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Sommario del 06/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: gli sposi si amino con coraggio come Cristo ama la Chiesa

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“Ci vuole coraggio per amarsi così come Cristo ama la Chiesa”. E’ uno dei passaggi più significativi della catechesi di Papa Francesco all’Udienza generale dedicata alla bellezza del matrimonio cristiano. Il Pontefice, parlando ad una Piazza San Pietro gremita di fedeli nonostante il caldo, ha sottolineato che la famiglia è corresponsabile della vita familiare, delle sue riuscite come dei suoi fallimenti. Prima dell’Udienza generale, Francesco ha avuto un incontro con un gruppo di bambini ammalati a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Molto di più di “fiori, abito e foto”, il matrimonio è un sacramento non solo una cerimonia. Papa Francesco ha esordito così la sua catechesi dedicata alla bellezza del matrimonio cristiano e subito ha osservato, riprendendo San Paolo, che “l’amore tra i coniugi è immagine dell’amore tra Cristo e la Chiesa”. “Una dignità impensabile”, commenta il Papa che aggiunge come questa analogia per quanto “imperfetta” abbia un “senso spirituale” “altissimo e rivoluzionario”, ma al tempo stesso “alla portata di ogni uomo e donna che si affidano alla grazia di Dio”.

Amare la propria moglie come Cristo ama la Chiesa
Quindi, si è rivolto direttamente ai mariti presenti in Piazza San Pietro ricordandogli che, come si legge nella Lettera agli Efesini, devono amare la moglie “come il proprio corpo”:

“Ma voi mariti che siete qui presenti capite questo? Amare la propria moglie come Cristo ama la Chiesa. Questi non sono scherzi, è serio! L’effetto di questo radicalismo della dedizione chiesta all’uomo, per l’amore e la dignità della donna, sull’esempio di Cristo, dev’essere stato enorme, nella stessa comunità cristiana”.

Chiesa è coinvolta nella storia di ogni matrimonio
“Questo seme della novità evangelica, che ristabilisce l’originaria reciprocità della dedizione e del rispetto – ha osservato – è maturato lentamente nella storia, ma alla fine ha prevalso”. Francesco ha così sottolineato che il Sacramento del matrimonio è “un grande atto di fede e di amore”. La Chiesa stessa, ha soggiunto, “è pienamente coinvolta nella storia di ogni matrimonio cristiano: si edifica nelle sue riuscite e patisce nei suoi fallimenti”.

“Ma dobbiamo interrogarci con serietà: accettiamo fino in fondo, noi stessi, come credenti e come pastori anche, questo legame indissolubile della storia di Cristo e della Chiesa con la storia del matrimonio e della famiglia umana? Siamo disposti ad assumerci seriamente questa responsabilità, cioè che ogni matrimonio va sulla strada dell’amore che Cristo ha con la Chiesa ? E’ grande questo!”

Il matrimonio cristiano ha una dimensione missionaria
“La decisione di sposarsi nel Signore – ha detto ancora – contiene anche una dimensione missionaria”, “infatti gli sposi cristiani partecipano in quanto sposi alla missione della Chiesa”.

“E ci vuole coraggio per questo, eh! Per questo quando io saluto i novelli sposi, dico: ‘Ecco i coraggiosi!’, perché ci vuole coraggio per amarsi così come Cristo ama la Chiesa. La celebrazione del sacramento non può lasciar fuori questa corresponsabilità della vita familiare nei confronti della grande missione di amore della Chiesa. E così la vita della Chiesa si arricchisce ogni volta della bellezza di questa alleanza sponsale, come pure si impoverisce ogni volta che essa viene sfigurata”.

La Chiesa ha bisogno della fedeltà degli sposi
“La Chiesa, per offrire a tutti i doni della fede, dell’amore e della speranza – ha dunque affermato – ha bisogno anche della coraggiosa fedeltà degli sposi alla grazia del loro sacramento!” Ed ha ribadito che la rotta è segnata “per sempre, è la rotta dell’amore”.

“Uomini e donne, coraggiosi abbastanza per portare questo tesoro nei ‘vasi di creta’ della nostra umanità, sono - questi uomini e queste donne, che sono così coraggiosi - sono una risorsa essenziale per la Chiesa, anche per tutto il mondo! Dio li benedica mille volte per questo!”

Al momento dei saluti ai pellegrini, Francesco ha rivolto un cordiale saluto all’Istituto “Maestre Pie Filippini” di Roma, all’associazione l’Ora di Gesù di Taranto e al Liceo classico “Duni” di Matera nel 150.mo di attività didattica. Come sempre infine, un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e ai nuovi sposi, affidati alla Vergine, in particolare in questo mese mariano di maggio appena iniziato.

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Papa: umanità promuova pace imparando da errori II Guerra Mondiale

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Al termine dell’udienza generale il Papa ha lanciato un appello per la pace in occasione del 70.mo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. Queste le sue parole: 

“Nei prossimi giorni sarà commemorato in alcune capitali il 70.mo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa. In tale occasione affido al Signore, per intercessione di Maria Regina della Pace, l’auspicio che la società umana impari dagli errori del passato e che di fronte anche ai conflitti attuali, che stanno lacerando alcune regioni del mondo, tutti i responsabili civili si impegnino nella ricerca del bene comune e nella promozione della cultura della pace”.

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La Chiesa avrà presto 3 nuovi Santi, Venerabili due sposi italiani

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La Chiesa avrà presto 3 nuovi Santi e 3 nuovi Beati. Nel pomeriggio di ieri, Papa Francesco ha ricevuto il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il dicastero a promulgare i relativi Decreti. Sette i nuovi Venerabili: tra di essi una coppia di sposi italiani. Il servizio di Sergio Centofanti

Il 23 settembre la canonizzazione di fra Junípero Serra
Tra i prossimi Santi c’è fra Junípero Serra, frate minore spagnolo, apostolo della California nel XVIII secolo, che il Papa canonizzerà il 23 settembre prossimo durante il suo viaggio negli Stati Uniti. Nel suo caso il Pontefice ha approvato la sentenza affermativa della Sessione ordinaria dei cardinali e vescovi membri della Congregazione.

Tra i Santi, don Vincenzo Grossi e Maria dell’Immacolata Concezione
Saranno Santi anche il sacerdote cremonese Vincenzo Grossi, fondatore dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio (Pizzighettone 9 marzo 1845 - Vicobellignano il 7 novembre 1917) e Maria dell’Immacolata Concezione (al secolo: Maria Isabella Salvat Romero), superiora generale delle Suore della Compagnia della Croce (Madrid 20 febbraio 1926 - Siviglia 31 ottobre 1998). Don Vincenzo fu per tutti esempio di amore nella povertà. Esortava a vivere il Vangelo nella gioia senza mai lamentarsi. Maria dell’Immacolata Concezione, pur essendo superiora generale cercava per sé i lavori più umili. Il suo ideale era quello di lavorare tanto senza apparire, contribuendo a creare una clima di fiducia e serenità.

Beati due martiri in Laos e un parroco italiano
Tra i Beati figurano due giovani martiri in Laos: il missionario oblato italiano Mario Borzaga e il catechista laico Paolo Thoj Xyooj, laotiano, uccisi in odio alla fede nel 1960. Il primo aveva 27 anni, il secondo 19. Padre Borzaga voleva raggiungere tutti per portare il Vangelo dell’amore: “non c’è più nulla da fare che credere e amare”, diceva. Sarà Beato anche don Giacomo Abbondo (Salomino 27 agosto 1720 - Tronzano 9 febbraio 1788). Don Abbondo è stato un parroco di campagna innamorato di Dio: ha speso la sua vita ad aiutare i parrocchiani a riscoprire la bellezza e la bontà di Dio.

Venerabili due sposi italiani, Sergio Bernardini e Domenica Bedonni
Infine, tra i nuovi Venerabili Servi di Dio c’è una coppia di sposi italiani, Sergio Bernardini (Sassoguidano 20 maggio 1882 - Verica 12 ottobre 1966) e Domenica Bedonni (Verica 12 aprile 1889 - Modena 27 febbraio 1971). Contadini nelle montagne del Modenese, educarono ad una fede semplice e all’amore per i poveri i loro 10 figli: 6 divennero religiose e due frati cappuccini: uno di essi sarà vescovo a Smirne, mons. Germano Bernardini. Un figlio adottivo nigeriano diventerà vescovo nel suo Paese. Intenso il testamento spirituale di Domenica che così esortava i figli: vi chiedo che siate santi e abbiate coraggio nella sofferenza. A Dio diceva:”Me li avete dati, Signore, io ve li ho allevati, ma sono vostri, benediteli!”.

Gli altri nuovi Venerabili sono: Giacinto Vera, Vescovo di Montevideo; nato al largo dell'Oceano Atlantico il 3 luglio 1813 e morto a Pan de Azúcar (Uruguay) il 6 maggio 1881; Antonio Antié, Sacerdote professo dell'Ordine dei Frati Minori; nato a Prvic-Sepurine (Croazia) il 16 aprile 1893 e morto a Zagabria (Croazia) il 4 marzo 1965; Giulia Colbert in Falletti di Barolo, Laica, Vedova e Fondatrice della Congregazione delle Figlie di Gesù Buon Pastore; nata a Maulévrier (Francia) il 26 giugno 1786 e morta a Torino (Italia) il 19 gennaio 1864; Brigida Maria Postorino, Fondatrice dell'Istituto delle Figlie di Maria Immacolata; nata a Catona di Reggio Calabria (Italia) il 19 novembre 1865 e morta a Frascati (Italia) il 30 marzo 1960; Raffaela Maria di Gesù Ostia (al secolo: Raffaela Martínez-Cavavate Ballesteros), Monaca professa dell'Ordine delle Cappuccine di Santa Chiara; nata a Maracena (Spagna) il 31 marzo 1915 e morta a Chauchina (Spagna) il 29 maggio 1991.

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Raul Castro dal Papa domenica mattina

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Domenica 10 maggio, nel corso della mattina, Papa Francesco riceverà in forma strettamente privata il Presidente della Repubblica di Cuba, Raul Castro Ruz. L’incontro avrà luogo nella Studio del Papa presso l’Aula Paolo VI. Lo ha confermato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Come sappiamo - ha sottolineato il portavoce vaticano - il Presidente Castro ha ringraziato pubblicamente il Papa per il ruolo da lui avuto nel riavvicinamento fra Cuba e gli Stati Uniti d’America e il Papa si recherà a settembre nell’Isola caraibica prima di passare negli Stati Uniti.

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Giuramento delle Guardie Svizzere. Parolin: è una missione

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Il Papa ha salutato all’udienza generale anche le famiglie delle 32 nuove Guardie Svizzere in occasione del giuramento, nel pomeriggio, nel Cortile di San Damaso in Vaticano, giorno in cui si commemora la morte di 147 soldati elvetici caduti in difesa del Papa nel Sacco di Roma, nel 1527. Stamani il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha celebrato una Messa in San Pietro per l'evento: “Compito della guardia - ha detto nell'omelia - non è un mestiere, ma una missione, non un lavoro, ma una vocazione”. Il porporato ha incoraggiato le nuove Guardie Svizzere a non accontentarsi “delle cose mediocri, effimere” e ad impegnarsi “con l’entusiasmo dei giovani per le cose grandi, vere, per il Signore, che è la sorgente e il fondamento di tutto”.

“Prestando il vostro prezioso servizio – ha quindi aggiunto il porporato – non  contano solo le vostre capacità e competenze, pure importanti. Il fondamento portante, la base, è la fede nella presenza e nell’aiuto del Signore, solo con Cristo il servizio porta crescita e da frutto, altrimenti sarebbe un funzionamento da macchina senza vita senza crescita e senza futuro”. Nel pomeriggio il solenne giuramento delle 32 nuove guardie sulla bandiera del corpo davanti a mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Tra  di loro 24 sono di lingua tedesca, 7 di lingua francese e uno di lingua italiana.

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Rinunce e nomine

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In Brasile, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santos, presentata da Mons. Jacyr Francisco Braido, C.S., per sopraggiunti limiti d’età. Gli succede S.E. Mons. Tarcísio Scaramussa, S.D.B., finora vescovo Coadiutore della medesima diocesi. Sempre in Brasile, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Iguatu Mons. Edson de Castro Homem, finora vescovo titolare di Muzia ed ausiliare di São Sebastião do Rio de Janeiro. Il Santo Padre ha inoltre nominato vescovo della diocesi di União da Vitória (Brasile) Mons. Agenor Girardi, M.S.C., finora vescovo titolare di Fornos maggiore ed ausiliare dell’arcidiocesi di Porto Alegre.

In Spagna il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Santander Mons. Manuel Sánchez Monge, trasferendolo dalla Sede di Mondoñedo-Ferrol.

Nella Repubblica Democratica del Congo, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Kole  il Rev.do P. Emery Kibal Mansong’loo, C.P., già Superiore Provinciale dei Padri Passionisti nella Repubblica Democratica del Congo.

Nelle Filippine, il Papa ha nominato Vicario Apostolico di Bontoc-Lagawe, nelle Filippine, il Rev.do Valentin Cabbigat Dimoc, Direttore del Centro per l’Azione Sociale e lo Sviluppo del medesimo Vicariato Apostolico, assegnandogli la sede titolare vescovile di Bapara.

Il Santo Padre ha nominato Membri della Congregazione per la Dottrina della Fede mons. Roland Minnerath, arcivescovo di Dijon (Francia) e mons. Anthony Colin Fisher, O.P., arcivescovo di Sydney (Australia).

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina in apertura, "Lezione di storia"; nell’anniversario della fine della seconda guerra mondiale in Europa il Papa lancia un appello per la pace. E nella catechesi dell’udienza generale elogia il coraggio degli sposi cristiani.

Di spalla, sempre in prima pagina, "Rotta su Cuba. Riprendono i collegamenti".

Sotto, "Cimitero delle acque. Quaranta migranti morti nel Canale di Sicilia mentre continuano gli sbarchi".

A pagina 4, "Bussola di valori civili. Settant’anni fa usciva il «Codice di Camaldoli» di Michele Dau.

Sempre in cultura, a pagina 5, "L’ansia buona di Roncalli e Montini. Giovanni XXIII e Paolo VI secondo Pietro Parolin" di Silvia Guidi e "Nuovo umanesimo. Le religiose come risorsa per una rivoluzione culturale" di Grazia Loparco.

In ultima pagina, " Il sacramento dei coraggiosi"; il Papa, all’udienza generale di mercoledì 6 maggio in Piazza San Pietro, ha paragonato il legame tra marito e moglie a quello tra Cristo e la Chiesa.

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Oggi in Primo Piano



Siria. P. Pizzaballa: situazione tragica, gente cerca di farsi forza

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Sempre più drammatica la situazione in Siria, soprattutto nel Nord-Est. Amnesty International parla di crimini contro l’umanità  per la regione di Aleppo, giornalmente colpita da bombardamenti, raid, stragi e torture. L’Onu porta avanti febbrilmente tentativi di dialogo tra le parti in conflitto, ma rimane l’incognita del ruolo del sedicente Stato Islamico. Sul momento drammatico che i cristiani siriani e le altre comunità stanno vivendo, Giancarlo La Vella ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, appena rientrato da una visita in Siria: 

R. – Tragico, drammatico! Colpisce tutti, cristiani e musulmani, ma – bisogna riconoscerlo, ahimè – in modo particolare i cristiani e le altre minoranze e questo spesso soprattutto ad Aleppo: una città ormai massacrata, con una periferia totalmente distrutta, totalmente priva di elettricità e di acqua, anche con scarsità di viveri e con bombardamenti continui, soprattutto sui quartieri cristiani, anche se non solo su di loro…

D. – Come la gente cerca di portare avanti una vita che, sicuramente, non si può dire normale?

R. – In questa circostanza parlare di vita “vivibile” è certamente difficile… Naturalmente poi la vita deve sempre prevalere. Molti hanno cercato di andarsene, soprattutto dalla città di Aleppo verso Latakia e Tartus o fuori della Siria… Chi è restato – e sono soprattutto i poveri! – cerca di aiutarsi, l’uno l’altro, come può. Ad esempio, diverse sono le famiglie che, rimaste senza casa perché distrutta dai bombardamenti, sono state accolte da altre famiglie povere che vivevano in situazioni – anch’esse – molto precarie, ma che sono state capaci di essere solidali. Poi nelle chiese – quelle che ancora funzionano, perché molte sono distrutte, come quella ortodossa, quella armena, quella maronita, quella siriaca – tutti si ritrovano insieme. Cercano di starsi vicino, gli uni gli altri: quando non si può fare molto, si cerca di sostenersi moralmente a vicenda. E questa è una testimonianza che ho potuto constatare personalmente.

D. – Il pericolo viene dalla guerra civile in sé o anche delle scorribande del cosiddetto Stato Islamico?

R. – C’è un po’ di tutto… Naturalmente la paura principale, soprattutto per la zona di Aleppo, al Nord quindi, è l’espansione dello Stato Islamico, ma anche di al-Nusra, che sarebbe poi affiliato ad al Qaeda, e che pare si siano alleati… La domanda che tutti si facevano non era tanto sui bombardamenti, ai quali ahimè – e non voglio sembrare cinico – si erano un po’ abituati, ma su che cosa potrebbe succedere se arrivasse lo Stato Islamico. Si chiedono: “Che ne sarà di noi?”.

D. – Prevale lo sconforto e il dolore o lei ha notato che c’è ancora un filo di speranza?

R. – Lo sconforto è tanto e c’è anche tanta paura. Ma vedo che soprattutto i giovani sono molto determinati – quelli che sono rimasti – ad aiutarsi, a sostenersi, a fare qualcosa… Insomma a non lasciarsi prendere dalla sconforto, anche se – ripeto – la situazione è veramente drammatica e la paura è ancora tanta.

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Gb: elezioni politiche, appare difficile formazione governo

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Ultime battute della campagna elettorale in Gran Bretagna, dove domani circa 45 milioni di elettori sono chiamati alle urne per le consultazioni politiche che rinnoveranno la Camera dei Comuni, con un sistema elettorale uninominale maggioritario a turno unico. Oltre 3.900 candidati stanno chiudendo i loro comizi in 650 circoscrizioni del Paese. Nei sondaggi, i conservatori del premier David Cameron e i laburisti di Ed Miliband sono testa a testa: l'ultimo rilevamento, della Populus, li dà entrambi al 34%, con gli euroscettici dell’Ukip al 13% e i liberaldemocratici al 10%. Si profila dunque un risultato che renderebbe difficile per qualunque dei partiti tradizionali formare un governo. Giada Aquilino ne ha parlato con Antonio Villafranca, responsabile del programma Europa dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale: 

R. - Si profila un risultato che potrebbe essere in termini numerici, cioè di numero di seggi, il più difficile dal Secondo Dopoguerra. I casi di cosiddetto “hung Parliament” - di “Parlamento appeso” - cioè il caso in cui non si riesca, dopo l’esito delle urne, a formare un governo, sono pochissimi nel secondo dopoguerra. Un primo caso c’è stato nel 1974 con i laburisti, con James Harold Wilson, e il secondo caso è quello più vicino a noi, nel 2010, con Cameron che si è dovuto poi alleare con i liberali. Questa volta la situazione è ancora peggiore, perché i risultati attesi sono intorno al 34% sia per i conservatori sia per i laburisti. Quindi il rischio effettivamente che non si riesca a formare un governo è obiettivamente molto alto.

D. – C’è dunque il rischio della tanto temuta paralisi istituzionale?

R. – Si potrebbe creare appunto un governo di minoranza e poi, da qui a qualche mese, tornare alle urne. Paradossalmente, quello che potrebbe accadere è che, dopo una prima verifica di eventuali alleanze per creare un governo da parte dei conservatori, si possa passare ai laburisti, che potrebbero avere invece maggiori probabilità di creare una coalizione. Perché, ad esempio, gli stessi liberali sono degli alleati naturali dei laburisti e non dei conservatori, com’è oggi. Ma anche lo Scottish National Party, che potrebbe avere circa 50 seggi, potrebbe essere un altro naturale alleato dei laburisti. Quindi probabilmente si inizierà dai conservatori, ma sarebbe più probabile, in termini della creazione di un governo, che i laburisti ci possano riuscire.

D. – È vero poi che Miliband penserebbe a una coalizione con i liberaldemocratici per non dover sottostare in seguito alle richieste del partito scozzese?

R. – Questo sicuramente. Come dicevo, i liberali sono i più naturali alleati dei laburisti, ma in termini numerici comunque non ce la farebbero. Se quello che dicono i sondaggi risulterà vero, anche con i liberali i laburisti arriverebbero a circa 300 seggi. Sono necessari 326 seggi per formare un governo: quindi in ogni caso loro non ci arriverebbero senza appunto gli scozzesi.

D. – Il vincitore annunciato appare allora il partito indipendentista scozzese: potrebbe diventare il terzo partito del Paese?

R. -  È sicuramente il vincitore annunciato per il fatto che, rispetto ad esempio alle precedenti tornate elettorali, ruba moltissimi seggi ai laburisti.

D. – I Tories di Cameron possono contare su alcuni successi del premier in campo economico. C’è disoccupazione bassa e la Gran Bretagna è un Paese più o meno uscito indenne dalla crisi: questo può bastare?

R. – Non può bastare, perché c’è un altissimo malcontento in Gran Bretagna per alcune decisioni prese da Cameron, magari in alcune parti assolutamente comprensibili data la crisi che c’è stata negli anni precedenti. Però il taglio forte che è stato fatto alla spesa pubblica, le riforme che sono state fatte sul sistema sanitario e soprattutto una crescente disuguaglianza dei redditi in Gran Bretagna sono ovviamente degli argomenti formidabili nelle mani delle varie opposizioni.

D. – Tra l’altro, se vincessero i conservatori, dovrebbero realizzare come promesso il referendum sul mantenimento della Gran Bretagna nell'Unione Europea…

R. – Sì, questa è la promessa fatta da Cameron. Paradossalmente, in realtà, per chi volesse invece la Gran Bretagna ancora dentro l’Unione Europea, ci si dovrebbe proprio augurare la vittoria di Cameron. Perché, se Cameron vincesse, inevitabilmente poi andrebbe ad una negoziazione con l’Unione Europea per rivedere i trattati; e poi - dopo una piccola revisione dei trattati - potrebbe fare campagna elettorale per il “sì” insieme ai laburisti. Mentre, se vincessero i laburisti, il rischio che poi questi vengano costretti in qualche modo a indire un referendum farebbe sì che i conservatori invece facessero campagna contro l’adesione all’Unione Europea. E quindi in questo caso, paradossalmente, le probabilità di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sarebbero più alte.

D. – Gli euroscettici e anti-immigrazione dell’Uk Indipendence Party (Ukip) sono cresciuti negli ultimi anni. Alle europee avevano avuto un 27%, ora i sondaggi li danno al 13. Che aspettative ci sono?

R. – Nelle europee, la filosofia del voto da parte del cittadino britannico è stata completamente diversa: era contro le politiche del governo e soprattutto sulla scia del tradizionale euroscetticismo britannico. Ma anche si votava col proporzionale. E, siccome invece adesso si voterà con il sistema maggioritario a collegi uninominali, com’è tradizione britannica, in realtà a prescindere dal fatto che possano prendere un 12, 13, 15% è molto improbabile che abbiano più di 3-4 seggi.

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Nepal. Mons. Bressan: Caritas Italia in prima linea per gli aiuti

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In Nepal continuano tra mille difficoltà le operazioni di soccorso per i sopravvissuti del terremoto. Oltre 7500 i morti, ma ancora migliaia le persone che risultano disperse. Molte Organizzazioni non governative lanciano l'allarme, per il rischio che decine di migliaia di ragazze delle zone devastate dal sisma possano essere prelevate da persone che si spacciano per soccorritori e avviate alla prostituzione in Asia meridionale. Per domenica 17 maggio, la Cei ha indetto una raccolta di denaro in tutte le parrocchie, da destinare ai terremotati nepalesi. Federico Piana ne ha parlato con il presidente di Caritas Italia, mons. Luigi Bressan, arcivescovo metropolita di Trento: 

R. – E' un disastro immenso! La Caritas Italiana ha stanziato subito 100 mila euro in appoggio proprio della Caritas nepalese, affinché potesse operare. Altri doni arrivano da altri Paesi, da altre nazioni per fornire soprattutto tende… Si sta facendo già un piano per i prossimi due mesi di assistenza a circa 20 mila famiglie, quindi 100 mila persone.

D. – Dobbiamo ricordare che i più colpiti sono i bambini e le famiglie…

R. – I più deboli sono i più esposti. E quindi si deve intervenire anche con urgenza. La Conferenza episcopale italiana, con l’appoggio certamente anche della Caritas Italiana, ha lanciato una colletta per permettere poi una ricostruzione antisismica delle case ed una sistemazione, affinché si possa riprendere una vita normale.

D. – Quanto è importante che si partecipi a questa colletta, domenica 17 maggio, in tutte le parrocchie?

R. – E’ fondamentale! Ricordiamo che poi questo passa attraverso canali ben organizzati, in modo che si possa intervenire effettivamente e raggiugere la gente. Certamente il governo nepalese ha dei mezzi molto limitati, altri governi sono presi da tanti problemi e comprendiamo che anche le famiglie italiane hanno tanti problemi interni, ma si può provare a dare ancora. Entro un mese – come Caritas Italiana – vorremmo avere una visione di quanto è stato dato e raccolto così da poter essere già operativi.

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Centrafrica: intesa sulla liberazione dei bambini soldato

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Stop all’arruolamento dei bambini soldati in Centrafrica. Lo stabilisce un accordo siglato da otto gruppi armati locali che si sono impegnati anche a garantire il ritorno a casa di migliaia di ragazzi già impiegati in operazioni militari. Eugenio Bonanata ha raccolto la soddisfazione di Suor Elvira Tutolo, delle suore della carità di S. Giovanna Anthida, che dal Paese africano lancia un appello alle Ong a concentrarsi con maggiore efficacia sui progetti di accoglienza dei minori: 

R. – Ha dato enormemente gioia questa notizia e questa firma. Io sono qui da 14 anni. Non sono pessimista, ricomincio ogni giorno con tanta speranza, però credo che tra la firma e i fatti sicuramente ci sarà una differenza enorme. Il problema è che questi bambini – c’è scritto anche sul documento – possono tornare a casa. Mi chiedo quale casa, quale famiglia, quali genitori, dopo tutto quello che hanno vissuto? Io ho la testimonianza diretta: qui a Berberati noi abbiamo 150 bambini reclutati prima dai Seleka e poi dagli anti-Balaka; e sono mesi che vengono da noi dicendo che vogliono lasciare i machete e i loro fucili artigianali ma qual'è l’alternativa? Anche i capi anti-Balaka dicono che non tengono più con loro questi bambini. Ma dov’è la loro casa? Ho molto timore che la loro casa torni ad essere la strada.

D.  – Come pensate di organizzarvi, cosa pensate di fare?

R. – Noi qui siamo una piccola Ong nazionale che si chiama Kizito. Questa Ong è formata da 30 coppie, marito e moglie centrafricani. Loro hanno accolto già nelle loro famiglie chi 6 e chi 7 ragazzi. E sarebbero ancora pronti ad accogliere questi bambini. Inoltre, ad 8 chilometri da qui noi abbiamo anche un Centro di formazione agricola. La notizia brutta, per cui sono anche molto delusa, è che proprio la settimana scorsa ho dovuto chiudere questo Centro per mancanza di finanziamento. Per fare un esempio, grazie ad un po’ di denaro che ho ricevuto dall’Italia, per 10 di questi ragazzi abbiamo comprato due ettari di terra, un carrettino, un materasso e gli attrezzi per lavorare l’agricoltura. Li aiuteremo a formare una piccola cooperativa: questa è una goccia, ma questa goccia deve diventare mare. Questa è la direzione.

D. – Qual è il suo appello?

R. – Che le Ong internazionali e l’Unicef appoggino le iniziative come le nostre che siano prese sul posto e non inventino altri programmi di distribuzione di aiuti. Questo mi sta anche bene in un momento di urgenza: ma se ci sono iniziative valide che possano risolvere e affrontare il problema alla radice e portarlo avanti fino a una  soluzione, non si devono abbandonare! Non è possibile che queste Ong fanno i loro programmi fuori dal contesto.

D. – Che tipo di problemi presentano questi ragazzi?

R. – Davide, per esempio, l’altro giorno ci ha raccontato che lui non riesce a prendere sonno perché rivede tutti questi fantasmi: lo hanno obbligato a dormire sui cadaveri, lo hanno drogato perché avesse la forza di utilizzare le armi… Questi sono traumi che si portano tutta la vita. Ed è chiaro che occorrono competenze e poi occorre una capacità di amore, naturalmente con l’appoggio, di una realtà come la nostra che lavoria con i servizi sociali, con il tribunale… Il nostro problema - da 14 anni che abbiamo preso questa iniziativa per la protezione dei minori - è che non siamo sostenute finanziariamente da nessuno.

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Save the Children: fermiamo le morti infantili prevedibili

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Per i bambini poveri delle città il rischio della mortalità infantile è da 2 a 4 volte maggiore rispetto alla popolazione più benestante della medesima città. E’ la denuncia del 16mo rapporto sullo Stato delle Madri del Mondo, una classifica del benessere materno-infantile relativa a 179 Paesi del mondo. Il rapporto è stato presentato ieri da Save the Children in occasione dell’inaugurazione del Villaggio Save the Children all’Expo di Milano, una struttura di legno e bamboo che cercherà di far comprendere ai visitatori, bambini e adulti, il devastante impatto della malnutrizione e le soluzioni per contrastarla. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

In Norvegia, e nei Paesi del nord Europa  in generale, mamme e bambini vivono meglio, mentre è la Somalia il peggior posto al mondo per loro, preceduta, neanche a dirlo, da altri Paesi africani, dalla Repubblica Democratica del Congo alla Sierra Leone. In Somalia un bambino su sette muore prima dei 5 anni, in Norvegia, in Islanda, uno su 470. Il Rapporto sullo Stato delle Madri del Mondo quest’anno accende un faro su “Lo svantaggio urbano”, ossia sulla forbice tra “i bambini più poveri della città e i più ricchi, in termini di sopravvivenza e accesso alla salute, insieme alle loro madri”. Il significato lo spiega Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia:

“Significa purtroppo che la situazione nelle città del mondo in via di sviluppo, ma non solo, la situazione sta diventando particolarmente dura ovviamente per le persone, le mamme, più povere. Dobbiamo tener presente che il 54% della popolazione mondiale vive nelle città. Siamo andati a indagare la situazione là dentro, nelle città povere. Abbiamo visto che a parità di città, e quindi di luogo comunque disagevole per chiunque vi viva, bambini e mamme povere hanno mediamente nel mondo due volte di più la possibilità che il bambino da 0 a 5 anni muoia, due volte di più! Ma in alcune città, prendiamo Nairobi, 5 volte di più. O in Ruanda o Cambogia, 5 volte di più. Bangladesh, Dacca, 3 volte di più. Quindi vediamo che c’è una sperequazione, una divisione, una ingiustizia, che sta aumentando tra povero e povero. Quindi c’è sembrato per la prima volta di dover alzare la voce e far sapere al mondo che dentro la povertà si stanno creando ulteriori sacche di disagio e di malessere e di morte”.

Negli slums del mondo vivono oggi 860 milioni di adulti e minori
Nella lotta alla mortalità e alla malnutrizione infantile, spiega l’Organizzazione, c’è il fronte aperto delle aree urbane, dove ci si trasferisce dalle campagne nella speranza di dare migliori condizioni di vita ai figli. Un dato tra tutti: negli slum vivono oggi 860 milioni di adulti e minori. Le disparità riguardano anche le città del cosiddetto primo mondo, un esempio ne è Washington DC, dove un bambino che vive nelle zone più povere corre un rischio dieci volte maggiore di morire entro il primo anno di vita di un bambino benestante.

“Fa molta impressione anche ai miei stessi colleghi americani che però sanno che purtroppo il loro Paese, gli Stati Uniti, pur così ricco e importante, ha sperequazioni, ingiustizie, all’interno delle classi molto molto violente. Evidentemente Washington, che ha periferie veramente poverissime, veramente dure, violente, è al capo lista di città di questo tipo. A dimostrazione che non c’è nessuno che si salva dall’ingiustizia, dalla povertà e dalla morte”.

Appello ai leader mondiali: mettere fine alle morti infantili prevedibili
Somalia, così come Ciad, Mali, Afghanistan, la maggior parte dei Paesi in coda alla lista sono segnati da crisi umanitarie, povertà endemica o guerre, che portano con sé – prosegue Neri – “carenza di cibo e malnutrizione e che possono causare il collasso anche di solidi sistemi sanitari “, come in Siria. L’Organizzazione intende quindi raccogliere firme da presentare al segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon per chiedere ai leader mondiali di mettere fine alle morti infantili prevedibili entro il 2030.

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100.mo nascita Orson Welles. Il ricordo del fotografo amico Maggi

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Cento anni fa nasceva nel Wisconsin George Orson Welles, attore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. “Troppo grande per il cinema” lo definisce l’Osservatore Romano, “il più grande regista di tutti i tempi” secondo il British Film Institute: Welles è passato alla storia per capolavori come “Quarto Potere” e la trasposizione sul grande schermo degli shakesperiani Machbeth e Otello. Il servizio di Paolo Ondarza: 

E’ annoverato tra le più grandi star della storia del cinema, ma è riduttivo legarlo al solo grande schermo. E’ poliedrico infatti il profilo di Orson Welles il cui talento spazia dall’ambito teatrale a quello radiofonico. Memorabile la trasmissione “La guerra dei mondi” durante la quale a soli 23 anni Welles scatenò il panico con una finta radiocronaca di un'invasione aliena.

Ladies and gentlemen, here I am back…

Fu un debutto stellare che gli diede fama e un contratto per tre pellicole: ne realizzò una sola “Quarto Potere”, considerato “il più bel film della storia”, ma non premiato dal botteghino. Troppo innovativa per il pubblico dell’epoca la tecnica del "panfocus” per mettere a fuoco sia i personaggi in primo piano che quelli sullo sfondo. Il ricordo di Maurizio Maggi, assistente e fotografo personale di Orson Welles:

R.  – Ho lavorato con Orson Welles e ho scattato tante foto, tutte foto "rubate" sul set. Gli ho chiesto se aveva un attimo per guardare queste foto, lui mi ha detto: “Va bene”. Le ha prese, le ha guardate con attenzione, con la sua calma; quando ha finito di guardarle mi ha chiesto di stampargliene 300. Poi successivamente ha chiamato il direttore della fotografia e gli ha detto: “Prendi un altro operatore perché da oggi lui diventa il mio fotografo personale”. Mi ha portato a Londra, poi quando eravamo a tavola mi voleva sempre vicino… Insomma gli ero simpatico, in poche parole!

D. – Gli scatti che lei ha realizzato ce lo consegnano nella sua spontaneità, proprio per quello che era?

R. – C’erano regole ben fisse che io ho capito tra le righe quando mi ha autorizzato a scattare le foto: non dovevo mai fotografarlo quando qualcuno lo aiutava a truccarsi, a mettere magari il tamburo del one-man band sulle spalle… Lui era il capo, l’uomo che faceva regia, produzione, trucco, di tutto. Quindi non voleva smitizzare questa immagine e non voleva essere fotografato in altro modo. Poi ci sono state foto che gli ho fatto vedere dopo averle realizzate e lui mi ha scritto: “Never to be printed”, mai da usare. E io non le ho mai usate, non le userò mai perché c’è un’etica che mi insegna questo.

D. – Se lei dovesse ricordare Orson Welles…

R. – Stare sul set con Orson Welles non era una lezione ogni secondo: ogni mezzo secondo imparavi qualcosa! Un mostro di genialità. Lui aveva idee geniali. Con tre manifesti faceva Londra! Un mostro, un mostro di bravura. Quindi aver lavorato con lui per me è stata, non una fortuna, ma un terno al lotto! Perché ho visto cose che non avrei mai imparato da nessuno.

D. – Non sempre incontrò il successo, probabilmente non fu capito il suo talento soprattutto nella prima fase, dopo "Quarto potere". Secondo lei a cosa è imputabile?

R.  – Non voglio fare frasi fatte ma genio e sregolatezza vanno di comune accordo. Sappiamo tutte le storie dell’Otello in cui ha cambiato 4 attrici, 5 operatori... Lui si "autoproduceva", andava a fare un film come attore, prendeva i soldi e li spendeva per il film Otello e continuava a girare… Per cui è il suo carattere. Il genio folle. Infatti gli americani che sono "super quadrati" sul lavoro lo hanno un pochino emarginato.

Trasferitosi in Europa a causa di difficoltà economiche si autofinanziò come regista attraverso apparizioni in film altrui. “Machbeth”, “Otello”, “Il processo” lo consacrano. La fama aumenta dopo la morte sopraggiunta nel 1985 ad Hollywood. Palma d’oro a Cannes nel ’52, Oscar alla carriera nel ’71, per chi lo ha conosciuto Welles resta ineguagliabile. Ancora Maggi: 

R. – Nel cinema mondiale il film le che ha più spessore, più interesse, è sempre “Quarto potere" di Orson Welles. E io sono felice perché ho lavorato con lui circa tre anni spesso e tanto.

D. – Ha eredi a livello di registi, professionale?

R. - No, no, no …

D. – Resta unico e impareggiabile

R. – Direi proprio un "sì" gigantesco!

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Nella Chiesa e nel mondo



Nel 2014 raggiunta la cifra record di 38 milioni di sfollati

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Il numero di persone fuggite all'interno del proprio Paese a causa di conflitti o violenze ha raggiunto la cifra record di 38 milioni, pari all’insieme degli abitanti di Londra, New York e Pechino. Ogni giorno 30.000 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. "Questi dati sono i peggiori dell’ultima generazione e segnalano il nostro completo fallimento nella protezione di civili innocenti", ha dichiarato Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council (Nrc).

La sconfitta della diplomazia contro uomini armati e senza pietà
"I diplomatici di tutto il mondo, le risoluzioni delle Nazioni Unite, i colloqui di pace e gli accordi di cessate il fuoco hanno perso la loro battaglia contro uomini armati e senza pietà, spinti da interessi politici o religiosi, e anche da imperativi umani", ha dichiarato Egeland. "Questo rapporto dovrebbe costituire un sostanziale campanello d'allarme. Dobbiamo interrompere questa tendenza in cui milioni di uomini, donne e bambini rimangono intrappolati nelle zone di conflitto di tutto il mondo. 38 milioni di esseri umani soffrono spesso in condizioni orrende, trovandosi senza speranza e senza futuro. Se non ci impegniamo a cambiare il nostro approccio, l'onda d'urto di questi conflitti continuerà a perseguitarci per i decenni a venire", ha dichiarato Egeland.

E' necessario portare la pace nei Paesi devastati dalla guerra 
Volker Türk, assistente Alto Commissario per la Protezione dell’Unhcr, ha affermato che tale, impressionante, numero di persone in fuga a causa di conflitti e violenze, anticipa ulteriori esodi. "Come abbiamo visto nel recente passato, ad esempio nel Mediterraneo, la disperazione spinge le persone a tentare la sorte, anche rischiando pericolose traversate in barca. La soluzione più ovvia è rappresentata da uno sforzo a tutto campo per portare la pace nei Paesi devastati dalla guerra", ha aggiunto Türk

.I dati del Rapporto Global Overview 2015
Il 60% dei nuovi sfollati si trova in cinque paesi: Iraq, Sud Sudan, Siria, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria. I civili iracheni sono stati tra le principali vittime dei nuovi esodi interni nel 2014, con almeno 2,2 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case Almeno il 40% della popolazione siriana, ovvero 7,6 milioni di persone, è sfollata, il numero più alto al mondo. La campagna di Boko Haram per controllare il territorio e imporre la legge islamica nel nord-est della Nigeria ha spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle proprie case.

Esodi anche in Europa con la guerra in Ucraina
Per la prima volta in più di dieci anni, l'Europa ha avuto un numero massiccio di esodi, principalmente a causa dalla guerra in Ucraina, che ha costretto 646.500 persone ad abbandonare le proprie case nel 2014. Il rapporto riguarda le migrazioni forzate che si sono verificate nel 2014 e si basa sui dati forniti da governi, organizzazioni non governative partner e agenzie delle Nazioni Unite. (R.P.)

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Yemen: dopo gli scontri tra Houti e Arabia Saudita si cerca dialogo

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La guerra dei ribelli sciiti Houti ha oltrepassato i confini dello Yemen, suscitando, secondo quanto riferisce al-Jazeera, la reazione della coalizione a guida saudita. L’attacco sferrato ieri con razzi e colpi di mortaio dai Partigiani di Allah contro la città di Najran, in Arabia Saudita, ha provocato quattro morti, tra cui un ufficiale delle forze armate saudite. La televisione araba ha trasmesso immagini di auto bruciate e palazzi danneggiati, le scuole sono state chiuse e i collegamenti aerei tra la capitale Riad e Najran interrotti. Alcuni soldati sarebbero inoltre stati fatti prigionieri dai ribelli. La lega militare guidata da Riad, sempre secondo al-Jazeera, ha risposto con almeno 30 raid aerei al confine tra Yemen e Arabia Saudita.

La comunità internazionale teme azione di al-Qaeda
Sul conflitto yemenita si è pronunciato l’alto rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che, in visita a Pechino, in Cina, ha sottolineato il rischio a cui la caotica situazione yemenita espone la comunità internazionale, favorendo l’azione di al-Qaeda. La Mogherini ha poi posto l’accento sull’importanza di una mediazione internazionale e sull’inefficacia delle azioni unilaterali. Il segretario di Stato americano, John Kerry, oggi a Riad – dove si svolge il vertice dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, nella cui agenda la crisi yemenita è uno dei temi principali – ha fatto sapere che dialogherà con alcuni rappresentanti dell’Arabia Saudita per capire come sostenere una tregua umanitaria in Yemen.

Contrasti sulla sede dei colloqui
Sul fronte interno, il Presidente yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale, Abd Rabbo Mansour Hadi, ha chiesto che il prossimo 17 maggio, a Riad – dove si trova in esilio – abbiano inizio i colloqui tra le parti. L’Iran, tuttavia, che sostiene la minoranza sciita, insiste perché le riunioni siano organizzate in una sede neutrale e non in Arabia Saudita, il Paese guida della coalizione regionale sunnita. (A cura di Eugenio Murrali)

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Myanmar: a rischio il piano di pace

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Tre gruppi etnici armati minacciano di abbandonare il piano di pace per un cessate il fuoco su scala nazionale in Myanmar, per le continue incursioni compiute - anche negli ultimi giorni - dall’esercito birmano. Le azioni dei soldati governativi, aggiungono i leader etnici in una nota ripresa dall'agenzia AsiaNews, complicano il già “fragile” dialogo per la pace che, peraltro, potrebbe mettere la parola fine a decenni di guerre civili nel Paese. A presentare le dimissioni dal Team nazionale di coordinamento per il cessate il fuoco (Ncct) i vertici del Myanmar National Democratic Alliance Army (Mndaa), il Ta’ang National Liberation Army (Tnla) e l’Arakan Army (Aa). 

Ai colloqui assente la minoranza Kokang
A fine marzo i rappresentanti del governo birmano e dei 16 gruppi ribelli armati del Myanmar hanno sottoscritto la prima bozza per il cessate il fuoco, nel contesto di un piano su scala nazionale per la fine dei conflitti armati nel Paese. Se rispettato, l’accordo raggiunto al Myanmar Peace Centre a Yangon potrebbe scrivere la parola fine a decenni di violenze etniche. Tuttavia, restano ancora aperte alcune questioni fondamentali per una vera pace nel Paese. Prima fra tutti, la mancanza ai colloqui dei rappresentati della minoranza Kokang, protagonisti dell’ultimo e sanguinoso conflitto in ordine di tempo con l’esercito birmano.

I progressi nell'accordo di pace minati da continue violazioni
La decisione di abbandonare - per il momento - il tavolo delle trattative è giunta nel corso di una sei giorni di colloqui, promossa dai rappresentanti delle minoranze etniche nel quartier generale dello United Wa State Army a Pangsang, nello Stato Shan. Al centro degli incontri il piano di pace e la scelta se continuare o meno i dialoghi sponsorizzati dal governo.  I progressi verso un accordo definitivo sul cessate il fuoco sono stati minati nelle scorse settimane da una serie di attacchi fra soldati governativi e milizie Kokang nello Stato Shan, contro l’esercito Arakan nello Stato occidentale di Rakhine e per le continue violenze contro i civili nello Stato settentrionale Kachin. 

Il governo vuole escludere i tre gruppi ribelli dal tavolo di pace
Peraltro il governo birmano non riconosce nemmeno questi tre gruppi e sta esercitando pressioni sulle altre minoranze etniche perché escluda il Mndaa, il Tnla e l’Aa dal tavolo di pace. Nyo Tun Aung, vice-comandante dell’Arakan Army, afferma che “il governo ha costretto i leader etnici a non invitarci, ignorandoci totalmente sul piano politico”. Intanto l'Organizzazione per l'Indipendenza Kachin (Kio), braccio politico dei ribelli Kachin, accusa l’esercito governativo di non collaborare alle operazioni di monitoraggio degli scontri in corso nello Stato a nord del Myanmar. 

La difficile convivenza tra le 135 etnie del Paese
​Il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. In passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi, fra cui i Kachin nell'omonimo territorio a nord, lungo il confine con la Cina, e più di recente con i ribelli Kokang nello Stato Shan, dove il Presidente ha dichiarato l’emergenza. (R.P.)

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Francia: ordinata rimozione monumento a Giovanni Paolo II

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Nuova puntata, in Francia, del dibattito sull’interpretazione e il rispetto del principio di laicità contenuto nella Costituzione e nella legge sulla separazione fra le Chiese e lo Stato datata 9 dicembre 1905. Questa volta al centro dell’attenzione è finito un monumento in onore di Giovanni Paolo II installato nel 2006 in una piazza di Ploërmel, nel dipartimento di Morbihan, in Bretagna. Nei giorni scorsi - scrive L'Osservatore Romano - il tribunale amministrativo di Rennes ha ordinato di rimuoverlo perché contrario alle norme sulla laicità.

Sarebbe "fuorilegge" la collocazione della statua sulla piazza
Più precisamente i giudici hanno spiegato che non è tanto la statua di bronzo che raffigura il Papa (con incisa la celebre frase «Non abbiate paura») a essere “fuorilegge” quanto la sua collocazione nella piazza, sotto un arco in cima al quale è posta una grande croce. Otto metri di altezza in tutto. Secondo il tribunale, quindi, il monumento, «per la sua collocazione e le sue dimensioni, presenta un carattere ostentatorio» e viola così la Costituzione, che sottolinea il carattere laico della Repubblica francese, e la legge del 1905 sulla separazione fra le Chiese e lo Stato.

Il sindaco farà appello al Consiglio di Stato
L’ordinanza implica necessariamente che il monumento sia tolto dalla sua posizione attuale. I giudici hanno dato al Comune di Ploërmel sei mesi di tempo per eseguire il provvedimento. Il sindaco, Patrick Le Diffon, ha annunciato la sua intenzione di fare appello al Consiglio di Stato contro l’ordinanza: «Ho capito che sono l’arco e la croce sovrastante a essere considerati ostentatori e che toglierli potrebbe essere sufficiente, ma non posso farlo senza il consenso dell’artista», ha dichiarato il primo cittadino, spiegando inoltre che «non è all’uomo di Chiesa ma all’uomo di Stato che venne dedicato il monumento in una piazza pubblica».

L'artista russo si opporrà a qualsiasi modifica
Dal canto suo l’artista, il russo Zourab Tsereteli, ha già fatto sapere all’ex sindaco di Ploërmel che si opporrà a qualsiasi modifica dell’insieme dell’opera (protetta dalla legge sulla proprietà intellettuale) perché arco e croce fanno indissolubilmente parte di essa. Ma — osserva il quotidiano «la Croix» — se la croce non potrà essere staccata dal monumento, sarà l’intero monumento a dover trovare un’altra collocazione.

Le polemiche erano iniziate già nel 2010
Fin dall’installazione (nel dicembre 2006) su una piazza ribattezzata «San Giovanni Paolo II», l’opera non ha cessato di alimentare polemiche. Nel gennaio 2010, un tribunale aveva dichiarato illegale una sovvenzione di 4.500 euro versata nel 2006 dal dipartimento di Morbihan. E polemiche erano sorte a seguito dell’accusa di aver fatto ricorso a fondi pubblici per il finanziamento del piedistallo della statua e della cerimonia di inaugurazione. (L.Z.)

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Chiesa del Mali: in preghiera perché sia firmato accordo di pace

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“Abbiamo sete di pace, per questo tutto il Mali prega perché sia firmato l’accordo di pace” dice all’agenzia Fides mons. Jean-Baptiste Tiama, vescovo di Sikasso e presidente della Conferenza episcopale del Mali, a Roma per la visita ad limina. Il 15 maggio nella capitale maliana, Bamako, è prevista la firma dell’accordo di pace anche da parte di quei gruppi del nord del Mali che non hanno aderito all’accordo preliminare, raggiunto ad Algeri il 1° marzo. “Lo Stato ha fatto tutto quello che doveva fare per arrivare all’accordo. Ora attendiamo che le altre parti, gli altri figli del Paese, accettino di entrare in questa dimensione, perché senza pace non c’è sviluppo. Un accordo del quale beneficeranno tutte le aree del Mali e non solo il nord” sottolinea mons. Tiama.

Il popolo ha sete di pace
Di fronte alle nuove violenze che si susseguono nel nord del Mali (ieri una decina di persone sono morte negli scontri tra esercito e gruppi Tuareg a Ténenkou), mons. Tiama afferma: “Nel sud come nel nord il popolo ha sete di pace, e dobbiamo rispondere alle attese del popolo. Tocca a noi, leader religiosi, politici, sociali, dire quello a cui miriamo: al bene del popolo o forse a qualcos’altro?”.

La guerra civile ha costretto alla fuga centinaia di migliaia di maliani 
Sulla situazione umanitaria il presidente della Conferenza episcopale spiega: “Ci sono ancora dei maliani sfollati all’interno del loro Paese ed altri rifugiati nei Paesi limitrofi, perché nutrono timori sulla validità del processo di pace. Il Ministro della Riconciliazione si è recato a trovarli nei luoghi di accoglienza, in Niger, Mauritania e Burkina Faso, per cercare di rassicurarli e per chiedere loro di rientrare in Mali”. “La Chiesa – aggiunge il vescovo - fa quello che può nell’accogliere gli sfollati nelle singole diocesi del Paese. A livello nazionale Caritas Mali si sta prodigando con l’aiuto delle Caritas d’Europa. La Chiesa inoltre lavora per la riconciliazione nazionale, anche perché tutti i leader religiosi sono stati invitati a partecipare, insieme ai capi politici e amministrativi, al processo di riflessione sulla ricostruzione nazionale”.

Oltre ai cristiani anche i musulmani hanno sofferto la violenza jihadista
​Chiediamo infine quali siano i rapporti interreligiosi alla luce delle violenze dei gruppi jihadisti che avevano preso il sopravvento sui movimenti separatisti nordisti durante la guerra civile. “Non sono stati solo i cristiani le vittime dei jihadisti, anche i musulmani hanno sofferto. Pensiamo solo alla distruzione delle moschee di Tombouctou. Siamo stati tutti colpiti dalle violenze di questi gruppi - sottolinea mons. Tiama -. Nel resto del Paese, cristiani e musulmani viviamo insieme, spesso all’interno delle stesse famiglie, e vogliamo continuare a farlo. I nostri fratelli musulmani d’altronde dicono che l’islam predicato dai jihadisti non è il loro islam, ma un’ideologia proveniente dall’estero, a loro estranea” conclude il presidente della Conferenza episcopale. (L.M.)

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India. Card. Alencherry: Chiesa non fa conversioni

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La Chiesa non converte, ma testimonia la carità di Cristo e annuncia i valori cristiani di verità giustizia amore e armonia. E’ quanto ha puntualizzato il card. George Alencherry, arcivescovo maggiore dei siro-malabaresi, in visita pastorale in questi giorni nella diocesi di Belthangady, nello Stato indiano del Karnataka.

“Evangelizzare non è convertire”
Come è noto,  in India l’accusa di fare conversioni forzate o fraudolente è frequentemente rivolta ai cristiani dai nazionalisti indù che fanno capo al partito di governo, il Bjp, ed è spesso all’origine di attacchi contro la comunità cristiana nel Paese. Un’accusa da sempre respinta con fermezza dalla Chiesa. “Evangelizzare non è convertire”, ha ribadito il card. Alencherry  citato dall’agenzia Ucan. “La conversione è una risposta personale a Dio. Nessuno può imporla con la forza. Accade nella mente di una persona mentre ascolta la parola di Dio. Non siamo noi che la creiamo, è una cosa che la gente chiede”, ha aggiunto.  La visita del porporato si è conclusa ieri. Oltre a incontrare i fedeli e il clero locale è intervenuto a un incontro interreligioso al quale hanno partecipato anche esponenti politici. (L.Z.)

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Cile: nota dei vescovi su crisi di fiducia e credibilità

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Il Comitato permanente della Conferenza episcopale del Cile ha pubblicato ieri una dichiarazione sulla crisi di fiducia e di credibilità che si avverte nel Paese, dal titolo "Coesistenza in Cile: sfida etica e rispetto per la nostra dignità". In questo documento, ripreso dall’agenzia Fides, i vescovi si chiedono cosa sia successo nella vita della nazione per ritrovarsi adesso con un tessuto sociale incrinato e indebolito nella fiducia. Aggiungono che è preoccupante notare la perdita di fiducia nelle relazioni sociali e nella leadership a tutti i livelli: nel campo della politica, dell’economia, della scuola, dell’università e anche nella Chiesa cattolica.

Diritto alla verità: il perdono non è impunità
E' giunto il momento per una profonda introspezione - sottolinea il testo -, sia personale che istituzionale, che dovrebbe portare anche ad un atto di perdono e di riparazione: "i cileni hanno diritto sia alla verità che alla giustizia, ma anche alla possibilità di perdono, che non è la stessa cosa dell’impunità". I vescovi cileni concludono indicando la necessità di riscoprire che il potere dell'autorità è per servire gli altri e usare male quel potere provoca danni capitali: "Siamo ancora in tempo per bandire l'idolatria del denaro e la corruzione, valutare l'azione politica e gli attori, riconoscere il contributo di tanti lavoratori e delle imprese… infine, per correggere i nostri errori e insieme rafforzare l'anima del Cile". (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 126

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.