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Sommario del 08/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: nella Chiesa si discute per fare unità non "cordate"

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Lo Spirito Santo crea “movimento” nella Chiesa che all’apparenza può sembrare “confusione” e invece, se viene accolto in preghiera e con spirito di dialogo, genera sempre “unità” tra i cristiani. Lo ha affermato il Papa durante l’omelia della Messa celebrata a Casa S. Marta, dedicata da Francesco alla sua “patria” nel giorno della festa di Nostra Signora di Lujan, Patrona dell’Argentina. Il servizio di Alessandro De Carolis

È il Dio sconosciuto a muovere le acque della Chiesa e tutte le volte che i cristiani, a partire dagli Apostoli, si sono confrontati con franchezza e nel dialogo, e non fomentando tradimenti e “cordate” interne, hanno sempre compreso la cosa giusta da fare, grazie all’ispirazione dello Spirito Santo. Francesco dimostra questo assunto riandando, guidato dagli Atti degli Apostoli, alle situazioni di confronto e di scontro che la prima comunità cristiana si trova a vivere.

Dialogo tra fratelli, non "cordate" di nemici
Il brano del giorno narra della conclusione del primo Concilio di Gerusalemme, che stabilì, dopo non poche frizioni, le poche e semplici regole che i nuovi convertiti al Vangelo dovevano osservare. Il problema, ricorda Francesco, è che in precedenza si era accesa una lotta intestina tra quelli che definisce i “chiusi” – gruppo di cristiani “molto attaccati alla legge” che volevano “imporre le condizioni dell’ebraismo ai nuovi cristiani” – e Paolo di Tarso, l’Apostolo dei pagani, decisamente contrario a questa costrizione:

“Come risolvono il problema? Si riuniscono e ognuno dà il suo giudizio, dà la sua opinione. Discutono ma come fratelli e non come nemici. Non fanno le cordate fuori per vincere, non vanno dai poteri civili per vincere, non uccidono per vincere. Cercano il cammino della preghiera e il dialogo. Questi che erano proprio su posizioni opposte dialogano e si mettono d’accordo. Questa è opera dello Spirito Santo”.

Lo Spirito muove verso l'amornia
La decisione finale, sottolinea Francesco, viene presa nella concordia. Ed è su questa base che viene scritta a fine Concilio la lettera da inviare ai “fratelli” che “provengono dai pagani”, nella quale ciò che viene comunicato è frutto di una condivisione ben diversa dalle manovre e dalle schermaglie messe in campo da quanti seminano "zizzania":

“Una Chiesa dove mai ci sono problemi del genere mi fa pensare che lo Spirito non sia tanto presente. E in una Chiesa dove sempre si discute e ci sono cordate e si tradiscono i fratelli l’un l’altro, lì non vi è lo Spirito! Lo Spirito è quello che fa la novità, che muove la situazione per andare avanti, che crea nuovi spazi, che crea la saggezza che Gesù ha promesso: ‘Egli vi insegnerà!’. Questo muove, ma è anche quello che alla fine crea l’unità armoniosa fra tutti”.

Fedeli ai "movimenti" dello Spirito
L’ultima osservazione di Papa Francesco è sulla frase adottata per concludere la lettera. Parole che rivelano l’anima della concordia cristiana, non un semplice atto di buona volontà ma un frutto dello Spirito Santo:

“Questo è quello ci insegna oggi questa Lettura, che ci insegna il primo Concilio ecumenico. ‘E’ parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi': quella è la formula, quando lo Spirito ci mette tutti d’accordo. Adesso continuiamo la celebrazione eucaristica e chiediamo al Signore Gesù, che sarà presente fra noi, che ci invii sempre lo Spirito Santo, a noi, a ognuno di noi. Che lo invii alla Chiesa e che la Chiesa sappia essere fedele ai movimenti che fa lo Spirito Santo”.

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Francesco alla Federtennis: no al doping, atleti siano validi modelli

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Gli atleti hanno la missione di essere “validi modelli da imitare”. E’ l’esortazione di Papa Francesco rivolta ai giovani della Federazione Italiana Tennis, circa 7 mila, che stamani sono stati ricevuti in Aula Paolo VI. Il Pontefice ha messo l’accento sul valore educativo della scuola, quindi ha condannato il ricorso al doping, una scorciatoia brutta e sterile. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Lo sport, assieme all’educazione e al lavoro è uno dei tre pilastri fondamentali per i giovani. Papa Francesco lo ha sottolineato rivolgendosi alla Federazione Italiana Tennis che ha gremito l’Aula Paolo VI di giovani atleti che partecipano a un progetto ludico motorio.

Gli atleti siano modelli da imitare
La Chiesa, ha detto, “si interessa di sport perché le sta a cuore l’uomo, tutto l’uomo, e riconosce che l’attività sportiva incide sulla formazione della persona, sulle relazioni, sulla spiritualità”:

“Voi atleti avete una missione da compiere: poter essere, per quanti vi ammirano, validi modelli da imitare”.

No alla scorciatoie come il doping
Il Papa si è così rivolto ai dirigenti ed allenatori esortandoli a “dare buona testimonianza di valori umani”, ad essere “maestri di una pratica sportiva che sia sempre leale e limpida”:

“Il vostro è uno sport molto competitivo, ma la pressione di voler conseguire risultati significativi non deve mai spingere a imboccare scorciatoie come avviene nel caso del doping. Come è brutta e sterile quella vittoria che viene ottenuta barando sulle regole e ingannando gli altri!”.

Mettetevi in gioco con gli altri e con Dio
Francesco ha ricordato che l’apostolo Paolo usa metafore sportive, in particolare la corsa verso un premio. Ed ha esortato ciascuno degli atleti “a mettersi in gioco non solo nello sport”, ma “nella vita, alla ricerca del bene, del vero bene, senza paura, con coraggio ed entusiasmo”:

“Mettetevi in gioco con gli altri e con Dio, dando il meglio di voi stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre. Mettete i vostri talenti al servizio dell’incontro tra le persone, dell’amicizia, dell’inclusione”.

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Papa: mai più crimini contro i minori nella Chiesa

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Mai più crimini contro i minori nella Chiesa: è quanto afferma Papa Francesco nel Chirografo con cui ha istituito, il 22 marzo dell’anno scorso, la Commissione per la Tutela dei Minori. Oggi è stato pubblicato il documento pontificio insieme allo Statuto della Commissione approvato, ad experimentum per tre anni, dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin per mandato di Papa Francesco. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Occorre “realizzare tutto quanto è possibile – afferma Papa Francesco - per assicurare che crimini come quelli accaduti” contro i minori “non abbiano più a ripetersi nella Chiesa”. “Ai miei collaboratori – scrive nel Chirografo - chiedo tutto l’impegno possibile affinché mi aiutino a rispondere alle esigenze di questi piccoli”.

Sottolineando il fatto che in questo modo ha deciso di continuare l’opera dei suoi predecessori, il Papa rileva che scopo della Commissione è quello di promuovere, unitamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la responsabilità delle Chiese particolari per la protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili”. In questo senso, la Commissione collaborerà “con quanti individualmente o in forma organizzata perseguono il medesimo obiettivo”.

Il Pontefice ricorda quindi i “dolorosi fatti” che “hanno imposto un profondo esame di coscienza da parte della Chiesa” e che, “insieme con la richiesta di perdono alle vittime e alla società per il male causato, hanno portato ad avviare con fermezza iniziative di vario genere nell’intento di riparare il danno, fare giustizia e prevenire, con tutti i mezzi possibili, il ripetersi di episodi simili in futuro”.

“L’effettiva tutela dei minori (Minorum tutela actuosa) e l’impegno per garantire loro lo sviluppo umano e spirituale consono alla dignità della persona umana – si legge ancora nel Chirografo - fanno parte integrante del messaggio evangelico che la Chiesa e tutti i suoi membri sono chiamati a diffondere nel mondo”.

Con la pubblicazione dello Statuto, la Commissione entra nella sua piena operatività.

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Le tappe del viaggio del Papa in Ecuador, Bolivia e Paraguay

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Tre Stati latinoamericani, cominciando dal nordovest per poi scendere in diagonale verso sud, tagliando sul Perù e arrivando a sfiorare la “sua” Argentina. È questa la mappa del percorso che per 9 giorni, dal 5 al 13 luglio prossimi, porterà Papa Francesco a visitare in sequenza Ecuador, Bolivia e Paraguay, secondo il programma ufficiale del viaggio apostolico reso noto dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Tappe in Ecuador
A Quito, capitale dell’Ecuador, Francesco atterrerà nel primo pomeriggio del 5 luglio, ora locale, e pronuncerà il suo primo discorso allo scalo internazionale “Mariscal Sucre”. La mattina seguente si sposterà in aereo per Guayaquil per presiedere la Messa davanti al Santuario della Divina Misericordia, quindi rientro a Quito per la visita di cortesia al presidente della Repubblica e una sosta nella cattedrale. Martedì 7, l’agenda prevede l’incontro con i vescovi ecuadoriani, la Messa, l’incontro col mondo della scuola e dell’università e quello con la società civile. Ancora due impegni porteranno il Papa, la mattina dell’8 luglio a visitare la Casa di riposo delle Missionarie della Carità e a incontrare clero, religiosi, religiose e seminaristi locali nel Santuario nazionale mariano “El Quinche”.

Tappe in Bolivia
Nel pomeriggio dell’8 l’aereo papale atterrerà all’Aeroporto internazionale di “El Alto” a La Paz, capitale della Bolivia. Dopo la cerimonia di benvenuto, le ore seguenti vedranno Francesco rendere una visita di cortesia al presidente nel Palazzo del governo e a intrattenersi con le autorità civili nella Cattedrale di La Paz. In serata, il Papa sarà ancora sull’aereo diretto a Santa Cruz de la Sierra dove la mattina seguente celebrerà la Messa e nel pomeriggio sarà insieme a sacerdoti religiosi, religiose e seminaristi boliviani per poi concludere la giornata prendendo parte al secondo Incontro mondiale dei movimenti  popolari nel centro fieristico Expo Feria. Anche in questo caso, prima della partenza per il Paraguay, la mattina del 10 luglio sarà dedicata alla visita al Centro di rieducazione Santa Cruz-Palmasola e all’incontro con i vescovi della Bolivia.

Tappe in Paraguay
Per le 15 ora di Asunción è previsto l’arrivo del volo papale in Paraguay, cui seguirà la rituale cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale “Silvio Pettirossi”. Istituzionali saranno i primi impegni di Francesco, dapprima nel Palazzo de Lopez per la visita di cortesia al presidente della Repubblica e a seguire con l’incontro con le autorità e con il Corpo diplomatico. Sabato 11 luglio, di buon mattino il Papa sarà tra i piccoli ricoverati dell’Ospedale generale pediatrico “Niños de Acosta Ñu”, poi presiederà la liturgia eucaristica sul piazzale del Santuario mariano di Caacupé. Nel pomeriggio, Francesco sarà con i rappresentanti della società civile per poi presiedere la celebrazione dei Vespri con il clero e i religiosi del Paese, assieme ai membri di Movimenti cattolici, nella Cattedrale dell’Assunta. L’ultimo giorno di permanenza si aprirà con la visita del Papa alla popolazione di Bañado Norte, proseguirà con la celebrazione della Messa nel Campo grande di Ñu Guazú e con l’incontro con i vescovi locali. La conclusione del viaggio apostolico, nel pomeriggio, sarà suggellata dall’incontro con i giovani paraguayani quindi, verso le 19 locali, la partenza in aereo per Roma. L’arrivo allo scalo romano di Ciampino è previsto per le 13.45 del 13 luglio. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Card. Vegliò: l'Europa deve farsi carico dei rifugiati

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Papa Francesco ha incontrato il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Al centro del colloquio le complesse questioni legate al fenomeno dell’immigrazione verso l’Europa. Un tema che sta molto a cuore al Papa e sul quale a vari livelli si cercano soluzioni. Al termine dell’udienza Adriana Masotti ha sentito il porporato: 

R. – Ha preso una ampiezza enorme questo fenomeno, con tanti morti, con idee un po’ strane di qualche politico, concernenti la maniera di fermare queste emigrazioni… La preoccupazione è sempre quella che conosciamo bene: sono esseri umani che possono creare dei problemi, però l’Europa ha il dovere - essendo un continente ricco il loro - di prendersi cura di questi immigrato che per cercare di vivere una vita migliore lasciano la loro patria, spendono i loro soldi, vanno incontro spesso alla morte. Questo è per i migranti. Se poi parliamo dei profughi è ancora peggio, perché si tratta di gente che scappa proprio dai loro Paesi: veda la Siria, veda l’Iraq, veda la Nigeria, veda la Somalia… E questo perché ci sono persecuzioni o politiche o religiose. Quindi, rientra anche nel dovere di uno Stato di riceverli, accogliergli, esaminare la loro posizione per dare loro eventualmente l’asilo politico.

D. – L’Europa e l’Onu si stanno orientando verso una politica più di contenimento. Si parlava di bombardamenti, di un pattugliamento delle coste libiche. Mi pare che il pensiero della Chiesa e di tante organizzazioni umanitarie sia invece quello di una maggiore accoglienza…

R. – Quando si parla di bombardare, prima di tutto non si può mica bombardare un Paese: c’è il diritto internazionale. Bisognerebbe eventualmente avere l’accordo o se non altro la protezione dell’Onu e l’accordo del Paese dove uno eventualmente va a bombardare la barche. Certo, se noi possiamo essere d'accordo con la Libia, avremmo risolto il problema, perché la Libia stessa si impegnerebbe almeno a far partire molti meno immigranti di quelli che partono adesso. Altre idee un po’ peregrine… Però io le capisco, perché di fronte a questo flusso continuo ci si domanda veramente: ma che cosa dobbiamo fare per queste persone e un pochino anche per l’Italia, che ne riceve tanti? In questo caso sarebbe bene che – come ha anche detto il Santo Padre – l’Europa sentisse maggiormente come suo questo problema e non lo lasciasse ai Paesi che confinano con l’Africa, nel sud dell’Europa. Perché se ogni Paese dei 28 Paesi d’Europa si prendesse una certa quota, il problema sarebbe molto diluito. Come in Italia, che bisogna riconoscere che ha dei meriti: l’anno scorso ne ha assorbiti circa 170 mila. Se uno li dividesse in tutte le province, in tutte le regioni, sarebbe una cosa sopportabile. Dopo, però, alcune regioni, alcune province non li vogliono… E’ un problema complesso, però la Chiesa guarda sempre il rispetto della dignità umana, guarda sempre l’altro come persona e per noi cristiani come figli di Dio.

D. – Eminenza, mi conferma l’interesse della Santa Sede per l’ipotesi di aprire corridoi umanitari, tramite le nunziature apostoliche, come diversi organi di stampa stanno dicendo in questi giorni?

R. – Questo è un problema che ci è stato posto, una richiesta che ci è stata posta ultimamente. E’ un’idea di questi quattro sacerdoti che desta interesse. Certo è un po’ difficile metterla in pratica, però non si può nemmeno buttare nel cestino: in quanto tutto ciò che può aiutare a risolvere nella maniera migliore questi problemi, la Chiesa lo studia attentamente. Per cui il problema viene studiato.  

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Dal Papa un centinaio di pastori evangelici pentecostali

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Nel pomeriggio di ieri, giovedì 7 maggio, il Santo Padre ha ricevuto in forma privata un gruppo di un centinaio di pastori evangelici di orientamento pentecostale di diverse parti del mondo che avevano manifestato il desiderio di incontrarlo. Il gruppo era guidato dal pastore Giovanni Traettino, la cui comunità era stata visitata dal Papa a Caserta nei mesi scorsi.

L’incontro si è svolto nell’Auletta attigua all’Aula Paolo VI ed è stato caratterizzato da viva cordialità e spirito di preghiera per l’unità. Il Papa era accompagnato da S.Em.za il card. Kurt Koch, presidente del Consiglio per l’Unità dei Cristiani.

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Il Papa riceve i cardinali Pell, Bertone e Rodé

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia; il card. Tarcisio Bertone, S.D.B., Segretario di Stato emerito; e il card. Franc Rodé, C.M., Prefetto emerito della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.

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Messa di Parolin a 40 anni dalla morte del card. József Mindszenty

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha presieduto ieri sera, presso la Chiesa romana di Santo Stefano Rotondo al Celio, la Messa per i 40 anni della scomparsa del cardinale ungherese József Mindszenty. Ha concelebrato il cardinale Péter Erdő, primate d’Ungheria. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Card. Mindszenty, coscienza viva del suo popolo
“Coscienza viva del suo popolo” negli anni bui del regime comunista in Ungheria: così il cardinale Parolin ricorda il Servo di Dio József Mindszenty. Dopo aver conosciuto il carcere già nel 1944 sotto il breve governo filonazista del Paese, Mindszenty – ricorda il segretario di Stato – “fu per quasi trent’anni arcivescovo di Esztergom” e primate d’Ungheria. Sin dall’inizio ebbe a dire: “Voglio essere un buon Pastore che, se è necessario, dà la sua vita per le pecore” (Esztergom, 7 ottobre 1945). In effetti - osserva il porporato - Mindszenty “poté liberamente esercitare il suo ufficio per un periodo molto breve, per soli tre anni. Come primate si sentiva investito di una grande responsabilità verso tutto il popolo ungherese:

“Ha visto il grande pericolo del comunismo e cercò di rafforzare il suo popolo attraverso l’esempio. Il cardinale, vedendo la disperazione degli abitanti del Paese e la crescente pressione da parte del regime, annunciò un programma pastorale per la nuova evangelizzazione dell’Ungheria. Incoraggiò inoltre la preghiera incessante, basata sui valori dell’amore per Dio e per il prossimo, promuovendo la devozione mariana, per cui indisse anche un anno mariano, favorendo la devozione a Santo Stefano e ai santi ungheresi. Con le sue lettere pastorali ed omelie predicò contro ogni ingiustizia, richiedendo una vita pubblica e familiare secondo i principi morali cristiani”.

Simbolo della Chiesa perseguitata
Forse – ha affermato il cardinale Parolin – “all’inizio del suo ministero non aveva ancora la massima chiarezza su come si sarebbero in breve tempo adempiute le parole da lui pronunciate durante la sua presa di possesso”. József Mindszenty doveva seguire “il Buon Pastore nella via della sofferenza e diventare letteralmente la coscienza viva del suo Popolo, non solo con le parole, ma ancora di più col suo silenzio, imposto dal regime”:

“Il giorno di Natale del 1948 fu arrestato e due mesi dopo, nonostante le proteste di Papa Pio XII, venne condannato all’ergastolo con l’accusa di cospirazione tesa a rovesciare il governo comunista. Durante gli anni silenziosi, passati in carcere, e dopo, negli anni che trascorse in esilio, diventò un simbolo della Chiesa perseguitata, della Chiesa dolente, della Chiesa di tanti martiri e confessori della fede, che soffrivano sotto la dittatura nei paesi comunisti e in particolare in Ungheria”.

Dall'indifferenza alla compassione
La cortina di ferro insieme al muro di Berlino, che ha diviso l’Europa in due parti per decenni – ha detto il segretario di Stato – “sono ormai caduti, ma anche oggi vi sono pericoli, laddove è presente la sofferenza e l’ingiustizia. E citando le parole di Papa Francesco ha così concluso:

“La nostra preghiera si fa ancora più intensa e diventa un grido di aiuto al Padre ricco di misericordia, perché sostenga la fede di tanti fratelli e sorelle che sono nel dolore, mentre chiediamo di convertire i nostri cuori per passare dall’indifferenza alla compassione” (Omelia, 11 aprile 2015).

Il cardinale Erdő: Mindszenty aveva il coraggio di dire parole chiare
Sull'attualità del messaggio del Servo di Dio József Mindszenty, ascoltiamo il cardinale Péter Erdő al microfono di Agnes Gedo:

“Prima di tutto era impegnato per la fede ma anche per i valori umani, oggi si direbbe per la dignità umana. E alzava la sua voce ogni volta che veniva violata la dignità umana: le persecuzioni e tutte le azioni disumane che conosciamo nella storia dello stalinismo. Lui aveva il coraggio di dire le parole più chiare. E ha sofferto molto per questo. Quindi la chiarezza e il coraggio sono due punti in cui ha dato un esempio di valore anche attuale”.

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Supplica alla Madonna di Pompei per la pace e i cristiani perseguitati

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Migliaia di fedeli si sono radunati oggi a Pompei per la Supplica di mezzogiorno alla Madonna del Rosario. A precedere l’antica preghiera una celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, che nella sua omelia ha sottolineato come, anche tramite la preghiera del Rosario, può efficacemente realizzarsi “la Chiesa in uscita, desiderata e testimoniata” da Papa Francesco e si può “partecipare alla missione evangelizzatrice della Chiesa, essere missionario e visitare nella preghiera ogni angolo del mondo, farsi prossimo con essa alle sofferenze di ogni uomo, perché ogni ferita sia fasciata dall’amore misericordioso di Dio”. E sono tanti i pellegrini che in particolare nel mese di maggio raggiungono la cittadina campana proprio per recitare il Rosario nel Santuario di Pompei dedicato a Maria. Tiziana Campisi ha chiesto a mons. Tommaso Caputo, arcivescovo prelato di Pompei, quali preghiere rivolgere a Maria per il mondo di oggi: 

R. – Preghiamo innanzitutto per la pace perché possa regnare davvero nei cuori degli uomini e in mezzo ai popoli. Soprattutto in quei luoghi dove più forti sono i conflitti. La nostra preghiera è anche per il Papa, per la Chiesa, perché docili all’azione dello Spirito continuiamo a testimoniare Gesù con la parola e con l’esempio. E un pensiero va anche ai cristiani perseguitati in tante parti del mondo, agli ammalati, a coloro che stanno vivendo difficili prove, sofferenze fisiche e morali, ai profughi. E penso alle nove donne e ai due bambini provenienti dall’Africa sui barconi della speranza che abbiamo accolto qui a Pompei nella nostra casa.

D. – Qual è il messaggio che da Pompei la Madonna vuole far giungere nei cinque continenti?

R. – Il messaggio che da oltre 130 anni parte da Pompei e arriva in tutto il mondo nasce dal Rosario, la preghiera mariana dal cuore cristologico che è il fondamento stesso del nostro Santuario. La Vergine Maria, donandoci la corona del Rosario, vuole invitarci a recitare con intensità questa preghiera che si rivela come un vero e proprio itinerario cristologico. Siamo portati per mano da Maria a conoscere meglio nostro Signore, ad imitarlo, soprattutto nei momenti difficili della nostra vita. E in questo mese di maggio, così come ad ottobre, ogni giorno alle 6.30 migliaia di persone iniziano la giornata con il buongiorno a Maria: un momento di preghiera alla Madonna che vuole anche essere un affidamento a Lei delle nostre giornate, delle nostre vite, di tutto il nostro essere.

D. - L’8 dicembre prossimo il Papa aprirà il Giubileo straordinario della Misericordia. A Pompei state pensando a iniziative specifiche?

R. - Anche noi apriremo la Porta santa, daremo vita a momenti specifici dedicati a diverse categorie di persone. Ma ciò che è più importante è la disposizione con la quale accoglieremo i pellegrini. Vogliamo fare nostre le parole di Papa Francesco. Il Papa ci ricorda che la Chiesa si deve fare eco della Parola di Dio, una parola che deve risuonare forte e convincente, parola che deve diventare gesto di perdono, di sostegno di aiuto, di amore. Il Papa ci ha ricordato che non dobbiamo mai stancarci di offrire misericordia e di essere pazienti nel confortare e perdonare. Maria è l’avvocata nostra, Maria è lì per intercedere per noi. Che la nostra miseria si possa incontrare con il cuore di Dio e così lasciarci coprire dalla misericordia di Dio per andare avanti. Tutti i giorni sperimentiamo cadute, ma l’importante è, coperti da tale misericordia, andare avanti, rialzarci e ricamminare nella nostra vita cristiana.

D. - Il messaggio di Maria e la misericordia: quale sintesi custodire nel cuore?

R. – Guardando a Maria, alla sua vita, possiamo veramente capire cosa sia la misericordia, cercare anche noi di viverla come ci invita a fare Papa Francesco perché se abbiamo creduto all’amore di Dio, anche noi potremo amare a nostra volta con quell’amore che si fa vicino ad ogni situazione di dolore e di bisogno. E vivendo così potremo essere testimoni dell’amore di Dio, aiutare quanti incontriamo a scoprire che anche verso di loro Dio è ricco di misericordia e grande nell’amore.

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Anche un padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia

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Dopo l'esordio di due anni fa, anche quest'anno la Santa Sede presenta un suo padiglione alla Biennale d'Arte contemporanea di Venezia, aperta dal 9 maggio al 22 novembre. Come nel 2013, anche per la 56.ma edizione dell'Esposizione internazionale d'arte il commissario della Santa Sede è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, mentre curatrice del padiglione, inaugurato questo pomeriggio, è Micol Forti, direttrice della collezione d'arte contemporanea dei Musei Vaticani. Fabio Colagrande l'ha intervistata: 

R. – Il tema di quest’anno "In Principio…la Parola si fece carne" prende spunto dal Prologo del Vangelo di Giovanni ed è stato affidato a tre artisti: tre artisti più giovani, rispetto alla prima edizione del 2013. Un artista che viene dall’Africa, dal Mozambico, Mario Macilau, un fotografo di soli 30 anni; un’artista macedone, Elpida Hazdi Vasileva, 40 anni, che vive e lavora a Londra; e poi una più matura cinquantenne dalla Colombia, Monika Bravo. Questi tre artisti di culture differenti, di provenienze differenti e di storie personali e professionali molto diverse, si sono confrontati con il tema offerto.

D. – Ecco, qual è il senso di questa nuova partecipazione della Santa Sede alla Biennale d’Arte? Il cardinale Ravasi parlava della volontà di ristabilire il dialogo tra arte e fede …

R. – E’ una strada lunga che, come il cardinale ha annunciato e sintetizzato in tante iniziative del dicastero della cultura, deve potersi riannodare attraverso tante esperienze diverse. La Biennale è un contesto specifico di arte contemporanea, di sperimentazione e di apertura, anche, alle nuove generazioni: è questo soprattutto lo sforzo che abbiamo voluto fare quest’anno. Non si tratta dunque, naturalmente, di arte liturgica o di committenze sacre in senso stretto e specifico, ma di questa apertura, di questo sguardo sempre così attento che la Chiesa ha avuto nei confronti dei linguaggi, delle espressioni, delle possibilità e della libertà di espressione delle persone e delle culture. Una delle tappe fondamentali per riannodare questa distanza che è andata maturando negli ultimi decenni ma che, direi, noi stiamo cercando di ricostituire attraverso tante esperienze diverse, non solo la Biennale …

D. – Tre artisti, due donne e un uomo; Colombia, Macedonia e Mozambico; appena sotto i 50 anni … insomma, ci sono dei criteri precisi, in questa vostra scelta …

R. – Esattamente. Questa è stata una volontà del cardinale Ravasi, di andare a indagare in mondi più distanti da noi, in contesti culturali e artistici, anche, non conosciuti in Italia o in Europa, e stabilire un dialogo. Queste opere sono state costruite insieme: io le sto vedendo qui nel nostro padiglione, le ho viste nascere in queste ultime settimane. E’ stato dunque un dialogo fatto sul tema, fatto sulla lettura dei testi, fatto sui pensieri che gli artisti hanno maturato nel corso del lavoro per dare vita a queste opere. Ed è proprio questo tragitto che può sembrare capillare ma che, di fatto, dalla capillarità può costruire una base più ampia da cui dobbiamo ripartire e che dobbiamo sostenere con il nostro coraggio e con il nostro entusiasmo.

D. – In che contesto si collocano queste tre opere del padiglione della Santa Sede? Chi sono i vostri "vicini di casa"?

R. – Come due anni fa, da una parte abbiamo l’Argentina – era stato un caso, non voluto e non predisposto, che proprio la nazione di provenienza del Santo Padre occupasse il padiglione a noi adiacente – e dall’altra parte abbiamo il Messico e gli Emirati Arabi. Sopra di noi – per la prima volta – la Turchia, che quest’anno presenta un artista di origine armena: e quindi anche il dialogo, sulla base delle più recenti osservazioni del Santo Padre, trova qui un punto d’incontro e una vera vicinanza. L’artista turco si è affacciato al nostro padiglione, abbiamo lungamente parlato e discusso e ci ha tenuto a segnalarci che nella sua grande installazione, su una scultura particolare, c’è proprio una frase del Vangelo di Giovanni.

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Chiese cristiane in Europa: salvaguardare libertà contro nuove ideologie

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Si è concluso oggi a Roma l'incontro del Comitato Congiunto del Consiglio delle Conferenze episcopali cattoliche europee (Ccee) e della Conferenza delle Chiese europee (Cec). Ieri, Papa Francesco, incontrando i partecipanti, aveva parlato delle sfide poste da legislazioni europee che "in nome di un principio di tolleranza male interpretato, finiscono con l’impedire ai cittadini di esprimere liberamente e praticare in modo pacifico e legittimo le proprie convinzioni religiose”. E oggi il Comitato ha approvato un documento intitolato “Per un’Europa della libertà”. Il testo è stato presentato ai giornalisti nella Sala Marconi della Radio Vaticana. Presenti, tra gli altri, i presidenti dei due organismi: il cardinale Peter Erdö e il vescovo anglicano Cristopher Hill. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

La vera libertà è una sola ed è quel dono di Dio concesso a ogni essere umano. Il card. Erdö, spiegando i contenuti del documento finale, sottolinea come essa rappresenti un debito nei confronti delle generazioni che ci hanno preceduto, che hanno creato un ordine sociale in cui bene comune e libertà individuale possano coesistere in armonia. La stessa Seconda Guerra Mondiale è stata una lotta a salvaguardia della libertà contro ideologie portatrici di morte, ma essa è sempre associata a doveri e responsabilità. In questo senso assume rilievo il concetto di una visione cristiana della libertà, dice il cardinale Peter Erdö:

“La nostra libertà cristiana è un dono di Dio, radicato in Cristo e ci chiama a una vita di reciproco servizio. Non c’è libertà al di fuori di una libertà con e per gli altri”.

Agli antipodi, dunque, del concetto di soddisfazione individualista e consumo senza significato, la libertà deve opporsi alla violenza contro le donne in nome di qualsiasi religione, che salvi i migranti del Mediterraneo per porre fine alle partenze disperate e consenta a tutti di vivere nel proprio Paese d’origine nella pace, ai pregiudizi sui rom, alla schiavitù e al traffico degli esseri umani. La libertà deve anche farsi portatrice – ha detto il porporato – di quella necessaria salvaguardia del Creato, in armonia con i tentativi di fermare i cambiamenti climatici. C’è libertà in una società quando i giovani sono pienamente in grado di trovare un lavoro e formarsi una famiglia. Il tema dell’immigrazione è uno di quelli affrontati nelle domande in sala. Il vescovo Christopher Hill è intervenuto sulle recenti politiche adottate dall’Europa dopo le tragedie in Mediterraneo:

“Esiste una preoccupazione condivisa nella Ccee e nella Cec, pur non giudicando le decisioni adottate, riteniamo che sia più efficace l’opzione dei colloqui a Bruxelles con gli organi preposti. Siamo molto preoccupati e continuiamo a monitorare la situazione incoraggiando i governi nazionali e l’Ue per cercare di cambiare la situazione”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Lo statuto della Pontificia Commissione per la tutela dei minori.

Molto movimento: nel giorno della Vergine di Luján il Papa offre la messa a Santa Marta per l'Argentina.

Coscienza di un popolo: il cardinale segretario di Stato ricorda l'attualità della testimonianza del cardinale primate ungherese Mindszenty.

Per liberare l'umanità dai rischi della guerra nucleare: intervento della Santa Sede a New York.

A scuola di respiro: Silvano Petrosino su Michel de Certeau e la mistica.

L'amico di un tempo: Gabriele Nicolò su ritratti e autoritratti di Guttuso in mostra a Bagheria.

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Oggi in Primo Piano



Gb: conservatori di Cameron conquistano maggioranza assoluta

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Contro le previsioni dei sondaggi, il partito dei conservatori di David Cameron ha vinto le elezioni britanniche conquistando la maggioranza assoluta dei seggi della Camera dei Comuni. Tracollo per il partito laburista: il suo leader Miliband si è dimesso. Stessa decisione anche per Nick Clegg, il leader dei liberal democratici che hanno ottenuto soltanto otto seggi. Sui risultati della tornata Eugenio Bonanata ha intervistato Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università del Salento: 

R. - Ancora una volta i sondaggi si sono rivelati assolutamente fallaci. Se qualcuno prevedeva, o sperava, in un testa a testa tra i due maggiori partiti in Gran Bretagna, è stato totalmente smentito da questo risultato con la vittoria quasi a mani basse da parte dei conservatori di Cameron.

D. – Qual è il significato, il valore di questa vittoria?

R. – C’era una fortissima spinta anti-europeista, sicuramente così era sembrato soprattutto nelle ultime elezioni europee. Questo sembra riportare un po’ tutto sulla linea di partenza, perché è vero che il partito conservatore non ha una fortissima simpatia nei confronti dell’Europa, ma di sicuro ha degli impegni presi che sicuramente manterrà. Il rafforzamento del governo di Cameron probabilmente farà sì che il nuovo governo possa andare sulle vecchie linee conservatrici, di protezione dell’economia britannica. E ha confermato ancora una volta la scelta di non entrare nella zona euro.

D. – Quindi, a livello economico, nessuna sorpresa…

R. - Credo che l’economia britannica continuerà su questa strada. Non dimentichiamo che, nonostante i governi conservatori, lo stato sociale britannico è sicuramente uno dei più forti nel sostenere le popolazioni più disagiate.

D. – I nazionalisti scozzesi hanno messo a segno un ottimo risultato. Questo influenzerà la politica del governo Cameron?

R. – Teniamo presente che nel marzo dello scorso anno, invece, gli indipendentisti scozzesi sono stati sconfitti nel referendum. È vero che un partito indipendentista può avanzare, ma la maggior parte della popolazione scozzese si rende conto che allontanarsi dalla corona può creare seri problemi da un punto di vista economico alla Scozia stessa. Questo la popolazione lo sa. E quindi: è vero, c’è questa avanzata indipendentista, ma la Scozia rimarrà all’interno dell’Unione.

D. – Come valutare la scelta dei leader dei principali partiti sconfitti che si sono immediatamente dimessi?

R. – Io mi sarei meravigliato del contrario, perché nei Paesi di tradizione anglosassone ci si assume l’onere della sconfitta. A noi probabilmente sembra una cosa strana, perché, in casi estremamente rari si è vista una cosa del genere anche in Italia. L’assunzione di responsabilità, invece, fa parte della tradizione politica dei popoli anglosassoni.

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Yemen. Proposta tregua umanitaria di cinque giorni, ma si combatte

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L'Arabia Saudita e Stati Uniti hanno annunciato un cessate il fuoco di cinque giorni nella guerra in Yemen. Ora si attende il via libera dei ribelli sciiti houthi, ma scontri e bombardamenti sono tutt'ora in corso. E mentre oggi sono state promosse manifestazioni di massa in Iran contro l'intervento della Coalizione internazionale in Yemen, si apprende che un drone Usa avrebbe ucciso uno dei leader di Al Qaeda nel Paese. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Una tregua umanitaria di cinque giorni in Yemen è stata discussa e proposta durante un incontro ieri tra il  Segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli Esteri saudita Adel Al Jubeir a Riad. La tregua non sarà unilaterale, ma dovrà essere accettata dai miliziani sciiti houthi che avanzano nella conquista del Paese. In Yemen sono centinaia le vittime dal 26 marzo scorso, data d’inizio delle azioni guidate da Riad. Anche oggi si resitrano scontri e bombardamenti a Sadaa, luogo natìo del movimento houthi, oltre che sulla città portuale di Hodeida sul Mar Rosso, a ovest della capitale Sana'a.
Per ora comunque sia gli Stati Uniti sia l'Arabia Saudita hanno confermato che non stanno prendendo in considerazione l'invio di truppe di terra per il timore di azioni destabilizzanti nella regione da parte dell'Iran. E proprio in 770 località iraniane oggi sono programmate manifestazioni, organizzate dalle autorità, contro gli attacchi militari sauditi nella Repubblica presidenziale. In questo quadro il sito statunitense di intelligence “Site” informa dell’uccisione, da parte di un drone Usa, di Nasser bin Ali al-Ansi, uno dei leader di Al Qaeda in Yemen che aveva rivendicato l’attacco a Parigi contro la sede del settimanale satirico Charlie Hebdo.

Per un'analisi della situazine abbiamo intervistato Eleonora Ardemagni, analista politica esperta dell’area mediorientale dell'Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale: 

R. - È interessante notare come in questa fase, da un lato, la comunità internazionale sta cercando di portare avanti una proposta di tregua umanitaria, ma, al tempo stesso, il conflitto sta prendendo una piega ulteriormente militare.

D. - Insomma si cerca di mediare: formalmente si invita alla tregua, ma i bombardamenti e gli scontri continuano. Come leggere questo dato?

R. – Penso che prima di interrompere i bombardamenti, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita intenda ottenere il maggior numero di risultati possibili sul territorio. Imprimere un indebolimento consistente alle milizie sciite per poter poi trattare – loro in quanto Paesi del Golfo – da una posizione di maggior forza possibile sul campo.

D. – Che ruolo giocano in questo contesto gli Stati Uniti?

R. – Stanno pressando l’Arabia Saudita in questa fase affinché si concretizzi questa tregua umanitaria. È stata la ragione del viaggio del segretario di Stato Kerry a Riyad in questi giorni. Probabilmente l’obiettivo è portare al vertice che ci sarà la settimana prossima – l’importante vertice di Camp David del 13 maggio, in cui Obama incontrerà i leader delle Monarchie del Golfo – un risultato, seppur fragile, di tregua temporanea. Tra l’altro, in questi giorni, il presidente riconosciuto legittimo dello Yemen, Hadi, ha convocato a Riyad, dove ora si trova, una conferenza di dialogo, che dovrebbe partire il 17 maggio, e che dovrebbe essere sostenuta anche dal nuovo inviato dell’Onu per lo Yemen. Quindi ci sono dei segnali anche sul campo che la situazione stia mutando.

D. – Vaste aree dello Yemen sono ancora nelle mani dei ribelli sciiti houthi, però è un gruppo tutt’altro che omogeneo…

R. – Si notano le prime crepe tra il movimento degli houthi, i ribelli del Nord, e il blocco di potere ancora fedele all’ex presidente, Ali Abdallah Saleh, che sembra in parte si stia progressivamente staccando dagli houthi. Ad esempio, lo stesso Saleh ha subito accolto le richieste di ritorno ai negoziati e questo potrebbe indurre alcune parti a staccarsi dall’alleanza strumentale con gli houthi.

D. – Però, il ritorno al tavolo di Saleh da più parti è stato anche osteggiato e respinto…

R. – Perché l’Arabia Saudita, che ha sostenuto per oltre 30 anni la presidenza Saleh, proprio grazie all’appoggio che Saleh ha dato ai miliziani houthi nel tentare di riprendere il potere, ha messo sotto pressione il confine saudita e ha permesso a una forza territoriale, politica, quella degli houthi - che secondo anche l’Onu e gli stessi Stati Uniti, viene finanziata, aiutata dal punto di vista militare dall’Iran - di prendere il controllo non solo della capitale yemenita, Sana’a, ma di vaste aree del territorio nel Sud del Paese.

D. – Per ora Stati Uniti e Arabia Saudita hanno escluso l’invio di truppe di terra nel Paese. Che cosa succederebbe se questo invece avvenisse?

R. – Sarebbe un’escalation drammatica nel conflitto. C’è da dire comunque che l’Arabia Saudita sta già addestrando miliziani yemeniti delle tribù sunnite del Sud per cercare di contrastare non solo l’avanzata degli Houti, ma anche quella di Al Qaeda nella penisola arabica, che sta traendo enorme vantaggio da questo vuoto di potere in Yemen. E oltretutto, pochi giorni fa, alcune fonti yemenite hanno sottolineato come militari sauditi ed emiratini, degli Emirati Arabi Uniti, di origine yemenita, siano arrivati nella città di Aden - che è ancora l’epicentro dello scontro tra le fazioni fedeli al presidente Hadi e le fazioni invece che stanno ancora con gli houthi e con l’ex presidente Saleh. Insomma, è una situazione ancora estremamente fluida.

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Conferenza su Chesterton. Monda: grande sintonia con stile Francesco

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“Un vescovo vestito da clown. Cosa significa fare apologetica nel Terzo Millennio?”. E’ il titolo della quinta conferenza annuale chestertoniana che si terrà sabato prossimo alle ore 17 nella sede de “La Civiltà Cattolica” a Roma. Ad introdurre l’evento sul grande scrittore e polemista inglese saranno il direttore della rivista dei gesuiti, padre Antonio Spadaro, e il direttore del G.K. Chesterton Institute, Ian Boyd. Alessandro Gisotti ha chiesto ad Andrea Monda, moderatore della conferenza e presidente dell’associazione “BombaCarta”, di soffermarsi sul tema scelto quest’anno: 

R. – Tempo fa siamo stati tutti colpiti nel vedere Papa Francesco mettersi un naso rosso, tipico da clown, parlando con una coppia di persone che facevano clown terapia. E allora a noi organizzatori di questo Convegno annuale - che si svolge a Civiltà Cattolica,  grazie anche all’intervento del Chesterton Institute del New Jersey, sempre riguardo all’opera dello scrittore inglese Chesterton - ci è venuto subito in mente questa famosa espressione: “Un vescovo vestito da clown”. E’ una definizione che diede Emilio Cecchi, grande critico letterario italiano, quando conobbe di persona Chesterton, e disse: “Mi era sembrato di incontrare un vescovo vestito da clown”, cioè una persona capace di grandissima serietà e profondità, ma al tempo stesso anche con un tocco lieve, pieno di humor e di bonomia, capace quindi di trasmettere i valori, i principi della fede con allegria.

D. – Peraltro, anche Giovanni Paolo II amava molto i clown, e anche Benedetto XVI, quand’era ancora il teologo Ratzinger, in “Introduzione al cristianesimo”, il suo capolavoro, inizia proprio partendo da una scena di un circo, di un clown…

R. – C’è un legame molto stretto degli ultimi Papi, a partire da Pio XI, con la figura di Chesterton e con questa immagine farsesca, apparentemente, del pagliaccio, del clown. Benedetto XVI, poco dopo l’elezione a Sommo Pontefice, fu intervistato in Germania da una tv, e citarono proprio una battuta di Chesterton: “Gli angeli possono volare, perché hanno il senso dell’umorismo”. Anzi, fu lui stesso a citarla, perché disse che anche per il Papa è importante avere un granello di questa saggezza, di questo senso dell’umorismo, dell’autoironia che ci permette di volare e di non essere mai pesanti.

D. – In un’omelia a casa Santa Marta – ma poi lo ha ripetuto altre volte – Francesco ha detto, ormai tutti lo abbiamo nell’orecchio e nel cuore – non si può vedere “un cristiano con la faccia da funerale”. Ecco, in qualche modo Chesterton rappresenta un antidoto: è riuscito ad unire fede e umorismo, perfino teologia e comicità e ironia…

R. – Assolutamente sì! Ma addirittura, un “nemico” - se così si può dire - del cristianesimo come Nietzsche diceva: “I cristiani non sono credibili, perché non hanno la faccia da redenti, da persone che credono nel Risorto, nella Risurrezione: sono troppo tristi”. E quindi molte volte anche le accuse che ci vengono fatte dai “nemici” della fede, ci devono aiutare, aiutare a correggere molte volte anche una linea che possiamo prendere forse per routine, per stanchezza, per formalismo, addirittura per bigottismo. E da questo punto di vista è proprio vero che Chesterton, con la sua opera, è un potente antidoto. Chesterton in tutta la sua vita ha combattuto contro gli intellettuali, però quando dibatteva con queste persone, lo faceva sempre con una lealtà, con una sincerità e addirittura con un amore verso l’interlocutore, che forse era poi la cosa che più di tutte convinceva.

D. – In questo si può ritrovare un certo stile chestertoniano in Jorge Mario Bergoglio, che peraltro – sappiamo – anche lui ha amato e ama Chesterton?

R. – E’ un grande ammiratore di Chesterton, credo abbia fatto parte anche della società chestertoniana argentina; ma addirittura direi che sembra quasi un personaggio uscito dai romanzi di Chesterton! Penso, per esempio, ad Innocenzo Smith, il protagonista del romanzo “Le avventure di un uomo vivo” che - direi - incarna perfettamente tutte le cose che abbiamo incominciato a conoscere di questo Papa, venuto dalla fine del mondo: quest’entusiasmo, questa capacità di essere contagioso nell’allegria, travolgente, sconvolgente, sempre spiazzante. In questo romanzo, Innocenzo Smith, arriva nel suo paesino inglese e getta lo scompiglio. Papa Francesco sembra essere arrivato in Occidente, e a capo della Chiesa cattolica, portando un vento di allegria, di fiducia, un vento di misericordia, al quale ancora forse non siamo abituati. Forse, andare a rileggere Chesterton, potrebbe aiutarci a comprendere questo Pontificato.

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Convegno sulla famiglia: testimonianza del papà di Chiara Corbella

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Comunicare la famiglia come ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore: è stato questo il tema del convegno promosso mercoledì nella Basilica di Santa Maria in Montesanto dalla Diocesi di Roma, dalla Onlus Comunicazione e cultura delle Paoline e dalla Pontificia Università Lateranense, in preparazione alla 49.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali. Il servizio di Marina Tomarro

Attraverso il dialogo germogliano tutti i semi di famiglia presenti nel mondo. E’ questa la sfida a cui va incontro la famiglia di oggi, a cui viene chiesto di non chiudersi in se stessa ma aprirsi agli altri. Chiara Giaccardi, docente all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: 

R. - Io credo che la bellezza della comunicazione in famiglia sia questa varietà di codici che vanno, appunto, dall’abbraccio alla lacrima, ai silenzi, in cui però ci si sente vicini, e soprattutto al perdono, perché la famiglia è un nucleo stretto e quindi in questo essersi veramente addosso – letteralmente addosso – è molto facile che ci sia qualche cosa che ferisce l’altro, qualche incomprensione, qualche fatica. Allora il perdono è ciò che consente di andare avanti, è ciò che consente di ricominciare, di rimettersi al mondo come essere nuovi che si vogliono bene.

D. – Cosa vuol dire la libertà all’interno del matrimonio?

R. – Nel matrimonio si ha una preziosa opportunità di libertà, perché uno decide a cosa legare la propria vita e decide di fare questa opera della sua vita: decide di correre l’avventura della vita con un’altra persona. Ed è uno stare avventuroso, perché per stare bisogna veramente inventare, perché se ci lascia portare dall’inerzia delle cose non si riesce più a stare insieme. E’ una sfida entusiasmante, se la si vive fino in fondo.

D. – In che modo incoraggiare i giovani a fare famiglia?

R. – Incoraggiandoli a non avere paura e soprattutto a non avere bisogno di cose inutili. Bisogna anche un po’ scommettere sul fatto che le cose si possono costruire un po’ alla volta e tante cose che ci sembrano indispensabili, in realtà, non lo sono; mentre tante che sono importanti non le coltiviamo abbastanza…

E la bellezza della famiglia si esprime attraverso il dono di un amore gratuito che permette di crescere e fruttificare. Mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia:

R. – La gratuità dell’amore significa che noi dobbiamo essere come il Padre del Cielo, che non aspetta neppure che gli altri vengano: è Lui che va incontro. Allora io credo che nei confronti delle famiglie contemporanee la Chiesa debba riscoprire questa grande passione di stare loro accanto, perché il rapporto della Chiesa con la famiglia è indissolubile. Ecco, questa passione per ciò che sa di famiglia è quello che noi oggi dobbiamo riscoprire e vivere, affinché ogni passione diventi un’arte: l’arte di stare accanto, di parlare senza offendere; l’arte di non giudicare in maniera sprezzante; quell’arte dell’amore che sa correggere anche senza ferire. E se c’è da potare si pota, ma perché tutto porti più frutto.

Durante l’incontro è stato assegnato anche il Premio Paoline comunicazione e cultura 2015, alla famiglia di Enrico e Chiara Petrillo per aver saputo testimoniare l’amore di Dio attraverso il loro matrimonio anche nei momenti difficili come quelli della malattia di Chiara, che a soli 28 anni ha sacrificato la sua vita rimandando le cure per far nascere il figlio che aspettavano. La testimonianza del papà della giovane, Roberto Corbella:

R. – Credo che sia una famiglia speciale proprio perché è normale. Intanto il grande amore tra Chiara e Enrico: si sono voluti bene, il loro matrimonio è stato un matrimonio assolutamente convinto e quando si sono sposati è stato il coronamento di un momento di felicità. La nascita di Francesco ancora di più: perché, dopo due fratellini che erano andati in cielo immediatamente, Francesco è stato il figlio che si potevano godere. Credo che il fatto che loro vivano così bene – ed uso il presente, perché ancora oggi, anche se Chiara non c’è più, Francesco e Enrico la sentano come parte della famiglia – possa essere una esempio che le cose non devono essere vissute in maniera complicata. Non ci  sono da fare grandi progetti… Poi a Chiara era piaciuto molto il detto usato dai frati “i piccoli passi possibili”: non si può pretendere e pensare di risolvere tutto e di capire tutto, bisogna affrontare le cose un po’ come vengono e poi ogni cosa ha la sua positività.

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Nella Chiesa e nel mondo



Caritas Croazia dona 20 mila euro a vittime sisma in Nepal

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Ventimila euro: a tanto ammontano gli aiuti inviati, fino ad ora, dalla Caritas della Croazia alle vittime del terremoto in Nepal. Il sisma, verificatosi il 25 aprile, ha provocato fino ad ora oltre settemila morti, almeno seimila feriti e innumerevoli sfollati. Per questo, il presidente di Caritas Croazia, mons. Josip Mrzljak, ha lanciato una campagna nazionale di raccolta fondi.

Collaborazione con la Caritas Internationalis
“Caritas Croazia – si legge sul sito della Conferenza episcopale croata – si è unita subito agli ingenti sforzi umanitari compiuti da Caritas Internationalis, che racchiude 164 organizzazioni in tutto il mondo, per portare assistenza alla popolazione del Nepal sopravvissuta a questo traumatico sisma, così da estrarre le vittime dalle macerie, allestire alloggi temporanei e fornire aiuti di prima necessità come acqua, cibo, kit igienico-sanitari, abiti e scarpe”.

Allarme per la salute dei bambini
Ma resta ancora molto da fare, afferma il direttore di Caritas Nepal, padre Pius Perumana: “Non sappiamo quale sia la situazione reale in molte regioni del Paese, dove tanti grandi edifici sono andati distrutti. Le temperature scendono decisamente la notte e siamo in attesa delle piogge, quindi la popolazione ha urgente bisogno di alloggi”. “La situazione è particolarmente traumatica per i bambini, costretti a dormire all’aperto – continua padre Perumana – Stiamo distribuendo candele e fiammiferi agli sfollati, dato che manca l’elettricità”. Davanti a tale dramma, dunque, Caritas Croazia “esorta tutti i cittadini a partecipare alla campagna di raccolta fondi per aiutare le vittime del sisma, così da offrire aiuto in segno di solidarietà”. (I.P.)

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Nigeria: attacco a scuola. Liberato sacerdote rapito

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Questa mattina sospetti estremisti di Boko Haram hanno attaccato una scuola a Potiskum nel Nord-Est della Nigeria facendo esplodere due bombe. Alcuni studenti sono stati feriti da colpi di arma da fuoco, mentre altri 45 sono rimasti contusi gettandosi dalle finestre e cercando di fuggire. La carica che un kamikaze portava è esplosa prematuramente nel parcheggio dell'edificio, mentre un secondo ordigno è stato azionato nel dormitorio, che però i ragazzi avevano già lasciato per andare nelle aule.

Liberato sacerdote rapito
Sempre dalla Nigeria è giunta la notizia della liberazione di padre Innocent Umor, il sacerdote cattolico rapito nelle prime ore del mattino del 4 maggio nella sua parrocchia di Ikanepo, nella diocesi di Idah, nello Stato di Kogi, nel centro sud della Nigeria. Lo riferisce all’Agenzia Fides padre Patrick Tor Alumuku, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi di Abuja, che afferma di aver appreso la notizia della liberazione di p. Umor, da due sacerdoti di Idah. “Padre Umor è stato rilasciato due giorni dopo il rapimento. Non si conoscono le circostanze esatte della liberazione ma si sa che i rapitori si erano messi in contatto il Vescovado locale”. Il rapimento sarebbe stato comunque un atto della criminalità comune e non di matrice terroristica. 

Caos profughi nel Nord
Intanto, la situazione umanitaria nel nord del Paese continua ad essere drammatica. Il governo del Niger, infatti, ha espulso oltre 3.000 nigeriani, fra i quali moltissimi profughi, fuggiti dalla violenza dei famigerati Boko Haram. Nei tre giorni di marcia fino al confine, secondo testimoni, almeno 12 di essi sono morti per il caldo. La protezione civile della Nigeria ha reso noto di essere stata allertata dal Niger e di aver inviato lungo la frontiera tra i due Paesi uomini e mezzi per raccogliere i profughi esausti.

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Usa. Vescovi lanciano campagna “Libertà di testimoniare”

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“Libertà di testimoniare”: sarà questo il tema della prossima “Fortnight for Freedom”, la campagna per la libertà religiosa promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) giunta alla sua quarta edizione. Lanciata per la prima volta nel 2012, la campagna inizierà il prossimo 21 giugno, festa di San Tommaso Moro, patrono dei politici e San John Fisher, e si concluderà il 4 luglio, Festa dell’indipendenza. Quindici giorni di preghiere, riflessioni, catechesi e manifestazioni per mobilitare la comunità cattolica e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla difesa di questo principio fondamentale sancito dal Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e oggi insidiato da politiche che di fatto limitano il diritto di esprimere e praticare pubblicamente le proprie convinzioni etiche e religiose. Un aspetto quest’ultimo sottolineato dal titolo scelto per questa edizione.

Online sussidi e materiale informativo sulla libertà religiosa
Come in quelle precedenti, la Conferenza episcopale metterà a disposizione sullo speciale sito www.fortnight4freedom.org e sulla pagina www.usccb.org/issues-and-action/religious-liberty/ sussidi liturgici per aiutare le diocesi e le parrocchie a partecipare all’evento, materiale informativo sulla situazione della libertà religiosa negli Stati Uniti e nel mondo e citazioni di documenti e interventi sull’argomento. Tra il materiale già on-line, un FAQ sul Religious Freedom Restoration Act (RFRA), la legge sulla libertà religiosa varata nel 1993 sotto la presidenza Clinton in cui si spiegano la sua importanza e utilità, quali diritti vengono tutelati e che essa non ha effetti discriminatori. (L.Z.)

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Svizzera, seimila partecipanti alle consultazioni pre-Sinodo

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Sono circa seimila i fedeli svizzeri che hanno risposto all’invito della Conferenza episcopale (Ces) a contribuire con i loro pareri alla stesura del questionario preparatorio del prossimo Sinodo ordinario sulla famiglia a ottobre. Gli esiti delle consultazioni, la cui sintesi è stata già inviata a Roma, confermano sostanzialmente le risposte date al precedente sondaggio on line condotto nel 2013, in accordo con la Ces, dall’Istituto di sociologia pastorale di San Gallo in preparazione al Sinodo straordinario dell’anno scorso, al quale avevano partecipato più di 25 mila persone.

Desiderio di comprensione
Ampio il consenso e l’apprezzamento dei fedeli per gli insegnamenti della Chiesa su matrimonio e famiglia, ma altrettanto diffusa è la comprensione per casi concreti di fallimento dei matrimoni e decomposizione delle famiglie. Di qui l’auspicio che la Chiesa trovi nuove soluzioni per questi casi. Solo una ridotta minoranza è assolutamente contraria a qualsiasi modifica dell’attuale dottrina cattolica in materia.

Richiesta di nuove soluzioni
In particolare, secondo la maggior parte delle persone che hanno partecipato alle consultazioni, l’esclusione assoluta dei divorziati risposati dai Sacramenti dovrebbe essere rivista a favore di un’applicazione più flessibile di questa disposizione che tenga conto dei singoli casi. Con riferimento alle coppie omosessuali, anche se la maggioranza rifiuta l’equiparazione delle unioni tra persone dello stesso sesso al matrimonio, molti sono favorevoli a concedere una benedizione a queste coppie, perché possano avere un loro spazio nella Chiesa. Diffusa è poi la consapevolezza che il matrimonio sacramentale stia diventando sempre più una scelta minoritaria. Di qui, la richiesta di un maggiore impegno della Chiesa nella preparazione e nell’accompagnamento delle coppie che si sposano in Chiesa e di un maggiore sostegno alle famiglie.

I partecipanti
Alle consultazioni sul Sinodo, svoltesi tra gennaio e marzo, hanno partecipato agenti pastorali, catechisti e fedeli impegnati nelle parrocchie e nelle comunità e associazioni ecclesiali. A coordinarle è stato il segretariato della Commissione pastorale della Ces che li ha analizzati e sintetizzati nel rapporto inviato a Roma.  (L.Z.)

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Chiesa spagnola, campagna per donazioni dai redditi

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“Dietro ad ogni X c’è una storia”: questo lo slogan di quest’anno del programma “Portantos”, ovvero la campagna di donazioni per la Chiesa cattolica in Spagna, legato alla dichiarazione dei redditi. L’iniziativa è l’equivalente dell’8xmille italiano. “Il tema della campagna – spiega il sito dei vescovi – ricorda a ciascun contribuente che con una X può aiutare a sviluppare un’ampia opera a beneficio di tutta la società”. L’iniziativa è accompagnata da manifesti e spot, sia radiofonici che televisivi, in cui si descrive l’opera della Chiesa attraverso le storie di sei persone comuni.

Raccontare esperienze quotidiane di cristiani e non cristiani
“Attraverso questi personaggi – si legge ancora sul sito – si raccontano le esperienze quotidiane di cristiani e non cristiani che si accostano alla Chiesa cercando un sostegno spirituale o sociale, sia in Spagna che in altri Paesi: il battesimo di Paolo, la vita di Giovanni in una casa per anziani, Said che fa parte di un centro educativo di formazione professionale, Marina che vive la sua fede insieme ad altri giovani percorrendo il Cammino di Santiago, i medicinali che Giovanna riceve in Africa e Roberto che trova il cibo grazie alla mensa della Caritas”.

Campagna suddivisa in due fasi
Suddivisa in due fasi – dal 27 aprile all’8 maggio e dal 25 maggio al 30 giugno – la campagna “Portantos” prevede anche la pubblicazione di notizie, articoli di opinione e reportage sul sostentamento economico della Chiesa. Ulteriori informazioni vengono diffuse tramite i social network come Facebook e Twitter, attraverso i profili ufficiali di “Portantos” che hanno raccolto, fino ad ora, già 37 mila apprezzamenti e 18 mila followers.

In crescita le donazioni a favore della Chiesa
Da ricordare che dal 2008, il sostentamento della Chiesa in Spagna dipende esclusivamente dai cattolici e da tutte le persone che riconoscono il suo operato. Per questo motivo, è stato avviato il programma “Portantos”, il cui titolo ricorda tutti coloro che dedicano generosamente la loro vita agli altri, in particolare “ai tanti che necessitano di tanto”. Secondo gli ultimi dati, diffusi nel 2014 e riferiti al 2013, le dichiarazioni dei redditi a favore della Chiesa cattolica sono leggermente cresciute, passando dal 35,01 al 35,20%. (I.P.)

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La Reunione, percorso in preparazione a Cammino di Santiago

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Si chiama “Compostelle péi” l’itinerario che propone il periplo dell’isola del La Riunione, benedetto domenica scorsa da mons. Gilbert Aubry, vescovo della diocesi, con la posa della prima conchiglia nella chiesa di San Giacomo, a Saint-Denis. Il percorso, informa il sito web della Chiesa riunionese, è stato studiato in questi anni dall’Associazione degli Amici Riunionesi dei Cammini di Compostela (Arcc), parte dalla chiesa di San Giacomo e giunge alla chiesa di Santa Susanna, consta di 250 km sul litorale dell’isola ed è considerato un “pre-pellegrinaggio” per quanti intendono intraprendere il Cammino di Santiago in Spagna.

Un “pre-pellegrinaggio” per Santiago de Compostela
Dettagli sul percorso sono stati pubblicati sul portale dell’Arcc, www.arcc-compostelle.re, che fornisce mappe, informazioni, indirizzi utili e notizie storiche sulla Riunione. Per gli appassionati di trekking vengono organizzate anche escursioni il primo sabato e il terzo giovedì di ogni mese. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 128

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.