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Sommario del 02/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: l’America si radichi sempre più nel Vangelo

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“Un impetuoso vento di santità percorra il prossimo Giubileo straordinario della Misericordia in tutte le Americhe”. E’ l’auspicio espresso da Papa Francesco durante la Santa Messa, presieduta presso il Pontificio Collegio Americano del Nord, in occasione della giornata di riflessione incentrata sulla figura di Fra Junípero Serra, missionario originario di Maiorca che nel 18.mo secolo ha annunciato il Vangelo in Messico e in California. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Slancio missionario
La vita e l’esempio di Fra Junípero, il missionario spagnolo che sarà canonizzato dal Papa il prossimo 23 settembre a Washington durante il viaggio apostolico negli Stati Uniti, sono contraddistinti da slancio missionario, devozione mariana e testimonianza di santità. La passione di annunciare il Vangelo – ha affermato il Papa – lo portò ad abbandonare patria, famiglia, cattedra universitaria e la sua comunità francescana: “Mi domando se oggi siamo capaci di rispondere con la stessa generosità e con il medesimo coraggio alla chiamata di Dio, che ci invita a lasciare tutto per adorarlo, per seguirlo, per ritrovarlo nel volto dei poveri, per annunciarlo a coloro che non hanno conosciuto Cristo e, perciò, non si sono sentiti abbracciati dalla sua misericordia”.

Devozione mariana
La testimonianza del missionario spagnolo - ha aggiunto il Santo Padre - ci richiama a lasciarci coinvolgere, in prima persona, nella missione continentale in America. Fra Junípero – ha ricordato Papa Francesco - affidò il suo impegno missionario alla Santissima Vergine Maria e l’immagine di Nostra Signora di Guadalupe era presente nelle missioni che fondò lungo la costa della California: “Da allora, Nostra Signora di Guadalupe diventò, di fatto, la Patrona di tutto il continente americano. Non è possibile separarla dal cuore del popolo americano. Ella infatti costituisce la radice comune di questo continente”.

Testimonianza di santità
La testimonianza di santità – ha osservato il Papa – è un altro aspetto che ha segnato la vita di Fra Junípero: “Contempliamo la testimonianza di santità di Fra Junípero – uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, santo della cattolicità e speciale protettore degli ispanici del Paese – perché tutto il popolo americano riscopra la propria dignità, consolidando sempre più la propria appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa”.

L'America si radichi sempre più nel Vangelo
La vita del continente americano – ha auspicato il Pontefice – “si radichi sempre più nel Vangelo”; Cristo – ha detto - sia sempre più presente “nella vita delle persone, delle famiglie, dei popoli e delle nazioni”: “E che questa gloria si manifesti nella cultura della vita, nella fratellanza, nella solidarietà, nella pace e nella giustizia, con fattivo amore preferenziale per i più poveri, attraverso la testimonianza dei cristiani delle diverse comunità e confessioni, dei credenti di altre tradizioni religiose e degli uomini di retta coscienza e di buona volontà”. Il Papa ha infine pregato affinché Nostra Signore a Guadalupe, Fra Junípero e gli altri santi americani lo guidino nei prossimi viaggi apostolici in Sud America e nel Nord America.

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Il Papa ai fedeli di Isernia: i problemi si superano con la solidarietà

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Dopo la visita pastorale compiuta da Papa Francesco nella loro diocesi lo scorso 5 luglio, i fedeli di Isernia-Venafro hanno organizzato per la giornata di oggi un grande pellegrinaggio a Roma: stamattina, alle 11, l’udienza dal Papa che li ha ricevuti nell’Aula Paolo VI e li ha incoraggiati a guardare senza paura e con speranza al futuro. Circa 7 mila le persone presenti. Il servizio di Adriana Masotti

Il saluto di Papa Francesco
“Buongiorno a tutti! Ma dal momento in cui io sono entrato ho visto la vostra gioia, ma siete gioiosi voi! Siete gioiosi! Adesso capisco un po’ perché Papa Celestino non si trovava bene a Roma, è tornato da voi … Per la vostra gioia!”.

Mobilitazione generale contro la disoccupazione
Papa Francesco sottolinea il clima festoso dell’incontro, che però, dice, “non può far dimenticare i numerosi e gravi problemi che ancora affliggono la vostra terra”, come il cronico problema della disoccupazione, specie giovanile, e la mancanza di servizi adeguati alle necessità di anziani, ammalati e disabili, e delle famiglie.

“Di fronte a questo scenario preoccupante, afferma il Papa, si rende necessaria una mobilitazione generale, che unisca gli sforzi della popolazione, delle Istituzioni, dei privati e delle diverse realtà civili. Non si possono rimandare passi concreti per favorire l’aprirsi di nuovi posti di lavoro dando così, soprattutto ai giovani, la possibilità di realizzare sé stessi mediante un’onesta attività lavorativa. Ma si deve cercare di trovare cose per i giovani, posti di lavoro, piccole cose, perché, voi sapete, il lavoro ti dà la dignità”.

Riconciliarsi con Dio e con il prossimo
Facendo riferimento poi all’Anno giubilare Celestiniano che la diocesi sta vivendo, Francesco sottolinea che esso offre alle comunità l’opportunità di ritornare a Cristo e al Vangelo di riconciliarsi con Dio e con il prossimo:

“E’ bello riconciliarsi, avere l’anima in pace: la famiglia in pace, il quartiere in pace... “.

Portare l’amore di Dio a emarginati e sofferenti
Rinasce così, continua il Papa, “il desiderio di portare il suo amore a tutti, soprattutto alle persone sole, emarginate, umiliate dalla sofferenza, dall’ingiustizia sociale; a tanti che, stanchi di parole umane, sentono una profonda nostalgia di Dio”.

Ardore carità prevalga su religiosità superficiale
Il giubileo diocesano diventa preparazione anche all’Anno Santo straordinario della Misericordia e il Papa esprime il suo auspicio che questi tempi forti suscitino un vigoroso slancio missionario specialmente nelle parrocchie:

“Ogni comunità parrocchiale è chiamata ad essere luogo privilegiato dell’ascolto e dell’annuncio del Vangelo; casa di preghiera raccolta intorno all’Eucaristia; vera scuola della comunione, dove l’ardore della carità prevalga sulla tentazione di una religiosità superficiale e arida”.

I problemi si superano con la solidarietà
Di fronte alle difficoltà del presente, il Papa richiama il valore della speranza cristiana fondata nel Risorto e accompagnata dalla carità verso i più bisognosi. “I problemi si superano con la solidarietà”, ricorda Papa Francesco incoraggiando tutti ad essere testimoni di solidarietà lì dove ciascuno vive. “Guardate senza paura e con speranza al futuro vostro e della vostra terra”, l’invito conclusivo.

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Papa partecipa a inaugurazione nuova bandiera Guardia Svizzera

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In seguito alla nomina – lo scorso 7 febbraio - del nuovo Comandante della Guardia Svizzera, Colonnello Christoph Graf, si è svolta ieri pomeriggio in Vaticano la cerimonia della inaugurazione e benedizione della nuova Bandiera del Corpo. Alle 17.00 – riferisce il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha celebrato la Messa nella Chiesa del Camposanto Teutonico, con la benedizione della Bandiera. Poi, nel Quartiere della Guardia, ha avuto luogo l’”Atto militare”, a cui – inatteso dalla maggior parte dei presenti – è intervenuto anche Papa Francesco.

Dopo aver ascoltato il discorso del nuovo Comandante e prendendo da esso lo spunto, il Papa ha rivolto alcune parole ai presenti, esprimendo con molta cordialità il suo augurio per il servizio del nuovo Comandante e caratterizzandone lo spirito con alcune parole ispiratrici: il Comandante deve essere uomo di unità, uomo di carità, d’amore e uomo di umiltà. Gli ha augurato di esercitare un dono di paternità nei confronti delle sue guardie e chiedere con la preghiera che lo Spirito Santo semini e faccia crescere l’amore e l’unione fra tutti i membri del Corpo. Ha concluso ricordando il motto del Corpo: “Mut und Demut”, “Coraggio e Umiltà”. Comandare evangelicamente significa servire. Al termine del breve discorso, il Papa ha impartito la sua benedizione al Comandante, al Corpo delle Guardie, ai familiari e agli ospiti.

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Celebrati in San Pietro i funerali del card. Giovanni Canestri

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Si sono svolte stamani nella Basilica Vaticana, presso l’Altare della Cattedra, le esequie del card. Giovanni Canestri, arcivescovo emerito di Genova, deceduto il 29 aprile scorso all’età di 96 anni. La Messa è stata celebrata dal cardinale decano Angelo Sodano. Al termine, il Papa ha presieduto il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio.

Nella sua omelia il cardinale Sodano ha ricordato la vita del cardinal Canestri, “tutta spesa al servizio della Santa Chiesa, da Alessandria a Roma, da Tortona a Cagliari e poi da Genova nuovamente a Roma, concludendo infine qui i suoi giorni, all’ombra di quella storica chiesa di S. Maria degli Angeli che gli era particolarmente cara”.

“In realtà – ha sottolineato il cardinale decano - cara gli fu sempre tutta la comunità cristiana di Roma, alla quale aveva già dedicato i suoi primi anni di sacerdozio, lavorando per ben vent’anni, dal 1941 al 1961, nei rioni più popolari della città, dalla Garbatella a Pietralata, dalla borgata Ottavia a Casalbertone. Il suo nome vive là in benedizione. Nel 1961, il Papa Giovanni XXIII l’aveva poi chiamato all’Episcopato come Ausiliare di Roma e da allora iniziò per lui una nuova fase della sua vita, mantenendo però sempre quello stile paterno che gli era tanto caratteristico e che conservò poi per tutti i suoi 54 anni di Episcopato”. “Questo benemerito Pastore – ha concluso il cardinale Sodano - ci ha lasciato e noi oggi ci siamo raccolti in preghiera, per affidarlo nelle mani del Padre che sta nei cieli”.

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Beatificazione di fratel Bordino. Amato: vedeva nei malati Gesù in Croce

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Viene proclamato Beato questo pomeriggio a Torino fratel Luigi Bordino, religioso professo della Congregazione dei Fratelli di San Giuseppe Cottolengo. A presiedere la Messa, in rappresentanza del Papa, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Fratel Bordino, alpino durante la Seconda Guerra Mondiale, ha dedicato la sua vita ai malati: nel loro volto vedeva Gesù crocifisso. Ascoltiamo il cardinale Amato al microfono di Roberto Piermarini

R. - Andrea Angelo - questo il suo nome di Battesimo - nacque il 12 agosto 1922, a Castellinaldo (Cuneo), terzogenito di otto figli. Cresce in un ambiente di Messa quotidiana, di recita del Rosario, di pratica sacramentale e soprattutto di relazione con suore e sacerdoti di alta qualità spirituale. In questo sano ambiente familiare egli matura una identità cristiana forte. Il fratello Risbaldo dice di lui: «Mio fratello Andrea non sapeva cosa fosse il rispetto umano: non ha mai nascosto la sua fede e la sua pietà. Con estrema semplicità faceva quel che credeva di dover fare senza curarsi degli altri».

D. - Nella sua biografia si legge che partecipò, come alpino, alla seconda guerra mondiale…

R. - In effetti, nel 1942, a vent'anni fu arruolato nel IV Reggimento di Artiglieria Alpina e in piena estate parte per il fronte russo. Incaricato delle vettovaglie, il nostro Beato, però, non sarà mai in prima linea né parteciperà agli scontri diretti. Dopo aver patito fame, sete e ogni sorta di privazione nei vari campi di concentramento anche in Siberia, riesce alla fine della guerra a tornare in patria, insieme al fratello.

D. - Come diventò religioso Cottolenghino?

R. - Dopo l'esperienza bellica, Andrea sente il fascino della vita religiosa e il desiderio di consacrarsi al servizio dei sofferenti. Il 23 luglio 1946 fa così il suo ingresso al Cottolengo. Al postulandato inizia una vita di preghiera e di pratica della carità, assicurando l'igiene dei malati, le medicazioni, l'assistenza ai pazienti gravi, la pulizia dei barboni e dei malati immobilizzati a letto. Si presta volentieri a lavare i piatti, pulire i pavimenti, lavorare nei campi. Dopo un anno entra in noviziato e indossa per la prima volta l'abito dei religiosi cottolenghini, sulla cui talare nera è appuntato un cuore di panno rosso all'altezza del petto, a sinistra. Alla vestizione Andrea prende il nome di fratel Luigi della Consolata. Nel gennaio del 1966 la professione perpetua. Chiamato il gigante buono per la sua corporatura robusta, si presta volentieri a ogni tipo di servizio. Di poche parole, con il sorriso e il volto sereno, riusciva a infondere sicurezza e fiducia. Diviene presto l'infermiere più richiesto dagli ammalati, dalle suore, dai medici, perché esperto, efficiente, sicuro, riservato. Colpito da leucemia, fratel Luigi si addormenta piamente nel Signore il 25 agosto 1977, a 55 anni.

D. - Cosa ci può dire delle sue virtù?

R. - Alcune testimonianze sono commoventi per semplicità e schiettezza. Ad esempio, un suo confratello dice che «fratel Luigi ha vissuto la sua vocazione, e tutte le virtù inerenti, in forma superiore alla mia e a quella degli altri confratelli». E un altro aggiunge: «Fratel Luigi è stato un grande uomo. Nel pregare si comportava come un vitellino quando succhia il latte, si capiva che ne godeva, che era attirato dal Signore e da lui corrisposto». E un laico ribadisce: «Le virtù religiose, ma anche quelle umane di fratel Luigi erano eccezionali, di gran lunga superiori alle nostre». Fratel Luigi viveva veramente di fede. Da ragazzo, nei gulag sovietici, nel suo apostolato tra i malati egli aveva sempre Gesù nel cuore. Questa vita a due con il Signore lo portò a mettere al centro della sua missione Cristo Crocifisso ed Eucaristico, da adorare, pregare, amare e servire nei fratelli bisognosi.

D. – Cosa ci può dire dell’opera caritativa del nuovo Beato?

R. - In fratel Luigi non erano tanto le parole e nemmeno le sue azioni a manifestare la carità di Dio, quanto la sua persona, la sua presenza che manifestava amore, misericordia, comprensione. Un medico racconta: «Ricordo una notte di un ultimo giorno di dicembre in cui egli volle offrire il suo sangue per una paziente affetta da una gravissima emorragia; operata in extremis fu salvata grazie soprattutto alla sua generosa donazione». La sua esistenza - dice un altro teste - fu una continua discesa da Gerusalemme a Gerico, per soccorrere ogni sorta di uomini colpiti nel corpo e nello spirito. Era veramente un buon Samaritano, come Gesù.

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Card. Stella: grande attesa per visita Papa a Cuba, evento di speranza

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Ha destato ampia eco nei giorni scorsi l’incontro a Cuba tra il presidente Raul Castro e il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per i Vescovi, proprio mentre veniva annunciata la visita di Papa Francesco nell’isola caraibica il prossimo settembre. Il cardinale Beniamino Stella, che ha compiuto una visita alla Chiesa cubana dal 22 al 28 aprile, di ritorno in Vaticano si sofferma - al microfono di Alessandro Gisotti - sulla fede dei cubani, l’incontro con Castro, il prossimo viaggio del Papa e il disgelo nelle relazioni tra Washington e L’Avana: 

R. – Mi ha sempre colpito della Chiesa cubana l’aspetto della grande fraternità. E’ una Chiesa, poi, serena, gioiosa dove si portano alcuni pesi e alcune difficoltà – chiamiamole “storiche” – però con disinvoltura, con fiducia, con speranza. Questo aspetto – e l’ho anche detto ai vescovi, anche ai sacerdoti – talvolta in situazioni difficili ci si lamenta, ci si intristisce … a Cuba, un po’ per il temperamento tipico di quella brava gente e anche per una fede profonda dei laici, dei preti, dei vescovi, si vivono le situazioni di difficoltà, di incertezza, però con fiducia: fiducia in Dio e fiducia anche nella buona volontà di chi presiede la Chiesa e anche, ovviamente, di chi presiede i destini pubblici del Paese.

D. – Proprio riguardo a questo ultimo passaggio: durante la visita a Cuba, lei ha avuto la possibilità di incontrare il presidente Raul Castro. Cosa può dirci di questo colloquio?

R. – E’ stata una lunga conversazione; un po’ di memoria, da parte del presidente della Repubblica, di un passato che ovviamente i dirigenti cubani portano profondo nel loro cuore, ma anche con un’attenzione, con una proiezione verso il futuro. La memoria di eventi del passato è molto forte, come ben si comprende; però si ha anche la chiara sensazione che bisogna guardare avanti proprio per aggiornare situazioni di difficoltà per dare uscita a problematiche che oggi si impongono, specialmente in temi economici. Quindi il presidente ha detto che stanno studiando riforme per aspetti soprattutto economici, ma anche in relazione alla presenza e all’attività della Chiesa. Ci sono tante cose che certamente sono all’attenzione: io stesso ho accennato al presidente alcune tematiche importanti, per le quali i vescovi aspettano – nel contesto della visita del Papa, ma anche nel prossimo futuro – delle risposte. C’è tutto il tema della riparazione delle chiese e della costruzione, anche, di nuove chiese; c’è il tema dei disagi, delle difficoltà di tanti sacerdoti a muoversi nel Paese. Mi ha impressionato – e chiedo scusa se ne parlo in questo momento – un sacerdote, era a Camagüey, che al termine di una riunione ha ripreso la sua bicicletta e mi disse: “E’ una bicicletta ancora dell’epoca lontana, quando c’era una forte presenza russa”. Io dicevo tra me e me: “E’ una bicicletta da museo, questa…”. Però, di fatto, è un modo con cui i sacerdoti si spostano e le distanze non sono piccole: un sacerdote, talvolta, è di tante comunità; il clima è un clima tropicale e umido, e quindi la Chiesa ha bisogno di potersi muovere con i propri operatori pastorali, soprattutto i sacerdoti, con i mezzi che consentano un po’ meno fatica e un minore consumo di energie. Il terzo tema di grande attualità è il tema di un maggiore accesso della Chiesa ai mass media: già ci sono stati dei progressi e direi che è uno dei segni di un avanzare negli spazi della libertà che corrispondono alla Chiesa. Però, credo che la visita del Papa porterà anche nei mass media delle novità positive, molto desiderate. I vescovi desiderano poter lavorare in questo campo e poter comunicare con i propri fedeli. C’è anche, poi, il tema di Internet che è un tema di grande attualità. Oggi, di fatto, voi lo sapete, anche alla Radio Vaticana: non è solo la televisione, non è la radio, ma è proprio Internet, è la comunicazione digitale su cui la Chiesa cubana desidera vivamente qualche novità. Ci hanno detto – mi hanno detto – che si sta studiando, che occorre un po’ rafforzare il supporto tecnologico di queste novità per la Chiesa nell’ambito di Internet. Io spero che arriveranno presto. Una cosa poi che ho menzionato, anche, alle autorità del Paese: il servizio alle piccole comunità delle montagne. Ci sono tante piccole comunità sparse nel Paese, dove non ci sono templi, ma ci sono – come le chiamano – le “casas de misión”, “case di missione”, dove i sacerdoti, talvolta i diaconi, i catechisti vanno per la visita alle comunità. Ecco, bisogna un po’ formalizzare un dato di fatto che già esiste, in modo che la Chiesa abbia dei punti di appoggio per il proprio impegno evangelizzatore. Anche in questo ambito si è già fatto parecchio e credo che la visita del Papa sarà veramente una finestra grande, un ambito grande per crescere con la dimensione dell’evangelizzazione e della missione.

D. – Già alcuni elementi si sono intravisti nella sua risposta. Quanta attesa c’è per il viaggio di Papa Francesco a Cuba, a settembre, annunciato peraltro proprio mentre lei era nel Paese caraibico?

R. – Eh sì: c’è una grande attesa! C’è un po’ la curiosità di conoscere i dettagli dove il Papa andrà, da dove entrerà, da dove partirà, un po’ quella ovvia curiosità che appartiene a tanti fedeli cubani che hanno già conosciuto Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto, adesso Papa Francesco: c’è una memoria molto viva, anche recente, di queste due anteriori visite; quindi la visita di Papa Francesco nel settembre prossimo è molto desiderata, anche perché è un Papa delle terre latinoamericane, un Papa che parla la lingua spagnola … Quindi io credo che ci sia un naturale feeling tra questo mondo latinoamericano, e cubano nel nostro caso, e Papa Francesco: io penso che sarà un momento di grande intensità ecclesiale, di grande comunicazione e di grande speranza per tutti i cubani, ma specialmente per coloro che lavorano e militano con la loro fede e la loro vita ecclesiale nell’ambito della vita cattolica.

D. – Lei accennava alle visite precedenti dei Pontefici: lei, come nunzio a L’Avana, negli anni Novanta, organizzò la storica visita di Giovanni Paolo II a Cuba. Papa Wojtyla in quell’occasione, tra le alte cose, disse questa frase memorabile: “Cuba si apra al mondo, il mondo si apra a Cuba”; e in qualche modo è un sogno che si sta realizzando …

R. – Lungi da me il dire che ho organizzato il viaggio! Sono stato presente in quella circostanza; l’abbiamo desiderato a lungo, abbiamo atteso con grande impazienza, poi con grande gioia; abbiamo lavorato … Direi, a differenza di questo viaggio, quello di Giovanni Paolo II ha avuto una lunga preparazione: penso almeno un anno; quindi, anche da un punto di vista logistico è stato un viaggio molto pensato, molto strutturato, previsto in tanti dettagli. Ecco, questo arriva invece con un tempo di preparazione un po’ più ridotto; però, c’è l’esperienza di due bellissimi viaggi anteriori, e quindi ci sono ancora strutture esistenti di questi viaggi anteriori: io penso che nei quattro mesi che restano fino alla visita di Papa Francesco ci si darà da fare. Si sta già lavorando perché anche gli aspetti “logistici” possano essere risolti. Importante è la partecipazione, importante è la sensibilizzazione dei cattolici cubani; e di fatto, poi, è importante che possano andare, che possano muoversi, che possano quindi viaggiare verso i punti di convergenza dove il Papa si fermerà per questa visita che è una visita veramente pastorale, desiderata dal Papa anche con tempi abbastanza ampi, in modo che il Papa sia presente, celebri, visiti e possa comunicare con questa straordinaria Chiesa cubana, fortemente in crescita e con tanti valori cristiani ed umani, che si percepiscono a vista e con il cuore trovandosi in quelle contrade.

D. – I presidenti Raul Castro e Barack Obama, annunciando il “disgelo” tra Stati Uniti e Cuba, hanno sottolineato il ruolo positivo, importante di Papa Francesco. La Chiesa contribuirà anche in futuro a rafforzare il dialogo tra cubani e statunitensi?

R. – Papa Francesco è stato veramente colui che ha dato innanzitutto la sua preghiera, la sua fede e anche il suo carisma. Il tema cubano, non ho dubbio che l’abbia sentito in profondità, che lo senta in profondità e così abbia posto in atto quelle iniziative “diplomatiche” – è la parola che si usa: l’ha fatto da pastore, come è naturale … Io penso che gli dobbiamo veramente tanto, a Lui personalmente, al suo cuore, alla sua creatività. E la Chiesa cubana certamente si sintonizza completamente con Papa Francesco e saprà dare seguito a queste iniziative attraverso la Conferenza episcopale. Importante è che la Conferenza episcopale sia un po’ l’organismo ecclesiale che assume questo impegno pubblico, formale, di un dialogo con le autorità del Paese. E che poi ogni vescovo, a sua volta, si faccia interprete, si faccia operatore di queste iniziative di carattere pubblico, in modo che questo avvicinamento possa continuare, possa concretizzarsi sempre più e possiamo vedere quanto prima; i temi all’ordine del giorno, credo, da parte dei due Paesi non sono semplici, non sono pochissimi però se c’è la volontà direi che non ci sono ostacoli e non ci saranno montagne da scalare. Noi desideriamo – io, così, umilmente, desidero – che si possa quanto prima arrivare a risultati di grande interesse, che aprano una tappa definitivamente nuova e particolarmente positiva nelle relazioni fra i due Paesi.

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Papa nomina card. Vlk suo inviato a celebrazioni 600° morte Jan Hus

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Papa Francesco ha nominato il card. Miloslav Vlk, arcivescovo emerito di Praga, suo Inviato speciale alle celebrazioni del 600.mo anniversario della morte di Jan Hus, previste nella città di Praga nei giorni 5 e 6 luglio 2015. Già nel 1999, Giovanni Paolo II aveva definito il riformatore boemo, condannato al rogo nel 1415, “una figura memorabile”, in particolare per “il suo coraggio morale di fronte alle avversità ed alla morte”. “Alla vigilia del Grande Giubileo – aveva detto Papa Wojtyla il 17 dicembre 1999 - sento il dovere di esprimere profondo rammarico per la crudele morte inflitta a Jan Hus e per la conseguente ferita, fonte di conflitti e divisioni, che fu in tal modo aperta nelle menti e nei cuori del popolo boemo”.

“Di cruciale importanza” - aveva sottolineato il Papa polacco – è “lo sforzo che gli studiosi possono sviluppare per raggiungere una comprensione più profonda e completa della verità storica. La fede non ha nulla da temere dall'impegno della ricerca storica, dal momento che anche la ricerca è, in ultima analisi, protesa verso la verità che ha in Dio la sua fonte”. “Una figura come quella di Jan Hus, che è stata un grande punto di contesa nel passato – aveva aggiunto - può ora diventare un soggetto di dialogo, di confronto e di approfondimento in comune”, nella speranza che passi decisivi possano “essere compiuti sul cammino della riconciliazione e della vera unità in Cristo”.

L’Inviato speciale del Papa alle celebrazioni, il cardinale Vlk, è stato l’artefice della Commissione ecumenica "Husovská", costituita allo scopo di identificare in modo più preciso il posto che Jan Hus occupa tra i riformatori della Chiesa.

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Tweet: l’amore di Cristo ci rende capaci di perdonare sempre

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Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “L’amore di Cristo ci riempie il cuore e ci rende capaci di perdonare sempre”.

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Expo. Marelli: ascoltare Papa su spreco cibo, globalizzare solidarietà

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Con l’inaugurazione dell’Expo di Milano, riflettori puntati sul tema del cibo e sulle sue problematiche, in particolare quella del suo spreco. Papa Francesco nel suo videomessaggio ha denunciato la cultura dello scarto e l’impatto dei comportamenti del mondo ricco su chi muore di fame. Secondo la Carta di Milano, documento programmatico dell’Expo, 2 miliardi di persone al mondo sono malnutrite, mentre altrettante sono in sovrappeso. Ogni anno sono sprecate oltre un milione di tonnellate di cibo. Ma qual è la situazione di questa emergenza? Michele Raviart lo ha chiesto a Sergio Marelli, presidente del Cisa, Comitato italiano sovranità alimentare: 

R. – Nel mondo sviluppato ogni persona spreca cibo pari ai due terzi del fabbisogno calorico, cioè del fabbisogno alimentare, di un’altra persona. Quindi se ognuno di noi avesse comportamenti più corretti nei confronti dell’uso degli alimenti, si potrebbero già oggi recuperare i due terzi dei fabbisogni alimentari delle altre persone. Oppure basti pensare che in Italia lo spreco medio di cibo per ogni italiano all’anno è di 76 chili di alimenti: otto miliardi di euro di cibo che finisce nella spazzatura che è mezzo punto di Pil. Questi forse sono dati che spiegano questo grande scandalo di una situazione a livello del mondo dove, giustamente dice la Carta di Milano, due miliardi di persone sono malnutrite, una persona su tre non ha cibo sufficiente ma contemporaneamente va detto, ricordato e sottolineato che non è un problema di carenze di cibo: il cibo c’è ma viene purtroppo molto sprecato.

D. – Il Papa nel suo videomessaggio per l'Expo ha parlato della cultura dello spreco e ha citato poi il paradosso dell’abbondanza di cui aveva parlato Giovanni Paolo II alla Fao. Come può la globalizzazione della solidarietà, come l’ha chiamata Papa Francesco, diventare globalizzazione del cibo ed evitare quindi gli sprechi?

R.  – Innanzitutto attraverso un’azione di maggiore responsabilizzazione delle persone, di ognuno di noi. Sempre più ogni nostra azione fatta qui in Italia ha ripercussioni anche a 7.000 km di distanza. Penso che un’educazione a questo atteggiamento responsabile sia quello a cui Papa Francesco ci richiama quando dice che bisogna globalizzare la solidarietà: cioè, dobbiamo avere un atteggiamento responsabile nei confronti di tutti gli altri esseri umani di tutto il pianeta perché appunto ogni nostra azione ha ripercussioni a livello globale, a livello mondiale.

D. – In questo senso come possiamo considerare l’Expo: una vetrina, una opportunità per sensibilizzare il consumatore?

R. – Expo è per sua natura una vetrina dove i Paesi, dove i produttori, dove tutti gli agenti, gli attori del mercato globale, si trovano per fare - lo dice la parola stessa - una grande esposizione, una grande vetrina. La grande novità dell’Expo di edizione di quest’anno del 2015 di Milano è che ha voluto anche ambire a dare una valenza e un significato più etico, più responsabile, dandosi come slogan “Nutrire il pianeta”. Allora, io penso che qui sia la grande sfida che Expo ha lanciato e che vedremo tra sei mesi se saprà cogliere: cioè, se oltre ad essere una grande vetrina sarà anche un’occasione, un percorso, per far riflettere, per sensibilizzare, per educare e anche speriamo, soprattutto, per individuare soluzioni concrete per nutrire il pianeta.

D. – Abbiamo parlato di comportamenti virtuosi che può adottare il consumatore ma dall’altro lato, dalla parte delle grandi aziende produttrici, dei supermercati, che comportamenti si possono attuare per evitare lo spreco di cibo?

R.  – Questo è un discorso molto più complesso perché evidentemente gli interessi in gioco delle grandi catene cosiddette “della grande distribuzione” sono interessi miliardari. E’ altrettanto vero che soprattutto attraverso la pubblicità e i messaggi mediatici che vengono passati queste grandi potenze dell’agroalimentare a livello mondiale hanno una fortissima capacità di influenza e di orientare gli atteggiamenti dei consumatori verso un’etica della responsabilità, piuttosto che orientarli verso un edonismo, verso un consumismo, verso quegli atteggiamenti che, dicevamo prima, poi causano anche quell’enorme spreco di cibo e dall’altra parte causano quel mostruoso numero di persone che invece di cibo non ne hanno a sufficienza. Ognuno di noi può fare qualcosa: certo, questi grandi attori, potrebbero, dovrebbero e dovrebbero essere indotti a fare molto di più perché questo pianeta non regge più, non sopporta più uno stile di vita come quello che c’è oggi nei nostri Paesi avanzati, che una persona su tre al mondo nemmeno si può immaginare e sognare.

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Il Papa riceve il card. Ouellet

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Papa Francesco ha ricevuto stamani il card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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A nome dei poveri: all'apertura dell'Expo il Papa denuncia il paradosso dell'abbondanza e la cultura dello spreco.

Sempre oltre: ai Cursillos de cristiandad Papa Francesco raccomanda di non stancarsi mai di uscire per incontrare i lontani.

Vento impetuoso: al Collegio americano del Nord il Pontefice ricorda la testimonianza di Junípero Serra.

Quale futuro per i cristiani in Medio Oriente: intervento del segretario per i Rapporti con gli Stati alla conferenza internazionale tenutasi a Bari.

Ironia al femminile è il tema del mensile "donne chiesa mondo" che compie tre anni e internazionalizza la sua redazione.

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Oggi in Primo Piano



Nepal, governo: nessuna speranza di trovare altri superstiti

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In Nepal, secondo il governo, non c'è più alcuna possibilità di trovare altri sopravvissuti al terremoto che ha colpito il Paese sabato scorso. Il numero delle vittime finora accertate sono oltre 6.600, ma i morti potrebbero superare abbondantemente i 10mila. I soccorsi proseguono senza sosta tra grandissime difficoltà. Intanto oggi è stata registrata una nuova scossa di magnitudo 5,1. A Kathmandu sono arrivati anche esponenti di Medici senza Frontiere. Sul loro intervento Emanuela Campanile ha sentito Andrés Weisz, responsabile economico dell'associazione: 

R. – Ci sono diverse questioni da considerare. La prima questione, ovviamente, è andare dove c’è necessità, dove la gente non ha avuto risposta da altre organizzazioni. La natura di Medici senza Frontiere, infatti, storicamente, è quella di arrivare dove gli altri non arrivano. E poi, se è possibile, andare a sistemare in questo posto un ospedale gonfiabile, che pur essendo un ospedale mobile - una tenda che si gonfia, con una sala di chirurgia - ha bisogno di certe condizioni, a livello di terreno, per funzionare. Un’altra difficoltà è poi se l’elicottero sia in grado di portare questo ospedale nel punto dove si vuole atterrare.

D. – Quanti operatori di Medici senza Frontiere ci sono ora a Kathmandu o nelle zone limitrofe?

R. – In tutto il Paese, in questo momento, siamo in 90.

D. – Riuscite a comunicare tra di voi, a capire qual è la situazione fuori Kathmandu?

R. – Abbiamo quattro equipes sul terreno, che stanno già operando in diversi posti, e siamo ovviamente tutti collegati tra di noi e tutti coordinati. Stiamo già lavorando in diverse zone e in diversi modi. Alcuni sono già arrivati per via area, altri solo via terra. E’ difficile, infatti, avere elicotteri, a causa dei problemi climatici. Siamo, però, tutti coordinati e l’obiettivo è arrivare ad un certo numero e ad una certa natura di posti, che sono abbastanza remoti e di difficile accesso. Oggi, dunque, stiamo facendo una missione esplorativa per controllare il confine a Nord del Paese – da Kathmandu verso Nord – e le montagne al confine con la Cina, per vedere qual è la situazione. Sono posti dove, dal punto dove si arriva in macchina fino al villaggio, ci vogliono dieci giorni a piedi.

D. – Le autorità locali vi aiutano?

R. – Le autorità locali si sono mostrate disponibili. Ovviamente, al di là della questione della disponibilità, di fronte ad un’emergenza di questa natura nessuno è ovviamente preparato, e questo Paese poi ha scarse risorse in genere. Considerando questo, sì, si sono mostrati disponibili.

D. – Qual è l’emergenza sanitaria attuale?

R. – Si sta valutando la situazione. Finché non torneranno, non faranno un rapporto di quello che hanno visto e non comincerà l’operazione, è molto difficile dare una risposta concreta. Per la natura di quello che è successo e per l’esperienza che abbiamo, i problemi più grandi in queste situazioni sono quelli riguardanti la chirurgia, che, ovviamente, è stata colpita e ferita dal movimento sismico e, secondo - prima della salute, attenzione! – il fatto che ci sia gente che è stata colpita, anche se non gravemente, ma che non ha accesso ai centri sanitari. Terzo, dare alla gente la capacità di sistemarsi in un alloggio di qualsiasi tipo; la distribuzione di beni di prima necessità – coperte, utensili di cucina. Queste sono le necessità primarie. Al di là della natura della nostra organizzazione, ci sarà un aiuto alimentare probabilmente. Immagino, infatti, l’impatto che ha tutto questo sulla capacità della gente di accedere al cibo. E questo deve pure essere considerato. Questo, però, va al di là di quello che facciamo noi come organizzazione.

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Siria: anche l'Iran alle consultazioni di Ginevra

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Ancora violenti combattimenti in Siria. Aspre battaglie si registrano nelle provincie di Latakia e di Aleppo, dove oltre 60 civili sono morti nei bombardamenti effettuati sia ribelli sia dalla coalizione internazionale. Intanto, sale l’attesa per lunedì, quando a Ginevra riapriranno le consultazioni sulla crisi siriana, alle quali parteciperà per la prima volta una delegazione dell’Iran. Il servizio di Marco Guerra: 

Aleppo e la sua provincia sono il teatro degli scontri più duri degli ultimi giorni. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 52 civili, tra cui 7 bambini, sono morti a causa di un raid aereo della coalizione internazionale a guida Usa sul villaggio di Birmahle, nella parte settentrionale della provincia. Nella città di Aleppo altri 14 civili hanno perso la vita nei bombardamenti dei ribelli su un quartiere controllato dai governativi. Si combatte anche a Latakia dove l’esercito di Damasco rafforza le sue posizioni. Intanto, sul fronte del sedicente Stato Islamico, continuano a rimbalzare le voci sul grave ferimento del califfo al-Bagdadi. Una situazione che ha portato - secondo alcuni media arabi - alla nomina di un nuovo capo: Abu Alaa al Afri. E la comunità internazionale guarda a Ginevra, dove lunedì riapriranno le consultazioni sulla crisi siriana condotte da Staffan de Mistura. Ma per sapere con quali premesse si arriva a questi incontri, il commento di Alessandro Politi, analista ed esperto dell’area:

R. – E’ un incontro di preparazione a dei negoziati perché la situazione sul terreno è estremamente difficile e fluida e l’idea di Staffan de Mistura, che è un negoziatore molto esperto, è quella innanzitutto di fare in modo che le diverse parti interessate al conflitto riescano ad essere sentite e a poter cominciare a scambiare punti di interesse. Soltanto quando ci sarà questa prima ricognizione - che non è affatto rituale perché la situazione è molto difficile in Siria - allora si potrà vedere se ci saranno negoziati più concreti. Anche perché ci sono pregiudiziali molto forti da parte di alcuni gruppi che dicono: se il governo Assad non se ne va via subito non iniziano nemmeno i negoziati.

D. – Per la prima volta ci sarà una delegazione dell’Iran. Però rimane il fatto che il Califfato non si siederà mai a un tavolo di trattative. Chi sono i soggetti con cui iniziare a parlare di un negoziato?

R. – La risposta più pirandelliana sarebbe: tutti e nessuno. Il Califfato chiaramente vuole costituire un’entità statale a cavallo tra l’Iraq e la Siria e vuole espandersi, quindi non è un attore interessato alle trattative, ma altri potrebbero esserlo. Se non ci sono trattative non si riescono nemmeno a stanare quella serie di gruppi islamisti che di tanto in tanto da alcuni media vengono dipinti come alternative moderate. In realtà nelle guerre civili di moderato c’è poco. Quindi, è necessario vedere concretamente, parlando e andando a porre le domande giuste ai diversi interlocutori per capire a che gioco si gioca. Soltanto dopo si potrà cominciare a fare qualcosa di parziale o di più completo e forse isolare politicamente e diplomaticamente il sedicente Stato islamico.

D. – Nel frattempo sul terreno ancora violenti combattimenti: il quadro sembra cambiare poco…

R. – La situazione sul terreno sta cambiando e certamente in modo non favorevole, almeno in apparenza, per negoziare un cessate il fuoco o l’inizio di una serie di trattative di pace. Il governo è riuscito a mantenere, a consolidare il suo asse centrale fra Tartous, Latakia e Damasco, che è indispensabile per i rifornimenti via mare. Al tempo stesso sta cominciando a perdere alcuni dei suoi avamposti e la perdita di questi avamposti di per sé non è decisiva ma nel frattempo ha per esempio fatto espandere il controllo dello Stato islamico, il controllo dei curdi, il controllo di altre fazioni genericamente chiamate “opposizioni al regime”. Quindi il regime non è riuscito a ottenere una vittoria decisiva perché non ce la fa. I ribelli non sono riusciti a ottenere una vittoria decisiva ma nel frattempo ognuno sta consolidando le sue posizioni e sta cercando possibilmente di fare uno sgambetto a possibili alleati. Da questo punto di vista qualcosa è cambiata ed è cambiata in peggio,

D.  – E intanto continuano a rimbalzare le voci sul grave ferimento del califfo al Baghdadi. Cosa può comportare un cambio di leadership del Califfato qualora fossero confermate queste voci?

R.  – Non si può sperare che il Califfato venga semplicemente decapitato. Non lo è stata Al Qaeda dopo la morte di Bin Laden, nonostante questo fosse un "messaggio significativo", e non lo sarà nemmeno il Califfato, che per essere veramente sconfitto ha bisogno di un cambio di relazioni politiche, innanzitutto all’interno dell’Iraq, perché laddove lo Stato è debole, laddove lo Stato non è terzo rispetto alle varie fazioni e famiglie, allora il jihadismo si insinua e crea le sue entità parastatali.

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Nigeria: liberate altre donne, governo fa indietreggiare Boko Haram

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Negli ultimi giorni l’esercito nigeriano ha raccolto importanti successi: dopo aver liberato 500 donne, se ne sono aggiunte altre 234 che le truppe hanno strappato giovedì notte da una delle roccaforti dei terroristi di Boko Haram. Il nuovo presidente del Paese, Muhammadu Buhari, di espressione musulmana ma votato da buona parte degli Stati del Sud a maggioranza cristiana, sembra rappresentare finalmente molte istanze di sicurezza della società. Ne parla Marco Massoni, direttore di ricerca per l’Africa presso il Centro militare di studi strategici (CeMiSS), al microfono di Claudia Minici

R. – Sono dati positivi. Significa che il nuovo governo ha preso veramente in mano la questione Boko Haram, anche perché tutti i dispositivi di sicurezza, resi appunto disponibili nel corso del recupero e controllo dei territori, di fatto sotto sovranità di Boko Haram, nel corso delle ultime settimane hanno effettivamente portato ad un successo. Il problema fondamentale è la lealtà delle forze armate nigeriane al nuovo governo, che nei confronti invece di quello precedente – ricordiamo che le elezioni hanno avuto luogo pochi giorni fa – era particolarmente deficitaria. Ma di fondo si tratta di capire come mai un leader, che è stato votato da buona parte degli Stati chiave del Sud, quindi a maggioranza cristiana, un leader comunque di espressione musulmana del Nord, del gruppo dei Fulani e Hausa, sia in grado di rappresentare tutte le istanze di sicurezza, che la maggiore economia del continente oggi necessita.

D. – Qual è la politica dell’esercito nigeriano nel quadro dello sradicamento degli estremisti di Boko Haram?

R. – Effettivamente, è un tipo di politica che si è dimostrata negli ultimi 30 anni, come tra le migliori, le più organizzate, le più istruite e quelle con maggiore esperienza, se non altro in tutta l’Africa occidentale. Nel corso degli ultimi anni, però, effettivamente ha dimostrato una disattenzione nei confronti del governo. Questo succede perché la Nigeria è uno Stato federale, in cui tutti i vari Stati - soprattutto quelli dove ha imperversato Boko Haram, nel Nord-Est, in particolare a Borno, a Yobe, ad Adamawa, al confine dunque con il Niger, il Ciad e il Camerun - sono Stati in cui i poteri locali, anche dei governatori, non sempre coincidevano con gli interessi del governo centrale, appunto federale, di Abuja, e questo si riversava e riverberava sia politicamente sia ovviamente anche come influenza nei confronti dei capi di Stato maggiore delle forze armate, che provenivano soprattutto da questi territori. C’era un tentativo, quindi - ed in parte è ancora nelle menti di alcuni - di separazione netta lungo la faglia di cristiani e musulmani, come pretesto evidentemente, null’altro che questo, ma con le ultime elezioni, con l’ultimo risultato elettorale, è stato completamente sconfessato.

D. – Si sta accertando se tra queste donne ci siano anche le studentesse rapite nel mese di aprile dello scorso anno, un evento che ha scosso la comunità internazionale. Continua ad esserci l’interesse degli Stati esteri verso la Nigeria?

R. – In maniera schizofrenica. C’è, cioè, da un punto di vista di Intelligence dei maggiori enti internazionali, che hanno a cuore l’evoluzione, anzi l’involuzione della sicurezza in tutta l’Africa occidentale, in tutta l’Africa centrale, lungo il Sahel e ovviamente anche nel Corno d’Africa. Ovviamente, poi, c’è un problema di falsa coscienza della maggior parte dell’opinione pubblica internazionale, che resta silente di fronte a 2000 persone uccise.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella quinta domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice:

“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti

Il Vangelo di oggi è preso dai discorsi di Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena. L’immagine della vigna è presente in diverse pagine dell’AT: questa vigna, prima ancora che opera della mano del vignaiuolo è opera del suo cuore. Vi ha messo tutta la sua arte, la sua creatività, la sua tenerezza. Ha con essa un rapporto filiale. L’immagine rivela il rapporto d’amore che il Padre ha con il suo popolo, il progetto d’amore che ha animato l’opera creatrice di Dio verso l’uomo. Ha pensato e voluto la sua creatura in un rapporto d’amore filiale – ancora più profondo ed intimo – nuziale – con essa. L’ha voluta così per poter effondere su di essa, con un’abbondanza degna di Dio, tutti i suoi tesori. Ma perché questo sia possibile il tralcio deve restare unito alla vite: non per una dipendenza capricciosa, non per umiliare l’altro, più debole. Ma per un’esplosione di gioiosa comunione d’amore. “Chi rimane in me, ed io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. “Se rimanete in me…”. Nelle parole dell’apostolo Giovanni – che ha avuto la sorte di porre il suo capo sul petto del Signore – giunge a noi un’eco del rapporto d’amore tra il Padre e il Figlio, che Gesù è venuto a ricreare nella comunità dei fratelli, grazie al dono dello Spirito Santo; rimanere nel suo amore, significa anche rimanere radicati nella comunità dei fratelli. Per questo siamo stati creati, per questo è venuto a noi il Figlio unigenito del Padre, per questo abbiamo celebrato la Pasqua. Oggi siamo chiamati nell’Eucaristia a gustare, a celebrare questo essere discepoli del Signore nel frutto della comunione fraterna, e trasformare questa gioia in missione, in buona notizia per il mondo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Messaggio vescovi argentini: ricreare una cultura del lavoro

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“Ricreare una cultura del lavoro”: questo l’appello della Conferenza episcopale argentina (Cea) in un messaggio diffuso il 1.mo maggio, Festa del lavoro. Esprimendo, innanzitutto, la loro vicinanza a coloro che “vengono sfruttati da lavori indegni e mal pagati, a coloro che operano in nero, privi di diritti, ai disoccupati, soprattutto ai giovani, posti ai margini della società”, i presuli argentini sottolineano che “un lavoro decente è fondamentale per la dignità e lo sviluppo integrale delle persone” e che è necessario porre tale problematica tra “gli obiettivi condivisi da tutte le forze politiche”, affinché diventi “una delle priorità dello Stato”.

Promuovere rispetto nel campo lavorativo
Quindi, la Cea si rivolge a tutti i partecipanti della società: ai lavoratori chiede di “operare con fedeltà e responsabilità, rispettando i colleghi, promovendo il dialogo, l’armonia e la solidarietà nell’ambiente lavorativo, consapevoli del fatto che il bene comune si costruisce tutti insieme, giorno per giorno”. Ai sindacati, i presuli chiedono di “rappresentare fedelmente i veri interessi dei lavoratori, lasciando da parte le questioni personali in favore del bene comune del movimento operario e sfruttando i negoziati collettivi per la difesa di un salario equo e di condizioni lavorative sicure”. Il tutto, rimarcano i presuli, “sempre nell’ambito della legge”.

Anteporre il bene della persona al lucro, abolire il lavoro-schiavo
Poi, la Chiesa argentina chiama in causa gli imprenditori ed i governanti: ai primi, chiede di “anteporre il bene della persona al lucro, guardando al senso solidale delle imprese”, per “il bene degli altri”. I legislatori ed i leader politici vengono, invece, esortati a “dare priorità alla creazione di posti di lavoro produttivi e di qualità, incentivando le imprese, facilitandone la crescita e lo sviluppo, garantendo l’abolizione del lavoro-schiavo ed in nero”. In particolare, si auspicano azioni concrete per contrastare la disoccupazione giovanile.

Lavoro dignitoso crea società più giusta
E gli stessi giovani diventano destinatari di un ulteriore appello dei vescovi: a loro si chiede di “prepararsi a fare un lavoro creativo e valido per la comunità, impegnandosi nel campo occupazionale come per una vocazione ed evitando la tentazione di pretendere che tutto sia dovuto”. Infine, la Chiesa argentina esprime l’auspicio che gli educatori, “con la loro parola e la loro testimonianza, contribuiscano a ricreare la cultura del lavoro, preparando i giovani ad assumersi le loro responsabilità ed a contribuire alle comunità di appartenenza”. Il messaggio si conclude con la sottolineatura al fatto che un lavoro dignitoso porta “ad una società più giusta”. (I.P.)

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Senegal: Gioventù Operaia Africana discute su lavoro e migrazioni

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Delegati di diversi movimenti della Gioventù Operaia Cristiana sono riuniti fino al 3 maggio a Popenguine, in Senegal per discutere di lavoro ed emigrazione. All’incontro, sul tema “Il lavoro decente e la giustizia sociale, una sfida per i giovani lavoratori africani”, prendono parte anche la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale senegalese, l’Ufficio Internazionale del Lavoro, rappresentanti della Chiesa senegalese e dello stato.

L’emigrazione e le possibilità di avere un futuro nei Paesi di origine
All’ordine del giorno anche le conseguenze nefaste dell’emigrazione. “Vogliamo capire perché, come giovani, non abbiamo il diritto di sperare in un avvenire là dove siamo nati, là, da dove noi veniamo – afferma Amélie Perras, presidente internazionale del Coordinamento internazionale della Gioventù Operaia Cristiana. – perché dobbiamo sempre riflettere su dove cercare lavoro, perché non siamo capaci di costruire, come uomini degni, un vero lavoro, una vera vita … dobbiamo capire … come possiamo trasformare questa realtà dell’immigrazione”. Per Amélie Perras, riferisce il portale della Chiesa senegalese, occorre far capire ai giovani quali sono gli effetti dell’immigrazione offrendo anche testimonianze di giovani di altri paesi ed è inoltre necessario far comprendere che bisogna essere attori laddove ci si trova, perché non si scelga sempre di emigrare.

Formare alla responsabilità e far conoscere ai lavoratori i loro diritti
Amélie Perras sottolinea anche la necessità di una formazione alla responsabilità, perché i giovani possano essere attori nella società e nella Chiesa e per dar vita ad un piano d’azione nell’Africa Occidentale e Centrale. Circa la realtà dei lavoratori domestici Amélie Perras evidenzia il fatto che in molti non conoscono i loro diritti, che non si fanno rispettare come lavoratori e come uomini degni. Proprio a fronte di ciò la Gioventù Operaia Cristiana offre sostegno e insieme all’ufficio Internazionale del Lavoro sviluppa iniziative per la promozione del lavoro decente, soprattutto riguardo ai lavoratori domestici. In Senegal e in Camerun, ad esempio, la Gioventù Operaia Cristiana ha dato vita a centri di formazione per permettere ai lavoratori domestici di conoscere i loro diritti e di difendersi di fronte alle illegalità. (T.C.)

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Giordania: inaugurazione prima “Grotta di Lourdes” a Sud di Amman

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Sorge presso la parrocchia del Sacro Cuore a Nour, 24 chilometri a Sud di Amman, la prima grotta dedicata a Nostra Signora di Lourdes in territorio giordano, che verrà inaugurata nel pomeriggio di oggi, sabato 2 maggio, con la recita del Rosario e con la Messa celebrata dall'arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme.

3 maggio, visita del Patriarca Twal
Dopo la Messa – informa l’agenzia Fides - l'arcivescovo Lahham aspergerà il piccolo luogo di culto mariano con acqua benedetta proveniente dal Santuario francese di Lourdes, mentre il parroco, Rifat Bader, leggerà una lettera di saluto inviata da mons. Nicolas Brouwet, vescovo di Lourdes. Domenica 3 maggio, invece, il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, visiterà la grotta, guidando la recita del Santo Rosario e presenziando all'esecuzione di alcuni canti mariani. (G.V.)

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Chiesa Filippine: dialogo interreligioso sia accoglienza

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Nel dialogo interreligioso, non basta la tolleranza, serve l’accoglienza: questo il principio ribadito da mons. Socrates Villegas, presidente della Conferenza episcopale filippina, intervenuto, il 30 aprile, ad un incontro sul dialogo tra le diverse fedi organizzato dall’Università “Santo Tomás” di Manila.

Imitare gli sforzi del Papa all’inclusione ed alla riconciliazione
“La tolleranza non è abbastanza – ha spiegato il presule – perché essa significa ‘lasciar stare’, proprio come l’indifferenza”. Al contrario, “i precetti cristiani dicono che bisogna accogliere l’altro, in particolare coloro che sono ‘i poveri del Signore’, gli indifesi”. Di qui, l’appello ai fedeli affinché non si limitino ad “approvare ed applaudire gli sforzi di Papa Francesco per l’inclusione e la riconciliazione”, ma lo imitino anche, “facendo germogliare i frutti della fede”.

Rispettare la diversità di fede
“Se si ha il cuore pieno di una fede salda in Dio, che è amore – ha continuato mons. Villegas – allora sarà possibile sedersi, pacificamente, alla stessa tavola con uomini e donne che invocano Dio con un altro nome e spezzare il pane con loro, come fratelli e sorelle”. La diversità di fede “va rispettata”, ha aggiunto ancora il presidente dei vescovi filippini, poiché essa rappresenta “un arricchimento”. “Quando viviamo, dialoghiamo, preghiamo e facciamo spazio all’altro con amore – ha osservato il presule – allora il volto di Dio risplende”.

Politica ed economia non devono eclissare il volto di Dio
Infine, mons. Villegas ha sottolineato che “non è la religione la causa della miseria di cui soffre il mondo. Piuttosto, ciò avviene perché il volto di Dio viene eclissato dall’agenda politica ed economica” da “uomini e donne in posti decisionali che permettono all’arroganza del loro ruolo ed alla smania di potere di ostacolare la misericordia di Dio”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 122

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.