa Pontificia, perché ho chiesto che gli operai potessero essere in Piazza San Pietro con i loro striscioni e il 3 giugno scorso sono stati anche citati dal Santo Padre nei saluti. Il giorno dopo è arrivata la notizia che qualcosa di quel piano che sembrava portare alla chiusura della fabbrica si sarebbe potuto rivedere… Certo, il governo ha fatto la sua parte e noi siamo grati anche per questo: chiediamo, però, al governo di poter seguire sempre con attenzione e non solo come forma di mediazione, ma anche come possibilità di aiutare le comunità locali a progettare un po’ il loro futuro. Credo che su questo dovremmo fare un po’ di strada in più…

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Giornalisti minacciati: in Italia 2.351 casi dal 2006 a oggi

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Giornalisti minacciati in Italia. Secondo i dati dell’osservatorio sui giornalisti "Ossigeno per l’informazione", dal 2006 ad oggi si parla di 2.351 casi. “Proteggere i giornalisti, conoscere le verità scomode” è stato il tema del Convegno internazionale che si è svolto ieri a Roma al Senato. “Una stampa libera, indipendente e corretta - ha affermato il presidente del Senato, Pietro Grasso, presente all’incontro - credo sia un primo, insostituibile e formidabile antidoto all’affermazione della cultura dell’illegalità”. Il servizio di Alessandro Filippelli

Aggressioni fisiche, danneggiamenti, avvertimenti e ostacoli all’esercizio della professione giornalistica. I numeri diffusi da "Ossigeno per l’informazione" dicono che nei primi 182 giorni del 2015 in Italia sono stati minacciati 128 giornalisti. Il maggior numero di casi si è registrato nella Lombardia (36), nel Lazio (33) e a seguire Campania, Puglia e Sicilia (23). A questi poi vanno aggiunti altri 78 casi avvenuti negli anni passati, ma di cui si è venuti a conoscenza solo di recente e spesso trascurati dai media. Giuseppe Federico Mennella, segretario dell'osservatorio "Ossigeno per l'informazione":

“Per la verità, i giornali italiani non ne parlano quasi per nulla, a meno che non capiti il grande nome del giornalismo in cui una di queste trappole. Dei poveri, a quelli che prendono 5 euro a pezzo, di quelli che lavorano in piccole realtà editoriali, di questi davvero i grandi giornali, i medi giornali, i piccoli giornali non ne parla nessuno. Questo è lo sforzo che facciamo come 'Ossigeno'. Anche questo Convegno internazionale ha come scopo quello proprio di portare a non negare l’evidenza e a parlare di ciò che attraversa il giornalismo italiano”.

La Conferenza è stata un’occasione per confrontare proposte, pareri e opinioni su cosa sia più opportuno fare per rafforzare la protezione dei giornalisti di inchiesta, per frenare le querele strumentali e gli altri abusi che, non solo in Italia, ostacolano sempre più diffusamente la conoscenza di importanti informazioni. Don Luigi Ciotti, presidente di Libera:

“L’informazione o è libera o non è informazione, deve poter documentare con grande serietà. Ci sono giornalisti, bravi, liberi, coraggiosi, ma non bisogna dimenticarsi che a volte sono condizionati dagli editori, da segmenti della politica. Bisogna sostenere, aiutare e incoraggiare e non lasciare soli quanti non si fermano in superficie e scendono in profondità. Quanti continuano a fare inchieste serie, documentano in modo molto serio, attento, mai fazioso. Bisogna rimettere in grado il mondo dell’informazione, e qui ce n’è tanta, perché sia capace di scavare, di scendere in profondità. Ne abbiamo bisogno, perché è la cultura che dà la sveglia alle coscienze”.

Infine, "Ossigeno per l’informazione", insieme all’Associazione "Journalismfund", che ha organizzato un analogo convegno lo scorso maggio a Bruxelles, scriverà un rapporto per il Centro europeo per la Libertà di stampa e dei media di Lipsia, con il quale collabora alla realizzazione di un progetto sostenuto dalla Commissione Europea.

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Nella Chiesa e nel mondo



Caritas Giordania: Onu diminuisce aiuti a rifugiati siriani, è catastrofe

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I fondi dell'Onu per i profughi siriani stanziati in Giordania stanno per essere tagliati, e presto 450mila di loro potrebbero essere ridotti alla fame, con conseguenze devastanti anche per la stabilità del Regno Hascemita. L'allarme viene lanciato in queste ore da Wael Suleiman, direttore generale di Caritas Jordan. “Il World Food Program dell'Onu - riferisce Suleiman all'Agenzia Fides - ha avvertito da una settimana che, per mancanza di risorse, interromperà l'invio di fondi per i profughi siriani, già diminuiti in percentuale dal mese scorso. Ieri sui media giordani c'era la notizia che, se non arriveranno più i soldi dell'Onu, si interromperà la distribuzione di cibo per 450mila persone. Che così saranno costrette a rubare, se vogliono sopravvivere”.

Soldi per le armi, non per i rifugiati
I profughi siriani presenti sul territorio giordano sono attualmente un milione e 400mila, di cui solo 650mila registrati presso gli uffici dell'Onu. “Questa catastrofe - sottolinea Suleiman, in riferimento alla ventilata sospensione degli aiuti internazionali - è anche un effetto delle politiche e degli sconsiderati interventi militari realizzati in Medio Oriente delle potenze straniere. Adesso, dopo aver contribuito a creare il disastro, se ne lavano le mani anche dal punto di vista delle emergenze umanitarie. E' evidente a tutti che solo una grande conferenza di pace potrebbe avviare processi di ricostruzione per provare a uscire da questa situazione, insostenibile anche dal punto di vista economico. Ma evidentemente c'è chi ha interesse a perpetuare questo caos. I soldi non ci sono per dar da mangiare ai profughi, ma si trovano sempre soltanto per costruire, vendere e comprare le armi”. 

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Rapporto ong su lavoro minorile in Siria e Paesi limitrofi

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È una situazione decisamente drammatica quella che Unicef e Save the Children denunciano nel loro Rapporto, appena pubblicato, in materia di diffusione del lavoro minorile in Siria e nei Paesi limitrofi, comunque colpiti dalla crisi siriana, dove i minori stanno diventando i principali attori economici. Ciò è ancora più grave, come spiega il direttore regionale per Save the Children in Medio Oriente ed Eurasia, Roger Hearn, a causa delle condizioni in cui spesso sono costretti a lavorare, oltre al fatto che spesso per sostentarsi devono abbandonare la scuola, con il rischio evidente di “perdere una generazione” di siriani. A ciò, ovviamente, vanno aggiunti i dati drammatici dello sfruttamento sessuale e nelle attività illecite, come l’accattonaggio organizzato e il traffico di bambini.

Il pericolo della "Lost generation"
Secondo i dati raccolti, in Iraq, ad esempio, i tre quarti dei bambini rifugiati siriani lavorano e nel Kurdistan uno su tre è avvicinato dai reclutatori dei bambini soldato. In Libano addirittura lavorano bambini di sei anni e tra quelli che vivono in strada ci sono molte bambine. Ancora: in Giordania molti bambini rifugiati dalla Siria lavorano nel campo profughi di Za’tari, mentre in Turchia a lavorare sono anche bambine di otto anni. Unicef e Save the Children hanno a questo proposito avviato l’iniziativa “No lost generation”, che si prefigge di migliorare l’accesso ai mezzi di sussistenza, di garantire un’istruzione sicura e di qualità ai bambini e di investire per rafforzare i sistemi e i servizi di protezione dell’infanzia a livello nazionale e comunitario. (R.B.)   

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Ebola. Tre nuovi casi in Liberia, contagio da cane infetto

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Torna a colpire il virus ebola in Liberia, dopo che sette settimane fa l’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) aveva dichiarato il Paese “ebola-free”, cioè libero finalmente dal virus. Tre sarebbero i nuovi casi, tutti nel villaggio di Nedowein, a circa 50 km dalla capitale Monrovia: un ragazzo di 17 anni, già morto, e due giovani di 24 e 27, attualmente ricoverati in ospedale.

Il messaggio delle autorità
Sulla vicenda è intervenuto pubblicamente il viceministro della Salute, Tolbert Nyenswah, il quale ha precisato che i due malati versano attualmente in condizioni stabili, mentre i 14 operatori sanitari che sono venuti in contatto con loro sarebbero sotto osservazione, ma per ora non ci sono altri casi sospetti o probabili.

Il contagio
Secondo quanto finora si è capito, i tre non avrebbero viaggiato di recente nei Paesi dove l’epidemia ancora è in corso: responsabile del contagio potrebbe essere, dunque, la carne di un cane infetto che i tre avrebbero condiviso. Finora, ci sono soltanto prove della possibilità che Ebola sia trasmissibile attraverso la carne di animali morti, soprattutto scimmie, ma sarebbe la prima volta per un cane. Potrebbe essere, invece, un’antilope la causa di un focolaio appena riaccesosi a Masambio, villaggio a 270 km da Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. (R.B.)

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Vescovi Honduras: rilanciare dialogo per vincere violenza e corruzione

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È stata intitolata “Per un Honduras migliore” la lettera pastorale che i vescovi del Paese centramericano hanno diffuso a sostegno delle decine di migliaia di manifestanti che hanno protestato, nei giorni scorsi, contro il dilagare della corruzione. Ne dà notizia l’agenzia Fides, precisando che si tratta di una lettera in cui i presuli propongono concretamente “un dialogo per la pace sociale”.

Invito al dialogo
Nei giorni scorsi il presidente honduregno Juan Orlando Hernández ha incontrato diversi vescovi e in particolare il vescovo ausiliare della capitale Tegucigalpa, mons. Juan José Pineda - che è anche presidente della Commissione giuridica della Conferenza episcopale locale – il quale ha poi invitato tutti i settori della società a unirsi in dialogo, raccogliendo proprio l’invito del presidente. Il Paese versa in una situazione difficile soprattutto a causa del dilagare di violenza e corruzione, perciò il vescovo ha precisato che la Chiesa – al di là da chi lo proponga – raccoglierà sempre e comunque l’invito a un dialogo partecipato e più ampio possibile.

Il ruolo della Chiesa in Honduras
A questo proposito mons. Pineda ha precisato che la Chiesa cattolica si è offerta anche di fornire moderatori per il dialogo, così da assicurare maggiore democrazia e trasparenza. “Si tratta di una cosa importante – ha detto – perché è l’unico modo per riuscire a chiarire disaccordi o divergenze”. Il presule ha quindi ribadito che essendo coinvolti nel dialogo proposto dal presidente della Repubblica tutti i settori della società, come tali i vescovi non potevano mancare. (R.B.)   

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Filippine. Aperto l’Anno Giubilare della Madonna di Baclaran

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Migliaia di pellegrini dall’area metropolitana di Manila, capitale dell’arcipelago filippino, e dalle province limitrofe si sono ritrovati nei giorni scorsi nel Santuario di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso di Baclaran per partecipare alla solenne apertura dell’Anno Giubilare della Madonna del Perpetuo Soccorso, assieme ai Padri Redentoristi locali. L’Anno si chiuderà in tutto il mondo il 27 giugno 2016 e sarà celebrato all’insegna dello slogan “Madre del Perpetuo Soccorso Icona di Amore”. L’evento è stato indetto per commemorare il 150.mo anniversario dell’affidamento in custodia dell’immagine alla Congregazione fondata da Sant'Alfonso Maria de’ Liguori con l’obiettivo di “farla conoscere in tutto il mondo”. 

La Madonna del Perpetuo Soccorso venerata dai filippini dal 1948
A presiedere la solenne Messa di apertura - riporta Cbcpnews - è stato mons. Jesse E. Mercado, vescovo di Parañaque, che nell’omelia ha ricordato come da quando il culto della Madonna del Perpetuo Soccorso è stato introdotto nel Paese dai Redentoristi, nel 1948, la Vergine è stata fonte di forza e ispirazione per tantissimi filippini che cercano costantemente il suo materno conforto e la sua protezione.

La proclamazione ufficiale a Roma nella Chiesa di Sant’Alfonso
E' stato il superiore generale dei Redentoristi, padre Michael Brehl, a proclamare ufficialmente l’Anno Giubilare della Madonna del Perpetuo Soccorso a Roma, durante una solenne celebrazione il 27 giugno scorso nella Chiesa di Sant’Alfonso, dove viene venerata l’icona originale. Giunta nella città da Creta nel ’500, per circa tre secoli l’icona è rimasta esposta nella chiesa di San Matteo, con la fama di essere miracolosa. In seguito alla distruzione di questa chiesa da parte delle truppe napoleoniche, l’icona era stata trasferita in una cappella privata dei Padri Agostiniani. Con il tempo era stata dimenticata, fin quando fu ritrovata dai Redentoristi ai quali venne affidata da Pio IX nel 1866.

Per l’Anno Giubilare concessa l’indulgenza plenaria
Nell’ambito delle celebrazioni per l’Anno Giubilare e per mandato di Papa Francesco, la Penitenzieria Apostolica ha concesso l’indulgenza plenaria alle consuete condizioni. Come recita il rescritto, essa “può essere ottenuta qui in questa Chiesa di Sant’Alfonso, Roma, e nelle singole Chiese della Congregazione del Santissimo Redentore (i Redentoristi), dai fedeli cristiani veramente pentiti e mossi dalla carità, che faranno un pellegrinaggio all’icona della Beata Vergine Maria del Perpetuo Soccorso e qui prenderanno devotamente parte ai riti giubilari o almeno dedicheranno un tempo alle riflessioni pie, che si concludono con la preghiera del Signore, il Credo e le invocazioni alla Beata Vergine Maria”. (L.Z.)

 

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Gerusalemme. Posta la prima pietra del "Terra Sancta Museum"

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Un centro culturale vivo per far conoscere i legami tra la città di Gerusalemme e le tradizioni cristiane, locali ed internazionali, dai primi secoli fino ai nostri giorni: questo vuole essere il Terra Sancta Museum. Lo ha spiegato il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, alla cerimonia della posa della prima pietra del complesso che sarà dedicato alle radici del cristianesimo e alla conservazione dei Luoghi Santi, nel Convento della Flagellazione. La cerimonia si è svolta nel Lapidarium, una delle future sedi museali e importantissimo sito archeologico che contiene anche resti dell’epoca di Gesù. Una pergamena a ricordo dell’evento, vergata da padre Pizzaballa e dal segretario di Terra Santa padre Sergio Galdi, è stata interrata nel piano pavimentale sotto la pietra di fondazione del nascente museo.

I sostenitori del Terra Sancta Museum
Sono intervenuti il console generale d’Italia Davide La Cecilia, in rappresentanza del consolato che ha contribuito al progetto; il console aggiunto di Spagna Javier Parrondo, che ha garantito il sostegno della Spagna; il console generale di Francia Hervé Magro; l’ambasciatore della Turchia Mustafa Sarnıç; il console generale del Belgio Bruno Jans; e Dorothy Shea, capo missione del Consolato degli Stati Uniti. I nomi dei sostenitori sono stati incisi su alcune lastre in pietra locale, momentaneamente collocate vicino alla pietra di fondazione. Al progetto è ancora possibile aderire attraverso l’Associazione pro Terra Sancta, che coordina anche tutte le attività di realizzazione del museo che tra l’altro esporrà centinaia di oggetti, molti dei quali doni dei regni d’Europa o risalenti al periodo bizantino, mamelucco, ottomano e a diversi secoli prima.

Un complesso museale all’avanguardia suddiviso in tre sezioni destinato ad ampliarsi
“Sappiamo perfettamente di non esseri gli unici cristiani di Gerusalemme – ha aggiunto il custode di Terra Santa –. Ci auguriamo che in futuro le altre Chiese si uniscano a questo progetto, e che un giorno ci sia un network di centri, non solo cristiani, che permetta a tutti i visitatori, e soprattutto alle comunità residenti, di respirare l’eccezionale peculiarità di Gerusalemme”. Il Terra Sancta Museum avrà 3 sezioni, riferisce il portale della Custodia di Terra Santa, una sarà multimediale e offrirà una esperienza nuova ai visitatori e ai pellegrini che iniziano il loro cammino della Via Dolorosa verso il Santo Sepolcro dal Convento della Flagellazione. Padre Eugenio Alliata, direttore del museo, ha precisato che, secondo le statistiche ufficiali, più di un milione di persone attraversano la Via Dolorosa ogni anno, indice del fatto che questo percorso sui passi di Gesù è sentito come un’esperienza importante. Il museo accoglierà poi importanti reperti dal punto di vista archeologico e dal punto di vista storico artistico legati alla storia dei francescani dal 1200 in poi in Terra Santa. La sezione storica sarà ospitata nel convento di San Salvatore. (A cura di Tiziana Campisi)

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Pellegrinaggio dei tre popoli al Santuario della Madonna del Monte dei Lussari

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Si svolge questo sabato il cosiddetto “Pellegrinaggio dei tre popoli” che da oltre trent’anni conduce i fedeli friulani, sloveni e carinziani al Santuario della Madonna del Monte dei Lussari, che accoglie i pellegrini con la sua testimonianza di fede e spiritualità. Il tema dell’edizione 2015 è “Con Maria incontro a Gesù, volto della Misericordia”.

Il messaggio dell’arcivescovo
In occasione del pellegrinaggio, l’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, ha scritto un messaggio ai fedeli della sua diocesi che parteciperanno e che s’incontreranno con quelli delle diocesi di Ljubljana e di Gurk-Klagenfurt per vivere insieme “un intenso momento di preghiera e di affidamento all’intercessione della Vergine Maria”. L’arcivescovo ha inoltre ricordato le origini di questo pellegrinaggio, che affonda le sue radici nel 1982, organizzato per la prima volta dai friulani che volevano ringraziare i popoli vicini che li avevano aiutati nella ricostruzione dopo il terribile terremoto di Gemona del 1976. Quest’anno, poi, il pellegrinaggio è vissuto come una preparazione al Giubileo straordinario della Misericordia voluto da Papa Francesco per “contemplare il mistero della Misericordia, fonte di gioia, serenità e pace, condizione della nostra salvezza”. (R.B.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 184

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.