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Sommario del 05/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: cristiano non è masochista, sopporta tribolazioni con fiducia

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Tribolazioni, affidamento, pace. Sono le tre parole attorno alle quali Papa Francesco ha sviluppato l’omelia nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che il cristiano non ha un “atteggiamento sadomasochista” difronte alle difficoltà, ma si affida al Signore con fiducia e speranza. Il servizio di Alessandro Gisotti

San Paolo viene perseguitato, ma nonostante mille tribolazioni resta saldo nella fede e incoraggia i fratelli a sperare nel Signore. Papa Francesco ha preso spunto dal passo degli Atti degli Apostoli, nella Prima Lettura, per soffermarsi su tre punti: tribolazioni, affidamento, pace. E subito ha evidenziato che per entrare nel Regno di Dio bisogna “passare per momenti bui, momenti difficili”.

Cristiano sopporta tribolazioni con coraggio
Tuttavia, ha avvertito, questo “non è un atteggiamento sadomasochista”, ma è “la lotta cristiana” contro il principe di questo mondo che cerca di staccarci “dalla Parola di Gesù, dalla fede, dalla speranza”. “Sopportare le tribolazioni”: è una frase, ha rilevato il Papa, che l’Apostolo Paolo usa tanto:

“ ‘Sopportare’: è più di avere pazienza, è portare sulle spalle, portare il peso delle tribolazioni. E anche la vita del cristiano ha dei momenti così. Ma Gesù ci dice: ‘Abbiate coraggio in quel momento. Io ho vinto, anche voi sarete vincitori’. Questa prima parola ci illumina per andare nei momenti più difficili della vita, quei momenti che anche ci fanno soffrire”.

E dopo aver dato questo consiglio, ha proseguito, Paolo “organizza quella Chiesa”, “prega sui presbiteri impone le mani e li affida al Signore”.

Affidarsi al Signore nei momenti difficili
La seconda parola: “affidamento”. “Un cristiano – ha detto – può portare avanti le tribolazioni e anche le persecuzioni affidandosi al Signore”. Soltanto Lui, ha ribadito, “è capace di darci la forza, di darci la perseveranza nella fede, di darci la speranza”:

“Affidare al Signore qualcosa, affidare al Signore questo momento difficile, affidare al Signore me stesso, affidare al Signore i nostri fedeli, noi sacerdoti, vescovi, affidare al Signore le nostre famiglie, i nostri amici e dire al Signore: ‘Prenditi cura di questi, sono i tuoi’. E’ una preghiera che non sempre noi la facciamo, la preghiera di affidamento: ‘Signore ti affido questo, portalo Tu avanti’, è una bella preghiera cristiana. E’ l’atteggiamento della fiducia nel potere del Signore, anche nella tenerezza del Signore che è Padre”.

Quando una persona fa “questa preghiera” dal cuore, ha soggiunto, allora sente che è affidata al Signore, è sicura: “Lui non delude mai”. La tribolazione, è stata la riflessione del Papa, ci fa soffrire, ma “l’affidamento al Signore ti dà speranza e di qui viene la terza parola: la pace”.

La pace del Signore rafforza la fede e la speranza
Francesco ha rammentato quello che Gesù dice come “congedo” ai suoi discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Ma, ha evidenziato, “non una pace, una semplice tranquillità”, ma una pace che “va dentro, anche una pace che ti dà forza, che rafforza quello che oggi abbiamo chiesto al Signore: la nostra fede e la nostra speranza”:

“Tre parole: tribolazioni, affidamento e pace. Nella vita dobbiamo andare su strade di tribolazione ma è la legge della vita. Ma in quei momenti affidarsi al Signore e Lui ci risponde con la pace. Questo Signore che è Padre ci ama tanto e mai delude. Continuiamo adesso la celebrazione eucaristica con il Signore, chiedendo che rafforzi la nostra fede e la nostra speranza, chiedendo di darci la fiducia di vincere le tribolazioni perché Lui ha vinto il mondo, e ci doni a tutti la sua pace”.

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In udienza da Francesco mons. Galantino, segretario della Cei

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Nel pomeriggio di lunedì 4 maggio il Papa ha ricevuto in udienza mons. Nunzio Galantino, segretario della Conferenza Episcopale Italiana.

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Tweet del Papa: ci fa bene stare un po’ di tempo davanti al Tabernacolo

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“Ci fa bene stare un po’ di tempo davanti al Tabernacolo, per sentire su di noi lo sguardo di Gesù”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex seguito da oltre 20 milioni di follower.

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Giubileo misericordia, Fisichella: sarà un momento di grazia

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L’anno della Misericordia sarà “un momento di vera grazia per tutti i cristiani e un risveglio per continuare nel percorso di nuova evangelizzazione e conversione pastorale” indicato da Papa Francesco. E’ quanto ha affermato mons. Salvatore Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, partecipando stamani alla conferenza stampa di presentazione del Giubileo della Misericordia. Il servizio di Amedeo Lomonaco

“La Chiesa vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia”. In questa espressione, contenuta nell’Esortazione Apostolica “Evangeli gaudium”, si coglie il senso del Giubileo straordinario che si aprirà il prossimo 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione. Un Anno Santo – ha detto mons. Rino Fisichella – che fino al prossimo 20 novembre del 2016, Solennità di Gesù Cristo Signore dell’Universo, sarà scandito da celebrazioni con differenti eventi.

Un Giubileo da vivere a Roma e nelle Chiese locali
Dopo aver ribadito che è privo di significato il confronto del Giubileo della Misericordia con quello del 2000 perché ogni Anno Santo ha peculiarità e finalità proprie, il presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione ha ricordato che questo straordinario evento sarà vissuto sia a Roma sia nelle Chiese locali:

“Per la prima volta nella storia dei Giubilei, viene offerta la possibilità di aprire la Porta Santa – Porta della Misericordia – anche nelle singole diocesi, in particolare nella Cattedrale o in una chiesa particolarmente significativa o in un Santuario di particolare importanza per i pellegrini”.

I missionari della Misericordia
Sarà un Giubileo tematico che intende richiamare la Chiesa alla sua “missione prioritaria di essere segno e testimonianza della misericordia”. Un ulteriore tratto distintivo di questo Anno Santo – ha spiegato mons. Fisichella – è offerto dai "Missionari della Misericordia", che riceveranno dal Papa il loro mandato il Mercoledì delle Ceneri. Dovranno essere “sacerdoti pazienti, capaci di comprendere i limiti degli uomini, ma pronti ad esprimere l’afflato del buon Pastore”.

Logo e motto dell’Anno Santo
L’Anno giubilare sarà accompagnato da un logo e da un motto. Il logo, opera di padre Marko Ivan Rupnik, si presenta come una piccola summa teologica della misericordia:

“L’immagine, molto cara alla Chiesa antica, perché indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione, propone il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo e lo fa con amore tale da cambiargli la vita”.

Il Motto, “Misericordiosi come il Padre”, è tratto dal Vangelo di Luca:

“Si propone di vivere la misericordia sull’esempio del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di donare amore e perdono senza misura”.

Il calendario delle celebrazioni
Il calendario delle celebrazioni – ha ricordato mons. Fisichella – è scandito da eventi che prevedono una grande affluenza. Il primo avvenimento, in programma dal 19 al 21 gennaio, sarà dedicato a tutti coloro che operano nel mondo del pellegrinaggio. La celebrazione del 3 aprile coinvolgerà in particolare i credenti che vivono l’esperienza della misericordia. Al mondo del volontariato caritativo sarà dedicata la giornata del 4 settembre. Quello della spiritualità mariana parteciperà alla celebrazione del 9 ottobre. Il 24 aprile sarà un giorno speciale per i ragazzi che, dopo la Cresima, sono chiamati a professare la fede. Il 29 maggio si celebrerà il Giubileo per i Diaconi, il 3 giugno quello per i sacerdoti e il 25 settembre per i catechisti. La giornata del 12 giugno sarà dedicata agli ammalati e alle persone disabili. Quella del 6 novembre sarà rivolta ai carcerati. Su questo speciale Giubileo, mons. Fisichella ha aggiunto:

 “E’ un desiderio del Papa che, oltre a vivere il Giubileo nelle carceri, possa diventare un segno per poterlo realizzare anche nella Basilica di San Pietro. Non so se questo sarà fattibile, però penso che possa essere di sostegno a tante persone che oggi vivono questa esperienza drammatica e a cui anche una parola di speranza possa giungere più vicina”. 

La testimonianza del Papa, dei vescovi e dei sacerdoti
Una seconda prospettiva, con cui leggere il calendario delle celebrazioni, sarà contraddistinta da alcuni segni che Papa Francesco compirà in modo simbolico, raggiungendo alcune “periferie” esistenziali. Per il Santo Padre – ha affermato mons. Fisichella – sarà l’occasione per dare di persona testimonianza della vicinanza e dell’attenzione ai poveri, ai sofferenti e agli emarginati:

“Questi momenti avranno un valore simbolico, ma chiederemo ai vescovi e ai sacerdoti di compiere nelle loro diocesi lo stesso segno in comunione con il Papa perché a tutti possa giungere un segno concreto della misericordia e della vicinanza della Chiesa”.

Momenti di preghiera per i pellegrini
Un’altra prospettiva dell’Anno giubilare riguarderà i tanti pellegrini che giungeranno a Roma singolarmente, senza l’organizzazione di gruppi o movimenti. Per loro saranno individuate alcune chiese del centro storico dove potranno trovare accoglienza, vivere momenti di preghiera e di preparazione per attraversare la Porta Santa.

Sito internet del Giubileo
Per trovare le informazioni ufficiali sull’Anno giubilare è on line il sito www.iubilaeummisericordiae.va, accessibile anche all’indirizzo www.im.va. Al sito web, disponibile in sette lingue (italiano, inglese, spagnolo, portoghese, francese, tedesco e polacco) sono collegati diversi social network (Facebook, Twitter, Instagram, Google Plus e Flickr) con i quali si potrà essere aggiornati sulle iniziative del Santo Padre e seguire in tempo reale tutti gli eventi più importanti.

Anno della Misericordia nato da un moto dello Spirito
Rispondendo ad una domanda di un giornalista, mons. Fisichella ha rivelato quando il Papa gli ha detto di voler indire un Anno Santo della Misericordia:

“Durante una mia udienza privata con il Papa, in cui parlavamo di diverse cose riguardanti la nuova evangelizzazione, il Papa mi disse: ‘Quanto mi piacerebbe un Giubileo della Misericordia!’. Da lì è nato tutto quello che noi oggi sappiamo ed è un pensiero che io ritengo veramente un moto dello Spirito. Era il 29 di agosto"…

La sicurezza durante l’Anno Santo
Al tema della sicurezza durante l’Anno giubilare verrà infine dedicato, prossimamente, uno specifico incontro. Ancora il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: 

“Per quanto riguarda la sicurezza, posso già dire che avremo la prossima settimana una prima riunione bilaterale tra i rappresentanti della Città del Vaticano e rappresentanti dello Stato Italiano. Ma noi abbiamo la sicurezza più grande, che è quella che ci proviene dall’alto e che siamo sicuri sosterrà tutti coloro che sono responsabili per la nostra sicurezza e sosterrà anche tutto l’impegno che abbiamo”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il consiglio di Paolo: Messa a Santa Marta.

Un moto dello Spirito: presentato il giubileo straordinario della misericordia.

Guardare lontano: Ezio Bolis e Angelo Maffeis alla presentazione del volume con gli atti del convegno su Giovanni XXIII e Paolo VI svoltosi due anni fa a Bergamo.

Emilio Ranzato su un genio troppo grande per il cinema: il 6 maggio

1915 nasceva Orson Welles.

Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo "Italia dentro e fuori": in una mostra in due tempi fotografi del Belpaese e stranieri raccontano la storia di una Nazione.

Quattro chilogrammi di storia: Silvia Guidi su cardinali e vescovi tridentini.

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Oggi in Primo Piano



Burundi: sì della Corte al terzo mandato di Nkurunziza

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Non si fermano le proteste a Bujumbura contro il terzo mandato del presidente uscente Pierre Nkurunziza. Secondo la Croce Rossa, almeno tre persone sono rimaste uccise nelle ultime ore a causa degli scontri contro la polizia. Il vicepresidente della Corte Costituzionale Nimpagaritse, è fuggito dal Paese dopo aver denunciato le pressioni da parte della Presidenza sull’emissione di una sentenza favorevole a Nkurunziza. Ma questo giudizio erà già preannunciato? Federica Bertolucci lo ha chiesto a Enrico Casale, giornalista della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

R. – Non era scontatissimo che la Corte Costituzionale approvasse la candidatura per il terzo mandato, però – in effetti – le pressioni su questo organismo dello Stato burundese erano così forti che alla fine la stessa Corte Costituzionale ha ceduto. Mi ha impressionato, questa mattina, leggere la notizia che proprio per sfuggire a queste pressioni di tipo politico il vicepresidente della Corte costituzionale sia addirittura fuggito dal Burundi per non dover prendere una decisione che non condivideva.

D. – Al presidente cosa si contesta precisamente, oltre alla candidatura per un terzo mandato?

R. – Fondamentalmente, la contestazione è quella della ricandidatura. Nkurunziza dice che di fatto sarebbe solamente la seconda ricandidatura, non considerando il primo mandato. Questo tipo di protesta non è tipica solo del Burundi: anche in altri Stati ci sono state contestazioni simili. Penso recentemente al Togo dove – anche in quel caso – si è ricandidato il presidente Faure Gnassingbé tra le proteste dell’opposizione. Ma anche al Burkina Faso, dove lo scorso anno Blaise Compaoré ha cercato di imporsi per un terzo mandato, ma la piazza lo ha costretto a lasciare. Quello che si contesta a questi presidente è l’attaccamento alla carica, l’attaccamento alla poltrona. La società civile e la politica, quella più trasparente e più onesta, non accetta più questi presidenti che una volta insediatisi non vogliono più lasciare il potere. In Africa c’è sempre più una coscienza della necessità di una alternanza al potere e quindi una maggiore democrazia e trasparenza.

D. – L’opposizione ha un candidato leader che possa risultare adeguato alla gestione di una realtà difficile come quella del Burundi…

R. – L’opposizione, in Burundi, è molto frazionata. Non si capisce l’intero problema se non lo si inquadra anche dal punto di vista etnico. Come sappiamo il Burundi – così come il vicino Rwanda – ha una composizione etnica particolare: esiste una maggioranza hutu e una minoranza tutsi. Questa maggioranza hutu, in questo momento, non è compatta; così come non è compatta anche la minoranza tutsi: di conseguenza, per il momento, la situazione politica burundese è assai confusa. Il rischio – il vero rischio – che si corre in Burundi è quello di una protesta, che attualmente non si incanalava su divisione di carattere etnico, che possa deviare su questa caratteristica etnica e quindi possano scoppiare nuovi incidenti e una nuova guerra civile da cui il Burundi è uscito da non molto. Il rischio che questo scontro, che attualmente è uno scontro tipicamente politico, possa trasformarsi in uno scontro etnico dovrebbe preoccupare molto la comunità internazionale, che dovrebbe fare maggiore pressione sul governo burundese affinché si possa avere una transizione politica in senso democratico per prevenire qualsiasi scontro e quindi una possibile tragedia, non dico come quella del Rwanda del 1994, ma una tragedia che potrebbe avere proporzioni abbastanza grandi.

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Immigrazione: l'emozione di far nascere Francesca Marina

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Decine e decine di persone morte per quella che è l’ennesima tragedia del mare. Almeno quaranta migranti sarebbero annegati nel Canale di Sicilia per un incidente avvenuto poco prima delle operazioni di salvataggio. Lo riferisce Save the children, che riporta dichiarazioni di alcuni superstiti. Anche oggi sono state fatte sbarcare sulle coste italiane centinaia di persone, tra Sicilia, Calabria e Campania, due gli scafisti arrestati a Lampedusa e Pozzallo. E proprio a Pozzallo sono state sbarcate, e poi portate in ospedale a Modica, la giovane mamma nigeriana e la sua bimba nata a bordo della nave della Marina militare “Bettica”. Francesca Marina, questo il nome datole dai militari, “Gift” (Dono in inglese) il nome invece scelto dalla madre, è stata aiutata a nascere da Sara Modde, medico del Cisom, il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata: 

R. – E’ il miracolo della natura, della vita. E’ stato tutto molto naturale, in sé. Il problema era la mamma che era malata, quindi dal punto di vista prettamente medico ci ha fatto sudare un po’. Il parto, la nascita è stata abbastanza tranquilla, un po’ faticosa fisicamente pure per noi, però la signora era alla prima gravidanza, quindi è normale.

D. – Per lei, dottoressa, l’emozione qual è stata?

R. – Una grande emozione, anche se in un primo momento io l’emozione tendo a metterla un po’ da parte per mantenere la lucidità per fare quello che bisogna fare. L’emozione viene dopo, tutta insieme. L’emozione è stata quando l’ho portata a Pozzallo, ho portato la mamma e la bambina a Pozzallo per mandarle in ospedale (a Modica - ndr), soprattutto per la mamma perché la bambina veramente era tranquillissima, stava veramente bene, una bellissima bimba. Ogni tanto sorrideva, voleva mangiare poverina, purtroppo non potevamo attaccarla al seno perché la mamma era sotto farmaci e quindi le abbiamo dato qualcosa noi, un po’ di acqua e zucchero, non avevamo niente altro da poterle dare, però, era tanto carina! Quando l’ho presa in braccio, appena è nata, è stata un’emozione. L’abbiamo lavata, avevamo fatto approntare una culletta, c’era anche il fiocco rosa!

D. – E tutto questo aiutati anche dai marinai?

R. – Anzitutto, voglio dire che è stato un team sanitario: io sono il medico di bordo, è vero, però c’era un’ostetrica della Fondazione Rava, l’infermiera della Marina Militare, c’era un infermiere della Croce Rossa militare, insieme a noi c’erano anche un volontario degli elicotteristi e un altro volontario del Battaglione San Marco, che ci hanno aiutato parecchio. Avevamo approntato una zona sanitaria con eventuali kit di emergenza, sia neonatale che per la mamma, grazie a Dio non è servito.

D. – Lei è da ottobre che, a mesi alterni, sta lavorando per l’emergenza migranti con il Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta). A parte l’emozione di questa bellissima storia, immagino che non sia sempre tutto così…

R. – No, in effetti no. Non tanto, purtroppo, per i morti raccolti: sono stata fortunata, non me ne sono capitati moltissimi, devo essere sincera. E’ brutto dirlo, ma quando uno è morto ci si fa il segno della Croce e si mette un po’ in disparte e si pensa ai vivi. Il problema è quando ci sono persone che stanno male, che hanno ingerito acqua, che hanno ingerito carburante, che hanno traumi difficili da trattare: quelli ti impegnano, ti impegnano a fondo, ti impegnano emotivamente. Mi è capitato, una delle mie prime esperienze oltretutto, una donna che era stata violentata prima di partire: era completamente sotto shock e avevamo avuto difficoltà a capire cosa fosse successo. Quello è stato traumatico anche per me. Come dicevo prima, l’emozione, per fortuna e purtroppo, viene tutta dopo, tutta insieme e dopo. Questo ci lascia il tempo di essere lucidi nel momento in cui dobbiamo operare. Però poi ci verrebbe da piangere. Ma è così per tutti, per tutto il personale sanitario ma anche per i militari. Io ho visto fare cose veramente meravigliose, e non solo con i bambini che inteneriscono di per sé. Vorrei ringraziarli, sia la Marina sia la Guardia Costiera, perché veramente fanno un lavoro duro, massacrante, al quale molti di loro non sono stati preparati. E mi può credere: danno il 110%. Posso dire che oltre alla crescita professionale che mi ha dato questa esperienza, mi ha aiutato anche a crescere come persona perché ti dà una visione della vita completamente diversa. Tu li vedi, li prendi, li metti sul ponte di una nave, poi li guardi tutti insieme, in una visione d’insieme, e ti rendi conto di essere nato dalla parte fortunata del mondo. E veramente c’è da ringraziare il Signore. Hanno un coraggio, questi migranti! Le donne che partono incinte, oppure intere famiglie con bambini al seguito, e capisci che dall’altra parte c’è tanta disperazione, perché per fare una cosa del genere vuol dire che non c’è altra scelta, e che l’alternativa è solo la morte. Però, a loro volta vanno incontro alla morte, vanno incontro all’ignoto, partono, molti, senza sapere cosa faranno una volta arrivati. Sono veramente coraggiosi. Sono loro, quelli coraggiosi.

La nascita di Francesca Marina-Gift è stato proprio un “dono” per tutte queste persone che per mesi vivono accanto alle drammatiche sofferenze di chi arriva dal mare. Mauro Casinghini, direttore del Cisom, al microfono di Francesca Sabatinelli: 

R. – Le storie di vita sono uno dei tanti motivi che ci spingono, ovviamente, a continuare in questo nostro estenuante lavoro di soccorso sanitario in mare. Ogni tanto, abbiamo il piacere di assistere a questi bellissimi momenti, che si contrappongono violentemente a tante esperienze di morte che viviamo, purtroppo, spesso, a volte anche quotidianamente.

D. – Negli ultimi giorni, si parla del weekend, sono stati soccorsi e sono stati portati sulle coste italiane circa 6.000 migranti, un numero che cresce sempre più…

R. – Sì, certe volte abbiamo l’impressione di svuotare il mare con il cucchiaio e ci rendiamo conto anche che se non cambia radicalmente la politica in un senso molto più vasto, molto più coinvolgente, in cui vengano affrontati anche altri temi che in questo momento ancora non vengono toccati – e mi viene in mente un piano di cooperazione che abbia un valore per i Paesi da cui originano i flussi – qui rischiamo sempre di mettere "pezze" a una situazione che invece dev’essere affrontata strutturalmente, con una pianificazione non certo all’impronta, e nemmeno con un’ottica di qualche anno, ma con una pianificazione che abbia un’ottica di più anni, dieci, venti, ma anche trenta, se vogliamo cercare di risolvere il problema da qui a un futuro.

D. – Il Cisom non ha mai mancato di manifestare la sua contrarietà all’interruzione dell’operazione “Mare Nostrum”, spiegando sempre che “Triton” non avrebbe mai potuto sopperire alla grande attività di “Mare Nostrum”. Bruxelles sembrava che volesse prendere dei provvedimenti, in realtà, non è stato fatto granché…

R. – In quell’occasione, la montagna ha partorito un topolino perché in realtà triplicare lo sforzo economico a favore di “Triton” significa sostanzialmente triplicare l’altezza della cancellata che comunque l’Europa erge a 30 miglia dalle sue coste, non risolvendo certo il problema dei flussi. Il problema dei flussi non si risolve sicuramente nemmeno con “Mare Nostrum” solamente, che è stata un’operazione di grande soccorso, di grande successo per il numero di persone che sono state soccorse, con i rischi che però sono anche stati giustamente evidenziati, e cioè che un’operazione di questo tipo potesse in qualche maniera favorire, dall’altra parte, i trafficanti di morte che invece non debbono essere assolutamente favoriti. Ecco perché noi sosteniamo che i flussi migratori dall’Africa vanno risolti innanzitutto con iniziative, cioè con qualcosa di nuovo che possa in qualche maniera farci sperare che in un futuro il problema si possa vedere risolto. E poi con un sistema di iniziative che possano in qualche maniera arginare sia il discorso dei naufragi in mare,  e in questo campo, la Guardia costiera, la Guardia di finanza e la Marina ce la stanno mettendo e che la metteranno sempre tutta, ma anche sicuramente il lavoro della diplomazia e di una cooperazione allo sviluppo a livello europeo, che possa intervenire sui Paesi origine dei flussi, creando quantomeno la speranza che questa povera gente possa immaginare un futuro anche a casa propria. E questo possiamo ottenerlo solo con un lavoro deciso da parte della diplomazia europea e con un lavoro di cooperazione allo sviluppo in cui si identifichino le priorità, ovviamente a livello europeo, e anche fondi a livello europeo.

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7 mila bimbi de "La fabbrica della pace" incontrano il Papa l’11 maggio

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7 mila bambini sono attesi, lunedì prossimo 11 maggio, in Vaticano, per parlare con Papa Francesco di pace, amore, accoglienza, integrazione. Sarà il primo evento organizzato da “La fabbrica della pace”, iniziativa lanciata oggi per mobilitare quante più energie possibili - istituzioni, media, organismi ecclesiali, organizzazioni non governative, forze del lavoro e della politica - per costruire “subito e in futuro” un mondo di pace. Presenti all’incontro, ospitato nella sede della Fao a Roma, esponenti della scuola, della politica, della diplomazia e della Chiesa. Il servizio di Roberta Gisotti: 

“Dare anima all’anima” “per educarsi ed educare alla pace” “è un obiettivo irrinunciabile”, si legge nel manifesto de “La fabbrica della Pace”, presentato dalla psicologa Maria Rita Parsi, promotrice - insieme ad altre personalità in vari campi - di questa iniziativa, che parte dai bambini.

R. – Perché i bambini sono il presente e il futuro, e a loro noi dobbiamo consegnare il testimone di un mondo che dev’essere pacificato, perché altrimenti non ce la farà il pianeta a superare i traumi continui. Ormai, lo strazio delle guerre, del consumo che s’è fatto del pianeta, della violenza sono arrivati ad un punto tale - unitamente al mondo virtuale che corre parallelo a quello reale - che se non poniamo delle regole, delle norme, se non troviamo la maniera di essere tolleranti tra noi, di aggregarci, di confrontarci e di dialogare, io credo che non ci sia futuro, veramente, per il pianeta! E dunque non c’è futuro per i bambini, per i preadolescenti e gli adolescenti che oggi sono tra noi.

D. – Perché la scelta della parola “fabbrica”?

R. – Perché la pace si deve costruire mattone dopo mattone e i mattoni di questa fabbrica sono i bambini. Sono la risorsa effettiva del cambiamento. Quelli che possono fare un’autentica rivoluzione del cuore.

D. – Pensate di avere quali alleati, nel costruire questa fabbrica?

R. – Passare per le scuole, anzitutto, quindi per la formazione dei formatori; coinvolgere fondamentalmente chi educa: quindi le famiglie, che vanno coinvolte anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa, e poi naturalmente le istituzioni, cioè tutto quello che gira intorno al sociale, alla politica, al mondo sportivo, al mondo spirituale si deve coinvolgere. Noi facciamo un po’ da punto di riferimento per questa azione sulla pace, che dev’essere un’azione di grande e profondo cambiamento culturale. La gente deve pensare alla pace come deve pensare all’acqua che sta scarseggiando, come deve pensare ad osteggiare la fame che sta avanzando … Cioè, tutte le possibilità di cambiamento e trasformazione passano per il dialogo e la tolleranza, passano per la pace.

E proprio i bambini saranno i protagonisti di una chiaccherata con il Papa, che accoglierà i piccoli scolari nell’Aula Paolo VI, come spiega padre Federico Lombardi, direttore della sala Stampa Vaticana:

R. – Il Papa è sempre contento se può dialogare con loro, se può scherzare con loro, accoglierli … Questo fatto di avere un’iniziativa di educazione che cerca di partire proprio dalla scuola primaria dell’infanzia per ricominciare ad educare alla pace con i metodi adatti, facendo incontrare bambini di condizioni estremamente diverse, di etnie diverse, di religioni diverse, come sono quelli che si trovano in gran parte nella scuola pubblica italiana e in tante situazioni della società italiana: è un’idea importante e speriamo che riesca a creare un movimento che, effettivamente, sia radicato nella realtà di base che è la scuola primaria, per portare frutti di pace man mano che i bambini crescono, con una solidarietà delle istituzioni, delle associazioni e di tutte le persone coinvolte nell’educazione. Il Papa parla di un “patto educativo” tra le famiglie, la scuola, la società; parla di un “villaggio” che è necessario – come dicono gli africani – per educare un singolo bambino, quindi una realtà comunitaria molto ampia per educare, e parla di una cultura dell’incontro che superi ogni distinzione, ogni frontiera, anche di tipo confessionale, per il bene comune della società. Quindi, il Papa può dare un contributo ispiratore molto forte e con una profondissima sintonia, a questo progetto. Speriamo che abbia buoni frutti.

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Dopo il varo dell'Italicum ora tocca alla riforma del Senato

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Il premier italiano, Matteo Renzi, da Bolzano torna oggi a parlare della nuova legge elettorale approvata ieri dalla Camera, assenti le opposizioni. La legge elettorale, ha affermato, non è importante solo perché permette di sapere chi vince le elezioni, ma perché significa non continuare a chiacchierare, “ma fare le cose". Intanto, la Lega nord annuncia di aver già pronta la proposta per un referendum parzialmente abrogativo del testo. L’"Italicum", lo ricordiamo, ha valore solo per la Camera ed entrerà in vigore a partire dal luglio 2016, dopo l’approvazione dell’altra metà delle riforme istituzionali, quella che riguarda il Senato. Sulle ricadute circa la modalità con cui la norma è stata approvata e sull’accusa al Pd di aver voluto una legge “a misura del  vincitore”, Adriana Masotti ha sentito il commento del politologo Paolo Pombeni

R. – Certamente, Renzi ha scelto, come cifra del suo governo, quello del governo – chiamiamolo così – del "fare". Quindi, è chiaro che per lui sarebbe stata una sconfitta difficilmente digeribile quella di non arrivare a termine. Il come, poi, non è stato onestamente determinato da lui, perché quando Renzi ha cercato di fare questa legge in accordo con un pezzo almeno dell’opposizione, su di lui si sono rovesciate contumelie di ogni tipo. Adesso che Forza Italia, dopo avere sostanzialmente accettato questo tipo di legge, si è sfilata con degli argomenti non proprio comprensibili, tutti gli sparano addosso perché lo ha fatto senza l’opposizione. Mi pare una critica un po’ buffa...

D. – Il fatto che questa legge sia stata approvata senza il voto delle opposizioni, pensa che porterà a delle conseguenze? E che sia, come qualcuno dice, una legge fatta a misura del vincitore, anche questo avrà qualche ricaduta?

R. – Tutte le leggi sono fatte a misura di quelli che le fanno. Difficilmente ci sono delle leggi fatte con questo grande spirito di neutralità… Poi, invece, tutte le leggi dimostrano che quello che le ha ideate non sempre porta a casa il risultato. Faccio un esempio. Adesso tutti dicono: “Bene, questa legge è fatta in questa maniera, perché chiaramente l’unico partito che può raggiungere un vasto consenso nei cittadini è il Pd di Renzi”. Questo potrà succedere una volta, una legislatura, due legislature, non è mica detto che duri per sempre… Per esempio, una legge di questo tipo, secondo me, spingerà i 5 Stelle – che sono in questo momento il partito che potrebbe competere nell’eventuale ballottaggio – a ridimensionarsi: se nel ballottaggio vogliono vincere devono, in qualche misura, maturare, diventare un partito – tra virgolette – più capace di prospettive di governo. Quanto al problema dell’accordo con le opposizioni, anche qui teniamo presente una cosa: questa operazione è una operazione di guerriglia parlamentare. Le opposizioni, per esempio, sono uscite dal parlamento per evitare che membri dei loro gruppi, di nascosto, potessero dare qualche voto di sostegno al governo. Questo è vantaggioso? Certo che no. Apre anzi una prospettiva molto pericolosa, perché i numeri sono risicati soprattutto al Senato e quindi ci saranno delle conseguenze. E questa idea della delegittimazione che la minoranza Pd sta facendo verso questa legge e l’operato del governo non porta dei buoni risultati, perché porta a una specie di guerra civile fredda. Quindi, tutto questo avrà delle ricadute e non sono ricadute che sono automatiche perché è stato fatto così, ma viceversa: diventano così perché una parte di forze politiche ha deciso "meglio che muoia Sansone con tutti i Filistei", piuttosto che una politica responsabile.

D. – L’"Italicum" entrerà in vigore solo dal luglio 2016, dopo la riforma del Senato, che si spera – appunto – di portare a casa per quella data. Ed è quindi su questo che adesso si gioca la nuova partita…

R. – Qui, invece, potrebbero esserci delle prospettive interessanti. La riforma del Senato contiene alcune cose e anche queste vengono richieste da 30 anni: la fine del bicameralismo perfetto, il fatto di avere una seconda Camera che non sia la fotocopia della prima…  Poi contiene, a mio giudizio, alcune debolezze: come l’affidare per esempio, in maniera così meccanica ai Consigli regionali la designazione dei futuri senatori… Tutto questo è un discorso che si può aprire. Io personalmente sarei anche dell’idea di ritornare a studiare di avere una certa quota di personalità estratte dalla società civile, come era nella originaria formula dei senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica… Ecco, tutte queste sono delle cose che si possono e che si debbono fare e sulle quali mi pare molto più interessante discutere, piuttosto che perdere tempo con queste lamentele sul carattere presunto antidemocratico dell’"Italicum".

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Consegnati a Mattarella 180 mila "no" al gender nelle scuole

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Sono oltre 180 mila le firme raccolte dalla petizione no-gender “Per una scuola che insegna e non indottrina”. Questa mattina le 41 associazioni promotrici le hanno consegnate al presidente della Repubblica Mattarella. Intanto mentre l’opinione pubblica è concentrata sulle proteste contro la riforma scolastica, domenica scorsa la commissione Cultura della Camera dei Deputati ha approvato un emendamento che introduce “lezioni di parità di genere in tutte le scuole”. Sulla petizione Paolo Ondarza ha intervistato Toni Brandi, presidente di Pro Vita Onlus: 

R. – Le firme che sono state raccolte, in circa due mesi, sono 180 mila 517, cosa che per una petizione nazionale credo non sia mai successa.

D. – Ecco, a questo punto arriveranno nelle mani del presidente Mattarella…

R. – Che certamente - mi spiace dire la verità - è stato quello, delle tre autorità che abbiamo sollecitato (il premier Renzi e il ministro Giannini, ndr.) che ha mostrato maggiore sensibilità al tema. Il presidente ha risposto con una bella lettera, con saluti, e ci augura successo. Una lettera positiva. Mentre gli altri neanche hanno risposto. Sono nove settimane, che noi cerchiamo un appuntamento con il ministro dell’Istruzione Giannini, che ne ha fissati due e poi li ha cancellati. Da Renzi non abbiamo avuto nessuna notizia.

D. – E poco si parla di questo indottrinamento che - denunciate- sta già avvenendo nelle scuole italiane…

R. – Guardi, noi stiamo mettendo insieme un dossier con numerosissimi casi di indottrinamento gender. Produrremo presto anche un video, perché a Milano, a Perugia, a Torino, in moltissime scuole, in moltissimi asili nido soprattutto, i bambini vengono indottrinati sulla teoria gender e su un aperto transessualismo e omosessualismo.

D. – Indottrinamento - denunciate - condotto da organizzazioni Lgbt…

R. – Spieghiamo agli ascoltatori che la sigla sta per Lesbiche, Gay, Transessuali e Bisessuali. Adesso questo indottrinamento è volontario, e le amministrazioni stanno "buttando" milioni e milioni di euro per promuovere queste teorie assurde, ma se passerà il ddl Fedeli, che è ora al Senato, tutto ciò sarà obbligatorio. Il decreto Fedeli vuole derogare 200 milioni di euro a questo fine.

D. – Va ricordato, a questo punto, quanto accaduto domenica scorsa, quando ad insaputa della maggior parte della gente è stato approvato un emendamento dalla settima Commissione della Camera dei Deputati, che introduce lezioni di parità di genere in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Di cosa stiamo parlando?

R. – Dell’applicazione del decreto Fedeli, senza che questo sia stato approvato in pratica.

D. – Nell’enunciato c’è la questione della parità di genere, quindi la lotta agli stereotipi culturali ad ogni forma di discriminazione, di prevaricazione dell’uomo sulla donna. Dietro, però si nasconde anche l’ideologia del gender…

R. – Ma certo, assolutamente. A noi ci dicono sempre: “Guardiamo l’Europa”. Perché non ci raccontano cosa è successo nei Paesi nordici? La Norvegia è il più grande Paese che ha sostenuto, negli ultimi dieci anni, le teorie del gender. Invito tutti gli ascoltatori ad andare su Internet e cercare “il paradosso norvegese”. Adesso hanno tagliato i fondi all’Istituto del genere norvegese - questa è un’azione del governo - perché si sono resi conto che sono delle teorie assurde. Le do un esempio: il prof. Lippa, norvegese, ha intervistato 200 mila persone di 58 culture diverse e in tutti i casi ha trovato che gli uomini vanno verso lavori di meccanica, di tecnica, e le donne verso lavori che riguardano i servizi e le persone. Questi studi dimostrano che uomini e donne sono biologicamente diversi.

D. – Questa è la dimostrazione che non si tratta di stereotipi culturali, quegli stereotipi che la teoria del genere vorrebbe abbattere, in nome di un egualitarismo, che però annulla ogni differenza di natura…

R. – Esatto. E’ lì che si sbagliano, perché gli stereotipi esistono, come no: sono le veline, le donne oggetto, le donne iper-sessualizzate; sono gli uomini, i maschi infedeli e muscolosi con le belle macchine, che portano le giovani a non mangiare, ad avere anoressia ed altre malattie. Questi stereotipi, spinti dai media – la televisione Mtv, per esempio - danneggiano la nostra società e vanno combattuti.

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Età dello stragismo, a Bologna un museo tra storia e memoria

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Un museo della memoria virtuale è stato inaugurato ieri mattina a Bologna per ricordare le stragi degli Anni di piombo in Emilia Romagna. Si tratta di un portale web voluto dall’Associazione dei familiari delle vittime della stazione di Bologna e supportato dall’assemblea legislativa regionale. Un progetto rivolto in particolare alle scuole: a studenti e insegnanti perché la memoria di quei giorni non vada perduta. Per noi c’era Luca Tentori

È stato il decennio della partecipazione civile e delle riforme, ma anche quello delle vittime e dei carnefici». Così scrisse il figlio di Aldo Moro, Giovanni, ricordando gli anni settanta, così ricchi di cambiamenti, ma anche pieni di sangue e di violenza.

Stragismo tra storia e memoria
Da ieri un nuovo sito raccoglie materiale fotografico e video, percorsi di studio e documenti di quelle stragi terribili come alla stazione di Bologna nel 1980 o ai treni Italicus e Rapido 904. Le pagine di www.mappedimemoria.it sono nate perché suoni e sequenze in bianco e nero o a colori ingialliti possano continuare a raccontare, ancora, quella triste storia anche alle giovani generazioni. Così spiega il progetto la storica Anna Venturoli coinvolta nel rapporto con le scuole:

“Andiamo presso la sede dell’Associazione dei familiari delle vittime, ascoltiamo le testimonianze e facciamo la contestualizzazione storica. Questo mettere insieme storia e memoria permette ai ragazzi di immedesimarsi in quello che è successo e capire più a fondo cosa vuol dire una strage e come si reagisce a una strage”.

Bologna, 2 agosto 1980
Stazione centrale di Bologna, nessun luogo in Italia è più simbolico per parlare degli “Anni di piombo”, e proprio lì ieri mattina alcune classi di scuola superiore hanno assistito alla presentazione di mappedimemoria.it:

R. – E’ una cosa molto toccante venire qua in prima persona e vedere il luogo dove è accaduto.

R. – Pensare che la maggior parte delle persone sono venute qui per una coincidenza e si ritrovano una cosa così colpisce.

R. – Quelle persone erano là per salutare i loro familiari e per fare un viaggio dopo il lavoro e all’improvviso scoppia questa bomba… come a dire, i loro sogni sono infranti.

Una storia che cerca spazi
Pagine dolorose per la storia della democrazia italiana, che spesso non trovano spazio nei testi scolastici e diventano così sconosciute ai ragazzi e giovani di oggi. Il nuovo portale cerca di raccontare con la cronaca, di informare con le inchieste giudiziarie, di ricordare con i volti e le testimonianze di chi ha scritto in prima persona, con dolore, gli anni Settanta.

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Settimana sicurezza stradale: in primo piano giovani e bambini

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Ha preso il via la settimana mondiale della sicurezza stradale (4-10 maggio) lanciata dalle Nazioni Unite e dedicata ai più giovani. Ogni giorno infatti si contano 500 vittime solo tra i bambini e gli adolescenti con meno di 18 anni e in tal proposito tra le azioni concrete promosse nella settimana c’è la “Dichiarazione dei bambini per la sicurezza stradale” della campagna “Savekidslives” la quale mira a ridurre la mortalità sulle strade, soprattutto quella giovanile. Fondazione Ania è tra quelle che più ha investito in questo tipo di comunicazione e Federica Bertolucci ne ha intervistato il segretario Generale, Umberto Guidoni

R. - In questa giornata si ricordano gli utenti vulnerabili della strada, quindi i pedoni, i ciclisti, i motociclisti e i bambini in modo particolare, ma si ricorda a tutti che la sicurezza stradale è un valore di civiltà e che una corretta convivenza tra i popoli passa anche nel rispetto delle regole della strada.

D. - Quali sono le misure di sicurezza che non vengono maggiormente rispettate per il trasporto dei bambini in auto?

R. - Nella maggior parte dei casi è il mancato utilizzo dei sistemi di ritenuta che per le diverse età vengono prescritti dal Codice della strada. Innanzitutto l’uso delle cinture di sicurezza posteriori e questo vale sia per i minori che per i maggiorenni: è obbligatorio per legge indossare, legare le persone trasportate anche sul sedile posteriore ad una cintura di sicurezza. Ciò non avviene in Italia e non accade in misura maggiore rispetto a tutti gli altri Paesi d’Europa. Per quanto riguarda invece i bambini è necessario usare un seggiolino. I seggiolini sono prescritti per legge e cambiano a seconda dell’età, del peso e dell’altezza del bambino; quindi è necessario informarsi perché venga utilizzato quello più adatto e soprattutto i bambini che vengono trasportati devono essere legati saldamente ai seggiolini per evitare che poi possano subire delle conseguenze gravi a seguito dell’incidente in quanto non sono legati. Non basta metterli sopra un seggiolino: bisogna legarli adeguatamente!

D. - Le vittime tra i 14 e i 17 anni pagano in prezzo altissimo, una strage che tra le cause vede anche l’uso delle "microcar" che spesso vengono modificate compromettendo la sicurezza.

R. – Si, questo è un tema sul quale noi ci siamo più volte battuti. Noi riteniamo che le "microcar" siano sicuramente dei mezzi che possono garantire una maggiore sicurezza rispetto al motociclo, ma è necessario che vadano alla velocità per la quale sono omologate, in quanto una modifica di questi mezzi ne compromette la sicurezza in caso di incidente con delle conseguenze gravissime. Il Codice della strada, in questo senso, è stato modificato qualche tempo fa, per cui ci sono delle sanzioni sia per chi le modifica sia per i meccanici che le modificano - proprio per cercare di creare un conflitto di interessi che eviti che questo fenomeno si diffonda - ma ancora non si è riusciti a risolvere il problema in maniera sostanziale. Noi però riteniamo che ci sia una maggiore sensibilità su questo e quindi ci auguriamo che questo fenomeno diminuisca sempre di più.

D. - Secondo voi un uso maggiore del trasporto pubblico ridurrebbe l’incidenza degli indicenti stradali?

R. - Certamente misure alternative di mobilità come possono essere come il trasporto pubblico riducono la probabilità di un incidente per una serie di motivazioni: in primo luogo, la riduzione del traffico che favorisce sicuramente una minore circolazione di veicoli provati e quindi una minore probabilità che questi abbiano un urto. In secondo luogo, il trasporto pubblico garantirebbe in maggiore sicurezza il trasporto di più cittadini e quindi eviterebbe anche in questo caso la possibilità che poi si verifichino degli incidenti stradali. Quindi sicuramente il trasporto pubblico in condizioni più adeguate, anche con una diffusione maggiore delle corsi preferenziali all’interno delle città, garantisce una sicurezza stradale maggiore.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nepal: la Chiesa aiuta vittime del sisma nelle aree remote

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“La situazione resta grave ma il sostegno internazionale sta arrivando e la gente sta trovando un po’ di conforto. E’ stato creato un Comitato di coordinamento di tutte le realtà e Ong coinvolte. La Caritas sta aiutando la gente colpita dal sisma del 25 aprile in sette distretti. Stiamo privilegiando le famiglie e i villaggi colpiti nelle aree remote, dove gli aiuti tardano a giungere”: è quanto dice all’agenzia Fides padre Silas Bogati, pro-vicario apostolico del Nepal. 

L’aiuto sta giungendo da ogni parte del mondo
Il sacerdote racconta a Fides: “L’importante è mostrare unità tra tutti i soggetti coinvolti nella solidarietà e coordinare al meglio le opere di soccorso. Oggi i nepalesi sono un po’ più sollevati dal vedere come l’aiuto stia giungendo da ogni parte del mondo. La mobilitazione della comunità internazionale è commovente. Dopo la fase dei soccorsi inizierà quella della ricostruzione. Come Chiesa cattolica siamo inseriti pienamente in quest’opera di vicinanza e carità e portiamo alle persone un annuncio di speranza: la vita non è finita, la speranza vive!”.

La Caritas all'opera nei distretti periferici
Come riferito a Fides la Caritas sta aiutando migliaia di abitanti dei villaggi vicino all'epicentro del sisma, a Gordkha e Sindhupalanchowk e in altri distretti periferici, come Nuwakot, Lamjung, Rasuwa, Dhadhing e Okheldhuga. Grazie alla solidarietà mostrata dalle Caritas presenti in molti Paesi del mondo, decine di camion e merci aviotrasportate sono giunti o sono in viaggio verso il Nepal. (P.A.)

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Terremoto in Nepal: emergenza scuola

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Prendono la via del ritorno le prime squadre di soccorso indiane, dopo la richiesta avanzata ieri dal governo nepalese ai Paesi che hanno risposto generosamente alla chiamata di aiuto ma che hanno anche messo in serie difficoltà la scarsa logistica possibile nel dopo-sisma. La necessità - riferisce l'agenzia Misna - è ora di garantire un livello minimo di sussistenza a centinaia di migliaia di senzatetto in vista dell’avvio della stagione delle piogge fra tre settimane.

1,7 milioni di bambini a forte rischio per la salute
Degli otto milioni di nepalesi coinvolti dal sisma, su 30 milioni complessivi, almeno due milioni avranno bisogno per un periodo di tre mesi di tende, cibo, acqua potabile e medicine. Si calcola che 1,7 milioni di bambini siano in condizioni di forte rischio per la salute nelle aree più colpite e in parte ancora isolate e sono mezzo milione quelli di cui è in corso la vaccinazione contro il morbillo. Si vanno aprendo con gradualità le aree rimaste finora più isolate, soprattutto con i mezzi aerei, inclusi i due elicotteri e i quattro aerei a decollo verticale Osprey di base in Giappone messi a disposizione dall’aviazione militare statunitense.

Oltre 7.300 i morti e 14.500 i feriti
Salito ancora, rispettivamente a 7.335 e 14.500, il numero dei morti e quello dei feriti ma il timore è che le vallate finora isolate o i villaggi aggrappati sui pendii montuosi e spianati da scosse e valanghe potranno restituire un gran numero di cadaveri. Un bilancio aggravato in alcune aree da piogge e anche dalle nevicate dei giorni scorsi. Confermata la scoperta ieri di un centinaio di morti, locali e stranieri, nel villaggio di Langtang, centro di spedizioni di trekking a una sessantina di chilometri a nord della capitale Kathmandu, seppellito da una frana e dove i soccorritori ancora lavorano nella neve alta oltre un metro. Diverse le vittime straniere ritrovate, ma anche molti coloro che erano inizialmente dispersi e poi sono risultati ancora in vita. I cittadini dell’Unione Europea di cui si sono perse le tracce sono ancora una sessantina, ma in parte potrebbero essere ritrovati nei prossimi giorni, come è stato finora per altre centinaia.

La maggior parte delle scuole sono danneggiate
​Tra le molte emergenze del dopo-terremoto, va delineandosi anche quella scolastica. Le autorità hanno previsto la riapertura delle aule il 15 maggio, tuttavia la situazione degli edifici e del personale, le difficoltà di studenti e famiglie lo renderebbe un riavvio almeno dimezzato. Si calcola che siano 575 le scuole distrutte dal terremoto del 25 aprile e dalle scosse di assestamento in 36 distretti sui 75 del Paese. Per i dati del ministero dell’Educazione, altre 969 sono in parte danneggiate. (C.O.)

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Siria: Aleppo, Francescane sfamano cristiani e musulmani

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Ad Aleppo la situazione è drammatica e le sofferenze patite dalla popolazione civile hanno raggiunto livelli di “atrocità inimmaginabili”. Nazione un tempo “mosaico di pace”, in cui “convivevano 23 gruppi etnici e religiosi diversi” - come racconta all'agenzia AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen - la Siria è oggi devastata da una guerra “fomentata dall’esterno”. Tuttavia, in questo quadro di morte e disperazione, violenza e barbarie, restano vivi alcuni elementi di speranza, che rimandano al periodo pre-conflitto. Uno di questi segnali è il Centro delle suore francescane missionarie di Maria, sostenuto da volontari e benefattori cristiani e musulmani, che ogni giorno fornisce cibo e aiuti ad almeno 12mila persone.

Ad Aleppo in un anno uccisi oltre 3.100 civili
In un rapporto diffuso ieri da una Ong internazionale emergono gravissimi episodi di violenza contro i civili nella città di Aleppo, nel nord della Siria. seconda per importanza del Paese. Da un lato, l’esercito governativo avrebbe usato a lungo i barili bomba, causando morti e feriti fra la popolazione. Stime di Amnesty International parlano di 3.124 civili uccisi fra il gennaio 2014 e il marzo 2015. Gli attacchi hanno colpito anche ospedali, mercati pubblici, scuole, stazioni, luoghi di culto. 

La guerra non risparmia chiese, moschee, ospedali o scuole
Interpellato da AsiaNews mons. Georges Abou Khazen conferma che “la situazione è molto difficile, soprattutto per i civili”, contro i quali “stanno usando nuovi razzi e missili mai visti prima”. Proprio ieri, aggiunge, un quartiere della città è stato “oggetto di questi attacchi da parte dei ribelli, molta gente è rimasta sotto le macerie”. A seguire, vi è la risposta dell’esercito governativo e il bilancio si aggrava. “È una guerra assurda - prosegue il vicario apostolico - nessuno è risparmiato, né chiese né moschee, né gli ospedali o le scuole che vengono usate come base per attacchi e sono poi oggetto di rappresaglia”. 

L'integralismo è fonte di rovina e distruzione
“Oggi sono stato in visita ad un istituto, dove forniscono da mangiare alle persone in difficoltà” racconta il vicario apostolico di Aleppo. Esso sorge in centro città ed è “gestito dalle suore Francescane missionarie di Maria”, riceve aiuti da “benefattori cristiani e musulmani”, oltre che da istituzioni e organismi internazionali fra cui la Caritas e la Mezzaluna rossa. “Oggi esso fornisce cibo e aiuti ad almeno 12mila persone, ogni giorno, senza distinguere fra fedeli di Gesù o Maometto” racconta il prelato. “In passato ha aiutato fino a 25mila civli ogni giorno - aggiunge - ed è sostenuto dall’opera di decine di volontari, cristiani e musulmani”. “Questo è lo spirito che animava la Siria prima della guerra - conclude - questo è il pluralismo, questo è ciò che gridiamo al mondo, a chi all’esterno vuole la guerra, contro questo integralismo che è fonte di rovina e distruzione”. 

Sono oltre 200mila le vittime del conflitto
​Dall'inizio della rivolta contro il Presidente Bashar al Assad, nel 2011, oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili per i quali il 2014 è stato l'anno peggiore. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità il sedicente Stato Islamico, che ha strappato ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad. (D.S.)

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Le Chiese d’Europa incontrano Papa Francesco

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“La libertà e le libertà: un approccio cristiano”: sarà questo il tema dell’incontro annuale del Comitato congiunto del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e della Conferenza delle Chiese europee (Cec) che si svolgerà quest’anno a Roma, da domani all’8 maggio, su invito del presidente della Conferenza episcopale italiana e vice-presidente Ccee, il card. Angelo Bagnasco. Nella mattinata di giovedì 7 maggio, informa una nota, i partecipanti saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco ed incontreranno anche l’Ambasciatore della Gran Bretagna presso la Santa Sede, Sir Nigel Baker.

Libertà, diritto fondamentale dell’uomo
“L’approccio cristiano al diritto fondamentale della libertà dell’uomo e della sua applicazione e comprensione a livello sociale e politico in Europa oggi – spiega la nota -  sarà sviluppato a partire dalle tre prospettive confessionali: il punto di vista cattolico sarà introdotto dal card. Bagnasco; il punto di vista protestante sarà presentato della rev. Karin Burstrand, Decana di Gothenburg (Chiesa di Svezia), vice-presidente della Cec, mentre il punto di vista ortodosso sarà introdotto dal rev. Nicolas Kazarian, docente presso l’Istituto di Teologia Ortodossa ‘San Sergio’ e l’Istituto cattolico di Parigi”.  

Previsto intervento del card. Koch
Ulteriori interventi saranno proposti dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, che sarà presente venerdì. Attesi anche il metropolita Emmanuel di Francia, vice-presidente della Cec, che parlerà de “La libertà di espressione e la convivenza civile”  mentre l’arcivescovo Angelo Massafra, vice-presidente del Ccee, darà un contributo su “La voce pubblica delle Chiese all’interno di una società individualizzata”.  Le giornate saranno scandite da momenti di preghiera secondo le varie tradizioni delle confessioni cristiane presenti all’incontro.

8 maggio, presentazione del Messaggio finale
L’evento si concluderà nella mattinata di venerdì 8 maggio con la presentazione dei rapporti delle attività del Ccee e della Cec e l’approvazione di un messaggio, il cui contenuto sarà diffuso lo stesso giorno, durante una conferenza stampa, in programma alle ore 12.00 presso la Radio Vaticana. Vi prenderanno parte  il card. Péter Erdő, presidente del Ccee, ed il vescovo Christopher Hill, presidente della Cec. Da ricordare che il Comitato congiunto Ccee-Cec è stato istituito nel 1972 ed ha come compito la supervisione della cooperazione fra i due organismi. Esso comprende, oltre ai segretari generali dei due enti, sette membri della Cec e sette membri nominati dal Ccee. (A cura di Isabella Piro)

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Primate d'Irlanda: no a ridefinizione costituzionale del matrimonio

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Modificare la definizione tradizionale del matrimonio quale unione tra un uomo e una donna “non è una questione banale, è una rottura con la storia umana e con la natura stessa di questa istituzione”. Il Primate d’Irlanda mons. Eamon Martin interviene nuovamente sul referendum con cui il 22 maggio i cittadini irlandesi saranno chiamati ad esprimersi sulla modifica costituzionale che aprirebbe la strada alla legalizzazione delle nozze omosessuali.

Il matrimonio è molto più che una relazione d’amore tra persone
Lo fa con un messaggio diffuso il 2 maggio in cui ribadisce le ragioni dei vescovi contro la modifica. Ragioni che, come riaffermato dal Sinodo straordinario sulla famiglia, hanno a che fare con la natura intrinseca del matrimonio e non dettate da un atteggiamento discriminatorio verso le persone omosessuali, che la Chiesa rispetta. “E’ la natura che ci dice che le unioni tra persone dello stesso sesso sono fondamentalmente e oggettivamente diverse dall’unione complementare tra un uomo e una donna per loro stessa natura aperte alla vita”. In questo senso “il matrimonio è molto più che una relazione d’amore tra due adulti consenzienti”.

In gioco anche la libertà di coscienza
Ma in gioco con il referendum – avverte mons. Martin - è anche la libertà di coscienza e quindi la libertà di esprimere pubblicamente i propri valori e ciò in cui si crede.  Ciò che preoccupa l’arcivescovo è la situazione in cui si possono trovare i credenti se parlano del matrimonio tra un uomo e una donna, o della differenza tra i due sessi: “Se la società adotta e impone una ‘nuova ortodossia’ del matrimonio ‘gender-neutrale’ definendolo semplicemente come unione tra due persone - uomo e uomo o donna e donna - sarà poi sempre più difficile parlare o insegnare in pubblico il matrimonio come tra un uomo e una donna”. A questo proposito mons.  Martin pone alcuni interrogativi: “Ci saranno azioni legali nei confronti di individui o gruppi che non condividono questa visione? Che cosa dovremmo a questo punto insegnare ai bambini a scuola sul matrimonio o sugli atti omosessuali? Saranno costretti ad agire contro la loro fede e la loro coscienza coloro che continuano a credere sinceramente che il matrimonio è una unione tra un uomo e una donna?”.

Non avere paura di difendere il matrimonio tradizionale
Il messaggio conclude quindi con un invito a riflettere e pregare prima di andare al voto il 22 maggio. “Non abbiate paura – è l’esortazione finale - a parlare con coraggio in difesa dell’unione matrimoniale tra un uomo e una donna”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Card. Maradiaga visita i migranti centroamericani detenuti a Dilley

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L'arcivescovo di Tegucigalpa, il card. Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, si è recato a San Antonio, Texas, per incontrare l'arcivescovo di questa città, mons. Gustavo García Siller, al fine di conoscere direttamente la situazione di centinaia di migranti, soprattutto messicani e centroamericani, fermati dalle autorità. Nel gruppo c'è anche un gran numero di honduregni che si trovano nel più grande Centro di detenzione degli Stati Uniti, a Dilley, nei pressi di San Antonio.

I migranti fuggono da situazioni di violenza e povertà
Nel corso di una conferenza stampa dopo la visita al Centro di detenzione, effettuata lo scorso fine settimana insieme all'arcivescovo Garcia Siller, il card. Rodriguez Maradiaga ha parlato della situazione che spinge i connazionali honduregni come altre persone di Paesi come il Guatemala e El Salvador a tentare di emigrare negli Stati Uniti. Nella regione infatti "ci sono situazioni di violenza e situazioni di povertà che hanno portato all'esodo in massa di queste persone" ha spiegato il cardinale, che è anche presidente di Caritas Internationalis. Inoltre ha detto alla stampa che la sua visita servirà anche per riferire al Santo Padre della situazione, adesso che si programma la visita di Papa Francesco negli Stati Uniti.

In aumento il numero di bambini migranti non accompagnati
La nota pervenuta a Fides ricorda che l'estate dello scorso anno il confine tra Stati Uniti e Messico ha visto un aumento allarmante del numero di bambini e adolescenti che viaggiano soli, non accompagnati da un adulto, per cui si è parlato di “crisi umanitaria”. Molti di questi minorenni sono ancora nel Centro di Dilley e il cardinale è riuscito a parlare con qualcuno di loro, perché sono sotto la custodia e assistenza della Chiesa cattolica di San Antonio. (C.E.)

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Vietnam: migranti, priorità della Chiesa contro la tratta

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Il fenomeno della migrazione interna e all’estero acquista una rilevanza sempre maggiore in Vietnam; anche i vescovi nella prima Assemblea annuale, che si è tenuta a Saigon, hanno affrontato la questione aprendo un tavolo di discussione e confronti. La Chiesa locale - riporta l'agenzia AsiaNews - sta cercando “risposte” alle sfide che si fanno sempre più numerose; tuttavia, attraverso il presidente della Commissione Giustizia e Pace i vertici cattolici chiariscono che essa investe “le più alte cariche dello Stato” e, in particolare, “gli organismi preposti alla difesa dei viaggiatori” e quanti si battono contro la tratta di vite umane. Perché pur essendo “un fenomeno recente”, oggi riguarda migliaia di cittadini, uomini e donne, spesso vittime di violenze e abusi. 

La prima, grande migrazione risale al 1954
Nell’Assemblea, mons. Joseph Nguyên Chi Linh, responsabile della Commissione episcopale sui migranti, ha illustrato il problema posto dagli sfollati interni e da quanti scelgono l’estero in cerca di lavoro. Quello della migrazione in Vietnam, ha spiegato il prelato, è un fenomeno piuttosto recente: la prima, grande migrazione risale al 1954, con la fuga verso sud di un milione di vietnamiti all’indomani degli accordi di Ginevra che hanno diviso il Paese in due blocchi. 

Dal 1975 la fuga dei boat people
In seguito altri fenomeni migratori si sono verificati nell’aprile 1975, con la fine della guerra e la presa del potere da parte del Nord. Da qui la fuga dei boat-people, i clandestini a bordo di imbarcazioni di fortuna. Con numeri che variano da uno a cinque milioni, a seconda delle fonti. E ancora, i moltissimi migranti interni - dalle campagne alle grandi città - e gli espatriati degli ultimi decenni - prima nell’ex blocco sovietico, oggi in Malaysia, a Taiwan, o nei Paesi del Golfo come Qatar e Arabia saudita - per questioni economiche o in cerca di lavoro. 

Migranti vittime di sfruttamento e di tratta
In un’intervista a Radio Free Asia (Rfa) il vescovo di Vinh mons. Paul Nguyên Thai Hop, presidente della Commissione di Giustizia e Pace della Chiesa vietnamita, ha analizzato a fondo il tema della migrazione ed elencato le situazioni di maggiore criticità. Il presule stesso è stato testimone del “dramma vissuto dai migranti”, in particolare di quanti sono espatriati in cerca di un lavoro. Molti sono stati oggetto di scambio, posti in condizione di semi-schiavitù; le donne sfruttate per sesso o date in spose a uomini senza scrupoli. “La situazione di quanti vanno all’estero - puntualizza - resta tragica”. Fra questi le donne del delta del Mekong, che emigrano per sposarsi e diventano vere e proprie “serve” nelle famiglie di accoglienza; per alcune la situazione è così disperata da spingersi fino al suicidio. E ancora, i migranti vittime della tratta di vite umane. 

Le autorità chiamate a tutelare gli interessi dei migranti            
“La Commissione per la pastorale dei migranti collaborerà con le altre commissioni per trovare risposte alle problematiche di maggiore attualità. Problemi che riguardano le più alte cariche del Paese - conclude il prelato - E in particolar modo gli organismi a tutela degli interessi dei lavoratori migranti”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 125

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.