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Sommario del 07/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: no a leggi che in nome tolleranza impediscono di esprimersi liberamente

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I cristiani d’Europa non si dividano sulle questioni etiche. E’ l’esortazione di Papa Francesco al Comitato congiunto del Consiglio delle Conferenze episcopali cattoliche europee (Ccee) e della Conferenza delle Chiese europee (Cec) che riunisce le altre Chiese cristiane del continente. Il Pontefice ha messo in guardia da quelle legislazioni che in nome della tolleranza finiscono per impedire ai di esprimersi liberamente. Ancora, dal Papa un appello a tutti i cristiani ad impegnarsi in favore dei migranti che arrivano in Europa, fuggendo da guerre e miseria. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un tempo in Europa i cristiani si combattevano gli uni contro gli altri, ora anche grazie al movimento ecumenico si sono compiuti “grandi passi sulla via della riconciliazione e della pace”. Esordisce così Papa Francesco nel suo discorso al Comitato congiunto Cec-Ccee e ricorda gli ultimi passi fatti nella collaborazione tra i due organismi:

“Queste iniziative sono motivo di grande speranza per il superamento delle divisioni, pur nella consapevolezza di quanto sia lunga la strada verso la piena e visibile comunione tra tutti i credenti in Cristo. In realtà, però, il cammino, con tutte le sue fatiche, è già parte integrante del processo di riconciliazione e di comunione che il Signore ci chiede e ci fa compiere, purché sia vissuto nella carità e nella verità”.

I cristiani non si dividano sulle questioni etiche
Il Papa ricorda dunque, riprendendo il Decreto conciliare sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, che “la divisione tra i cristiani danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo ad ogni creatura”:

“Questo appare evidente, ad esempio, quando le Chiese e le Comunità ecclesiali in Europa presentano visioni diverse su importanti questioni antropologiche o etiche. Auspico pertanto che non manchino e siano fruttuose le occasioni di riflessione comune, alla luce della Sacra Scrittura e della condivisa tradizione”.

No a legislazioni che impediscono di esprimersi con libertà
Guardando insieme a Gesù Cristo, soggiunge, “possiamo trovare risposte comuni alle domande che la società contemporanea pone a noi cristiani”. Quanto “più saremo vicini a Cristo – ribadisce – tanto più saremo uniti tra di noi”. E mette l’accento sulle sfide nuove e decisive che si trovano ad affrontare le Chiese e le comunità ecclesiali in Europa:

“Penso, per esempio, alla sfida posta da legislazioni che, in nome di un principio di tolleranza male interpretato, finiscono con l’impedire ai cittadini di esprimere liberamente e praticare in modo pacifico e legittimo le proprie convinzioni religiose”.

Comunità cristiane accolgano migranti che fuggono in Europa
Il Papa si sofferma infine sull’atteggiamento “con cui l’Europa sembra affrontare la drammatica e spesso tragica migrazione di migliaia di persone in fuga da guerre, persecuzioni e miseria” rammentando che “le Chiese e le Comunità ecclesiali in Europa hanno il dovere di collaborare per promuovere la solidarietà e l’accoglienza”. “I cristiani d’Europa – ha concluso – sono chiamati a intercedere con la preghiera e ad operare attivamente per portare dialogo e pace nei conflitti in atto”.

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Francesco ai vescovi del Mali: preservare dialogo tra religioni

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Una Chiesa dinamica quella del Mali, “testimone di speranza e di pace”,  nonostante le serie difficoltà che affliggono questo Paese africano. Da qui l’incoraggiamento di Papa Francesco ai vescovi maliani, ricevuti in visita ad Limina, guidati dal loro presidente, mons. Jean-Baptiste Tiama. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Preservare dialogo interreligioso
Il Mali affronta già da qualche anno gravi problemi sociali e politici, in ordine anche alla sicurezza, “che hanno a volte minato - ha osservato il Papa - la convivenza tra le diverse componenti della società, non risparmiando l’armonia tra uomini e donne di diverse religioni, presenti sulla terra maliana, ricca di un glorioso passato, sinonimo di ammirevoli tradizioni, tra cui la tolleranza e la coesione”. Da qui il grazie di Francesco alla Conferenza episcopale del Mali per avere in “questo contesto delicato preservato lo spirito di dialogo interreligioso”, tradotto anche nell’impegno comune di cristiani e musulmani per la tutela dei tesori culturali del Paese, in particolare la biblioteca di Timbuctù, patrimonio dell’umanità.

Lotta contro intolleranza ed esclusione
Il Papa ha chiesto quindi ai presuli maliani al ritorno in patria di assicurare la sua “vicinanza” ai loro “fedeli”, ma anche agli “altri concittadini di ogni classe sociale e di ogni religione, uomini e donne di buona volontà impegnati nella lotta contro l’intolleranza e l’esclusione”. “In questo momento difficile ciascuno - ha raccomandato Francesco - è chiamato a superarsi, elevando lo sguardo al di là dell’orizzonte dell’egoismo e degli interessi particolari per ricercare il bene comune”. Mentre “le comunità cristiane e i loro pastori sono chiamati ad una testimonianza di fede ancora più marcata, fondata su un’adesione senza riserve ai valori del Vangelo”.

Promuovere valori cristiani, dignità donna e riconciliazione nazionale
In questo dinamismo che è proprio della Chiesa del Mali, occorre - ha indicato il Papa - radicare i valori della famiglia cristiana in un contesto sociale marcato dai divorzi e dalla poligamia e promuovere la condizione e il ruolo della donna nella società, combattendo abusi e violenze, ricordandosi che Gesu “ha voluto nascere da una donna, la Vergine Maria”. Indispensabile inoltre una sinergia tra le Chiesa locali ispirata dalla carità e dall’unità, necessarie per essere credibili anche nel dialogo con le altre fedi. Infine l’incoraggiamento di Francesco ai vescovi del Mali a proseguire nell’opera di “promozione umana”, rivolta in particolare ai giovani, svolta senza distinzione etnica o religiosa, ispirata alla cultura della solidarietà e dell’accoglienza, specie per fronteggiare le violenze e favorire “un’autentica riconciliazione nazionale”.

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Francesco: amore è concreto e comunica, anche claustrali non si isolano

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Papa Francesco ha celebrato la Messa del mattino a Santa Marta centrando la sua omelia sui criteri del vero amore che – ha detto – deve essere concreto e comunicarsi: anche i monaci e le monache di clausura – ha osservato - in realtà non si isolano, ma comunicano e tanto. Il servizio di Sergio Centofanti

Amore vero è concreto e costante
Nel Vangelo odierno Gesù “ci chiede di rimanere nel suo amore”. “Ci sono due criteri – afferma Papa Francesco - che ci aiuteranno a distinguere il vero dal non-vero amore”. Il primo criterio è che l’amore è “più nei fatti che nelle parole”: non è “un amore di telenovela”, “una fantasia”, storie che “ci fanno battere un po’ il cuore, ma niente di più”. E’ “nei fatti concreti”. “Gesù ammoniva i suoi: ‘Non quelli che dicono ‘Signore! Signore!’ entreranno nel Regno dei Cieli, ma quelli che hanno fatto la volontà del mio Padre, che hanno osservato i miei comandamenti’”:

“Cioè, il vero amore è concreto, è nelle opere, è un amore costante. Non è un semplice entusiasmo. Anche, tante volte è un amore doloroso: pensiamo all’amore di Gesù portando la croce. Ma le opere dell’amore sono quelle che Gesù ci insegna nel brano del capitolo 25 di San Matteo. Ma chi ama fa questo: il protocollo del giudizio. Ero affamato, mi hai dato da mangiare, eccetera. Concretezza. Anche le beatitudini, che sono il ‘programma pastorale’ di Gesù, sono concrete”.

“Una delle prime eresie nel cristianesimo – sottolinea il Papa - è stata quella del pensiero gnostico” che parlava di un “Dio lontano … e non c’era concretezza”. Invece, l’amore del Padre “è stato concreto, ha inviato Suo Figlio … fatto carne per salvarci”.

Monaci e monache di clausura comunicano ... e tanto
Il secondo criterio dell’amore – ha proseguito il Papa – è che “si comunica, non rimane isolato. L’amore dà di se stesso e riceve, si fa quella comunicazione che è tra il Padre e il Figlio, una comunicazione che la fa lo Spirito Santo”:

“Non c’è amore senza comunicarsi, non c’è amore isolato. Ma qualcuno di voi può domandarmi: ‘Ma Padre, i monaci e le monache di clausura sono isolate’. Ma comunicano ... e tanto: con il Signore, anche con quelli che vanno a trovare una parola di Dio … Il vero amore non può isolarsi. Se è isolato, non è amore. E’ una forma spiritualista di egoismo, di rimanere chiuso in se stesso, cercando il proprio profitto … E’ egoismo”.

Semplice , ma non facile perchè l'egoismo ci attira
Dunque – afferma Papa Francesco – “rimanere nell’amore di Gesù significa fare” e “capacità di comunicarsi, di dialogo, sia con il Signore sia con i nostri fratelli”:

“E’ così semplice questo. Ma non è facile. Perché l’egoismo, il proprio interesse ci attira, e ci attira per non fare e ci attira per non comunicarci. Cosa dice il Signore di quelli che rimarranno nel suo amore? ‘Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’. Il Signore che rimane nell’amore del Padre è gioioso, ‘e se voi rimarrete nel mio amore, la vostra gioia sarà piena’: una gioia che tante volte viene insieme alla croce. Ma quella gioia – Gesù stesso ci ha detto – nessuno ve la potrà togliere”.

Il Papa conclude l’omelia con questa preghiera: che il Signore “ci dia la grazia della gioia, quella gioia che il mondo non può dare”.

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Il Papa alla Lazio: sport insegni lealtà e aiuti a superare ingiustizie

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Non solo il calcio ma tutti gli sport contribuiscono al “superamento di situazioni di ingiustizia e di disagio umano e sociale” e insegnano la “lealtà verso gli altri” contro “l’abitudine del tradimento”: per gli allenamenti e le gare, non bisogna quindi lasciar “perdere la Messa, la catechesi”, né “trascurare lo studio, le amicizie, il servizio ai poveri”. Così Papa Francesco ai circa 7.000 tra dirigenti, atleti, sportivi, simpatizzanti e famiglie della Società Sportiva Lazio, ricevuti stamani in Aula Paolo VI. Il servizio di Giada Aquilino

Lo sport per superare ingiustizie e disagi
Il vero sport favorisce la costruzione di un mondo più fraterno e solidale, “contribuendo al superamento di situazioni di ingiustizia e di disagio umano e sociale”. Lo ha sottolineato Papa Francesco, ricordando ai membri della Società Sportiva Lazio e ai loro familiari come la Bibbia ci insegni “che la persona umana è un tutt’uno, spirito e corpo”.

Non trascurare la Messa, lo studio e i poveri per lo sport
Il Pontefice ha per questo incoraggiato “a coltivare sempre, insieme all’attività sportiva, anche agonistica, la dimensione religiosa e spirituale”:

“A volte capita che un ragazzo o una ragazza, per gli allenamenti e le gare, lasci perdere la Messa, la catechesi… Questo non è buon segno, vuol dire che si è persa la scala di valori. Come pure non bisogna trascurare lo studio, le amicizie, il servizio ai poveri. Queste cose non vengano trascurate per fare soltanto una cosa. No, tutto insieme! Grazie a Dio abbiamo degli esempi belli di uomini e donne sportivi, anche grandi campioni, che non hanno mai smesso di vivere la fede e il servizio al prossimo”.

Società sportive come case aperte a tutti
Ripercorrendo la storia della polisportiva, nata nel 1900, Francesco ha evidenziato come un gruppo di giovani volle “creare - ha detto - una società sportiva che fosse accessibile ai giovani del popolo e che tramandasse i valori morali ed etici dello sport”. All’epoca, ha infatti notato il Papa, “lo sport organizzato era prerogativa delle persone facoltose”. L’intento di quel gruppo fondatore era invece quello di “diffonderlo a tutti i livelli e in tutte le categorie sociali”:

“Vi incoraggio perciò a continuare ad essere accoglienti, a valorizzare i diversi talenti. Che la vostra società sportiva sia sempre una casa aperta, dove si possa sperimentare la fraternità e l’armonia fra le persone, senza discriminazione”.

Non solo il calcio, ma tutti gli sport insegnano lealtà
Il motto della società - ha ricordato il Pontefice traducendolo dal latino e scherzando coi presenti: “sarebbe interessante chiedere la traduzione a qualcuno dei vostri ragazzi... ma è meglio di no” - è: “Nella concordia le piccole cose crescono, nella discordia le più grandi decadono”. Nata come piccola realtà podistica, la ‘Lazio’ col tempo - ha proseguito - “si è arricchita di diverse attività associate e si è articolata in numerose sezioni sportive”, a cui hanno aderito “tanti soci, atleti, e sostenitori di ogni età, uniti tra loro dal comune spirito olimpico e dal desiderio di reciproca solidarietà”. Non a caso, ha voluto mettere in risalto Francesco, “un merito della polisportiva Lazio è quello di avere operato per dare pari dignità a tutti gli sport”:

“In Italia, come anche nel mio Paese, in Argentina, si rischia di parlare sempre del calcio e di trascurare gli altri sport. Invece ogni disciplina sportiva ha un suo valore, non solo fisico o sociale, ma anche morale, in quanto offre la possibilità alle persone, specialmente ai ragazzi e ai giovani, di crescere nell’equilibrio, nell’autocontrollo, nel sacrificio e nella lealtà verso gli altri”.

Quest’ultimo aspetto il Papa ha voluto sottolinearlo: la lealtà verso gli altri, che lo sport incrementa, di fronte a quella che ha definito “l’abitudine del tradimento” che “cresce un po’ dappertutto”. L’esortazione finale è stata dunque a proseguire sulla strada “al servizio dell’aggregazione dei giovani e delle famiglie”.

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Tweet: quando non ci si può guadagnare il pane, si perde dignità

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Quando non ci si può guadagnare il pane, si perde la dignità. Questo è un dramma di oggi, specialmente per i giovani”.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Francesco ha ricevuto in udienza, nel pomeriggio di ieri il card. Luis Héctor Villalba, arcivescovo emerito di Tucumán (Argentina).

In Spagna, Francesco ha nominato Vescovo Ausiliare di Valencia Mons. Esteban Escudero Torres, finora Vescovo di Palencia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Diano.

Il Papa ha nominato Giudice presso il Tribunale Ecclesiastico dello Stato della Città del Vaticano Mons. Lucio Bonora, del clero della diocesi di Treviso, e Notaro Attuario del medesimo Tribunale il Rev.do Sacerdote Paolo Scevola, del clero della diocesi di Vigevano, Officiali della Segreteria di Stato, Sezione per gli Affari Generali.

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Salone libro Torino: stand della Lev dedicato a Don Bosco

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Uno stand dedicato a S. Giovanni Bosco, patrono degli editori, e quattro presentazioni di volumi, con inediti su temi d’attualità, come lo sport e la custodia del creato. E’ quanto la Libreria Editrice Vaticana porta alla 28.ma edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino dal 14 al 18 maggio. E’ stato il direttore della Lev, don Giuseppe Costa ad illustrare, nelle sede della nostra emittente, lo spazio che l’Editrice occuperà e i diversi incontri in programma. Sugli scaffali i migliori titoli, in particolare le omelie di Papa Francesco e la produzione libraria di Joseph Ratzinger. Il servizio di Gabriella Ceraso

La Lev torna a Torino con una scenografia di 140 mq firmata da Carlo Mezzana e Roberto Pulitani che rappresenta un angolo di un antico cortile torinese del 1800, Valdocco, con le sue arcate in muratura, cuore dell’azione pastorale di S. Giovanni Bosco. Sotto ogni arcata una trentina di gigantografie, immagini e pensieri del santo. Don Giuseppe Costa direttore dell’Editrice:

“Uno stand dove è possibile ricordare la vita di San Giovanni Bosco, patrono degli editori, nel suo 200.mo anniversario di nascita, e grande santo legato da amore al Sommo Pontefice, perciò anche al Vaticano”.

Un riconoscimento a Don Bosco anche grande estimatore dei libri:

“Don Bosco credeva moltissimo alla produzione libraria, alla comunicazione. Don Bosco distingueva in libri buoni e libri cattivi e si batteva perché prevalesse il libro buono, l’idea buona, il valore buono”.

Quattro gli eventi in programma: si inaugura presentando il volume “I Papi e lo sport”, un secolo di incontri e eventi da S. Pio X a Papa Francesco, con 150 immagini inedite:

“Per gli appassionati  è certamente un volume di grande valore. In questo momento in cui lo sport italiano ha tanti problemi, fare una riflessione sul messaggio del cattolicesimo in materia sportiva, rievocandone figure, incontri con i Papi, mi sembra un fatto positivo.”

A seguire, il 15 maggio, la presentazione del volume “La fede e il bene comune”, lo sguardo del cardinale Tarcisio Bertone sull’essere cristiano in tempi moderni introdotto da una lettera del Papa emerito Benedetto XVI. Ancora Don Giuseppe Costa:

“C’è un’attenzione alla dimensione sociale, culturale, politica, economica e alla dottrina sociale della Chiesa. E’ una dimensione che il cardinale Bertone ha sempre avuto nella sua natura, nella sua sensibilità salesiana, sacerdotale e umana, e quindi si potrà vedere lì un aspetto poco conosciuto da chi guarda all’esterno”.

Ultime due presentazioni, in programma il 16 e il 17 maggio, sono il volume ”Il sorriso di tenerezza, letture sulla custodia del creato” dell’architetto Paolo Portoghesi e la nuova edizione delle “Interviste e conversazioni con i giornalisti. Due anni di pontificato” curato da don Giuseppe Costa con protagonista Papa Francesco. Infine, sugli scaffali, per tutto il tempo del Salone, i migliori titoli e le collane della Lev - particolare spazio alle omelie di Santa Marta di Papa Francesco e alla produzione libraria di Joseph Ratzinger dato che la Germania è il Paese ospite quest'anno - e poi, per i visitatori, in omaggio, una edizione speciale delle preghiere di Papa Francesco insieme ad una raccolta delle illustrazioni della vita di don Bosco.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Lo spirito del dialogo: ai vescovi del Mali in visita "ad limina" il Papa chiede di opporsi a intolleranza ed esclusione.

Con una voce sola: Papa Francesco incoraggia gli episcopati e le Chiese europee a un impegno comune su libertà religiosa ed emigrazione.

Sostenere la famiglia per combattere l'estremismo: intervento della Santa Sede sul ruolo dei giovani.

Meglio i poveri: Gustavo Gutiérrez illustra il punto di partenza della teologia della liberazione.

Accanto ai nemici di ieri: Bernard Ardura sul coraggio dei leader politici che fecero nascere l'Unione europea.

C'è poco da scherzare: il cardinale prefetto Angelo Amato sul messaggio di Fátima tra carisma e profezia.

Lo Stato non è la società: Giovanni Zavatta riguardo a una riflessione del cardinale Jean-Pierre Ricard sulla laicità in Francia.

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Oggi in Primo Piano



Siria, il grido dei cristiani ad Aleppo: basta con il sangue!

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Il Nord–Est e della Siria continua ad essere teatro di continui scontri tra esercito di Damasco e milizie dell’opposizione. Cresce l’incertezza anche per gli attacchi dei jihadisti del sedicente Stato Islamico. Di fronte alla situazione bellica cresce il dramma dei civili, in particolare ad Aleppo: uno dei due principali ospedali della città è stato bombardato e ha dovuto sospendere l'attività. In questo contesto le comunità cristiane sono ridotte allo stremo. Sulla loro condizione, Giancarlo La Vella ha intervistato il padre gesuita Ghassan Sahoui, direttore del Jesuit Refugee Service (JRS) ad Aleppo: 

R. – Sono tanti quelli che sono stati colpiti: le donne senza marito, gli orfani … Purtroppo c’è tanta gente povera che ha perso il lavoro … incontriamo continuamente miseria … Basta con tutto questo sangue, basta con questa guerra assurda! Abbiamo bisogno del dialogo per risolvere tutti i problemi, mettendoci insieme in dialogo, per arrivare a un accordo tra tutte le parti in causa.

D. – Come la comunità cristiana, ma anche le altre comunità, riescono ad andare avanti in questa situazione in cui i bombardamenti e le violenze sono giornaliere?

R. – Ci sono tanti che hanno lasciato Aleppo, però ci sono tanti altri che sono tornati, perché qui ci sono le loro case, c’è il loro lavoro. Quasi tutta la comunità cristiana riceve aiuti umanitari; certamente c’è un’atmosfera di angoscia tra i cristiani, che si chiedono cosa fare, se rimanere o partire, e chiedono soprattutto un aiuto, un segno di speranza, una risposta … cosa fare …

D. – Qual è la cosa di cui la gente ha più bisogno?

R. – Soprattutto, credo che la nostra gente chieda un incoraggiamento per rimanere. Soprattutto le famiglie cristiane ne hanno bisogno, in questo momento.

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Diplomazie del mondo di fronte a 38 milioni di sfollati

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Se il numero dei profughi nel mondo è di ormai 50 milioni, ad impressionare è anche l’ultimo dato sul numero di persone che fuggono all'interno del proprio Paese:  sono 38 milioni gli sfollati a causa di conflitti o violenze.  Si tratta di dati del Rapporto Global Overview 2015, pubblicato in questi giorni. Il dramma umanitario si concentra nei Paesi devastati da guerre e violenze ma deve però interpellare diplomatici di tutto il mondo. Nell’intervista di Fausta Speranza, Germano Dottori, docente di Studi Strategici alla Luiss: 

R. - Non a caso emergono situazioni particolarmente gravi collegate alla Siria e collegate all’Iraq, dove la guerra civile ha imperversato e ha fatto registrare anche la nascita dello Stato islamico che, allargandosi, ha fatto scappare tantissime persone. Si tratta di metodi di terrorismo di massa che proprio a produrre esodi erano finalizzati. Pare che il 60% dei nuovi profughi si concentri in cinque Stati e questo evidenzia come situazioni incancrenite, che si sono poi aggravate di recente, abbiano dato il contributo maggiore a questo dato molto negativo.

D. - Eravamo abituati a pensare a persone che devono abbandonare il proprio Paese per situazioni di conflitto, invece qui c’è l’anarchia di un Paese in cui all’interno si spostano le persone disperatamente…

R. - Ma questo riflette anche il fatto che la guerra tra gli Stati sta declinando verso situazioni di conflitto interno ai vari Paesi. Quindi, se sono  le guerre civili a prevalere sulle guerre internazionali classiche del passato è evidente che tutto questo si riflette anche nel tipo di fenomeni che sono associati; in questo caso, sfollati interni rispetto ai profughi internazionali, che comunque ci sono e rappresentano una grossa realtà. Leggevo di questo dato della Siria che ha praticamente un terzo della propria popolazione sfollato perché si è mosso all’interno del territorio nazionale. Ma, se a questi si aggiungono coloro che sono usciti fuori dal Paese, abbiamo il dato drammatico di metà della popolazione nazionale che ha dovuto lasciare le proprie abitazioni. Questo evidentemente avrà ripercussioni straordinarie a lungo, lunghissimo termine molto difficili da sanare.

D. - Iraq, Siria, Congo, Sudan, Nigeria, Medio Oriente e Africa…

R. - Sì, sono le zone che hanno avuto i maggiori problemi di sicurezza. Sarà interessante vedere, nei documenti che usciranno il prossimo anno, se per via del conflitto in atto in Ucraina uscirà fuori qualcosa di importante collegato all’Europa. Io a questo punto non lo escluderei. Anche uno sfollato singolo rappresenta un problema perché è il risultato di un disagio che evidentemente sarebbe meglio che non ci fosse. Quindi i numeri contano tanto ma bisogna anche pensare al dato qualitativo che è anche la situazione della singola persona che, evidentemente, è stata costretta a scappare dal fatto che le condizioni di vita nella propria zona di residenza erano divenute o sono divenute inaccettabili.

D. – Visto a livelli di equilibri internazionali, è molto difficile incidere all’interno di un Paese, tanto più se è in conflitto. Ma allora che cosa fare?

R.  – Questo è evidentemente molto complicato da stabilire. Ma è certo che noi siamo in una situazione di grandissimo squilibrio internazionale, di grandissima instabilità. Non si vede all’orizzonte un ordine nuovo di un certo tipo che possa reggere nel tempo e qui purtroppo dobbiamo mettere in preventivo che per un certo periodo di tempo noi avremo a che fare con gli esiti di tutto questo. Anche perché, tra l’altro, coloro che avrebbero la forza per intervenire e in qualche modo tamponare le situazioni più gravi non intendono farlo perché ritengono che i costi da sostenere siano troppo alti rispetto ai benefici che possono esserne tratti. In queste condizioni siamo sostanzialmente disarmati, non abbiamo la possibilità di incidere politicamente in modo serio sulle crisi che stanno provocando anche queste tragedie.

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Israele vara il nuovo governo Netanyahu. No dell'Anp

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Varato in Israele il nuovo governo di coalizione. Ieri sera il premier Netanyahu ha sciolto la riserva, presentando la composizione dell’esecutivo al presidente Rivlin. L'Autorità Nazionale palestinese ha bocciato il nuovo esecutivo definendolo "contro la pace e la stabilità". il servizio di Graziano Motta

Proprio quasi allo scadere del tempo massimo per formare il governo, fissato alla mezzanotte scorsa, il leader del “Likud” Benjamin Netanyahu ha annunciato al capo dello Stato Reuven Rivlin che aveva formato un governo di coalizione, riunendo quasi tutti i partiti di destra e religiosi, saldato dall’accordo con la “Casa ebraica”, il partito guidato da Naftali Bennett, ma con la significativa assenza del partito “Yisrael Beitenu” del russofono Avigdor Lieberman, che finora era stato ministro degli Esteri. Coalizione espressa dalle elezioni del 17 marzo scorso, che avrà il risicato sostegno di 61 deputati su 120, quindi di una maggioranza che il leader dell’opposizione, il laburista Isaac Herzog, ha definito “la più debole la più ristretta ed estorta della storia d’Israele”. Le difficoltà di assicurare alla destra un più ampia base parlamentare si erano manifestate due giorni fa quando Lieberman si era ritirato dalla lunga trattativa accusando Netanyahu di “opportunismo”, di aver rinunciato alla costruzione di nuovi insediamenti di coloni in Cisgiordania, di non insistere più sul varo della legge sulla definizione dello Stato nazionale ebraico e di non volersi più impegnare abbastanza per “estirpare i terroristi di Hamas”, cioè il fondamentalismo islamico, dalla striscia di Gaza. Nel nuovo governo il Likud avrà otto ministri, gli altri dieci saranno per i partiti della coalizione.

Per un'analisi sulla tenuta del nuovo esecutivo Massimiliano Menichetti ha intervistato Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente: 

R. – Certamente è un governo che nasce molto debole - i numeri lo dicono in maniera molto chiara - anche se in realtà non si tratta della prima volta che Israele ha un esecutivo con una maggioranza risicatissima. Ma il punto è che questo governo è il risultato dell’esito, per certi versi sorprendente, delle elezioni tenutesi nel mese di marzo. Netanyahu era dato, fino agli ultimi sondaggi, in grossa difficoltà, quasi come se dovesse soccombere ed invece ha vinto. Solo che questo risultato elettorale, positivo per il suo partito, l’ha pagato con gli interessi nel momento della formazione del governo, perché le forze che apparivano come le sue naturali alleate hanno alzato il prezzo arrivando a portare tutta la crisi del sistema politico israeliano in chiara evidenza. Questo è un governo in cui ad esempio rientrano nella stanza dei bottoni partiti religiosi che erano stati precedentemente esclusi. Quindi anche questo tipo di tensioni mineranno la stabilità, perché i partiti religiosi cercheranno in ogni modo di riconquistare lo spazio che avevano perduto in questi ultimi anni.

D. – In questo governo c’è il riflesso di ciò che è stato sostenuto in campagna elettorale, ovvero l’appoggio ai coloni e il tema sicurezza…

R. – Questo sostanzialmente è il governo più a destra che Israele ha conosciuto negli ultimi 20 anni. E’ un governo in cui, forse, il partito di Naftali Bennet - partito in cui i coloni si riconoscono in maniera molto marcata - ha un peso determinante per la sopravvivenza; ma soprattutto è un governo che sul tema degli insediamenti, è un governo omogeneo. Mentre, per esempio, nella coalizione precedente c’erano ministri come l’ex ministro della Giustizia, Tzipi Livni, che frenavano su questo tema, ed erano molto attenti alle ripercussioni diplomatiche delle nuove case nella West Bank, questi contrappesi oggi non ci sono. E quindi sulla carta questo è un esecutivo che promuoverà nuove grandi operazioni in Cisgiordania, senza lasciare alcuno spazio per la trattativa con i palestinesi.

D. – Questo però accade con una maggioranza di 61 deputati su 120, quindi una maggioranza debole…

R. – Certo, diventa un governo esposto a qualsiasi alzata di scudi di qualsiasi membro della maggioranza. E teniamo presente che la società israeliana è una società molto frammentata. Noi tendiamo a guardarla sempre e solo dal punto di vista della questione, certamente cruciale, dei rapporti con i palestinesi, ma ci sono anche tante altre divisioni che attraversano Israele: ad esempio, come detto, quella tra laici e religiosi. Per cui è un governo la cui vita si preannuncia probabilmente molto breve.

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Immigrazione. Bozza risoluzione Onu verso uso forza. Il no del Cir

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Sbarco oggi al porto di Cagliari di 210 migranti soccorsi nei giorni scorsi a largo delle coste libiche. Nelle Ultime 24 ore sono oltre 1000 le persone salvate nel Mediterraneo. E mentre l’Europa sta mettendo a punto una roadmap per contrastare l’azione dei trafficanti di uomini, il 18 maggio il Consiglio di sicurezza dell'Onu potrebbe vagliare la bozza di risoluzione presentata dall'Italia per fronteggiare l'immigrazione illegale, previsto anche l’uso della forza. Massimiliano Menichetti: 

Bruxelles lavora all’attuazione del vertice straordinario che il 23 aprile ha fatto il punto sull'immigrazione. Già il prossimo 18 maggio potrebbero essere approvate le nuove strategie per colpire i barconi dei trafficanti. Il lancio invece di una nuova operazione congiunta e attività diplomatiche in Libia potrebbero essere sul tavolo dei leader europei il 25-26 giugno. E il 18 maggio potrebbe essere votata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu anche la bozza di risoluzione presentata dall'Italia per fare fronte all'immigrazione illegale, provvedimento che sarà messo sul tavolo del Consiglio già lunedì prossimo al vertice di New York. La strategia immediata è quella del contenimento. Il provvedimento infatti cade sotto l'ombrello del Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che in extrema ratio può prevedere anche azioni di forza navali, aeree e terrestri.

Dure critiche vengono dal Cir, il Consiglio Italiano per i rifugiati, il direttore Christopher Hein ribadisce che "non si tengono più in conto le persone, ma si ipotizza l'uso delle armi per tenerle in Libia dove non esistono i diritti più elementari": 

R. – Mi sembra veramente una proposta che non prende assolutamente in esame cosa succede poi con le persone, con i rifugiati e i migranti che si trovano in Libia, con i rifugiati che non possono ritornare nel proprio Paese, che in Libia non trovano alcuna garanzia di rispetto dei diritti fondamentali; e adesso si vuole anche bloccare militarmente qualunque uscita dalla Libia! Invece di pensare veramente a canali di arrivo legali e protetti, dietro procedure, si chiude ancora l’ultimo rubinetto di speranza per queste persone!

D. – Concretamente, che cosa bisognerebbe fare?

R. – Bisognerebbe fare quello a cui si era accennato anche nella recente risoluzione del Parlamento Europeo, oppure rilasciare visti umanitari per chi veramente ha bisogno di protezione, che non può trovare lì dove si trova, come è il caso attualmente certamente in Libia e in altri Paesi di transito. E questo si potrebbe fare attraverso una procedura che coinvolgerebbe le rappresentanze diplomatiche, le ambasciate e i consolati. E non può essere chiamata in causa solo l’Italia: dovrebbe essere una procedura a livello di Unione Europea.

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Aggredito giovane con T-shirt di Manif Pour Tous: grave episodio intolleranza

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Grave fatto di intolleranza a Roma, dove un giovane simpatizzante del Movimento internazionale “La Manif Pour Tous”, di cui indossava una maglietta con il logo di due genitori per mano ai loro bimbi, è stato aggredito in pieno giorno in un parco, il primo maggio scorso, apostrofato da tre persone che gli hanno gridato: “sei un fascista, antiabortista e un cattolico integralista”, spingendolo poi a terra al suo rifiuto di togliere la T-shirt, che gli è stata strappata con violenza. Roberta Gisotti ha intervistato Filippo Savarese portavoce in Italia del movimento La Manif Pour Tous, che ieri ha reso noto l’episodio: 

D. - “La Manif Pour Tous”-ovvero “La Manifestazione per tutti” è un’associazione pro-famiglia nata in Francia nel 2012 a scopo di preservare il matrimonio tra uomo e donna, il diritto dei bambini ad avere una mamma ed un papà e di garantire la libertà di espressione. Filippo Savarese:

R. - Oggi manifestare - non soltanto in senso di difesa, ma anche come espressione di bellezza - per la famiglia, la famiglia naturale con un papà ed una mamma e dei bambini, quindi la famiglia che è unica e che può generare e proteggere la vita, sembra diventata un affronto, non si capisce bene a quale altra libertà o quale altro diritto. Noi sappiamo che la famiglia è un patrimonio universale dell'umanità! E' veramente tragico che oggi solo per avere indossato una maglietta in un contesto, peraltro non di manifestazione, perché il ragazzo si trovava nel parco a festeggiare con amici e parenti il 1° maggio, quindi in un contesto di serenità, si possa essere aggrediti semplicemente perché si porta l’immagine di una famiglia. Questa la dice lunga sui tempi nei quali viviamo!

D. – Qui, in qualche modo, viene anche lesa la libertà di espressione…

R. – Sì, assolutamente si! Di questi fatti, purtroppo, ne sentiamo sempre più frequentemente. Era già accaduto proprio in Francia, dove “La Manif Pour Tous” è nata, che un ragazzo sia stato addirittura fermato dalla Gendarmeria francese perché passeggiava in un parco con la felpa de “La Manif Pour Tous”: la Gendarmeria gli ha contestato di aver messo in scena una provocazione politica, perché il movimento aveva contestato da poco la legge sul cosiddetto “matrimonio per tutti”, cioè il matrimonio gay, del governo francese. E il giovane è stato tenuto in questura per parecchie ore solo per questa maglietta. Ma anche a livello internazionale noi sappiamo che perfino personalità e rappresentanti molto importanti subiscono delle vere e proprie minacce, dove non proprio delle punizioni, per le loro idee a favore della famiglia naturale. Il caso Barilla è stato quello italiano più eclatante: Guido Barilla, patron dell’omonima casa, indotto a chiedere scusa perché aveva detto che la Barilla avrebbe messo nelle pubblicità l’immagine di mamme e papà con i loro figli; e possiamo ricordare anche Brendan Eich, negli Stati Uniti, uno dei più alti dirigenti di Mozilla, di Firefox, che è stato addirittura licenziato perché aveva fatto una donazione a favore del matrimonio tra un uomo e una donna… Credo che, sempre più, noi entreremo in questo clima che non deve essere in alcun modo strumentalizzato e a cui non si deve assolutamente rispondere, da parte nostra, con la stessa violenza. Ma bisogna dirlo pubblicamente: chi oggi crede che il matrimonio è per sua stessa natura tra un uomo e una donna, fondato per proteggere i bambini, è menomato nella sua libertà di espressione e, come vediamo, non solo quella.

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Pubblicato studio su Giovanni Paolo II e fine del comunismo in Polonia

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“Giovanni Paolo II e la fine del comunismo. La transizione in Polonia dal 1978 al 1989”. Questo il volume, edito da “Guerini e associati”, vincitore della quattordicesima edizione del premio Desiderio Pirovano, promosso dall’istituto Luigi Sturzo di Roma per valorizzare gli studi sulla storia della Chiesa e del Cristianesimo. L’autore, Massimiliano Signifredi, tra testimonianze e fonti inedite, ha ripercorso l’impatto di Karol Wojtyla nella nascita a Varsavia del primo governo non comunista nell’Europa dell’Est. Sentiamolo, al microfono di Michele Raviart

R. – Giovanni Paolo II ha tolto la paura che si potesse cambiare e ha creduto, prima di tutto lui e con grande convinzione personale, che la transizione verso la democrazia fosse possibile senza spargimento di sangue, con il dialogo. Giovanni Paolo II ha creduto fermamente nel dialogo. Diceva, riferendosi alla preghiera delle religioni ad Assisi, a proposito della fine del comunismo: “Ad Assisi non abbiamo pregato invano”. Giovanni Paolo II credeva nella forza storica della preghiera e quindi il suo contributo è stato quello di un credente che, con la forza della preghiera, si è contrapposto ad un sistema che invece non dava che la minima importanza alla religione.

D. – Per questo volume sono stati consultati gli archivi in Polonia. Che cosa è emerso di nuovo?

R. – La ricerca è stata lunga ed è stata condotta negli archivi comunisti polacchi. Ho consultato una ricca bibliografia di testi pubblicati, purtroppo per i lettori italiani, solamente in polacco; ho avuto la possibilità di raccogliere le voci di alcuni testimoni e collaboratori di Giovanni Paolo II e ho raccolto anche le voci degli avversari di Giovanni Paolo II, a cominciare da quella del generale Jaruzelski, e di altri esponenti del governo comunista polacco che, a distanza di anni, non negano il ruolo insostituibile di questo Papa per un cambiamento pacifico.

D. – E che cosa ha detto Jaruzelski che, ricordiamolo, introdusse la legge marziale in Polonia nel 1981 per contrastare Solidarność, prima di lasciare in vista delle prime elezioni democratiche?

R. – Jaruzelski è una figura verso cui Giovanni Paolo II nutriva rispetto, questo bisogna dirlo. E a me Jaruzelski disse che Giovanni Paolo II gli era sempre sembrato un patriota, con cui si potesse fare un pezzo di strada insieme. Effettivamente la conclusione pacifica della transizione polacca, iniziata a mio avviso con l’elezione di Giovanni Paolo II, nell’ottobre del ’78, e conclusasi nell’’89 con la fine del comunismo in Polonia, ha dimostrato che Jaruzelski e i comunisti polacchi avevano trovato un modo di dialogare: avevano scoperto il metodo del dialogo. E un amico intimo di Giovanni Paolo II – mi piace ricordarlo – padre Tischner, studioso della filosofia del dialogo, diceva: “Il dialogo crea qualcosa che non esiste, fa avvicinare gli interlocutori e fa capire loro le posizioni l’uno dell’altro”. Comunisti e non comunisti in Polonia si sono accordati.

D. – Qual è stato il ruolo di Wojtyla nella Chiesa polacca prima e dopo l’elezione al soglio pontificio, nel 1978?

R. – Fino all’ottobre del  ’78, Wojtyla era cardinale arcivescovo di Cracovia, ma non era una personalità pubblica in Polonia, era un vescovo pastorale, conciliare, che aveva voluto il Sinodo dell’arcidiocesi di Cracovia, dal ‘72 al ‘79, durante il suo primo viaggio - perché lui fu eletto Papa nel frattempo - ma non aveva una voce pubblica che ne facesse un leader. Wojtyla era sempre un passo indietro al cardinale Wyszyński, primate di Polonia, colui che ha rappresentato la resistenza di questa Chiesa indomita e piena di popolo, di sacerdoti, di religiosi e di religiose, che doveva fronteggiare il tentativo comunista di azzerarla e renderla inefficace, all’interno di una nazione profondamente cattolica.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nigeria: rapito un sacerdote cattolico

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Secondo fonti giornalistiche locali, un sacerdote nigeriano, don Innocent Umor, sarebbe stato rapito dalla sua parrocchia di Ikanepo, nella diocesi di Idah, nello Stato di Kogi, nel centro sud della Nigeria. Il fatto sarebbe accaduto nella prime ore del mattino del 4 maggio, quando 5 uomini armati, secondo le informazioni diffuse dai media, hanno assalito la canonica dove il sacerdote stava riposando. I rapitori - riferisce l'agenzia Fides - avrebbero richiesto un riscatto di 4 milioni di Naira (circa 20.000 dollari). La polizia ha dichiarato che è in corso un’inchiesta. (L.M.)

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Vescovi Libano: Paese in pericolo senza il presidente

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I partiti politici libanesi debbono eleggere il nuovo presidente della Repubblica, per superare il vuoto che mette in pericolo il Paese a causa della drammatica situazione esistente nella regione. I vescovi maroniti - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono tornati ad ammonire così le forze politiche libanesi sul pericolo che fanno correre al Paese non trovando il modo di eleggere un nuovo capo dello Stato, dopo la fine del mandato del presidente Michel Suleiman, nel maggio del 2014.

I partiti politici dovrebbero assumersi le proprie responsabilità 
​Al termine della loro riunione mensile, il Consiglio dei vescovi maroniti ha emesso ieri una dichiarazione nella quale si afferma che “I pericoli esistenti, così come gli interessi internazionali sul Libano a causa della sua diversità culturale e religiosa, dovrebbero indurre i responsabili a eleggere un presidente". “Le successive elezioni restituiranno al Libano la normalità. I partiti politici – prosegue la nota - dovrebbero assumersi le proprie responsabilità e il senso dei pericoli in agguato nella regione, invece di scaricare  la colpa gli uni sugli altri".

La mancanza di un Presidente paralizza il funzionamento delle istituzioni
In base alla Costituzione libanese, il presidente della Repubblica deve essere un cristiano, ma i due partiti cristiani, schierati con gli opposti gruppi del “14 marzo” e dell’“8 marzo” non riescono a trovare un candidato comune. E il partito “Change and Reform” di Michel Aoun, insieme con Hezbollah continua a boicottare le sessioni parlamentari mirate alla elezione del capo dello Stato, la mancanza del quale paralizza il normale funzionamento del governo e del Parlamento. (R.P.)

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Vescovi Burundi: sì al voto invocando la via del dialogo

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“Raccomandiamo vivamente la via delle elezioni perché il Paese non manchi di istituzioni elette dal popolo e che godano della sua fiducia” affermano i vescovi del Burundi in un messaggio sulla situazione del Paese, in preda alle proteste contro la candidatura del Presidente uscente Pierre Nkurunziza, alle elezioni di giugno, per un terzo mandato, in violazione della Costituzione che prevede solo due mandati presidenziali.

I vescovi chiedono di garantire la sicurezza delle elezioni
Nel messaggio, ripreso dall’agenzia Fides, i vescovi si dicono preoccupati per il clima di tensione nel quale vive il Paese: scontri tra polizia e manifestanti con morti e feriti; scuole e uffici chiusi; popolazione in fuga e persone che dormono fuori casa per paura di essere uccise; timore diffuso di una ripresa della guerra civile. Per questo nel messaggio si chiede che quanti hanno la responsabilità “facciano di tutto per garantire la sicurezza delle elezioni, la libertà di movimento dei candidati e degli elettori, in una competizione che dia ad ogni candidato le stesse possibilità di presentare i propri progetti di società e di fare la propria propaganda nella tranquillità”. I presuli chiedono tra l’altro “che sia garantita la sicurezza ovunque, in modo che i rifugiati, rassicurati, tornino nelle loro case; che siano verificate le voci su armi distribuite ai giovani affiliati ai partiti e, nel caso fossero vere, che si proceda al disarmo sistematico e non selettivo” al fine di far sì che le elezioni non avvengano sotto la minaccia delle armi.

La Chiesa indica la via del dialogo 
​I vescovi burundesi invocano la via del dialogo, che ha portato agli accordi di Arusha, mettendo fine alla decennale guerra civile. Sottolineano inoltre che “governare è la grande missione di mettersi al servizio di tutti”. Per questo i dirigenti del Paese “non devono cercare solo i loro interessi personali o settari. Colui che vuole governare deve accettare di essere il padre di tutta la nazione. Un buon padre è colui che può anche rinunciare al suo diritto quando vede che questo serve alla salvezza della sua famiglia”. Il messaggio si chiude facendo appello ai giovani, perché non si facciano manipolare per commettete atti violenti, e ai fedeli, perché preghino incessantemente per il bene del Burundi. (L.M.)

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Sud Sudan: il 10 maggio Giornata di preghiera per la pace

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Una Giornata di preghiera per la pace in Sud Sudan e per le vittime del nuovo sanguinoso conflitto che da un anno e mezzo contrappone i militari governativi e i ribelli fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar. Ad indirla per sabato 10 maggio è il Consiglio Mondiale della Chiese (Wcc), con l’obiettivo di sollecitare la rapida ripresa dei colloqui di pace bruscamente interrotti ad Addis Abeba lo scorso mese di marzo.

Il dolore causato dal nuovo conflitto è insostenibile
Nel suo invito alle Chiese del Sud Sudan,  il Segretario generale del Wcc Olav Tveit ricorda come dopo 17 mesi di combattimenti i sud-sudanesi “attendono  con un dolore insostenibile il ritorno della pace”. Egli sottolinea quindi il ruolo essenziale delle Chiese nella pacificazione del Paese. “Per questo motivo – afferma - il Wcc esorta i suoi membri e i cristiani di tutto il mondo a pregare per restituire la speranza alle persone colpite dalla guerra e a sostenere tutte le iniziative costruttive”. 

Una guerra ingiustificabile nel Sud-Sudan liberato
Dopo il fallimento dei negoziati ad Addis Abeba, lo scorso aprile il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan (Sscc) aveva denunciato in un messaggio l’insensatezza del nuovo conflitto armato scoppiato nel dicembre 2013 tra il Presidente Salva Kiir Mayardit e l’ex vice Presidente ribelle Riek Machar. Un conflitto che – si affermava - dopo le sanguinose guerre di liberazione del 1955-72 e del 1983-2005, non ha alcuna giustificazione morale. (L.Z.)

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Pastorale migranti: politiche migratorie rispettino diritti umani

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Un appello alle nazioni ed all’Unione Europa affinché “si assumano consapevolmente le loro responsabilità per promuovere politiche di migrazione ed asilo nel totale rispetto e difesa della dignità e dei diritti umani fondamentali, incluso il diritto all’integrità della vita dei migranti”: questo il forte appello lanciato dalla Commissione mista del Mediterraneo, al termine della riunione tenuta a Madrid, in Spagna, dal 3 al 5 maggio. L’organismo  riunisce vescovi, sacerdoti, laici e religiosi provenienti da Nord Africa, Francia, Portogallo, Italia e Spagna, tutti membri responsabili della Pastorale dei migranti e del dialogo islamico-cristiano.

Cura pastorale per i matrimoni misti, tra coniugi di religioni differenti
Quest’anno, in particolare, la Commissione ha affrontato il tema della “ricezione ed accompagnamento dei catecumeni che provengono da altre religioni”, per i quali si richiede un cammino particolare che “tenga conto delle loro tradizioni religiose e culturali”, per aiutare “i nuovi convertiti a seguire un ricco itinerario di incontro con Cristo”. Altro punto in agenda è stato quello dei matrimoni misti, tra cristiani e fedeli di altre religioni. Al riguardo, la Commissione mista ha evidenziato “la complessità di tale situazione dovuta alle differenze di culture e tradizioni familiari sul matrimonio, o delle distinte situazioni sociali e legislative di ciascun Paese o riguardo alla scelta dell’educazione religiosa dei figli”. In quest’ottica, i membri dell’organismo hanno sottolineato la necessità di “studiare la ricezione, la preparazione e la celebrazione del matrimonio, per accompagnare nel modo migliore, in questo processo, i coniugi”.

Grande preoccupazione per le sofferenze dei cristiani nella regione
Quindi, il comunicato finale dei lavori riferisce della “grande preoccupazione” dei vescovi del Mediterraneo per quello che “sta accadendo in Libia e per le drammatiche conseguenze che patiscono i cristiani in questo Paese”. Allo stesso tempo, viene ricordata “la pressione migratoria crescente nel Mediterraneo, con risultati estremamente pericolosi e tragici per la vita dei migranti”. Di qui, l’appello alle istituzioni della regione, affinché mettano in atto misure adeguate per salvaguardare la vita ed i diritti delle popolazioni in fuga dal proprio Paese ed in cerca di un futuro migliore.

Condividere esperienze da entrambe le sponde del Mediterraneo
Riunitasi per la prima volta nel 1989, la Commissione mista del Mediterraneo tiene la sua Assemblea ogni due anni con l’obiettivo di “condividere informazioni, esperienze ed orientamenti su questioni ed eventi riguardanti Pastorali comuni su entrambe le sponde del Mediterraneo”. (A cura di Isabella Piro)

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Laos: gioia di vescovi e giovani per beatificazione di p. Borzaga

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E’ arrivata oggi in Cambogia la notizia che la Santa Sede ha riconosciuto il martirio del missionario degli Oblati di Maria Immacolata (Omi) padre Mario Borzaga (1932-1960) e del catechista laico laotiano Paolo Thoj Xyooj, uccisi in Laos nel 1960 dai guerriglieri comunisti Pathet Lao. Come riferisce l'agenzia Fides, la notizia ha suscitato grande gioia ed emozione nei vescovi della Conferenza episcopale di Laos e Cambogia (Celac), attualmente riuniti in Assemblea per una settimana nella capitale cambogiana, fino al 9 maggio. I quattro vicari apostolici del Laos (Ordinari dei vicariati di Vientiane, Paksè, Luang Prabang, Svannakhet) hanno espresso “soddisfazione e gioia inattesa”: accanto al missionario Omi c’è infatti il primo cittadino nativo del Laos a salire alla gloria degli altari.

In attesa della seconda causa per altri 15 martiri laotiani
Padre Mario Ghezzi del Pime, vicario delegato di Phnom Penh, nota a Fides: “E’ una buona notizia e speriamo che presto anche la seconda causa dei martiri laotiani, che include altri 15, fra missionari e laici locali, possa avere buon esito. L'immensa gioia che questo evento suscita nella piccola Chiesa di Laos e Cambogia, riunite nella medesima Conferenza episcopale, la condivideremo concretamente nel mese di agosto, quando a Phomn Penh, per la prima volta, i giovani cattolici di Laos e Cambogia vivranno insieme la loro Giornata della gioventù”.

La figura di padre Borzaga affascina soprattutto i giovani
​Borzaga, infatti, giovane missionario, “è un modello per moltissimi giovani”, rimarca a Fides padre Angelo Pelis, postulatore della causa di beatificazione di Borzaga e Thoj Xyooj. “Gli scritti di padre Mario Borzaga suscitano commozione e devozione nei laici, nei giovani e nelle persone consacrate. La sua figura affascina specialmente i giovani: sono migliaia i commenti e le testimonianze di grazie ottenute per sua intercessione. La sua fama di santità e di martirio aumenta di giorno in giorno, come mostrano le crescenti visite al sito web www.marioborzaga.it, creato nel 2004”. (P.A.)

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Francia: la “Notte delle cattedrali”

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Arte, cultura e spiritualità: questi i punti focali attorno ai quali si svilupperà, in Francia, la “Notte delle cattedrali”. L’evento, in programma sabato 9 maggio, vedrà coinvolti 33 luoghi di culto in tutto il Paese che lasceranno le loro porte aperte fino a mezzanotte, proponendo ai fedeli, e non solo, incontri spirituali e culturali, concerti, mostre, conferenze, visite guidate, meditazioni, momenti di preghiera comunitaria ed individuale.

Iniziativa nata nel 2007
L’idea della “Notte delle Cattedrali” risale al 2007: in quell’anno, poiché Lussemburgo era stata scelta come capitale europea della cultura, le cattedrali delle diocesi di Lussemburgo, Metz e Trèves rimasero aperte per la notte. In seguito, le Conferenze episcopali dei Paesi confinanti decisero di replicare l’iniziativa all’interno del loro confini. L’obiettivo – spiega il sito web dei vescovi francesi – era ed è quello di “dimostrare che la cultura e la spiritualità appartengono alle origini della vita comunitaria dell’Europa, sempre più unita”.

Dare un segno di unità all’Europa
“Quali altri luoghi come le cattedrali, monumenti religiosi e storici, si possono trovare per simboleggiare questa presenza nella vita pubblica? - si legge ancora sul sito – Quali luoghi migliori delle cattedrali sono capaci di contenere sia i ricordi delle generazioni passate che i desideri e le speranze delle generazioni presenti?”.  Il 9 maggio, dunque, in ogni cattedrale di Francia aderente all’iniziativa, si terranno programmi specifici per ricordare che “la Notte delle Cattedrali" è un segno di unità e un segno di diversità culturale e spirituale”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 127

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.