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Sommario del 22/07/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai sindaci del mondo: rispettare l'ambiente è fare ecologia umana

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Saranno le città, piccole e grandi, a promuovere il rispetto dell'ambiente nel mondo, che è innanzitutto rispetto dell'ecologia umana perché al centro c'è sempre l'uomo che soffre se l'ambiente in cui vive viene maltrattato. Lo ha detto Papa Francesco, incontrando ieri pomeriggio gli oltre 70 sindaci giunti in Vaticano da tutto il mondo per confrontarsi sulle nuove schiavitù e i cambiamenti climatici su invito delle Accademie pontificie promotrici dell’evento: quella delle Scienze e quella delle Scienze sociali. Al termine dell'incontro il Papa e i sindaci hanno firmato una dichiarazione comune. il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Vertice sul clima a Parigi: il Papa è ottimista
Ho molta speranza nel vertice di Parigi, perché si raggiunga un accordo fondamentale di base. Francesco accoglie i sindaci di tutto il mondo chiamati in Vaticano a discutere di cambiamenti climatici e di tratta di esseri umani e manifesta il suo ottimismo circa l’esito del summit sul clima delle Nazioni Unite a dicembre nella capitale francese. Parla a braccio e in spagnolo per lanciare le sue raccomandazioni. All’Onu chiede di interessarsi con forza al fenomeno del traffico e dello sfruttamento degli esseri umani, dovuto anche ai cambiamenti climatici. 

Ecologia umana: la "Laudato si'" non è un'enciclica "verde", ma "sociale"
Occorre, spiega, “prendere coscienza del problema della distruzione del pianeta che noi stessi stiamo portando avanti nel non avere una coscienza ecologica come quella che ci fu data al principio”. Sollecita i primi cittadini che lo ascoltano  ad essere motore della consapevolezza:

“La Santa Sede o tal pais otal otro … 
La Santa Sede o quel Paese o quell’altro potrà fare un bel discorso alle Nazioni Unite, ma se il lavoro non parte dalle periferie verso il centro non ha effetto”.

Prendersi cura dell’ambiente, dice Francesco, non significa solo adottare un atteggiamento “verde”, è molto di più, significa un atteggiamento “di ecologia umana”. Papa Francesco, così come nell’Enciclica Laudato sì’, spiega che non si può separare l’uomo dal resto, che esistono ripercussioni sull’uomo quando l’ambiente viene maltrattato. “Non è un’enciclica verde” - ripete - “è una enciclica sociale”. Quando l’ambiente non viene curato, le città crescono a dismisura e con loro le sacche di povertà e di miseria che le abitano, anche a causa delle migrazioni dalle zone rurali che non offrono più opportunità.

Idolatria della tecnocrazia "deruba il lavoro"
Francesco denuncia ancora, così come nell’enciclica, “l’idolatria della tecnocrazia”, che "deruba il lavoro"; esprime la sua preoccupazione per le forti percentuali di disoccupazione dei giovani al di sotto dei 25 anni che in alcuni Paesi europei raggiunge il 40% se non addirittura il 50. Cosa resta a questa gioventù, commenta, se non le dipendenze, il suicidio o la ricerca di nuovi orizzonti come la guerriglia. Francesco parla delle malattie rare, provocate dai fertilizzanti, da un eccesso di tecnicizzazione, denuncia la desertificazione che colpisce i grandi polmoni verdi del mondo vittime della deforestazione, spiega il nesso con le migrazioni per la mancanza di lavoro e con il fenomeno della tratta delle persone, sempre più sottoposte al lavoro in nero, senza contratto, senza un guadagno sufficiente alla sopravvivenza, e di come tutto questo alimenti la delinquenza, nelle grandi città così come nelle piccole. "Non possiamo dire - afferma - che la persona sta qui e l'ambiente sta lì. L'ecologia è totale, è umana". Dunque, "il rispetto dell'ambiente è un atteggiamento sociale".

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Sindaci in Vaticano: contenere cambiamenti climatici è imperativo morale

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Oggi è la seconda e ultima giornata di lavori, in Vaticano, per i sindaci di tutto il mondo che insieme ai rappresentanti dell’Onu si confrontano su cambiamenti climatici e lotta alle schivitù moderne. Gli impegni comuni rimangono quelli siglati ieri, al termine dell'incontro col Papa, nella dichiarazione congiunta di intenti. In calce al documento si legge anche una speciale nota del Pontefice al fianco della propria firma: “Apprezzo questa dichiarazione”, scrive Francesco, ”desidero che faccia molto bene”. I contenuti del testo nel servizio di Gabriella Ceraso

I cambiamenti climatici indotti dall’uomo sono una realtà scientifica ed è imperativo morale per l’umanità il loro contenimento decisivo. Le città, in questo ambito morale fondamentale, svolgono un ruolo chiave. E’ questa la constatazione centrale ed unanime dei rappresentanti di diverse culture e società che firmano la dichiarazione. La certezza è anche che oggi ci sono conoscenze tecnologiche e mezzi finanziari necessari a invertire l’andamento del clima ponendo fine allo stesso tempo a situazioni di povertà estrema, attraverso soluzioni di sviluppo sostenibile tra cui l’adozione di sistemi a bassa emissione di anidride carbonica. Ma, si legge nella dichiarazione, occorrono più incentivi per le rinnovabili e uno sforzo maggiore per la pace che comporti la conversione delle spese militari a fini ambientali. Il vertice sul clima di Parigi a fine anno, avvertono i firmatari, potrebbe essere l’ultima possibilità per contenere il riscaldamento del pianeta al di sotto dei due gradi centigradi, con un accordo che metta in sicurezza tutti, specie i più poveri e vulnerabili. I leader dell’Onu sono chiamati a farlo: si passerebbe così ad un mondo alimentato da energie rinnovabili e con ecosistemi sostenibili. Trasformazione, si chiede nella dichiarazione, che dovrà essere inclusa negli Obiettivi di sviluppo globalmente condivisi. Dal canto loro i sindaci si impegnano nelle loro città all’emancipazione e alla protezione dei più poveri, a porre fine ad abusi e ad ogni forma di schiavitù moderna e a sviluppare programmi di reinsediamento per le vittime della tratta evitando per loro il rimpatrio forzato. Vogliamo, si legge in chiusura della dichiarazione, città inclusive, sicure, flessibili e sostenibili: tutti devono fare la loro parte, noi, ribadiscono sindaci e governatori locali, siamo pronti a fare la nostra.

Per tutti gli amministratori locali cittadini presenti al Simposio, l'incontro con il Papa è stata un'esperienza unica, come racconta al microfono di Anne Sophie Saint-Martin, il sindaco di Parigi Anne Hidalgo

"C’est une grande première. Le Vatican qui invites des maires du monde entier …
E’ una grande prima. Il Vaticano che invita i sindaci del mondo intero a venire a parlare, a lavorare, a partire dalle loro esperienze, su temi fondamentali. Tra l’altro, collegando tutti questi soggetti, perché il Papa nella sua Enciclica ha proposto questo concetto - al quale aderisco pienamente - di 'ecologia integrale': una conciliazione, al tempo stesso teorica e con precise conseguenze molto concrete, tra l’umanesimo e l’ecologia. Esprimere con questa forza e serietà questo impegno nell’Enciclica è molto confortante".

Sugli effetti drammatici che i cambiamenti climatici già stanno provocando in alcune parti del mondo, Linda Bordoni ha raccolto la testimonianza di Vincent N'Cho Kouaoh, deputato del governo di Abidjan, in Costa d'Avorio:

"Aujourd’hui vous avez un bouleversement total des intemperies …
Oggi c’è uno sconvolgimento totale con intemperie e inondazioni… Le fabbriche sono al 90 per cento nel territorio di Abidjan. Per le coltivazioni bisogna di continuo spostarsi, perché la desertificazione sta cancellando le nostre aree produttive".

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Card. Hummes: ecologia e povertà, questioni non separabili

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Presente all’incontro con i sindaci in Vaticano su schiavitù moderne e cambiamenti climatici, anche il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, che il Papa ha citato durante il suo intervento facendo riferimento alla deforestazione dell’Amazzonia, uno dei polmoni del Pianeta. Sull’importanza di questo evento ascoltiamo la riflessione del porporato al microfono di Bianca Fraccalvieri

R. - I sindaci sono delle figure molto centrali in questa questione, perché rappresentano il potere pubblico più vicino alla gente. Per questo motivo è così importante che si rendano conto dell’urgenza della questione. È urgente, già siamo in ritardo; avremmo dovuto aver cominciato molto tempo fa. Grazie a Dio questo Papa ha una sensibilità molto grande verso i poveri e anche verso il creato; ha saputo mostrare come queste due cose vanno insieme, mancanza di rispetto dell’ambiente e povertà; la questione sociale è anche una questione etica, non soltanto tecnica, secondo il Papa, e rappresenta la nostra responsabilità verso il futuro, verso il prossimo, verso i poveri. Perciò è stata un’idea molto buona chiamare i sindaci per questo simposio. Abbiamo visto come loro hanno capito come devono affrontare la questione dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la questione dei rifiuti e anche del consumismo esagerato che è una delle cause più grandi della devastazione del creato, del pianeta.

D. – Lei ha detto di essere ottimista dopo questo incontro. Perché?

R. -  Sono ottimista perché ho visto che i sindaci hanno capito che possono essere una forza che si unisce, non persone sole nelle loro città, no! I sindaci nel mondo possono unirsi per prendere in mano queste questioni urgenti. Allora, questa coscienza, questa voglia di fare, di cominciare è sentita come urgente! Questo è quello che ho percepito in loro. Speriamo che da questo incontro escano buoni frutti, che non sia semplicemente un simposio in più.

D. – Papa Francesco l’ha chiamata in causa parlando della deforestazione dell’Amazzonia. Continua ad essere questa la più grande sfida di quella regione?

R. – Sì, senz’altro, però la questione della povertà e del clima sono questioni più generali, riguardano il pianeta. Le città sono i punti più deboli, però la foresta prima di tutto ha come missione quella di essere il polmone del pianeta con tutta la ricchezza della biodiversità, delle culture dei popoli originari, indigeni, che sono lì e che rischiano di perdersi sempre di più. Già abbiamo perso troppo, troppo … Si rischia di perdere tutto il resto. Come dare di nuovo ai popoli indigeni la cognizione di essere “soggetti” della loro storia, non soltanto “oggetti” dei nostri progetti che riteniamo i migliori? Hanno distrutto tanto, e continuano a farlo. La questione dell’Amazzonia è fondamentale, decisiva. Per questo motivo il Papa torna sempre su questo punto. Quando è stato da noi in Brasile ci ha detto che l’Amazzonia è una sfida decisiva per la Chiesa e per la società.

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Nomina episcopale in India

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In India, Papa Francesco ha nominato vescovo Eparchiale di Satna dei Siro-Malabaresi padre Joseph Kodakallil, finora parroco della St. Vincent’s Cathedral. Nato il 18 dicembre 1965 a Upputhode (India), nell’Eparchia di Kothamangalam, è entrato nel seminario minore in Satna. Dopo gli studi filosofici al St. Albert’s College, Ranchi, e quelli teologici al St. Thomas Apostolic Seminary, Vadavathoor, è stato ordinato sacerdote il 31 dicembre 1991. Inviato a Roma per gli studi, ha conseguito il dottorato in liturgia al Pontifico Istituto Orientale. Parla molto bene l’indi, oltre all’inglese, all’italiano e al malayalam. Padre Kodakallil ha ricoperto diverse cariche: Parroco a Rewa e Vadavathoor, Rettore del St. Thomas Minor Seminary di Satna, professore e vice-rettore al St. Ephrem’s Theological College a Satna, e Protosincello dell’Eparchia. Attualmente, è Parroco della St. Vincent’s Cathedral.

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Santa Sede: sviluppo Onu post-2015 tuteli dignità delle persone

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Una visione d’insieme di ciò che serve per sradicare la povertà dal pianeta e non focalizzazioni di un aspetto piuttosto che un altro, dettate da interessi particolari. È un auspicio in favore della tutela della dignità umana quello che esprime la Santa Sede, alle Nazioni Unite di New York, dove in questi giorni si definiscono gli Obiettivi di sviluppo post-2015. Il servizio di Alessandro De Carolis

Che per l’Onu la “più grande sfida globale” dell’umanità di questa prima parte del 21.mo secolo sia la cancellazione della povertà è un’affermazione del tutto condivisibile per la Santa Sede. E il rappresentante vaticano al Palazzo di vetro di New York lo ha rimarcato durante il suo intervento ai negoziati che si occupano di delineare gli Obiettivi di sviluppo successivi al 2015. Tuttavia, scardinare la “tirannia” della miseria e ampliare l’orizzonte dello “sviluppo sostenibile” affinché “nessuno sia lasciato indietro” – cercando di dare risposta “alle esigenze di tutte le nazioni e le persone, in particolare dei poveri e dei più vulnerabili” – sono mete che pur alte vanno perseguite, secondo la Santa Sede, avendo chiari anche gli obiettivi etici che devono necessariamente accompagnare l’impresa.

L’attenzione della delegazione vaticana si appunta soprattutto sulle affermazioni contenute nel preambolo e nella dichiarazione dell’agenda post-2015. Entrambe, si afferma, “avrebbero potuto parlare più direttamente dell'importanza dell'integrazione e della indivisibilità delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale e ambientale. Ognuno di questi pilastri – si asserisce – non può di certo essere affrontato separatamente dall’altro. Ad esempio, la preferenza per la protezione dell'ambiente o per la crescita economica senza prima considerare la dignità della persona umana e il bene comune della società nel suo complesso sarebbe in contrasto con la natura stessa dell’agenda”. Del resto, si ricorda, Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si'”, lo ha detto chiaramente: le strategie “per una soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura”.

A questo scopo, si conclude, la Santa Sede incoraggia “la mobilitazione di risorse finanziarie e non finanziarie” attraverso tutti i canali – scienza, tecnologia, assistenza, innovazione – soprattutto in favore dei “Paesi meno sviluppati, quelli senza sbocco sul mare, le piccole isole in via di sviluppo, i Paesi in situazioni di conflitto e post-conflitto” e tutti quelli che “si trovano in situazioni particolari”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Ecologia totale: Francesco interviene all'incontro dei sindaci su cambiamenti climatici e schiavitù moderne.

Il testo prima di tutto: Martin West nel ricordo di Nicholas Richardson, il suo allievo più illustre.

I brevi papali scomparsi: Francisco Javier Frojan Madero su due documenti ecologici ante litteram per il Portogallo del Seicento.

Antoine Guggenheim sulla legge del nuovo umanesimo, tra cristianesimo e confucianesimo.

Il terrore non abbandona l'Iraq.

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Oggi in Primo Piano



Asia Bibi: pena capitale sospesa, caso verrà riesaminato

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Condanna a morte sospesa per Asia Bibi, la donna cristiana in carcere in Pakistan con l’accusa di blasfemia. Il caso, ha stabilito oggi la Corte Suprema del Paese, verrà riesaminato. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Era la notizia che aspettavano tutti ed è arrivata da Lahore, dove la Corte Suprema ha accettato il ricorso della donna cristiana accusata di blasfemia e per questo dal 2010 nel braccio della morte. Nel novembre scorso, i legali di Asia Bibi, che ha sempre rigettato le accuse, avevano presentato il ricorso dopo che il mese precedente l’Alta Corte di Lahore aveva confermato la pena capitale. Sono oltre 2.200 i giorni trascorsi in carcere da Asia Bibi, e non è chiaro se in attesa della sentenza definitiva, sarà liberata. Mobeen Shahid, docente di Storia e del pensiero islamico presso la Pontificia Università Lateranense e segretario dell’Associazione Pakistani cristiani in Italia:

R. – La decisione della Corte suprema del Pakistan è un segnale positivo per mettere l’appello in discussione e vedere se la persone è innocente. Ora, non posso essere totalmente positivo in quanto nella storia del Pakistan, nella storia dei casi relativi alla legge sulla blasfemia, non c’è mai stata una conferma già a livello di Alta corte. Per cui è stato il primo episodio. Visto che la sezione della Corte suprema che valuterà l’appello sta sempre a lavoro, ci sono eventuali rischi che i giudici presenti sul territorio di Lahore, mi auguro, possano oggettivamente valutare tutte le implicazioni che possono esserci a livello giuridico per valutare innocenza o colpevolezza di Asia Bibi. Mi fido del sistema giuridico del Paksitan e dell’onestà dei giudici: immagino anche la difficoltà davanti alla quale può trovarsi un giudice in Pakistan nel valutare questo tipo di caso. Ho paura dei rischi sia per il giudice, per Asia Bibi e per coloro che la difendono a Lahore. Però, penso che sarà riconosciuta la sua innocenza.

D. – Lei è in costante contatto con la famiglia di Asia Bibi. Sono più di 2.200 giorni che questa donna si trova in carcere con evidenti problemi di salute denunciati più volte. Che notizie le arrivano?

R. – Asia Bibi ora sta bene fisicamente. È impaurita, perché è una donna molto semplice che poi non pensava di essere accusata in questa maniera. Purtroppo, si sente anche il peso delle vite che sono state legate alla sua dinamica giuridica del caso, ma purtroppo la dinamica a livello sociale come fenomeno sociale che si presenta non è molto semplice in quanto i figli e il marito vivono in un luogo nascosto. Oggi, in Pakistan hanno difficoltà a seguire la propria educazione liberamente e non possono andare in qualsiasi scuola. D’altra parte, lei è per motivi di sicurezza è da sola nella sua cella. Il cibo che le viene fornito è controllato, lei è sorvegliata… Per cui, c’è una certa tensione. Il governo sta cercando di fare il possibile, ma i rischi non sono legati alla Costituzione o alla legge della blasfemia o alla mancanza di impegno da parte del governo. Il problema è molto più profondo in quanto c’è il fenomeno del fanatismo religioso portato alle estreme conseguenze nella società che è gestito da alcune persone coinvolte nelle autorità, nelle strutture legislative e altre.

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Libia: nessuna rivendicazione sui quattro italiani rapiti

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Cresce l’attesa e la tensione per la sorte dei quattro tecnici italiani – Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla – rapiti due giorni fa nei pressi di Mellitah, a 60 chilometri da Tripoli. Al momento non c’è stata nessuna rivendicazione, ma secondo una fonte d’"intelligence", i tecnici potrebbero essere stati sequestrati a scopo di estorsione ad opera di una delle tante bande di criminali comuni che imperversano nel paese. Intanto il governo libico di Tobruk ha annunciato di aver avviato delle indagini di ricerca, assicurando il massimo impegno per un veloce rilascio dei quattro uomini, che risultano come impiegati dell’Ente petrolifero nazionale libico. Marina Tomarro ha intervistato Luciano Ardesi esperto in Nord Africa: 

R. – In mancanza di una rivendicazione precisa, è difficile dire chi sono stati gli autori di questo rapimento e, come sappiamo, da tempo il quadro dalla Libia è molto confuso. La Libia è un Paese oggi diviso, politicamente e territorialmente. Ci sono molte bande di milizie che agiscono e ognuna ha una sua caratteristica, una sua identità, tanto è vero che è risultato difficile trovare un accordo, malgrado tutti gli sforzi delle Nazioni Unite. L’ipotesi che oggi viene accreditata è quella che i rapitori siano stati membri di una banda di trafficanti di esseri umani, che sono a loro volta intrecciati con le reti dei terroristi più marcati politicamente, quindi tutta la galassia Is, al Qaeda e i movimenti islamisti.

D. – Cresce il timore che i rapiti possano essere ceduti nelle mani dell’Is. Potrebbe succedere?

R. – E’ possibile che questo avvenga, ma questo avviene normalmente anche tra trafficanti, il che naturalmente complica poi le trattative, perché bisogna ogni volta risalire a nuovi gruppi, a nuovi interlocutori.

D. – Quanto l’islamismo in Libia è avanzato?

R. – L’islamismo è avanzato in maniera dirompente dopo la caduta di Gheddafi. Sappiamo, però, che non è riconducibile ad un unico movimento, ma appunto ad una galassia di movimenti, che si rifanno ad ideologie anche diverse. Dieci giorni fa in Marocco, a Skhirat, attraverso la mediazione dell’Onu, è stato raggiunto un accordo – l’ennesimo accordo – per ricomporre un governo e possibilmente uno Stato unitario. Ma in questo accordo è venuto meno proprio il governo di Tripoli, quello egemonizzato dai movimenti fondamentalisti, che non hanno accettato il compromesso.

D. – La comunità internazionale, secondo lei, in questo momento cosa potrebbe fare per questi uomini?

R. – Sicuramente, come in altri casi di questo genere, è necessario risalire alle fonti del rapimento, cercare di trovare degli interlocutori validi, credibili. Poi, naturalmente, c’è il problema di organizzare uno scenario stabile in questo Paese e questo sarà un lavoro certamente su tempi molto, molto lunghi.

D. – Il governo di Tobruk ha assicurato il suo appoggio e il massimo impegno per la liberazione dei quattro rapiti…

R. – In questo momento, il governo di Tobruk è impegnato anche contro la rete dei trafficanti di uomini. Si trova, quindi, in una situazione delicata. Sicuramente, le dichiarazioni sono state dettate anche dal desiderio di confermare la propria posizione a favore della stabilizzazione del Paese, della fine delle scorribande delle bande armate e anche della fine del traffico di migranti verso l’Europa. L’efficacia del governo sul territorio libico, sappiamo, è molto limitata e sicuramente il governo controlla solo alcune zone del Paese. Quindi, bisognerà vedere in quale zona si sono stabiliti i rapitori dei quattro italiani e dove si trovano adesso.

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Grecia: si vota sulla riforma della giustizia e delle banche

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Parlamento greco oggi al voto per approvare un nuovo pacchetto di riforme, necessarie per sbloccare i negoziati sul nuovo prestito da oltre 80 miliardi di euro e salvare il Paese dal default. Sul tavolo la riforma del Codice di procedura civile, per velocizzare i tempi della giustizia, e la ricezione della direttiva europea sul salvataggio delle banche. Su questo e i prossimi passi del governo Tsipras, Michele Raviart ha intervistato l’economista Francesco Carlà, analista finanziario e presidente di “FinanzaWorld”: 

R. – Una volta concluso il voto poi il governo si dovrà incontrare ad Atene con l’Fmi, la Banca centrale europea, la Commissione europea e adesso anche l’Esm, il meccanismo di stabilità europeo. E qui si parlerà del tema più grosso, cioè del vero e proprio piano di salvataggio, e qui dentro il tema chiave è il famoso fondo da 50 miliardi per le privatizzazioni. Un piano che mi pare chiaramente esagerato e irrealistico per le potenzialità dell’economia greca e degli asset pubblici greci. Mi sembra particolarmente esagerato per il periodo di crisi attuale, non solo greca, ma in generale di chi dovrebbe poi acquistare questi asset e per i tempi previsti per queste dismissioni. La Grecia certamente è diversa dall’Inghilterra dalla Thatcher che ebbe tempo modo e libertà di vendere bene le sue aziende. Da questo negoziato passa molta della possibilità, assieme al futuro taglio del debito eventuale, che questo sia il terzo e davvero ultimo salvataggio della Grecia.

D.  – Le riforme discusse oggi sono quelle del Codice di procedura civile e l’accoglimento della direttiva europea sulla risoluzione bancaria. In che cosa consiste questa direttiva e perché è considerata una priorità?

R. – E’ considerata una priorità perché uno dei punti deboli del sistema greco – uno dei tanti ma probabilmente uno dei più importanti – è la fragilità delle banche. L’abbiamo visto in azione durante questi giorni critici a cavallo del referendum, con le code al bancomat e la chiusura delle banche. Questa direttiva, che entrerà in vigore dal primo gennaio 2016, può aiutare molto a rendere le crisi bancarie meno sistemiche, meno complicate e più gestibili.

D. – Ancora bloccata la riforma sulle pensioni, i sindacati protestano… Qual è la situazione attuale e perché questo slittamento?

R. – Sicuramente, sono i punti politicamente più dolenti per Tsipras perché molta parte del consenso delle elezioni con cui lui è arrivato al governo proviene dai ceti agricoli e dai pensionati anticipati. E quindi si tratta di temi che creeranno non pochi problemi e per questo sono stati stralciati, per evitare che mettessero a rischio anche, invece, la riforma del Codice di procedura civile e la direttiva bancaria. Io credo che Tsipras proverà a rafforzarsi politicamente per poi affrontare questi temi che sono così caldi per il suo consenso. C’è ancora tempo per approvarli, perché devono essere approvati entro inizio agosto.

D. - Intanto, Standard & Poor’s ha alzato il rating della Grecia da CCC- a CCC+. C’è quindi fiducia da parte della comunità finanziaria sul percorso intrapreso da Atene?

R. - Per ora sì, ma naturalmente questo dipende da un paio di cose decisive. Una prima cosa è il ritmo e la scaletta delle riforme che verranno approvate e quindi le priorità che la Grecia deciderà di seguire. Secondo, i risultati finanziari ed economici effettivi delle riforme che verranno via via implementate, perché fare le riforme sulla carta ma poi non vederle agire concretamente sui numeri economici e finanziari della Grecia creerebbe di nuovo problemi. C’è anche da dire che i giudizi delle agenzie di rating sono preventivi e si basano non sempre, ma insomma spesso, sulle effettive probabilità. Anche se hanno tante volte dimostrato in passato di essere molto scadenti sul timing – basti pensare a Lehmann e la crisi dei subprime del 2008 – e di non essere sempre adeguati sul piano dei conflitti di interesse. In questo caso la fiducia è relativa, visto che la Grecia al momento non è ancora sul mercato dei bond e non ci tornerà, temo, ancora per un bel po’.

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Strasburgo su coppie gay. Mirabelli: sentenza ideologica

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Si infiamma il dibattito politico in Italia dopo la sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo, che accogliendo il ricorso di tre coppie omossessuali chiede a Roma di introdurre forme per tutelare le unioni gay, anche se non si parla di matrimonio. Per il costituzionalista Cesare Mirabelli si tratta di una sentenza inserita in una visione iper-individualista con una precisa volontà ideologica e politica. Cecilia Seppia:

La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna Roma a pagare un’ammenda di 44 mila euro a 3 coppie gay che non avevano ottenuto dal comune di residenza la possibilità di fare le pubblicazioni in vista di un possibile matrimonio e di più, impone all’Italia l’urgenza di introdurre forme per tutelare adeguatamente le unioni omossessuali, negando però il diritto alle nozze. L’articolo su cui si basa la sentenza della Corte è il numero 8 della Convenzione europea che  disciplina la tutela legale e il diritto del rispetto alla vita privata e familiare, e non il 12 e cioè il diritto di contrarre matrimonio. Tradotto: l’Italia non è costretta a far sposare coppie dello stesso sesso ma deve accelerare sul riconoscimento contemplando l’unione o persino una “partership” tra i due che intendono vivere insieme. Per le associazioni cattoliche è un altro attacco alla famiglia, un’altra sferzata al matrimonio tra uomo e donna e il consolidarsi di una logica strettamente individualista che in nome della salvaguardia dei diritti, impone nuovi "valori" che dividono, anzi disgregano il tessuto sociale e morale. In più, secondo il giurista Carlo Cardia, l’obiettivo di una parte politica ispirata alle cosiddette “teorie del gender” sembra essere un altro: assimilare - a volte esplicitamente, a volte con accorgimenti tecnico-giuridici o con escamotage lessicali - la convivenza gay al matrimonio, con l’inevitabile conseguenza di aprire la strada all’adozione di bimbi da parte di coppie omossessuali. Qui si aprirebbe però un’altra violazione, di diritti elementari, riconosciuti solennemente dalle Carte internazionali in materia di paternità e maternità. Sulla questione, la politica si spacca: Pd, Movimento 5 Stelle, Sel e Scelta Civica premono per regolamentare le unioni gay, Ncd e Fi frenano. La presidente della Camera Laura Boldrini chiede al Parlamento di non rinviare più, anzi di esprimersi chiaramente su un tema così centrale. Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi promette invece che la legge verrà approvata entro l’anno. 

Al microfono di Cecilia Seppia, il giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, traccia un quadro della sentenza: 

R. – La Corte di Strasburgo non fa riferimento all’art. 12 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo: l’art. 12 stabilisce che uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia. Perciò non è questo il diritto che viene affermato, ma fa invece riferimento all’art. 8 della Convenzione che sostiene il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Si può discutere della correttezza di questo richiamo, ma certamente vi è una differenza che la Corte Europea ammette tra il matrimonio e queste convivenze stabili.

D. - C’è chi sostiene che dietro questo omettere il termine matrimonio e quindi questa differenza che lei, appunto, citava tra l’art. 8 e l’art.12, in realtà ci sia la volontà di nascondere qualcosa: sembrerebbe un cavillo per tenere buoni i cattolici…

R. – In realtà bisogna stare attenti, perché non è sufficiente – diciamo così – evitare la parola “matrimonio” e ripeterne la disciplina sostanziale con – mi permetterei di dire – un’ipocrisia legislativa: si tratta di realtà diverse che vanno diversamente e appropriatamente disciplinare. E’ vero che l’art.8 è interpretato in maniera molto estensiva, perché ci dice che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza e quindi a non intrusioni nell’ambito della vita personale. Qui andiamo in realtà oltre le non intrusioni, ma dobbiamo anche prendere atto che il diritto alla riservatezza e il diritto alla privacy è stato utilizzato da molte corti in maniera non dico estensiva, ma del tutto ampliativa della portata di questo diritto. Basti pensare che la sentenza della corte americana che ha ammesso l’aborto, faceva riferimento al diritto al rispetto della vita privata e della privacy… Qui un richiamo all’attenzione di tutti: se i diritti fondamentali si ampliano a categorie molto nuove e si ancorano al sentire sociale e alla storicità del suo divenire, c’è il rischio di logorarli e di togliere quello che è lo stesso fondamento della loro intangibilità.

D. – Infatti sembrerebbe ci sia una nuova sferzata, in qualche modo, ai valori e di più al tessuto familiare che – diciamo così – di valori ne contiene tanti…

R. – Si inserisce in una visione – direi – iper-individualista, con l’affermazione - con tutte le conseguenze - della volontà personale come sostituivo di una realtà ontologica.

D. – Secondo lei, questa sentenza che scenari apre in Italia? Ricordiamo che il ministro Boschi ha detto che il primo sì del Senato al ddl in materia di unioni civili arriverà per settembre: quindi l’Italia, in qualche modo, si sta muovendo in questa direzione…

R. – E sembra possibile, anzi è evidente, che viene fatto e può esser fatto un uso politico di questa sentenza. Per quanto riguarda l’Italia è in discussione al Senato un disegno di legge, una discussione abbastanza vivace… Ci sono delle criticità: attenzione a non farsi prendere la mano e cioè a non ritenere dovuto quello che dovuto non è! Si tratta di regolare in maniera appropriata e rispettosa – rispettosa di tutti! – e di disciplinare rapporti che nascono in questo ambito di convivenza, rapporti personali e patrimoniali, appunto…

D. – C’è chi ha detto che la motivazione giuridica alla base di questa sentenza è, in qualche modo, debole; mentre c’è una volontà politica forte che è al servizio di una agenda specifica, che stravolge un po’ i diritti umani originari…

R. – Questa volontà è politica, ideologica e sociale. Se vediamo i mezzi di comunicazione mi pare siano largamente orientati non solo al sostegno, ma anche alla promozione di questa tendenza individualista. Ripeto: la tutela di diritti personali e di rapporti che nascono nell’ambito di una convivenza solidaristica rientra - questo obiettivo - in una legittima previsione legislativa. L’assimilare questo al matrimonio, soprattutto quando coinvolge il diritto di terzi – penso alla filiazione, che è impossibile nell’ambito di una convivenza omosessuale – non mi sembra possa essere imitata da forme inappropriate di adozione, di affiliazione o di torsioni di altri istituti.

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Nelle carceri italiane 34 "bambini detenuti"

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“Entro il 2015 arrivare a zero bambini detenuti. È necessario superare questa vergogna”. Questa la promessa del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, durante la conferenza stampa dal titolo “L’innocenza assoluta, la questione dei bambini in carcere”, svoltasi nel carcere Rebibbia di Roma. Grazia Serra, ha intervistato Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato: 

R. – E’ un annuncio importantissimo, perché risolve – ci auguriamo che risolva, quindi contiamo sulla parola data dal ministro, come un giuramento d’onore – un problema in apparenza piccolo, perché riguarda 40-50 bambini in tutta Italia, ma che costituisce un affronto intollerabile alla civiltà giuridica del nostro Paese.

D. – Al momento, in carcere ci sono 34 bambini, che lei ha definito “bambini detenuti”. E’ una vergogna, si diceva oggi…

R. – Sì, perché sono gli innocenti assoluti. In carcere quasi tutti rivendicano la propria innocenza, non magari al reato di cui sono imputati, ma rispetto a un’idea di sé, come di non colpevole. Ma se questo è vero, sotto il profilo filosofico, poi ci sono quelli che davvero sono gli innocenti assoluti: i bambini detenuti solo ed esclusivamente perché “figli di”. Questo non è tollerabile.

D. – Un importante annuncio è stata la realizzazione a breve della prima casa protetta…

R. – L’impegno a realizzare a breve la prima casa protetta a Roma, dove sia garantita la sicurezza dei cittadini e, dunque, sia anche sorvegliata la condizione delle responsabili di reato, ma allo stesso tempo nulla che richiami il clima, l’ambiente, il sistema penitenziario che ha compromesso tutti quei bambini che hanno passato gli anni dell’infanzia in una cella chiusa.  

D. – Vuole aggiungere un commento sui due suicidi che ci sono stati negli ultimi giorni a Roma? Perché lei spesso ha detto che il carcere produce morte…

R. – Sì, io penso che il carcere produca malattia, psicosi, depressione, autolesionismo e suicidi. Posso semplicemente confermarlo con dei dati: 868 detenuti che si sono suicidati negli ultimi quindici anni e – attenzione – oltre 100 agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita in 10 anni. Quindi, non è l’essere privato della libertà che produce il suicidio – è anche questo – ma il fatto di vivere in quell’ambiente patogeno, cioè che produce malattia e morte.

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Migliaia i visitatori al Padiglione della Santa Sede all'Expo

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Ultimi giorni per vedere il famoso quadro dell’“Ultima cena” del Tintoretto al Padiglione della Santa Sede all’Expo di Milano. Dal 29 luglio prossimo, sarà sostituito da un altro capolavoro: l’arazzo con “L’istituzione dell’Eucarestia” di Rubens. “Non di solo pane”, il tema del percorso espositivo vaticano in cui immagini fotografiche e brevi film presentano i volti e i luoghi dove si soffre per la fame, la sete, o a causa dei conflitti, ma anche i tanti progetti di solidarietà in corso. Un Tavolo interattivo, attraverso linguaggi diversi, focalizza il valore simbolico del tavolo stesso nella nostra vita quotidiana. Ascoltiamo al microfono di Adriana Masotti, Davide Lotti, coordinatore del Padiglione della Santa Sede: 

R. – Come Padiglione Santa Sede, abbiamo dall’inizio deciso di partecipare proprio per portare un messaggio che è quello della mancanza di cibo in determinate aree del globo e non solo ma anche nel nostro Paese: famiglie in grande difficoltà, rifugiati… Abbiamo tutta una parte del padiglione che parla proprio di queste problematiche, compresi i conflitti tra l’uomo e la terra, il fattore ecologico. Inoltre, volevamo far vedere alcuni dei progetti che la Santa Sede, ma anche organismi legati alla Chiesa in generale stanno portando avanti in varie parti del mondo. Quindi abbiamo filmati che riguardano questa cosa.

D. – Cosa fa decidere una persona ad entrare in questo Padiglione?

R. – Ci sono visitatori che entrano perché c’è il Tintoretto. Poi, ce ne sono tantissimi che entrano per il messaggio. La Santa Sede richiama proprio in termini di: “chissà che messaggio ci daranno in un Expo che parla appunto di altre cose”. Noi generalmente li facciamo anche guidare proprio da una delle nostre guide, quindi capiscono il percorso e rimangono anche, non dico stupiti, ma comunque emozionati.

D. – Su una prima parete a sinistra ci sono immagini fotografiche con questo messaggio: i volti della fame, la disuguaglianza, la sete... poi c'è il Tintoretto che abbiamo nominato… E poi sull’altra parete ci sono dei filmati?

R. – Sono veri e propri film che durano circa tre minuti l’uno. Ne passano tre in sequenza, che richiamano alcune situazioni in Iraq, in Burkina Faso e in Ecuador. Sono film girati con personaggi veri, dove si vede un po’ della loro vita con le difficoltà che trovano - la mancanza di acqua, di pane - e come vengono aiutati dalla Chiesa o comunque da organismi legati al mondo ecclesiastico. E’ molto interessante sedersi e guardare tre minuti, anche guardarne uno solo lascia qualcosa di emozionante dentro.

D.  –  Al centro c’è un tavolo molto lungo in continuo cambiamento…

R. – Il Tintoretto rappresenta l’Ultima Cena, il primo tavolo della cristianità: l’Eucaristia, la condivisione del pane, del vino. A questo dà una continuità il tavolo di 11 metri, che è sottodiviso in 28 tavoli più piccoli, ognuno dei quali richiama un tavolo della nostra vita quotidiana. E siccome “Non di solo pane”, il tavolo non parla solamente della massaia che fa il pane, ma c’è anche il tavolo della legge, c’è il tavolo della cultura, della biblioteca, c’è il tavolo dei bambini che giocano, c’è l’altare… Per richiamare tutte quelle altre dimensioni di cui l’uomo necessita per poter vivere, dalla cultura alla spiritualità.

Stefania Vacchelli è una delle guide che accompagnano i visitatori all’interno del Padiglione e i commenti di alcuni di loro: 

R. – In questo padiglione, entra veramente un sacco di gente, tantissima umanità, sono tutti molto curiosi di vedere cosa la Chiesa, cosa la Santa Sede propone. E anche magari per cercare una visione diversa di questo Expo. Ti dicono: meno male che ci siete voi che fate vedere un altro lato di Expo. E’ comunque il bisogno dell’essere umano che va oltre il cibo. Magari, alcuni entrano e contestano. Però, la maggior parte esce che ha qualcosa in più. E’ capitata questa signora che contestava un po’ il fatto della fame nel mondo, che, sì, c’è sempre la fame nel mondo, però noi cosa dobbiamo farci… Io ho detto: “Signora, guardi che è una cosa che la Chiesa cattolica cerca di combattere”.

D.  – Oggi vedo che c’è parecchia animazione, è così tutti i giorni?

R.  – La media è sugli ottomila al giorno.

D. - Come mai siete entrati in questo padiglione e che impressione avete avuto?

R. – Siamo entrati per curiosità.

R. – Siamo entrati in questo padiglione per vedere come anche la Santa Sede sia interessata all’energia, alla vita, attraverso quale comunicazione. Abbiamo visto questa grossa tavola imbandita con delle funzioni ordinarie di preparazione del cibo. Mi viene in mente la condivisione che Gesù ha fatto con l’essenziale nella moltiplicazione dei pani… 

R. – Sapevo che c’era il Tintoretto, quindi sicuramente è un gradito omaggio alle persone che verranno qui. E poi intanto vedere quello che la Santa Sede fa nel mondo, cosa che non tutti conoscono.

R. – Il tema era interessante: “Non di solo pane”. E’ una cosa che io penso quotidianamente e io volevo vedere com’era rappresentato. Il percorso è un po’ minimalista… Forse avrebbe potuto essere più ricco, ma potrebbe anche stata una scelta, quella di una voluta povertà.

R. – Il nostro parroco ce ne ha parlato in questi giorni, se andavamo all’Expo di vedere questo padiglione…

D. – Cosa ti sembra di aver capito?

R. – Che il cibo è un diritto per tutti.

R. – Ognuno dovrebbe vedere quelle foto e dovrebbe pensare a fare qualcosa per questo mondo. Speriamo anche in questo Expo, perché si fanno tante parole, ma purtroppo c’è ancora la gente che muore di fame.

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Nella Chiesa e nel mondo



Indonesia: massima allerta per possibili attacchi alle chiese

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Le autorità indonesiane hanno diramato la massima allerta per possibili, nuovi attacchi alle chiese in tutto il Paese. Il provvedimento - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato deciso dopo i roghi appiccati a due luoghi di culto cristiani dello Java centrale nei giorni scorsi, in risposta all’incendio che ha distrutto una piccola moschea a Papua durante le feste di fine Ramadan. La conferma arriva dal ministro per gli Affari legali, politici e della sicurezza Tedjo Edhy Purdijatno, che ha emanato in prima persona il provvedimento a polizia e militari chiamati a presidiare gli edifici. Al centro dell’attenzione le chiese del governatorato di Jakarta e di tutto lo Java centrale. 

Creato un team di indagine indipendente
“Il presidente Joko Widodo - afferma oggi in una nota Purdijatno - ha inviato il suo messaggio a polizia, militari e agenzie di intelligence, perché prestino la massima attenzione nell’assicurare la protezione di chiese e di edifici di vitale importanza”. Il ministro indonesiano si rivolge inoltre alla popolazione, invitandola a non cedere a gesti o frasi provocatorie da parte di fedeli di altre religioni; e annuncia anche la creazione di un team di indagine indipendente presso la Commissione nazionale sui diritti umani, per far luce sulla vicenda. 

Incendi dolosi in due chiese e manifestazioni anti-cristiane
All’origine delle violenze di questi giorni il rogo di una piccola moschea a Tolikara, distretto della provincia orientale di Papua, durante le feste di Eid al Fitr che segnano la fine del mese sacro di digiuno e preghiera dei musulmani. Nei giorni successivi sono state date alle fiamme due chiese protestanti nello Java centrale e si sono registrate diverse manifestazioni anti-cristiane a Surakarta e in altre zone della provincia. Il timore è che si possano moltiplicare gli episodi di violenza e persecuzione contro la minoranza religiosa, alimentati dalle voci sui fatti di Tolikara. Media e articoli postati sui social network insistono infatti sull’incendio alla moschea, trascurando del tutto la morte di un 15enne cristiano e il ferimento di altre persone in seguito ai colpi sparati dalla polizia. Le autorità hanno inviato alti funzionari governativi nel distretto di Tolikara, per riportare la calma e ripristinare la sicurezza. Ieri i vertici di polizia ed esercito hanno incontrato decine di ulema e leader religiosi musulmani, chiedendo la loro collaborazione per restituire un clima di serenità alla zona e una convivenza pacifica fra musulmani e cristiani. 

In aumento episodi di intolleranza contro le minoranze religiose
​L'Indonesia, nazione musulmana (sunnita) più popolosa al mondo, è sempre più spesso teatro di attacchi o episodi di intolleranza contro le minoranze, siano essi cristiani, musulmani ahmadi o di altre fedi. Inoltre, alcune norme come il permesso di costruzione vengono sfruttate per impedire l'edificazione o mettere i sigilli a luoghi di culto, come è avvenuto nel West Java contro la Yasmin Church. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia le minoranze sono vittime di episodi di violenze e persecuzioni a sfondo confessionale. (M.H.)

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Rapporto Acs: bambini del Congo addestrati alla Jihad

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Oltre 1500 bambini tra i nove ed i quindici anni addestrati al jihad in alcuni campi della Repubblica Democratica del Congo. È quanto rivela un rapporto inviato nei giorni scorsi ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs).

A Ruwenzori tre Centri di formazione jihadista
Alcune fonti vicine alla fondazione pontificia – che per ragioni di sicurezza preferiscono mantenere l’anonimato - sostengono che nel Paese africano molti ragazzi siano attratti con l’inganno in campi di addestramento per poi essere formati da ultra-fondamentalisti islamici. Nell’est del Paese, vicino alle montagne del Ruwenzori, vi sarebbero almeno tre Centri di formazione jihadista, mascherati da campi di addestramento militare. Assieme ai giovani anche alcune ragazze detenute per poi essere date in mogli agli estremisti. Una volta sposate, i jihadisti le tratteranno come schiave sessuali.

Ragazzi presi dalla strada con la promessa di un’alternativa alla povertà
«Le prove che ci sono state fornite non lasciano alcun dubbio sulla natura di questi Centri», afferma Maria Lozano, vice direttore internazionale della comunicazione di Acs. Tra i documenti inviati ad Acs anche numerose fotografie che mostrano bambini e adolescenti in uniforme, costretti ad addestrarsi da uomini armati. «Siamo molto preoccupati per la sorte di questi ragazzi – continua Lozano – che sono stati sottratti alla strada con la promessa di un’alternativa alla povertà. Molti di loro sono orfani mentre altri sono stati affidati ai fondamentalisti dalle famiglie, convinte che i propri figli avrebbero ricevuto un’istruzione in Europa, Medio Oriente o Canada».

Espansione dell'islam e delle moschee
L’azione dei fondamentalisti spiegherebbe l’aumento della comunità islamica nella Repubblica Democratica del Congo, passata dall’1 al 10% della popolazione nel corso degli ultimi anni. Anche il numero dei luoghi di preghiera islamici è cresciuto notevolmente. Nella regione di Medina, ad esempio, 28 delle 44 moschee presenti sono sorte in tempi recenti -  tra il 2005 ed il 2012 - e in aree di modestissima presenza musulmana.

Vescovi preoccupati per l'ascesa del fondamentalismo islamico
Nel maggio scorso, i vescovi della provincia ecclesiastica di Bukavu hanno inviato una lettera aperta al Presidente Joseph Kabila per denunciare l’ascesa del fondamentalismo islamico in una regione finora a maggioranza cristiana. «Ma le loro parole - nota Maria Lozano – sono rimaste inascoltate». (M.P.)

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Iraq: protesta per ritiro dei militari dalle zone cristiane

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La disposizione del governo centrale iracheno di trasferire a Baghdad 4mila militari e poliziotti in precedenza operanti nelle provincie nord-irachene – compresa la provincia di Ninive – sta provocando vivaci reazioni da parte di organizzazioni e politici cristiani. Tale disposizione, a giudizio di chi la contesta, rivela l'ambiguità e la confusione dei dirigenti politici e militari nazionali riguardo alla tante volte annunciata “offensiva” per liberare Mosul, la piana di Ninive e le aree irachene cadute da più di un anno sotto il dominio dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh).

I militari cristiani intendono liberare città e villaggi conquistati dall'Is
In particolare, i poliziotti e i militari cristiani che erano di stanza nella piana di Ninive – e attualmente sono in buona parte dislocati a Erbil e in altre aree del Kurdistan iracheno – non intendono trasferirsi nella Capitale, proprio perchè hanno intenzione di partecipare in prima linea alla eventuale prossima liberazione dei villaggi dai quali sono dovuti fuggire davanti all'offensiva del Daesh. Anwar Hidayat, membro del Consiglio provinciale di Ninive – riferiscono i media iracheni – ha invitato il governo centrale e il Ministero degli Interni iracheno a riconsiderare la propria decisione, per evitare che i poliziotti e ai militari cristiani siano esclusi dalle annunciate operazioni per la riconquista e la tutela dell'ordine pubblico nella Piana di Ninive, per essere magari coinvolti in campagne militari in altre regioni irachene, che non conoscono. Analoghi argomenti erano già stati usati nei giorni scorsi dal politico cristiano Imad Youkhana, membro del parlamento di Baghdad.

I militari chiamati a contrastare la spartizione che incombe sull'Iraq
​Alle obiezioni di chi considera incongruo il trasferimento dei militari cristiani della Piana di Ninive a Baghdad, ha risposto Ryan al-Keldani, esponente delle cosiddette “Brigate di Babilonia”, secondo il quale il trasferimento a Baghdad è necessario proprio per permettere anche a quasi 350 poliziotti e ai soldati cristiani della Piana di Ninive di partecipare a corsi di addestramento. Inoltre – ha aggiunto al Keldani – i soldati cristiani iracheni possono essere chiamati a difendere il loro Paese in ogni area, e non solo nelle regioni da loro abitate, se davvero vogliono contribuire alla difesa di una nazione plurale, multietnica e multi-religiosa, e contrastare la divisione su base settaria che incombe minacciosamente sul Paese. (G.V.)

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Vescovi Usa: 5 milioni di dollari per Europa centro-orientale

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È pari a 5,2 milioni di dollari lo stanziamento approvato dai vescovi degli Stati Uniti per le Chiese cattoliche dell’Europa centrale ed orientale. Gli aiuti, stabiliti dall’apposito Sottocomitato della Conferenza episcopale statunitense, serviranno a finanziare 177 progetti di tipo pastorale, educativo e di ricostruzione.

Assistenza e formazione: parole d’ordine per l’aiuto in Europa dell’Est
Tali progetti saranno suddivisi in borse di studio, ricostruzione d’infrastrutture religiose e civili, programmi per i più giovani e aiuti ai bisognosi, nel raggio di 23 Stati. Una parte dei finanziamenti, inoltre, contribuirà a mantenere e migliorare progetti già esistenti, come ad esempio quello della Caritas georgiana che a Tbilisi, capitale della Georgia, ha istituito una mensa in cui viene offerto cibo a famiglie, bambini e persone affette da handicap. Un altro esempio riguarda la diocesi di Astana, in Kazakistan, dove le Suore Francescane dell’Immacolata, dal 2006, aiutano i bisognosi fornendo cibo, vestiti e medicine.

Istituite 68 borse di studio
Oltre a questi 177 progetti, il Sottocomitato episcopale ha deciso di istituire 68 borse di studio, del valore totale di 520mila dollari, per studenti provenienti dall’Europa centrale ed orientale. L’obiettivo è quello di garantire il completamento degli studi, prevalentemente a livello di dottorato, per religiosi e laici. Dopo il diploma, queste persone faranno ritorno nelle loro comunità di origine per aiutare le parrocchie locali dal punto di vista pastorale.

Mons. Cupich: “I cattolici dell’Est hanno bisogno di noi”
“Dopo il periodo sovietico, in Europa Centrale e Orientale è avvenuto un lento e faticoso processo di ricostruzione - ha detto mons. Blase Cupich, arcivescovo di Chicago e presidente del Sottocomitato - I cattolici in quest’area hanno molto bisogno del nostro aiuto. La chiesa sta facendo molto per sostenere non solo la ricostruzione di chiese e infrastrutture, ma anche per la vita di queste persone, dal punto di vista fisico e spirituale”.

Una situazione ancora non risolta
​La situazione della Chiesa Cattolica nei Paesi che erano ad est della così detta “Cortina di ferro” è stata, negli ultimi decenni, caratterizzato da un processo di ricostruzione non solo concreto (edifici, infrastrutture…), ma anche di recupero dell’identità delle comunità religiose, disintegrate sotto il comunismo. Proprio per coadiuvare  questo processo, la Conferenza episcopale statunitense ha istituito il Sottocomitato per l’aiuto della Chiesa dell’Europa Centrale e Orientale. (A.D.)

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Paraguay: governo chiede aiuto alla Chiesa per lotta alla povertà

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L'arcivescovo di Asunción, mons. Edmundo Valenzuela, ha confermato che la Conferenza episcopale paraguayana (Cep) riceverà da parte del Governo la proposta di collaborare a un piano di lotta alla povertà estrema. Il prelato - riferisce l'agenzia Misna - ha affermato che la recente esperienza del lavoro congiunto tra Stato e Chiesa per la visita di Papa Francesco ha dimostrato che “è possibile affrontare insieme nuove sfide”.

Sono 23mila le famiglie indigenti
"Si parla di 23.000 famiglie in stato di massima povertà”, ha continuato mons. Valenzuela, “e c'è un progetto dello Stato per aiutare queste persone dando loro i mezzi necessari per sollevarsi da questa situazione. Il Governo chiede alla Chiesa persone (volontari, catechisti, sacerdoti) che possano collaborare in questo attraverso la Pastorale sociale”. Domenica, la Cep realizzerà inoltre una riunione straordinaria per studiare l'applicazione dei messaggi del Santo Padre durante la sua visita del 10, 11 e 12 luglio scorsi. (S.M.)

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Nigeria: appello mons. Kaigama per costruzione del bene comune

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Un appello alla conversione dei cuori ed all’assunzione delle proprie responsabilità di cittadini della Nigeria: questo il fulcro dell’omelia pronunciata, nei giorni scorsi, dal mons. Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale nigeriana (Cbcn), nel corso di una Messa con ordinazione sacerdotali presieduta a Jos. In particolare, il presule ha esortato i fedeli a non aspettare che il governo risolva tutti  i problemi del Paese, ma ad impegnarsi in prima persona per il bene comune.

Il vero cambiamento parte dalla conversione del cuore
“Molti nigeriani – ha spiegato mons. Kaigama – spesso dimenticano le proprie responsabilità personali e danno la colpa al governo per ogni cosa”, ma non è possibile una “trasformazione istantanea o magica del Paese” senza che “le persone di buona volontà facciano sacrifici, a livello personale, e collaborino con lo Stato” in vista dello sviluppo della nazione. “Credo – ha aggiunto il presule – che la parola ‘cambiamento’ nel vocabolario nigeriano oggi si riferisca non solo alla trasformazione economica, ma anche alla conversione del cuore, ad un nuovo modo di pensare e di agire, mettendo a frutto i talenti di ciascuno in nome del bene comune, rispettando la vita e la proprietà di ogni nigeriano, comportandosi da cittadini disciplinati, usando le risorse nazionali in modo equo ed a favore di tutti”.

Tutti collaborino alla costruzione del bene comune
Prendendo spunto, poi, dal passo biblico in cui Mosè viene aiutato da settanta anziani di Israele (Numeri 11), l’arcivescovo nigeriano ha ribadito che “affinché il governo o la Chiesa abbiano successo, i responsabili devono essere aiutati e supportati” da tutti: nel caso della Chiesa, in particolare, “che si tratti di evangelizzazione o della costruzione di una nuova Cattedrale, tutti devono collaborare ed essere coinvolti, in modo appassionato, nel progetto”.

Prendersi cura del Creato e tutelare l’ambiente
Infine, il presidente della Cbcn ha citato l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, ribadendo “la necessità di prendersi cura del Creato e proteggere l’ambiente, poiché l’amore non riguarda solo le persone, ma anche la natura”. (I.P.)

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Polonia: a Czestochowa Forum europeo dei giovani 2015

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Dal 26 al 31 luglio giovani provenienti da tutto il continente si incontreranno a Czestochowa nell’ambito del Forum europeo giovani 2015. Il titolo della manifestazione “Vedere Lui” rievoca quello della scorsa Gmg celebrata a livello diocesano a fine marzo “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). L’arcidiocesi di Czestochowa, che per il terzo anno consecutivo insieme alla Comunità Emmanuele organizza l’evento, ha in programma, oltre alla partecipazione dei giovani a eventi a carattere prettamente religioso, anche dei workshop e degli incontri, fra gli altri con il sociologo ed ex segretario generale della Comece, mons. Piotr Mazurkiewicz, l’esperto di antropologia mariologica Wincenty Laszewski e Anna Golendzinowska, ex fotomodella che, dopo un difficile percorso, ha abbracciato la fede cattolica. 

Incontri di preghiera per giovani e coppie della Comunità Emmanuele
Il primo Forum internazionale dei giovani si è svolto nel 1991 nella cittadina bavarese di Altoetting come tappa preparativa alla Gmg di Czestochowa prevista per l’anno successivo. I membri della Comunità Emmanuele, fondata in Francia nel 1976 e presente in Polonia dal 1993, organizzano incontri di preghiera, esercizi spirituali per i giovani e per le coppie, nonché missioni parrocchiali sia a carattere nazionale sia su scala globale. (R.P.)

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Caraibi: documento dei vescovi sulle violenze domestiche

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Tra il 20 ed il 50%: tante sono, secondo stime peraltro molto approssimative, le donne nel mondo che subiscono violenze domestiche. Un fenomeno diffuso, sia pure in diversa misura, in tutti i Paesi e che attraversa tutte le culture, etnie, classi sociali e fasce di età. Tra i Paesi più colpiti quelli dei Caraibi dove, soprattutto in questi ultimi anni, ha raggiunto livelli allarmanti. E’ quanto denuncia un documento pastorale preparato dalla Conferenza episcopale delle Antille (Aec) in vista del prossimo Sinodo sulla famiglia, che chiama all’azione per contrastare questa piaga sociale, da tempo all’attenzione della Chiesa della regione.

Rompere il muro del silenzio sulle violenze domestiche
Dopo avere premesso che la violenza domestica è un “peccato contro la dignità umana” donata da Dio a ogni persona e che essa rappresenta un grave vulnus alla famiglia, il documento  evidenzia come i fattori all’origine questo fenomeno siano molteplici e che non esistono soluzioni facili. Tra le sue cause principali viene indicata la diffusa cultura maschilista nelle società caraibiche. Ma i presuli denunciano anche la mancanza di risposte adeguate da parte delle istituzioni che ha contribuito ad aggravare il problema. Il primo passo per affrontarlo – si sottolinea - è di porre fine al “silenzio” che rende “più vulnerabili le vittime” e conferma l’idea che le violenze domestiche siano di fatto normali e dunque “accettabili”. Questo chiama in causa le responsabilità dello Stato che dovrebbe proteggere chi le subisce, ma anche la Chiesa e la comunità di fedeli che, insieme a tutte le persone di buona volontà, possono rompere questo muro del silenzio e iniziare il cammino verso la soluzione del problema nella regione.

Le cinque raccomandazioni dei vescovi
Cinque quindi le raccomandazioni proposte. La prima  rivolta ai pastori e agli operatori pastorali è di informarsi: la disinformazione, o l’incapacità nel riconoscere i segni di violenza – sottolineano i presuli - aumentano i rischi per le vittime. La seconda raccomandazione è di combattere appunto il silenzio, parlando apertamente ai fedeli del problema, ascoltando le vittime e facendo loro sentire il sostegno della Chiesa. I vescovi dei Caraibi esortano poi a non scoraggiare le donne che decidono di separarsi da un marito violento per salvare la propria incolumità: una vera riconciliazione è possibile solo a condizione che quest’ultimo assuma pienamente le sue responsabilità e dimostri la sua sincera volontà di cambiare. Il documento raccomanda poi il massimo sostegno spirituale alle donne e ai bambini vittime di violenze domestiche che – sottolineano con forza - sono contrarie al Vangelo.

Prevenire le violenze con l’educazione
Secondo i presuli, infine, è fondamentale la prevenzione: le strutture ecclesiali devono sensibilizzare i fedeli sugli effetti distruttivi delle violenze domestiche; premere per l’introduzione e l’applicazione di leggi che proteggano le famiglie contro queste violenze; promuovere programmi per cambiare la mentalità diffusa che porta ad accettarle come una cosa normale e informare sui servizi disponibili nelle comunità parrocchiali per le vittime. Prevenire – conclude il documento – significa inoltre educare alla non violenza in famiglia già a scuola, ma soprattutto nei corsi di preparazione al matrimonio. (A.D.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 203

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.