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Sommario del 15/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Le parole di Papa Francesco nel viaggio in America Latina

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Oggi non c’è stata la consueta udienza generale del mercoledì: sono sospese per il mese di luglio, come tutti gli altri appuntamenti, ad eccezione dell’Angelus domenicale. Le catechesi del Papa riprenderanno il 5 agosto. In questi giorni continuano a suscitare commenti e riflessioni, in tutto il mondo, le forti parole di Papa Francesco nel suo recente viaggio in America Latina. Ripercorriamo alcuni messaggi lanciati dal Pontefice in questo servizio di Sergio Centofanti

Cambiare il sistema che uccide è possibile
Uno dei messaggi più forti giunti da questo viaggio in America Latina è l’appello del Papa ai popoli della terra a cambiare un “sistema” dominato dal denaro che schiaccia l’uomo e che “non regge più”. Occorre “un vero cambiamento” - e rapido - perché “Il tempo sembra che stia per giungere al termine”. Un cambiamento che parta dal basso, dai poveri, dalla gente. La Chiesa sostiene questo cambiamento perché “Dio ascolta il grido del suo popolo”, perché è ”l’amore fraterno che si ribella contro l’ingiustizia sociale”. “La nostra fede – dice Papa Francesco – è rivoluzionaria” e non si rassegna, non resta inerte di fronte al dolore dell’uomo. "Una società più umana è possibile", si può realizzare "un'alternativa umana" a questa "economia che uccide" e esclude. Non è un'utopia.

Il metodo: dialogo e identità, ponti non muri
“Non esiste una ricetta” per questo “progetto di fraternità e giustizia” sottolinea. Ma c’è un metodo: quello del dialogo. “Costruire ponti, non muri”. Un dialogo che parta da un’identità forte, “perché se mi metto a dialogare senza questa identità il dialogo non serve”. E’ “un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona, è necessaria. L’uniformità ci annulla, ci rende automi. La ricchezza della vita sta nella diversità”. Ma “dialogare non è negoziare” perché non si negozia la propria identità: “è cercare il bene comune per tutti”, senza temere che dal dialogo venga il conflitto. Bisogna accettare il conflitto e “cercare di risolverlo” con “la prospettiva di raggiungere un’unità che non è uniformità, ma unità nella diversità”.

Ideologie e colonizzazioni diventano dittature
In questo senso, il Papa mette ancora una volta in guardia dalle nuove colonizzazioni economiche e ideologiche, anche sul fronte della famiglia, che vogliono uniformare tutto e imporre le proprie regole sui più deboli. Denuncia le vecchie e nuove ideologie:  “le ideologie finiscono male, non servono. Le ideologie hanno una relazione o incompleta o malata o cattiva con il popolo. Le ideologie non si fanno carico del popolo”. Come quelle del secolo passato, diventano sempre “dittature”. “Pensano per il popolo” , ma “non lasciano pensare il popolo”.

I cristiani partecipino al cambiamento
Papa Francesco invita con forza i cristiani a partecipare a questo cambiamento. Non si dà un cristiano indifferente, abituato all’ingiustizia, solo perché non lo tocca in prima persona. Cristiani dal cuore “chiuso”, “blindato”, che credono di ascoltare Gesù ma passano vicino al dolore della gente senza fermarsi. La fede – dice – “ci fa prossimi alla vita degli altri. La fede suscita il nostro impegno con gli altri”. “Una fede che non si fa solidarietà è una fede morta, una fede falsa”. “E’ una fede senza Dio, è una fede senza fratelli”. “Non è la fede di Gesù”.

Non una casta di diversi, ma persone toccate dalla misericordia
L’esortazione del Papa ai cristiani  è a non isolarsi in “una casta di diversi”, separati dalla gente, che fanno “dell’identità una questione di superiorità” e “mettono sempre barriere al popolo di Dio”: disprezzano gli altri perché “non sono come loro”. Invece, il cristiano è chi “ha imparato ad accogliere”: il povero, il debole, chi non la pensa come lui. Il cristiano non è migliore degli altri, ma è chi è stato toccato dall’amore “misericordioso e risanante” di Gesù. Evangelizzare, allora, non significa attuare una strategia ma essere “testimoni grati della misericordia che ci trasforma” e ci dona la gioia.

Il cuore divino e umano di Gesù ci ama tanto
Papa Francesco ha portato con sé il crocifisso su falce e martello donatogli in Bolivia. Un’opera simile a quella che aveva creato padre Espinal, ucciso nel 1980 durante la dittatura perché predicava il Vangelo della libertà. Un Vangelo che dà fastidio e ancora oggi crea un “genocidio” di cristiani. Ricorda che la Chiesa ha rifiutato la teologia della liberazione secondo l’analisi marxista. Ma padre Espinal “lottava in buona fede” - dice il Papa - “il Cristo lo porto con me”: il Cristo che va oltre ogni ideologia e guarda alla persona, si carica di tutti i nostri peccati per salvare l’uomo. E’ la misericordia di Dio – osserva il Papa - è “il cuore divino e umano” di Gesù “che ci ama tanto”.

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Papa: cambiamo mentalità, nostre azioni incidono su chi ha fame

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“E’ ora di cambiare mentalità e smettere di pensare che le nostre azioni non abbiano un impatto su chi soffre la fame”. Suona così il tweet lanciato dal Papa dal suo account @Pontifex. L’invito ripropone un messaggio più volte lanciato da Francesco sulla necessità di cambiare gli stili di vita, perché una maggiore sobrietà può contribuire a sanare squilibri sociali e avere effetti benefici sulla salute del pianeta. Paolo Beccegato, vicedirettore della Caritas italiana, commenta le parole del Papa nell’intervista di Alessandro De Carolis

R. – Il primo punto è quello della consapevolezza, della conoscenza, dell’informazione: il fatto di sapere che acquistando un prodotto in un certo modo indirettamente si sta promuovendo un certo modo di produrre quello stesso bene o che investendo il denaro attraverso certe strutture finanziarie indirettamente si vanno ad appoggiare governi, aziende o realtà che possono fare del male o del bene… Insomma, ogni nostro comportamento, non solo di carattere economico, ha questo impatto e il primo punto è saperlo, conoscerlo, quindi uno sforzo educativo. E certamente non esimerci: questo vuol dire che di fronte alla conoscenza e alla consapevolezza scaturisce una funzione di responsabilità.

D. – A proposito di azioni che impattano su chi ha fame, Papa Francesco nel suo ultimo discorso alla Fao ha detto chiaramente che “inquieta” sapere come una buona quantità di prodotti agricoli non venga usata per le “necessità immediate degli affamati”…

R. – Qui ci sono varie dinamiche che vanno in direzioni opposte. Da un verso, certamente ci sono state negli anni passati delle spinte verso, ad esempio, l’impiego di combustibili, carburanti, anche nelle produzioni che prima erano destinate solo all’alimentazione. Ci sono delle dinamiche che però sostanzialmente sono state poi strumentalizzate: pensiamo ai due grandi picchi di prezzi del cibo – quello del 2007-2008 e quello del 2011-2012 – quindi dinamiche strettamente speculative che fanno anche del cibo un qualsiasi bene su cui poter fare poi speculazione finanziaria, cioè guadagno a breve termine. A me pare che dentro le parole del Papa ci siano tutte queste dinamiche, per cui alla fine non si tratta il cibo come dovrebbe essere, cioè prima di tutto un bene destinato all’alimentazione umana. Quindi, tutte queste dinamiche devono essere governate maggiormente perché alcuni disastri del passato non si ripetano.

D. – Viene da pensare alla “classe media” di cui si parla in questi giorni, cioè quella categoria che proprio per essere collocata nella fascia in cui povertà e iniquità incidono sostanzialmente meno, rischia però di non avere i giusti stimoli per cambiare…

R. – Certamente. Quello a cui stiamo assistendo un po’ in tutto il mondo è il rischio di un’ulteriore polarizzazione dei Paesi e, dentro i Paesi, delle società. Il Papa ha additato questa dinamica molto fortemente anche in questo recentissimo viaggio in America Latina, tanto che alcuni studi specifici di settore dicono che l’anno prossimo, nel 2016, il 50% della richiesta mondiale finirebbe nelle mani solo dell’1% della popolazione. Questo vuol dire, sostanzialmente, una riduzione della classe media soprattutto verso le classi più povere. Ora, se la classe media non ha quella propria capacità di connessione anche verso i più poveri, le diseguaglianze non faranno altro che aumentare e purtroppo con le diseguaglianze anche i rischi di violenze, di tensioni e di crisi aumenteranno. Questo è un pericolo che tutti dobbiamo scongiurare.

D. – Papa Francesco nel parlare alla Fao ha fatto un’altra affermazione riguardo a questo discorso che assomiglia quasi ad un tweet: “La sobrietà non si oppone allo sviluppo, anzi è ormai evidente che è diventata una sua condizione” …

R. – Ci sono dei modi di pensare, strettamente economicisti, della dimensione economica che dicono: i consumi sono diminuiti, quindi c’è stata la crisi. Quindi, per risolvere la crisi bisogna aumentare i consumi. In qualche modo, chi va verso la sobrietà andrebbe contro lo sviluppo economico. Qui, ancora una volta, il Papa mette il dito e giustamente. Non è così: una maggiore sobrietà o una maggiore distribuzione delle ricchezze, delle opportunità, andrebbe comunque nella direzione di uno sviluppo integrale – come direbbe il Papa – di un’ecologia integrale, cioè di una salute globale. Il problema è che questa economia deve essere ripensata perché in questo momento – ahimé - il “trend” va in direzioni opposte.

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Nomine episcopali in Francia e Germania

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In Francia, Papa Francesco ha nominato vescovo di Cahors il sacerdote Laurent Camiade, finora vicario generale della diocesi di Agen. Mons. Camiade è nato il 22 novembre 1966 ad Agen in una famiglia numerosa e profondamente cristiana e molto impegnata nella vita della Chiesa. Dopo il Liceo è entrato presso il Seminario Universitario Pio XI di Toulousa ed ha frequentato l’Institute Catholique de Toulouse, ove nel 1990 ha conseguito la Laurea in Filosofia e nel 1997 il Dottorato in Teologia. E’ stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1992 per la diocesi di Agen. Dopo molteplici incarichi come Vicario parrocchiale nel 2011 è stato nominato Responsabile diocesano della pastorale giovanile e dal 2005 anche Parroco. Nel 2010 è stato nominato Vicario generale della diocesi di Agen. Dal 2011 insegna Teologia Spirituale presso l’Institut Catholique de Toulouse. Inoltre, dal 2013 è anche Parroco di Laverdac. Ha pubblicato alcune opere di Teologia Spirituale.

In Brasile, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Passo Fundo presentata da mons. Antônio Carlos Altieri, della Congregazione dei Salesiani, in conformità al can. 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico.

In Germania, il Pontefice ha accettato la rinuncia di mons. Manfred Grothe all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Paderborn, presentata per raggiunti limiti di età. Al suo posto, il Papa ha nominato padre Dominicus Meier, dell’Ordine Bbenedettino, finora vicario giudiziale della medesima arcidiocesi. Il neo presule è nato il 10 luglio 1959 a Heggen, nell’arcidiocesi di Paderborn. Dopo il conseguimento della maturità e una breve esperienza lavorativa, nel 1982 è entrato nell’Abbazia di Königsmünster a Meschede, appartenente alla Congregazione Benedettina di St. Ottilien. Ha frequentato gli studi filosofico-teologici presso le Università di Würzburg e di Münster, conclusi nel 1988 con il Diploma in Teologia. È stato ordinato sacerdote il 14 gennaio 1989. Nel 1991 ha ottenuto il Dottorato in Teologia presso l’Università di Salzburg. Poi, nel 1997, ha conseguito la Licenza e in seguito, nel 1999 l’Abilitazione in Diritto Canonico presso l’Università di Münster. Dal 2000 è Professore Ordinario di Diritto Canonico presso l’Alta Scuola Filosofico-Teologica dei Pallottini a Vallendar. Oltre agli incarichi all’interno della vita monastica, ha svolto la propria opera come Giudice nel Tribunale diocesano di Salzburg (1989-1991) e come Difensore del Vincolo (1992-1994) e Promotore di Giustizia nel Tribunale dell’arcidiocesi di Paderborn (1994-2001). Nel 2001 è stato eletto Abate dell’Abbazia di Königsmünster a Meschede per un mandato di 12 anni. Ha ricevuto la benedizione abbaziale il 6 ottobre 2001. Dal 2013, infine, P. Meier ricopre l’ufficio di Vicario Giudiziale dell’arcidiocesi di Paderborn. Dal 2012 è anche Priore della commenda di Meschede dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro ed è, altresì, Consultore nella IV Commissione per la Vita Consacrata della Conferenza Episcopale Tedesca.

Sempre Papa Francesco  ha nominato ausiliare della diocesi di Mainz il sacerdote Udo Bentz, del clero della medesima diocesi, finora rettore del Seminario Maggiore di Mainz. Mons. Bentz è nato il 3 marzo 1967 a Rülzheim (diocesi di Speyer). Dopo la maturità e un corso in scienze bancarie, è entrato nel Seminario Maggiore di Mainz, inizialmente per la sua diocesi nativa, Speyer, ma cambiando dopo alcuni anni a favore della diocesi di Mainz. Ha frequentato gli studi filosofico-teologici nelle Università di Mainz e di Innsbruck. È stato ordinato sacerdote il 1° luglio 1995, incardinandosi nella diocesi di Mainz. Ha svolto la propria opera come Vicario parrocchiale nel Duomo di Worms (1995-1998) e come Segretario particolare del Cardinale Karl Lehmann (1998-2002). Dal 2002 ha proseguito gli studi teologici, conclusi nel 2007 con un Dottorato in Teologia presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Freiburg im Breisgau, ottenendo il voto più alto ed il premio “Karl-Rahner”. Durante gli anni di studio per il Dottorato, ha collaborato pastoralmente nelle parrocchie di Sprendlingen (2002-2004) e nella parrocchia di San Pietro Canisio a Mainz (2004-2007). Dal 2007 è Rettore del Seminario Maggiore di Mainz. Nel 2013 è stato inoltre eletto Presidente della Conferenza dei Rettori dei Seminari Maggiori tedeschi. Oltre all’incarico di Rettore, dirige la formazione permanente del clero e degli assistenti pastorali. È insignito del titolo di “Geistlicher Rat”.

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Vaticano, confronto tra sindaci del mondo su clima e schiavitù

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Sindaci da tutto il mondo, assieme a governatori locali e delegati dell’Onu, sono attesi in Vaticano il 21 e 22 luglio prossimi per partecipare a due giornate di dibattito operativo, organizzate dalle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, in tema di clima, sviluppo sostenibile e povertà morali e sociali. L’iniziativa è stata presentata stamani nella Sala Stampa della Santa Sede dall’arcivescovo Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere dei dicasteri promotori. Il servizio di Roberta Gisotti

E’ stato un tale successo l’adesione dei sindaci, ha detto mons. Sorondo, che le due giornate su “Moderna schiavitù e cambiamenti climatici” e “Prosperità, popoli e Pianeta”, già previste nella Casina Pio IV, saranno invece ospitate nella più grande Aula del Sinodo. Primi cittadini di piccole ma rilevanti comunità come Lampedusa insieme al governatore della California, ai sindaci di metropoli sudamericane, come San Paolo, Rio de Janeiro, Bogotà, Città del Messico, di grandi capitali africane - Accra, Johannesburg, Libreville, Abidjan -, di agglomerati asiatici come Teheran e Kochi, di città europee, tra cui anche numerose italiane. Una sessantina, in lista d’arrivo, da Paesi industrializzati e in via di sviluppo. L’idea di convocarli – ha raccontato mons. Sorondo – è maturata dopo alcuni incontri in Vaticano tra vescovi e capi della Polizia di tutto il mondo. Sono stati loro, ha detto, a suggerire di interpellare, prima che i loro governanti, proprio i sindaci che sono sul territorio per sensibilizzare la loro gente sulla necessità di cambiare stili di vita di produzione e consumo:

“Abbiamo voluto mettere insieme due realtà che – anche alla luce dell’Enciclica del Papa "Laudato si'" – consideriamo due emergenze: il cambiamento del clima indotto dall’attività umana che usa il materiale fossile – diciamolo, perché questo lo sottolinea l’Enciclica – e il tema delle nuove forme di schiavitù perché, come dice la stessa Enciclica, tutto è collegato”.

Ha rivendicato mons. Sorondo l’attenzione primaria della Chiesa sui temi del clima:

“La prima a lanciare il problema del clima è stata l’Accademia delle Scienze con il gruppo dei due premi Nobel Crutzen e Molina. Quindi, quando ci dicono che noi seguiamo quello che dicono le Nazioni Unite è proprio il contrario: sono le Nazioni Unite che seguono l’idea che è partita dall’Accademia, 25 anni fa”.

Cambiamenti climatici indotti da comportamenti umani, aggravati da una cultura del relativismo che spinge le persone ad approfittare di altre persone fino a ridurle in schiavitù:

“Sappiamo che la situazione è veramente grave perché si parla di 30 milioni di persone che vivono nella situazione di schiavi. Lo ha riconosciuto perfino l’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro – l’ha riconosciuto contro i suoi propri interessi – e ha riconosciuto anche che l’80% del proventi che ricevono i trafficanti – proventi che si aggirano intorno a 150 mila miliardi di dollari all’anno – arrivano dalla prostituzione. Quindi, in una forma anche provocatoria consideriamo che la prostituzione è una nuova forma di schiavitù”.

Questo l’obiettivo finale per contrastare una piaga che viene estendendosi:

“Diciamo ai sindaci, in una dichiarazione che loro firmeranno e che per adesso tutti hanno accettato, di impegnarsi molto chiaramente sul tema delle nuove forme di schiavitù e di impegnarsi per includere le nuove forme di schiavitù come obiettivi primari nella nuova relazione sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che dovrebbe essere approvata a settembre prossimo”.

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P. Funes: sonda su Plutone è successo del lavoro in team

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La Nasa ha confermato il successo della missione della sonda "New Horizons", che ieri, dopo 9 anni di viaggio, ha "sfiorato" Plutone ai confini del sistema solare, l'obiettivo più distante mai raggiunto da un veicolo spaziale. Stamani la sonda è riuscita a contattare la Terra da ben cinque miliardi di chilometri trasmettendo le prime foto da Plutone, sulla cui superfice si intravedono "crateri da impatto" risalenti, probabilmente, ad alcuni miliardi di anni fa. Su questa missione spaziale, Luca Collodi ha sentito il parere del gesuita, padre José Funes, direttore della Specola Vaticana: 

R. – Dobbiamo renderci conto della vastità di questa impresa umana: adesso, questa missione "New Horizon" è arrivata nel punto più vicino a Plutone. Ma ci sono voluti nove anni e mezzo per arrivare lì e anche l’impegno di tante persone. E questa è una buona occasione per mettere in rilievo che la scienza non la facciamo da soli, ma la facciamo con gli altri, con un team che sicuramente comprende astronomi, geologi, ingegneri… E’ un grande lavoro, un grande sforzo. Dico tutte queste cose, perché? Per capire l’importanza di questo evento. Siamo arrivati alla periferia del Sistema solare, siamo proprio vicini alla "fascia di Kuiper", dove ci sono questi oggetti che si chiamano “trans-nettuniani” perché sono al di là di Nettuno, e in questa regione del sistema solare si formano anche le comete. Adesso, chi si occupa in particolare di Plutone e di questi oggetti della fascia di Kuiper avrà tanti dati per studiare e per capire meglio la formazione di questi oggetti e la formazione del Sistema solare.

D. – Il 14 luglio di 50 anni fa arrivò sulla Terra la prima immagine di Marte, 50 anni dopo, sempre il 14 luglio, abbiamo una delle prime foto di Plutone. In mezzo secolo abbiamo percorso tutto il nostro sistema solare. Che cosa ha portato, ciò, alla conoscenza dello spazio da parte dell’uomo?

R. – E’ difficile dire quale sia la novità… Un po’ la motivazione, credo, fondamentale per fare scienza e per esplorare l’universo sia la curiosità. Fondamentalmente, l’essere umano è curioso, vuole capire meglio, vuole esplorare e mi sembra che questa sia una condizione molto umana, molto bella, che ci aiuta anche ad arrivare alle periferie, in questo caso alle periferie del sistema solare.

D. – Alla base di queste missioni spaziali c’è anche una qualche forma di ricerca di Dio?

R. – Diciamo, non immediatamente. In tutto ciò che noi facciamo di bello, di vero, di buono lì stiamo cercando Dio, anche se talvolta non crediamo esplicitamente in Dio: parlo delle persone che possono non essere credenti. C’è una ricerca della verità e della bellezza, e in questo senso possiamo dire anche che queste missioni ci avvicinano di più alla verità, alla bellezza e a Dio.

D. – In 50 anni di conoscenza del nostro sistema solare, abbiamo la conferma che in questo l’uomo è solo…

R. – Sì. Diciamo che, a tutt’oggi, sembrerebbe che non ci siano altri esseri intelligenti. Non sappiamo per quanto riguarda la vita: ancora non abbiamo trovato una risposta. Sembrerebbe che la Terra sia un fenomeno comune in altre stelle, che ci sarebbero pianeti simili alla Terra. Questo certamente lascia aperta la possibilità della vita e – chissà? – della vita intelligente…

D. – La sonda americana ora lascerà Plutone per andare fuori dal nostro sistema solare…

R. – Noi siamo alla periferia del Sistema solare. Plutone ha una distanza dal sole tra 30 e 50 volte la distanza Terra-Sole: cioè il tempo che ci mette la luce per arrivare dal Sole alla Terra è di 8 minuti, il tempo che la luce del Sole ci mette per arrivare a Plutone è di circa cinque-sei ore. Pensiamo che la stella più vicina – Alfa Centauri – è a una distanza di quattro anni luce! Io che mi occupo delle galassie – delle galassie più vicine, come Andromeda, che è più vicina a noi, a soli due milioni di anni luce, e ancora ci sono tante galassie lontane – direi che ancora siamo a casa nostra.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale di Gualtiero Bassetti dal titolo “Nuovo umanesimo”: il viaggio del Papa in America latina.

Francesco nel villaggio globale: Dario Edoardo Viganò a proposito dello stile comunicativo di Bergoglio tra oralità e concretezza.

Per non cadere nell’illusione di Prometeo: l’arcivescovo Rino Fisichella su identità personale e appartenenza al creato nella “Laudato si'”.

Conversione ecologica: Stefania Schipani in vista della conferenza di Parigi.

Antonio Paolucci su un Angelico che ha dimenticato il cielo: torna a Montefalco la pala dell'Assunta di Benozzo Gozzoli.

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Oggi in Primo Piano



Grecia. Voto riforme: paura e speranza nella popolazione

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Il parlamento di Atene vota oggi il primo pacchetto di riforme urgenti: l’Europa è comunque preoccupata per la sostenibilità del debito greco. Intanto, all’interno del governo ellenico, si dimette il viceministro delle Finanze, Valavani, in disaccordo con l'intesa raggiunta con Bruxelles. Per una testimonianza di come stia vivendo in questi giorni la popolazione, Roberta Barbi ha raggiunto al telefono ad Atene il giornalista Ioannis Chrysafis: 

R. – La popolazione non può essere contenta: è umiliante, deprimente stare in fila per prendere 50, massimo 60 euro ogni giorno. Ammesso che 1.800 euro al mese possano bastare per una famiglia, non è certo felice uno che ha i suoi risparmi in banca e non può accedervi. L’economia in Grecia in questo momento non esiste. Ogni impresa, ogni imprenditore, ogni piccolo commerciante ormai non vede più clienti nel suo esercizio perché i cittadini comprano solo quello di cui hanno bisogno. Per esempio, nessuno compra scarpe, tranne nel caso in cui qualcuno ne abbia veramente bisogno.

D. – Le banche continuano a restare chiuse. Come si vive con 60, a volte 50 euro al giorno?

R. – Si prendono i soldi e si mettono da parte. Chi ha la possibilità di usare la carta bancomat, può comprare al supermercato senza pagare in contanti: paga con la carta. Questo si può fare. Gli altri soldi li tiene per poter campare, quando eventualmente le banche dovessero chiudere. Perché se oggi – quando il parlamento sta votando – si rifiutano le misure, le banche domani non erogano nemmeno più questi 50 euro: non ci sono riserve.

D. – Con l’aggravarsi della crisi ci sono molti nuovi poveri: quali sono le categorie più colpite?

R. – Sono quelli che prendono solo 120 euro alla settimana, i pensionati che prendono il minimo della pensione: quelli non possono sperare in un altro aiuto. Più che altro, è la paura che prevale, non tanto la mancanza. La crisi e il loro problema si aggravano con la paura che non ci sarà un domani. Ci sono partiti e gran parte della popolazione che è opposta a queste misure – che sono molto restrittive – c’è però la maggioranza che spera che con le misure adottate e con un po’ di pazienza la Grecia possa uscire dalla crisi. Senza il taglio del debito, non si farà niente.

D. – Alcune ong denunciano un aumento dei bambini “vulnerabili”: ancora una volta sono i soggetti più deboli le principali vittime?

R. – Si potrebbe dire che sono le famiglie che non hanno risorse. Ancora non abbiamo registrato il crollo, ancora si spera che si trovi una soluzione.

D. – C’è anche un allarme sanitario: la spesa pubblica nel settore era già stata tagliata del 25%. Questo cosa ha comportato? C’è davvero il rischio che si esauriscano i farmaci?

R. – Ancora non sono esauriti, ma il campanello d’allarme è stato suonato, sia dalle autorità sia anche da parte delle organizzazioni dei farmacisti, dei sanitari, eccetera. Per esempio, dicono che ci sono medicinali per 20 giorni, oppure materiale per gli ospedali per 25 giorni. Tutti sperano in una soluzione per risolvere prima le cose più urgenti – cioè la situazione sanitaria o i generi di prima necessità – e poi piano piano cercare di recuperare una vita normale.

D. – Al di là degli accordi europei, come farà il popolo greco a rimettersi in piedi?

R. – Secondo quello che ci hanno promesso – sia il governo sia anche l’Europa – nel caso in cui oggi venisse confermata con una votazione l’accordo, da domani devono arrivare sette miliardi e mezzo come primo pacchetto di aiuti. Nei prossimi giorni arriveranno ben 86 miliardi, a rate e in base a un programma triennale. Ma l’arrivo di questi soldi aprirà le banche: non libererà dal controllo – questo continuerà per diversi mesi – ma insomma, almeno il mercato potrà funzionare.

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Yemen al collasso. L’Onu lancia allarme umanitario

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In Yemen, malgrado la tregua in corso mediata dall’Onu, le forze filogovernative ieri hanno riconquistato l’aeroporto e altre zone della città di Aden, dopo una dura battaglia con i ribelli sciiti Huthi. Intanto, proseguono i bombardamenti della coalizione arabo sunnita in diverse aree del Paese, oltre 140 le vittime civili negli ultimi 10 giorni. In questa cornice, si aggrava l’emergenza umanitaria acuita dal blocco navale e dalla carenza di petrolio che rischia di fermare le pompe idriche, mentre si contano già oltre 1.200.000 sfollati interni. Marco Guerra ha raggiunto telefonicamente nella capitale Sana'a il coordinatore Onu per lo Yemen, Paolo Lembo: 

R. – Evidentemente, la tregua non ha mai retto. Al principio, per la dichiarazione di questa tregua, gli Stati della coalizione hanno chiaramente indicato che il presidente Hadi – il presidente yemenita in questo momento in esilio a Riad – non aveva chiesto agli Stati della coalizione di sospendere i bombardamenti. E questo era un problema per l’implementazione di questa tregua. Anche l’altra parte del conflitto che è dominata dai ribelli houthi aveva espresso perplessità. Quindi, è stata una sfida monumentale cercare di promuovere diplomaticamente una tregua di cui, al principio, le parti in conflitto non riconoscessero il valore. In secondo luogo, il conflitto è continuato in tutto il Paese, i bombardamenti sono continuati. In queste ultime ore, c’è stato uno sbilanciamento militare ad Aden dove per la prima volta le forze anti-houthi hanno conquistato l’aeroporto, quindi un ganglio vitale del Paese, e poi hanno conquistato una penisola nei pressi della città, che è un’area strategicamente importante sotto controllo degli houthi. Quindi, è la prima grande sconfitta sul campo militare degli houthi  che secondo me indica anche un’offensiva delle forze anti-houthi che potrebbe avere luogo nei prossimi giorni.

D.  – A livello diplomatico non c’è stato alcun incontro, dialogo tra le parti. Voi, come Onu, pensate di poter riuscire a mediare tra queste due fazioni di uno Yemen spaccato tra sciiti e sunniti?

R. – Non sono ottimista ed è difficile esserlo in modo realistico se uno osserva i movimenti militari sul terreno. La mia sensazione, e questa è una considerazione interamente personale, è che tutte le parti di questo conflitto abbiano deciso per un’opzione militare. Hanno l’illusione di poter vincere questo conflitto con sistemi militari. Credo sia molto difficile. Si è dimostrato che senza l’invio di truppe di terra è molto complicato sconfiggere gli houthi che sono una macchina militare potentissima, molto addestrata. Finora, abbiamo visto la coalizione usare solo bombardamenti aerei, quindi la conclusione di questo è che è facile prevedere un inasprimento dei combattimenti, un peggioramento della guerra e, soprattutto, quello che preoccupa di più a noi dell’Onu, una ulteriore prostrazione della popolazione civile. Abbiamo 21 milioni di persone in questo Paese che sono disperate. Già era il Paese più povero del mondo arabo. La popolazione civile è devastata, non c’è più acqua, non ci sono medicine, ospedali, non arriva più niente, cibo, la benzina… Il Paese è praticamente paralizzato.

D. – In più, c’è l’emergenza di oltre un milione di sfollati interni. Questa situazione rischia di deteriorarsi ulteriormente?

R . – Con la combinazione del blocco delle navi commerciali e dei bombardamenti, la distruzione totale delle infrastrutture, il collasso dello Stato, la paralisi dell’economia e i combattimenti continui si più immaginare quale sia la tragedia della popolazione. L’unico vincitore sono i movimenti terroristici, Al Qaeda e Is, che ovviamente fioriscono in questo clima di anarchia e guerra civile. Già controllano buona parte orientale del Paese.

D. – Quindi, non c’è più uno Stato Yemen. Lei che è presente e soggiorna in Yemen, che vede la situazione sul terreno, come si vive in questo momento?

R.  –Si vive nel terrore, nel caos, nella disperazione. La popolazione locale ovviamente ha sfide immense. Le istituzioni centrali nella capitale Sana'a, dove io mi trovo, sono controllate dalle forze houthi ma ovviamente i salari non sono pagati o sono pagati in modo minimo. Ci sono attentati terroristici continui, la gente ha paura ad uscire. Bombardamenti continui della coalizione, stamattina sono durati due ore e mezza. Le bombe quanto precise possono essere non possono mai esserlo in modo perfetto. In una città di tre milioni di abitanti come Sana'a si fanno molti morti civili.

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L'accordo sul nucleare cambia il volto del Medio Oriente

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Siglato ieri a Vienna, l’accordo sul nucleare iraniano ridisegna lo scenario geopolitico del Medio Oriente, in un momento delicatissimo per tutta l’area. La fine delle sanzioni internazionali contro l’Iran, ottenuta in cambio di una riduzione dell’arsenale nucleare del Paese, contribuirà ad affermare la leadership del Paese a maggioranza sciita, in concorrenza con il regime sunnita dell’Arabia Saudita. Alle antiche ostilità fra sciiti e sunniti, si sovrappongono però alleanze strategiche, mentre rimane in primo piano la questione petrolifera. Il commento di Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, al microfono di Giacomo Zandonini

R. – La risoluzione del dossier nucleare ha molti risvolti per quanto riguarda, in particolare, l’aiuto e il contributo che l’Iran può dare al controterrorismo nella regione. C’è da dire che questo accordo è stato possibile anche grazie al lavoro svolto dal ministro degli Esteri della Federazione Russa, Lavrov, e di questo aspetto - della Russia - si è parlato poco. Quindi, se si tiene conto di un Iran rafforzato sulla scena geopolitica, come contrasto al terrorismo nell’area, e se si tiene conto del suo rapporto speciale con la Russia, si può dire che nei prossimi periodi l’area sarà molto probabilmente più stabile.

D. – Accanto a questa dimensione, a questo rapporto con la Russia di cui ci parla, ci sono anche delle alleanze tra l’Iran e il mondo sciita all’interno della Siria, in Libano, nello Yemen, nell’Iraq stesso…

R. – Con le nuove relazioni tra Iran, Russia e Stati Uniti, chiaramente gli sciiti, soprattutto nella Siria e nell’Iraq, non saranno più soli, ma potranno contare su un attore importante regionale e questo contribuirà alla stabilizzazione. Certo, c’è da tenere conto del rapporto problematico con l’Arabia Saudita e anche con Israele, che potrebbe presupporre scenari gravi per quanto riguarda la regione. Però, da questo punto di vista credo che l’apporto che hanno dato gli Stati Uniti all’Iran, nell’ultimo periodo, proprio grazie a questa soluzione del dossier nucleare, possa garantire una stabilità.

D. – A proposito di Arabia Saudita, sicuramente potrebbe essere un concorrente, oltre che a livello politico, anche a livello sempre più economico. Quali scenari si aprono in questo senso?

R. – Chiaramente, la competizione con l’Arabia Saudita non sarà soltanto sul piano geo-strategico, ma anche su quello geo-economico: durante il periodo delle sanzioni l’Iran ha stretto dei rapporti molto importanti con alcuni Paesi oramai emersi, come la Cina. Da questo punto di vista, quindi, si può dire che l’Iran si presenta come Paese senza sanzioni, con delle alleanze geo-economiche molto importanti. Quindi la competizione con l’Arabia Saudita sarà molto probabilmente una competizione da pari a pari.

D. – Per quanto riguarda proprio il fronte opposto, quindi l’Arabia Saudita e la sua rete di alleanze che fanno riferimento, in parte perlomeno, al mondo sunnita, c’è invece un rischio che queste alleanze siano rinsaldate e questo effettivamente porti a un inasprirsi di azioni violente?

R. – Certamente, queste alleanze si saranno rafforzate e saranno rinsaldate. Però, bisogna tener conto che sia l’Arabia Saudita che Israele rimangono sempre dei partner speciali per gli Stati Uniti e il fatto che ci sia questa componente statunitense potrebbe contribuire in un certo qual modo a limitare le azioni dell’Arabia Saudita in questo quadro di riferimento.

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Maternità surrogata. Gambino: nuove forme di schiavitù

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Una decisione che viola quanto stabilito dalla Corte Costituzionale. Così il giurista Alberto Gambino sulla sentenza dei giudici di Milano che ha assolto una coppia di coniugi ricorsa alla fecondazione eterologa con maternità surrogata in Ucraina, che poi ha registrato in Italia la nascita di due gemelli come propri figli. Al microfono di Massimiliano Menichetti lo stesso prof. Gambino ribadisce che strappare un bambino dal grembo di una donna è una nuova forma di schiavitù: 

R. – Una pronuncia che contrasta con quanto già deciso invece dalla Corte di Cassazione che, ricordo, in Italia invece è il supremo organo giurisdizionale. La Corte di Cassazione aveva detto che la cosiddetta surrogazione di maternità è contraria all’ordine pubblico interno, in quanto va contro la dignità umana. Quindi, non si può trascrivere questo nuovo stato, tant’è che si andrebbe incontro al reato di “alterazione di stato”, dicendo che un figlio concepito all’estero attraverso una donna che poi non ne diventi madre da un punto di vista civile – perché sostanzialmente presta l’utero per tutto il periodo della gravidanza, ma poi le viene strappato dal grembo – questo in Italia, essendo vietato, non è ammissibile che poi quel bambino venga dunque riconosciuto come figlio di quella coppia che aveva chiesto la surrogazione di maternità.

D. – In questo caso ci sono più problemi. Il primo è quello nei confronti del bambino, e in questo caso la Corte di Milano parte proprio da questo presupposto, cioè cercare di dare una tutela al bambino. Dall’altra parte, c’è lo sfruttamento di una donna e prima ancora la manipolazione genetica. Come inquadrare questi tre fattori?

R. – Va inquadrato senza ipocrisia. E cioè, se il bambino c’è e convive con quella coppia che lo ha avuto da parte di un’altra donna gestante è perché l’ordinamento non ha reagito, e cioè significa che si è tollerato che questo bambino rientrasse in Italia, iniziasse a convivere con una coppia di cui certamente uno dei due non è il genitore, perché la sua mamma è all’estero: è colei che aveva partorito, per il nostro diritto. Continuando a convivere settimane, mesi forse anni con quella coppia, si arriva a un punto di non ritorno perché tutti noi ci rendiamo conto che a quel punto strappare di nuovo questo bambino da questa coppia che l’ha avuto illegittimamente sarebbe addirittura un male maggiore. Ma proprio questa è l’ipocrisia: che viceversa va bloccata sul nascere la possibilità che questo bambino venga strappato da sua madre che l’ha partorito e venga dato a una coppia che invece è illegittima. Quindi, immediatamente, non dopo mesi o anni, perché dopo mesi o anni riconosco – riconosciamo tutti – che probabilmente l’interesse migliore del bambino è continuare a vivere, a quel punto, con quella coppia.

D. – In un panorama europeo che invece si apre a questa possibilità, come si fa a intervenire?

R. – Si interviene perché comunque i cittadini italiani sono sottoposti alla legge italiana e non è che se vanno all’estero sono immuni: sono sottoposti alla legge italiana e quindi un atto vietato in Italia per un cittadino italiano è vietato anche all’estero. Questa è l’ipocrisia che viceversa si tollera: si tollera che ritorni questo bambino. Tra l’altro, immagini portare un bambino da un Paese all’altro: tutti noi sappiamo quanto sia difficile farlo entrare nelle frontiere italiane. E quindi questo significa che c’è davvero un’eccessiva tolleranza e probabilmente c’è anche un rispetto mancato delle regole e della legalità. Noi dobbiamo stare attenti: la surrogazione di maternità è una aberrazione, perché significa che un feto che vive nel grembo della mamma per nove mesi, nel momento in cui vede la luce viene strappato da quella donna: è la schiavitù del XXI secolo. E su questo non possiamo transigere.

D. – Possiamo dire che gli schiavi sono due: una mamma e un bambino che viene utilizzato in questo modo?

R. – Gli schiavi sono due, e per certi versi anche la coppia che a tutti i costi vuole avere questo figlio, in qualche modo diventa vittima della stessa vicenda, perché certamente non può vivere bene e serena una coppia che ha portato avanti una situazione a tutti i costi, contro la dignità delle altre persone.

D. – Che cosa resta della legge 40 che rimetteva ordine in quello che era un “far west” procreativo?

R. – Intanto, resta chiarissimo proprio questo divieto di surrogazione della maternità: divieto di commercializzazione degli embrioni e anche dei gameti, e quindi quando ci sono anche dei pagamenti che vengono fatti, ad esempio per l’eterologa, questo dalla legge italiana è vietato. Cioè, non si può svilire la vita umana, la dignità della vita umana a un “prezzo”, a un corrispettivo, a del denaro. A questo punto, si sta capovolgendo la nostra società: si mette al primo posto il bisogno, i denari, l’economia e al secondo posto la vita delle persone, in particolare del nascituro o del bimbo che si ha in grembo. Questo la legge 40 continua a sostenerlo. Ma dico di più: lo sostengono i principi di civiltà di tutti gli ordinamenti occidentali importanti e significativi, come quello italiano.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Usa: sostenere l’accordo sul nucleare iraniano

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Un accordo “epocale”: così mons. Oscar Cantù, presidente del Comitato Giustizia e pace internazionale della Conferenza episcopale statunitense definisce l’intesa sul programma nucleare iraniano raggiunta ieri tra l’Iran e i cosìddetti Paesi 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania). L’accordo, che non entra subito in vigore, dovrà superare il test del Congresso americano e del Parlamento di Teheran. Tra i punti principali dell’intesa c’è la graduale revoca delle sanzioni all’Iran in cambio di significative riduzioni dell'entità del suo programma nucleare e l’accesso,  per gli ispettori dell'Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, a tutti i siti iraniani sospetti, compresi quelli militari. In caso di violazione dell’accordo, le sanzioni all’Iran saranno ripristinate entro 65 giorni.

Un traguardo significativo, raggiunto grazie a dialogo e diplomazia
“Si tratta di un traguardo significativo – sottolinea mons. Cantù – che mira a frenare lo sviluppo delle armi atomiche iraniane, mentre permette al Paese di usare l’energia nucleare a scopo pacifico”. Soprattutto, “questo accordo evidenzia un progresso nella non-proliferazione nucleare a livello globale”. “Sin dal 2007 – ricorda poi il presule – il Comitato Giustizia e pace internazionale della Conferenza episcopale statunitense ha esortato la nazione americana a perseguire la via diplomatica per garantire il rispetto, da parte dell’Iran, dei suoi obblighi derivanti dal Trattato di non-proliferazione nucleare”. “Dialogo e negoziato” sono state, dunque, le parole-chiave della Chiesa di Washington in questo ambito, fino a raggiungere “un risultato non da poco”.

Il Congresso appoggi questo risultato
“Auspichiamo – aggiunge mons. Cantù – che la piena attuazione dell’accordo possa gradualmente favorire un ambiente in cui tutte le parti in causa costruiscano la fiducia reciproca, affinché tali progressi portino ad una maggiore stabilità e dialogo nella regione”. Con questo spirito, il Comitato “continuerà ad esortare il Congresso ad appoggiare il risultato di questi intensi negoziati, perché l’alternativa guiderebbe verso il conflitto armato, un esito che preoccupa profondamente la Chiesa”.

Costruire ponti di pace per un mondo più fraterno
​“Incoraggiamo il Congresso – conclude il presule – a sostenere questi sforzi per costruire ponti di pace e di maggior comprensione. Come dice Papa Francesco, possano i negoziati “essere un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno”. (A cura di Isabella Piro)

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Iraq: trasformata in moschea chiesa caldea di S. Giuseppe a Mosul

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Dopo quella dedicata a Sant'Efrem, anche la chiesa caldea di Mosul intitolata a San Giuseppe è stata trasformata in moschea su disposizione dei leader del sedicente Stato Islamico (Daesh), l'entità jihadista che dal giugno 2014 si è insediata nella seconda città irachena, trasformandola nella capitale dell'autoproclamato Califfato islamico. A diffondere la notizia sono fonti di Mosul in contatto con il website ankawa.com. Alcune immagini del luogo di culto - riferisce l'agenzia Fides - mostrano che la cupola è stata ridipinta di nero, e la chiesa – situata nel quartiere di Maidan, nel centro storico della città – è stata spogliata delle croci e di tutte le immagini e i simboli cristiani. La moschea sarebbe stata intitolata a Abu Abdulrahman al-Bilawi, un comandante iracheno del Daesh ucciso dalla polizia irachena.

La chiesa veniva aperta al culto una volta al mese
Quella di San Giuseppe era una chiesa storica di Mosul, ma negli ultimi anni, per la diminuzione di sacerdoti e fedeli registrata dopo gli interventi militari a guida Usa, vi si celebrava la Messa solo una volta al mese e vi si svolgevano pellegrinaggi nelle festività legate alla figura del padre putativo di Gesù, in particolare in occasione del primo maggio, festa di San Giuseppe lavoratore.

Tutti i cristiani di Mosul fuggiti a Erbil
Dopo la conquista di Mosul da parte dei jihadisti, tutti i cristiani della città sono stati costretti a fuggire e molti di loro vivono da rifugiati a Ankawa, sobborgo di Erbil. Mons. Amel Shamon Nona, già arcivescovo caldeo della metropoli irachena, è stato trasferito a guidare l'eparchia caldea in Australia, e per la nomina del suo successore a Mosul si attende di vedere se davvero avrà inizio la tante volte annunciata campagna militare per liberare la città dai jihadisti. “La voce più insistente - riferisce a Fides Paolo Mekko, sacerdote caldeo di Mosul, attualmente rifugiato ad Ankawa - era quella secondo cui le operazioni militari su larga scala sarebbero iniziate dopo la fine del Ramadan. In effetti, in questi giorni sembra iniziata un'offensiva per recuperare terreno nella provincia di al-Anbar e liberare Ramadi. Vedremo se poi toccherà a Mosul”. 

In vendita i beni della Chiesa in attesa di tempi migliori
Nel frattempo, il patriarcato caldeo, in accordo con i preti di Mosul, ha deciso di vendere alcuni veicoli di proprietà dell'arcidiocesi che giacevano inutilizzati nelle autorimesse, per evitare che con il passare del tempo perdano valore. Il ricavato dalla vendita – pari a quasi 60mila dollari - è stato versato nel conto bancario intestato all'arcidiocesi, nella speranza di poterlo usare quando arriveranno tempi migliori, e le parrocchie di Mosul potranno “ripartire”. (G.V.)

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Libano: al via il Sinodo della Chiesa armeno-cattolica

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“I padri sinodali della Chiesa armeno-cattolica, riunitisi nella sede patriarcale di Bzommar, per eleggere il ventesimo patriarca di Cilicia degli armeni cattolici, dopo il decesso del patriarca Nerses Bedros XIX, avvenuto lo scorso 25 giugno per arresto cardiaco, hanno pubblicato una lettera di ringraziamento rivolta a tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno partecipato al dolore della perdita del patriarca.

Gratitudine per il compianto patriarca Nerses Bedros XIX
I vescovi hanno ringraziato in particolare Papa Francesco, i cardinali, i catholicos, i patriarchi, il nunzio apostolico, i vescovi ed i rappresentanti delle Chiese sorelle, così come il Presidente della Repubblica d'Armenia ed i Presidenti emeriti del Libano nonché  i rappresentati politici, diplomatici e del mondo civile per le loro espressioni di vicinanza e partecipazione. I vescovi hanno invitato tutti i fedeli a pregare "per l’eterno riposo dell'anima" del defunto patriarca come espressione di gratitudine verso la sua persona ed il suo apostolato.

Scrutini a porte chiuse per eleggere il nuovo patriarca
Il Sinodo elettivo della Chiesa armeno cattolica ha preso il via ieri, con la celebrazione Eucaristica, dopo che i vescovi avevano partecipato, lunedì scorso, ad un ritiro spirituale di un giorno predicato da mons. Maurizio Malvestiti vescovo di lodi. Secondo il Diritto canonico per le Chiese orientali, gli scrutini per l'elezione del nuovo patriarca dovranno avvenire a porte chiuse con la partecipazione dei soli padri sinodali. L'articolo 72 del Codice citato, stabilisce che il nuovo patriarca venga eletto ottenendo i due terzi dei voti degli aventi diritto. Qualora dopo il terzo scrutinio nessuno dei candidati raggiungesse il quorum dei due terzi, dal quarto scrutino in poi verrà eletto il candidato che otterrà la maggioranza dei voti. (A cura di Robert Attarian)

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Ue a Gerusalemme: preoccupazione per Muro a Cremisan

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Gli uffici di rappresentanza dell'Unione Europea a Gerusalemme e Ramallah hanno diffuso un comunicato relativo alla recente decisione della Corte Suprema israeliana di autorizzare il proseguimento della costruzione del Muro di separazione nella Valle di Cremisan. Nella dichiarazione, che porta la data del 10 luglio, si esprime “profondo rammarico e preoccupazione” per la decisione presa dal supremo organo giudiziario israeliano. 

Le famiglie palestinesi penalizzate dal Muro sono tutte cristiane
“Se verrà costruita - si legge nel comunicato ripreso dall'agenzia Fides – questa barriera restringerà severamente l'accesso di 58 famiglie palestinesi alle proprie terre, e avrà conseguenze profonde sulle loro vite. Inoltre la decisione comporterà un'ulteriore usurpazione di terra palestinese nell'area adiacente a Betlemme, in una zona già pesantemente colpita dall'espansione degli insediamenti di coloni”. Le famiglie palestinesi direttamente penalizzate dalla decisione della Corte suprema israeliana sono tutte cristiane.

L'Ue aveva appoggiato il no al Muro della Corte Internazionale di Giustizia
Nel comunicato delle rappresentanze dell'Ue e Gerusalemme e Ramallah si ricorda anche che l'Unione Europea aveva appoggiato il parere consultivo con cui la Corte Internazionale di Giustizia, già nel luglio 2004, aveva definito “illegale” la costruzione del Muro di separazione su terreni arbitrariamente e unilateralmente confiscati. (G.V.)

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Rep. Dominicana: Chiesa respinge progetto su salute riproduttiva

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È un progetto di legge da respingere “energicamente, sia nella sua forma che nel suo contenuto” quello sulla salute sessuale e riproduttiva nella Repubblica Dominicana. Lo afferma la Conferenza episcopale locale in una nota diffusa ieri, in cui si evidenzia che tale proposta normativa “non deve essere approvata senza la partecipazione di tutta la società al dibattito”.

Criticità del progetto di legge
Il progetto di legge in questione, attualmente in discussione alla Camera, presenta numerosi punti critici: innanzitutto, permette l’aborto agli adolescenti limitando ai soli casi di emergenza l’obbligo di informare i rispettivi genitori; in secondo luogo impone l’inserimento, nei programmi scolastici, di un’educazione sessuale includente l’introduzione al piacere ed all’erotismo. Infine, la proposta normativa non prevede, in caso di aborto, la possibilità di obiezione di coscienza per medici ed infermieri.

Promuovere l'educazione integrale della persona
Per questo, i vescovi – in quanto “membri del popolo dominicano” – chiedono ai legislatori di “convocare tutti gli attori sociali per redigere una legge che non riduca l’educazione sessuale alla sfera genitale”, ma che promuova “un’educazione integrale della persona umana”. Di qui, l’appello che la Chiesa dominicana lancia per la difesa di alcuni principi fondamentali, tra cui “il diritto alla vita” che “non può essere interpretato solo dal punto di vista del piacere”, ma va inquadrato “nell’ottica della responsabilità”, condizione necessaria per una “vita nel senso pieno del termine”.

Il primato educativo spetta ai genitori, non allo Stato
I presuli di Santo Domingo sottolineano anche che “non si può concepire una vita sessuale svincolata dalle tappe dello sviluppo biologico, psicologico ed integrale della persona umana”, poiché “l’età è correlata alla sessualità”. Quindi, si ribadisce che “i primi responsabili dell’educazione integrale dei figli, inclusa l’educazione sessuale, sono i genitori. Questo compito continua fino allo sviluppo completo dei giovani, uno sviluppo che permetta loro l’esercizio maturo della libertà con responsabilità”. “Lo Stato – si legge nella nota – non può togliere alla famiglia il diritto ed il dovere che ha di essere la prima educatrice dei cittadini”.

Diritto alla vita sancito e tutelato dalla Costituzione
Inoltre, la Chiesa dominicana ricorda che “a seguito della riforma costituzionale del 2010, è stato stabilito di dedicare l’articolo 37 della Carta fondamentale alla difesa della vita dal concepimento e fino alla morte naturale”. Qualunque “nuovo dibattito per approvare l’aborto”, dunque, “è incostituzionale”. Non solo: “in un regime di libertà di culto non può essere approvata una legge che limiti questa stessa libertà, dal momento che questo contraddice la Costituzione ed i principi democratici fondamentali”.

Obiezione di coscienza è diritto inalienabile della persona
Ancora: i vescovi sottolineano che “in ogni società democratica l’obiezione di coscienza è un diritto inalienabile della persona” e quindi “qualsiasi penalizzazione” di tale principio per un medico, in riferimento all’aborto, “è una flagrante violazione della libertà dell’essere umano”. Per questo, la Chiesa dominicana afferma che, “in accordo con la scienza”, va sostenuta e promossa “un’educazione integrale che rispetti le tappe dello sviluppo dell’individuo, il primato dei genitori nell’educazione e che educhi ad un autentico e responsabile esercizio della libertà umana”.

No alla “colonizzazione ideologica” del Paese
​La nota episcopale si conclude con un appello a tutta la cittadinanza affinché salvaguardi “i valori nazionali più elevati”, opponendosi “ad un progetto di legge che, chiaramente, segue quella che Papa Francesco chiama ‘colonizzazione ideologica’”. (I.P.)

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Vescovi filippini: preghiera pace nel Mar Cinese meridionale

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La Conferenza episcopale filippina (Cbcp) ha lanciato ieri una preghiera per la pace per cercare di ridurre le tensioni nel Mar Cinese meridionale, al centro da tempo di un’aspra controversia territoriale fra Manila, Hanoi e Pechino. Presentando l’iniziativa mons. Socrates Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan e confermato presidente della Cbcp, sottolinea che “se vi è un’escalation della tensione e ci troviamo di fronte a un problema di pace, come può non essere coinvolta la Chiesa?”. Il prelato ha aggiunto che proprio la pace “è una missione” primaria dei cattolici, ed è per questo necessario intervenire. 

La preghiera per allentare la tensione fra Filippine e Cina
I vertici della Chiesa filippina non entrano nel merito dell’arbitrato internazionale promosso dal governo di Manila per risolvere la disputa; tuttavia, il neo presidente dei vescovi ricorda che è compito dei fedeli pregare per allentare i rapporti sempre più tesi fra Filippine e Cina. La preghiera - diffusa al termine dell’incontro annuale dei vescovi - verrà recitata in tutte le diocesi e parrocchie dell’arcipelago, spiega mons. Villegas, per “cercare di ridurre le tensioni, e metterci al servizio della giustizia, dell’equità, della prosperità e della fratellanza”.

Una preghiera per invocare la pace “sulle isole e sulle acque”
“Non abbiamo i mezzi per negoziare con le superpotenze - chiarisce il presidente dei vescovi - non possiamo rappresentare le Filippine nel tribunale internazionale, ma possiamo certo rappresentare le Filippine agli occhi di Dio e chiedergli di prendersi cura delle Filippine”. Nella preghiera si invoca la pace “sulle isole e le acque”, per la risoluzione delle controversie “mediante giustizia e rispetto dei diritti delle persone” e che “non siano fatti danni alle creature marine e all’habitat naturale”. 

Preoccupazione di Hanoi e Manila per l'atteggiamento della Cina
Da tempo Hanoi e Manila - che per prima ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu, iniziato la scorsa settimana e privo di valore vincolante - manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale. Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende le Spratly e le Paracel, isole contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori).

Gli interessi della Cina per lo sfruttamento di petrolio e gas naturale
​A sostenere i Paesi del Sud-Est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue" usata da Pechino per marcare il territorio, fino a comprenderne quasi l'80% dei 3,5 milioni di kmq. L'egemonia riveste un carattere strategico per lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area dell'Asia-Pacifico di elevato interesse economico e geopolitico. (R.P.)

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India: preghiera della Chiesa per vittime hindu sul Godavari

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È salito a 27 il bilancio delle vittime, per la maggior parte donne, schiacciate nella calca sulle sponde del Godavari, a Rajahmundry (Andhra Pradesh) ieri mattina. Migliaia di pellegrini si sono radunati presso i 32 ghat (accessi) per immergersi nelle acque del fiume sacro, nel primo giorno del festival indù Godavari Pushkaram. All'agenzia AsiaNews mons. Prakash Mallavarapu, vescovo di Vishakapatnam, dichiara: “I nostri cuori vanno alle famiglie delle vittime. Qualunque sia la ragione che ha causato questo deplorevole incidente, la tragedia di perdere 27 vite in occasione di una celebrazione sacra è triste e deplorevole”.

La festa dura 12 giorni e cade ogni 144 anni
Il Godavari Maha Pushkaram (“Grande culto del fiume Godavari”) celebra il fiume sacro in cui il dio Pushka appare ogni 12 anni. Per questo, la festa dura 12 giorni e cade ogni 144 anni, ovvero alla 12ma ricorrenza del 12 ciclo. La prossima verrà celebrata nel 2159.

Immergersi nel primo giorno di festa è considerato di maggiore auspicio
L’incidente ha avuto luogo al ghat di Kotagumman, quando decine di persone nelle prime file sono cadute, non appena i cancelli sono stati aperti. Immergersi nel primo giorno di festa è considerato di maggiore auspicio, e per questo la folla ha iniziato a spingere. La maggior parte delle vittime provenivano dai distretti di Srikakulam e Vizianagaram.

Possibili errori umani in luoghi così piccoli
​“Quando migliaia di persone si radunano in luoghi così piccoli – afferma il presule ad AsiaNews – è comprensibile che avvengano errori umani. Le famiglie potrebbero fare fatica a scendere a patti con questa perdita, avvenuta in un luogo di devozione. Tuttavia, spero e prego che Dio, nella sua bontà e misericordia, dia loro conforto e consolazione per accettare l’accaduto. Le nostre preghiere vanno a tutti loro”. (N.C.)

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Vescovi svizzeri: appello all'accoglienza e alla solidarietà

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Dobbiamo accettarci differenti e volerci complementari: non c’è una religione che ha ragione e le altre torto: ciascuna apporta qualcosa di importante e dobbiamo accoglierci reciprocamente. Anche questo è costruire la Svizzera”. Così, a nome della conferenza episcopale elvetica, dice l’abate di St-Maurice, Joseph Roduit, in un videomessaggio per la festa nazionale del 1° agosto. “La storia della Svizzera”, fatta di “accordi, ricerca del consenso e di consonanza per fare un’armonia” - riferisce l'agenzia Sir - potrebbe essere “un modello per i Paesi che si costituiscono oggi, dove si cerca un bene comune al di sopra del bene privato” incoraggia l’abate, spiegando come la storia confederale abbia a che fare con “l’idea della solidarietà”. 

Conservare l'apertura alla solidarietà
“Credo che la Svizzera non debba richiudersi sul proprio benessere, ma sempre conservare quest’apertura di solidarietà e aiutare gli altri a vivere ciò che lei ha vissuto”. In Svizzera, dove “un abitante su quattro è straniero”, “se abbiamo dei soldi, è per poterli condividere meglio”, richiama mons. Roduit. L’abate fa anche riferimento all’enciclica di Papa Francesco, sottolineando che se è importante custodire l’ambiente, occorre “non dimenticare i suoi abitanti e la protezione della vita umana”. Dopo un incoraggiamento ai fedeli cattolici a vivere la propria missione nella società, l’abate conclude ringraziando “per tutto quello che si fa di buono, bello e vero nel senso dell’accoglienza”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 196

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.