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Sommario del 21/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Sindaci in Vaticano: pronti a impegno comune su clima e schiavitù

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Le nuove schiavitù e i cambiamenti climatici. Sono le due emergenze connesse nella realtà e nel magistero di Papa Francesco su cui, oggi e domani, si confrontano per la prima volta in Vaticano oltre 70 sindaci delle più importanti città del mondo. Prima un Workshop poi un Simposio, promossi dalle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, per far conoscere le buone pratiche già in atto e sollecitare un impegno comune per inserire la lotta alle moderne schiavitù e la salvaguardia del creato negli Obiettivi di sviluppo in sede Onu e al prossimo summit sul clima di Parigi. Il servizio di Gabriella Ceraso

Papa Francesco e il gruppo di lavoro nato con le Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze sono una leadership indispensabile. Lo pensano tutti i sindaci giunti in Vaticano da Europa, Asia e America, pronti a dare il loro contributo sul quadro allarmante tracciato dai due organismi vaticani. Trenta milioni di persone coinvolte nel traffico di esseri umani da reintegrare nella società con la dignità perduta e un riscaldamento globale che al 2050 salirà di 4 gradi, portando sciagure naturali, uragani, siccità, incendi sempre più frequenti e la morte di milioni di poveri, se non si riduce l’emissione di gas nocivi e l’uso dei combustibili fossili. Ma, come scrive il Papa nell’Enciclica "Laudato si’",”non è troppo tardi”. Francesco chiede agli amministratori locali “dialogo e azione” e una “solidarietà inter e intra generazionale”. E i sindaci rispondono parlando di sfide e buone pratiche, dopo aver ascoltato due toccanti testimonianze di giovani vittime della schiavitù sessuale e sul lavoro, provenienti dal Messico. “Ora tocca a noi”, dice Bill de Blasio, sindaco di New York,“la saggezza deve essere la nostra ancora di salvezza".

“ In California we have lot of smog…"
"In California abbiamo molto smog, un inquinamento atmosferico terribile”, spiega il governatore Edmund G.Brown, annunciando che ”il 25% dell’elettricità viene da risorse rinnovabili, idriche o nucleari” e che la sua sfida principale è "contrastare gli interessi economici delle grandi compagnie che stanno distruggendo sostanzialmente le possibilità per le future generazioni”.

“A Stoccolma”, dice invece il sindaco Karin Wanngard, “il mio impegno è creare maggiore eguaglianza sociale a livello scolastico e sanitario”. Cosa pensa dell’Enciclica "Laudato si’" del Papa, le chiediamo:

"I think it is really really good…
Penso sia davvero una cosa buona. L’impegno del Papa nell’ambiente – il fatto che dobbiamo cambiare il nostro stile di vita per far sì che il nostro ambiente sia migliore – è molto importante. Il Papa vuole costruire un mondo che sia uguale per tutti e che resti unito”.

Di un "cammino virtuoso intrapreso" e di una "conversione ecologica" in corso a Parigi parla il sindaco Anne Hidalgo: mobilità sostenibile, più alloggi sociali e riciclo dei rifiuti, dice, sono settori prioritari anche per l’occupazione giovanile, mentre il primo cittadino di Madrid, Manuela Carmena, sottolinea quanto stia facendo per contrastare la prostituzione cercando di andare all’origine del problema,ll’educazione alla sessualità.

Anche dai sindaci italiani arriva l’impegno per la sostenibilità ambientale. Giuliano Pisapia porta in Vaticano l’esperienza di Milano, sede dell’Expo:

“L’Enciclica ci dà messaggi molto forti al riguardo e posso dire che Milano sta facendo tutto il possibile. Il 16 ottobre centinaia di sindaci di tutte le città del mondo, davanti al segretario generale dell’Onu, firmeranno questo patto cui stiamo lavorando da più di un anno, con impegni concreti e praticabili, per la lotta agli sprechi alimentari, la sana alimentazione, di fatto la lotta alla fame nel mondo. Dobbiamo fare questo passo avanti e dalle città può partire non solo il grido d’allarme, ma l’impegno concreto che spesso i governi nazionali non riescono ad attuare”.

Altro fronte è quello della lotta alle moderne schiavitù: le migrazioni forzate in primo luogo. L’Europa deve fare di più anche rispetto all’ultimo accordo preso sulla ripartizione dei richiedenti asilo ed è sbagliato nutrire la xenofobia per scopi elettorali. Lo ripetono tutti i primi cittadini italiani, che prendono la parola da Catania a Bologna a Firenze, e soprattutto lo ribadisce il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, dando la sua testimonianza:

“Essere chiamati qui dal Papa è qualcosa di straordinariamente importante e dà un grandissimo senso di responsabilità. Nessuno può avere l’alibi di tirarsi indietro, anche soltanto pensando che quello che tu puoi fare, non risolve tutto”.

Roma si prepara al Giubileo pensando soprattutto alla mobilità cittadina. Lo dice il sindaco Ignazio Marino, tra gli oltre 70 presenti in Vaticano per l’incontro con il Papa. Il suo intervento si sofferma in particolare sulle moderne schiavitù, ma al microfono di Gabriella Ceraso parla anche di come la capitale sta affrontando la questione della sostenibilità ambientale: 

R. – Roma, sin dall’inizio del mio mandato nel 2013, ha considerato il lavoro nel settore dei cambiamenti climatici come una parte importantissima del mio e del nostro mandato. Si ridurrà del 14% la circolazione di traffico privato e si aumenterà del 20% quella su trasporto pubblico e soprattutto su rotaia. Ecco perché abbiamo voluto spingere e inaugurare un’opera che sembrava ferma come la Metropolitana C. Allo stesso tempo abbiamo investito quest’anno 47 milioni di euro per sostituire 190 mila lampadine nella nostra città e questo avverrà nei prossimi 12 mesi: avremo lampade al "led" e quindi risparmieremo il 55% di energia. E’ un tema reale… E’ molto importante che il Papa ricordi a tutti che la conoscenza scientifica è innegabilmente il punto di partenza.

D. – Schiavitù moderne: a Roma ce ne sono e quali sono gli aspetti che le stanno più a cuore?

R. – A Roma, purtroppo, nel recente passato politica e amministrazione corrotta hanno permesso che si sfruttasse l’immigrazione: ora, sia dal punto di vista dell’azione giudiziaria che dell’azione amministrative vogliamo restituire dignità alla persone. Oggi, ne ho approfittato per parlare anche di una forma di schiavitù moderna, quasi trascurata: circa 10 mila persone ogni anno vendono un proprio organo, spesso per poche centinaia di euro. I commercianti fanno profitti su ogni organo per 100 mila euro, mentre i poveri che lo vendono un organo, lo fanno per comprare medicine per un figlio, per pagare l’affitto di casa, perché sono disperati e costretti dai debiti. E’ un traffico inaccettabile, è un crimine contro l’umanità! Io ho fatto una proposta molto forte: chi va all’estero, sfrutta il corpo di un altro essere umano per comprare un rene, quando torna in patria non dovrebbe più avere l’emodialisi perché ha un rene trapiantato, ma dovrebbe andare in prigione.

D. – Prostituzione, pedopornografia sono schiavitù moderne, anche se forse l’aspetto dei migranti è quello che più prende in questo i sindaci italiani ed europei. Il Papa chiede di dialogare, ma anche di agire agli amministratori locali. Che cosa ne pensa della soluzione che ha trovato l’Europa riguardo a questo e cosa avete intenzione di fare tra primi cittadini?

R. – Con Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, abbiamo espresso la nostra insoddisfazione rispetto alle misure messe in atto dell’Europa. Noi non crediamo che immaginare l’accoglienza per alcune migliaia di persone possa essere una risposta a un problema che rappresenta anche una sfida, come dicevo, del nostro tempo: da quello che sappiamo, ci sono tra i 500 mila e un milione di persone ammassate sulle coste del nord dell’Africa pronte a raggiungere l’Europa… Noi dobbiamo avere strumenti collegiali che ci facciano sentire tutti – davvero tutti – coinvolti.

D. – Roma città aperta, sostenibile e sicura, ma anche una città accogliente: sarà questa la Roma del Giubileo? A che punto siamo?

R. – Abbiamo iniziato tutta una serie di lavori riguardanti soprattutto la viabilità: ad esempio, abbiamo avviato la realizzazione di 5 rotatorie sull’Ardeatina, dove c’è la Chiesa Dives in Misericordia, sicuramente un luogo di pellegrinaggio di tanti che verranno a Roma; abbiamo deciso di riaprire alcune gallerie che erano chiuse dal 1990 e farci passare la ferrovia, in modo che ci sia un collegamento al treno da San Pietro a Vigna Clara… Insomma, vogliamo migliorare la possibilità di muoversi all’interno della città. Tutte le opere che potevamo avviare le abbiamo avviate, altre le avvieremo durante il mese di agosto. Roma è e sarà una città accogliente, ma la sfida del XXI secolo dell’immigrazione è una sfida che non riguarda solo la nostra città.

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Nomine episcopali negli Stati Uniti

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Negli Stati Uniti, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Los Angeles, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Gerald E. Wilkerson. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Joseph V. Brennan, del clero della medesima arcidiocesi, vicario generale e moderatore della Curia, mons. David G. O’Connell, del clero della medesima arcidiocesi, parroco della “Saint Michael Parish” a Los Angeles, e il Rev.do Robert E. Barron, del clero dell’arcidiocesi di Chicago, rettore-presidente della “University of St. Mary of the Lake/Mundelein Seminary” a Mundelein.

Mons. Joseph V. Brennan è nato il 20 marzo 1954 a Van Nuys, California, nell’arcidiocesi di Los Angeles. Ha frequentato il Seminario arcidiocesano “Saint John” a Camarillo. È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Los Angeles il 21 giugno 1980. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto gli incarichi seguenti: Vicario Parrocchiale dell’“Immaculate Heart of Mary Parish” a Los Angeles (1980-1983), della “Saint Linus Parish” a Norwalk (1983-1987) e della Cattedrale “Saint Vibiana” a Los Angeles (1987-1991); Parroco della “Saint Linus Parish” a Norwalk (1992-2004); Cappellano del “Southern California Chapter” dei Cavalieri di Colombo (1995); Membro del Consiglio Presbiterale (2003-2008); Parroco della “Holy Trinity Parish” a San Pedro (2004-2012); Vicario Generale e Moderatore della Curia (dal 2012). Nel 2005 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Oltre all’inglese, conosce lo spagnolo.

Mons. O’Connell è nato il 16 agosto 1953 a Cork (Irlanda) nell’omonima diocesi. Ha svolto gli studi ecclesiastici presso l’“All Hallows College” a Dublino. È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Los Angeles il 10 giugno 1979. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto gli incarichi seguenti: Vicario parrocchiale della “Saint Raymond Parish” a Downey (1979-1983), della “Saint Maria Goretti Parish” a Long Beach (1983-1984), della “Saint Hilary Parish” a Pico Rivera (1984-1988); Parroco della “Saint Frances Xavier Cabrini Parish” a Los Angeles (1988-2003) e dell’“Ascension Parish” a Los Angeles (1998-2003); Decano del Decanato n. 16 e Membro del Consiglio Presbiterale dell’arcidiocesi di Los Angeles (1996-2002, 2003-2006); Amministratore parrocchiale della “Saint Eugene Parish” a Los Angeles (2004-2006); Decano del Decanato n. 16 (2011-2013). Dal 2003 è Parroco della “Saint Michael Parish” a Los Angeles. Nel 1999 è stato nominato Prelato d’Onore. Oltre l’inglese, conosce lo spagnolo.

Mons. Barron è nato il 19 novembre 1959 a Chicago, Illinois, nell’omonima arcidiocesi. Ha conseguito un Masters in Filosofia presso l’Università Cattolica d’America a Washington (1982), la Licenza in Teologia presso la “University of St. Mary of the Lake” a Chicago (1986) e, successivamente il Dottorato in Teologia presso l’Institut Catholique a Parigi (1992). Ha pubblicato diversi libri e parecchi articoli e recensioni in teologia ed evangelizzazione. È conosciuto per i suoi DVD, i sui programmi televisivi e radiofonici, i suoi messaggi su Internet, nonché per conferenze e ritiri. Ha ricevuto varie onorificenze e premi accademici. È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Chicago il 24 maggio 1986. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della “Saint Paul of the Cross Parish” a Park Ridge (1986-1989); Professore di Teologia Sistematica presso la “University of St. Mary of the Lake” (dal 1992); Fondatore e Direttore Esecutivo del “Word on Fire Catholic Ministries” (dal 1999); “Visiting Professor” presso la “University of Notre Dame” a South Bend, Indiana (2002) e presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino a Roma (2007); “Scholar in Residence” presso il Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma (2007, 2010-2011); “Francis Cardinal George Professor of Faith and Culture” presso la “University of St. Mary of the Lake/Mundelein Seminary” (2008-2012); Rettore-Presidente della “University of St. Mary of the Lake/Mundelein Seminary” (dal 2012). Oltre all’inglese, conosce il francese, lo spagnolo e il tedesco.

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Papa invia card. Bozanić per i 300 anni del Santuario di Sinj

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, suo inviato speciale alla celebrazione del 300.mo anniversario del Santuario della “Madonna Miracolosa di Sinj”, nell’arcidiocesi di Spalato-Makarska, in Croazia, in programma il 15 agosto 2015.

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Papa, tweet: Chiesa sia attenta e premurosa verso i deboli

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “La Chiesa è chiamata a farsi sempre più attenta e premurosa verso i deboli”.

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Onu, Mons. Auza: anziani scartati, difendiamo i loro diritti

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In un momento in cui gli anziani “sono abbandonati” e scartati a livello sociale, fondamentale è promuovere politiche “che abbiano un approccio alternativo alla ‘cultura e usa e getta’ dominante che giudica gli esseri umani semplicemente per ciò che producono”. È uno dei passaggi principali del recente discorso all’Onu di New York dell’osservatore permanente della Santa Sede, mons. Bernardito Auza, sui diritti degli anziani. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Alla base c’è un’evidenza demografica – il mondo occidentale sta invecchiando di più rispetto al passato perché si fanno pochi figli – e una, per così dire, mentalità prevalente, per cui l’anziano, dato che non produce, è un peso morto sociale.

Quest’ultimo modo di pensare fa inorridire Papa Francesco, che da un angolo all’altro del pianeta sta riaffermando a gran voce il suo “no” alla cultura dello scarto. E lo stesso ha fatto l’arcivescovo Bernardito Auza, nella sua veste di rappresentante vaticano all’Onu di New York, quando nei giorni scorsi ha preso la parola durante una sessione di lavoro dedicata ai diritti delle persone anziane.

Come di consueto, il presule ha inquadrato le sue considerazioni in un contesto di cifre e tendenze. In Occidente, ha detto, “700 milioni di persone, ovvero il 10% della popolazione mondiale, sono al di sopra di 60 anni. Entro il 2050, si stima che questo numero sarà doppio”. Tuttavia, constata, la consapevolezza di ciò non ha finora prodotto politiche mirate in particolare alla tutela degli anziani. “Fondamentale”, ha affermato mons. Auza, è “che si promuovano politiche e sistemi di formazione che abbiano un approccio alternativo alla ‘cultura dell'usa e getta’ dominante che giudica gli esseri umani semplicemente per ciò che producono”. In quest’ottica, “spesso, gli anziani si sentono inutili e soli perché hanno perso il proprio posto nella società”.

Proteggere gli anziani dal rischio dell’emarginazione o dell’esclusione è invece la “sfida”, ha indicato il presule, che va raccolta ora che è in crescita non solo la fascia della cosiddetta terza età ma anche l’aspettativa media di vita. Quello che occorre, ha chiesto, è “promuovere un atteggiamento di accettazione e apprezzamento verso gli anziani per integrarli meglio nella società”, sottolineando che per la Santa Sede “l'ideale per gli anziani è ancora quello di rimanere all'interno della famiglia, con la garanzia di un’effettiva assistenza sociale per le esigenze maggiori che l'età o la malattia comportano”.

A mons. Auza poi non è sfuggita la varietà e variabilità delle scuole di pensiero sul tema della tutela degli anziani. Alcuni, ha elencato, “hanno parlato di stabilire nuovi meccanismi simili alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, altri hanno sottolineato la necessità di attuare bene gli impegni che gli Stati hanno già sottoscritto in materia, altri ancora pensano che il Piano internazionale di Madrid per l’azione sull'invecchiamento contenga già le misure da adottare per tutelare i diritti degli anziani”. Quale che sia, ha rilevato il presule, va riconosciuto che “un approccio basato esclusivamente sul rispetto dei diritti umani non sarà sufficiente se non sarà accompagnato da politiche e programmi che affrontino le cause sottostanti alle violazioni che intendono prevenire”.

In ogni caso, ha sintetizzato, si eviti che le politiche che promuoviamo “ripetano la stanca narrazione che riduce il nostro valore di esseri umani a ciò che produciamo, ignorando la nostra dignità intrinseca e gli innumerevoli altri modi in cui i più vulnerabili tra noi possono contribuire al bene superiore della società”. Gli anziani, ha concluso mons. Auza, “sono una risorsa e punto essenziale di riferimento in un'epoca in cui molti lottano per trovare la loro identità e hanno perso la speranza” e con la “loro memoria collettiva e la ricchezza delle esperienze” possono essere di sostegno proprio “alle generazioni future, che non devono affrontare le lotte della vita da soli”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Giù le mani dall'ambiente e dalla vita: convegno in Vaticano su schiavitù e cambiamenti climatici.

Elogio della sobrietà: Paolo Portoghesi sulle parole chiave della "Laudato si'".

Mariano dell'Omo su Ungaretti a Montecassino: il carteggio fra il poeta e un monaco dell'abbazia.

Per missione la storia della Chiesa: Gabriele Nicolò ricorda Owen Chadwick, morto all'età di 99 anni.

Una forza contro il carrierismo: Margaret Harper McCarthy sul ruolo delle donne nella Chiesa cattolica.

Attaccati alla cornetta per entrare nella storia: i settant'anni dell'Ansa.

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Oggi in Primo Piano



Il card. Turkson a Parigi: "Sul clima cambiare traiettoria"

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Parigi ospita oggi il cosiddetto “Summit delle coscienze”. Si tratta di un incontro preparatorio alla Conferenza sul Clima, che si terrà nel dicembre prossimo sempre nella capitale francese. L’evento, che riunisce circa 40 personalità, è stato voluto dal presidente Francois Hollande, che stamani ha aperto i lavori in un intervento in cui ha esortato tutta la comunità internazionale a un impegno comune, perché presto si arrivi a un accordo sulla salvaguardia dell’ambiente. Il servizio di Giancarlo La Vella

“Abbiamo bisogno di tutti per raggiungere questi accordi”. Il presidente Hollande dà subito spessore ad un incontro che avrebbe potuto essere un mero momento di ricognizione in vista della prossima Conferenza sui cambiamenti climatici. Lo scopo è che quest’occasione getti realmente le basi per un’intesa decisiva e definitiva per l’approvazione da parte dell’Assemblea generale dell’Onu degli obiettivi di sviluppo sostenibili. Quasi prendendo spunto dal titolo dell’assise parigina il capo dello Stato si appella alle coscienze di capi di Stato, di governo, delle imprese e dei cittadini del mondo proprio per realizzare alla Conferenza di Parigi quell’obiettivo ambizioso di raggiungere un accordo che possa essere “globale”, che possa applicarsi “dappertutto” e possa “essere rispettato”. Parole chiare su una responsabilità dalla quale, nel corso degli anni, diversi Paesi sono sempre riusciti a sottrarsi. Tra i partecipanti al Summit: il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, il cardinale, Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e il rabbino David Rosen, direttore internazionale degli Affari interreligiosi dell’American Jewish Committee. “Grande importanza – dice Hollande rivolgendosi a loro – hanno i leader religiosi per creare una coscienza ambientale”, e quindi cita Papa Francesco: “Ho letto l’enciclica Laudato Si’ – ha detto – che propone a tutti gli esseri umani di entrare in dialogo con tutti per ciò che concerne la nostra casa comune. Questo testo offre riflessioni preziose sul tema dell’ecologia”.

E proprio il card. Turkson ha detto che, per la salvaguardia del pianeta, bisogna prendere delle decisioni per cambiare traiettoria. L’imperativo – ha sottolineato – è quello di rispondere, come afferma il Papa nell’enciclica Laudato Si’, alla domanda: “Che mondo vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli?”.

Dalla sua il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, che da sempre ha richiamato l’attenzione internazionale sulla questione ambientale, ha lanciato un vero e proprio grido d’allarme per il fatto – ha detto che mai prima d’ora gli ecosistemi della Terra si sono confrontati con un danno quasi irreversibile di tale portata.

Sull’importanza di un impegno globale per la soluzione dei problemi ambientali la nostra redazione francese ha intervistato Guy Aurenche, presidente dell’associazione cattolica Terre Solidaire:

“I partner di Terre Solidaire ci dicono che il problema ambientale colpisce soprattutto i più poveri che sono le principali vittime del dissesto ecologico. Penso ai nostri amici pescatori nelle Filippine che subiscono la distruzione causata da tornadi e tifoni in proporzioni molto più grandi di prima: bisogna aiutarli! Penso ai nostri amici del Sahel africano, che lottano contro la desertificazione. Penso alle tante situazioni in cui i più poveri sono le principali vittime. Allora bisogna stroncare questa idea secondo cui quest’emergenza sarebbe solo un “pallino” di qualche ambientalista o un problema dei ricchi che vorrebbero imporsi ai più poveri. Sono i più poveri che ci dicono: la nostra sopravvivenza dipende da una vera reazione, una reazione mondiale. No, non possiamo lasciarli soli”.

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Ferma condanna dell'attentato in Turchia: 30 le vittime

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Condanna unanime all’attentato kamikaze che ha colpito nella mattinata di ieri, un centro culturale della città turca di Suruc, a soli dieci chilometri dal confine con la Siria: 30 i morti, un centinaio i feriti. A compiere l’attentato sarebbe stata una ragazza affiliata al sedicente Stato islamico. Manifestazioni di solidarietà con le vittime in tutto il Paese. Il servizio di Adriana Masotti

“Gli Stati Uniti condannano con forza l'odioso attacco terroristico", fa sapere la Casa Bianca. "L'Ue è vicina al popolo e al governo della Turchia, dice l'alto rappresentante per la politica estera europea, Mogherini. "Nessuna causa e nessun risentimento possono mai giustificare gli attacchi ai civili", scrive in un comunicato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Trenta le vittime dell’attentato suicida, un centinaio i feriti, alcuni in gravi condizioni. A farsi esplodere, durante un incontro organizzato dalla Federazione delle associazioni della gioventù socialista, sarebbe stata una 18.enne vicina al sedicente Stato islamico: gli attivisti presenti, circa 300, stavano partendo per Kobane, località curda in Siria, dove avrebbero portato aiuti alla popolazione.
Da Ankara, il premier turco Davutoglu ieri sera aveva affermato, che dalle prime indagini, l'attentato “diretto contro la pace, la democrazia e la stabilità di tutta la Turchia, è da attribuirsi all’Is. A rafforzare la pista jihadista è un attentato kamikaze quasi simultaneo avvenuto a Kobane dove sono rimasti uccisi due miliziani curdi delle Unità di difesa del popolo. Ieri, in tutta la Turchia manifestanti sono scesi in strada per mostrare la loro solidarietà e in alcuni casi le proteste sono degenerate in scontri con le Forze dell'ordine. Parlando dalla parte nord di Cipro, dove era in visita, il presidente turco Erdogan ha condannato questo "atto di terrorismo". Ma da più parti piovono critiche verso Ankara, giudicata troppo morbida nel contrasto ai jihadisti.

Dopo mesi di conflitto e tensione a Kobane, in Siria, al confine con la Turchia, come valutare questo attentato in pieno territorio turco? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Piero Badacchi, direttore della Rivista italiana Difesa: 

R. – La Turchia, con questo episodio, paga in qualche misura 3-4 anni di politica in Siria assolutamente devastante: una politica che l’ha portata in questi anni a chiudere un occhio di fronte ai terroristi che dal proprio territorio andavano in Siria e lo ha fatto chiaramente per destabilizzare Assad. Questo mostro che, seppure indirettamente, ha contribuito a creare, in qualche misura ora gli si rivolta contro e la situazione adesso anche per la Turchia si fa oggettivamente grave. Bisognerà capire con quanta volontà la stessa Turchia cercherà di combattere questo fenomeno.

D. – Si ha la sensazione che nella lotta contro l’Is debba ancora essere trovata la strategia giusta…

R. – La strategia giusta sarebbe una strategia militarmente più aggressiva, soprattutto dal punto di vista della coalizione a guida americana, che sta conducendo la campagna aerea in Iraq e in Siria. L’altro elemento grave di debolezza è che l’Iraq è uno Stato di fatto fallito, in mano sostanzialmente alle milizie sciite e sotto l’influenza iraniana… Per cui anche l’alleato locale, che in qualche misura dovrebbe essere avvantaggiato dell’azione americana aerea, è in questo caso molto debole. E questo è un punto critico della strategia internazionale contro l’Is.

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Ucraina: al via manovre congiunte con Usa e altri 17 Paesi

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Sono iniziate ieri al Centro di sicurezza e peacekeeping di Yavoriv nella regione di Leopoli, le esercitazioni congiunte Usa-Ucraina denominate “Rapid Trident” a cui partecipano 18 nazioni tra cui Regno Unito, Polonia, Romania, Georgia e Lituania, per un totale di duemila soldati. Lo ha reso noto il ministero della Difesa ucraina, sulla sua pagina Facebook. Immediata la reazione della Russia, che attraverso una nota, ha definito queste manovre come una dimostrazione evidente della politica provocatoria seguita dalla Nato, per sostenere le autorità di Kiev nell’ est del Paese. Marina Tomarro, su questo tema ha intervistato Fulvio Scaglione vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – In Ucraina vige quella che potremmo definire “una non-pace e una non-guerra”. Dagli Accordi di Minsk i combattimenti veri e propri su vasta scala si sono arrestati, ma lo stillicidio di vittime non si è arrestato. E, allo stesso modo, non si è arrestato il contrasto politico fortissimo, che è un contrasto più tra – diciamo - Est e Ovest, fra Stati Uniti e Russia, che non tra Ucraina e Russia. La questione avrebbe potuto essere naturalmente composta in un'altra maniera, ma gli interessi divergenti delle potenze hanno condotto questo massacro. Siamo ormai oltre i 6.500 morti che, come sempre, sono in gran parte civili.

D. – Sono iniziate queste esercitazioni insieme agli Stati Uniti e ad altre 18 nazioni. Perché questa partecipazione dell’Ucraina, secondo lei, a queste maxi manovre militari?

R. – Perché la questione ucraina è una questione sostanzialmente di espansionismo americano. Se noi osserviamo quello che è successo dall’inizio degli anni Novanta in avanti, notiamo che l’influenza della Nato e dell’Unione Europea si è sempre espansa verso Est, fino ad arrivare – appunto - ai confini stessi con la Russia. E questa è una cosa che la Russia non poteva in alcun modo accettare e tutti lo sapevano. Da qui il conflitto armato, da qui la questione della Crimea e poi la questione del Donbass: è evidente che la Russia ha dei fortissimi problemi ad accettare che in Ucraina - cioè sul territorio dove passano gran parte dei suoi gasdotti e dei suoi oleodotti, che vengono verso ovest - comandi un governo che è sostanzialmente legato alla Casa Bianca. Tutto questo per la Russia è inaccettabile! Naturalmente questo non giustifica i morti, non giustifica i combattimenti, però è assolutamente evidente che c’è la spinta degli Stati Uniti dietro tutti gli eventi dell’Ucraina. Non è nascosto da nessuno - sia in America, sia nella Nato – che l’obiettivo vero e principale non è fare entrare l’Ucraina nell’Unione Europea, ma far entrare l’Ucraina nella Nato.

D. – La Russia, in una nota diffusa, ha parlato di conseguenze esplosive riguardo proprio a queste esercitazioni. Secondo lei quali potrebbero essere queste conseguenze?

R. – In questo caso non so cosa la Russia possa fare nei confronti della Nato. Presumo che Putin intenda un potenzialmente degli armamenti, una revisione della dottrina strategica militare russa, con qualche conseguenza evidente per i Paesi coinvolti in queste esercitazioni, che siano più esposti ad est e che non siano evidentemente gli Stati Uniti. Penso agli ex Paesi del blocco sovietico…

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Ragazza non si cura da 12 anni, ma l'Hiv non si ripresenta

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I medici dell’Istituto Pasteur di Parigi hanno presentato a Vancouver, in Canada, il caso di una ragazza affetta dal virus dell’Hiv fin dalla nascita e che oggi sta bene, pur senza terapie. La giovane ha interrotto le cure all’età di 6 anni, per volontà dei genitori, e da 12 anni il virus non si è ripresentato. Secondo i dati del programma delle Nazioni Unite contro l’Aids e l’Hiv, nel mondo sono quasi 37 milioni i soggetti colpiti dal virus e più di un milione di persone sono morte nel 2014 per malattie collegate all’Aids. Sul caso presentato dai ricercatori del Pasteur, Eugenio Murrali ha intervistato Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive presso l’Istituto Superiore di Sanità: 

R. – E’ sempre difficile trarre delle conclusioni da un singolo caso. La storia naturale dell’infezione da Hiv, la sua evoluzione sono estremamente articolate. Ci sono persone che sviluppano l’infezione e subito dopo la malattia, anche in forma grave, e persone che invece reagiscono meglio e che per anni non hanno praticamente sintomi. In questo caso sembrerebbe essersi verificata un’evoluzione particolarmente favorevole, perlomeno fino al momento. E’ sempre complicato, però, dire se da un caso si possa generalizzare o meno. Certamente apre un minimo di speranza, nel senso che evidentemente ci sono persone il cui organismo è in grado di reagire in maniera molto efficace.

D. – La situazione della ricerca in Italia, oggi, qual è?

R. – La ricerca sull’Aids è stata sempre molto avanzata. Naturalmente, però, negli ultimi anni abbiamo assistito a un calo delle risorse veramente enorme. In parte dovuto alla diminuzione dei fondi e in parte al fatto che evidentemente c’è meno interesse per l’Aids, grazie anche al fatto che, in qualche misura, è una malattia cronicizzata. Non è una passeggiata, come alcuni vogliono far credere, ma certamente i farmaci che sono stati messi a punto, più di 20, sono piuttosto efficaci, perlomeno nel prolungare la sopravvivenza delle persone con infezione da Hiv e nel migliorarne la qualità della vita.

D. – Il sogno di trovare un vaccino per l’Aids è sfumato o continua?

R. – Continua sempre. E’ chiaro che ci sono investimenti: l’Ente di ricerca americano e in parte anche alcuni consorzi europei. Però c’è stata una grossa delusione, nel senso che ormai il virus è stato identificato nell’’83 – siamo praticamente a 30 anni di distanza – e non si vede ancora la messa a punto di un vaccino che sia considerato efficace. Ci sono buoni dati nella sperimentazione animale, dopo di che, quando si va sull’uomo, si vede che invece i risultati sono abbastanza poveri. E’ difficile evidentemente mettere a punto un vaccino contro una malattia cronica, dovuta a un virus che muta molto. Una persona sviluppa questi anticorpi, quindi, ma quando il virus muta essi non sono più efficaci. Bisogna, quindi, sviluppare dei vaccini che vadano a evocare risposte, che noi definiamo in gergo tecnico "cellulo-mediate”, ma questi vaccini sono estremamente difficili da mettere a punto e il successo in questi casi non è garantito.

D. – L’Unaids spera che entro il 2030 si possa mettere fine all’epidemia. E’ un obiettivo realistico?

R. – L’Unaids, così come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, devono cercare di infondere ottimismo e soprattutto fissare degli obiettivi che possano essere se non raggiungibili perlomeno vicini da raggiungere, in modo da stimolare sia l’acquisizione di risorse sia la mobilitazione di persone e di Paesi. Mi sembra difficile sconfiggere del tutto l’infezione da Hiv, anche perché l’aumento della sopravvivenza, che per fortuna c’è, ha come conseguenza però anche l’aumento della prevalenza, cioè della presenza di persone infette. Questo può avere anche delle ripercussioni sulla trasmissione, anche se è vero che più sono le persone trattate, minore è la probabilità di trasmissione dell’infezione, perché il trattamento è anche una forma di prevenzione: abbassa, infatti, la carica virale.

D. – Che diffusione, che effetti stanno avendo le terapie antiretrovirali in Africa?

R. – Certamente molto buoni rispetto al passato. L’Oms lanciò il programma di diffusione, distribuzione di farmaci antiretrovirali in Africa e il Global fund lo fece suo, finanziando questi programmi. E’ chiaro che c’è stato uno sforzo globale per aumentare le persone in trattamento, in Africa. Chiaramente l’Africa è un Paese molto grande, molto complesso, con realtà di povertà estrema e mancanza di strutture e infrastrutture. Non dappertutto, quindi, effettivamente, questi programmi hanno funzionato come avrebbero dovuto, ma rispetto al passato sicuramente si sono fatti grossi passi in avanti.  

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Anagrafe, cambio sesso. Belletti: legge non può cambiare natura

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Fa discutere la sentenza della Corte di Cassazione che ieri ha accolto il ricorso, presentato da una rete per i diritti Lgbt, persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. In sostanza, la sentenza dà il via libera al cambio di sesso all’anagrafe pur senza aver subito un’operazione chirurgica. La vicenda nasce dalla rinuncia all’intervento da parte di un trans di 45 anni che aveva comunque ottenuto l’autorizzazione all’operazione per modificare i propri organi genitali. Una rinuncia legata al fatto che le cure gli avevano donato un equilibrio psicofisico e che, da almeno 25 anni, è riconosciuta socialmente come donna. In precedenza, il tribunale di Piacenza e la Corte d’appello di Bologna avevano però respinto la sua richiesta. Sulla vicenda, Benedetta Capelli ha raccolto il commento del presidente del Forum delle associazioni familiari, Francesco Belletti

R. – Al di là del merito giuridico, delle “technicalities”, delle cose più precise che i giuristi possono poi spiegare, a me pare sia veramente impressionante questo costante distanziamento della dimensione naturale da quello che è il diritto. E’ come se la legge stesse sistemando regole che non hanno a che fare con la natura delle cose, con la concreta realtà. Si dice che un cambiamento di sesso è attivo anche se non avviene, quindi si restituisce un soggettivismo estremo – io decido qual è il mio sesso di appartenenza – che mi sembra proprio andare a scontrarsi con la natura delle cose. C’è, quindi, un nodo veramente impressionante. E’ solo uno dei tanti interventi della Cassazione che descrive questa logica, dove il diritto non fa i conti con la natura.

D. – Quali scenari allora si potrebbero aprire e quali soprattutto i criteri utili, diciamo la bussola da seguire, per indicare un cambio di condizione interna?

R. – Io credo ci sia da custodire in fondo un valore che nella storia è sempre stato abbastanza forte: le società si costruiscono attorno a una buona regolazione delle due differenze radicali dell’umano, cioè il maschile e il femminile, che sono coloro che generano la vita, e poi appunto la questione dei figli. Nessuna società vive se non regola in modo equilibrato i rapporti sessuali e la responsabilità di chi genera la vita delle nuove generazioni. La società altrimenti si sfascia, in un certo senso. Invece, la società contemporanea sta costruendo un sistema per cui l’accesso alla sessualità, la stessa identità sessuale, diventa una delle tante possibili azioni dell’individuo. Non c’è più quindi un legame sociale neanche sull’identità sessuale, cioè non si è legati agli altri: decido come mi pare, alla fine. E’ detto un po’ brutalmente, perché dentro ci sono anche tante sofferenze, tante persone che attraversano grandi domande sull’incertezza sessuale. E’, però, il triste frutto di una società che sta pensando di cancellare qualunque limite. E’ proprio la società “no limits”.

D. – In questo contesto, però, spesso si nega anche la cosiddetta questione del gender…

R. – Credo che attorno alla questione “gender” si discuta proprio esattamente di questo tema. Il maschile e il femminile sono principi di differenza regolativi dell’umano. Se li abbandoniamo, se immaginiamo che si possa pendolare da uno all’altro oppure che sia semplicemente una questione di scelta personale, rischiamo davvero di perdere il fondamento della verità dell’uomo e dell’identità. Il gender è questo in sostanza: la possibilità che la differenza sessuale non faccia differenza. Questo è lo slogan che io mi permetterei di suggerire: maschile e femminile radicano l’identità della persona. Buttarli via, quindi, pensando che tutto sia indifferente, sarebbe molto grave.

D. – Quello che stiamo notando è che la politica sembra fare un passo indietro rispetto a sentenze che fanno legislatura. L’ultima, per esempio, in ordine di tempo, è il pronunciamento della Corte dei Diritti umani di Strasburgo, che condanna l’Italia per quanto riguarda le unioni omosessuali. Cosa sta accadendo alla politica in questo senso?

R. – La politica sembra che abbia paura della diversità. E’ una sorta di paradosso, per cui all’interno di una tradizione europea, che è quella del proteggere le situazioni di minoranza, del garantire a tutti un pieno diritto, un diritto umano – i diritti delle persone – adesso ci si sta trincerando dietro a un pensiero unico, per cui ogni particolare pretende di essere l’universale. Il paradosso, quindi, è proprio questo: quello di ritrovarsi con una scelta giuridica che dice che a questo punto non c’è più un’identità di fondo, un riferimento valido per tutti, ma qualunque cosa diventa da legittimare. Purtroppo, si fa per via giudiziaria. Il problema è che sulla politica i cittadini, le persone, i popoli hanno potere di influenza per quanto limitato. Questi aspetti invece di natura tecnico-giurisprudenziale sembra siano leggi assolute e quindi condizionano il pensiero delle persone. C’è un grande progetto di condizionamento della libertà delle persone intorno a questo tema.

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Giffoni, una famiglia ritrova se stessa lontano dalla civiltà

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A volte bisogna fuggire dalla quotidianità per ritrovare il tempo per la famiglia e gli affetti. E' quanto racconta “All Time in The World”, il documentario canadese presentato al Giffoni Film Festival, il festival cinematografico dedicato ai ragazzi che si svolge in provincia di Salerno fino al 26 luglio. La nostra inviata a Giffoni Corinna Spirito: 

Nove mesi di isolamento, nel nord del Canada, senza acqua corrente, elettricità o contatti con il mondo esterno. Questa l’esperienza vissuta nel 2010 da Suzanne Crocker e dalla sua famiglia che viene raccontata nel documentario “All Time in The World”, in concorso alla 45.ma edizione del Giffoni Film Festival. Suzanne Crocker:

R. – It was so wonderful…
E’ stato meraviglioso vivere questi novi mesi fuori dal mondo, lontano da ogni distrazione, totalmente fuori, senza avere una sveglia puntata… E così il meglio di me, della mia personalità è venuto fuori.  E’ stato meraviglioso riconnetterci come famiglia e riconnettermi alla mia famiglia. 

Cinque anni fa Suzanne e suo marito si sono resi conto che, presi dal lavoro e dalla routine, non trovavano mai il tempo necessario per essere veramente presenti per i loro figli. Erano ormai abituati a rispondere “non ora” a qualsiasi loro richiesta. In una capanna nei boschi dello Yukon, hanno invece ritrovato il senso della vita, l’importanza delle cose semplici, il tempo da passare in famiglia, come ha ricordato la stessa regista Suzanne Crocker:

R.- I think I find it easy …
Penso che ora sia più facile realizzare quando le cose stanno per arrivare alla fine; è  facile allontanarsi da tutto questo, prendere tempo per la mia famiglia ed essere veramente lì, in quel momento: non continuare a pensare a centinaia di altre cose ed essere lì solo con il corpo, ma non realmente con lo spirito, la mente. Ho imparato così questa lezione, che continuo a portare con me ancora oggi.

“All Time in The World” ricorda agli spettatori quanto sia importante, nella frenesia del presente, costruire con le proprie mani il tempo per ciò che veramente conta.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: Aleppo ancora senza acqua. Ad Hassakè l'opera di mons. Hindo

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“Dal 26 giugno Aleppo è senza acqua corrente. Un dramma che va ad aggiungersi al tormento quotidiano fatto di bombardamenti continui e scontri a fuoco. A chiudere le condutture idriche ai quartieri ancora sotto il controllo del governo di Damasco sono stati i miliziani di al Nusra, reiterando un crimine già perpetrato in passato. Non è la prima volta, infatti, che gli jihadisti ricorrono a questo metodo bellico, un’arma di devastazione di massa che colpisce indiscriminatamente tutta la popolazione di Aleppo”. E’ la denuncia che arriva dai fratelli Maristi di Aleppo che parlano di “civili costretti a file estenuanti presso i pochi pozzi ancora in uso, chi con qualche latta, chi con bidoni, chi con qualche raffazzonata bottiglia di plastica”.

Raccolta fondi per fornire l'acqua agli abitanti 
I maristi - riferisce l'agenzia Sir - non sono gli unici a distribuire l’acqua. Con loro anche la parrocchia armeno cattolica della Santissima Trinità, che è in possesso di un pozzo. La pompa che fa funzionare il pozzo è alimentata da un generatore a gasolio; con 1.500 litri di carburante, il pozzo funziona per circa un mese”. Per fare fronte all’emergenza acqua i Maristi hanno lanciato un appello per trovare fondi necessari ad acquistare il gasolio necessario per far funzionare il pozzo della chiesa della Santissima Trinità e soprattutto per acquistare due furgoni-cisterne per poter portare l’acqua alle persone che non possono spostarsi per rifornirsi: anziani, famiglie lontane, ammalati. L’appello dei Maristi è stato rilanciato dall’associazione Aiutiamo la Siria! Onlus (Aiulas) che sta raccogliendo fondi per comprare i furgoni.

Ad Hassakè mons. Hindo coordina le emergenze sanitarie e alimentari
Nella città siriana di Hassakè intanto, dove la controffensiva delle forze curde e dell'esercito siriano ha messo sotto assedio i sobborghi periferici ancora occupati dalle milizie jihadiste dello Stato Islamico che avevano attaccato il centro abitato a fine giugno, le emergenze sanitarie e alimentari che colpiscono la popolazione civile hanno spinto l'arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo ad assumere anche incarichi di carattere pubblico. “Sono diventato responsabile della pulizia, dell'emergenza rifiuti, delle disinfestazioni e di tutti i servizi che hanno a che fare con la salute pubblica” racconta all'agenzia Fides mons. Hindo. “Il conflitto - aggiunge l'arcivescovo - espone di più la popolazione anche al rischio delle epidemie. E tutto diventa ancora più complicato con il caldo dell'estate. Mi sono fatto carico di queste esigenze perchè vedevo che nessuno lo faceva, e coordino una équipe di 130 operatori - di cui quasi cento sono musulmani - che lavorano in quartieri dove abitano 400mila persone, senza chiedere per me nessuna ricompensa". (G.V.)

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Iraq: Is cambia nome a quartieri di Mosul. Aiuti Caritas a profughi musulmani

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Dopo aver svuotato completamente la città di Mosul dalla sua componente cristiana a partire dallo scorso 16 luglio, aver vandalizzato le chiese o averle trasformate in moschee, ed aver depredato le opere d‘arte riconducibili alla storia della cristianità della regione, il sedicente Stato Islamico ha deciso che ogni riferimento pubblico al cristianesimo dovrà essere cancellato. Secondo quanto riferisce il sito Baghdadhope, che riprende Ankawa.com, “i negozianti dovranno cambiare le insegne che lo ricordano, ma anche quelle che si rifanno alla storia in genere, usando nomi più in linea con la nuova dittatura instaurata in città”. 

Anche i quartieri di Mosul dovranno cambiare nome
Il quartiere del "Qasr Al Matran" (Palazzo dell‘arcivescovo) - riporta l'agenzia Sir - si chiamerà "Ghasua" (che significa invasione militare) quello di Hawi Al Kanisa sulla sponda occidentale del Tigri si chiamerà (Jihad) e quello Di Hush Al Biya‘ (Cortile della chiesa) dove molti sono gli edifici delle varie chiese cristiane si chiamerà Al Khalifa (Califfo).

Aiuti alimentari e farmaceutici della Chiesa caldea a profughi musulmani
E mentre il Califfato prosegue nella sua opera di smantellamento e svuotamento della memoria storica irachena, la Chiesa caldea cerca di alleviare le condizioni di vita di tanti iracheni. Ieri, riferisce Baghdadhope, il patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, accompagnato dal vicario patriarcale mons. Basel Yaldo, e da alcuni esponenti della Caritas Iraq, ha portato aiuti alimentari e farmaceutici a 250 famiglie di profughi musulmani delle provincie di Anbar e Salahuddin in un campo lungo l‘Eufrate nei pressi della città di Ramadi in occasione della festa di Eid el-Fitr che segna la fine del mese di Ramadan. Dopo aver espresso gli auguri per la festa il patriarca ha augurato alle famiglie del campo di poter far ritorno alle proprie case. È questa la sesta volta che il patriarcato caldeo e la Caritas Iraq portano aiuti a famiglie di profughi musulmani. (R.P.)

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Pakistan: due fratelli cristiani arrestati per blasfemia

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Due fratelli cristiani sono stati arrestati con l'accusa di blasfemia dopo che uno di loro è stato accusato di avere pubblicato materiale offensivo sul suo sito web. Come riferisce l'agenzia Fides, già nel 2012 una denuncia ufficiale era stata registrata contro Qaisar e Amoon Ayub, entrambi di Lahore. Qaisar è sposato con Amina e hanno tre figli, mentre Amoon è sposato con Huma che è un’insegnante nella scuola attiva presso la cattedrale di Lahore. Secondo Qaisar il sito web incriminato è stato chiuso già nel 2009, ma uno dei suoi amici musulmani, Shahryar Gill, in qualche modo è riuscito a ripristinarlo e gestirlo per suo conto, anche se formalmente la proprietà è rimasta a nome di Qaisar.

Un caso palesemente basato su accuse false e fabbricate ad arte
Secondo la ricostruzione dei fatti pervenuta a Fides, dopo una lite avvenuta nel suo ufficio, Qaisar ha iniziato a ricevere minacce di morte e poi ha dovuto nascondersi. Quando la situazione si è deteriorata, entrambi i fratelli sono fuggiti per un periodo a Singapore e poi in Thailandia. Rientrati in Pakistan nel 2012, Qaisar è stato informato che una denuncia per blasfemia era stata registrata contro di lui. A novembre 2014 Qaisar e Amoon sono stati fermati dalla polizia e arrestati. Il loro caso, palesemente basato su accuse false e fabbricate ad arte, è stato preso in consegna dall’Ong Claas, “Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement”, che difende i cristiani in procedimenti giuridici nei quali sono coinvolti da innocenti. Finora i tentativi di ottenere una cauzione o la scarcerazione dei due non hanno avuto esito. (P.A.)

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Vescovi Filippine: cambiamenti climatici, questione di giustizia sociale

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L’uomo è custode, amministratore e non proprietario del Creato: parte da questo principio la dichiarazione che la Conferenza episcopale delle Filippine ha diffuso ieri in preparazione al Cop21, l’incontro Onu sui cambiamenti climatici in programma a Parigi il prossimo dicembre. “I negoziati di Parigi – scrivono i vescovi – rappresenteranno il tentativo di raggiungere un accordo sulla responsabilità per il futuro della Terra e delle prossime generazioni. Ma non si tratta di questioni ‘futuristiche’, bensì di giustizia sociale”.

Cambiamenti climatici, questione di giustizia sociale
Infatti, sottolineano i presuli, “i cambiamenti climatici sono una questione di giustizia sociale, ovvero di quella parte della giustizia che garantisce che tutte le classi ed i gruppi sociali beneficino delle risorse della Terra e della società e siano avvantaggiate, in modo equo, dal progresso delle nazioni”. Richiamando, poi, i temi principali dell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, i vescovi filippini ricordano che “è dovere dei cristiani preoccuparsi dell’ecologia e dei cambiamenti climatici come diretta conseguenza del concetto etico di ‘custodia’ e del principio di carità”.

Non dimenticare le comunità e le nazioni più povere
Di qui, l’appello a “tenere gli occhi puntati su Parigi”, affinché i temi trattati siano di interesse di tutti ed in particolare de “le comunità e le nazioni più povere, per prendersi cura dei bisogni degli ultimi, dei nostri fratelli e sorelle”. “L’Enciclica Laudato si’ – si legge ancora nella dichiarazione – ci insegna che il cuore della questione dei cambiamenti climatici è la giustizia”.

Sviluppo sostenibile va di pari passo con solidarietà intergenerazionale
Quindi, i presuli di Manila sottolineano che “la nozione di bene comune si estende alle generazioni future” e che “non si può più parlare di sviluppo sostenibile avulso dalla solidarietà intergenerazionale”. “Dobbiamo cominciare a pensare – è il monito dei vescovi – al genere di mondo che stiamo lasciando alle generazioni del domani, realizzando che il mondo è un dono che abbiamo ricevuto gratuitamente e che dobbiamo condividere con gli altri”.

No all’ottica utilitaristica: il mondo non appartiene solo a noi
In questo senso, la Chiesa filippina esorta a non basarsi su “un’ottica puramente utilitaristica” che pensa solo “in termini di benefici individuali”, bensì a promuovere “la solidarietà tra generazioni, in quanto quest’ultima “non è un optional, ma una questione di giustizia, dato che il mondo che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno dopo di noi”.

Necessario impegno delle comunità ecclesiali per il bene comune
“Non siamo proprietari della Terra – continuano i vescovi – Ne siamo i custodi, e dobbiamo avere cura delle sue risorse, non solo per noi, ma anche per le prossime generazioni”. Di qui, l’invito ai fedeli ad “organizzare simposi e conferenze” su questo tema, perché “è responsabilità morale di ciascuno informarsi su simili argomenti”. Anche le parrocchie e le Comunità ecclesiali di base vengono esortate a “agire in modo diretto ed immediato”, affinché “il loro impegno in favore del bene comune possa influenzare l’operato dei politici”.

Rispondere al grido d’aiuto dei sofferenti
​La dichiarazione si conclude ricordando che “i cambiamenti climatici hanno provocato sofferenze in nazioni, comunità e popoli” e che “quando i bisognosi gridano, non è un’opzione rispondere: è un dovere”. (A cura di Isabella Piro)

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Filippine: villaggio Caritas per i sopravvissuti del tifone Haiyan

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Il prossimo 29 luglio si procederà alla benedizione e alla successiva consegna di 132 nuove abitazioni ad Ajuy, nella provincia di Iloilo, che verranno destinate ai sopravvissuti del tifone Haiyan. Ad annunciarlo - riferisce l'agenzia AsiaNews - è il Jaro Archdiocesan Action Center (Jasac), secondo cui la cerimonia di consegna inizierà alle 8 del mattino con una solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal locale arcivescovo mons. Angel N. Lagdameo. Il nuovo complesso abitativo, chiamato “Caritas Village”, consiste in 66 case bifamiliari, costruite su un terreno di 1,6 ettari nel rione di Malayu-an, Ajuy. Assieme alle abitazioni, l’area offre anche un sistema di strade, fognature e impianto idrico, un luogo dedicato ai bambini, un edificio multi-funzionale, un campo da basket, e tutta una serie di servizi e di programmi per lo sviluppo dell’area.

Il Centro ospiterà 132 famiglie
Meliton Oso, direttore Jasac, sottolinea cue il progetto si è reso possibile grazie all’impegno di Caritas Austria attraverso Caritas Internationalis, Nassa/Caritas Filippine, la Chiesa locale e, in particolare, l’arcidiocesi di Jaro attraverso il comitato per la pastorale sociale. Il Centro ospiterà 132 famiglie le cui case sono state completamente distrutte dal tifone e che non hanno potuto ricostruirle perché i proprietari dei terreni non hanno concesso il nulla osta o perché erano entro i 40 metri in cui vige il divieto di costruzione (provvedimento emanato dopo la tragedia). “Dopo il passaggio di Yolanda - spiega il direttore Jasac - questa gente non ha perso solo le proprie case, ma anche ogni mezzo di sostentamento. Per questo è importante aiutare le famiglie a riguadagnare i mezzi per vivere e rendere le loro comunità di nuovo funzionali”. “Non possiamo - aggiunge - ridurre questa gente allo stato di mendicanti”.

L'aiuto della Chiesa filippina per due milioni di persone
La Chiesa filippina ha già stanziato circa 9,7 milioni di euro in progetti di recupero, assistenza, riabilitazione a favore di oltre due milioni di persone colpite dal supertifone Haiyan. Abbattutosi sulle isole Visayas l'8 novembre 2013, Haiyan/Yolanda ha colpito a vario titolo almeno 11 milioni di persone, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse; per un ritorno alla normalità saranno necessari otto miliardi di dollari. Ancora oggi risultano oltre 1.700 dispersi; il numero delle vittime sarebbe superiore a 5mila, anche se il presidente Aquino ha voluto ridimensionare le cifre, sottolineando che le prime stime [superiori a 10mila] erano frutto della reazione emotiva alla tragedia e il numero dei morti non supera i 2.500. (R.P.)

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Venezuela: ritrovato il cadavere di un francescano scomparso

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Il corpo del sacerdote francescano Alex Pinto è stato ritrovato nel pomeriggio di ieri, lungo la strada che collega Ciudad Bolivar a Puerto Ordaz, da alcuni confratelli e da uomini della polizia che stavano perlustrando la zona. Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, il cadavere era stato dato alle fiamme e presentava segni di decomposizione. Il sacerdote era scomparso dal 15 luglio e venerdì 17 il suo furgoncino è stato ritrovato incendiato nei pressi di Ciudad Bolivar. 

L'apostolato al servizio degli ultimi
Il religioso, cinquantenne, celebrava ordinariamente la Messa nella chiesa dedicata a San Francesco d'Assisi, parrocchia Vista Hermosa di Ciudad Bolivar. Viene ricordato come una persona tutta dedita al servizio di Dio e alle necessità degli ultimi. Sono in corso le indagini per chiarire la dinamica dell’evento criminoso, anche se sembra che il sacerdote sia stato colpito con un colpo di arma da fuoco. (S.L.)

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Vescovi Argentina: preoccupazione per Protocollo sull'aborto

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Si chiama “Protocollo per l’assistenza integrale delle persone con diritto all’interruzione legale della gravidanza” ed è stato pubblicato in una delle sezioni del sito web del Ministero della Salute, in Argentina. Consultabile al link http://www.msal.gov.ar/images/stories/bes/graficos/0000000690cnt-Protocolo%20ILE%20Web.pdf, il protocollo è, in sostanza, una disposizione volta a rendere ancora più facile, ampliandone la casistica, la pratica abortiva nelle strutture pubbliche e private. La pubblicazione on line non è passata inosservata alla Conferenza episcopale locale, che ha espresso immediatamente la sua preoccupazione.

Ministero non può promuovere l’aborto senza una legge specifica 
“Ci troviamo davanti ad un caso molto raro – ha spiegato mons. Héctor Rubén Aguer, arcivescovo di La Plata – perché, senza la mediazione di una legge specifica, da un giorno all’altro, un organismo del governo nazionale promuove l’aborto in tutto il Paese”. Cosa implica la pubblicazione di tale documento sul web?, si chiede il presule: “Significa che il Capo di Stato lo ha approvato? Oppure lo ha approvato il Ministero stesso? Chi se ne assume la responsabilità?”

Informare le gestanti sulle alternative all’aborto
“Questo protocollo – continua l’arcivescovo – parla di ‘diritto all’interruzione legale di gravidanza’, ma lo fa senza chiarirne le circostanze”. Inoltre, sottolinea mons. Aguer, si cita il “consenso informato, però non si suggerisce di informare la gestante sulla possibilità di tenere il bambino per poi darlo in adozione, oppure sulle tante iniziative che possono aiutare una donna a portare a compimento la gravidanza”. “Si presenta, quindi, un principio perverso – continua l’arcivescovo di La Plata – in base al quale la vita del bambino non vale niente”.

Riconoscere ai bambini il diritto a nascere
Un ulteriore elemento di allarme riguarda il fatto che “non si indicano scadenze specifiche per praticare l’aborto. Ma questo come è possibile?” si chiede mons. Aguer, dal momento che “la Costituzione nazionale ed il Codice civile affermano che la vita ha inizio sin dal concepimento”. Non si può “concedere alla madre il diritto di eliminare il figlio e, allo stesso tempo, non riconoscere il diritto del figlio a nascere”, spiega ancora il presule.

Tutelare l’obiezione di coscienza
Cruciale, poi, la questione dell’obiezione di coscienza: il Protocollo, infatti, indica l’obbligo di praticare l’aborto. In pratica, una struttura sanitaria non può rifiutarsi di attuare un’interruzione volontaria di gravidanza, se richiesta, e se un medico è obiettore di coscienza ha l’obbligo di cercare un sostituto o, in sua assenza, di praticare ugualmente l’aborto. “Ma questa è una cosa inconcepibile”, ribadisce l’arcivescovo argentino.

Un embrione è una persona umana
“Affermiamo ancora una volta – conclude mons. Aguer – il diritto dei nascituri a venire alla luce. Un embrione è una persona umana sin dal primissimo grado di sviluppo ed i diritti umani valgono anche per lui”; perciò “non esiste il diritto della madre, né di nessun altro, ad ucciderlo”. (I.P.)

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Repubblica Ceca: nota ecumenica su accoglienza migranti

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“La solidarietà è urgente e necessaria nei confronti delle vittime di guerre e persecuzioni religiose”: questo il fulcro della dichiarazione congiunta siglata dalla Conferenza episcopale cattolica (Cbc) e dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, nella Repubblica Ceca. Il documento è stato diffuso al termine della Plenaria della Cbc, svoltasi a Velehrad. Vedendo “i timori delle nostre società nel ricevere i migranti in Europa”, si legge nella dichiarazione, “ci rendiamo conto che la solidarietà deve essere accompagnata dalla responsabilità e che la questione migratoria deve essere affrontata nel contesto della situazione europea”.

Affrontare il problema con decisione, promuovendo il dialogo
Sottolineando, poi, la necessità di distinguere tra “i rifugiati a causa della guerra, della fame, dall’insicurezza, bisognosi senza dubbio di aiuto” ed i “migranti per motivi economici”, la Cbc ed il Consiglio ecumenico lanciano un appello al governo ceco affinché “affronti il problema con decisione”. Dal canto loro, sia la Chiesa cattolica che le altre Chiese del Paese annunciano di volere fare “la loro parte non solo promuovendo il dialogo, ma anche offrendo un aiuto concreto ai fratelli che rischiano la vita e cadono vittime della xenofobia”.

Le parrocchie accolgano le famiglie cristiane migranti
“Esorteremo tutte le parrocchie e le congregazioni – sottolineano i firmatari – all’accoglienza delle famiglie cristiane migranti, secondo gli accordi con le autorità locali e con l’aiuto della Caritas”. In tal modo, le Chiese si dicono “pronte a contribuire attivamente all’integrazione dei migranti ed alla creazione di un spazio per lo sviluppo della società”. Tra gli altri temi trattati dalla Plenaria, anche la preparazione del Giubileo straordinario della Misericordia, che avrà inizio l’8 dicembre prossimo: in quest’ottica, è in programma un pellegrinaggio nazionale a Cracovia, presso il Santuario della Divina Misericordia, così come la preparazione di una Lettera pastorale ed una riflessione, destinata ai sacerdoti, sul tema “La misericordia ed il sacramento della penitenza”.

Una App per trovare la Messa più vicina
​Inoltre, fervono già i preparativi della delegazione che parteciperà alla Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia, a luglio 2016, mentre si lavora alla traduzione in ceco dell’ultima Enciclica di Papa Francesco, Laudato si’, che sarà pronta probabilmente a settembre, e del “Martirologio della Chiesa cattolica ceca nel XX secolo”, che vedrà la stampa a Pasqua 2016. Infine, la Plenaria ha presentato una nuova App, scaricabile al sito bhosluzby.cirkev.cz, grazie alla quale i fedeli possono trovare, in tempo reale, il luogo più vicino e l’orario di celebrazione della Santa Messa. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 202

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.