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Sommario del 18/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Sfruttamento minerario. Dopo appello Papa, la testimonianza di un congolese

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Sulla scia del grido di Papa Francesco in favore di tutte le vittime dello sfruttamento delle miniere nel mondo, prosegue fino a questa domenica, al Salesianum di Roma, la Giornata di riflessione promossa dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e dalla rete latinoamericana “Iglesias y Minería” sul tema delle attività minerarie. Ce ne parla Benedetta Capelli

Il 40% di tutti i conflitti globali degli ultimi 60 anni, secondo le Nazioni Unite, sono legati alle risorse minerarie. Dati allarmanti che fanno affiorare il dramma delle comunità locali che, come denunciano molte organizzazioni, subiscono le pesanti conseguenze dello sfruttamento dei loro terreni e la graduale perdita di lavoro quando le multinazionali, in tanti casi straniere, aprono le loro attività. Ma ciò che è più difficile da accettare – lo hanno sottolineato i partecipanti alla Giornata di riflessione “Uniti a Dio ascoltiamo un grido” – è la violenza, la vessazione e le intimidazioni che arrivano nel momento in cui si denuncia l’iniquità. E’ quel grido di sdegno e di aiuto – suggerisce Papa Francesco – di tristezza e impotenza che va raccolto e rilanciato. Non si può restare in silenzio dinanzi alla storia, raccolta da Antonino Galofaro, di Héritier Wembo Nyama, della Repubblica Democratica del Congo, il Paese che vive una delle situazioni più drammatiche per la sua immensa ricchezza di giacimenti minerari particolarmente preziosi e che ha causato una guerra con oltre tre milioni di vittime negli ultimi 20 anni:

R. – Arrivaient les entreprises "Kibali Gold Mining" …
Sono arrivate le imprese della “Kibali Gold Mining”, hanno comprato tutte le terre. Così sono venuti a mancare i posti di lavoro. Allora abbiamo chiesto di avere uno spazio per lavorare ma hanno rifiutato. Abbiamo chiesto ancora: “Dateci il lavoro, possiamo lavorare presso di voi”. Hanno rifiutato anche questo. A quel punto c’è stata una manifestazione, sono stati messi dei pneumatici sulla strada e a questi hanno dato fuoco. Poi sono arrivati i soldati. Mi hanno arrestato e mi hanno gettato nelle fiamme. Dio mi ha salvato: sono uscito vivo dal rogo. Poi mi hanno legato tutta la notte e anche la mattina dopo. Mi hanno fatto attraversare tutta la città, fino alle quattro del pomeriggio, mi hanno mandato all’ospedale e quando sono arrivato lì mi hanno abbandonato. Ho passato settimane all’ospedale. Ero solo ma sono stato aiutato da alcune persone della Chiesa locale. Dopo alcune settimane, un medico mi ha detto che mi avrebbe trasferito nel “loro” ospedale, all’ospedale di Kibali. Ma i miei parenti si sono opposti perché erano convinti che andando via da lì mi avrebbero ucciso. Mi hanno detto: “rimani a casa e fatti aiutare. Anche noi ti aiuteremo a comprare le medicine, a provvedere al cibo. Ti aiuteremo. Rimani a casa”. Allora sono rimasto. L’aiuto è arrivato anche dalla Chiesa, hanno pensato alla casa. Quando sono giunto a Kinshasa per venire qui a Roma, ho saputo che quelle persone erano venute fino a là per cercarmi. Volevano sapere dove fossi e dove sarei andato. In quel momento ho avuto paura. E sono spaventato anche adesso, ho paura di tornare là dove c’è mia moglie e i miei figli e la mia sorella più piccola, per la quale sono un padre, perché noi due siamo orfani. Io ho iniziato a lavorare per pagarle la scuola e per mantenerla, ma adesso non c’è lavoro, non ho forza nella mia mano bruciata per lavorare. Chiedo il vostro aiuto, aiutatemi per i miei bambini, mia sorella, mia moglie …

D. – Prima che accadesse tutto questo, com’era la sua vita? Viveva insieme alla sua comunità?

R. – Dans notre communauté, on avait commencé …
Nella nostra comunità, avevamo iniziato il lavoro in miniera e avevamo incominciato a vivere bene. Ma quando è arrivata l’impresa  ha bloccato tutto: è iniziato a mancare il lavoro … Comunque, prego anche la Chiesa perché salvi le persone che sono rimaste lì …

Quanto accade nella Repubblica Democratica del Congo si replica anche in America Latina. La Chiesa è al fianco delle comunità, raccoglie il loro grido, si mette dalla parte del debole. L’iniziativa del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace – ha evidenziato Tebaldo Vinciguerra, officiale del dicastero vaticano – vuole dare visibilità a questo dramma e preparare il terreno all’incontro del prossimo settembre al quale parteciperanno anche i dirigenti delle compagnie minerarie. Per Vinciguerra è importante che sia stato avviato un dialogo “non di facciata” ma è necessario lavorare su alcuni principi condivisi per favorire il bene comune. Non bisogna però nascondersi: se ci sono imprese locali e piccole che sono buoni esempi, dall’altra parte non mancano imprenditori che impongono la loro linea – ha detto il cardinale Peter Turkson, presidente di Giustizia e Pace - “individui che lavorano senza uno scopo veramente umano”, lontani “dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri” che Papa Francesco ha auspicato perché si costruisca “un’unica famiglia umana”.

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Altre iniziative Bambino Gesù-Vaticano in favore di pazienti in difficoltà

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Unanime soddisfazione per l’accordo tra il Governatorato e l’Ospedale Bambino Gesù che permette agli elicotteri di atterrare d’ora in poi nell’eliporto del Vaticano per gravi urgenze pediatriche o per casi riguardanti espianti e impianti di organi. Papa Francesco ha manifestato la sua gioia per una iniziativa che sarà di grande aiuto ai bambini. Sull’intesa, Christopher Altieri ha intervistato il dott. Massimiliano Raponi, direttore sanitario dell’ospedale Bambino Gesù: 

R. – Per noi è una grandissima occasione per riuscire a garantire il meglio per i pazienti in emergenza pediatrica, per l’Ospedale Bambino Gesù che svolge attività di alta complessità e la svolge all’interno di una struttura che risponde a livello nazionale a esigenze sia di emergenza sia di attività di trapianto di organi. L’Ospedale Bambino Gesù svolge attività trapiantologica per tutti gli organi e tessuti e quindi ha necessità – in situazioni di emergenza – di poter garantire il meglio ai propri pazienti. Questa è anche l’occasione per poter entrare all’interno di una rete regionale per la gestione delle emergenze e in alcuni casi anche fuori dalla Regione Lazio. E’ importante per noi poter dare risposta immediata nella gestione dell’emergenza e questo - grazie alla vicinanza dell’Ospedale Bambino Gesù al Vaticano – ci permette di ridurre i tempi di trasporto e quindi di logistica. Di questo accordo si è fatto promotore il comandante Domenico Giani, che ringraziamo per la sua sensibilità e l’interesse a trovare una collaborazione per garantire sempre il meglio per i nostri pazienti.

D. – Lei prevede altre forme di collaborazione con le strutture del Vaticano?

R. – Sì. In realtà abbiamo già avviato altre iniziative per quei pazienti che hanno molte difficoltà e problemi a poter raggiungere l’ospedale e che raggiungiamo noi con il nostro personale medico ed infermieristico. Abbiamo questo tipo di progetto anche laddove ci sono pazienti indigenti che hanno difficoltà economiche: si chiama “Non ti scordar di me” ed è stato avviato nell’ottica di un ospedale che risponda a quelli che sono i valori della Chiesa e quindi a quello che cerchiamo di dare ai nostri pazienti, non soltanto in situazioni di emergenza.

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Il Papa chiama due parroci a capo diocesi Padova e Ozieri

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Papa Francesco ha chiamato due parroci alla guida delle diocesi di Padova e Ozieri. Nuovo vescovo della città veneta è mons. Claudio Cipolla, nato a Goito 60 anni fa, finora parroco di “Sant’Antonio” di Porto Mantovano. Succede a mons. Antonio Mattiazzo, che lascia per raggiunti limiti di età. Nuovo vescovo di Ozieri, in Sardegna, è don Corrado Melis, 52 anni, sardo, finora parroco a Santa Barbara a Villacidro.

Mons. Claudio Cipolla è nato a Goito, in provincia e diocesi di Mantova, l’11 febbraio 1955. Ha frequentato il corso di studi medi superiori al Seminario minore della diocesi di Mantova, proseguendo gli studi teologici e filosofici presso il Seminario maggiore della stessa diocesi. È stato ordinato Diacono il 16 dicembre 1978 ed ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 24 maggio 1980 nella Basilica Concattedrale di Sant’Andrea, a Mantova, per le mani di S.E. Mons. Carlo Ferrari, allora Vescovo di Mantova.  È stato Vicario parrocchiale della parrocchia di Ognissanti, a Mantova dal 1980 al 1989; Assistente della branca Esploratori e Guide dell’AGESCI dal 1980 al 1990; Vicario parrocchiale della parrocchia dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, a Cedole, dal 1989 al 1990; Assistente provinciale dell’AGESCI dal 1989 al 1992; Direttore della Caritas diocesana dal 1990 al 2008; dal 1998 fino ad oggi è Parroco della parrocchia di Sant’Antonio di Porto Mantovano e dal 2008 è anche Vicario Episcopale per il Settore Pastorale.  È stato anche Responsabile diocesano per la preparazione dei Convegni Nazionali della Chiesa Italiana a Palermo (1995) e a Verona (2006), e Membro della Delegazione diocesana agli stessi Convegni; Membro del Collegio dei Consultori (2009-2014), del Consiglio Pastorale Diocesano e della Commissione per la Formazione Permanente del Clero. È Membro ratione officii del Consiglio Episcopale (2014-2017) e del Consiglio presbiterale (2012-2016). Dal 27 ottobre 2011 è Cappellano di Sua Santità.

Il rev.do Corrado Melis è nato a Sardara, nella diocesi di Ales-Terralba, l’11 marzo 1963. Nel 1974 è entrato nel Seminario minore diocesano di Villacidro, e dopo la maturità al Ginnasio Liceo “E. Piga”, ha seguito il regolare corso di studi per il presbiterato presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna a Cagliari (1983-1988), conseguendovi la Licenza in Teologia. È stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1988, incardinandosi nella diocesi di Ales-Terralba. Dopo l’ordinazione presbiterale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale nella parrocchia Santa Barbara a Villacidro e Assistente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica (1988-1993); Vice Rettore del Seminario diocesano a Villacidro (1991-1994); Animatore al Pontificio Seminario Regionale della Sardegna a Cagliari (1993-1998); Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano (1994-2004); Cappellano a Montevecchio, Guspini (1996-2001); Vicario e poi Amministratore Parrocchiale a San Nicolò Vescovo, in Guspini (1998-2001); Parroco a San Bernardino a Mogoro (2001-2011). Dal 2011 è Parroco della parrocchia Santa Barbara a Villacidro. Attualmente è anche Vicario Episcopale per l’Evangelizzazione e l’Educazione, Direttore dell’Ufficio Diocesano della Pastorale della Famiglia e Direttore della Pastorale dell’Ecumenismo. Inoltre, è Membro del Collegio dei Consultori e del Consiglio diocesano per gli Affari Economici.

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Nomine in India e Sierra Leone

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Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Jhabua (India) il Rev.do P. Basil Bhuriya, S.V.D., Parroco e Membro del Consiglio Provinciale dei PP. Verbiti. Nato l’8 marzo 1956, a Panchjui, nella diocesi di Jhabua. Ha studiato Filosofia e Teologia presso il Pontifical Athenaeum di Pune. In seguito, ha conseguito un B.A. presso l’Università di Indore. Ha emesso la professione solenne nella Società del Verbo Divino, il 12 giugno 1985. È stato ordinato sacerdote il 5 maggio 1986, per la stessa Società. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1987-1988: Vicario parrocchiale a Muvalia, Gujarat, diocesi di Baroda; 1988-1992: Vice Rettore del St. Thomas Seminary di Indore; 1992-1997: Rettore del St. Thomas Seminary di Indore; 1997-2002: Parroco a Dhar, diocesi di Indore; 2002-2005: direttore dell’Hostel di Thandla, diocesi di Jhabua; 2005-2009: Parroco a Rajgarh, diocesi di Jhabua; dal 2009: Parroco di Immaculate Heart of Mary Church di Thandla, diocesi di Jhabua; dal 2011: Membro del Consiglio Provinciale dei PP. Verbiti del Central Indian Province.

Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare della diocesi di Kenema (Sierra Leone) S.E. Mons. Henry Aruna, trasferendolo dalla diocesi di Makeni. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Nasbinca.

Il Papa ha elevato alla dignità episcopale il Rev.do P. Natale Paganelli, S.X., Amministratore Apostolico di Makeni (Sierra Leone), assegnandogli la sede titolare vescovile di Gadiaufala. Nato il 24 dicembre 1956 a Grignano di Brembate, Diocesi di Bergamo, Italia. Dopo gli studi primari e secondari nelle scuole locali (1962-1970), ha conseguito un Diploma di Scuola Magistrale a Cremona (1970-1974). È entrato poi nello Studentato Teologico Saveriano di Parma, dove ha proseguito il Corso di Propedeutica e completato gli studi di Filosofia e Teologia (1975-1981). Ha emesso i primi voti il 31 agosto 1975 e la professione perpetua il 3 dicembre 1979. È stato ordinato sacerdote il 25 dicembre 1980 a Parma. Dopo la sua ordinazione ha trascorso 22 anni di missione in Messico, prima di giungere in Sierra Leone nel 2005. Ha svolto i seguenti ministeri: 1981-1982: Studente di lingua spagnola in Messico; 1982-1985: Promotore vocazionale nel Seminario Minore Saveriano di San Juan del Rio (Messico); 1986-1992: Rettore del Seminario Minore di S. Juan del Rio (Messico); 1992-1994: Vice-maestro dei novizi a Salamanca (Messico); 1990-1996: Vice Superiore Regionale in Messico; 1996-2002: Superiore Regionale in Messico; 2002-2004: Preparazione alla partenza per le missioni in Sierra Leone; 2004-2005: Studio della lingua inglese a Londra; 2006-2007: Vicario parrocchiale a Madina, diocesi di Makeni, in Sierra Leone; dal 2007: Superiore Regionale dei Saveriani della Sierra Leone. Dal 2012: Amministratore Apostolico della diocesi di Makeni.

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In un tweet il grazie del Papa a Ecuador, Bolivia e Paraguay

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Il Papa oggi ha lanciato un tweet in spagnolo dall’account @Pontifex, ringraziando i popoli di Ecuador, Bolovia e Paraguay per l’accoglienza riservatagli e chiedendo di pregare per lui: “Gracias. Por favor, les pido que recen por mí. #Ecuador #Bolivia #Paraguay”.

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Mons. Auza: uno sviluppo equo non lo realizzano i mercati

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Porre “fine alla povertà e alla fame” e “raggiungere uno sviluppo sostenibile, promuovendo un “sistema economico mondiale equo che si prende cura per l'ambiente”. Sono gli auspici espressi dall’osservatore della Santa Sede all’Onu di New York, intervenuto alla Conferenza di Addis Abeba dedicata ai finanziamenti allo sviluppo. Il servizio di Alessandro De Carolis

La “Laudato si’” lo ha appena ribadito: sforzi che siano significativi per lo sviluppo di Paesi in difficoltà non si concretizzeranno mai se le nazioni ricche continueranno a badare soprattutto ai loro interessi. Mons. Auza poggia le sue considerazioni sull’Enciclica di Papa Francesco. L’osservatore vaticano parla ad Addis Abeba dove si discute sul sostegno alle aree del pianeta nelle quali vivono Stati in condizioni particolari, classificati secondo determinate categorie: Paesi meno avanzati, in via di sviluppo senza sbocco sul mare, piccole isole in via di sviluppo, Paesi in conflitto o situazioni di post-conflitto. In queste zone, constata mons. Auza, si concentra la maggior parte della popolazione mondiale tagliata fuori dai “benefici” prodotti da economia, scienza, tecnologia.

I mercati non hanno tutte le soluzioni
Ribadendo l’appoggio della Santa Sede al raggiungimento dei grandi obiettivi – la fine della povertà e della fame, il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile, la promozione di “società pacifiche e inclusive e un sistema economico mondiale equo che si prende cura per l'ambiente” – il rappresentante vaticano afferma con chiarezza che “le soluzioni alla povertà globale e alla fame non possono essere lasciate alle sole forze di mercato”. Sradicare la fame cronica e la povertà estrema, indica, necessita in generale di una “condivisione della scienza e della tecnologia, dell'accettazione di valori etici come la solidarietà e la giustizia sociale che possano influenzare il mercato, della volontà politica”. E nel dettaglio, di un’attenzione alle “persone in situazioni di vulnerabilità, in particolare donne e ragazze” e al contributo che può venire da loro nel progresso dell'economia e della società.

Tre ambiti
Mons. Auza individua quindi tre aspetti “strettamente legati al conseguimento di uno sviluppo sostenibile”. Per il primo, la “mobilitazione delle risorse finanziarie”, il presule chiede sia fatto “ogni sforzo” per acquisire finanziamenti destinati “allo sviluppo umano integrale” da ogni fonte possibile: nazionali, internazionali, settore privato e pubblico. Secondo aspetto, indica, è “la creazione di un contesto economico internazionale favorevole”, che cioè circondi le strategie di sviluppo dei singoli Paesi in “uno spirito di partnership globale, di prosperità condivisa e solidarietà fra le generazioni”. Nel terzo aspetto, mons. Auza sollecita “un efficace monitoraggio” e un meccanismo di valutazione di quanto realizzato, in particolare a sostegno del programma di sviluppo post-2015. Quello che in definitiva conta, conclude il presule, è l’instaurazione di uno sviluppo sostenibile "che non lasci indietro nessun Paese e nessuna persona".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Francesco in dodici mosse: una guida per rileggere i discorsi in Ecuador.

Elogio della parresia: Emanuela Ghini in memoria di Giacomo Biffi apostolo di Cristo.

La saggezza di Boguljub: riflessioni di Marko Ivan Rupnik e Maria Campatelli sulla vita religiosa.

In valigia solo poesie: Marco Beck su Carlo Bo e la critica letteraria di Henri Bremond.

Sui personaggi secondari dell'Antico Testamento, un articolo di Giovanni Cerro dal titolo “Qualcuno più piccolo di noi”.

Addio ad Heidegger (e non alle armi): Gabriele Nicolò sui filosofi italiani e la Resistenza.

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Oggi in Primo Piano



Iraq. Strage per la Festa di fine del Ramadan, 115 morti

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È salito ad almeno 115 morti il bilancio dell’attentato effettuato ieri sera dal sedicente Stato islamico a Khan Bani Saad, cittadina a nord di Baghdad, in Iraq, dove le famiglie stavano festeggiando la fine del digiuno sacro. Ramadan di sangue anche in Siria, quello appena concluso: l’Osservatorio nazionale per i diritti umani riferisce di oltre cinquemila vittime nell’ultimo mese. Roberta Barbi ne ha parlato con il prof. Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi e dell’Islam dell’Università Cattolica di Milano: 

R. – Rattrista e spaventa il fatto che sia stato un Ramadan di sangue. Ed è un segnale molto preoccupante in quanto l’Islam ha una grande tradizione religiosa, con una sua etica che sembra non reggere più di fronte al caos attuale. Addirittura, i momenti forti dell’anno liturgico diventano un pretesto per una minoranza di fanatici per seminare terrore, soprattutto tra persone innocenti, e fomentare questa nuova divisione del Medio Oriente su faglie etniche o religiose che vorrebbe risistemare l’area dopo la sistemazione che ha avuto.

D. – L’attacco è stato in un’area della provincia di Diyala, da poco riconquistata dall’esercito iracheno e dai miliziani curdi…

R. – C’è sempre di più di mezzo questa questione o etnica con i curdi, gli arabi, i persiani, i turchi, oppure quella strettamente religiosa, quindi sunniti, sciiti. Qualcuno addirittura ricorda la pace Westfalia, il "cuius regio et eius religio", il dividersi in base alle credenze. Oggi, fare una cosa di questo genere significa mettere in conto deportazioni di massa e genocidi.

D.– Colpiscono le rivendicazioni degli attentati contro i “negazionisti”, il termine con cui gli estremisti dell’Is chiamano gli sciiti…

D. – Significa che si è arrivati a una specie di scomunica reciproca: erano famiglie islamiche differenti che hanno sempre avuto problemi, ma hanno anche saputo a lungo condividere. Adesso, si considerano gli amici peggiori, gli eretici, quindi odiati forse ancora di più degli infedeli. È molto preoccupante e molto grave che si sia arrivati a questo punto perché, ovviamente, non ci sono più limiti: quello che stai combattendo non è una persona ma è il simbolo del male assoluto e tutto sembrerebbe giustificato.

D. – Dai racconti di alcuni "foreign fighters" che sono riusciti a fuggire, emerge chiaramente che l’Is ha poco a che fare con l’Islam…

R. – Queste guerre particolari che sono le forme di terrorismo, di attacchi, di attentati, viste da lontano possono essere anche scambiate per morti di liberazione o di protesta. Quando li si vede da vicino, si constata tutta la loro disumanità. Forse è anche bene che tutte queste persone, dopo aver fatto lo sbaglio di essere partiti per dare il loro contributo a chissà quale causa, poi raccontino la verità dei fatti: che è una forma che non ha niente a che fare con nessuna religiosità, perché seminare dolore e morte non può corrispondere alla volontà di nessun Dio.

D. – Sembra che a fine giugno in alcuni attacchi in Siria l’Is abbia utilizzato gas velenosi. Siamo di fronte a un ulteriore imbarbarimento del conflitto?

R. – Ormai non ci sono limiti. Anche in Iraq, durante la guerra civile, mi raccontavano cose spaventose e anche il comportamento di certi regimi come quello di Damasco ha superato ogni immaginazione con queste bombe che mirano proprio a fare il maggior numero di vittime tra i civili. A livello puramente geopolitico, abbiamo perso l’Iraq, la Siria, la Libia e se perdiamo anche lo Yemen non so dove potremmo finire.

D. – I raid della coalizione continuano, ma non sembrano sortire molto effetto. Cosa può fare davvero la comunità internazionale?

R. – Questa coalizione anti-Is è assolutamente poco seria. In realtà, in questo "carrozzone" c’è di tutto: ci sono anche Paesi che in fondo finanziano l’Is o altri gruppi per interessi locali. Non credo che siamo ancora arrivati a una presa di coscienza di quella che è la posta in gioco e che non ci sia la volontà politica di arrivare a qualche soluzione.

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Grecia, rimpasto governo. Quadrio Curzio: accordo ragionevole

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Il premier greco Tsipras ha varato un rimpasto di governo, fuori i ministri dissidenti, sostituiti da fedelissimi. Quanto alla crisi finanziaria, il Bundestag ha dato l’ok al salvataggio della Grecia e i 28 Paesi dell’Unione Europea hanno anche accordato allo Stato ellenico un prestito ponte per le prime incombenze. Nel Peloponneso preoccupa anche l’emergenza incendi. Il servizio di Eugenio Murrali

Ieri sera, il premier Tsipras ha deciso per il rimpasto di governo e ha sostituito ministri e viceministri dissidenti con alcuni suoi fedelissimi. Resta al suo posto il ministro delle Finanze Tsakalotos, che lo scorso 6 luglio ha sostituito Varoufakis. Sul fronte della crisi finanziaria, il parlamento tedesco ha dato il suo placet al salvataggio, ma la cancelliera Merkel ha parlato di ultimo tentativo e si è detta contraria a un taglio del debito. Le trattative della Grecia con la troika per un terzo piano di aiuti da 86 miliardi avranno dunque inizio. Per tamponare la situazione d’emergenza, i 28 Paesi dell’Unione Europea hanno inoltre accordato allo Stato Ellenico un prestito ponte da sette miliardi di euro. Lunedì prossimo, grazie anche all’iniezione di liquidità della Bce, nel Paese riapriranno alcune banche. Preoccupa anche l’altra emergenza. Gli incendi continuano a bruciare il Peloponneso e l’Attica. Alcuni roghi sono scoppiati proprio alle porte di Atene. Il Centro emergenze della protezione civile è attivo. Tsipras invita la popolazione alla calma. Ma la Grecia riuscirà a ripartire? L'opinione di Alberto Quadrio Curzio, nuovo presidente dell'Accademia dei Lincei: 

R. – Credo che l’accordo raggiunto dall’Eurosummit sia ragionevole. In quanto chiede alla Grecia di fare una serie di riforme. Di tipo economico, ma anche capaci di rafforzare le istituzioni di un Paese che ha dimostrato di essere – ahimé per i greci – debole sotto il profilo economico-istituzionale. Si pensi che negli ultimi tempi il non pagamento dei biglietti sui mezzi pubblici è già costato dieci milioni di euro. In secondo luogo, si apre una finestra di opportunità per aumentare gli investimenti, in connessione a un fondo che dovrà essere in parte alimentato dalle privatizzazioni. Ma che potrà essere ulteriormente rafforzato con un afflusso di capitali che l’Europa stessa eroga normalmente, per il suo funzionamento, alla Grecia. Capitali che andranno gestiti con maggiore oculatezza per la ripresa della crescita. Infine, le banche avranno di nuovo una ricapitalizzazione. E questo dovrebbe consentire, ed è molto importante, la ripresa dell’attività creditizia ordinaria senza la quale un Paese democratico a economia di mercato non può funzionare.

D. – Nell’immediato, a cosa servirà il prestito ponte di circa sette miliardi accordato dai 28 Paesi dell’Ue?

R. – Servirà per rimborsare quei crediti che la Grecia aveva avuto e che le istituzioni internazionali, per ragioni anche giuridiche e di scadenze, hanno necessità di riavere indietro. Quindi, è un passaggio pro forma sotto molti profili, ma che va rispettato. Poi, naturalmente, verrà la cifra grossa: quegli 80 e più miliardi il cui uso sarà cruciale per vedere se la Grecia riesce o non riesce a uscire da questa situazione.

D. – Il rimpasto di governo varato da Tsipras in che direzione va?

R. – Nella direzione di avere dei ministri che abbiano dimostrato di capire la gravità della situazione greca e che la Grecia sta molto meglio dentro l’eurozona che fuori. La mia impressione è che Tspiras, diversamente da quanto molti hanno detto, abbia dimostrato la stoffa dello statista in questa circostanza. Perché, pur avendo ovviamente le proprie idee, ha messo davanti a queste quello che era l’evidente interesse del suo Paese e anche dell’eurozona e dell’Unione Europea.

D. – Fa bene la Germania a insistere con il rifiuto di tagliare il debito?

R. – La decisione di tagliare il debito non è a mio avviso compatibile con i trattati europei. Teniamo però anche conto che ci sono molti modi per alleggerire il debito: uno di questi modi è già in corso con la Grecia. Si pensi che la scadenza media dei prestiti fatti alla Grecia è di oltre 30 anni. Si consideri che i prestiti fatti dai fondi europei alla Grecia non pagano interessi per i primi dieci anni e che l’ultimo prestito attualmente vigente a favore della Grecia andrà in scadenza nel 2052. Detto in altri termini, alleggerire il debito può significare: moratoria sugli interessi per un numero di anni ampio quanto si ritiene, allungamento delle scadenze. Tutto ciò porta agli stessi vantaggi di un taglio – come dicono gli inglesi “haircut” – del debito, senza violare i trattati, che, piacciano o no, stabiliscono le regole di convivenza tra i Paesi dell’Unione Europea.

D. – In queste ore drammatiche, la Grecia brucia anche concretamente a causa dei roghi. Le fiamme di questo Paese rischiano di estendersi metaforicamente a tutta l’Unione Europea?

R. – Penso di no. Naturalmente, la Grecia ha sofferto molto in questi anni. Non meno hanno sofferto i portoghesi, che tra l’altro hanno un reddito pro-capite più o meno come quello della Grecia. Io credo che l’Europa avrebbe dovuto fare due politiche contemporanee: quella di riordino dei conti pubblici dei Paesi più deboli, ma anche quella di investimenti europei per la crescita. Purtroppo, questa seconda parte non l’ha fatta. Speriamo che sia una lezione per l’Europa, anche perché la gran parte delle infrastrutture europee deve essere ammodernata in termini di compatibilità ambientale. Sono infrastrutture vecchie e quindi si potrebbe dare molto più lavoro, se si facesse una politica più attiva di investimenti.

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Mandela Day. Noury: attuale suo esempio contro discriminazioni

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“Nelson Mandela ha combattuto 67 anni per la giustizia, noi ti chiediamo solo 67 minuti”. E’ questo lo slogan del Mandela Day, celebrato oggi in tutto il mondo in occasione del compleanno dello scomparso leader sudafricano, il cui messaggio di impegno civile è più che mai attuale. Ma chi era, e cosa può dirci, oggi Nelson Mandela? Giacomo Zandonini ha raccolto il commento di Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International: 

R. – E’ una persona straordinaria che, in una doppia vita – la prima del carcere e la seconda come leader politico del suo Paese – ha speso anni e anni, anzi decenni e decenni, nell’obiettivo di un Paese in cui i diritti umani valessero per tutti. E’ stato protagonista della sconfitta dell’apartheid e dello sviluppo separato, durato quasi mezzo secolo, ed è stato protagonista di un nuovo Sudafrica in cui almeno si è tentato di porre fine alla discriminazione, di porre fine alle disuguaglianza, di porre fine all’idea che il colore della pelle necessitasse luoghi fisici separati e diversi da quelli in cui stava la maggioranza dominante bianca. E’ un esempio, il suo, fondamentale di cui oggi non vediamo, purtroppo, molti eredi.

D. – La lotta di Nelson Mandela è una lotta quanto mai attuale. Quali situazioni, a livello globale, oggi richiamano la nostra attenzione?

R. – L’eredità di Mandela non è stata raccolta in maniera soddisfacente: ad esempio, proprio in Sudafrica c’è un problema di discriminazione profonda nei confronti dei lavoratori migranti che arrivano da Paesi confinanti. Il Sudafrica oggi è un Paese dove c’è maggiore ricchezza rispetto agli altri dell’Africa meridionale e, dunque, lì c’è un problema di discriminazione. Quello più evidente oggi è forse quello che si verifica in Myanmar, nel Sudest asiatico, dove una minoranza di senza patria, senza documenti, senza identità, che sono i rohingya, subisce persecuzione – abbiamo visto anche recentemente le tragedie dei boat-people imbarcati per cercare di sfuggire dalla persecuzione. Se togliamo qualunque aggettivo, oppure ne aggiungiamo altri, al concetto di discriminazione, vediamo che oggi milioni di persone vivono in condizioni di disuguaglianza e di rischio per quello che sono, per la fede che professano – penso ai tanti cristiani perseguiti nel mondo – e per aspetti legati alla loro etnia e penso anche ai nativi dell’America del Sud, che ancora continuano a subire discriminazioni e sfruttamento da parte delle istituzioni e delle grandi compagnie interessate alla loro terre.

D. – A parte queste realtà, che potrebbero sembrare lontane, oggi anche in Europa e in Italia viviamo alcune realtà di discriminazione molto presenti…

R. – La crisi globale dei rifugiati: oggi direi circa 60 milioni di persone che sono state costrette a lasciare tutto per via della guerra, della tortura, della persecuzione. Una piccola parte di loro arriva in Europa e questa piccola parte di loro è ostacolata continuamente nel diritto a cercare un secondo luogo in cui vivere, è accolta con politiche che ne impediscono il riconoscimento pieno dell’asilo, che bloccano le persone ai confini, che le respingono, e da una ostilità crescente delle popolazioni locali, alle quali probabilmente arrivano esempi brutti di grida, di urla e non esempi positivi come quello di Mandela.

D. – Cosa può fare un semplice cittadino per cambiare questa situazione?

R. – Raccogliere gli esempi: quello di Mandela certamente, ma penso anche a quello di Malala Yousafzai, che ha lottano per l’accesso delle bambine all’istruzione nel suo Paese, il Pakistan, e che per poco non perdeva la vita. Oppure semplicemente imitare, ma per contrasto, ciò che altri fanno: oggi vediamo sempre di più che delle persone si muovono in proprio, agiscono autonomamente e scendono in piazza per erigere barricate, per urlare contro i migranti, contro i rifugiati, come se arrivassero i tifosi di calcio della squadra avversario o – peggio – dei pluricriminali. Ecco, allora forse si può agire in prima persona per dire che c’è un Paese che li accoglie, che è solidale. Un Paese che conosce quali siano le difficoltà di dare ospitalità temporanea a persone che mai avrebbero voluto venire in casa nostra, se casa loro non gliela avessero distrutta. Queste persone devono essere aiutate.

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La Caritas su Casale S. Nicola: scontri per scarsa informazione

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Daspo in vista per gli autori dei disordini avvenuti ieri pomeriggio a Roma, durante le operazioni di trasferimento di 19 stranieri nella ex scuola Socrate di Casale di San Nicola. E' su questa misura che sta lavorando il questore della capitale, Nicolò D'Angelo, assieme agli investigatori della polizia di Stato per arrivare all'identificazione degli autori dei disordini. Nella struttura questa mattina è stato il direttore della Caritas della diocesi di Porto Santa Rufina, don Emanuele Giannone. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – C’era un po’ di stanchezza… L’avvio di un’opera non è mai facile, fare gli inserimenti… Gli ospiti li ho trovati sereni, anche se un po’ spaesati: non sono ancora consapevoli del progetto che li aspetta. Ma questo ci sta, visto che siamo al primo giorno.

D. – Si tratta soprattutto di ragazzi, ma provenienti da quali aree?

R. – Cittadini del Bangladesh, del Gambia; mi hanno detto che c’erano anche giovani del Mali, ma non ho avuto modo di incontrarli e salutarli personalmente.

D. – Lei sicuramente conosce anche quella realtà sociale. Che cosa vede dietro la protesta degli abitanti di Casale San Nicola?

R. – C’è sicuramente la mancanza di informazione; c’è sicuramente la mancanza di conoscenza delle storie. Tante delle loro perplessità, tante delle loro domande – anche ragionevoli – secondo me, in un clima sereno, potrebbero trovare delle risposte soddisfacenti e non arrivare a queste situazioni di contrasto o ancora peggio – come è stato ieri – di scontro.

D. – Ma è davvero una realtà così degradata, come dicono gli abitanti, in cui 19 persone potrebbero portare - diciamo - uno stravolgimento della vivibilità?

R. – La perplessità ragionevole, che mi sembra che loro abbiano presentato, che era anche la perplessità fatta – da quello che so – da alcuni centri sociali, sta nel fatto che la struttura si trova in fondo ad una strada difficilmente percorribile e non illuminata. Ora, però, è anche vero che una strada è sì importante, ma non è un elemento che qualifica poi un centro dove degli ospiti sono chiamati a fare un percorso temporaneo in vista di una seconda accoglienza.

D. – Ieri alcuni cittadini dicevano: “Di queste persone vogliamo avere la carta di identità e il libretto sanitario!”. Ci sono queste preoccupazioni tra le persone?

R. – Una cosa da sapere è che alcuni di loro chiederanno la protezione internazionale per motivi umanitari, ma qualcuno anche per motivi di salute: quindi non tutti quelli che richiedono protezione internazionale necessariamente vengono fuori da situazioni di guerra… E forse qualcuno a questi residenti dovrebbe spiegarlo, perché loro si aspettano che o viene il siriano o viene l’eritreo oppure gli altri non siano meritevoli di protezione internazionale. Un richiedente asilo non può avere la carta di identità: un richiedente asilo deve aspettare che la Commissione si pronunci e vedere se viene riconosciuta la protezione internazionale o meno.

D. – Lei vede dei pregiudizi dovuti alla scarsa informazione, ma anche una non corretta modalità di azione da parte delle istituzioni…

R. – Dobbiamo avvicinarci alle situazione e fare in modo che la genti si guardi negli occhi per creare qualcosa di nuovo, per creare sempre comunione e comunità e non lasciare che ci siano – purtroppo! – continui fallimenti, che creano solo esasperazione nella gente, ma anche e in questa gente che viene per un futuro migliore e che spesso si ritrova in ambienti molto approssimativi.

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Chiesa brasiliana: meeting sull'etica nella comunicazione

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Si conclude oggi a Vitória, in Brasile, il nono incontro della Chiesa brasiliana sulla comunicazione. Oltre 500 giornalisti provenienti da tutto il Paese hanno riflettuto in questi giorni sull’etica nei mass media. Tanti i giovani che hanno partecipato all’evento. Ma quali sono le sfide oggi per i cristiani in questo campo? Silvonei Protz lo ha chiesto a  mons. José Darci Nicioli, presidente della Commissione episcopale brasiliana per le comunicazioni: 

R. – La comunicazione può essere al servizio di tutti e del bene comune o può essere una manipolazione al servizio di un gruppo, di una ideologia, di interessi particolari. Perciò è necessario stare molto attenti in questo senso. Noi, come Chiesa, che comunicazione facciamo? Noi non annunciamo le nostre verità, ma annunciamo la verità di nostro Signore Gesù Cristo.

D. – Come canalizzare tutta questa forza giovanile per la missione della Chiesa?

R. – Mettere tutti insieme sulla stessa strada e far sì che tutti si sentano una famiglia. Siamo il Popolo di Dio e abbiamo una testimonianza da offrire al mondo: quindi mettere tutti insieme in uno sforzo comune. Così facendo io credo che siamo veramente al servizio dello Spirito di Dio, che ci illumina e ci conduce. Se noi siamo Chiesa, dobbiamo agire come Chiesa.

D. – Qui è stato citato molto Papa Francesco come il “grande comunicatore”…

R. – Lui parla in maniera meravigliosa. Lui non solo comunica una verità - non fa un lavoro di marketing - lui vive la verità! E’ la sua testimonianza che convince tutti noi. E non soltanto noi che apparteniamo alla Chiesa, ma tutto il mondo: lui è una forza morale. E’ molto importante la parola di Papa Francesco e veramente ci guida. E’ il nostro Papa e intorno a lui si fa l’unità della Chiesa. Noi ci sentiamo tutti più forti come Chiesa, in America Latina e in tutto il mondo, perché abbiamo questa guida: quando sentiamo Papa Francesco, sentiamo parlare Pietro; quando guardiamo Papa Francesco, guardiamo Gesù Cristo.

Sul tema affrontato in questo incontro, ascoltiamo anche padre Rafael Vieira, membro della Commissione episcopale brasiliana per le comunicazioni: 

R. – Abbiamo parlato dell’etica cristiana, che è ciò di cui il mondo ha tanto bisogno oggi. Il mondo in generale, ma anche in particolare il mondo brasiliano: il nostro Paese ha bisogno di una luce, di una luce particolare, che si chiama etica: l’etica personale, l’etica degli imprenditori, dei governanti, di coloro che sono responsabili della cosa pubblica. Il Brasile ha bisogno di questo e ha bisogno di questa realtà. Quindi i comunicatori cristiani, riuniti in questo incontro nazionale, possono adesso prendere ancora più profondamente coscienza di questa necessità e annunciare al Brasile che abbiamo tanto da fare in questo campo.

D. – Vediamo una grande partecipazione dei giovani, che hanno risposto all’invito della Chiesa…

R. – Sì, è bello; è molto bello. Quando si arriva qui, in questa città, si vede che sono presenti tanti giovani, che hanno risposto alla chiamata della Chiesa per venire qui, per riflettere insieme sull’etica. Riusciamo così a dare testimonianza che la Chiesa è speranza e che la comunicazione nella Chiesa del Brasile è una espressione di speranza, perché abbraccia tutte le nuove generazioni: i giovani hanno la responsabilità del futuro, i giovani hanno la responsabilità di dare in questo momento una risposta, una risposta diversa, che magari gli “anziani” non sono riusciti a dare.

D. – Un incontro come questo è anche la risposta al desiderio di Papa Francesco di una comunicazione della verità e della bellezza…

R. – Sì, è sempre molto bello ricordare queste parole del Santo Padre, perché è l’esperienza di quello che dice Papa Francesco: è l’esperienza della bellezza e della gioia del Vangelo.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 16.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù si ritira in disparte con i discepoli, appena rientrati da una missione, per farli riposare. Ma la folla li segue e li precede:  

“(Gesù) vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Commuove il Vangelo di oggi, e per un duplice motivo: Gesù ha inviato i suoi discepoli a due a due ad annunciare il Regno e questi tornano gioiosi e stanchi; egli li raccoglie in un luogo solitario per ascoltare quanto hanno fatto ed insegnato, ma anche per farli riposare; dall’altra parte commuove l’ansia e la risolutezza con cui le folle sono alla ricerca di Gesù. Intuiscono dove egli sta portando i suoi discepoli e li precedono. Quando giungono è Gesù che, con viscere materne, si muove a compassione per la gente, “perché sono come pecore senza pastore”. E si pone subito a loro servizio, si consegna a loro con la sua parola e il suo insegnamento. Questa commozione, questa compassione interpella oggi anche noi, pastori e fedeli, davanti alle sofferenze di un mondo che più è agitato dalla politica e dall’economia, dalle logiche del potere e della violenza, più rimane senza pastori che abbiano questo “cuore materno di Dio”, quella misericordia che è capace di piegarsi sulle sofferenza del cuore dell’uomo. Più l’uomo – e le nazioni tutte – restano chiuse in sé, senza Dio, alla ricerca delle proprie sicurezze e del proprio futuro, contro il futuro del bene comune, più quest’uomo – e le nazioni tutte – rimangono meschine, senza speranza: “E’ nei vostri cuori che siete allo stretto” (2 Cor 12,6), esclamava già l’apostolo Paolo. L’eucaristia: l’incontro con la vittoria di Cristo sulla morte, nella comunità dei fratelli, viene oggi a riempire  anche noi di questa passione divina per l’uomo, per il piccolo e per il debole.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: Aleppo muore di sete. L'aiuto delle chiese

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Nella città-martire di Aleppo, sfiancata da oltre quattro anni di guerra civile, uomini, donne e bambini si aggirano tutto il giorno per le strade con latte di plastica e bottiglie, alla continua ricerca di un po' d'acqua da bere. E' questo lo scenario angoscioso descritto all'agenzia Fides dal siro-cattolico damasceno Samaan Daoud, ex guida turistica, da tempo coinvolto nei programmi sociali e assistenziali curati dalle comunità cristiane siriane, a partire da quelli avviati dalla Società salesiana di San Giovanni Bosco.

L'acqua usata come mezzo di pressione dei gruppi armati
“L'emergenza acqua - riferisce Samaan - è resa insopportabile dal caldo soffocante di questi giorni. Le chiese distribuiscono senza interruzione l'acqua potabile estratta dai propri pozzi, ma la richiesta è altissima e non si riesce a soddisfarla”. Anche la sete della popolazione viene usata come arma di pressione nella guerra civile che sconvolge il Paese: “Aleppo è una città ricca di risorse idriche - spiega Samaan - ma i gruppi armati che controllano le pompe idriche chiudono i rubinetti per fare pressione sulla città. Non si sa quali trattative stanno tentando di imporre al governo di Damasco, e usano l'approvvigionamento idrico come strumento di ricatto. Quelli che pagano il prezzo più alto sono i civili, che non c'entrano niente”.

I ribelli ricevono appoggi logistici dalla vicina Turchia
Sul terreno delle operazioni militari, gli sviluppi più recenti confermano che per Aleppo la soluzione può essere trovata solo a livello internazionale. “La città è molto vicina al confine con la Turchia - ricorda Samaan - e i ribelli non hanno problemi a ricevere appoggi logistici, armi e ogni tipo di aiuto da quella parte. A livello locale, si possono trovare solo soluzioni provvisorie fondate su equilibri precari”.

Nelle parrocchie una luce di speranza
Intanto, nella metropoli assetata e sfigurata dalla guerra – racconta a Fides Samaan Daoud – le chiese cristiane non ancora distrutte dalle bombe continuano a tener viva la speranza 'contro ogni speranza'. “Alla parrocchia dei Francescani si incontrano ogni giorno più di 150 giovani - riferisce Saaman - e anche l'oratorio dei Salesiani organizza attività estive per 500 ragazzi e ragazze. Lì si prova a custodire nei ragazzi anche la memoria di Aleppo com'era prima: una città vitale, allegra, con tante possibilità di incontro. Se vai in queste parrocchie, ancora trovi una luce di speranza. Sono come i fari quando illuminano le notti di tempesta, e riaccendono la speranza per i naviganti che si erano perduti in un mare buio e ostile”. (G.V.)

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Siria: arcivescovo conferma rapimento di un sacerdote e un laico

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“Posso confermare che padre Antoine Boutros e il suo collaboratore Said Al-Abdun, scomparsi da domenica scorsa, sono stati effettivamente fermati e sequestrati da uno dei tanti gruppi armati ribelli che si muovono nella zona. Dal momento della scomparsa non abbiamo notizie di loro, né ci sono arrivate richieste da parte dei rapitori”. Così mons. Nicolas Antiba, arcivescovo greco-melkita di Bosra e Hauran, conferma all'agenzia Fides l'ipotesi del rapimento, circolata fin dalle prime ore successive alla sparizione di padre Antoine e di Said. I due, a bordo di un'autovettura, erano in viaggio dalla città di Shahba a quella di Sama Hinadat, dove padre Antoine avrebbe dovuto celebrare la Messa domenicale.

Padre Boutros è conosciuto per le sue iniziative caritative e umanitarie
​Il sacerdote greco-melkita Antoine Boutros, 50 anni, sposato e padre di una figlia, parroco della chiesa di San Filippo Apostolo nella città di Shahba (50 miglia a sud-est di Damasco), è conosciuto anche per le iniziative caritative e umanitarie da lui coordinate nella provincia siriana di Suwayda, e per aver contribuito a mantenere in quell'area una relativa pace civile, coinvolgendosi in operazioni di mediazione tra le diverse fazioni in lotta. “Tutti i 20 sacerdoti dell'arcidiocesi sono operatori di pace, e cercano sempre di lavorare per la riconciliazione e a vantaggio di tutti, nella situazione di sofferenza e dolore vissuta dal popolo siriano” sottolinea a Fides l'arcivescovo Antiba. (G.V.) 

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Vescovi Usa: no a pena di morte. Costruire cultura della vita

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“Per costruire una cultura della vita, la pena capitale deve essere abolita”: scrivono così, in una nota congiunta, mons. Thomas Wenski ed il card. Sean O’Malley, presidenti, rispettivamente, della Commissione per la giustizia e lo sviluppo umano e del Comitato in favore della vita, entrambi appartenenti alla Conferenza episcopale statunitense. La nota è stata diffusa in occasione del decimo anniversario della Campagna contro la pena di morte, lanciata nel 2005 dai vescovi degli Usa.

Non si insegna a non uccidere uccidendo gli assassini
Nel documento, i presuli auspicano che nel Paese si smetta di “cercare di insegnare a non uccidere, uccidendo gli assassini”, perché “questo circolo vizioso di violenza sminuisce tutta l’umanità”. Certo, osservano mons. Wenski ed il card. O’Malley, nel giro di un decennio sono stati fatti passi avanti significativi nel contrastare la pena capitale: molti Stati americani l’hanno abolita, altri hanno attuato una moratoria ed i numeri delle sentenze capitali sono al livello più basso dal 1976. Tuttavia, scrivono i due esponenti della Chiesa americana, “c’è ancora un grande lavoro da fare”.

Pena di morte è inammissibile, reato contro inviolabilità della vita umana
“La pena di morte è inammissibile, si tratta di un reato contro l'inviolabilità della vita e della dignità della persona umana”, continua poi la nota, citando la lettera di Papa Francesco a Federico Mayor, presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte, diffusa il 20 marzo scorso. Di qui, il richiamo al fatto che “la fede cattolica offre una prospettiva unica sul crimine e sulla punizione, una prospettiva basata sulla misericordia e sulla salvezza, non sulla condanna in se stessa”. Non importa, quindi, “quanto sia odioso il reato: se la società può proteggere se stessa senza porre fine ad una vita umana, allora deve farlo, perché oggi c’è questa capacità”.

Riconoscere dignità umana nei colpevoli di un crimine
Quindi mons. Wenski ed il card. O’Malley ribadiscono che “siamo tutti peccatori”, ma Gesù, attraverso la forza redentrice della Croce, “ci ha donato la vita eterna”. La pena di morte, invece, “elimina ogni prospettiva di trasformare l’anima della persona condannata in nuova vita”. Per questo, “l’opposizione dei cattolici alla pena capitale si radica nella misericordia” ed è “a favore della vita, perché offre ogni opportunità di conversione, anche al peccatore più incallito”. Esprimendo, poi, solidarietà e vicinanza alle vittime del crimine ed alle loro famiglie, la nota congiunta esorta a “riconoscere la dignità umana di coloro che hanno commesso un reato, poiché anche quando devono pagare il loro debito alla società, essi devono riceve compassione e misericordia”.

Affermare sempre la sacralità della vita
A chi, poi, vede nell’opposizione della Chiesa alla pena di morte “una certa indifferenza nei confronti della criminalità e degli attacchi alla vita umana”, mons. Wenski ed il card. O’Malley rispondono che non si tratta certo di questo, bensì “dell’affermazione della sacralità della vita, anche per coloro che hanno commesso i crimini peggiori”.

Testimoniare il Vangelo della vita, della speranza e della misericordia
Infine, la nota congiunta suggerisce quattro raccomandazioni: pregare per le vittime dei crimini, i condannati a morte e gli operatori giudiziari; stare vicini alle famiglie delle vittime, portando loro l’amore e la compassione di Cristo; imparare gli insegnamenti della Chiesa sulla pena capitale e farli conoscere agli altri; chiedere politiche adeguate per proteggere la società e porre fine alla pena capitale. “Come cristiani – conclude il comunicato – siamo chiamati ad opporci alla cultura della morte testimoniando qualcosa di più grande e perfetto: il Vangelo della vita, della speranza e della misericordia”. (I.P.)

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Vescovi della Colombia: pace è possibile, urgente, necessaria

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“La regione colombiana del Pacifico continua ad attraversare un conflitto sociale profondo” scrivono preoccupati i vescovi di Istmina-Tadó, Quibdó, Guapi, Tumaco, Buenaventura, Apartado e Cali in un loro messaggio intitolato “La pace è possibile, urgente, necessaria”.

La popolazione vittima degli scontri armati e di costanti minacce
Nel testo - riferisce l’agenzia Fides - i presuli descrivono la dura realtà di questa regione: “le necessità di base insoddisfatte, l'alto tasso di povertà economica, la crisi dei diritti umani”. “La mancanza di accesso alla salute, all'istruzione, ad un alloggio degno, ai servizi igienici di base, al lavoro e agli incentivi per lo sviluppo dei contadini e dei settori popolari, hanno configurato una società civile emarginata e impoverita, che chiede giustizia e di essere liberata da flagelli come l'emigrazione interna forzata, il confinamento, la persecuzione nel proprio territorio, il narcotraffico, l’estrazione mineraria illegale e l'estorsione. Questo panorama di sofferenza è aggravato dalla presenza costante di gruppi armati che fanno del Pacifico uno scenario di guerra, nel quale gli abitanti sono vittime degli scontri armati e di costanti minacce".

I vescovi indicano gli impegni per il governo
Di fronte a questa situazione, i vescovi richiamano: “la volontà di pace di tutti i settori deve essere ferma, autentica e perseverante”, quindi propongono alcuni impegni precisi. Al Governo nazionale raccomandano: “il dialogo deve continuare e non si deve cedere alle pressioni che suggeriscono la via militare come unica soluzione al conflitto armato. E’ assolutamente importante superare il conflitto armato risolvendo il conflitto sociale”. Quindi “la società civile colombiana deve fare una decisa opzione per la pace. Nessun argomento deve giustificare la guerra come cammino normale per un popolo”. 

L'impegno per i gruppi ribelli
​Si rivolgono quindi alle Farc e all’Eln: “Come Pastori della Chiesa, invitiamo le Farc a fermare realmente la strategia di incremento delle azioni violente. L’Eln inizi quanto prima il processo di negoziati con il Governo nazionale allo scopo di rendere concreta la volontà di pace che hanno manifestato”. Il messaggio si conclude ribadendo che la Chiesa di questa regione “si impegna a continuare ad annunciare il Dio della vita”, “a continuare ad accompagnare le nostre comunità, lavorando a difesa delle vittime, per la promozione e la difesa dei diritti umani, per il rispetto dell’ambiente”. (S.L.)

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Vescovi africani chiedono provvedimenti contro la povertà

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“Occorrono provvedimenti coraggiosi per far uscire dall’abbietta povertà intere comunità”. Lo ha affermato mons. Abraham Desta, vicario apostolico di Meki in Etiopia, che parlava a nome di mons. Gabriel Anokye, arcivescovo di Kumasi (Ghana) e secondo vice presidente del Simposio delle Conferenze Episcopale di Africa e Madagascar (Secam), nel suo intervento alla Conferenza sul finanziamento dello sviluppo che si è tenuta ad Addis Abeba che si è conclusa giovedì scorso.

La lotta alla povertà richiede misure coraggiose da parte dei governi
“La promozione del bene comune, e specialmente l’affrancamento delle comunità povere dalla povertà assoluta, richiede misure e posizioni coraggiose da parte dei rispettivi governi guidati dai valori e dal principio del rispetto della dignità umana, della trasparenza, della responsabilità reciproca, dell’integrità della creazione, della partecipazione democratica e del principio di sussidiarietà, che fanno parte dell’insegnamento sociale della Chiesa” ha affermato mons. Desta.

Il Secam propone un Forum sullo sviluppo ed azioni contro evazione fiscale
Il Secam ha raccomandato di creare un forum nel quale tutte le parti interessate nel processo di sviluppo possano giocare un ruolo attivo nell’attuazione dei nuovi obiettivi di sviluppo che saranno adottati a settembre nel corso dell’Assemblea Generale dell’Onu a New York. Il Secam ha inoltre chiesto misure concrete per lottare contro l’evasione fiscale con la creazione di un organismo dell’Onu che regolamenti la materia della tassazione a livello globale. Quest’ultima previsione è stata però rigettata per l’opposizione dei Paesi più ricchi, che favoriscono così le multinazionali che possono pagare le tasse in Stati con regimi fiscali a loro convenienti. La conferenza si è conclusa con l’impegno preso dalle nazioni ricche e da quelle in via di sviluppo di trovare 2.500 miliardi di dollari per finanziare gli obiettivi di sviluppo 2015-2040 che saranno stabiliti a settembre. (L.M.)

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Congo: a Banalia, una mini “Gmg” per i giovani africani

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È stata una vera e propria “Gmg in miniatura” quella vissuta dai giovani della Repubblica democratica del Congo tra il 10 ed il 12 luglio a Banalia, a cento km da Kisangani. Nel corso della tre giorni, infatti, più di 500 ragazzi provenienti da diverse zone del Paese hanno riflettuto su alcuni temi-chiave della Pastorale giovanile: il ruolo dei giovani nella Chiesa; l’importanza della vocazione sacerdotale; la missione delle parrocchie; il rapporto tra i ragazzi e lo studio; il confronto tra i giovani e la famiglia.

I giovani siano testimoni di Cristo nei gesti e nelle parole
A guidare i lavori - articolati in catechesi, celebrazioni eucaristiche, dibattiti, serate culturali ricreative e proiezioni di video sulla vita di Santi - è stato l’arcivescovo di Kisangani, mons. Marcel Utembi Tapa. Nella Messa conclusiva dell’evento, il presule ha anche amministrato il sacramento della cresima a ventitré giovani, esortandoli ad essere testimoni di Cristo sia nei gesti che nelle parole, ed a sostenere l’opera del Signore con il loro esempio e la loro presenza.

Un’occasione di santificazione personale per i ragazzi
​Dal canto loro, i ragazzi che hanno preso parte all’incontro hanno colto l’occasione per vivere un momento di “santificazione personale”. Oltre a Banalia, le città rappresentate al convegno sono state Bengamisa, Kole, Mambo e Mangi. (I.P.)

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Chiese europee: politica rispetti l’altro nella sua interezza

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È stato reso pubblico il contributo che la Conferenza delle Chiese europee e la Commissione per i migranti a essa legata (Ccme) hanno inviato alla Commissione europea nell’ambito della Consultazione pubblica “Verso una nuova politica europea di vicinato (Pev)”, che si è conclusa il 30 giugno. Secondo le Chiese europee – riferisce l’agenzia Sir - “il buon vicinato” rimanda alla “interpretazione della nozione di prossimo, il buon samaritano”, che pone in essere un “prototipo di comportamento che rispetta l’altro nella sua interezza e nei suoi bisogni”.

Guardare alle sfide dell’epoca contemporanea
A partire da questa premessa, una giusta politica di relazione tra Ue e Paesi con essa confinanti dovrà includere “interdipendenza e consapevolezza che entrambe le parti hanno bisogno l’una dell’altra”. Le raccomandazioni di fondo che le Chiese europee avanzano vanno nel senso di “mantenere la Pev”, focalizzandola “sulle sfide che affronta l’Europa oggi”, diverse da quelle del 2003, “quando la Pev è stata definita”; la nuova politica dovrà essere “flessibile” e in grado di “riconciliare le priorità concorrenti dei diversi Stati membri”; dovrà considerare che “la possibilità di influire nei cambiamenti dei Paesi confinanti è più limitata che in passato”; solo se i Paesi membri e i cittadini sentiranno la Pev “come cosa propria” le linee d’indirizzo politico potranno avere efficacia.

La prosperità non sia priorità assoluta
Quanto alle “proposte concrete” che le Chiese avanzano per la futura revisione della politica europea di vicinato, si chiede che “la prosperità non sia trattata come la priorità assoluta”: le relazioni che la Pev renderà possibili dovranno “rispettare i Paesi confinanti nelle loro diverse realtà di culture, storia, religioni e tradizioni sociali”. Si chiede di “sfruttare il potenziale di relazioni e cooperazione tra attori non-statali”, sostenendo maggiormente “i contatti tra le persone” e riconoscendo “il ruolo dei partner della società civile in modo ufficiale, sostenendo i dialoghi in ambito sociale e umanitario”. L’accento è sulla “dimensione culturale” come “fattore decisivo” per il successo della nuova Pev.

Sostenere il dialogo interreligioso ed il rispetto per la diversità culturale
Non manca il riferimento al sostegno necessario “al dialogo religioso e al rispetto per la diversità culturale”. Si fa poi riferimento ai giovani e alla necessità di farli “partecipare a programmi di scambio” e renderli così “moltiplicatori di conoscenze e di tolleranza culturale”. Da ultimo l’invito all’Ue ad affrontare la crisi umanitaria ai suoi confini e a definire regole in ambito di migrazioni più aperte e trasparenti. La Pev riguarda le relazioni tra l’Ue e gli Stati confinanti a Sud (Algeria, Egitto, Israele, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria e Tunisia) ed Est (Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina). (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 199

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.