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Sommario del 13/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



La festa con i giovani. Il Papa: chiedete a Gesù un cuore libero

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Papa Francesco è rientrato a Roma concludendo così il suo viaggio in America Latina, durato 9 giorni. L’aereo papale è atterrato all’aeroporto di Ciampino verso le 13.40. Poi la consueta visita di ringraziamento alla Vergine nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ecuador, Bolivia e Paraguay, i tre Paesi visitati dal Pontefice. Ieri, ultimo atto del suo nono viaggio internazionale, la grande festa con i giovani sulla spiaggia di Costanera, ad Asunción, lungo il fiume Paraguay. Il Papa ha indicato ai giovani tre orizzonti: un cuore libero, la solidarietà tra fratelli e la speranza riposta in Gesù. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Davanti ad una festosa moltitudine, Papa Francesco accantona il discorso preparato e parla interamente a braccio. L’incontro si apre con cori e balli. Poi le testimonianze di due giovani precedono il discorso del Santo Padre. Una ragazza, Liz, ricorda che da diversi anni accudisce la nonna e la mamma gravemente malate. Un ragazzo, Manuel, racconta di aver vissuto le drammatiche esperienze della povertà e dell’abbandono.

Un cuore libero
Il Papa sottolinea che la libertà è dono di Dio. Ma occorre saperla ricevere e avere un cuore libero da tanti vincoli come lo sfruttamento, la mancanza di mezzi di sussistenza, la dipendenza dalla droga, la tristezza. E poi invita i giovani a pregare:

“Señor  Jesús…
“Signore Gesù, dammi un cuore libero che non sia schiavo di tutti gli inganni del mondo. Che non sia schiavo della comodità e dell’inganno. Che non sia schiavo della ‘bella vita’. Che non sia schiavo dei vizi. Che non sia schiavo di una falsa libertà, che è fare quello che mi piace in ogni momento”.

Solidarietà tra fratelli
Il Papa ricorda poi la storia di Liz, la ragazza che vive con la nonna e la mamma gravemente malate. La giovane ha detto che all’inizio era impreparata ma poi, grazie anche alla solidarietà degli amici, ha trovato la forza per andare avanti. L’esperienza di Liz – osserva il Papa – ci insegna che non bisogna essere come Ponzio Pilato. Liz avrebbe potuto mettere la madre e la nonna in un ospizio e vivere la sua vita di giovane. Invece con amore – aggiunge il Papa – ha compiuto il quarto comandamento: onora il padre e la madre.

“Es un grado altissimo de solidaridad…
E’ un grado altissimo di solidarietà, è un grado altissimo di amore”.

La speranza è in Gesù
Il Papa ricorda quindi la storia di Manuel, il ragazzo che ha raccontato di aver vissuto un’infanzia difficile, segnata da violenze e sfruttamento che lo aveva portato sull’orlo della tossicodipendenza. Poi l’incontro con Gesù lo ha salvato. La disperazione spinge molti giovani verso la delinquenza: dobbiamo dire a questi giovani – afferma il Papa – che siamo loro vicini e che li vogliamo aiutare con amore.

Gesù, insegnaci a servire
Il Santo Padre esorta infine i giovani a far sentire la loro voce e chiede a tutti di unirsi a questa sua preghiera:

“Jesús, te pido…
“Gesù, ti chiedo per i ragazzi e le ragazze che non sanno che Tu sei la loro forza e che hanno paura di vivere; paura di essere felici, che hanno paura di sognare. Gesù, insegnaci a sognare, a sognare cose grandi, cose belle, cose che anche se possono sembrare quotidiane, sono cose che allargano il cuore. Signore Gesù, donaci la forza, donaci un cuore libero, donaci speranza, donaci amore e insegnaci a servire”.

Nel testo consegnato il Papa esorta ad essere amici di Gesù
Nel testo consegnato, il Papa sottolinea che “l’amicizia è uno dei doni più grandi che una persona, che un giovane può avere e può offrire”. “Uno dei segreti più grandi del cristiano si radica nell’essere amici, amici di Gesù”. Il Pontefice ricorda che mentre la strategia del demonio è quella “di promettere molto e non fare nulla” - è un "venditore di fumo" - Gesù ci mostra un’altra strada: “Ci indica una via che è vita e verità”. “La felicità, quella vera, quella che riempie il cuore – aggiunge – non si trova nei vestiti costosi che indossiamo, nelle scarpe che ci mettiamo, nell’etichetta di una determinata marca”. “La felicità vera – osserva – sta nell’essere sensibili, nell’imparare a piangere con quelli che piangono, nello stare vicini a quelli che sono tristi, nel dare una mano, un abbraccio”. “Felici - conclude - coloro che sanno mettersi nei panni dell’altro, che hanno la capacità di abbracciare, di perdonare”.

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Francesco: cristiano è chi sa accogliere, la Chiesa è casa dell'ospitalità

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Un milione di fedeli ha partecipato ieri al parco di Ñu Guazú, ad Asunción, all'ultima Messa presieduta da Papa Francesco nel suo viaggio in America Latina. Significativa la simbologia della struttura in cui è stato posto l'altare, tutta ricoperta da spighe, pannocchie di mais, cocco e altri frutti, poi donati ai più bisognosi. In cima una grande croce, ai lati le icone realizzate con dei grani di mais, semi di zucca e girasole raffiguranti San Francesco di Assisi e Sant’Ignazio di Loyola, in omaggio alle missioni francescane e gesuite, le prime ad evangelizzare la terra paraguaiana. Nell'omelia, il Papa ha ricordato che il cristiano è una persona che accoglie. Il servizio di Adriana Masotti: 

Cristiano è colui che ha imparato ad ospitare
La Chiesa e la famiglia umana nel pensiero di Dio che non contrasta anzi, realizza ciò che di più profondo c’è in ognuno: è questo che Papa Francesco descrive nella sua omelia. Il Vangelo della domenica parla dei discepoli che Gesù invia dando loro regole chiare e precise, indicando una serie di comportamenti che possono sembrare esagerati o assurdi: “Non prendete per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro… rimanete nella casa dove vi daranno alloggio”. È una pagina che “ci presenta la carta d’identità del cristiano”, dice il Papa. Ma c’è una parola-chiave, una parola centrale nella spiritualità cristiana: ospitalità. Rimanete dove vi accoglieranno … potremmo dire dunque, afferma il Papa, “che il cristiano è colui che ha imparato ad ospitare, ad accogliere”:

"Gesù non li invia come potenti, come proprietari, capi, carichi di leggi, norme; al contrario, indica loro che il cammino del cristiano è trasformare il cuore, il suo e quello degli altri. Imparare a vivere in un altro modo, con un’altra legge, sotto un’altra normativa. E’ passare dalla logica dell’egoismo, della chiusura, dello scontro, della divisione, della superiorità, alla logica della vita, della gratuità, dell’amore. Dalla logica del dominio, dell’oppressione, della manipolazione, alla logica dell’accogliere, del ricevere, del prendersi cura".

Non si evangelizza con le strategie ma con l'accoglienza
Quante volte, dice Francesco, pensiamo la missione sulla base di progetti o programmi. L’evangelizzazione mediante strategie, tattiche e manovre; invece “nella logica del Vangelo non si convince con le argomentazioni, le strategie, le tattiche, ma semplicemente imparando ad ospitare":  

"La Chiesa è la madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa è la casa dell’ospitalità. Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto (....) Ospitalità con l’affamato, con lo straniero, con il nudo, con il malato, con il prigioniero, con il lebbroso, con il paralitico. Ospitalità con chi non la pensa come noi, con chi non ha fede o l’ha perduta e qualche volta per colpa nostra. Ospitalità con il perseguitato, con il disoccupato. Ospitalità con le culture diverse, di cui questa terra è così ricca. Ospitalità con il peccatore, perché tutti lo siamo".

La fraternità vince il male della solitudine
C’è una radice, dice il Papa, che causa tanti danni, che distrugge silenziosamente tante vite: la solitudine! Ci separa dagli altri, da Dio, dalla comunità. Ci rinchiude in noi stessi:

"Perciò, quello che è proprio della Chiesa, di questa madre, non è principalmente gestire cose, progetti, ma imparare a vivere la fraternità con gli altri. È la fraternità accogliente la migliore testimonianza che Dio è Padre, perché 'da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri'".

Nessuno può obbligarci a non essere accoglienti
In questo modo, continua il Papa, Gesù ci apre ad una nuova logica. Un orizzonte pieno di vita, di bellezza, di verità. Lui, donatoci dal Padre, è la Parola definitiva per tante situazioni di esclusione, di disgregazione, di chiusura, di isolamento, di solitudine:

"Una cosa è certa: non possiamo obbligare nessuno a riceverci, ad ospitarci; è certo ed è parte della nostra povertà e della nostra libertà. Ma è altrettanto certo che nessuno può obbligarci a non essere accoglienti, ospitali verso la vita del nostro popolo. Nessuno può chiederci di non accogliere e abbracciare la vita dei nostri fratelli, soprattutto di quelli che hanno perso la speranza e il gusto di vivere".

La Chiesa è madre che accoglie
La Chiesa è madre, come Maria. In lei che ha ospitato la Parola di Dio, conclude il Papa, abbiamo un modello:

"Così vogliamo essere noi cristiani, così vogliamo vivere la fede in questo suolo paraguaiano, come Maria, accogliendo la vita di Dio nei nostri fratelli con fiducia, con la certezza che: Il Signore ci darà la pioggia e la nostra terra darà il suo frutto”.

La Chiesa, casa di tutti
A Maria il Papa rivolge lo sguardo anche nel pensiero che precede la preghiera dell’Angelus: come in molti altri Paesi dell’America Latina, dice Francesco, la fede dei paraguaiani è impregnata di amore alla Vergine. Non cessate, dunque, di invocare Maria. Con il suo aiuto, la Chiesa sia casa di tutti, una casa che sappia ospitare, una madre per tutti i popoli. E’ il momento del saluto finale:

“Cari fratelli, vi chiedo, per favore, di pregare anche per me. So bene quanto si voglia bene al Papa in Paraguay. Anch’io vi porto nel mio cuore e prego per voi e per il vostro Paese”.

L'abbraccio con l'esarca Tarasios
Prima dell'Angelus, commovente l’abbraccio di Papa Francesco con l’arcivescovo metropolita di Buenos Aires ed esarca per l’America meridionale, Tarasios Antonopoulos, che gli ha portato i saluti del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e rivolto parole di gratitudine per averlo accolto in questa giornata in Paraguay. L’arcivescovo si è augurato anche di vedere presto il Papa in Argentina.

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Pace e prosperità: telegrammi del Papa nel viaggio di ritorno a Roma

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Gratitudine e affetto all’amato popolo del Paraguay: così, Papa Francesco scrive nel telegramma al presidente del Paese latinoamericano, Manuel Cartes Jara, nel sorvolo per il viaggio di ritorno a Roma. Anche nel messaggio al presidente boliviano, Evo Morales, il Pontefice sottolinea l’affetto e il ringraziamento al popolo per la grande accoglienza ricevuta e auspica “un’armoniosa convivenza e una pace stabile”. Un futuro “sereno e felice” il Papa lo augura ai brasiliani, nel telegramma al presidente Dilma Roussef, mentre per Capo Verde auspica che sia “consolidata la speranza e la gioia del vivere nell’armonia”. Nel telegramma al presidente, Jorge Carlos Fonseca, Francesco sottolinea inoltre che in Ecuador, Bolivia e Paraguay ha visto "un'ardente fede cristiana e una ferma volontà di progresso nella giustizia”.

“Prosperità sociale e spirituale”, chiede il Papa per il popolo del Marocco, nel telegramma al re Mohammed VI. Il Papa prega dunque per “un’armoniosa convivenza” e “abbondanti doni celesti” per la Spagna, in un telegramma a re Filippo VI. Infine, in un telegramma al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, Francesco assicura una “speciale preghiera per il bene, la serenità e la prosperità” del popolo italiano.

Nel suo messaggio di “bentornato” al Papa, il presidente Mattarella si dice “certo che il suo forte messaggio di speranza abbia toccato il cuore dei numerosi fedeli” che l'hanno accolto “calorosamente” nei loro Paesi. Quindi, esprime l’auspicio che i popoli di Ecuador, Bolivia e Paraguay sapranno trovare nelle sue parole “motivo di fiducia nel futuro e incoraggiamento per rilanciare il dialogo e la collaborazione sul piano regionale”.

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Lombardi: accolto messaggio del Papa, cambiare è possibile

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Un viaggio assolutamente positivo, con un messaggio di grande speranza per tutto il popolo latinoamericano: è questo il bilancio che traccia padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, della missione di Papa Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Ascoltiamo la sua riflessione al microfono della nostra inviata in Paraguay, Linda Bordoni: 

R. – Effettivamente Papa Francesco, venendo in America Latina, ha trovato un’accoglienza straordinaria. Lo abbiamo visto lungo le strade, sin dalla prima sera, che non si è mai fermata questa ondata di attenzione e di presenza popolare lungo le strade. A parte i grandi momenti di incontro nelle Messe, nelle celebrazioni in cui erano presenti centinaia di migliaia di persone e anche un milione di persone, lungo le strade ne abbiamo avuti molti di più in tutti gli avvenimenti, in tutte le giornate, in tutti i luoghi attraverso cui il Papa è passato. Io credo, quindi, che il primo aspetto interessante e che colpisce profondamente di questo viaggio sia proprio la risposta profondissima e amplissima da parte dei popoli visitati alla visita del Papa: risposta anzitutto di attenzione, di amore, di affetto, ma anche di accoglienza delle sue parole, accoglienza della sua presenza già come significativa in sé stessa, ma anche poi dei suoi messaggi, delle sue parole, come incoraggiamento, come orientamento, come fonte di speranza e di fiducia per il futuro, di cui questi popoli hanno bisogno. Sono popoli che vivono un momento delicato della loro storia, un momento di passaggio: hanno una situazione generalmente migliore di quella del passato dal punto di vista anche delle forme di governo che hanno avuto, ma ci sono però ancora dei problemi gravissimi: problemi gravissimi di povertà, di iniquità, di emarginazione di persone, di difficoltà di integrazione di gruppi nella società, perché sono in condizioni di inferiorità per diversi motivi. Ecco, tutto questo è stato vissuto con un atteggiamento molto positivo: il Papa è stato capace di dare un messaggio positivo e di incoraggiamento a questi popoli in cammino e di dimostrare che la Chiesa, con umiltà e con molto affetto, si fa vicina, partecipa e non è separata dal destino di questi popoli, ma è solidale con questi popoli, profondamente, e può incoraggiarli, ispirarli nella loro strada. Il Vangelo, proprio il Vangelo di Gesù Cristo, come Vangelo di amore, di perdono, di misericordia, costruisce e aiuta a costruire una società e un mondo di relazioni, di solidarietà, di amore, di gratuità che permette di cambiare una situazione che invece sta portando le conseguenze di criteri e di principi diversi di organizzazione della società, interessi economici, poteri, che non mettono al centro il bene comune o il bene della persona e la sua dignità, ma degli interessi particolari. Allora, come si fa questa rivoluzione, questo cambiamento? Papa Francesco ha molto aiutato a capire e a prendere gli atteggiamenti giusti, a partire dall’ispirazione cristiana, ma traducendola poi in atteggiamenti umani che sono stati raccolti con molta gioia e con molta disponibilità dalle persone che lo hanno incontrato.

D. – Qual è il filo rosso che ha collegato Ecuador, Bolivia e Paraguay?

R. – Il tema di questo viaggio era la gioia di annunciare il Vangelo e questo valeva per tutti e tre i Paesi: quindi era proprio l’ispirazione di questo Pontificato che veniva riportata verso il continente latinoamericano. Il Papa annuncia il Vangelo, annuncia un Vangelo che non è staccato dalle realtà del mondo, ma che è capace di animare l’impegno della Chiesa e di ispirare anche l’impegno di tutte le persone di buona volontà, che hanno un orecchio aperto per il messaggio di questo Papa, che incontra una grande attenzione anche al di fuori dei confini della Chiesa.

D. – Il Papa è forse un po’ stanco, ma contento…

R. – Certamente il Papa ha portato la fatica di questo viaggio con una forza, con un coraggio, ma anche con una naturalezza straordinaria. Noi siamo già abituati - a dire il vero - a vedere il Papa così energico, così sempre pieno di atteggiamento positivo e in grado di svolgere un’attività straordinaria - anche pensando alla sua età - e di intensità grande sia per le cose che vengono fatte, sia per l’intensità con cui viene vissuta, perché il Papa mette se stesso in quello che dice, mette se stesso negli incontri con le persone. E qui sono giorni e giorni consecutivi di attenzione intensa e specifica a malati, a persone povere, a persone che si incontrano lungo la strada, a persone che hanno un qualcosa da dirgli… E poi momenti di celebrazione molto commoventi, come quello al Santuario di Caacupé, in cui il Papa ha vissuto questo momento di grande devozione con il popolo, che è così attento e così affezionato alla Madre di Dio, qui in Paraguay. Quindi una intensità continua: non ci sono momenti vuoti o momenti senza impegno. Il Papa dice sempre che ha una grande grazia di Dio che lo aiuta; una “grazia di stato” che il Signore gli ha dato dandogli questo compito: gli ha dato anche l’aiuto necessario per poterlo svolgere bene. E questo certamente è stato sperimentato, ancora una volta, anche in questo viaggio.

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Il Papa: aprire il cuore a Cristo per rivitalizzare le parrocchie

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Una conferenza che rappresenta “un’occasione importante non solo per riflettere sui programmi di evangelizzazione, ma anche per riaccendere nei fedeli l’amore e la gioia che scaturiscono dall’incontro personale con Gesù”: scrive così Papa Francesco in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, inviato a “Proclaim 15”, la prima Conferenza nazionale sulla nuova evangelizzazione nel Regno Unito.

Progetto per un’evangelizzazione più “creativa
Tenutasi sabato scorso a Birmingham, l’iniziativa ha visto la presenza di 900 operatori pastorali provenienti da tutte le 22 diocesi del Paese e ha rappresentato uno degli appuntamenti centrali di “Proclaim 15” (“Annunciare 2015”), il progetto missionario lanciato dall’episcopato locale lo scorso gennaio per sostenere, ispirare e incoraggiare le parrocchie del Paese ad un’evangelizzazione più “creativa”, come auspicato da Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”. In quest’ottica, il messaggio del Pontefice ha voluto “incoraggiare tutti i partecipanti ad aprire il loro cuore a Cristo, affinché essi possano, a loro volta, rivitalizzare le loro parrocchie, formando comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario”. (EG, 28) Il messaggio di Papa Francesco si conclude con l’assicurazione della sua “vicinanza spirituale e preghiera” a tutti gli intervenuti alla conferenza e con il loro affidamento a “Maria, Madre della Chiesa”.

Card. Nichols: le tre C dell’evangelizzazione
Alla giornata di sabato sono intervenuti diversi relatori, tra cui il card. Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, il quale ha articolato il suo intervento sulle tre “C” dell’evangelizzazione. La prima – ha detto – riguarda “i nostri colleghi che hanno smarrito la strada”, ovvero i cattolici non praticanti, coloro che “hanno sentito parlare di Gesù, conoscono alcune sue parole, hanno familiarità, in un certo senso, con la Chiesa”, ma non la frequentano più. Di qui, l’esortazione del porporato affinché essi possano, “passo dopo passo, conoscere Gesù più chiaramente”. 

I cattolici non stiano sulla difensiva
La seconda “C”, ha aggiunto il card. Nichols, è quella della curiosità, perché essa, “anche se venata dall’ostilità, può rappresentare una meravigliosa opportunità” di evangelizzazione, purché i fedeli ricordino che “nella curiosità risiede il suggerimento dello Spirito Santo”. “Se si dimentica questo particolare – ha sottolineato il porporato – allora vuol dire che siamo sulla difensiva e perdiamo l’opportunità di evangelizzare”.

Solo con la preghiera l’evangelizzazione diventa efficace
Infine, la terza “C” è quella del “clamore del cuore umano”, un grido di “confusione, dolore, fame, solitudine, bisogno, rabbia”. “Qualunque cosa si faccia per rispondere a questo grido nel mondo – ha spiegato il porporato – bisogna unire tale grido alla preghiera, perché solo così si realizzerà la missione di Gesù” e “l’opera evangelizzatrice sarà efficace”.

Focus sui social media ed il Giubileo della Misericordia
​Articolata in undici workshop, la conferenza ha riflettuto, grazie a numerose testimonianze dirette, su come evangelizzare, con modalità e metodi nuovi, per rendere più efficace la missione della Chiesa  in una delle società più secolarizzate del mondo. Centrali sono state anche l’analisi dei social media e la riflessione sul Giubileo straordinario della Misericordia che si aprirà il prossimo 8 dicembre. (I.P.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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A conclusione del viaggio del Papa, in prima pagina un editoriale del direttore dal titolo "La festa del Vangelo".

Sempre più cattolico: il viaggio del Pontefice visto dalla stampa internazionale.

Intesa europea sulla Grecia.

Cimitero Mediterraneo: altri cadaveri di migranti recuperati al largo della Tunisia.

Fra i boscaioli di Fortín Olmos: Gabriele Nicolò ricorda il sacerdote e missionario Arturo Paoli, morto all'età di 102 anni.

Una e non centomila: nuova biografia di Giovanna d'Arco.

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Oggi in Primo Piano



Accordo per salvare la Grecia: riforme subito e fondo di garanzia

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Sul caso Grecia, dopo un giorno e una nottata di negoziati, è stata raggiunta l’intesa. Atene resta nell'euro ma ha dovuto accettare il ritorno dei controlli della Trojka ad Atene, mentre il governo Tsipras aveva ottenuto incontri solo a Bruxelles, e la reintroduzione dei licenziamenti collettivi oltre all'impegno ad approvare in tempi record, entro mercoledì, il primo set di riforme, tra cui il rialzo dell’Iva e il taglio delle baby pensioni. Approvato anche un fondo di asset greci, a garanzia del debito, da stabilire ad Atene, e non in Lussemburgo, come inizialmente richiesto. Tutto questo, se andranno a buon fine i prossimi passaggi tecnici, darà il via al terzo salvataggio da 80-86 miliardi di euro, di cui 25 andranno immediatamente alle banche greche, congelate da giorni. In defiitiva, il governo Tsipras ha accettato condizioni più dure di quelle che gli erano state prospettate nelle precedenti proposte. Fausta Speranza ne ha parlato con Francesco Saraceno, direttore della Scuola di politica Economica Europea della Luiss: 

R. – E’ così! Inevitabile se si considera – diciamo così – l’arretratezza politica della scelta che ha fatto Tsipras di convocare il referendum. Tsipras rappresenta un governo ed una élite politica che non ha consapevolezza delle implicazioni dell’interdipendenza all’interno dell’area monetaria dell’euro e con quel referendum ha creato una divaricazione incolmabile. L’accordo che è stato imposto a Tsipras è una evidente dimostrazione che nessuno si fida più di lui, neppure i francesi… L’esito probabile di questa imposizione incredibile e senza precedenti è una crisi del governo Tsipras e la formazione di un governo di unità nazionale in Grecia. Si tratterà di vedere se questo sarà sufficiente per tranquillizzare gli altri 18 Paesi dell’Eurozona.

D. – Il problema è stato anche che Tsipras ha fatto promesse ma non presentava poi i numeri, le cifre per attuare davvero le riforme. Ora c’è una scadenza precisa. E’ possibile che davvero la Grecia ce la possa fare?

R. – Questo è difficile dirlo adesso. Certamente la Grecia ha giocato la solita partita politica di fare proposte mai precise, senza però rendersi conto che dentro l’Eurozona e dentro l’Unione Europea governare vuol dire avere una consapevolezza delle conseguenze che una scelta o una non scelta ha o avrà per gli altri Paesi e per gli altri popoli dell’Eurozona. La Grecia è ancora dentro una logica troppo nazionalista: non ha una classe politica di rilievo e quello che è successo oggi è l’esito di una sfiducia nei confronti della Grecia. Tsipras ha tre giorni per cercare di salvare il proprio Paese dal baratro dell’uscita dell’Eurozona. Non so se ce la farà… Certamente siamo in molti a sperare che riesca a farcela!

D. – Borse e mercati corrono dopo mesi di preoccupazione…

R. – Certamente! I mercati finanziari si basano, anch’essi, sulla fiducia e sul fatto che l’Unione Europea - con tutti i suoi difetti - e l’Eurozona nello specifico, alla fine sia in grado di trovare un accordo e di trovare un ragionevole compromesso tra interessi diversi. Questa è la prima nella storia dell’Eurozona ed uno dei casi rarissimi nella stessa storia dell’Unione Europea in cui questo compromesso non è facile da raggiungere. Quindi i mercati sono spaventatissimi e di qui la fibrillazione che si sta avviando e che diventerà molto, molto alta, se Tsipras non sarà in grado nei prossimi tre giorni di trovare una soluzione alla sfiducia che c’è nei suoi confronti.

D. – Uno dei punti veramente cruciali è stata questa sorta di ipoteca su beni culturali e isole: lo possiamo definire così questo fondo? Doveva essere a Lussemburgo, ma Tsipras – anche con l’appoggio dell’Italia – ha ottenuto che sia ad Atene, però l’ipoteca c’è…

R. – Certamente c’è l’ipoteca e quell’ipoteca è un esempio tipico della sfiducia. I Paesi del Nord, in particolare, non credono che la Grecia sia in grado di restituire anche una sola parte dei finanziamenti che eventualmente le sarebbero trasferiti. Creare quel fondo è proprio la dimostrazione anche del grado di umiliazione in cui la Grecia è giunta e non soltanto per la durezza dei Paesi del Nord, ma per la sua stessa incapacità di capire l’implicazione del governare all’interno di questo contesto. L’Italia sta facendo un buon lavoro di mediazione, ma bisogna fare di più! Bisogna riformare l’Eurozona, perché non si può andare avanti con un diktat dei Paesi del Nord e – diciamo – una furbizia dei Paesi del Sud. Dobbiamo andare verso una convenzione, una conferenza da organizzare – secondo me qui a Roma - perché si formi davvero una Eurozona con carattere politico.

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Libia: firmata intesa tra governo di Tobruk e fazioni locali

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Un primo tassello per la soluzione della crisi libica è stato posto ieri a Skhirat, in Marocco, dove il governo riconosciuto di Tobruk e altre fazioni locali, tra cui le milizie di Misurata, hanno firmato una nuova versione di un accordo di pace avanzata dal mediatore dell'Onu, Bernardino León. Manca però la firma del governo islamista di Tripoli, che controlla una parte importante del Paese. Il servizio di Marco Guerra: 

L'intesa prevede la fine dei combattimenti e la formazione di un governo di unità nazionale che sia guidato da un premier e da due vice, con poteri esecutivi concreti, per almeno un anno. L’accordo indica anche che l'unico Parlamento riconosciuto sia quello di Tobruk, condizione al momento inaccettabile per il Congresso nazionale Generale (Gnc), ovvero il Parlamento filo-islamista di Tripoli, che ha disertato l’incontro in Marocco ma che, attraverso un suo rappresentate, afferma di lasciare la porta aperta al dialogo per presentare modifiche alla bozza. I negoziatori contano di rivedersi dopo la fine del Ramadan, domani, per formare un esecutivo di transizione della durata di un anno e raggiungere un accordo di divisione dei poteri con o senza Tripoli. L'accordo è un "primo e importante passo verso la pace", ha commentato l’inviato dell’Onu León, mentre rappresentanti del governo di Tobruk l'hanno definito "un buon punto di partenza". Ma al di là delle divisioni fra il governo riconosciuto internazionalmente e l’esecutivo più vicino alle milizie islamiche, in Libia resta la grave minaccia dei gruppi jihadisti che si rifanno al sedicente Stato Islamico. A Bengasi negli ultimi quattro giorni si sono registrati almeno 20 morti e 80 feriti in violenti combattimenti tra soldati libici ed estremisti islamici. A Sirte miliziani dell’Is hanno distrutto decine di case. 

Sulle reali prospettive di questo accordo sentiamo l’analisi di Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi ed esperto di Libia: 

R. – Andrebbe tutto inquadrato nella situazione altamente caotica della Libia, una situazione pressoché anarchica. E quindi non avere raggiunto un accordo - guardiamo l’altra parte del bicchiere, quella mezza vuota - non averlo raggiunto con tutte le fazioni di Tripoli o con quelle maggiori, con il governo, rimane un grosso handicap. Io spero che nei prossimi giorni si possa arrivare a ciò, ma siamo anche consapevoli che ormai Bernardino León sta lavorando per da mesi e ogni settimana ci sono annunci di accordi raggiunti che vengono poi in realtà non raggiunti. Quindi bisogna anche guardare con molto realismo. E poi bisogna pensare che se l’accordo viene raggiunto realmente, la comunità internazionale poi lo dovrà in qualche maniera supportare. Non possiamo pensare che venga raggiunto un accordo tra le parti e alcune falangi militari, che non lo accettano, possano compromettere la situazione da un momento all’altro: vuol dire che quando un governo si insedia, un parlamento si reinsedia, questi possono intervenire e interrompere il lavori o minacciare l’incolumità. Come possiamo fare perché ciò non avvenga? Qua si rilancia la palla a qualche tipo di supporto anche militare, naturalmente.

D.  – Quali sono gli scogli che permangono per il raggiungimento di un accordo con tutte le fazioni, in particolare con il governo filo-islamista di Tripoli che non ha firmato l’accordo?

R. – Ci sono certamente delle fazioni che in ogni caso non prenderanno parte all’accordo: questo è il grosso problema della situazione della Libia e in particolare di Tripoli. Se alcune fazioni armate non sono in ogni caso d’accordo, questo rimarrà sempre un problema. Bisogna limitare questo numero in maniera quasi irrilevante sul piano diplomatico per poi chiudere un accordo generale più complessivo. La cosa importante è avere, ad esempio, spaccato un po’ l’alleanza tra Tripoli e Misurata, aver portato buona parte delle milizie di Misurata o degli esponenti politici di una città importante come Misurata dalla nostra parte - intendendo come nostra parte quella del dialogo e del compromesso politico - è un’ottima cosa, ma io penso che ci sia ancora strada da fare, purtroppo.

D.  – E poi in tutto questo sul territorio libico emerge una guerriglia che si rifà allo Stato islamico…

R. – Io penso che alcuni Paesi - soprattutto alcuni Paesi rivieraschi come il nostro - abbiano naturalmente colto questo rischio del califfato, mentre altri Paesi non ancora. E’ vero che la Libia non è come la Siria e l’Iraq, non ci sono quel fazionalismo e quel settarismo che hanno permesso una crescita rapida e un’espansione veloce, anche militare, dell’Is. Vediamo invece che l’Is in Libia sta trovando diversi contenimenti naturali; il mondo jihadista in Libia è diviso, innanzitutto, come lo è diviso anche in Siria e in Iraq, ma non c’è una preponderanza, una simpatia verso l’Is, che viene percepito come qualcosa di esogeno, di esterno. Vediamo le difficoltà che ha, nelle ultime ore, nel controllo della città di Derna, che probabilmente è stata presa da parte di altre milizie che sono comunque islamiche radicali: non è che stiamo parlando di buoni contro cattivi. Quindi la situazione è composta, è molto difficile anche nel panorama jihadista libico. Questo fa sì che ci sia la possibilità di un’espansione dell’Is, ma il problema sostanziale rimane politico e rimane un problema naturalmente anarchico-militare, nel quale  varie fazioni islamico-radicale possono dividersi o allearsi a seconda delle convenienze.

D.  – La comunità internazionale finora ha sempre ribadito che non vuole un intervento armato in Libia. In qualche modo però, come hai già evidenziato, se si riesce ad arrivare alla Costituzione di un governo di unità, bisognerà aiutare questo Paese…

R. – Gli attori regionali sono importanti, devono avere un ruolo di calmiere; calmare le fazioni che rispondono a sé, o in qualche maniera che vedono negli attori regionali dei referenti politici, e ce ne sono, sia da una parte che dall’altra: Qatar, Turchia, verso Tripoli; dall’altra parte abbiamo invece l’Egitto, Emirati e Arabia Saudita: quindi è una situazione composita e bisogna lavorare naturalmente con pressione a livello internazionale, ma questo Europa e Stati Uniti lo stanno già facendo. Relativamente alla possibilità di un intervento, questo può avvenire solamente se c’è un accordo che comprenda gran parte degli attori politici, perché come si farebbe a non supportarlo poi anche militarmente. Cioè, naturalmente, se chiudiamo un accordo e formiamo un nuovo governo, bisogna metterlo poi nelle condizioni di governare, e la prima cosa da fare è proteggerlo da chi è armato e vuole scansarlo… quindi è naturale che in qualche maniera questo debba essere protetto, anche - io penso - con un intervento, molto modesto numericamente, di peacekeeping o di “peace-enforcement”. Ma io penso che ancora adesso non vi siano le condizioni. Gli Stati Uniti sono piuttosto lontani da questo, però sono anche pronti a supportare iniziative di attori europei, ad esempio. Io penso che l’Italia in questo possa essere in prima fila, ma questo non può essere naturalmente fatto solo dall’Italia, ma dall’Europa e dagli altri alleati europei – penso soprattutto a Gran Bretagna e Francia.

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Colombia: storico accordo fra Bogotà e Farc

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Ieri sera da L’Avana l’annuncio di un accordo già definito “storico”. A Cuba, sono infatti in corso da quasi tre anni i negoziati di pace tra il governo della Colombia e il gruppo guerrigliero delle Farc, da mezzo secolo in armi contro il potere centrale. L’intesa raggiunta prevede che le autorità di Bogotà depotenzino la propria azione militare di contrasto alla guerriglia in cambio di uno stop della offensiva delle Farc, che giovedì scorso, 9 luglio, hanno annunciato, una tregua unilaterale di un mese, a partire dal prossimo 20 luglio. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali (Cesi)

D. - Oltre 200 mila morti per l’80 per cento civili ed almeno 7 milioni di persone vittime in qualche modo, ferite, sequestrate, fuggiasche, scomparse, in mezzo secolo di guerra intestina tra gruppi ribelli e governi centrali in Colombia, dalla fine degli anni ’50. Le Farc che operano dal 1964 sono il gruppo guerrigliero più grande. Prof. Margelletti, davvero possiamo già definire “storico” questo accordo?

R. – Io direi che è un accordo molto importante, però occorre vedere quanto terrà, e soprattutto la sua implementazione, ma certamente è un fatto estremamente positivo.

D. – Quali sono i punti di criticità, anzitutto sulla tregua annunciata dalle Farc, perché non è la prima volta che annunciano una tregua, che poi puntualmente viene rotta…

R. – Il punto di criticità è sostanzialmente uno: non parliamo di un accordo tra nazioni, ma tra uno Stato sovrano ed un’organizzazione militante che ha spesso avuto connotati sia terroristici che criminali. Quindi non stiamo parlando di una realtà che ha meccanismi interni e democratici; bisognerà valutare soprattutto un punto: la guerra crea potere e la pace porta molti di quelli che usufruiscono di questo potere nell’ombra, e quindi non tutti vogliono la pace. E questo è un punto fondamentale: se le Farc - tutte le Farc - riusciranno ad essere compatte su questo accordo.

D. – Dietro questa intesa c’è la volontà del presidente colombiano, Santos, di dare un punto di svolta ad una situazione di guerra interna, che vede in campo anche altri gruppi guerriglieri…

R. – Esattamente: l’operazione del governo di Bogotà è tesa a marginalizzare le offensive militari dell’opposizione. E quindi si cerca di portare tutti al tavolo della trattativa, perché al tavolo della trattativa lo Stato è sempre comunque più forte.

D. – Questo stato di guerra intestina, che si trascina da oltre mezzo secolo, quanto ha pesato sulla storia della Colombia? E quanto una pace, così difficile da raggiungere, può significare altro nella storia di questo Paese?

R. – È stato come se il popolo colombiano dovesse fare una gara di corsa in altitudine con uno zaino di 60 chili sulle spalle. Questo è il peso della guerra, e delle tante guerre che hanno animato il Sud America. In questa realtà ha giocato un ruolo essenziale la Chiesa cattolica - dal Salvador fino agli accordi adesso de L’Avana - che ha saputo sempre porre al centro della propria politica di dialogo l’interesse supremo della popolazione e dei più deboli.

D. – Magari saranno in molti a non credere a questa intesa, ma è pur vero che nella storia ci sono dei punti di svolta…

R. – Da analista politico, io sono un sostenitore del dato empirico, quindi – lo dicevo anche prima – occorre aspettare veramente se  l’accordo terrà. Ma è anche vero che senza la speranza noi siamo come uno splendido vaso, un oggetto meraviglioso, ma senz’anima. Quindi è la speranza che ci tiene vivi e ci rende esseri umani.

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Nucleare. Iran verso l’accordo, resta il nodo embargo

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Il mondo attende con il fiato sospeso la notizia di un accordo - che potrebbe arrivare nelle prossime ore - sul nucleare iraniano tra Teheran e le potenze del cosiddetto 5+1 riunite a Vienna. Secondo indiscrezioni, sarebbero già conclusi i colloqui tecnici e si starebbero negoziando alcune questioni politiche. Atteso questa sera il discorso alla nazione del presidente iraniano Rohani. Si tratterebbe di un accordo di portata storica, che porrebbe fine a un’inimicizia durata oltre 30 anni, come conferma al microfono di Roberta Barbi l’analista politica del Centro studi internazionali, dott.ssa Francesca Manenti: 

R. – L’accordo che dovrebbe essere concluso, secondo quanto è emerso nelle ultime ore, potrebbe rappresentare effettivamente un passo storico per un riavvicinamento tra l’Iran e la comunità internazionale, ma soprattutto tra l’Iran e gli Stati Uniti in primis e i Paesi europei. Rapporti che ormai si erano deteriorati negli ultimi 30 anni, a partire dalla rivoluzione del 1979 in Iran, e poi successivamente tutta una serie di tappe negli anni successivi hanno portato a una totale chiusura dell’Iran al sistema internazionale; chiusura non solo politica ma soprattutto chiusura economica, con tutta una serie di sanzioni che implementate nel tempo hanno seriamente compromesso la capacità del governo iraniano di poter sviluppare un sistema economico autonomo, autosufficiente e in grado di soddisfare le esigenze della propria popolazione.

D. – I nodi che restano da sciogliere sono le sanzioni Onu, la fine dell’embargo e l’accesso degli ispettori internazionali ai siti iraniani…

R. – Sono sicuramente i punti più dolenti. Per quanto riguarda le sanzioni si starebbe discutendo sulla tempistica. Da parte iraniana si vorrebbe un sollevamento immediato di tutte le sanzioni attualmente applicate al governo di Teheran, appunto per cercare di avere un respiro di sollievo da quella che è un’economia fortemente in crisi, e quindi cercare da parte del governo iraniano di avere una sorta di successo politico interno da poter dimostrare ai propri cittadini. D’altra parte, invece, la comunità internazionale, soprattutto i Paesi europei e gli Stati Uniti spingono per avere un sollevamento delle sanzioni graduale e diluito nel tempo, soprattutto vincolato poi all’effettiva constatazione di un rispetto da parte dell’Iran del ridimensionamento del proprio programma nucleare. L’altro grande punto dolente è l’accesso degli ispettori internazionali non solo ai siti nucleari ma - secondo poi quanto stabilito anche dal protocollo addizionale del Trattato di non proliferazione e che l’Iran con questo accordo dovrebbe impegnarsi a rispettare - gli ispettori internazionali dovrebbero avere possibilità di accesso anche a tutti quei siti collegati con il programma nucleare. Questo è un punto dolente perché c’è questo sospetto da parte della comunità internazionale che Teheran abbia portato avanti un programma nucleare di tipo militare all’interno di alcune basi sensibili, non solo per gli interessi nazionali iraniani ma soprattutto per l’establishment militare che si sta opponendo fortemente a questa possibilità. In realtà, il terzo punto dolente, quindi la sollevazione dell’embargo, è un punto che è sorto solo nelle ultime settimane e potrebbe essere una sorta di carta giocata all’ultimo momento per cercare da una parte e dall’altra di riuscire a trovare una soluzione più concordata anche sugli altri due punti.

D. – Una volta firmata l’intesa, il presidente Obama passerebbe alla storia come colui che è riuscito a risolvere la questione iraniana, ma non avrebbe comunque vita facile all’interno di un Congresso che appare molto diviso…

R. – La "partita iraniana" rappresenta una scommessa soprattutto per l’amministrazione Obama, più che per gli Stati Uniti; un’amministrazione Obama che dal punto di vista di politica estera è stata più volte criticata per scelte non sempre oculate, soprattutto per quel che riguarda lo scacchiere mediorientale. Riuscire a portare a termine l’accordo storico di possibile riavvicinamento con un Paese tanto strategico per il Medio Oriente quanto l’Iran, sicuramente rappresenterebbe un forte lascito politico per l’attuale presidente.

D. – Dall’altro lato c’è poi Israele. Netanyahu ha detto che questo accordo mette in pericolo la stessa pace mondiale…

R. - Sarà un processo delicato che dovrà vedere il coinvolgimento di tutti gli attori regionali. Il primo ministro israeliano si è sempre espresso in modo molto chiaro e critico nei confronti del dialogo sul nucleare. È anche vero però che al momento i rapporti tra il presidente Obama e il primo ministro Netanyahu sono veramente ai ferri corti. Soprattutto bisognerebbe poi capire se questa posizione così fortemente contraria a una possibile riapertura di Teheran sia una posizione del primo ministro Netanyahu o sia invece condivisa poi anche da altre anime all’interno del governo israeliano.

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Etiopia: al via conferenza internazionale su finanziamento sviluppo

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Si apre oggi ad Addis Abeba in Etiopia, la terza Conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo, e che si concluderà il prossimo 16 luglio. L’incontro, che vede la presenza di capi di Stato e di governo, tra cui il premier italiano Matteo Renzi, è una tappa fondamentale per definire gli strumenti e le risorse finanziarie necessarie per sconfiggere la povertà, secondo il nuovo quadro degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, che verrà adottato a fine settembre a New York dalle Nazioni Unite. Ascoltiamo il commento di Sergio Marelli presidente del Cisa, Comitato italiano sovranità alimentare raccolto da Marina Tomarro: 

R. – La terza conferenza è stata convocata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per fare il punto su quanto fissato ormai quindici anni fa nella prima conferenza di Monterey. Un’agenda importante degli obiettivi al tempo stesso ambiziosi, però purtroppo ancora oggi non pienamente realizzati. Una tre giorni di conferenza importanti per fare il monitoraggio e il punto della situazione sul dove si è arrivati, e, al tempo stesso, per riassumere degli obiettivi, riconcordare delle azioni comuni da intraprendere nei prossimi anni.

D. – Cosa si potrebbe fare di concreto secondo lei?

R. – Innanzitutto non si può dimenticare l’annosa questione della carenza di risorse destinate allo sviluppo. Ci sono degli obiettivi molto chiari, che la comunità internazionale ha fissato quali “necessari” per finanziare un adeguato sviluppo dei Paesi impoveriti del Sud del mondo – ricordiamo per tutti lo 0,7% del Prodotto interno lordo di tutti i Paesi ricchi – obiettivi che sono necessari, appunto, per garantire a questi Paesi di poter intraprendere una via per uscire dalla miseria e dalla povertà. Ma, al tempo stesso, non bisogna dimenticare un investimento anche per gli stessi Paesi ricchi, perché solo investendo contro la povertà e la miseria, si potrà sradicare il terrorismo, garantire maggiore stabilità e un futuro di pace per tutti: anche per noi e non solo per i Paesi del Sud del mondo.

D. – L’obiettivo è quello di alimentare le politiche di sviluppo per il 2030: secondo lei questa data è fattibile?

R. – Penso che bisogna distinguere tra il piano teorico e quello più pragmatico: da un punto di vista teorico è fuori dubbio che quindici anni sono più che sufficienti - anzi sarebbero già stati sufficienti quelli passati - per raggiungere gli obiettivi concordati e le azioni che si sono già definite nel corso delle due precedenti conferenze. Purtroppo, invece, sul piano pragmatico, bisogna essere un po’ più cinici: guardando al passato sembrerebbe che la volontà politica - soprattutto dei governi dei Paesi ricchi - di porre in atto le azioni e le politiche concrete e coerenti per raggiungere questi obiettivi, resti la grande assente dal tavolo dei negoziati.

D. – Il ruolo dell’Italia, secondo lei, quale potrebbe essere?

R. – Intanto c’è un segnale importante: finalmente - non sempre è stato così - il capo del governo si recherà personalmente a questa conferenza. Mi aspetto che la partecipazione del presidente del Consiglio segni veramente un cambio di rotta da parte del nostro Paese. Purtroppo restiamo ancora il fanalino di coda dei Paesi sviluppati per quanto riguarda le risorse messe a disposizione per finanziare lo sviluppo e le strategie, le azioni e le politiche che sono state concretizzate negli anni per aiutare questi Paesi del Sud del mondo a sconfiggere miseria e povertà.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi greci: "Senza l'Ue non si va da nessuna parte"

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“A questo punto speriamo che all’annuncio del raggiungimento dell’accordo faccia seguito al più presto anche la firma. La Grecia senza l’Unione Europea non può andare da nessuna parte”. Con queste parole il presidente dei vescovi cattolici del Paese ellenico, mons. Franghiskos Papamanolis, commenta all'agenzia Sir l’esito dell’Eurosummit che ha varato un piano salva-Grecia di circa 86 miliardi, 25 dei quali destinati a ricapitalizzare il sistema bancario. Atene, in cambio, dovrà entro mercoledì approvare diverse riforme, dall’Iva alle pensioni, tagli di spesa e incremento di tassazione per le categorie più agiate. 

Tsipras ha vinto le elezioni con promesse che non poteva mantenere
“Non potevamo fare a meno di questo accordo - dice l’arcivescovo - adesso come greci dovremo imparare ancora di più a lavorare e a fare economia. Devo dire con rammarico che questi ultimi sei mesi (da quando Syriza ha vinto le elezioni a fine gennaio, ndr) è stato tempo perso. Il nostro governo non ha ben compreso la situazione. Va detto che Tsipras ha ereditato una situazione bruttissima. Ha vinto le elezioni con promesse che non poteva mantenere. Ecco, ora si accorge della cruda realtà che non si può disconoscere. La Grecia senza l’Europa non può andare da nessuna parte”. 

Oggi in Grecia occorre coesione e unità d'intenti
“Il Paese deve riacquistare fiducia per continuare a camminare - spiega mons. Papamanolis - oggi più che mai serve coesione e unità d’intenti. Un Governo di unità nazionale potrebbe essere di aiuto, ma i partiti devono mettere da parte interessi particolari. Entro domani - conclude - ci aspettiamo un rimpasto di governo - tre ministri dicono i media greci dovrebbero dimettersi. Intanto le banche sono ancora chiuse e la nostra speranza è che firmino l’accordo. Un accordo che va contro il '‘no' uscito vincitore al referendum che probabilmente nessuno in Grecia ha ben capito perché nessuno glielo ha spiegato”. (R.P.)

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Vescovi Colombia: firmata la pace bisogna saperla gestire

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Tutti hanno speranza e fiducia che i colloqui di pace possano arrivare al più presto ad un accordo definitivo, ma è necessario andare al di là della firma a L'Avana, e che il governo sia presente nelle regioni colombiane più remote. Così si sono espressi i vescovi delle diocesi di Quibdo, Tumaco, Tibu e Santa Marta, insieme agli arcivescovi di Cali e Medellin, che durante un incontro con la stampa - riferisce l'agenzia Fides - hanno presentato le sfide che esistono nella regione, sottolineando che le loro giurisdizioni ecclesiastiche sono state le più colpite dal conflitto in questi ultimi mesi.

Vera sfida del governo sarà di saper gestire quella pace
La nota pervenuta a Fides da una fonte locale, segnala che mons. Omar Alberto Sánchez Cubillos, vescovo di Tibu, al centro della zona del Catatumbo, si è detto fiducioso che venga firmato l'accordo di pace, tuttavia ritiene che la vera sfida del governo sarà di saper gestire quella pace. Ha raccontato che il suo territorio non solo è controllato dalle Farc, ma registra anche la presenza dell’Eln e delle bande. "La situazione è desolante" ha commentato.

La Chiesa denuncia la crisi umanitaria e mancanza di trasparenza
Mons. Gustavo Girón Higuita, vescovo di Tumaco, ha raccontato di come la città abbia vissuto per tutto il mese scorso senza elettricità e senza acqua. Pur essendo in una zona al centro del conflitto, crede nel dialogo, in quanto "con le armi non si può raggiungere la pace". Il vescovo di Quibdo, mons. Juan Carlos Barreto, ha invece rilevato come un anno fa abbia denunciato la crisi umanitaria nella sua zona, e questa ancora oggi continua. Finora il governo ha fatto solo un intervento. Ha aggiunto che la sfida del prossimo sindaco di Quibdo sarà la trasparenza nella gestione delle risorse.

I pericoli del narcotraffico e della criminalità
​Secondo la nota, questi vescovi hanno presentato le principali preoccupazioni delle persone della loro zona alla fine dell'Assemblea plenaria, svoltasi la settimana scorsa a Bogotà. Tra queste, nella diocesi di Santa Marta, il problema più grave è la mancanza di acqua potabile; a Cali il sistema di appalti per le opere pubbliche sembra essere gestito dal narcotraffico; a Medellin prevale il potere delle bande della criminalità organizzata. (C.E.)

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West Bengala: atto vandalico contro una chiesa cattolica

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Un gesto che “offende profondamente i sentimenti religiosi di noi cristiani”. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), commenta così all'agenzia AsiaNews l’ennesimo atto vandalico contro una chiesa cattolica in India. Si tratta della St. Thomas di Taherpur (distretto di Nadia, West Bengal), colpita da ignoti nelle prime ore del mattino del 9 luglio scorso. Nulla è stato rubato, ma il tabernacolo è stato trovato fuori posto, l’altare è stato fatto a pezzi e gettato nel cortile, e la porta principale è stata forzata con un piede di porco.

Dubbi sulla natura del gesto
Secondo la polizia, la dinamica dell’attacco e la mancanza di un furto “sollevano dubbi sulla natura di questo gesto”, ma per il momento non fa ipotesi. La chiesa, tra le altre cose, si trova in una zona ad alta densità abitativa, ma nessuno avrebbe sentito rumori sospetti.

Lentezza della giustizia crea  una cultura di impunità
“Come presidente del Gcic – afferma Sajan George – condanno nei termini più forti i crescenti attacchi contro la minuscola minoranza cristiana, che avvengono in vari Stati del Paese. La lentezza con cui procede la macchina della giustizia incoraggia i criminali e crea una cultura di impunità. Oltretutto, Therpur si trova ad appena 25 chilometri da Ranaghat, dove lo scorso marzo un’anziana suora ha subito uno stupro di gruppo”. (N.C.)

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Chiesa Angola: incontro su violenze domestiche e Giubileo Misericordia

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Contrastare le violenze domestiche e guadare al Giubileo straordinario della Misericordia come ad un’occasione per rilanciare la riconciliazione nazionale: queste le conclusioni principali emerse dall’incontro nazionale della Commissione Giustizia e pace della Chiesa in Angola. Ospitato dalla città di Caxito a tre anni dal precedente appuntamento, l’evento ha avuto luogo tra il 7 e l’8 luglio, alla presenza dei delegati di tutte le diocesi del Paese. Al termine dei lavori è stato diffuso un documento finale, contenente diverse raccomandazioni.

Conoscere ed approfondire le tematiche ambientali
Innanzitutto, viene sottolineata l’importanza di “rivitalizzare le Commissioni di Giustizia e pace diocesane”, favorendo anche una maggiore interazione tra loro. Quindi, si richiama la necessità di “un migliore studio e di una maggiore conoscenza delle normative ambientali da parte di tutti gli agenti pastorali, ad ogni livello, affinché si possano comprendere i pericoli dell’inquinamento e del degrado ambientale”, soprattutto per quanto riguarda il mare ed i corsi d’acqua delle zone minerarie. Ciò è importante – si legge nel documento – in particolare per capire “le implicazioni sulla salute e sulla qualità della vita” delle persone.

No a violenze domestiche. Giubileo sia occasione di riconciliazione nazionale
Poi, l’appello a porre fine alle violenze domestiche, “i cui tassi sono sempre più alti in tutto il Paese”, promuovendo “un’apposita campagna informativa in ogni diocesi e divulgando una legge contro tali abusi nei gruppi, nei movimenti apostolici e nelle scuole, affinché i metodi per la difesa legale delle vittime siano noti a tutti”. Allo stesso tempo, si esorta a “sfruttare l’Anno straordinario della Misericordia, che si aprirà il prossimo 8 dicembre, per una rinnovata campagna di riconciliazione nazionale che includa il dare maggiore attenzione ai detenuti, agli emarginati, agli immigrati ed agli altri gruppi vulnerabili”.

Offrire assistenza legale alle persone svantaggiate
Ulteriori raccomandazioni esortano il governo alla trasparenza nell’ambito del commerciale internazionale, “al fine di evitare le speculazioni” ed invitano le Commissioni Giustizia e pace locali a ricorre all’aiuto di “avvocati cattolici ed altri volontari per offrire assistenza legale alle persone svantaggiate”. Infine, si ricorda che il prossimo incontro nazionale si terrà a luglio 2016. (I.P.)

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Usa: settimana di sensibilizzazione sui metodi naturali

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“I metodi naturali della famiglia: bene per il corpo, ottima per l’anima!”: è questo lo slogan della Settimana di sensibilizzazione sui metodi naturali della famiglia, promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti dal 19 al 25 luglio. L’obiettivo, si legge sul sito dei vescovi americani, è quello di “celebrare e rispettare la visione di Dio sulla sessualità umana”, aiutando le coppie di coniugi a conoscere i metodi naturali di regolazione della fertilità, in linea con la dottrina della Chiesa.

La data del 25 luglio scelta in omaggio all’Humanae Vitae di Paolo VI
Le date dell’iniziativa non sono casuali: il 25 luglio del 1968, infatti, veniva pubblicata l’Enciclica “Humanae Vitae” di Paolo VI, dedicata proprio ai temi della sessualità umana, dell’amore coniugale e della genitorialità responsabile. Non solo: la data anticipa la festa dei Santi Gioacchino ed Anna, i genitori di Maria, che si celebra il 26 luglio.

Il matrimonio, sacramento-simbolo della relazione di Cristo con la Chiesa
Nel corso della Settimana, dunque, tutte le parrocchie degli Stati Uniti sono invitate ad aiutare i fedeli a comprendere sempre meglio l’insegnamento della Chiesa sul “sacramento del matrimonio, il quale simboleggia la relazione di Cristo con la Chiesa stessa”. “Quando i coniugi vivono la loro vocazione secondo la dottrina, soprattutto quella riguardante la trasmissione della vita – si legge ancora sul sito web - ne traggono molti benefici”, poiché “usando i metodi naturali, essi crescono nella santità reciproca e nella consapevolezza dei doni di Dio riguardanti la sessualità umana, il matrimonio e la famiglia”. (I.P.)

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Lucca: morto fratel Arturo Paoli, apostolo dei poveri

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Fratel Arturo Paoli, sacerdote e Piccolo Fratello del Vangelo, è morto stanotte, a 102 anni, alle 0,45 nella sua abitazione presso la Canonica della parrocchia di San Martino in Vignale (Lucca). Ne dà notizia in una nota ufficiale l’arcivescovo di Lucca, mons. Italo Castellani, il quale “ringrazia il Signore per il dono straordinario che fratel Arturo è stato per la Chiesa nei lunghi anni del suo ministero in Italia e all’estero, in particolare a favore dei più poveri”. Mons. Castellani - riferisce l'agenzia Sir - esprime vicinanza alla comunità dei Piccoli Fratelli del Vangelo di Spello “e a tutti coloro che in questo momento, anche se illuminati dalla fede nella Risurrezione, sentono il peso dell’umanità per la scomparsa di don Arturo”. 

Le esequie nella cattedrale di Lucca
La salma sarà esposta nella chiesa parrocchiale di San Martino in Vignale da oggi pomeriggio e domani. Mercoledì 15 sarà trasportata nella chiesa di San Michele in Foro, luogo cittadino dove per anni don Arturo ha svolto il suo ministero e sua parrocchia di origine (dalle 8 alle 17). La celebrazione eucaristica con il rito di esequie si terrà nella chiesa cattedrale di Lucca il 15 luglio alle ore 18. Don Arturo Paoli ha espresso la volontà di essere sepolto nel piccolo cimitero di San Martino in Vignale. La tumulazione sarà fatta in forma privata il 16 luglio. (R.P.)

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Paura a Parigi: uomini armati attaccano centro commerciale

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E’ caccia all’uomo, anzi a tre uomini armati a Villeneuve-la-Garenne, grande comune della banlieue di Parigi dove questa mattina tre rapinatori sono entrati in un supermercato di un grande centro commerciale prendendo in ostaggio 18 persone. Alcune di queste sono riuscite a trovare rifugio nella mensa del centro commerciale. Dopo qualche ora tutti gli ostaggi sono stati evacuati dalle teste di cuoio intervenute sul posto. Dei tre rapinatori però nessuna traccia. Secondo gli inquirenti hanno preso la fuga e non è stato precisato se c’è una refurtiva. L’allarme è stato dato intorno alle 6:30 del mattino quando i tre hanno fatto irruzione armati di un fucile a pompa. Per qualche istante si è pensato alla possibilità di un attacco terroristico, ma è poi parso evidente che era in corso una rapina. Uno dei tre - ma l’informazione non è stata confermata - sarebbe un ex dipendente del supermercato. (Francesca Pierantozzi, da Parigi, per la Radio Vaticana)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 194

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.