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Sommario del 09/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a vescovi Mozambico: promuovete cultura dell'incontro

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Di fronte a “tensioni e conflitti” che hanno minato il tessuto sociale del Mozambico, la Chiesa sia unita nel collaborare con le istituzioni per sostenere la famiglia e la difesa della vita, scendendo tra i fedeli, anche nelle “periferie esistenziali” dove c’è “sofferenza, solitudine, degrado umano”. Così Papa Francesco, nel discorso consegnato ai vescovi del Mozambico, ricevuti in "visita ad Limina". Il servizio di Giada Aquilino

Una “cultura dell’incontro” per rispondere alle attuali sfide del Mozambico, dove “tensioni e conflitti hanno minato il tessuto sociale” e distrutto famiglie e futuro di migliaia di giovani. Questo l’auspicio di Papa Francesco ai vescovi del Paese africano, sconvolto fino ai primi anni Novanta da una sanguinosa guerra civile. Il modo “più efficace” per contrastare una mentalità di arroganza, disuguaglianza e divisioni sociali, ha ricordato il Pontefice citando l’Esortazione Apostolica "Evangelii Gaudium", è quello di “investire” nel campo della formazione che insegna ai giovani a pensare in modo critico, accompagnandoli in un percorso di maturazione dei valori. A tal proposito, Francesco ha invitato a “rilanciare la pastorale nelle università e nelle scuole”, unendo compito educativo con l’annuncio del Vangelo.

Collaborazione con autorità, per difendere vita e famiglia
In campo politico, ha detto ai presuli, incoraggiate buone relazioni col governo, che non significano “dipendenza”, ma sana “collaborazione”, in particolare per leggi in discussione al Parlamento. L’esortazione del Papa è stata a “non risparmiare alcuno sforzo per sostenere la famiglia e la difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale”: la famiglia, ha evidenziato, è “fonte primaria di fraternità, rispetto per gli altri e via privilegiata per la pace”.

Accanto a sfollati e rifugiati
Francesco ha voluto poi ricordare le vittime di quelle catastrofi naturali che, anche in questi momenti, “non cessano di seminare distruzione, sofferenza e morte”, aumentando il numero di sfollati e rifugiati. Queste persone, ha proseguito, hanno bisogno di condividere con noi dolore, ansie e problemi: ecco perché è necessario “andare loro incontro, come ha fatto Gesù”.

Una Chiesa unita, capace di ‘scendere’ tra i fedeli
Ai presuli del Mozambico, Francesco ha chiesto “unità” e “clima di famiglia”, sollecitandoli in particolare ad avere cura dei sacerdoti, non dimenticando i loro bisogni umani, soprattutto nei momenti più delicati e importanti. “Il tempo trascorso con loro non è mai tempo sprecato”, ha aggiunto. In questo Anno della Vita Consacrata, il Pontefice ha voluto sottolineare la “testimonianza di fede e di servizio” che religiosi e religiose offrono nella vita ecclesiale e sociale, come la cura e la sollecitudine per i poveri e per tutte le miserie umane, morali e spirituali. Il pensiero del Papa è andato a molte scuole gestite da varie comunità religiose – i cui carismi “arricchiscono” – come pure a tanti centri di accoglienza, orfanotrofi, case famiglia “in cui vivono e crescono” tanti bambini e giovani abbandonati. Infine, ha invitato i vescovi a “scendere” tra i fedeli, “anche nelle periferie” delle diocesi e nelle “periferie esistenziali” dove c’è “sofferenza, solitudine, degrado umano”. Perché, ha concluso, un vescovo che vive tra i suoi fedeli ha “orecchie aperte” per ascoltare sia ciò che lo Spirito dice alla Chiesa, sia la “voce delle pecore”, anche attraverso le organizzazioni diocesane che hanno il compito di contribuire ad un dialogo “leale e costruttivo”.

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Israele: incontro con rabbini, cardinali e vescovi. Messaggio del Papa

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Giovedì scorso si è concluso in Israele, il I incontro internazionale ebraico-cristiano di rabbini, cardinali e vescovi, promosso dal Cammino neocatecumenale, in occasione del 50° anniversario della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate e nel ricordo del 70° anniversario della fine della Shoah. Si è tenuto presso la Domus Galilaeae, sul lago di Tiberiade e vi hanno partecipato 120 rabbini, 7 cardinali (Pell, Rylko, Toppo, Schonborn, Cordes, Yeom Soo-jung e Romeo) e 20 vescovi provenienti da tutto il mondo. Presenti anche gli itineranti del Cammino e personalità del mondo accademico, dell’arte e della cultura di entrambe le confessioni religiose. Papa Francesco ha inviato un messaggio per sottolineare e riconoscere questo evento come uno strumento per rafforzare la fraternità tra i due popoli. Roberto Piermarini ha chiesto a Kiko Argüello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale come è nato questo evento interreligioso: 

R. – E’ stata un’idea dei rabbini di New York. Avendo realizzato la Sinfonia “La sofferenza degli innocenti”, al Lincoln Centre, a New York, che è piaciuta moltissimo ai rabbini, hanno pensato poi di eseguirla anche ad Auschwitz, davanti alla “Porta della morte”, per la quale sono arrivati 60 vescovi dalla Polonia, 15 mila fratelli e tanti rabbini. Allora, il rabbino Rosenbaum, riformista, è rimasto molto colpito e ha detto di non volere che questo rapporto di amore e comunione con il Cammino si fermasse. “Pochi rabbini, infatti – ha detto – hanno conosciuto quello che sta succedendo nella Chiesa cattolica con il Cammino Neocatecumenale: questo amore che voi avete per il popolo ebraico, che viene dal catecumenato della comunità cristiana. Nel Cammino si spiegano le radici profonde della nostra fede: Abramo, l’Esodo, la storia della salvezza e così via”. Allora ha detto: “Perché non facciamo un incontro alla Domus, invitando più rabbini: tutti i rabbini d’Europa e del mondo?”. Ed io ho detto: “Mamma mia, è difficile! Però, va bene! Scrivete voi”. Allora lui e il rabbino Greenberg, che ha molto prestigio, hanno scritto una lettera di invito a tutti i rabbini, per questi giorni di maggio, che è stata firmata da me, da due rabbini, anche dal cardinale O’Malley, dal cardinale Cañizares e dal rabbino Rosen, l’incaricato del rapporto tra cattolicesimo ed ebraismo. Siamo stati, dunque, a vedere cosa succedeva e la sorpresa è stata che si sono presentati 120 rabbini di tutto il mondo. E’ stato fantastico! Sono venuti anche da rami diversi: ortodossi, liberali, riformisti. E’ la prima volta che si trovavano assieme, “e questo – dicono - è un miracolo che potevano fare solo i cattolici!”. 

D. – Qual è la missione che in questo momento storico hanno ebrei e cristiani?

R. – Abbiamo eseguito la Sinfonia, cantando tutti assieme Shemà Israel. Alcuni piangevano, veramente emozionati, perché il Talmud dice: “Il giorno che i cattolici, i goim, con gli ebrei, canteranno Shemà Israel, verrà il Messia”. Erano, dunque, tutti impressionati. Dopo abbiamo fatto un questionario per gruppi, mescolando vescovi, cardinali e rabbini. Una delle domande è stata: qual è la missione salvifica del popolo ebraico e della Chiesa cattolica in questo momento del mondo? Abbiamo spiegato come il Cammino si stia aprendo adesso all’Asia – in Cina, nel Laos, in Vietnam, in Cambogia – e di come noi stiamo portando la Torah, che è la luce del mondo, e il Vangelo a tutte queste nazioni, che sono state sotto il comunismo. Erano molto impressionati, molto uniti. Siamo uniti in questa grande missione.

D. – Qual è stata la risposta dei rabbini?

R. – Fantastica! Fantastica! Il rabbino Brodman, uno dei rabbini più importanti, ha detto: “Questo è un evento che dimostra che il Messia è alle porte”. Dopo hanno detto cose meravigliose: la bellezza della Domus Galilaeae che li ha accolti è piaciuta moltissimo...poi i canti. Abbiamo danzato, perché in questi giorni ricorreva la fine del Lag Ba’omer, un tempo di lutto che ricorda il sacrificio del Rabbi Akiva. C’è un momento, quando finisce il Lag Ba’omer, in cui si fa un grande fuoco in tutte le sinagoghe e si danza. Noi lo abbiamo fatto anche qui, danzando tutti assieme: cardinali, vescovi e tutti i rabbini. E’ stato emozionante! Loro non credevano ai loro occhi, a quello che stava succedendo. E’ veramente un fatto storico. Vogliono quindi che continuiamo questo rapporto. Una cosa che li ha molto impressionati è stato il passaggio della fede, alle nuove generazioni, perché loro hanno molti problemi su questo. I giovani, infatti, si secolarizzano. Abbiamo proiettato un video che spiegava come avviene il passaggio della fede nel Cammino. Sono rimasti impressionati su come i genitori sappiano spiegare la Parola ai figli; su come domandino ai figli: cosa ti dice oggi questa Parola nella tua vita? Sono rimasti impressionatissimi e vogliono che li aiutiamo in questo.  

Il direttore della Domus Galilaeae, il Centro del Cammino neocatecumenale in Galilea, don Rino Rossi, tra gli organizzatori dell'evento, spiega quali sono stati i momenti salienti dello storico 'incontro

R. – Senz’altro li ha colpito moltissimo la presentazione, perché è stata fatta attraverso gli itineranti del Cammino Neocatecumenale delle varie nazioni che hanno presentato i rabbini, e nel dare la loro esperienza – anche brevemente – questi itineranti hanno presentato, ad esempio, la loro situazione di coniugati magari con 8, 10, 12 figli … Questo ha creato un impatto impressionante nei rabbini, che lo hanno ricordato nelle esperienze. Poi, senz’altro, una cosa che ha colpito moltissimo è stato il concerto della Sinfonia degli Innocenti: è venuta qui l’orchestra, e ho visto molti rabbini piangere; sono stati molto toccati. Poi, un altro momento importante è stato il questionario, dove hanno potuto parlare, dire le loro esperienze, ma soprattutto lo scambio che c’è stato fra i cardionali, i vescovi, i catechisti itineranti e i rabbini.

 D. – C’è stata una preghiera comune?

 R. – Abbiamo avuto i Vespri, guidati da un rabbino, mercoledì sera, con tutta la loro forma, a cui abbiamo partecipato; e poi, giovedì mattina, hanno anche voluto che si facesse una preghiera cristiani, e abbiamo fatto le Lodi, presiedute dal cardinale Schönborn, con i salmi, con una lettura del profeta Isaia e il capitolo 60, 1-5, con una omelia fatta dal cardinale Schönborn che è stata molto gradita.

 D. – Al termine dell’incontro qual è stata la reazione dei rabbini?

 R. – Abbiamo ricevuto esperienze emozionanti. Ha cominciato un rabbino di Israele, il rabbino David Brodman, che ha dato un’esperienza che ha commosso l’assemblea. Ha parlato di questo incontro come di un incontro fondamentale, di questo rapporto tra la Chiesa cattolica e il mondo ebraico che lui mai si sarebbe potuto aspettare. Ha detto: “Questo era il mio sogno. Io desideravo – e il Signore me lo concede, alla fine della mia vita – di vedere queste cose”. E ha citato il libro di un rabbino che per lui è molto importante; ha detto che noi siamo in un momento in cui stiamo vivendo "le doglie del parto" per preparare l’arrivo del Messia in mezzo a noi, e lui sta già vedendo tutto questo; anche in questo incontro, lo vedeva come una preparazione a questa venuta del Messia. Poi c’è stato un altro rabbino dell’Olanda che ha raccontato anche la sua esperienza, come lui da piccolo è stato salvato da una famiglia cristiana. E parlando anche di questo incontro, ha detto: “Io ho visto veramente operare Dio in mezzo a noi”. Un altro rabbino che diceva: “Io vi dico sinceramente, che ho capito una cosa, ascoltando Kiko. Io nella mia famiglia, nella mia tradizione non ho mai sentito che Dio ci ama”, e l’ha detto con una forza che ha commosso l’assemblea. “L’ho visto qui, in questa casa. - ha detto - L’ho visto veramente nei fatti: come ci hanno accolto …”, nelle esperienze che ho sentito nei gruppi, come parlavano queste coppie, queste famiglie, questi fratelli del Cammino neocatecumenale che dicevano con la loro vita, come Dio li aveva amati, come li aveva riscattati, li aveva salvati … Ha detto: “Bene: qui, io ho chiesto a mia moglie: ‘Ma tu, per esempio, hai sentito da qualcuno nella tua vita, nella Sinagoga, questa parola, che Dio ci ama?’”. E la moglie gli diceva: “No, io non l’ho mai sentito, mai sentito!”. E diceva il rabbino: “Anche io …”. E’ stata anche molto commovente l’esperienza del rabbino Greenberg degli Stati Uniti. L’ambiente che si è creato alla fine non si può descrivere, veramente! Poi, anche abbiamo avuto momenti molto familiari, abbiamo avuto delle danze … c’era uno spirito di comunione veramente molto forte!

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Il Papa nomina mons. Janocha ausiliare di Varsavia

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per Vescovi, e l’ambasciatore del Perù, Juan Carlos Gamarra Skeels, in visita di congedo.

In Polonia, il Papa ha nominato ausiliare di Warszawa mons. Michał Janocha, attualmente docente di Storia dell’Arte all’Università Statale di Varsavia e direttore della Biblioteca nel Seminario Maggiore, assegnandogli la sede titolare di Barica. Il neo presule è nato il 27 ottobre 1959 a Varsavia. Prima dell’entrata nel Seminario ha studiato Storia dell’Arte presso la locale Accademia di Teologia Cattolica. Il 28 maggio 1987 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per l’arcidiocesi di Warszawa. Ha svolto il suo primo ministero pastorale come Vicario parrocchiale e catechista a Izabelin (1987-1988). Negli anni 1988-1993 ha conseguito il Dottorato in Storia e Storia dell’Arte presso l’Accademia di Teologia Cattolica di Varsavia. Ha svolto i seguenti incarichi: Cappellano del Centro per i non vedenti a Laski (1990-1994), Docente universitario all’Università Card. Stefan Wyszyński di Varsavia (1993-2010), Direttore spirituale nel Seminario Maggiore di Varsavia (2009-2013). Attualmente è Docente di Storia dell’Arte nell’Università Statale di Varsavia (dal 1993), Membro della Commissione diocesana per l’Arte e l’Architettura (dal 1997), Direttore della Biblioteca e confessore dei seminaristi nel Seminario Maggiore di Varsavia (dal 2013). Nel 2004 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità.

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Papa, tweet: vogliamo bene anche a chi non ce ne vuole

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Impariamo a vivere la benevolenza, a volere bene a tutti, anche a quelli che non ci vogliono bene”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Investire nell’educazione: ai vescovi del Mozambico in visita ad Limina Papa Francesco indica il cammino per contrastare prepotenze e disuguaglianze.

Connessi contro la povertà: Mario Benotti su inclusione sociale e sviluppo.

Un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo “La trappola dei valori”: dilemmi sul percorso della storia.

L’uomo e lo spazio: Achille Bonito Oliva sulla mostra al Macro di Roma, su Giuseppe Ducrot scultore, prorogata fino al 17 maggio.

Ansia del confronto: Pablo d’Ors sugli obiettivi e la pressione che opprime.

Dall’inferno e ritorno: Silva Gusmano sulla testimonianza, raccontata in un libro di Christiana Ruggeri, di una bimba scampata ai massacri del 1994 in Rwanda.

Cattedralmente vostro: Simona Verrazzo su architettura, disegni, influsso degli orologi.

Acqua che spegne le fiamme: in un’intervista di Nicola Gori la diplomazia pontificia secondo il cardinale Dominique Mamberti.

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Oggi in Primo Piano



Sisma in Nepal: ancora molte zone non raggiunte dagli aiuti

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7.904, questo il drammatico bilancio, ancora provvisorio del terremoto che il 25 aprile scorso ha colpito il Nepal. Lo ha reso noto il ministero dell'Interno di Kathmandu. I soccorritori non sono ancora arrivati in tutte le zone colpite dal sisma, come ad esempio nella regione impervia di Gorkha. Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente in Nepal Alberto Luzzi, volontario dell’associazione “Viva il Nepal”, che sta raggiungendo proprio quell’area: 

R. – Francamente, abbiamo avuto sensazioni incredibili. Vedere la gente che stava tra le proprie macerie per recuperare le poche cose che sono loro rimaste, in una condizione di rischio pazzesco, perché tra l’altro molte delle case danneggiate non sono in sicurezza. Questo significa che con l’arrivo del monsone si assisterà a un’altra tragedia nella tragedia, perché le piogge andranno poi a infiltrarsi nelle case rimaste in piedi per metà con grande rischio per le famiglie che campeggiano sulle macerie. Siamo lì senza strumenti. Abbiamo visto i militari intervenire senza nemmeno i guanti: noi abbiamo fornito loro dei guanti… Quindi, la situazione è drammatica. Ci sono posti dove veramente è difficile…

D. – Ci sono ancora zone dove non è arrivato nessuno e voi state cercando di raggiungere proprio queste zone?

R. – Quelle zone sono sostanzialmente nella parte di Gorkha, nella parte dell’epicentro del terremoto. Ci sono dei punti per raggiungere i quali ci vogliono due-tre giorni di trekking. Io personalmente partirò volontario tra uno-due giorni con un’associazione di medici nepalesi. Però la situazione è difficile, perché questo terremoto ha sostanzialmente distrutto quasi 300 mila case e ne ha danneggiate un altro milione. Questo è un Paese poverissimo e non è attrezzato. Io credo che ci voglia, da parte della comunità internazionale, dei media, una maggiore attenzione perché siamo di fronte a una situazione difficile. E’ un Paese scioccato: non sanno da dove ricominciare…

D. – Gli aiuti che sono arrivati sono stati distribuiti equamente a tutta la popolazione?

R. – Il tentativo di soccorrere da parte di tutti c’è. Chiaramente, non c’è una logistica: qui non c’è una protezione civile. Lo Stato è embrionale. E’ un Paese che si è sviluppato da pochissimo, quindi la difficoltà è anche nel ricevere gli aiuti e spostarli. Da quello che vedo, qui ci sarebbe tantissimo bisogno di squadre di soccorso per un intervento di messa in sicurezza dei siti. Questo è quello che noi, nel nostro piccolo e con poca esperienza, stiamo cercando di fare. Andiamo, vediamo dove ci sono pareti pericolanti, cerchiamo di buttarle giù, cerchiamo di mettere in sicurezza alcuni tetti e lo facciamo in modo volontario, ma sinceramente, non vediamo – a parte la gente nepalese e ogni tanto dei militari che intervengono – noi non vediamo nessuno... Ci vorrebbe una mobilitazione generale da parte della comunità internazionale: meno parole e forse un po’ più di aiuti diretti all’interno del Paese.

D. – In questo dramma, sicuramente tanti miracoli, tanti sopravvissuti anche molti giorni dopo il sisma. Qual è un’immagine che porterai sempre con te?

R. – Ti dico: poco fa noi stavamo scavando e abbiamo visto una ragazza piangere insieme a una signora, probabilmente la mamma. Cercavano di scavare per trovare qualche cosa. Quindi siamo andati ad aiutarle. Io non sapevo nemmeno cosa stessi cercando: alla fine ho trovato dei documenti che probabilmente erano del papà e questa ragazza si è messa a piangere. Abbiamo visto occhi di gioia: piangeva di gioia ringraziandoci… Sono piccole cose nella tragedia, sono le piccole memorie che le persone si portano appresso. E quello che io temo è che l’arrivo del monsone cambi ulteriormente la situazione, la aggravi ulteriormente.

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Burundi, in 30 mila in fuga dalle violenze anti-Nkurunziza

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In Burundi, l’attuale presidente Pierre Nkurunziza si è ricandidato per la terza volta violando la Costituzione e agli accordi di pace di Arusha. Numerose le proteste della società civile, soffocate dall'esercito e dalla polizia che hanno causato 16 morti, mentre oltre 30 mila burundesi hanno deciso di rifugiarsi nei Paesi confinanti. È in questo contesto di incertezza che nasce l’appello del Comitato collaborazione medica (Ccm) e di molte ong italiane operative nel Paese: “Rompere il silenzio su quanto sta accadendo in vista delle elezioni presidenziali, programmate per il 26 giugno". Nell'intervista di Emanuela Campanile, ne parla Giulia Lanzarini, referente Burundi in Italia per il Ccm: 

R. – Purtroppo, ci siamo sentiti un po’ soli. La nostra stampa nazionale italiana aveva in questi giorni forse concentrato l’attenzione su altre tematiche, altrettanto importanti, però ci sembra molto, molto importante che la popolazione italiana sia al corrente di quello che sta succedendo in quel Paese che si trova nel cuore dell’Africa, dove appunto gli equilibri purtroppo sono molto precari e dove una situazione che dovesse prendere la deriva sul fronte degli scontri violenti avrebbe delle ripercussioni su tutta la regione dei Grandi Laghi. Quindi, è una situazione che potrebbe avere ripercussioni forti e che per questo non va assolutamente sottovalutata.

D. – Che tipo di collaborazione, di rete, avete formato in questa zona dell’Africa?

R. – Noi, come ong, siamo fortemente legati, già a livello italiano, siamo riuniti sotto il cappello dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi). In Burundi, siamo riuniti sotto un gruppo che si chiama “Réseau” che sta per “rete”, che riunisce non solo le ong italiane ma tutte le ong internazionali, all’interno delle quali naturalmente noi siamo tutti rappresentati. E cerchiamo di condividere tutte le informazioni relative chiaramente agli sviluppi della situazione nelle rispettive zone di intervento, così come studiare strategie comuni di gestione del quotidiano e di eventuali evoluzioni.

D. – Temete di dover lasciare l’area, nel caso peggiorasse la situazione?

R. – E’ possibile che si debba sospendere momentaneamente la presenza nel Paese. Devo dire che prima di arrivare a quel punto si attraversa una serie di altre fase. La situazione viene però monitorata quotidianamente per cui è possibile che a un certo punto si debba fare uscire il personale espatriato e momentaneamente sospendere l’attività, chiedendo ai nostri colleghi burundesi di sospendere il lavoro per alcune settimane. Ma speriamo, ovviamente, di poter prevenire questa situazione, di non arrivare a quel punto. Esiste fra tutte le organizzazioni un piano per cui qualora ci fossero situazioni particolarmente gravi, si sa come ci si deve muovere per poter lasciare il Paese.

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70.mo fine guerra. Putin contro “tentativi mondo unipolare”

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La Russia celebra oggi il 70.mo anniversario della fine della Seconda Guerra mondiale con la più grande parata dell’epoca post-sovietica sulla Piazza Rossa di Mosca. Nella capitale russa, sfila un grande dispiegamento di uomini e mezzi ma spicca l’assenza dei leader occidentali sul palco d’onore. E nel suo discorso, Putin punta il dito contro i “tentativi di creare un mondo unipolare”. Il Servizio di Marco Guerra: 

Le celebrazioni per il 70.mo della fine della Seconda Guerra mondiale sono iniziate ieri in Europa e Stati Uniti, con i leader occidentali che hanno evidenziato il valore della libertà. Gli stessi leader che oggi hanno disertato la grande parata di Mosca, in cui la Russia mostra i muscoli con il dispiegamento di 15 mila soldati e circa 200 mezzi corazzati, fra i quali gli ultimi ritrovati della tecnologia russa. E non si fatta attendere la risposta con toni forti del presidente Putin che, nel discorso alla piazza Rossa, ha criticato quelli che ha definito i “tentativi di creare un mondo unipolare". Secondo il leader del Cremlino, infatti, “I principi fondamentali della cooperazione internazionale sono sempre più ignorati negli ultimi decenni”.”Tutto questo – ha poi ammonito Putin – minaccia la stabilità dello sviluppo globale”. A pesare su questo settantesimo che vede divise la Russia e le cancellerie occidentali sono le tensioni per la  crisi ucraina e le relative sanzioni contro Mosca. Non è un caso infatti che per la prima volta anche Kiev abbia festeggiato il giorno della vittoria l’8 maggio come il resto dei Paesi europei, un cambiamento messo in evidenza proprio dal presidente ucraino Poroshenko.

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Lampedusa, "Festa dell'Europa". Nicolini: l'Ue sia solidale

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“Festa dell'Europa” oggi e domani a Lampedusa, scelta dalla Regione Siciliana per celebrare l'evento con una serie di dibattiti e di incontri su temi che andranno dall'immigrazione ai percorsi di integrazione, dai giovani alle misure per rilanciare il turismo e l’economia nell'isola. Ma che cosa rappresenta questa festa per Lampedusa, citata spesso come esempio di solidarietà e accoglienza, porta di un'Europa spesso troppo lontana? Adriana Masotti lo ha chiesto al sindaco, Giusi Nicolini

R. – Il fatto che Lampedusa sia stata scelta dalla Regione per celebrare questa data, per me è un’opportunità: il 9 maggio è una data storica, segna la fine del nazismo, della Seconda Guerra mondiale, l’inizio della costruzione della pace. Il 9 maggio è la data del "Rapporto Schumann" in cui si pronuncia per la prima volta la parola “Europa”… Così nasce l’Europa. Ricordarlo, oggi, è particolarmente importante, perché oggi l’Europa tradisce, tradisce lo spirito di pace, di cooperazione che sono i valori fondanti della comunità europea.

D. – Quindi, un’occasione per richiamare l’Europa alle sue responsabilità e questo per vari problemi, ma anche per quello dell’immigrazione. Che momento sta vivendo Lampedusa, su questo fronte?

R. – E’ un momento ordinario, per noi, nel senso che non c’è “nulla di nuovo sotto il sole”. Ci sono gli sbarchi, non c’è più “Mare Nostrum” e questo sovraespone di più Lampedusa, nel senso che prima le navi della Marina militare che partecipavano all’operazione “Mare Nostrum” trasportavano le persone soccorse direttamente in Sicilia. In parte questo oggi viene fatto dalle navi della Guardia costiera, che però sono in numero minore, per cui il nostro Centro di accoglienza è tornato ad essere un punto fondamentale per la prima accoglienza di molti migranti.

D. – Di fronte ai continui sbarchi e anche ai recenti grossi naufragi nel Mediterraneo, secondo lei c’è finalmente una presa di coscienza da parte dell’Europa che l’immigrazione è una questione europea?

R. – Ci sono segnali contrastanti. Quando io, dopo il naufragio nel quale hanno perso la vita quasi 800 persone, ho sentito parlare di “bombardamento dei barconi”, di “blocco navale”, ho sentito insomma toni militareschi di fronte a una tragedia che avrebbe dovuto esigere risposte completamente diverse, mi sono cadute le braccia. D’altro canto, però, per esempio le racconto che ieri notte una nave tedesca, che è stata messa a disposizione dal governo tedesco per aiutare la Guardia costiera italiana, ha salvato 400 persone e le ha portate direttamente a Reggio Calabria. Anche l’Inghilterra ha messo a disposizione un mezzo navale per cooperare ai soccorsi. Quindi, ci sono segnali contrastanti. Credo che la presa di coscienza sia ormai inevitabile, che la propaganda debba finire di fronte alle tragedie, di fronte a questo mare che aspetta finalmente giustizia.

D. - E in effetti, a quanto è stato detto anche dalla Mogherini, sembra che l’Europa si stia muovendo nella direzione del salvataggio delle persone, del contrasto ai trafficanti ma anche della condivisione dell’accoglienza tra gli Stati membri dell’UE…

R. – Sì, infatti, sono passaggi inevitabili e obbligatori. 

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Costruzione dell'identità sessuale. Convegno all'Auxilium

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Nella celebrazione della sua 28.ma giornata di studi, la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium ha organizzato ieri a Roma un convegno rivolto a studenti, educatori e genitori sul tema: “Percorsi educativi per la costruzione dell’identità maschile femminile”. Un’occasione per riflettere scientificamente su un argomento spesso oggetto di riduttive e forzate interpretazioni ideologiche. C’era per noi Paolo Ondarza

L’attuale contesto sociale, segnato da grandi cambiamenti culturali e nuove visioni antropologiche, frutto di concezioni liquide di persona e società, è oggetto di studio della Facoltà Auxilium di Roma. La preside, suor Pina Del Core:

“E’ ovvio, siamo una facoltà di Scienze dell’Educazione e non possiamo non considerare uno dei temi centrali della crescita che è la costruzione dell’identità. Un punto delicatissimo è la differenziazione sessuale. Ci possono essere dei disturbi, delle difficoltà in questo processo di differenziazione sessuale. Di fatto, sono stati i nostri giovani a chiedere l’approfondimento di questo tema, perché ovviamente c’era tanta confusione dal punto di vista non solo della letteratura, ma anche dei media. Quindi, noi abbiamo subito colto la palla al balzo”.

Cultura o biologia? A volte neanche l’anatomia dà segnali chiari nella definizione dell’identità sessuale. Come scegliere allora il sesso di un neonato in presenza di ambiguità genitale? L’approccio deve essere olistico, una visione ascientifica come quella del gender può generare gravi danni. Maria Luisa Di Pietro, docente di Bioetica all’Università Cattolica di Roma:

“L’obiettivo dei professionisti, dei medici dovrebbe essere quello di cercare di armonizzare sempre di più tutte quelle che sono le componenti della persona in queste situazioni particolari, che hanno una chiara origine organica. Parlare di “persona” significa tener presente la componente fisica, la componente psichico-affettiva, la componente spirituale, la componente morale, quindi il riferimento alla persona nella sua totalità è fondamentale”.

Progetti educativi improntati al gender, che in nome dell’emancipazione dai condizionamenti culturali invita a scegliere tra decine di orientamenti sessuali, possono ostacolare o arrestare il percorso evolutivo di un bambino. Domenico Bellantoni, docente di Psicologia all’Università Salesiana di Roma e autore del libro “Ruoli di genere”, edito da Città Nuova:

R. – Se ci si preoccupa troppo presto di dare al bambino l’indirizzo verso questo o quel modello, il rischio è che quel bambino non sia in grado di decidere, ma si trovi a incarnare un modello avendo poi difficoltà a liberarsene man mano che si muove verso l’età adulta. Appropriarsi del proprio sesso dovrebbe essere qualcosa di abbastanza semplice. Una volta il bambino si guardava allo specchio: avere o non avere “il pisellino” lo collocava come maschio o come femmina. La cultura attuale sta producendo, rispetto a questo, delle confusioni.

D. – Perché oggi si distingue? Anche il linguaggio scientifico tende a distinguere tra sesso e genere…

R. – Il problema non è semplicemente che distingua: si cerca di cancellare la parola “sesso”, tanto che in televisione – al telegiornale per esempio – non dicono mai “politiche sessuali”, ma parlano di “politiche di genere”. In realtà, però, si parla di politiche sessuali, tanto che si discute di "quote rosa". Se si facessero davvero delle politiche di genere, bisognerebbe fare politiche che rispettino attualmente trenta categorie diverse di genere.

D. – Quindi, il concetto di genere è un concetto artificiale?

R. – Ideologico-culturale.

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Premiati all'Expo i vincitori delle "Olimpiadi dei Mestieri"

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Premiazione oggi al padiglione “Casa Don Bosco, all’Expo di Milano dei vincitori del “IX Concorso nazionale dei Capolavori dei Settori professionali”, al termine di una settimana di prove a cui hanno partecipato 172 allievi degli Istituti di formazione professionale gestiti dai Salesiani in tutta Italia. In mattinata, anche una tavola rotonda con i ragazzi sul tema delle opportunità per il mondo del lavoro. Sulla cosiddetta “Olimpiadi dei mestieri” Adriana Masotti ha sentito Massimiliano Boracchi, coordinatore nazionale dell’iniziativa: 

R. – In poche parole, i ragazzi, una ventina per ogni settore – meccanico, meccanico d’auto, elettrico, energetico e  grafico – in questa settimana devono realizzare il loro capolavoro in base alle richieste che vengono loro poste. Dopodiché, verrà premiato il migliore. Quindi è realmente una prova pratica: il meccanico d’auto lavora su un impianto a gas di un’auto, impegnandosi sui guasti creati dai tecnici della Fiat che devono essere risolti, l’elettrico su un circuito di automazione per un magazzino, il grafico nelle sue stampe e così via.

D. – Quest’anno, il Concorso ha concentrato le gare di abilità professionale in Lombardia: ovviamente c’è un riferimento all’Expo…

R. – Sì. Abbiamo fatto questo abbinamento con Expo, perché già Don Bosco era stato all’Esposizione internazionale di Torino, aveva presentato i suoi ragazzi proprio con l’idea dell’“intelligenza nella mani”: aveva presentato una macchina per stampa, innovativa per l’epoca. E noi quest’anno, per l’edizione 2015, abbiamo aggiunto ai nostri percorsi tradizionali anche il Concorso del settore Energia, che è un settore abbastanza nuovo per le nostre case. Ma quest’anno abbiamo voluto esserci nei concorsi proprio per rispettare i canoni di Expo. I ragazzi hanno creato un impianto di irrigazione automatica per una serra, in cui ci sono delle piantagioni che abbiamo ricevuto dai presidi di slow food, in collaborazione con loro.

D. – Il significato di fondo di tutta questa iniziativa è proprio quella di valorizzare il “sapere delle mani”, che voi continuate con  le vostre scuole. Che cosa rappresenta per i giovani? Come vivono questo Concorso?

R. – In modo molto sereno. I ragazzi si ritrovano all’inizio della settimana che non si conoscono, provengono da varie parti d’Italia. Si guardano un po’ storti come per dire: ma lui è qui a concorrere con me! In realtà, poi, fin dal primo giorno si vede che già durante le prove si danno una mano fra di loro se c’è bisogno, nonostante siano in concorrenza tra di loro. Il venerdì, quando poi si salutano, spesso capita che qualche lacrima scorra perché tutto è già finito. Quindi, questa è sicuramente la cosa più bella dei Concorsi: vedere come i ragazzi stiano insieme, come facciano in fretta a fare amicizia e come si supportino l’uno con l’altro.

D. – In che percentuale i vostri giovani trovano poi lavoro quando terminano il ciclo di studi?

R. – In particolare, io parlo per la Regione Lombardia: noi abbiamo, a un anno dal termine delle qualifiche o dei quarti anni che ci sono nella Regione Lombardia, un quasi 90% di persone impiegate, nel senso o che hanno effettivamente un lavoro stabile, oppure che hanno scelto di proseguire con gli studi.

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Comunità di Taizè in festa per il 75.mo di fondazione

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Per ricordare il centenario della nascita di frère Roger Schutz, la Comunità di Taizé celebra in Borgogna una giornata commemorativa con una presentazione della vita del fondatore attraverso percorsi informativi a scelta e una preghiera di rendimento di grazie. Quest’anno ricorrono anche il 75.mo anniversario di fondazione della comunità ecumenica e il 10.mo anniversario della morte di frère Roger, avvenuta il 16 agosto 2005 per mano di una squilibrata. Federica Bertolucci ha intervistato frère Marek, uno dei fratelli della Comunità di Taizè: 

R. – Celebriamo dunque il centenario di frère Roger e per questo volevamo cominciare le celebrazioni di quest’anniversario con i nostri amici della regione di Taizé. Facciamo una celebrazione tutto il pomeriggio, iniziando alle tre con l’accoglienza degli arrivati e poi facciamo insieme una preghiera di ringraziamento per la sua vita nella nostra chiesa di Riconciliazione. Dopo la preghiera, invitiamo tutti i presenti alla comunità, alla nostra casa. Finiamo la giornata con la Preghiera per la Pace: mezz’ora di silenzio, la Preghiera della sera abituale della comunità alle 20.30.

D. – Oggi, la comunità di Taizé conta una centinaio di fratelli, cattolici e di diverse origini evangeliche, provenienti da 30 nazioni diverse. È corretto dire che la comunità è una parabola di comunione, cioè un segno concreto di riconciliazione tra cristiani divisi e tra popoli separati?

R. – È questo che frère Roger voleva. La comunità è un segno, una parabola – diceva lui – della comunione, della riconciliazione, dell’unità tra i cristiani, in primo luogo, ma anche di tutta la famiglia umana. Ogni giorno ci sforziamo di vivere questa parabola.

D. – Qual è il vostro impegno educativo con i giovani?

R. – I giovani vengono a Taizé molto numerosi in questi ultimi decenni. Non era un progetto di frère Roger all’inizio, ma sono venuti e allora abbiamo deciso di accoglierli. Gli incontri sono molto semplici: c’è soprattutto preghiera comune, poi riflessione basata sul Vangelo. Partendo dalla contemplazione, dalla preghiera, andare verso gli altri, soprattutto verso i poveri più isolati, portare la Buona novella.

D. – I fratelli cercano di condividere le condizioni di esistenza accanto ai più poveri, ai bambini di strada, ai carcerati e ai moribondi. La comunità è rimasta sempre la stessa o è cambiata in qualcosa?

R. – Sin dall’inizio, i fratelli partivano da Taizé per condividere la vita dei più poveri. Questo continua: adesso abbiamo cinque comunità, piccole fraternità sparse nel mondo sempre tra i più poveri, in Bangladesh, in Brasile, due comunità in Africa – in Senegal e in Kenya – in Corea del Sud. Cerchiamo di essere fedeli a questa intuizione di frère Roger e cioè che una vita monastica, una vita di preghiera, conduce sempre verso quelli che sono più bisognosi, più poveri. L’obiettivo della giornata di celebrazione dell’anniversario di frère Roger è soprattutto ringraziare Dio per tutto quello che fratel Roger ha fatto e che lui ci ha lasciato come una missione, un compito. Noi vogliamo ispirarci a questo ricco patrimonio che frère Roger ci ha lasciato e guardare al futuro.

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Il commento al Vangelo della sesta Domenica di Pasqua

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Nella sesta domenica del Tempo di Pasqua, la Chiesa si incammina verso il compimento di questo percorso con l’Ascensione del Signore e la discesa dello Spirito Santo, che forma la comunità cristiana chiamata a dare testimonianza al mondo dell’amore che la costituisce:

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti: 

Il brano evangelico di oggi continua la parola sui tralci e sulla vite di domenica scorsa: per produrre frutto è assolutamente necessario “rimanere” uniti a Cristo, “rimanere sul suo amore”. Questo rimanere nella parola del Signore significa osservare i suoi comandamenti. Il Figlio rimane nell’amore del Padre perché compie la sua volontà, ne osserva i comandamenti: che non sono leggi esterne, imposte dall’alto, ma espressione dell’amore, parola di vita.

L’unico comandamento
I comandamenti sono le parole di una madre al figlio perché egli non perda la vita, non perda il cammino della vita. Questi comandamenti si riassumono in uno solo: amare. Amare Dio con tutto il cuore e tutta l’anima e il prossimo come se stessi. Amare. Un amore che non esige nulla, che non si fa legge per l’altro, perché all’altro quest’amore dà la vita: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” Questa è la passione di Dio: amare l’uomo, fino a dare la sua vita per lui, fino a perdersi, crocifisso, su una croce per lui: “Sic dilexit Deus mundum”, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

Vi ho chiamato amici
Da questo amore di Dio nasce la sua filia, la sua amicizia: Dio non ci chiama ad una dipendenza da lui, a una “sottomissione”, dove mai l’amore può diventare sponsale. Dio vuole questa amicizia: “Vi ho chiamato amici”. E il fondamento di questa amicizia è l’amore: innanzitutto l’amore di Dio per noi, ma poi l’amore fraterno che lega in unità: “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: evasione di massa dal carcere di al-Khalis, 36 vittime

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Almeno 36 morti, fra i quali cinque poliziotti, è il bilancio della rivolta scoppiata nel carcere iracheno di al-Khalis, nella provincia di Diyala  a nord-est di Baghdad. Lo ha comunicato il portavoce del ministero dell'Interno, il generale Saad Maan, precisando che sono evasi 40 prigionieri, 9 dei quali erano detenuti per reati di terrorismo. “La polizia sta dando la caccia ai fuggitivi nei dintorni del carcere”, ha aggiunto. Secondo alcuni media locali, l'azione è stata preceduta dall'esplosione di tre autobomba nei pressi della prigione, mentre il generale Maan ha smentito voci di un assalto dall’esterno, sebbene la provincia di Diyala sia stata investita dalla fulminea offensiva dell'Isis, che lo scorso anno ha portato i jihadisti a impadronirsi di vasti territori, ma in seguito sia stata riconquistata dalle forze lealiste.

Venerdì di preghiera e sangue
Solo ieri, in Iraq si era registrato l’ennesimo venerdì di preghiera segnato dalle violenze: almeno 22 persone sono morte negli attentati suicidi compiuti contro due moschee sciite a nord di Baghdad. Infine, non si arresta allarme per i "foreing fighters" in Siria e in Iraq. Il viceministro degli Esteri del Kosovo, Petrit Selimi, ha reso noto che almeno 30 kosovari sono morti finora tra le file delle formazioni jihadiste. La stampa del Paese balcanico stima invece che sarebbero almeno 300 i kosovari recatisi a combattere con il califfato in Siria e Iraq. (M.G.)

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Il vescovo Audo: in Siria c'è chi strumentalizza le sofferenze dei cristiani

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Continuare a frequentare le scuole e le università, pur essendo esposti tutti i giorni al rischio dei bombardamenti e quindi al rischio di morire: è la scelta che hanno fatto molti cristiani di Aleppo e che viene raccontata da mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, all'agenzia Fides. “Molti cristiani fuggiranno da Aleppo – spiega il vescovo - per cercare riparo nell'area costiera, ma solo dopo gli esami, quando scuole e università saranno chiuse. E' paradossale, ma nel disastro in cui viviamo anche quest'anno nei quartieri centrali di Aleppo le scuole e l'università sono rimaste aperte. E chi poteva non ha rinunciato ad andare a lezione e a dare gli esami, mostrando di credere ancora che lo studio è importante per il futuro. E tutto questo, mentre si vive in una città che sembra non avere futuro”.

Le notizie sugli attacchi ai cristiani vengono strumentalizzate
La situazione dei cristiani diventa sempre più complicata soprattutto quando vengono fatte circolare notizie utilizzate in chiave strumentale, come nel caso dei pesanti attacchi avvenuti tre settimane fa ai quartieri dove sono concentrate le cattedrali cristiane e poi anche al quartiere di Sulaymaniyah, dove abitano molti cristiani. “Fin dall'inizio, - racconta mons. Audo - hanno fatto di tutto per presentare questo conflitto come uno scontro religioso tra cristiani e musulmani o tra sciiti e sunniti. Certo, i cristiani sono il gruppo più indifeso: non hanno armi, hanno paura. Ma certi slogan e certe chiavi di lettura pilotati servono solo a nascondere le vere ragioni e le vere dinamiche della guerra. C'è chi vuole dividere tutta l'area in piccole entità settarie, come hanno provato a fare anche in Iraq, per mettere gli uni contro gli altri e continuare a dominare tutto”.

Ad Aleppo da più di tre anni non vengono più usati gli aereoporti dai civili
Nelle ultime ore, secondo notizie rilanciate dalle agenzie internazionali, nella regione di Aleppo le milizie jihadiste avrebbero consolidato le loro posizioni, intimando la resa anche a duemila soldati dell'esercito governativo rimasti intrappolati nella zona dell'aeroporto militare. “In realtà”, riferisce il vescovo Audo, “da più di tre anni non usiamo gli aeroporti per uscire da Aleppo perché si trovano tutti in aree contese. L'impressione è che sia in atto una forte propaganda e una guerra psicologica contro il governo, orchestrata anche a livello internazionale con l'uso pilotato dell'informazione. Parlano di un attacco prossimo su Aleppo, dicono che Aleppo è finita. Forse stanno preparando qualcosa”. (M.T.)

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Vescovi del Kenya: al nord del Paese violenze a causa del petrolio

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20 vescovi del Kenya hanno indetto una conferenza stampa nella capitale Nairobi per lanciare l’allarme sulle violenze nel Nord del Paese. “La vita di una persona in Turkana – ha spiegato  mons. Philip Arnold Subira Anyolo, vescovo di Homa Bay - vale quanto quella di una che vive a Nairobi. Avvertiamo di continuo che il conflitto nel North Rift si sta aggravando, specialmente a causa delle risorse minerali e del petrolio. In questi conflitti, che vengono definiti 'razzie di bestiame', perdono la vita molte persone.

La zona di Turkana è quella più esposta alle violenze 
Una situazione che desta molta preoccupazione, soprattutto dopo che  il 4 maggio più di 70 persone sono state uccise a Nadome, al confine tra le contee di Turkana e Baringo, da 400 uomini armati che sono scappati con oltre mille bovini e più di 5.000 capre. E la zona colpita, ricordano i vescovi, è un’area profondamente emarginata dove il 60% della popolazione è nomade e solo il 30% dei bambini va a scuola. Ma le razzie di bestiame nascondono un conflitto più profondo relativo alle riserve di petrolio. “Il petrolio  - ha affermato mons. Dominic Kimengich, vescovo di Lodwar - si trova nella contea di Turkana, ma si è creata una disputa di confine tra i Turkana e la popolazione del West Pokot, che pretende di spostare le linee di delimitazione tra le due contee in modo che le riserve di petrolio ricadano nella propria”.

Con i programmi di sviluppo potrebbe finire la lotta alle risorse
E la lotta per le risorse potrebbe finire solo qualora il governo avvierà programmi di sviluppo nelle aree interessate. “Diversi leader della regione parlano molto – ha sottolineato  mons. Cornelius Kipng’eno Arap Korir, vescovo di Eldoret -  fanno promesse, ma non presentano modalità per far cessare le violenze”. I vescovi hanno chiesto di procedere al disarmo della popolazione e di affrontare il problema dei leader locali e di altri che continuano ad armare e a incitare le popolazioni a lottare le une contro le altre. (M.T.)

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Nord Corea: missione volontari cattolici per malati di Tbc

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I volontari cattolici che lavorano con i malati di tubercolosi in Corea del Nord “ci hanno portato vita e speranza, e noi vogliamo ringraziarli per questo”. Lo ha detto il portavoce di un gruppo di ammalati al gruppo della Eugene Bell Foundation – fra cui alcuni sacerdoti cattolici – che ha appena concluso il viaggio “primaverile” nel Paese socialista. Fra loro anche padre Gerard Hammond, Superiore regionale dei Maryknoll in Corea, che all'agenzia AsiaNews dice: “La cosa più bella è proprio questa. Essere messaggeri di speranza”.

Il governo concede di costruire altri 5 Centri per malati di Tbc
La missione di primavera è iniziata il 20 aprile scorso e si è conclusa il 6 maggio. La delegazione era composta da 16 membri, 11 deputati al team di accoglienza e cinque a quello di ricostruzione delle strutture sanitarie che hanno subito danni durante l’inverno. I Centri gestiti dalla Fondazione – racconta padre Hammond – “al momento sono 11, ma il governo ci ha concesso la possibilità di costruirne altri cinque. Ognuno di questi può ospitare fino a 20 malati di tubercolosi”.

L'incontro con i pazienti guariti
In totale - riferisce l'agenzia AsiaNews - in questa ultima visita il gruppo ha potuto constatare l’avvenuta guarigione di circa mille pazienti: “Noi forniamo le strutture, i medicinali e a volte l’aggiornamento sanitario. Il governo è consapevole dei rischi di una malattia come la tubercolosi, ed è bello vedere che in questo campo collaborano. È stato molto bello soprattutto l’incontro serale con la delegazione dei pazienti guariti. Dare speranza è per un cristiano una cosa meravigliosa”.

L'opera di padre Hammond e della Bell Foundation in Nord Corea
Il padre Hammond lavora da circa 20 anni con la Corea del Nord. Superiore regionale dei missionari Maryknoll, ha compiuto più di 50 viaggi nel Paese: lo scorso anno ha ottenuto la cittadinanza sudcoreana, un onore rarissimo per un occidentale, proprio in considerazione del suo impegno umanitario e cattolico. Anche la Eugene Bell Foundation ha una lunga storia di aiuti al Nord. Nata nel 1995 per volontà di Stephen Linton, comprende una delegazione che due volte l'anno (di recente salite a tre) può visitare alcune zone della Corea del Nord. La consegna di medicinali e attrezzature mediche per debellare la tubercolosi è lo scopo delle visite.

Nella delegazione in Nord Corea, diversi sacerdoti
Il Paese ha circa 22 milioni di abitanti, di cui la metà sotto la soglia della povertà. La tubercolosi, come spiega padre Hammond, "si propaga per via aerea e colpisce coloro che soffrono di malnutrizione o di generica debolezza organica. Stiamo cercando di fare il possibile per fermare il contagio, e in questo la nostra controparte (il governo di Pyongyang nda) è molto propositiva. Noi non nascondiamo la nostra identità, le richieste per i visti sono oneste e anche nella delegazione di quest'ultimo viaggio c'erano diversi sacerdoti". (R.P.)

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Palermo: caserma dei Carabinieri in villa confiscata alla mafia

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“La libertà, la pace e la giustizia sono beni da ricercare, accogliere, custodire, difendere e promuovere ogni giorno. Con questa consapevolezza, mentre rendiamo grazie per il recupero di questi valori, rinnoviamo il nostro impegno per l’affermazione  dei diritti dell’uomo, di ogni uomo”. Sono le parole pronunciate dal cardinale di Palermo, Paolo Romeo, che questa mattina ha benedetto la nuova caserma dei Carabinieri in una villa di via Bernini, confiscata alla mafia nel 2007, dove Totò Riina trascorse l’ultimo periodo della sua latitanza, conclusa il 15 gennaio del ’93, con l’arresto da parte dei militari dell’Arma.

Oggi vince lo Stato e perde la mafia
“Oggi è un giorno bellissimo perché lo Stato vince e la mafia perde. I mafiosi sono dei criminali e degli assassini ma anche dei ladri di speranza e di futuro”, ha dichiarato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione del presidio dei Militari nel quartiere Uditore. Alla presenza del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, la nuova caserma è stata intitolata al maresciallo Mario Trapassi e all’appuntato Salvatore Bartolotta, medaglie d’oro al valor civile, barbaramente trucidati nell’83 nell’attentato in cui perse la vita il giudice Rocco Chinnici, ‘padre’ del pool antimafia di cui fecero poi parte Falcone e Borsellino. (Da Palermo, Alessandra Zaffiro)  

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 129

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.