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Sommario del 19/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'Angelus: in Gesù si è fatta carne la tenerezza di Dio

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Nella compassione di Gesù per noi, si è fatta carne la tenerezza di Dio: così il Papa all'Angelus in Piazza San Pietro. Numerosi i fedeli presenti, nonostante una calda e afosa giornata d'estate, e il Papa li ha definiti "coraggiosi". Francesco ha rievocato anche il suo recente viaggio in America Latina. Ce ne parla Sergio Centofanti

Gesù, tenerezza di Dio
Commentando il Vangelo di questa domenica, in cui Gesù ha compassione delle tante persone che lo cercano, perché gli appaiono “come pecore che non hanno pastore”, il Papa si sofferma su tre verbi “di questo suggestivo fotogramma” evangelico: “vedere, avere compassione, insegnare”. Sono “i verbi del Pastore”. Soprattutto il primo e il secondo, vedere e avere compassione – sottolinea - sono sempre associati nell’atteggiamento di Gesù:

“Infatti il suo sguardo non è lo sguardo di un sociologo o di un fotoreporter, perché egli guarda sempre con ‘gli occhi del cuore’. Questi due verbi, vedere e avere compassione, configurano Gesù come Buon Pastore. Anche la sua compassione, non è solamente un sentimento umano, ma è la commozione del Messia in cui si è fatta carne la tenerezza di Dio. E da questa compassione nasce il desiderio di Gesù di nutrire la folla con il pane della sua Parola”.

America Latina: grandi potenzialità umane e spirituali, ma anche povertà
Papa Francesco rievoca quindi il suo recente viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay, e per il quale ha chiesto di essere guidato dallo Spirito di Gesù, Buon Pastore. Ringrazia le popolazioni, il clero e le autorità di questi Paesi per "l’affettuosa e calorosa accoglienza", l'entusiasmo e la collaborazione per la riuscita della visita:

“Con questi fratelli e sorelle ho lodato il Signore per le meraviglie che ha operato nel Popolo di Dio in cammino in quelle terre, per la fede che ha animato e anima la sua vita e la sua cultura. E lo abbiamo lodato anche per le bellezze naturali di cui ha arricchiti questi Paesi. Il Continente latino-americano ha grandi potenzialità umane e spirituali, custodisce valori cristiani profondamente radicati, ma vive anche gravi problemi sociali ed economici. Per contribuire alla loro soluzione, la Chiesa è impegnata a mobilitare le forze spirituali e morali delle sue comunità, collaborando con tutte le componenti della società”.

E ha proseguito:

“Di fronte alle grandi sfide che l’annuncio del Vangelo deve affrontare, ho invitato ad attingere da Cristo Signore la grazia che salva e che dà forza all’impegno della testimonianza cristiana, a sviluppare la diffusione della Parola di Dio, affinché la spiccata religiosità di quelle popolazioni possa sempre essere testimonianza fedele del Vangelo”.

Un viaggio indimenticabile
Infine, il Papa ha invocato Maria:

“Alla materna intercessione della Vergine Maria, che l’intera America Latina venera quale patrona col titolo di Nostra Signora di Guadalupe, affido i frutti di questo indimenticabile Viaggio apostolico”.

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Oggi in Primo Piano



Grecia. Domani riaprono le banche, ma con prelievo limitato

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Il governo di Atene ha disposto per decreto la riapertura delle banche, dopo il lunghissimo periodo di chiusura durato tre settimane. Da domani dunque il sistema finanziario e l’economia greca cominceranno il rientro alla normalità, sotto gli occhi dei creditori. Intanto il premier Alexis Tsipras dopo aver cambiato i vertici dell’esecutivo si trova alla prese col suo ex ministro delle Finanze Varoufakis, diventato portavoce dei dissidenti, secondo cui “il nuovo piano di aiuti è una sconfitta per tutti”. Cecilia Seppia: 

Tsipras completa il rimpasto di governo, mettendo all’angolo gli esponenti dell’ala radicale di Syriza e recuperando così un po’ di consensi dell’opinione pubblica ma la corsa ad ostacoli di Atene prosegue senza sosta. La Grecia infatti, sta aspettando il prestito ponte da 7,16 miliardi di euro che servirà per 4,2 miliardi a rimborsare le Bce tra 24 ore, mentre il Fondo Monetario Internazionele aspetta arretrati per 2 miliardi. Con il resto verranno saldati stipendi e pensioni. La speranza più forte è poi che il via libera al nuovo piano arrivi entro il 20 agosto quando andrà in scadenza un’altra fetta del debito verso la Banca centrale europea. Prima, però, i creditori attendono altri segnali di “buona fede” da Tsipras che il 22 luglio dovrà far approvare dal Parlamento la riforma della Giustizia civile e attuare una direttiva europea sugli istituti di credito. Ed è proprio lo stato di salute del sistema bancario greco a rimanere un grande punto interrogativo: l’esecutivo ha varato un decreto per cui gli sportelli, chiusi dallo scorso 29 giugno, riapriranno domani dopo aver ottenuto un nuovo aumento della liquidità da parte della Bce, ma verrà mantenuto il limite al prelievo di 420 euro a settimana per evitare una nuova fuga di capitali. A tutto questo, poi, si aggiunge l’aumento dell’Iva: un banco di prova importante per un Paese dove l’evasione fiscale continua a galoppare. Ma per Tsipras le alternative scarseggiano: se il Fmi con la Bce, Draghi in prima fila, e alcuni Paesi come Francia e Italia sostengono la necessità di un alleggerimento del debito complessivo di Atene, sotto forma di scadenze allungate e tassi agevolati, la Germania ribadisce che un taglio è fuori discussione. Anzi, il ministro delle Finanze tedesco, il falco Wolfgang Schaeuble, non ha escluso la possibilità di dimettersi se la Cancelliera Angela Merkel gli chiedesse di cambiare linea. A preoccupare Tsipras è anche il suo ex ministro delle finanze Varoufakis, diventato portavoce dei dissidenti. Per lui il nuovo piano di aiuti è una sconfitta che farà esplodere il debito dal 177 per cento al 200 per cento del Pil. "L'accordo - ha aggiunto - ci è stato imposto per vendetta e l'Europa non ha riconosciuto i propri errori continuando a spingere per un programma che è già fallito".

Sono, dunque, tante le speranze ma anche i timori dei greci in questo momento. Sulla situazione, Roberta Barbi ha sentito Danilo Feliciangeli, responsabile del gemellaggio Caritas Italia-Grecia: 

R.  – Questo momento è uno dei più drammatici di questa lunga storia di crisi in Grecia. Sono almeno 5 anni che i greci fanno sacrifici e hanno visto ridotti il loro reddito, i posti di lavoro, le pensioni: il tracollo delle loro sicurezze… Da quasi due settimane la popolazione vive con le banche chiuse, quindi a parte la vita quotidiana, anche tutte le attività commerciali, le attività economiche, il pagamento di fornitori, di servizi indispensabili, veramente, è il momento peggiore di questa crisi.

D. – Quali sono i sentimenti prevalenti della popolazione: paura, speranza?

R. – Speranza poca, nonostante in questi 5 anni la popolazione abbia sempre creduto nel salvataggio: "Ok, facciamo i sacrifici ma ne usciremo". Ma in questo momento non si vede la fine, c’è molta delusione e molta preoccupazione.

D. – In cosa consiste il progetto Caritas dei gemellaggi solidali?

R. – Questo progetto nasce da un appello fatto al Papa nel 2012 dalla famiglia greca Paleologo che già nel 2012 denunciava questa mancanza di speranza. E da lì, il Papa Benedetto fece questo appello a gemellaggi come segno evidente di solidarietà tra famiglie italiane e famiglie greche, parrocchie italiane e parrocchie greche, diocesi italiane e diocesi greche. Quindi non solo un programma di aiuti, di prima assistenza, ma anche progetti di sviluppo economico che quindi portino sollievo immediato. Adesso stiamo lanciando un grande programma di adozioni a distanza di famiglie greche. Programmi molto semplici, ma che vanno direttamente a colpire i bisogni primari; al tempo stesso stiamo cercando di puntare di più sul lungo periodo, quindi programmi che generino sviluppo, come la creazione di imprese sociali.

D.  – Il vostro programma coinvolge soprattutto i giovani, sono loro i più colpiti da questa situazione?

R. – Purtroppo sì, i giovani e gli anziani. La disoccupazione giovanile è superiore ormai al 60% e quindi c’è un tasso di emigrazione ormai altissimo.

D. – Con le banche finora chiuse è stato difficile anche per le organizzazioni che vogliono aiutare…

D. – Purtroppo diventa impossibile. Questo programma di adozioni di famiglie ancora non è potuto partire, perché abbiamo trasferito nuovi fondi in Grecia ma Caritas Hellas non può prelevarli dal conto e quindi non può comprare i generi di prima necessità. Abbiamo avviato un centro pastorale per le famiglie, in un quartiere di Atene, adesso dobbiamo pagare le bollette elettriche, ma il conto è bloccato.

D. – Puntare sulla solidarietà è la ricetta giusta per uscire dalla crisi?

R. – Credo proprio di sì. Una solidarietà che sia prima di tutto di incontro umano, come abbiamo cercato di fare con questi gemellaggi, e questo è fondamentale, quindi cercare di condividere e di capire un po’ più a fondo quello che sta passando il popolo greco per sentirsi più vicini. E poi una solidarietà che sia costruttiva, che punti un po’ più nel lungo periodo e non solo nell’immediato a cercare di puntare su uno sviluppo che poi è uno sviluppo di tutta l’Unione Europea, di tutta la comunità.

D . – Lei qualche giorno fa ha lanciato un appello ai turisti che non disdicano le vacanze in Grecia…

R.  – E lo confermo, nonostante le difficoltà. Sicuramente bisogna prendere alcune precauzioni, come partire con il contante necessario anche se in teoria gli stranieri non hanno problemi perché potrebbero prelevare dal bancomat, però se partiamo con il contante oltre a stare più tranquilli diamo un aiuto agli operatori turistici greci che non possono prelevare dalla banca, quindi noi portiamo loro il liquido necessario, a fronte di servizi.

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Burkina Faso: Compaoré accusato di alto tradimento

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L’ex-presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, dovrà comparire di fronte all’Alta Corte di Giustizia del Paese per difendersi dall’accusa di alto tradimento. A deciderlo è stato il Comitato nazionale di transizione, incaricato di gestire il delicato passaggio dal regime di Compaoré, deposto nell’ottobre 2014 dopo 27 anni di governo, a un sistema pienamente democratico. La decisione arriva a meno di tre mesi dalle elezioni. Giacomo Zandonini ha raccolto il commento di Giuliano Luongo, dell’Istituto di Alti Studi in geopolitica e scienze ausiliarie: 

R. – Si cerca di mostrare che la nuova élite vuole dare un ulteriore colpo alla vecchia, cercando, vista la situazione corrente, di distrarre la popolazione dai problemi interni che sta avendo l’attuale governo a breve distanza dalle elezioni.

D. – Proprio le elezioni, previste per il prossimo ottobre, sono un momento fondamentale in questo processo di transizione: cosa potrà avvenire?

R. – Chiaramente, se l’attuale governo non riuscirà, volutamente o meno, a creare in questi prossimi mesi un ambiente politico vivo, che permetta l’affacciarsi di varie forze, si potranno avere due risultati: o l’avvio di un nuovo monopartitismo, oppure una nuova serie di tensioni da parte della popolazione, che già comincia a non vedere di buon occhio gran parte delle manovre fatte dalla élite attuale.

D. – La società civile ha un ruolo fondamentale in questo processo: è sufficientemente ascoltata?

R. – Sembra che, in effetti, l’onda della sommossa partita dalla società civile sia stata cavalcata da parte delle istituzioni per portare al primo cambiamento di regime, fino quasi a impossessarsene. Come abbiamo visto, non abbiamo avuto una transizione rapida. Comunque le istituzioni avviate con il Consiglio nazionale di transizione, se calcoliamo da quando c’è stata la cacciata di Compaorè, hanno impiegato praticamente un anno per avviare una nuova elezione. Se la popolazione continua ad avere la percezione di trovarsi davanti semplicemente ad élite che si alternano, a prescindere dal consenso popolare, si potrà finire in una sorta di circolo vizioso di continue sommosse, che potrà colpire criticamente la stabilità del Paese nel medio e lungo periodo. E, a lungo andare, si potrebbe colpire anche la stabilità dell’intera area.

D. – Il Burkina Faso è un elemento di stabilità nella regione: quanto è in discussione anche a livello regionale, e internazionale, questo ruolo?

R. – In effetti più si protrae l’instabilità istituzionale, più si danneggia, si ferisce, il ruolo di “base sicura” che il Burkina Faso ha nell’area. Come sappiamo, il confine nord del Paese è con il Mali, Stato del quale, purtroppo, ben conosciamo la storia recente in tema di problemi interni, di terrorismo. Abbattere un punto di stabilità significa danneggiare progressivamente l’azione stabilizzatrice, istituzionalizzante, che si cerca di portare avanti negli altri Paesi limitrofi, e quindi complicare eventualmente anche svariate operazioni di appoggio che può fare la Comunità internazionale negli altri Paesi partendo dal Burkina Faso.

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Mani Tese: da 50 anni contro povertà e squilibri tra Nord e Sud

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“Mani Tese” compie 50 anni. Nata nel 1964, inizia effettivamente la sua azione umanitaria l'anno successivo, in Bangladesh, con la costruzione di una scuola. Da allora l'Ong ha combattuto contro la fame e gli squilibri fra Nord e Sud, fra i centri e le periferie del mondo, realizzando oltre 2.300 progetti, in particolare in Africa, Asia e America Latina, ma sempre con un forte collegamento con le reti di volontari in Italia. A cinquant’anni dalla sua creazione, Lucas Duran ha chiesto ad Angela Comelli, già presidente di “Mani Tese” e oggi membro del Comitato direttivo, di tracciarne un profilo: 

R. – “Mani Tese” non nasce solo come un’associazione che voleva rispondere ai bisogni di quel momento, ma come un movimento che voleva invece essere complice di una presa di coscienza più ampia rispetto ai doveri che ciascun uomo ha rispetto ad altri simili. Quindi, denunciare le ingiustizie, informare, sensibilizzare l’opinione pubblica è stata da subito la modalità con cui “Mani Tese” ha voluto presentarsi. E “Mani Tese” ha lavorato con i giovani di tutte le comunità italiane e questo percorso di denuncia e di espressione politica si è resa conto di come fosse importante cambiare il nostro stile di vita per equilibrare le disuguaglianze con quello che invece i popoli più sfortunati del mondo vivevano in quel periodo e vivono attualmente.

D. – Quanto sono mutate, e in che direzione, le cose nell’ambito della cooperazione, soprattutto nel campo in cui svolge la propria azione “Mani Tese”?

R. – L’azione di “Mani Tese”, per scelta, è un’azione che ha teso a prolungarsi nel tempo. In Benin, la mia prima esperienza di volontariato agli inizi degli anni Ottanta, e già lì i progetti riguardavano la formazione agricola e la capacità di trasformare, con la cultura e l’esperienza locale, un modo diverso di produrre. E siamo arrivati fino a oggi. Quindi, questa continuità è un valore rispetto al cercare un cambiamento effettivo. Rispetto alla cooperazione di un tempo che si sviluppava in piccole realizzazioni concordate con la popolazione locale, si è sviluppata sempre di più in progetti-quadro, in progetti che tenevano conto di più aspetti che riguardavano il bisogno di queste popolazioni. Quindi, nell’occuparsi di problemi quali la produzione di cibo, doveva essere posto un valore altrettanto importante alla questione dei cambiamenti sociali, di dare spazio e opportunità alle donne … In questo modo è stato necessario innovare il nostro modo di fare cooperazione e pensare a progetti a più largo spettro e non focalizzati in piccoli interventi, per dar modo anche alla popolazione locale di partecipare a questo autosviluppo e a questo cambiamento.

D. – Voi date molto spazio all’azione dei volontari, alla rete di associazioni sul territorio italiano …

R. – La rete dei volontari è sempre stata un punto di forza di “Mani Tese” sin dagli anni Settanta; l’organizzazione dei volontari si è costituita autonomamente in gruppi sul territorio nazionale da Trieste a Catania. Questa autodeterminazione dei volontari, che con il loro lavoro volevano dare una testimonianza concreta, ha fatto sì che poi con il tempo ci sia stata una maturazione anche rispetto a queste scelte. I mercatini dell’usato sono diventati una cooperativa nazionale, le associazioni locali continuano a lavorare sul territorio individuando anche quei problemi che nascono sui territori italiani. Quindi, una cooperazione dal basso riguarda anche i problemi di quelle persone, in Italia, che vivono condizioni svantaggiate. Questa attenzione fa sì che si creino delle reti in cui lo scambio trasversale delle comunicazioni porta a esaminare i problemi come problemi che non riguardano il Nord e il Sud, ma che riguardano le persone, gli uomini.

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Immigrazione. Perego: nessuna invasione, proteste irresponsabili

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E’ tornata la calma a Roma, a Casale San Nicola, dopo la rivolta anti-profughi organizzata da alcuni residenti e dall’estrema destra. La polizia ha arrestato 2 persone, alcuni sono rimasti feriti negli scontri. Sono invece ai domiciliari i cinque appartenenti ai centri sociali finiti in manette ieri per gli incidenti avvenuti davanti e all’interno della prefettura di Treviso. L’accusa è di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, manifestazione non autorizzata e ingiurie. Oltre a loro altri 28 giovani sono stati denunciati. Intanto nel Canale di Sicilia non si fermano gli sbarchi mentre sono ancora in corso le operazioni di identificazione e visite mediche dei 451 migranti arrivati ieri a Cagliari, anche qui però militanti di CasaPound sono scesi in strada portando striscioni con scritto “Stop immigrazione”. Sulle vicende di questi giorni il monito del direttore della Fondazione Migrantes mons. Giancarlo Perego che condannando ogni “atteggiamento di rifiuto e contrapposizione”, ha ribadito: “nessuna invasione, sono proteste di irresponsabili”; poi ha chiesto che sia ripensato il sistema di accoglienza e all’Europa di mettere fine ad ogni nazionalismo e “non frantumarsi sulla politica di asilo”. In Italia ha aggiunto, “manca un piano organico che coinvolga ogni comune nel prevedere tra i propri servizi l’accoglienza di un richiedente asilo o di una famiglia di rifugiati”. L’organismo della Cei ha rilevato inoltre che “in un’Italia dove si muore più che nascere, dove 100 mila giovani sono emigrati, essi rappresentano una risorsa straordinaria se gestita bene”. Intanto, se le proteste fanno rumore, crescono nel silenzio dei media le iniziative di solidarietà. E' quanto accade, per esempio, nella stazione di Milano dove sono oltre 70mila i profughi transitati dall'ottobre del 2013: per lo più scappano da miseria e guerra. Per questo è stato inaugurato un nuovo spazio per accogliere i migranti, gestito dal Progetto Arca. Operatori, mediatori culturali e volontari cercano di fornire una prima assistenza. Maria Cristina Montagnaro ha chiesto al presidente dell'associazione, Alberto Sinigallia, quale sia la situazione in questo momento: 

R. – È un flusso continuo: in questo momento parliamo dalle 150 alle 500 persone tutti i giorni. Sono sempre persone che vogliono andare nel Nord Europa: sono passate 70.000 persone negli ultimi 20 mesi e il 99,9% è andato per lo più in Germania e in Svezia.

D. – Avete predisposto una nuova sistemazione? Di che cosa si tratta?

R. – Sì, sono 450 metri quadri, in cui c’è uno spazio per i bambini, uno spazio medico dove ci sono pediatri, medici della Croce Rossa per le visite, c’è uno spazio di ristoro dove bevono e mangiano e uno spazio di accoglienza dove aspettano per essere portati nei centri.

D. – Di che cosa hanno più bisogno?

R. – Di fare un stop al viaggio per poter ripartire e poi radicarsi nella nuova terra.

D.  – Che cosa fate nel concreto?

R. – La permanenza media a Milano è di quattro giorni. Sono persone che si fermano perché aspettano i soldi dalla Germania per fare l’ultimo tratto di viaggio e hanno bisogno di un luogo dove riposarsi. Arrivano dalla traversata, tante volte anche dalla traversata del deserto - soprattutto gli eritrei - per cui si tratta di persone molto stanche. Per chi ha bisogno della parte medica abbiamo il medico nei centri. A chi ha bisogno di farsi la doccia, riposarsi, mangiare - soprattutto ai bambini - diamo un’accoglienza, uno spazio gioco in tutti i centri con degli operatori che possano dedicarsi a normalizzare quello che potrebbe diventare un trauma. E poi diamo la possibilità di connettersi con i parenti attraverso Skype, contatti informatici, telefonate…

D. – Che cosa chiedete alle istituzioni?

R. – La soluzione del problema sarebbe rilasciare un permesso temporaneo per raggiungere i Paesi dove vogliono andare e i Paesi che li vogliono accogliere.

D. – La maggior parte dei profughi che accogliete di che nazionalità è?

R. – L’anno scorso era siriana. Quest’anno invece sono eritrei, perché da qualche mese l’arruolamento in Eritrea è passato dai 16 ai 14 anni, per cui i genitori, pur di non far arruolare i propri figli nell’esercito, gli fanno fare questo viaggio della speranza, addirittura senza accompagnarli: molti sono minori non accompagnati.

D. – E a che cosa si espongono questi minori non accompagnati?

R. – Per lo più sono maschi. Per la parte femminile, come possiamo immaginare, possono essere intercettati da mala vita, da trafficanti... Abbiamo segnalato alcune situazioni che potevano essere a rischio.

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Alla Festa del Teatro di San Miniato in scena "Passio Hominis"

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E’ in corso a San Miniato, fino al 22 luglio, la Festa del Teatro. “Passio Hominis” è la rappresentazione principale di questa 69.esima edizione voluta dalla locale Fondazione Istituto Dramma Popolare. Sulla piazza davanti al Duomo, dove nel luglio 1944, vennero uccisi dai nazisti 55 civili, si rappresenta la Passione di Cristo attualizzata nel ‘900 italiano. Centrale, nel testo, il rapporto tra Maria, la Madre straziata, e il Figlio che per amore accetta di morire e, attraverso il dono di sé, diventa seme di una nuova umanità. Il servizio di Adriana Masotti

Una scena scarna, in cui anche gli spettatori diventano protagonisti, coinvolti in eventi che interpellano la loro stessa esistenza. Gli attori ripropongono le ultime ore di vita di Cristo. Il linguaggio è medievale, ma comprensibilissimo, il testo raccoglie varie tradizioni orali della Passione messe per scritto da una monaca nel 1576 e 1577 e arricchito dal regista, Antonio Calenda, con riferimenti al '900 che rievocano le sofferenze dell'Italia: la Seconda guerra mondiale, il fascismo, la mafia, gli anni di Piombo e il rapimento di Aldo Moro. Sentiamo Calenda:

R. – Questo è uno spettacolo che è nato 40 anni fa. Pian piano ha girato il mondo: è stato in Canada, è stato addirittura in Australia, è stato a New York, perché dappertutto trova un afflato da parte del pubblico, perché il pubblico capisce come il messaggio evangelico si debba incarnare nel reale che ci circonda: mettiamoci in testa che la rivoluzione che porta Gesù è il riconoscimento dell’altro, la “caritas”; è il riconoscere nell’altro te stesso, l’alterità sei tu. E questo è il grande messaggio rivoluzionario.

D. – E c’è questo pianto della Madre, che fa ricordare le donne che piangono i morti di oggi …

R. – Ecco: quante madri in quante parti del mondo piangono i propri figli... Per le guerre che ci sono, per persecuzioni di tutti i tipi. Ma c’è anche qui la Mater dolorosa della nostra tradizione italiana: la Mater dolorosa, le parole di questa madre che si ribella al destino del figlio, che si meraviglia della sua dolcezza e della temperanza, è qualcosa di bello. E c’è sempre bisogno di una grande, grande attrice per interpretare questo ruolo.

Jacopo Venturiero  è il giovane attore che interpreta il Cristo. Un Cristo profondamente umano, diviso tra la pena per la propria Madre e l’accettazione della volontà di Dio che gli chiede di morire per la salvezza degli uomini. In scena muore crivellato dai colpi di una mitragliatrice. Sentiamo Venturiero:

R. – Interpretare un ruolo del genere … non si hanno punti di riferimento reali, quindi bisogna veramente essere molto molto credenti … ma forse non basta … Penso che questo sia uno spettacolo che per noi maturerà con il tempo, lentamente.

D. – E’ il Gesù della Palestina ma il Gesù di sempre, l’Innocente che dà la vita: questo è un po’ anche il significato …

R. – Sì, è vero. E' qualcosa di molto difficile da capire, oggi, forse. Sacrificarsi per un intero popolo, per gli altri, avere più preoccupazione per la sofferenza di una madre che della propria morte, affidarsi così completamente a Dio per questo sacrificio, è una cosa che umanamente non si può concepire, non si può capire. Anche per metterlo in scena, il personaggio: c’è la fede o … non lo so. Non lo so ancora. Sto cercando, facendolo …

Protagonista di “Passio Hominis” accanto a Cristo è Maria, sconvolta dal dolore della perdita del Figlio, icona di tutte le madri del mondo. Intensa l'interpretazione di Lina Sastri non nuova a dare voce al dolore delle donne:

R. – Non credo sia il destino quello di soffrire: per grazia di Dio esiste la felicità, esiste l’allegria … Diciamo che la donna conosce il segreto dell’amore, il segreto del dolore, le cresce la pancia con un figlio dentro, partorisce con dolore e quindi è madre di sangue dei figli e quindi conosce che cosa vuol dire amare senza chiedere nulla in cambio … Io credo che non ci sia niente di più doloroso della morte di un figlio, perché credo che una madre, se muore un figlio, vuole morire lei. Si sente una superstite della vita …

Il vagito di un neonato è l’atto finale dello spettacolo a significare che sono sempre la vita e la speranza ad avere l’ultima parola, nonostante tutto, nella storia dell’umanità. Il regista Calenda:

R. – E’ la resurrezione. Per me, la resurrezione è quello: è l’uomo che rinasce. E’ il miracolo della nascita.

D. – Con la speranza che la storia magari sia diversa …

R.- Lo speriamo tutti. Noi perseguiamo questo tipo di teatro che non vuole essere un teatro spiritualista in senso banale, ma problematico, perché dentro vi si deve riconoscere anche chi probabilmente non crede. Però io ho visto persone agnostiche commuoversi fortemente a questo spettacolo. E allora, a questo punto, noi teatranti - che tanto soffriamo - finalmente percepiamo che il teatro può avere una sua utilità.

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Al Giffoni Film Festival grande successo per "Marie's Story"

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Continua la 45.ma edizione del Giffoni Film Festival, la kermesse cinematografica dedicata ai ragazzi, che si svolge in provincia di Salerno. Tra i film in Concorso c’è anche “Marie’s Story” che racconta la storia vera di una sordo-cieca che nel 1800 fu aiutata da una suora francese ad imparare a comunicare con il mondo e a trovare Dio. Ce ne parla la nostra inviata da Giffoni, Corinna Spirito

È un film silenzioso, ma di grande impatto quello che Jean-Pierre Améris ha proposto alla 45.ma edizione del Giffoni Film Festival. In “Marie’s story” a parlare sono i colori della campagna francese del 1800, le mani di una giovane suora che guidano quelle della sua allieva, un sorriso sul volto di una ragazza. Il film di Améris è ispirato alla storia vera di Marie, una ragazza sordo-cieca, vissuta nella Francia del tardo Ottocento. Cresciuta fino a 14 anni in un mondo senza suoni e senza immagini, Marie si comporta come un animale selvatico. Non ha regole, non sa vivere con gli altri, non fa che urlare e buttare tutto a terra. Tutti credono abbia un ritardo mentale e nessuno ha tentato veramente di farla interagire con il mondo esterno. Finché nella vita di Marie entra Marguerite, una giovane suora convinta di poterle insegnare la lingua dei segni. “È la mia missione. L’ho saputo appena l’ho vista”, dice alla madre superiora per convincerla ad ammettere Marie nel convento in cui lei e le consorelle crescono bambine sorde. Il percorso sarà lungo, Marguerite dovrà attendere quasi un anno per vedere i primi progressi, ma dimostrerà di aver visto giusto. Jean-Pierre Améris dirige un film intenso, commovente, mai artificioso. Ariana Rivoire è completamente immersa nel ruolo di Marie e riesce a mostrare il suo percorso interiore, solo tramite la gestualità e la mimica facciale. Percorso che arricchisce entrambe. Marie, che grazie al catechismo semplice e diretto di Marguerite, trova in Dio il senso del mondo, e di se stessa. Ma anche la giovane suora che impara dall’allieva a toccare il mondo, anziché limitarsi a guardarlo, e a dare così il proprio contributo per renderlo migliore.

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Nella Chiesa e nel mondo



L'Is in azione in Iraq, Siria e Libia. Tensioni anche a Gaza

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La Siria al centro del colloquio telefonico tra i capi della diplomazia americana e russa, Kerry e Lavrov, mentre sul terreno durante la notte sono stati 19 i raid compiuti dalla Coalizione internazionale a guida Usa contro postazioni jihadiste. Bombardamenti alleati anche in Iraq, dopo il durissimo attentato di venerdì contro un mercato affollato a Bani Saad, 35 chilometri a nord di Baghdad, costato la vita ad almeno 120 persone, su cui Washington non ha mancato di esprimere la sua ferma condanna, assicurando di voler mettere fine alle “atrocità commesse dal sedicente Stato islamico contro le popolazioni irachene e siriane”. La mano dell’Is anche in Libia: qui da ieri si registrano scontri tra i miliziani e l’esercito libico ad Est di Derma ed è stata presa d’assalto in particolare l’Università di Fattaih. Tensione anche nella Striscia di Gaza dove sono comparsi per la prima volta nel rione di Sheikh Radwan, slogan che inneggiavano allo Stato islamico. Nella zona, cinque automezzi, appartenenti a militanti di Hamas e della Jihad islamica, sono stati danneggiati. Fonti locali aggiungono di aver anche udito raffiche di armi automatiche. Finora si ha notizia di due feriti, non gravi. I servizi di sicurezza hanno aperto un'indagine e sono alla caccia degli esecutori. "I criminali non riusciranno a fuggire" dice il portavoce del ministero degli Interni di Hamas, Yiad Buzum. Le esplosioni seguono di alcuni giorni il lancio di un razzo dalla Striscia verso Israele, in contrasto con i tentativi di Hamas di mantenere la calma.

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Situazione umanitaria al collasso nello Yemen: 1 milione di profughi

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La situazione umanitaria è drammatica nello Yemen dove i ribelli sciiti Houthi continuano a mettere a ferro e fuoco le città e i villaggi e ad avere la meglio sull’esercito regolare. L’11 luglio le Nazioni Unite avevano annunciato una tregua di 7 giorni, tuttavia dopo poche ore dalla sua entrata in vigore, sono ripresi bombardamenti e scontri che continuano e in alcune zone si sono addirittura intensificati. Questa settimana - scrive l'agenzia Fides – è stata una delle più tragiche dall’inizio del conflitto, nel corso del quale hanno perso la vita 3.500 persone e sono stati registrati 16 mila feriti. Il Paese dunque si ritrova con milioni di donne, uomini e bambini privi di assistenza medica, generi alimentari e vittime di atrocità. Secondo le organizzazioni internazionali, i feriti continuano ad arrivare negli ospedali, dove mancano combustibile, farmaci e attrezzature sanitarie; le strutture di campagna sono sopraffatte dal gran numero di civili che hanno bisogno di cure. Attualmente l'80% della popolazione necessita di assistenza umanitaria e oltre un milione di persone sono state costrette ad abbandonare le rispettive abitazioni. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), ha offerto assistenza a 20 mila sfollati nelle città di Sana’a, Aden e Taiz, le più gravemente colpite dalla violenza, durante i 7 giorni di mancata tregua. (C.S.)

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Algeria: mons. Rault contro repressione nella valle di M'Zab

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La valle di M’Zab, nel sud dell’Algeria, continua a essere teatro di violenze settarie su base etnico-religiosa, che gli apparati di sicurezza algerini non riescono a fermare. Gli scontri contrappongono da più di un anno e mezzo la popolazione berbera ibadita a gruppi di islamisti sunniti, e il quadro appare complicato dalle manovre di bande di delinquenti che fomentano lo scontro identitario per approfittare del caos e compiere saccheggi e altre azioni criminali. Negli ultimi tempi, la spirale di violenza senza misura ha visto i contendenti passare dagli scontri con bastoni e coltelli all'uso di armi da fuoco, con il conseguente aumento esponenziale del numero delle vittime. Nelle ultime fiammate di violenza si sono registrati 25 morti e decine di feriti.

La repressione non riesce a placare questa follia mortale
A fornire un quadro desolante della situazione della Valle di M'Zab - trasformatasi da luogo di convivenza pacifica in vera e propria “Valle di Lacrime” - è mons. Claude Rault, vescovo della diocesi di Laghouat. Nel suo ultimo resoconto - diffuso dall'associazione Amis du Diocèse du Sahara e ripreso dall'agenzia Fides - il titolare di una delle diocesi territorialmente più vaste del mondo (più di 2 milioni di km quadrati) fa riferimento alle testimonianze dirette da lui raccolte intorno ai “tristi avvenimenti” che hanno coinvolto i centri di Ghardaia e soprattutto di Berriane e Guerrara. “Molte delle famiglie - riferisce il vescovo - piangono i loro morti, vivono nella paura e nell'inquietudine davanti alla ripresa di una barbarie che appare cieca. E di sicuro la sola repressione non potrà far altro che estendere l'incendio, anche se essa riesce a placare per un po' questa follia mortale”.

I cristiani pregano per superare le lacerazioni tra i diversi gruppi rivali
In questo scenario drammatico, i cristiani locali continuano a offrire le proprie preghiere e il proprio contributo fattivo per aiutare a superare le lacerazioni che stanno distruggendo la secolare convivenza tra i diversi gruppi radicati nella regione. “Come piccola comunità cristiana che vive da tanto tempo nella Valle - scrive nel suo messaggio il vescovo Rault - noi abbiamo tessuto legami forti di fraternità, convivialità e collaborazione, e vogliamo continuare su questa strada. Abbiamo ricevuto molto da questa popolazione, che ci è cara, e che ci ha sempre rispettato malgrado le differenze che avrebbero potuto provocare l'esclusione”. 

L'augurio che la valle di M'Zab torni ad essere una valle felice
“Per questo – aggiunge il vescovo – noi piangiamo con le famiglie che hanno perduto i propri cari. Soffriamo delle loro ferite. Siamo inquieti insieme a quelli che vedono l'uno o l'altro dei loro seminare la violenza e l'odio. Abbiamo paura di questo futuro incerto. Ma crediamo nelle risorse d'umanità e di saggezza che Dio ha seminato in questa popolazione che ci accoglie.... La nostra preghiera, in questi tempi di Ramadan - conclude mons. Rault - è che la Valle di M'Zab torni a essere una valle felice”. 

Attacco di Al Qaeda nel Maghreb islamico
Intanto nel Paese, Al Qaeda nel Maghreb islamico ha rivendicato l'attacco contro un convoglio di militari nella località montuosa di Ain Defla a circa 60 chilometri a sud ovest di Algeri, avvenuto durante i festeggiamenti per la fine del Ramadan. 14 i soldati uccisi.

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Filippine. Vescovi: accordo con separatisti islamici non sia ingiusto

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Filippine. I vescovi: legge su Bangsamoro sia ispirata a pace e giustizia sociale
Una legge che sia ispirata ai principi della pace e della giustizia sociale: è quanto auspica la Conferenza episcopale filippina riguardo al dibattito sulla bozza normativa che farebbe del Bangsamoro, regione del Mindanao a maggioranza musulmana, una regione “a statuto speciale”. Attualmente al vaglio del Parlamento, la “Bangsamoro Basic Law” (Bbl) prevede, per la regione, un parlamento autonomo composto da cinquanta deputati, l’elezione di una sorta di primo ministro e l’instaurazione di una sharia mitigata. L’approvazione del Bbl è il punto cruciale delle trattative tra il governo ed il Fronte di liberazione islamico Moro che, fino alla pace siglata nel 2014, ha condotto una vera e propria guerra di indipendenza nel Paese.

La pace giusta e duratura, imperativo morale
In una dichiarazione ufficiale diffusa in questi giorni, la Chiesa filippina ribadisce di non essere né a favore né contro la proposta normativa, ma di voler solo presentare “i principi morali e sociali” che devono esservi alla base, nell’ottica di “una pace duratura, imperativo morale” per cristiani, musulmani e seguaci di altre religioni. “La fiducia reciproca”, dunque, deve essere il fondamento di tutto, in quanto “pre-requisito della giustizia, dell’armonia e della pace” e condizione primaria “del dialogo e del rispetto dell’altro”.

Cristianesimo ed Islam, religioni di pace. Non fomentare discriminazioni
Poi, i presuli di Manila ricordano che “cristianesimo ed islam sono religioni di pace”, entrambe discendenti da Abramo, e che “all’origine dell’aspirazione del Bangsamoro all’auto-determinazione c’è il principio della giustizia sociale, che implica anche la pace giusta e l’armonia interreligiosa”. In quest’ottica, la Conferenza episcopale filippina chiede che la Bbl non fomenti “le discriminazioni etniche, religiose, politiche ed economiche”, bensì “promuova la giustizia sociale”, affrontando “le ingiustizie sofferte dal Bangsamoro, dalle popolazione nativa e dalle varie minoranze religiose che vivono nella regione”.

Promuovere armonia tra religioni diverse. Tutelare diritti umani universali
L’obiettivo della normativa, scrivono i vescovi filippini, deve essere quello di “promuovere rapporti armonici tra persone di gruppi etnici e fedi differenti”, “tutelando efficacemente i diritti umani universali, in particolare i diritti degli indigeni già inseriti nella legge e i diritti delle minoranze cristiane che temono persecuzioni e un’ulteriore marginalizzazione”. La Chiesa di Manila si dice, inoltre, favorevole ad una legge che “realizzi l’auto-determinazione del Bangsamoro in un’area identificata che rimanga parte dell’integrità territoriale sotto la sovranità della Repubblica delle Filippine”, rispondendo così “concretamente alle istanze, alle speranze ed alle aspirazioni di tutti i vari gruppi del Bagnsamoro”, senza violare la Costituzione.

L’invocazione a Maria
Il messaggio episcopale si conclude con l’invocazione a Maria, “onorata in modo eminente sia nel Corano che nella Bibbia come Madre di Gesù”: a Lei vengono affidati “tutti gli sforzi per una pace giusta e duratura”. (I.P.)

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Sud Sudan. Mons. Taban: guerra distrugge Paese più giovane del mondo

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Lo scorso 9 luglio il Sud Sudan ha celebrato il quarto anno di indipendenza. Purtroppo l’anniversario è funestato dal conflitto etnico che dal dicembre 2013 vede scontrarsi le forze governative del presidente Kiir, di etnia dinka, e quelle fedeli all’ex vice-presidente Machar, di etnia nuer. Gli scontri hanno causato finora oltre 500 mila vittime. Secondo una dichiarazione del vescovo emerito di Torit, mons. Paride Taban, nel Paese non si erano mai viste tante migliaia di bambini di strada che, nella capitale Juba, frugano tra la spazzatura per cercare qualcosa da mangiare. 

Nel Paese oltre un milione di bambini denutriti
​“Siamo tutti colpevoli di questa incresciosa situazione - commenta il presule - e dobbiamo ricominciare da capo per la ricostruzione del Paese più giovane del mondo, e far si che la popolazione muoia di vecchiaia e non per la guerra”. Secondo un recente rapporto diffuso da Aiuto alla Chiesa che Soffre, molta gente è costretta a nutrirsi di erba e frutti selvatici per non morire di fame. Attualmente nel Paese ci sono oltre un milione di bambini denutriti, due milioni di sfollati e 500 mila persone sono fuggite all’estero. (A.P.)

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Vescovi inglesi: no a legge sul suicidio assistito

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È atteso per il prossimo 11 settembre, presso la Camera dei Comuni del Regno Unito, il dibattito ed il voto sul progetto di legge relativo al suicidio assistito. Presentata da Rob Marris, la proposta normativa mira a rendere possibile, per i malati terminali adulti, la scelta di porre fine alla propria vita con una specifica assistenza medica. E quindi ciò implica la possibilità, per i medici, di iniettare farmaci letali ai pazienti malati terminali per portarli al suicidio.

Serve informazione dettagliata e capillare
Naturalmente, la preoccupazione della Chiesa cattolica locale è forte: “Si tratta di un dibattito estremamente importante – scrive mons. Peter Smith, arcivescovo di Southwark e responsabile del Dipartimento per la responsabilità cristiana e la cittadinanza, all’interno della Conferenza episcopale inglese – Le informazioni e le spiegazioni su questo argomento devono essere diffuse capillarmente in tutte le parrocchie del Paese”.

Cure palliative siano maggiori, migliori e accessibili a tutti
“Esorto urgentemente i cattolici – continua il presule – a contattare i parlamentari al più presto possibile per esprimere la propria preoccupazione riguardo al pericoloso impatto che un simile progetto di legge potrebbe avere sulle persone più vulnerabili”. “I politici – aggiunge mons. Smith – devono ascoltare i loro committenti”, perché “ciò che serve sono cure palliative maggiori e migliori, non l’assistenza al suicidio”. Per questo, la Conferenza episcopale inglese ha creato un’apposita pagina web in cui si spiegano, nel dettaglio, la proposta normativa e le sue drammatiche conseguenze.

Ogni vita umana è sempre degna di rispetto e protezione
“La vita di ogni persona è sempre degna di rispetto e protezione”, si legge nella pagina, ed anche nel dolore, nella sofferenza o nella solitudine, ogni uomo merita “attenzione e sostegno, non l'assistenza al suicidio”. Di qui, il richiamo allo sviluppo degli hospice e delle cure palliative, affinché siano accessibili a tutti. Citando, poi, il messaggio di Papa Francesco per la Giornata della vita 2013, i vescovi inglesi sottolineano che “anche i più deboli e vulnerabili, i malati, gli anziani, i non ancora nati ed i poveri sono capolavori della creazione di Dio, fatti a sua immagine, destinati a vivere in eterno, e meritevoli della massima riverenza e di rispetto”. Per questo, “la Chiesa insegna che la vita è un dono di Dio e sostiene un’assistenza di alta qualità per i moribondi e una tutela per i più deboli e vulnerabili”.

Suicidio assistito contrario al giuramento di Ippocrate e all’etica medica
Quanto al parere dei medici, i vescovi britannici sottolineano che “la British Medical Association, e il Medical Royal Colleges sono fortemente contrari a legalizzare il suicidio assistito” perché esso violerebbe “i principi fondamentali dell'etica medica professionale”, principi che risalgono “al giuramento di Ippocrate” e che affermano che “i medici devono mostrare il massimo rispetto per la vita umana”. Facendo, poi, un paragone con i Paesi in cui il suicidio assistito è stato legalizzato, come l’Olanda o alcuni Stati degli Usa, i presuli inglesi evidenziano come i limiti imposti dalla legge vengano sempre più spesso aggirati: “Ad esempio, alcune leggi cercano di limitare l'accesso al suicidio assistito per i malati terminali con una prognosi specifica. Ma la prognosi di una malattia terminale è irta di difficoltà: i malati terminali spesso vivono molto più a lungo di quanto previsto e diagnosticare la depressione clinica non è così facile”.

I politici ascoltino il parere degli elettori
Infine, la Chiesa cattolica di Londra chiede ai fedeli di contattare i parlamentari per far sentire la propria voce perché “i politici devono ascoltare i propri elettori e le loro preoccupazioni”. (A cura di Isabella Piro)

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Colombia. Consiglio delle Chiese chiede cessate il fuoco

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In una lettera al presidente colombiano Juan Manuel Santos; al capo negoziatore del governo all’Avana, Humberto de la Calle; al comandante delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), Timoleonte Jiménez; e al capo negoziatore delle Farc, Luciano Marín, i leader del movimento per il dialogo inter-ecclesiale per la pace in Colombia del World Council of Churches (Wcc) chiedono un cessate-il-fuoco. I responsabili religiosi - riferisce l'agenzia Sir - ricordano che dopo 52 anni di conflitto armato è urgente la ripresa dei colloqui di pace, soprattutto dopo gli scontri e le “vittime che si sarebbero potute evitare con un accordo per un cessate-il-fuoco bilaterale”. 

Leader religiosi: progressi per rimozione mine anti-persona
Secondo i leader entrambe le parti sono chiamate a dare un contributo concreto e credibile: il Governo “dovrebbe cambiare la propria posizione nel rifiutare un accordo per un cessate-il-fuoco bilaterale”; dal canto loro le Farc “dovrebbero mantenere il cessate-il-fuoco”. I leader religiosi riconoscono i progressi compiuti per la rimozione delle mine anti-persona, l’istituzione di una commissione d’indagine, la redazione di un rapporto storico sul conflitto armato, e si uniscono all’appello dei governi di Cuba e Norvegia, nel loro ruolo di garanti dei negoziati “per un cessate-il-fuoco e la fine delle ostilità, e affinché gli accordi finora raggiunti possano essere conservati e mantenuti”. (R.P.)

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Chiesa Singapore festeggia i 50 anni dell’indipendenza del Paese

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“Siamo chiamati a santificare la nazione” e a rinnovare l’impegno per dirigerla “verso il futuro con rinnovato vigore e speranza. Per questo lasciamo che la luce di Cristo brilli su tutto il Paese”. Con queste parole - riferisce l'agenzia AsiaNews - il sacerdote francescano padre Derrick Yap ha aperto le celebrazioni organizzate dalla Chiesa cattolica per i 50 anni dall’indipendenza della nazione, che nel 1965 si è affrancata dalla Malaysia diventando uno Stato a sé. “È l’anno giubilare, ed è anche un anno di gioia - ha aggiunto il sacerdote, a capo del comitato organizzatore dei festeggiamenti - perché Dio sta riportando tutto alla sua pienezza”.

Le celebrazioni iniziate con una Messa solenne
Le celebrazioni ufficiali del governo per i 50 anni della città-Stato sono in programma il prossimo autunno; tuttavia, la Chiesa cattolica locale ha voluto organizzare un momento proprio celebrativo, con una Messa solenne che si è tenuta ai primi di luglio. Almeno 10mila persone hanno affollato i locali dell’Indoor Stadium di Singapore per la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. William Goh Seng Chye. Presenti anche il nunzio apostolico mons. Leopoldo Girelli, il Primo Ministro Lee Hsien Loong, rappresentanti delle istituzioni e delle principali religioni presenti nella città-Stato.

Celebrata l'opera dei missionari
La Messa è stata anche occasione per celebrare l’opera dei missionari che, per primi, hanno portato la fede a Singapore e che hanno sacrificato la loro vita al servizio della gente e nell’edificazione della nazione. “L’occasione - afferma padre Derrick - non è solo un momento promosso dalla Chiesa per ricordare il contributo nella costruzione della nazione, ma serve anche a riunire i cattolici per rafforzare i legami reciproci”.

La Chiesa al servizio della società di Singapore
Rivolgendosi ai fedeli l’arcivescovo mons. Goh ricorda il lavoro della Chiesa nei settori dell’educazione, della sanità, dei servizi sociali e dello sviluppo umano nella sua interezza. “Continua nella sua missione - ha aggiunto il prelato - di unità, al servizio dei nuovi poveri che sono vittime di… relativismo, individualismo, materialismo, consumismo e dell’impatto negativo di internet e dei social media, in particolare sui giovani e le famiglie, che formano la base della società”. Infine, mons. Goh ricorda l’enciclica “Laudato Sì” di Papa Francesco e invita i presenti a “prendersi cura dell’ambiente” perché anche le generazioni future possano godere “dei frutti della terra”. 

Premier Lee Hsien Loong: La Chiesa è “luce e speranza” per i giovani
Alla celebrazione ha partecipato anche il premier Lee Hsien Loong, che ha rivolto un saluto alla comunità cattolica. Egli ha lodato il lavoro della Chiesa nel sociale, ricordando gli sforzi per la creazione di una società “multiculturale e multirazziale”. La Chiesa, ha aggiunto, è “luce e speranza” che nutre i giovani.

Cattolici di Singapore il 5% della popolazione
​A Singapore i cattolici sono oltre 200mila, pari al 5% circa del totale della popolazione; fra le religioni, la più diffusa è il buddismo col 43%; seguono i cristiani col 18% del totale, islam 15%, induismo e taoismo 11 e 5%. La Chiesa locale vive una fase di crescita e dinamismo, che ha portato alla recente apertura di un seminario teologico, definito una vera e propria “pietra miliare” per la comunità locale.

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Corsica. La famiglia, simbolo della campagna di donazioni per la Chiesa

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Una famiglia di tre generazioni, dai nonni ai nipoti, che si scatta un “selfie” davanti ad una Chiesa, insieme al parroco: questa l’immagine scelta dai vescovi della Corsica per lanciare la campagna “Denier 2015”, ovvero la raccolta di donazioni per la Chiesa. La famiglia, dunque, è il cuore dell’iniziativa, anzi: “lo spirito della famiglia” che – spiegano i vescovi corsi – “fa da collante tra i diversi membri della Chiesa”. “Una delle regole della famiglia, infatti, è la solidarietà reciproca – si legge nella nota di presentazione della campagna – Si tratta quasi di un codice genetico. E questa capacità di accogliere sempre è l’obiettivo di questa grande famiglia che è la Chiesa della Corsica”.

La fede non è una realtà semplicemente individuale
“La campagna di donazioni – spiega mons. Olivier de Germay, vescovo di Ajaccio – è un bel modo di manifestare la propria appartenenza alla Chiesa, anche se questa appartenenza si nutre e si rafforza innanzitutto ritrovandosi nella propria comunità parrocchiale per la Messa domenicale”. Perché “la fede, in effetti – aggiunge il presule – non è una realtà semplicemente individuale”. Commentando, poi, l’immagine-simbolo dell’iniziativa, i presuli ne mettono in risalto la modernità, data dal “selfie”, e la tradizione, incarnata dalla famiglia che “si riunisce attorno alla sua Chiesa”. Perché “quando si affrontano i tumulti della vita, è essenziale avere questo genere di faro, di punto di riferimento, di luogo dell’accoglienza e del calore permanente”.

Chiesa e famiglia, luoghi in cui si respirano gli stessi valori
Di qui, l’esortazione dei presuli ad utilizzare, per la campagna di donazioni, anche altre immagini simboliche della Corsica, luoghi di pellegrinaggio capaci di “veicolare l’identità nazionale ed il suo spirito di famiglia”. Devono essere luoghi, concludono i vescovi di Ajaccio, capaci di “testimoniare i legami intessuti dalla Chiesa con la popolazione”, luoghi in cui “palpitano gli stessi valori”, in cui si respira “il calore del Vangelo e la vitalità della Chiesa”, famiglia di Dio. (I.P.)

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Spagna. Avila: tutto pronto per l’Incontro europeo dei giovani

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“In tempi difficili, amici forti di Dio”: sarà questo il tema dell’Incontro europeo dei giovani che si terrà ad Avila, in Spagna, dal 5 al 9 agosto. Organizzato dalla Conferenza episcopale locale, l’evento si inserisce nel quando delle celebrazioni del quinto centenario della nascita di Santa Teresa d’Avila ed infatti il tema dell’incontro è ispirato ad un passo della sua “Vita” (15,5).

Attesi oltre 5mila ragazzi da tutto il mondo
Oltre 5mila i ragazzi attesi all’evento, informa una nota della Chiesa spagnola, provenienti non solo dal Paese, ma anche da Italia, Francia, Portogallo, Polonia, Malta e persino da Australia, Brasile ed Argentina. “La dinamica dell’incontro – prosegue la nota – girerà introno alla figura di Santa Teresa, con l’obiettivo di far conoscere meglio la sua importanza nella vita della Chiesa”. Celebrazioni liturgiche e visite ai luoghi teresiani della città e concerti musicali scandiranno le giornate, mentre dal 5 al 7 agosto, a partire dalle ore 22.00, si terranno festival musicali cattolici contemporanei.

Catechesi, momenti di preghiera e concerti scandiranno le giornate
La cerimonia di apertura, la Veglia di preghiera e la Santa Messa finale saranno ospitate sulla spianata del Centro Lienzo Norte e vedranno la partecipazione del card. Ricardo Blázquez, presidente della Conferenza episcopale spagnola. Altri trenta vescovi locali terranno catechesi e guideranno diversi momenti di preghiera, che verranno tradotti in quattro lingue. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 200

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.