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Sommario del 11/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai bambini: "fabbricate" la pace, no a trafficanti d'armi

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“La pace è un prodotto artigianale” che si costruisce “ogni giorno” volendo bene agli altri, ma la pace non esiste “dove non c’è la giustizia” e dove prosperano i trafficanti di armi. È l’insegnamento centrale che ha caratterizzato il festoso incontro di Papa Francesco in Aula Paolo VI con i settemila bambini e ragazzi provenienti da scuole di tutta Italia, che hanno aderito al progetto educativo della Fondazione “Fabbrica della pace”, condotto in collaborazione col Ministero dell’Istruzione e la Cei. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis

La casa della pace e quella della guerra vengono costruite tutti i giorni. Con una differenza: la prima è un laboratorio artigianale, la seconda è un’industria. La prima cerca la persona con gesti di fraternità e accoglienza, la seconda la distrugge per avidità e soldi. Nell’Aula Paolo VI, che pare più che altro un’immensa aula scolastica in un giorno di festa, Papa Francesco si lascia sommergere dai giovanissimi “operai” della “Fabbrica della pace”, che lo accolgono con musica e un entusiasmo “bollente”, lo eleggono uno di loro donandogli un caschetto bianco, e gli rivolgono una raffica di domande, tredici, alle quali Francesco – catechista con la cattedra che gli costruiscono gli stessi bambini accoccolandoglisi accanto – replica a braccio, una a una, partendo dalla madre di tutte le domande, “come si fa la pace”:

“La pace non è un prodotto industriale: la pace è un prodotto artigianale. Si costruisce ogni giorno con il nostro lavoro, con la nostra vita, con il nostro amore, con la nostra vicinanza, con il nostro volerci bene (…) Quello che toglie la pace è il non volerci bene. Quello toglie la pace! Quello che toglie la pace è la gelosia, le invidie, l’avarizia, il togliere le cose degli altri: quello toglie la pace”.

"L'industria della morte"
Francesco scorre l’elenco e risponde alle vocine squillanti e a quesiti grandi il doppio di chi li ha posti: perché l’accoglienza verso gli immigrati è così difficile, perché “le persone potenti non aiutano la scuola”…. Il Papa allarga l’orizzonte e si chiede perché tante persone potenti non vogliano la pace:

“Perché vivono dalle guerre! L’industria delle armi: questo è grave! I potenti, alcuni potenti, guadagnano nella vita con la fabbrica delle armi (…) E’ l’industria della morte! E guadagnano (...) Si guadagna di più con la guerra! Si guadagnano i soldi, ma si perdono le vite, si perde la cultura, si perde l’educazione, si perdono tante cose. E’ per questo che non la vogliono. Un anziano prete che io ho conosciuto anni fa diceva questo: il diavolo entra per i portafogli. Per la cupidigia. E per questo non vogliono la pace!”.

Rialzati, Dio ti perdona
Le domande diventano più stringenti man mano che al microfono si presentano bambini segnati da situazioni che non dovrebbero aver vissuto. Uno bloccato su una carrozzina gli dice che a settembre andrà a Lourdes con l’Unitalsi, un altro si fa portavoce di un amico ricoverato al Bambin Gesù, uno dal carcere minorile di Casal del Marmo gli fa chiedere se la cella sia una soluzione… Francesco non cerca scuse: non c’è risposta al dolore di un bambino, ma deve esserci – asserisce – una società che faccia di tutto per curarli e reinserirli. E non vi sia storia di sbagli sulla quale, dice, non risplenda il sole di questa certezza:

“Dio perdona tutto! Capito? Siamo noi a non saper perdonare. Siamo noi a non trovare strade di perdono (...) E il perdono cosa significa? Sei caduto? Alzati! Io ti aiuterò ad alzarti, a reinserirti nella società. Sempre c’è il perdono e noi dobbiamo imparare a perdonare ma così: aiutando a reinserire chi ha sbagliato”.

La pace di ogni giorno
E poi, quasi a voler estrarre l’essenza di tutto quanto affermato, un bambino di 9 anni gli chiede: ma cos’è in fondo la pace di cui “sento parlare tanto”?:

“La pace è prima di tutto che non ci siano le guerre, ma anche che ci sia la gioia, che ci sia l’amicizia fra tutti, che ogni giorno si faccia un passo avanti per la giustizia, perché non ci siano bambini affamati, perché non ci siano bambini malati che non abbiano la possibilità di essere aiutati nella salute… Fare tutto questo è fare la pace”.

Senza pace non c'è giustizia
Sappiate anche pregare per la pace, soggiunge Francesco, a chi gli chiede se la religione possa aiutare nella vita. E a un altro che domanda: “Ma secondo te, Papa, un giorno saremo tutti uguali?”, Francesco esclama in modo trascinante:

“Tutti abbiamo gli stessi diritti! Quando non si vede questo, quella società o questo mondo è ingiusto. Non è con giustizia. E dove non c’è al giustizia, non può esserci la pace. Capito? Lo diciamo, questo piacerebbe… vediamo se siete bravi: mi piacerebbe ripeterlo insieme più di una volta… State attenti è così: 'Dove non c’è la giustizia, non c’è la pace!'… tutti: (bambini): 'Dove non c’è la giustizia, non c’è la pace!'. Un po’ più forte…(bambini): 'Dove non c’è la giustizia, non c’è la pace!'”.

All’incontro in Aula Paolo VI ha preso parte anche Emma Bonino, cui Papa Francesco aveva  telefonato il primo maggio scorso per informarsi sulla sua salute e per incoraggiarla “a tenere duro”.

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Papa a vescovi del Togo: sostenere matrimonio cristiano

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Sostenere gli impegni, “esigenti ma magnifici”, del matrimonio cristiano nonostante nel mondo si offrano “modelli di unione e di famiglie incompatibili” con la nostra fede. È il mandato del Papa ai vescovi del Togo, in “visita ad Limina”. Nel discorso consegnato ai presuli, guidati dal presidente della locale Conferenza episcopale, mons. Benoît Alowonou, il Pontefice ha esortato i vescovi a sostenere il dialogo interreligioso e a non entrare direttamente nelle querelle politiche del Paese. Il servizio di Giada Aquilino

Matrimonio, impegno esigente ma magnifico
Di fronte agli “attacchi ideologici e mediatici” che offrono “modelli di unione e di famiglie incompatibili con la fede cristiana”, diffusi oggi in Togo e in tutto il mondo, è necessario preparare i giovani e le coppie agli “impegni, esigenti ma magnifici, del matrimonio cristiano”. Questa l’esortazione del Papa ai vescovi del Paese africano. Francesco, ricordando il prossimo appuntamento di ottobre col Sinodo dei vescovi, ha constatato che in Africa la famiglia è “accogliente nei confronti della vita” e delle persone anziane. Sono “aspetti positivi” di cui si deve parlare e che vanno ascoltati: un patrimonio che va “preservato” e utilizzato come “esempio e incoraggiamento per gli altri”. Perché - ha evidenziato ai vescovi - “da voi il Sacramento del matrimonio è una realtà pastorale ben accolta”, nonostante sussistano “ostacoli di ordine culturale e legale” che impediscono a certi sposi di realizzare il “desiderio di fondare la loro vita di coppia sulla fede in Cristo”. Incoraggiati quindi gli sforzi, anche in “termini di comunicazione”, per “sostenere le famiglie nelle loro difficoltà”, nell’educazione e nelle opere sociali.

Numerose vocazioni in Togo
In primis quindi l’attenzione ai giovani: la “Chiesa-famiglia” in Togo, ha constatato il Pontefice, ha d’altra parte scelto di essere vicina a bambini e ragazzi con “una buona formazione, umana e religiosa, attraverso numerosi progetti e iniziative”: “non ignoro - ha rivelato Francesco - gli sforzi considerevoli, tanto umani che materiali”, che tale lavoro implichi a tutti i livelli, anche con l’aiuto dei catechisti. I religiosi e le religiose, poi, “hanno un ruolo insostituibile” nell’annuncio e nella trasmissione della fede nel Paese africano. Sono “numerosi” gli istituti religiosi, “sia autoctoni sia missionari”, ha ricordato il Papa, sottolineando che in particolare in questo Anno della Vita Consacrata va ricordato il loro “impegno disinteressato e generoso” al servizio di Cristo e della Chiesa, di cui beneficia tutta la popolazione. Francesco ha pure esortato i presuli ad essere “sempre vicini” ai sacerdoti, in un “vero spirito di famiglia”. Le vocazioni “sono numerose” in Togo e i seminaristi “ricevono una buona formazione” per quanto riguarda i valori evangelici, per aiutarli a “lottare contro l’ambizione, il carrierismo, la gelosia, la mondanità, la seduzione del denaro e dei beni di questo mondo, in un celibato sincero e gioiosamente vissuto”.

Collaborare con istituzioni ma non entrare nelle questioni politiche
Il Papa si è poi rallegrato per il ruolo avuto dalla Chiesa nei “notevoli progressi” compiuti dalla società togolese negli ultimi anni, soprattutto nel campo della giustizia e della riconciliazione, ed ha esortato i vescovi a continuare ad assicurare che la Chiesa abbia “il posto che merita nel processo di riforme istituzionali”. Citando l’Esortazione Apostolica postsinodale ‘Africae munus’ di Benedetto XVI, ha ricordato che la Chiesa in Africa deve aiutare a costruire la società “in collaborazione con le autorità governative e le istituzioni pubbliche”: tuttavia, ha sottolineato Francesco, è necessario “non entrare direttamente nel dibattito o nelle querelle politiche”, avendo comunque a cuore la formazione, l’incoraggiamento e l’accompagnamento di laici capaci di “investire” al più alto livello al servizio della Nazione e di assumersi responsabilità.

Sostenere e sviluppare dialogo interreligioso
Accolta con favore “l’azione congiunta con le altre comunità cristiane”. Nell’ambito del dialogo interreligioso, ha concluso, va sostenuta e sviluppata ulteriormente la “cultura del dialogo e dell’incontro”, in una società come quella togolese in cui si vive una convivenza pacifica, in particolare con l’islam, che va mantenuta anche rispetto al contesto attuale dell’Africa occidentale.

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Francesco: ancora oggi si uccidono cristiani "in nome di Dio"

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Ancora oggi si uccidono cristiani in nome di Dio, ma lo Spirito Santo dà la forza di testimoniare fino al martirio: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Anche oggi c'è chi uccide i cristiani credendo di rendere culto a Dio
Nel Vangelo del giorno, Gesù annuncia ai discepoli lo Spirito Santo: “Io ho tante cose da dirvi, ma in questo momento voi non siete capaci di portarne il peso; ma quando verrà il Paraclito, lo Spirito di verità, Egli vi guiderà a tutta la verità”. Il Signore “parla del futuro, della croce che ci aspetta e ci parla dello Spirito, che ci prepara a dare la testimonianza cristiana”. Quindi parla “dello scandalo delle persecuzioni”, lo “scandalo della Croce”. “La vita della Chiesa – osserva il Papa - è un cammino guidato dallo Spirito” che ci ricorda le parole di Gesù e “ci insegna le cose che ancora Gesù non ha potuto dirci”: “è compagno di cammino” e “ci difende anche” dallo “scandalo della Croce”. La Croce è infatti scandalo per i giudei che “chiedono segni” e stoltezza per “i greci, cioè i pagani” che “chiedono sapienza, idee nuove”. I cristiani invece predicano Cristo crocifisso. Così, Gesù prepara i discepoli perché non si scandalizzino della Croce di Cristo: “Vi scacceranno dalle sinagoghe – dice Gesù - anzi viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio”:

“Oggi siamo testimoni di questi che uccidono i cristiani in nome di Dio, perché sono miscredenti, secondo loro. Questa è la Croce di Cristo: ‘Faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me’. ‘Questo che è accaduto a me – dice Gesù – accadrà anche a voi – le persecuzioni, le tribolazioni – ma per favore non scandalizzatevi; sarà lo Spirito a guidarci e a farci capire’”.

La forza dello Spirito dei fedeli copti sgozzati sulla spiaggia
In questo contesto, Papa Francesco ricorda il colloquio telefonico avuto ieri col Patriarca copto Tawadros, “perché era il giorno dell’amicizia copto-cattolica”:

“Ma io ricordavo i suoi fedeli, che sono stati sgozzati sulla spiaggia perché cristiani. Questi fedeli, per la forza che ha dato loro lo Spirito Santo, non si sono scandalizzati. Morivano col nome di Gesù sulle labbra. E’ la forza dello Spirito. La testimonianza. E’ vero, questo è proprio il martirio, la testimonianza suprema”.

La testimonianza di ogni giorno
“Ma c’è anche la testimonianza di ogni giorno – ha proseguito - la testimonianza di rendere presente la fecondità della Pasqua” che “ci dà lo Spirito Santo, che ci guida verso la verità piena, la verità intera, e ci fa ricordare questo che Gesù ci dice”:

“Un cristiano che non prende sul serio questa dimensione ‘martiriale’ della vita non ha capito ancora la strada che Gesù ci ha insegnato: strada ‘martiriale’ di ogni giorno; strada ‘martiriale’ nel difendere i diritti delle persone; strada ‘martiriale’ nel difendere i figli: papà, mamma che difendono la loro famiglia; strada ‘martiriale’ di tanti, tanti ammalati che soffrono per amore di Gesù. Tutti noi abbiamo la possibilità di portare avanti questa fecondità pasquale su questa strada ‘martiriale’, senza scandalizzarci”.

Il Papa conclude con questa preghiera: “Chiediamo al Signore la grazia di ricevere lo Spirito Santo che ci farà ricordare le cose di Gesù, che ci guiderà alla verità tutta intera e ci preparerà ogni giorno a rendere questa testimonianza, a dare questo piccolo martirio di ogni giorno o un grande martirio, secondo la volontà del Signore”.

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Francesco riceve il Nobel argentino Pérez Esquivel

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il Premio Nobel per la Pace 1980, Adolfo Maria Pérez Esquivel.

In Perù, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della prelatura territoriale di Chuquibamba, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Mario Busquets Jordá. Al suo posto, Francesco ha nominato padre Jorge Enrique Izaguirre Rafael, della Congregazione di Santa Croce, finora assistente generale del suo Istituto, direttore della Formazione e superiore della Casa internazionale di Formazione della sua Congregazione a Santiago del Cile. Il neo presule è nato il 14 gennaio 1968, in Casma, Ancash, diocesi di Chimbote (Perú). Emise la prima professione nella Congregazione di Santa Croce il 28 gennaio 1992 e quella solenne il 14 gennaio 1996. È stato ordinato presbitero il 15 febbraio 1997. Studiò la Filosofia presso l’Instituto Superior de Estudios Teológicos Juan XXIII a Lima in Perú e la Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Cile. Ha ottenuto il Diploma di Master in Teologia Pastorale nella Weston Jesuit School of Theology di Boston negli Stati Uniti. Come presbitero ha svolto diversi incarichi nella pastorale diretta e di formazione all'interno del suo Istituto religioso, tra questi è stato Rettore della Casa di Formazione San José della Congregazione di Santa Croce, in Canto Grande, diocesi di Chosica (1997-1998); Membro del Consiglio del Distretto del  Perú della Congregazione di Santa Croce; Assistente del Superiore (1999-2009) e Parroco di El Señor de la Esperanza en Canto Grande, diocesi di Chosica (2007-2012).

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Papa apre assemblea Caritas Internationalis. Roy: i poveri al centro

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Domani pomeriggio alle 17.30 Papa Francesco presiederà nella Basilica Vaticana la Messa per l’apertura della 20.ma Assemblea Generale di Caritas Internationalis che si svolgerà sul tema “Una sola famiglia umana: prendersi cura del Creato. Al centro dell’attenzione dei lavori dell’organismo sarà la questione del cambiamento climatico con le sue conseguenze, in particolare sulle popolazioni più povere del pianeta. Ascoltiamo Michel Roy, segretario generale della Caritas Internationalis, al microfono di Gabriella Ceraso

R. – La questione del cambiamento climatico è una questione che poco a poco, in questi decenni, ha acquistato importanza, e lo vediamo in maniera molto chiara, alla Caritas Internationalis: la moltiplicazione dei disastri naturali sul pianeta è cosa reale, che si può verificare costantemente. I tifoni, le alluvioni, la siccità … tutto questo si è moltiplicato, generando impoverimento delle comunità, vittime dirette, anche migrazioni dovute a questo cambiamento climatico. E allora, siamo giunti a un punto in cui non solamente noi, ma tutti dobbiamo fare qualcosa per rallentare questo cambiamento climatico. Quest’anno 2015 è un anno molto speciale: le Nazioni Unite adotteranno a settembre, in assemblea generale, gli obiettivi di sviluppo sostenibile che prendono in considerazione il cambiamento climatico in una maniera in cui non era mai stato fatto finora. Dalla fine di novembre fino a dicembre, a Parigi, si terrà quindi il summit sul cambiamento climatico, che è un momento molto importante: l’ultima occasione per prendere le decisioni necessarie per far sì che questo cambiamento si fermi e che noi non andiamo troppo oltre, perché altrimenti il cambiamento sarà irreversibile. Vediamo che quando il clima cambia c’è un impatto sul Creato e specialmente sulle popolazioni più povere. Questo cambiamento colpisce una zona tropicale che va dalle Filippine fino al Centroamerica – lo si riconosce su una carta geografica – e le popolazioni che vivono in questi Paesi sono povere e non sono all’origine di questo cambiamento: noi che siamo al Nord siamo all’origine di questo cambiamento. C’è una questione di “giustizia climatica” e noi dobbiamo fare in modo che le persone vittime siano al centro della nostra attenzione. Questa riflessione ci ha portati a scegliere questo slogan “Una sola famiglia umana: prendersi cura del Creato”.

D. – E c’è un messaggio di speranza, perché bisogna lavorare insieme: volete sottolineare questo?

R. – Certamente. Perché sappiamo che possiamo cambiare le cose, se lo facciamo insieme. Bisogna – e questo è un punto importante negli obiettivi di sviluppo sostenibile – mettere le persone vittime al centro e costruire un nuovo paradigma di sviluppo, a partire dalle speranze di queste popolazioni, con tutte le altre forze. Non solamente i governi: anche il settore privato e le organizzazioni internazionali della società civile.

D. – Che cosa insegna Papa Francesco su questo tema? Cosa insegna anche alla Caritas, con quanto ha detto finora, fin dalla prima omelia, sulla custodia del Creato, sull’impegno dei cristiani?

R. – Ha detto tante cose e stiamo aspettando l’Enciclica sull’ecologia umana, che dovrebbe essere pubblicata a fine giugno inizio luglio. Penso che lui metta il punto sulla necessità di cambiare stile di vita, modo di vita. Sono sicuro che ci sarà una chiamata molto forte a ognuno per impegnarci collettivamente ma anche individualmente a fare in modo che il cambiamento climatico non sia così forte.

D. – Tra gli orientamenti che vi guideranno in questa prossima assemblea, c’è il servizio alla Chiesa, c’è l’impegno in situazioni di particolare gravità – calamità naturali ma anche guerre e conflitti. E c’è la promozione dello sviluppo umano “integrale”. Come farlo?

R. – Penso che la Chiesa abbia un’esperienza molto grande. Ogni sviluppo è sviluppo della persona umana. Non si può fare da soli. Si fa nella famiglia, si fa nella comunità … deve venire da dentro. Allora, dobbiamo lavorare ad animare le comunità, mettendo i più poveri al centro perché non siano dimenticati. Bisogna che le politiche che verranno definite lo siano a tutti i livelli; però, in questo mondo globalizzato devono essere prese anche a livello internazionale. Da qui, l’importanza delle Nazioni Unite e delle Organizzazioni internazionali. Per esempio, l’Organizzazione internazionale del Commercio non ha operato bene, da questo punto di vista: deve ripensare tutto, perché anche in questo mondo globalizzato l’importante è che la speranza sia con la gente, e la gente non è una massa uniforme di sette miliardi di persone: sono persone, individui nelle comunità.

D. – Ci sono aree che più vi preoccupano?

R. – La crescita delle disuguaglianze che è all’origine di molti problemi … Quando le persone non hanno più lavoro, questo è il risultato di una politica che fa sì che i ricchi diventino più ricchi e i poveri più poveri. Crea frustrazioni terribili che portano sulla strada della violenza, al conflitto, alla guerra. Questa è una preoccupazione maggiore. Che tipo di umanità vogliamo? Che tipo di sviluppo umano vogliamo? Siamo sicuri che il cammino attuale non sia quello giusto. Parleremo di una sfida che ci pone il Papa: di aiutarlo a costruire una Chiesa povera per i poveri, per far sì che le comunità cristiane siano più aperte, più vicine, più impegnate con i fratelli e le sorelle vittime della povertà.

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Emissione filatelica per i 150 anni della Guardia Costiera

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Due mani che si stringono e la visita di Papa Francesco a Lampedusa nel 2013. Sono le significative immagini di un’emissione filatelica straordinaria, a cura dell’Ufficio Filatelico e Numismatico vaticano in collaborazione con la Guardia Costiera italiana, in occasione dei 150 anni dalla fondazione del Corpo della Marina Militare. Il ricavato verrà devoluto al Santo Padre per opere di carità. L’iniziativa è stata presentata stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Guardia Costiera, un impegno quotidiano e decisivo
E’ quotidiano e determinate l’impegno della Guardia Costiera italiana per soccorrere i migranti che in condizioni estreme, spinti da guerre e da miseria, tentano la traversata del Mediterraneo. Il capitano di vascello Filippo Marini, capo ufficio stampa della Guardia Costiera:

“Soltanto nel 2014, sono stati 170 mila i migranti tratti in salvo in numerosissime operazioni di soccorso. Di questi 170 mila, 42 mila sono stati i migranti salvati dai mercantili dirottati dal Centro nazionale di soccorso della Guardia Costiera, che si trova a Roma. Quindi, un grande ringraziamento va agli armatori italiani e non solo italiani. Almeno 39 mila circa sono stati soccorsi solo dalle unità della Guardia Costiera, e poi ovviamente con “Mare Nostrum”, che è stata un’importantissima operazione umanitaria”.

All'Onu si prende in esame il piano europeo per l'immigrazione
Quella odierna è una giornata cruciale per l'emergenza immigrazione nel Mediterraneo: all’Onu viene presentata  l'Agenda dell'Unione Europea. Il piano, prevede quattro punti cruciali: l’aiuto ai Paesi di origine e di transito dei migranti, il controllo delle frontiere a sud della Libia e nei territori limitrofi, missioni di sicurezza e difesa contro trafficanti e scafisti e la distribuzione dei profughi, con quote obbligatorie da stabilire tra i 28 Stati  europei in base a diversi parametri tra cui Pil, popolazione, disoccupazione e numero di migranti già accolti. Nelle prossime ore all'Onu si discuterà anche della possibilità di combattere contro i trafficanti e  di distruggere i barconi “prima che siano usati”, come indicato nel vertice europeo straordinario. Ancora il capitano di vascello Filippo Marini:

“La Guardia Costiera salva la gente in mare. Cerchiamo di farlo nel migliore dei modi, con mezzi, impegno, sacrificio e soprattutto amore per la vita degli altri. Per quanto riguarda la formula per risolvere questo, io credo che l’attenzione da parte dei politici, da parte dell’Europa, in questo momento sia molto alta e che sicuramente da questo ne trarremo beneficio”.

Le caratteristiche dell'emissione filatelica straordinaria
Il francobollo inserito nel folder commemora il viaggio del Papa a Lampedusa nel 2013. Il chiudilettera riproduce una mano che sostiene quella di un migrante. Francobollo e chiudilettera sono proposti nella versione su busta con l’annullo speciale realizzato per l’occasione. Fanno da sfondo e completano le pagine interne del folder le immagini della Cupola di San Pietro e di una motovedetta della Guardia Costiera che scorta un barcone alla deriva. Nelle pagine esterne sono riproposte le immagini San Giovanni Paolo II che sale sul pattugliatore “Michele Fiorillo” (Gaeta, 25 giugno 1989) e dell’incontro del comandante del Corpo, Felicio Angrisano, con Papa Francesco (Città del Vaticano, 17 febbraio 2015). Il folder, prodotto in diecimila esemplari, verrà venduto a 5 euro a partire dal 19 maggio 2015.

 

Sul significato di questa iniziativa filatelica e umanitaria si sofferma, al microfono di Luca Collodi, il responsabile dell'Ufficio Filatelico e Numismatico, Mauro Olivieri: 

R. – Abbiamo colto l’occasione per tornare ancora sul tema dei migranti. Avevamo fatto questo francobollo a fine 2014, ricordando il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa, un viaggio storico. Abbiamo, però, voluto ricordarlo di nuovo, con questo francobollo, sempre a scopo di beneficienza, per un'altra occasione che si è presentata recentemente e che abbiamo voluto cogliere: un omaggio ad una istituzione italiana che è molto importante.

D. – Questa emissione filatelica ricorda, infatti, i 150 anni di fondazione della Guardia Costiera Italiana…

R. – Esatto, abbiamo voluto dare un riconoscimento – diciamo così – alla Guardia Costiera Italiana. Sono venuti, alla fine dell’anno scorso, qui da noi – da me – chiedendo l’emissione di un francobollo per questo 150.mo anniversario dell’istituzione del Corpo. Gli abbiamo detto che il Vaticano non poteva fare un francobollo per un Corpo militare, in questo caso italiano, e che quindi la risposta in questo senso doveva necessariamente essere negativa. C’è venuta, però, una buona idea - credo – in quel contesto, e ci è sembrato bello il riconoscimento di un lavoro straordinario, che la Guardia Costiera italiana sta facendo, in questo momento, tra tante polemiche e tante, enormi, difficoltà: il lavoro di salvare vite umane. Quindi, abbiamo voluto celebrare il Corpo della Guardia Costiera - ed è la prima volta che il Vaticano fa una cosa così particolare - con un folder filatelico che contiene il francobollo di Papa Francesco, dedicato al viaggio a Lampedusa, e un chiudilettera che hanno realizzato gli amici della Guardia Costiera, con una mano che ne salva un’altra tra i flutti del mare. Tutto il ricavato di questa ulteriore operazione filatelica verrà devoluto al Santo Padre per opere di carità nei confronti dei migranti.

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Giubileo: riunione Gruppo coordinamento Italia-Santa Sede

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Stamane, presso la Sala dei Paramenti del Palazzo Apostolico Vaticano, si è riunito il Gruppo di Coordinamento tra l’Italia e la Santa Sede in vista del prossimo Anno Santo Straordinario, il Giubileo della Misericordia, che inizierà l’8 dicembre.

Per parte italiana erano presenti, tra l’altro, Claudio De Vincenti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Ministri, Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, Massimo Smeriglio, vice-presidente della Giunta Regionale, Ignazio Marino, sindaco di Roma Capitale, e Maurizio Pucci, assessore ai Lavori Pubblici del medesimo Comune. Per la Santa Sede erano presenti, tra l’altro, mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, e mons. Graham Bell, sottosegretario del medesimo Pontificio Consiglio.

La riunione si è svolta in un clima di grande cordialità e reciproca collaborazione. Ambedue le parti sono convinte del grande valore spirituale e culturale che riveste il Giubileo quale occasione che ancora una volta vedrà Roma svolgere la sua vocazione di speciale meta di pellegrinaggio da parte di coloro che vi converranno da ogni parte del mondo.

I temi affrontati hanno permesso l’individuazione di alcuni obiettivi condivisi e da percorrere in sinergia tra le diverse istanze della Santa Sede, del Governo italiano, della Regione Lazio e del Comune di Roma Capitale, ciascuna secondo le sue specifiche competenze ed ambiti istituzionali. In modo particolare, si è trattato di questioni quali l’accoglienza dei pellegrini, i percorsi privilegiati per visitare i luoghi sacri, la sicurezza, l’assistenza sia logistica sia sanitaria, la gestione dei flussi di pellegrini anche attraverso il valido contributo del volontariato da mettere in campo accanto alle risorse ordinarie. Si è deciso di costituire anche un tavolo di natura più squisitamente tecnica per approfondire i temi di cui sopra, i cui lavori inizieranno in tempi brevi.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Causa di Cristo e del Vangelo: in prima pagina, un editoriale del direttore sul significato di Taizé a cento anni dalla nascita dei fondatore, Roger Schutz Marsauche, il 12 maggio 1915.

L'udienza al presidente cubano.

Chi fa il primo passo: a settemila bambini e ragazzi delle scuole italiane il Papa ricorda l'atteggiamento del vero costruttore di pace.

Segno di tenerezza: lettera del Pontefice nel bicentenario dell'incoronazione a Savona da parte di Pio VII di Nostra Signora di Misericordia.

Attenti alla routine: il ministero sacerdotale secondo il segretario di Stato.

Quell'abbraccio imprevisto all'Italia: dalle agende private del cardinale Loris Capovilla il racconto del conferimento del premio Balzan per la pace a Giovanni XXIII e dell'incontro con il presidente Antonio Segni.

Come Bartali alla conquista della maglia: Sergio Giuntini sui Papi e lo sport.

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Oggi in Primo Piano



Eurogruppo su Grecia che non ha presentato ancora le riforme

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Oggi Eurogruppo. In primo piano la questione greca. Non ci si aspetta più un accordo ma una dura dichiarazione dei Paesi dell’eurozona nei confronti di Atene che ancora non ha presentato il piano di riforme completo, sollecitato con forza dal 20 febbraio. I creditori internazionali sembra stiano preparando un altro 'ultimatum'. A fine giugno scade il programma di aiuti e, senza accordo, non si potranno assicurare i sette miliardi ancora disponibili per Atene, che entro luglio deve restituire alla Bce 6 miliardi e al Fmi 800 milioni di euro. Della situazione e delle varie posizioni Fausta Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri, docente dell’Università La Sapienza: 

R. - In realtà, le scadenze di questo negoziato sono state già abbondantemente superate. Si era stabilito a fine febbraio che al massimo nello spazio di un paio di mesi si sarebbe arrivati in qualche modo a definire questo che – ricordiamolo - è un negoziato per il breve termine, cioè per mettere la Grecia nella possibilità di restituire ciò che deve nei prossimi mesi, a partire già da maggio, sia al Fondo Monetario sia alla Banca Centrale Europea. Il vero negoziato, che avrebbe dovuto essere prima dell’estate, dovrebbe riguardare un riassetto complessivo del piano di aggiustamento della Grecia. Le scadenze sono state abbondantemente superate; purtroppo, sul tavolo non c’è ancora niente.

D. – La Grecia non ha presentato il piano di riforme richiesto…

R. – La Grecia non è riuscita a definire ancora, in termini precisi - quindi con numeri, con previsioni quantitative e non solo con vaghe promesse - quello che aveva assunto come impegno. E soprattutto restano fondamentalmente nodi su certi temi: su mercato del lavoro, riforma delle pensioni, della tassazione e delle imposte indirette non c’è neanche – per ora – la volontà di entrare. E poi, nessuno conosce lo stato della finanza pubblica greca e dunque nessuno può sapere effettivamente la gravità della situazione in queste settimane. Non sappiamo quanti giorni o settimane ancora lo Stato greco possa funzionare.

D. – Possiamo sintetizzare dicendo che la Grecia, che aveva “imbrogliato” sui conti, è stata comunque aiutata in virtù del principio di solidarietà, ma adesso Bruxelles chiede rassicurazioni per il futuro?

R. – La Grecia, come sappiamo, è stata il Paese che poi ha innescato la crisi dell’euro dell’Europa, perché appunto quello che allora fece fu una vera e propria manipolazione dei conti. Fece risultare un deficit pubblico del 3% quando invece si scoprì che era superiore al 13. Da allora, però, molta acqua è passata sotto i ponti e la Grecia è stata sottoposta a ben due salvataggi, è stato drasticamente ridotto il debito pubblico della Grecia … La Grecia e i greci hanno fatto sacrifici, nel senso che hanno poi drasticamente tagliato all’interno la spesa pubblica, hanno sopportato una grande recessione … Ora, che, dopo tutto questo, ci si ritrovi invece in una situazione come quella di oggi, naturalmente, lascia molto pensare. Allora il problema vero è che, a questo punto, il governo Tsipras, che ha condotto questo negoziato – è inutile negarlo – in maniera sbagliata, ha pensato di avere, in realtà, molte più carte di quante poi non se ne sia trovate in mano. Dall’altra lato, c’è stato da parte di alcuni Paesi un atteggiamento in qualche maniera non chiaro, ambiguo, perché alcuni dell’eurozona continuano a ritenere che in fondo, se finisse male, non sarebbe così male per l’eurogruppo, mentre altri hanno attivamente collaborato. In ogni caso, ora c’è un problema fondamentale, che è quello di evitare che il “gioco” si trasformi in quello che si chiama “un gioco a somma negativa”: cioè, alla fine perdono tutti. Ricordiamo che l’Eurogruppo, Bruxelles, ha chiesto alla Grecia di continuare con una politica di riforme perché questo va innanzitutto nell’interesse del popolo greco. Quindi, evitare di ritornare a una situazione come quella del 2008-2010 significa evitare che uno Stato spenda molto di più di quello che ha, precostituendo quindi le condizioni di un fallimento. Questo, naturalmente, non vuol dire che l’Eurogruppo può dettare delle condizioni come se il governo greco non esistesse; il governo greco deve avere dei suoi gradi di libertà ma all’interno di un accordo che comunque preveda queste riforme. Invece, il governo greco ha considerato come “dovuto” il fatto che gli si estendessero questi prestiti, indipendentemente dagli impegni che poi avrebbe preso. Questo è sbagliato. Tra l’altro,  naturalmente c’è da difendere il principio che la Grecia non può essere trattato troppo diversamente dagli altri Paesi: queste riforme, necessarie, le hanno fatte, prima del governo greco e prima della Grecia, Paesi come l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo; come sappiamo, Paesi come l’Italia e la Francia: l’Italia ha cominciato a farle … Allora, è in questo che i Paesi dell’Eurogruppo non possono arrivare a un compromesso di basso profilo, perché nel difendere queste riforme, queste strategie che anche la Grecia deve seguire, difende una linea che va nella direzione dell’interesse di tutti. E dico questo senza negare che in passato sono stati commessi pesanti errori, soprattutto in una chiave di austerità fine a se stessa, e quindi questo va emendato. Però, diciamolo chiaramente: oggi la Commissione Juncker ha un atteggiamento e una disponibilità molto diversa dalle propensioni della Commissione Barroso. Quindi, il terreno è molto diverso dal passato, e il governo Greco dovrebbe farne tesoro. Per ora, non lo ha fatto e non lo sta facendo.

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Nepal. Racconto di un volontario tra villaggi senza aiuti

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Dopo la terribile scossa che ha colpito il Nepal, la situazione resta molto grave. I problemi rimangono ancora molti, ma ciò che preoccupa di più sono il pericolo di epidemie come il colera e l’arrivo della stagione delle piogge. Il servizio di Federica Bertolucci

Il bilancio del terremoto che ha colpito il Nepal il 25 aprile scorso è salito a più di 8.000 vittime ma si teme che possa ulteriormente aumentare dal momento che alcuni villaggi sepolti dal sisma non sono stati ancora raggiunti dalle squadre di ricerca. Abbiamo raggiunto telefonicamente Shyam Chirakar, un volontario dell’associazione “Viva il Nepal” che ha portato soccorso proprio in un villaggio rimasto fino adesso senza aiuti:

R. – Questa mattina siamo stati in un villaggio che sta a dieci km da Kathmandou. Il villaggio si chiama Ramkot. La maggior parte delle case sono crollate. Uno di quel villaggio mi ha chiamato ieri, per quello siamo andati oggi. Abbiamo portato loro un po’ di cibo.

D. – Che cosa avete visto?

R. – Lì al campo ho visto che tante case sono crollate, tanta gente ancora ha paura. Tra poco qui in Nepal inizia la stagione dei monsoni e ci sarà un disastro... Tanta gente non ha più la casa e quindi dovrà vivere fuori. Noi non è che abbiamo fatto grandi cose: stiamo facendo piccole cose, però ho visto la gente sorridere.

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Centrafrica, accordo su disarmo. P. Gazzera: speriamo funzioni

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Firmato un accordo sul disarmo durante il Forum di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, dove da oltre due anni una violenta guerra civile vede contrapporsi numerosi gruppi armati. I combattenti dovranno consegnare le armi prima delle elezioni. Eugenio Murrali ha intervistato il missionario carmelitano padre Aurelio Gazzera

R. – Questo disarmo non è mai iniziato né seriamente né non seriamente. Quindi, questo dovrebbe sbloccare finalmente il programma di Ddr, che comprende il disarmo e il reinserimento dei combattenti. Questo è, dunque, da una parte un elemento importante, ma dall’altra speriamo non sia uno degli ennesimi accordi firmati e regolarmente non rispettati.

D. – Che prospettive si aprono dopo il Forum di Bangui?

R. – Ci sono degli elementi comunque interessanti. Ad esempio, la presa di coscienza del fatto che le elezioni non potranno avere luogo a luglio o ad agosto, come si pensava, perché niente è stato fatto per mettere in opera un censimento e una preparazione delle liste elettorali. Bisognerà vedere poi il tutto concretamente, perché all’interno del Forum molte persone, e soprattutto diverse autorità, non hanno ancora capito che affinché il Paese torni alla pace ci vuole un grosso cambiamento di mentalità, un grosso cambiamento di comportamento. Penso alla corruzione, ma anche a una amministrazione seria e alla debolezza del sistema scolastico.

D. – Cosa pensa della proposta di inserimento dei miliziani nelle forze repubblicane?

R. – Integrare questi nell’esercito e in un esercito che è già molto debole da tutti i punti di vista – prima di tutto dal punto di vista della formazione e dal punto di vista etico e morale – per me è molto pericoloso e non è un grande vantaggio.

D. – Riprenderà il dialogo fra religioni?

R. – Lo spero. Ancora ieri c’erano dei ragazzi, che erano a scuola da noi, dei musulmani che sono ora in Ciad,e mi scrivevano al riguardo: io scrivevo loro che noi speriamo. E’ chiaro che ci vorrà un grosso lavoro di preparazione da una parte e dall’altra. Però, è un elemento che si deve valutare anche perché, visto tutto quello che succede intorno al Centrafrica – in Sudan, in Nigeria e Camerun – con Boko Haram e altri tipi di estremismo, è veramente un elemento da tenere in conto.

D. – Cosa sta affrontando la popolazione?

R. – C’era già poco e quel poco è stato distrutto. I commerci sono pochi e molti erano in mano ai musulmani. Non c’è ancora stata una grande ripresa. E’ il commercio interno che crea più problemi. I musulmani non coltivavano e compravano i prodotti agricoli, i non musulmani spesso, almeno qui, erano invece contadini e quindi i musulmani trovavano chi poteva comprare. Adesso che mancano loro, il mercato è molto fiacco: c’è pochissima liquidità e anche l’accesso alla scuola e alla sanità diventa molto più difficile.

D. – Cosa possono fare la comunità internazionale e la Chiesa per andare incontro a questa situazione?

R. – La Chiesa è stata veramente l’unico elemento fermo in questo disordine. Quasi tutte le parrocchie si sono aperte ad accogliere cristiani, musulmani, e tutti coloro che avevano bisogno. Ancora attualmente nel nostro convento a Bangui ci sono quattromila profughi. La comunità internazionale, a livello economico, sta facendo molto perché ci sono circa 10 mila caschi blu e stanno ancora arrivando mezzi e camion. Quindi, da un punto di vista economico c’è molto impegno, ma poi concretamente – sul terreno – la percezione è tutta un’altra. Qui, a Bozoum stesso, ci sono stati in questi giorni problemi con alcuni caschi blu che avrebbero compiuto dei furti in un villaggio. Diciamo quindi che la comunità internazionale non è ancora arrivata ad avere una incisività.

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Yemen: si combatte a 24 ore dalla tregua. 70mila in fuga da Saada

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Nello Yemen, alla vigilia dell’entrata in vigore delle tregua umanitaria di cinque giorni, i ribelli sciiti houthi e le forze saudite continuano a combattere lungo la frontiera nord occidentale. Bersagliate dai bombardamenti della coalizione arabo-sunnita le province di Hajjah e Saada, dai cui sono in fuga circa 70mila civili, fra i quali migliaia di bambini; mentre i guerriglieri sciiti rivendicano l’abbattimento di un F-16 del Marocco, uno degli otto Paesi arabi che aderiscono al fronte guidato da Riad. Intanto il deposto presidente Saleh ha ufficialmente dichiarato il suo sostegno al movimento dei miliziani sciiti houthi. Sulle fragili prospettive della tregua Marco Guerra ha intervistato Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Ispi ed esperto dell’area: 

R. -  Dobbiamo considerare l’accordo firmato tra houthi e Arabia Saudita come un atto prettamente simbolico, nel senso che questa è la prima tipologia di intesa che interrompe in un certo senso il fronte di battaglia. Chiaramente l’ho definita “simbolica” perché dal punto di vista militare le azioni continuano. Non a caso, nel Nord, i raid diventano sempre più martellanti e il concetto di tregua quindi sembra poco calzante. Dal punto di vista prettamente politico-diplomatico certamente è un fattore di novità, essendo questo un primo cambiamento nella strategia finora adottata dall’Arabia Saudita e più in generale dalla coalizione arabo-sunnita nei confronti degli houthi. Se questa tregua umanitaria di cinque giorni dovesse continuare, sicuramente potrebbe essere uno strumento utile per portar avanti le trattative di questa diplomazia parallela.

D. - Parallelamente però ci sono anche le dichiarazioni di Saleh che si è rivolto agli houthi esortandoli a continuare a imbracciare le armi. E c’è anche un cargo iraniano in partenza, in direzione dello Yemen. Si palesa quindi un appoggio di Teheran e di Saleh ai ribelli?

R. - Dal punto di vista di Saleh la sua esortazione, la sua affermazione, non risulta nuova nel senso che in questo momento ogni attore impegnato nella guerra in Yemen gioca la sua carta nel tentativo di sopravvivere in uno scenario postumo. Saleh ha scelto di allearsi con gli houthi; lo ha fatto adesso alla luce del sole esortando questi ultimi a combattere e lo fa nel tentativo di riciclarsi - in un certo senso - nel caso in cui gli houthi dovessero vincere questa guerra. Però bisogna tener conto che solo Saleh e le sue milizie o solo gli houthi possono comunque ben poco nei confronti di un esercito molto forte come quello saudita nel caso in cui decidesse si attuare un’operazione terra. Come leggere le azioni iraniane? Anche l’Iran, come l’Arabia Saudita, gioca la sua partita nel contesto regionale. Lo Yemen è uno di quei teatri dove nessuno dei due attori principali del Golfo Persico – Arabia Saudita ed Iran appunt – vorrebbero perdere la loro carta dal punto di vista dell’influenza regionale. Quindi l’entrata in scena  - se si vuol dire in questa maniera ufficiale - dell’Iran diventa semplicemente un nuovo tassello nel puzzle yemenita.

D. - Intanto nel Nord proseguono i martellanti raid della coalizione a guida saudita. Che Paese è lo Yemen a quasi due mesi dall’intervento internazionale? Qual è la situazione sul terreno anche a livello umanitario?

R. - Dal punto di vista militare e umanitario la situazione è abbastanza confusa. Ci sono dati molto discordanti e quindi qualsiasi dato numerico deve essere preso relativamente con le pinze. Dopo 50 giorni di bombardamenti, secondo quanto riferito anche dalle Nazioni Unite e dal nuovo rappresentante speciale delle Nazioni Unite nello Yemen, ci sarebbero circa 1.400 morti, più di 6mila feriti e all’incirca 7,5 milioni di persone sull’orlo dell’insicurezza alimentare. Quindi la situazione umanitaria è davvero preoccupante, soprattutto alla luce dei combattimenti. Dal punto di vista militare invece la situazione è sempre più complessa perché, come sappiamo tutti, non si scontrano solo houthi e Arabia Saudita, o comunque coalizione arabo-sunnita, ma ci sono scontri tra ribelli e forze fedeli ad Hadi, tra qaedisti e forze più o meno vicine ad Hadi  ed ai ribelli houthi. Quindi è una situazione particolarmente complessa che non lascia grandi spiragli di pacificazione, almeno nel breve termine; si può anche affermare che nel medio periodo la situazione non dovrebbe migliorare, soprattutto se continueranno i raid martellanti e non ci sarà un’azione diplomatica forte da parte di tutte le forze impegnate nel conflitto civile yemenita.

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Vescovo Nuoro: in Sardegna troppe armi, assenti istituzioni e valori

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Vertice questa mattina a Nuoro tra magistratura e forze dell'ordine per fare il punto sulle indagini dell'omicidio di Gianluca Monni, lo studente 19enne assassinato venerdì mattina a Orune mentre attendeva il bus per recarsi a scuola. Sarebbbero tre i sospettati. Un omicidio che ha scosso tutto il nuorese, afferma il vescovo della città, mons. Mosè Marcia. Ascoltiamolo al microfono di Alessandro Guarasci

R. - La gente è più che consapevole di ciò che è avvenuto. Però il problema è che a questi giovani, noi adulti non stiamo dando nessun valore. Questa è la società che non sta dando valori; non stiamo dando loro il rispetto per la vita, le speranze per andare avanti. Non è una comunità disperata; è una comunità affranta, ma è anche una comunità che gioca con le armi: ci sono troppe armi in giro.

D. - Troppe armi... Lei intende soprattutto in quella zona della Sardegna?

R. - No, intendo un po’ ovunque. Ma in questa parte della Sardegna è ancora forte. Guardi che non sono armi che arrivano così, che si possono trovare nel mercato libero, qui si parla di armi pesanti che vengono usate solo in guerra. Nelle case, nelle abitazioni, nelle famiglie ci sono. Il fatto è questo: un diciannovenne ucciso da altri che non sono certamente anziani, sono altri giovani. Che senso hanno della vita se la giocano così, se la tolgono così?

D. - Lei vuole lanciare anche un appello affinché chi sa qualcosa parli?

R. - Certo, chi sa qualcosa parli! La questione è che è una società abbandonata da tutti, lasciata a se stessa e poi da questa società si pretende che si viva in un consorzio civile, ma se il consorzio civile l’ha abbandonata come pretende di farsi avanti e usare le logiche della società civile? 

D. - Quando lei parla di una società abbandonata da tutti, cosa intende? Lavoro? Sviluppo? Questo secondo lei incide in qualche modo?

R. - C’è questo e c’è l’abbandono del territorio da parte delle istituzioni: non sono presenti. Le istituzioni dove sono? E laddove ci sono stanno sparendo, se ne vanno anche da lì. Con la scusa che non ci sono soldi si abbandona. Io mi sono permesso, qualche mese fa, di dire al presidente della Regione: stiamo attenti, state attenti che se si ritirano le istituzioni, poi ritorna il concetto che la giustizia me la faccio da me. E non c’è più rispetto della persona, anche da parte delle istituzioni. Che cosa fa la Chiesa? Io, Chiesa, che cosa faccio per questi giovani? Non riesco a fare nulla, non riesco a fare granché tenendo presente che questi giovani poi nel territorio non ci sono, vanno a cercare lavoro fuori.

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Tumori ovarici, mese della prevenzione: 6 mila casi l'anno

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Maggio è il mese della sensibilizzazione del tumore ovarico, a partire dalla Giornata mondiale celebrata lo scorso 8 maggio e dedicata a una malattia che è tra le prime cinque cause di morte per donne tra i 50 e i 69 anni. Sono 37mila quelle malate in Italia e fino a 6.000 i nuovi casi ogni anno. Al Policlinico Gemelli di Roma nei giorni scorsi c'è stata l’inaugurazione di una nuovo spazio dedicato all’assistenza delle pazienti affette da questo “ tumore subdolo”, come lo definisce il prof. Giovanni Scambia, direttore del Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna del Gemelli. L’intervista è di Gabriella Ceraso

R. – E’ un tumore subdolo, perché è un tumore che non manifesta sintomi, quindi ce ne accorgiamo tardi. Poi, è un tumore che in alcuni casi ha un’evoluzione molto rapida purtroppo. Al momento del sospetto si fa l’ecografia, si può fare una risonanza, però non esiste una prevenzione.

D. – C’è questo studio, in Inghilterra, che prevede la misurazione del dosaggio nel sangue della "CA125", una particolare sostanza con un particolare valore. Lei è al corrente di questo? Che cosa ne pensa?

R. – Sono tentativi che vanno fatti, comportano anche sforzi organizzativi enormi, però attualmente nulla di tutto questo è utilizzabile nella pratica clinica.

D. – Il “Gemelli” apre un nuovo spazio per l’assistenza alle donne. In quale percentuale si riesce a venirne fuori?

R. – Le percentuali di guarigione ovviamente dipendono dallo stadio di malattia. Oggi, però, volevo che questo non fosse un segnale d’allarme, ma un segnale positivo: curiamo molto meglio queste pazienti, la qualità di vita è assai migliore. Non riusciamo ancora a guarirne la maggior parte, ma siamo su una strada che ci consente, oggi, di cronicizzare la malattia, di renderla molto più gestibile. E noi speriamo nei prossimi anni di curarla.

D. – Trattamenti individualizzati, cioè specifici per ogni donna, questo nel nuovo Centro del Gemelli: che cosa significa?

R. – Significa che sulla base delle caratteristiche molecolari di quel tumore, esistono oggi farmaci che possono essere abbastanza specifici. Infatti, quello che noi oggi sappiamo con sicurezza è che all’interno dei tumori ovarici c’è una differenza enorme tra un paziente e un altro.

D. – Cosa suggerire alle donne?

R. – Sopra ai 30 anni, visita ginecologica, ecografia pelvica, controllo annuale di routine e poi, sicuramente, indagare la storia familiare, e se c’è una ricorrenza importante di tumori ovarici o mammari rivolgersi ad ambulatori per la familiarità che esistono in tutte le strutture principali e fare dei test genetici.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi d'Irlanda: riflettere su conseguenze referendum su nozze gay

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Vescovi irlandesi in prima linea domenica scorsa per chiedere ai loro concittadini di riflettere molto attentamente sull’impatto che il sì al referendum del 22 maggio può avere sulla vita della famiglia in Irlanda. I vescovi - riferisce l'agenzia Sir - hanno più volte espresso la loro opinione sulla possibilità di aprire la Costituzione irlandese ai matrimoni gay ma finora lo avevano fatto collegialmente o attraverso le dichiarazioni del primate d’Irlanda, mons. Eamon Martin. Domenica scorsa sono scesi in campo personalmente inviando ai loro concittadini lettere pastorali dedicate al Referendum. 

Ridefinire il matrimonio ha importanti implicazioni
“È stato giustamente fatto notare - scrive il vescovo di Limerick Brendan Leahy - che ciò che decideremo nelle urne il 22 maggio avrà un profondo impatto sulla vita pubblica e la vita personale dei cittadini del nostro Paese. Ridefinire il matrimonio ha importanti implicazioni. È troppo presto per presumere che conosciamo la loro piena portata. L’esperienza di quegli Stati che hanno introdotto cambiamenti simili è così recente che non possiamo conoscere realmente l’intera gamma degli sviluppi e delle sfide che avremmo con una radicale ridefinizione del matrimonio. È saggio fare un passo così importante sulla base di così poche evidenze?”. 

Uomo e donna si uniscono per portare nuova cita nel mondo
Il vescovo di Waterford Phonsie Culliman punta l’attenzione sul concetto di uguaglianza, rivendicato dai fautori del Referendum. “Il messaggio con cui siamo bombardati, è che siamo tutti uguali. Questo è vero - siamo tutti uguali nella dignità, ma non siamo tutti gli stessi. Uomini e donne sono diversi. I bambini sono diversi dagli adulti. L’unione di un uomo e una donna è diversa da qualsiasi tipo di rapporto tra due uomini o due donne. Un uomo e una donna si uniscono nel portare nuova vita nel mondo e ogni bambino ha il diritto ad avere un padre e una madre (siano essi naturali o adottivi)”. 

“Complementarietà” uomo-donna fondamentale per la crescita e l’educazione dei bambini
I vescovi garantiscono pieno rispetto per le persone gay e lesbiche riconoscendo quanto si siano sentite a lungo discriminate in Irlanda, come altrove”, scrive il vescovo John Kirby di Clonfert, che aggiunge: “Ci dovrebbe essere tolleranza zero per qualsiasi forma di condotta e intimidazioni di questo tipo”. Tuttavia, occorre ribadire che “le relazioni omosessuali sono sostanzialmente diverse da quelle tra persone di sesso opposto”, con una “complementarietà” uomo-donna fondamentale per la crescita e l’educazione dei bambini.

C’era bisogno di classificare le unioni gay come matrimonio? 
​Il vescovo Michael Neary di Tuam nell'omelia di domenica, ha argomentato: “Nonostante quello che siamo portati a credere, questo referendum non è sulle relazioni tra persone dello stesso sesso o di uguaglianza, ma sulla famiglia”. Il vescovo ha ricordato come la legge irlandese prevede già le unioni civili che “danno alle coppie omosessuali gli stessi diritti delle coppie eterosessuali”. E ha chiesto: che bisogno c’era di classificarle come matrimonio? (R.P.)

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Incontro di vescovi per le relazioni con i musulmani in Europa

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Esiste una radicalizzazione dei musulmani in Europa? E come questa questione viene affrontata in seno alle comunità musulmane? Come è possibile promuovere una cultura del dialogo tra cristiani e musulmani? Insomma quali sono i dinamismi culturali e religiosi dei musulmani del continente? Sono queste alcune delle questioni su cui si confronteranno i vescovi e delegati per le relazioni con i musulmani delle Conferenze episcopali d’Europa.

Alla guida dei vescovi il card. Jean-Pierre Ricard
Nell’abbazia svizzera di San Maurizio, il più antico monastero d’occidente ancora in attività che vanta una presenza ininterrotta dal 515, una quarantina di partecipanti esperti nel dialogo con i musulmani in Europa saranno guidati nei loro lavori dal card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e già vice-presidente Ccee (2006-2011) e vedrà la partecipazione del card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. L’incontro promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), si svolge nel cantone vallese su invito della Conferenza episcopale Svizzera e del suo segretario generale, dr. Erwin Tanner.

La visione del dialogo con i musulmani nei rispettivi Paesi
Tra gli esperti che animeranno la riflessione si ricordano il prof. Olivier Roy dell’Istituto universitario europeo di Firenze, il dr. Omero Marongiu-Perria, sociologo delle religioni e membro del Cismoc (Centro Interdisciplinare di Studi sull’Islam nel Mondo Occidentale – Università di Lovanio, Belgio); i vescovi Michel Dubost (Francia), Juan Antonio Martínez Camino (Spagna) e Charles Morerod (Svizzera) che porteranno la visione del dialogo con i musulmani nei loro rispettivi Paesi. La riflessione sarà poi completata con una serie di esperienze pratiche del dialogo quale quella di padre Christophe Roucou sull’esperienza francese del dialogo tra sacerdoti e imam, quella di Helmut Wiesmann sull’esperienza tedesca della cooperazione nelle opere di solidarietà ed infine l’esperienza del vescovo Pero Sudar nel campo della formazione e della scuola a Sarajevo (Bosnia-Erzegovina).

Le conclusioni in un dibattito libero
I lavori si concluderanno nella mattinata di venerdì 15 maggio con un momento di dibattito libero attorno ai risultati di un questionario su alcuni aspetti sensibili del dialogo nei diversi Paesi che saranno presentati da don Andrea Pacini, coordinatore per il Ccee di questa rete e segretario della commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della conferenza episcopale regionale Piemonte-Valle d’Aosta, e con le successive conclusioni del card. Jean-Pierre Ricard. (R.P.)

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Vescovi Ghana condannano la persecuzione dei cristiani

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Porre fine alla persecuzione dei cristiani, in Africa e nel resto del mondo, e tutelare i diritti dei migranti: sono questi i punti principali della dichiarazione congiunta diffusa dalla Conferenza episcopale del Ghana e dal Consiglio cristiano del Paese. Il documento è stato pubblicato al termine dell’Incontro annuale tra i due organismi svoltosi ad Accra e durante il quale si è riflettuto sulle questioni che destano particolare preoccupazione nella nazione.

Forte condanna all’atrocità delle persecuzioni contro i cristiani
Riguardo all’oppressione dei cristiani nel mondo, i vescovi cattolici e gli esponenti cristiani esprimono “rammarico e dolore per la sistematica e persistente persecuzione ed uccisione dei cristiani nel continente africano ed in altre parti del mondo, a causa di gruppi terroristici islamici”. Di qui, “la forte condanna di tali atrocità” e l’appello a tutti i fedeli affinché “preghino per la fine di tali insensate uccisioni”. Allo stesso tempo, cattolici e cristiani esprimono apprezzamento per l’esortazione lanciata dall’Imam capo del Ghana, Usumanu Nuhu Sharubutu, alle comunità islamiche locali affinché vigilino contro l’infiltrazione di ideologie estremiste e di gruppi come Boko Haram ed Al Qaida. “Come ghanesi – si legge nella dichiarazione congiunta – dobbiamo continuare a vivere in pace ed in armonia gli uni con gli altri, astenendoci da ogni gesto o atteggiamento che possa portare a conflitti etnici, religiosi o politici”.

Tutelare migranti e promuovere politiche ed economie efficaci in Africa
Quindi, gli esponenti cattolici e cristiani esprimono la loro preoccupazione per “i tanti migranti africani che muoiono nei deserti del continente e nel Mar Mediterraneo” e chiedono “a tutti gli Stati ed ai governi africani di avviare misure efficaci per fermare” simili tragedie. Allo stesso tempo, le istituzioni locali vengono esortate “a fare tutto il possibile per creare le necessarie opportunità politiche, socio-economiche, ambientali ed occupazionali” per contrastare “la disoccupazione giovanile dilagante”. E gli stessi giovani africani sono incoraggiati a “restare nei loro Paesi di origine ed a lavorare duramente per guadagnarsi il pane quotidiano”, senza pensare che “l’Europa ed altre nazioni al di fuori dell’Africa garantiscano, automaticamente, tutti i comfort”.

Non dimenticare contributo della Chiesa al settore dell’educazione
Un altro punto focale della dichiarazione congiunta riguarda la collaborazione tra Stato e Chiesa nel settore dell’educazione: al riguardo, i firmatari lamentano la mancanza di un documento ufficiale che regoli tale collaborazione, richiamando il grande lavoro portato avanti, nel corso degli anni, da istituti ed enti religiosi, i quali hanno garantito “una formazione morale integrale agli studenti”. Ignorare, da parte dello Stato, un simile contributo alla formazione del Paese è “ingiusto e riprovevole” ed è urgente, quindi, firmare un documento che ne riconosca l’importanza. 

Allarme per la grave crisi economica del Paese
Ampia parte del documento, poi, è dedicata alla precaria situazione economica del Ghana: cattolici e cristiani si dicono preoccupati per la debolezza del sistema assicurativo sanitario, esprimono dubbi sulla sua effettiva sostenibilità, lamentano il collasso delle strutture e chiedono al governo più trasparenza sull’argomento ed un maggior coinvolgimento di tutte le parti interessate. “Le istituzioni cattoliche e cristiane – ricordano inoltre i firmatari – sono state pioniere nel campo dell’assicurazione sanitaria ben prima che essa venisse adottata come politica nazionale”. A destare l’allarme, poi, è l’alto livello di indebitamento del Ghana, con la conseguente “instabilità e precarietà dell’economia nazionale” e la “chiusura sistematica e graduale delle industrie” locali. “Nonostante le promesse del governo – si legge nel testo congiunto – per quasi tre anni non abbiamo visto alcun miglioramento; per questo, condanniamo decisamente la mancanza di soluzioni pratiche all’attuale crisi economica”, perché tale carenza “non fa alcun bene al Paese”.

Uscire dallo stallo della riforma costituzionale
In ambito legislativo, invece, cattolici e cristiani auspicano “l’introduzione di normative appropriate per affrontare le sfide dello sfruttamento petrolifero e della produzione”, ricordando che “il Ghana ed i suoi cittadini devono esserne i principali beneficiari”. Nuove soluzioni vengono richieste anche per il processo di riforma della Costituzione, attualmente in fase di stallo: in particolare, i vescovi e gli altri esponenti cristiani lamentano scarse informazioni, da parte delle istituzioni, sulla situazione in atto e chiedono, quindi, maggiore trasparenza affinché tutto il Paese possa partecipare attivamente a tale percorso.

Preghiera per la pace e l’unità nazionale
Un ultimo paragrafo viene dedicato alle elezioni generali, in programma in Ghana nel 2016: la dichiarazione congiunta lancia un appello alla Commissione elettorale affinché si adoperi, al più presto, per coinvolgere tutte le parti in causa nel cammino di preparazione alle consultazioni, avviano un processo di riforma elettorale e creando un registro dei votanti, insieme al numero di circoscrizioni necessarie. “Il 2016 sembra lontano, ma non lo è – prosegue il documento – Perciò, esortiamo la Commissione elettorale ad agire velocemente”. Infine, la dichiarazione congiunta si conclude con una preghiera al Signore affinché doni al Ghana “pace, amore e comunione”. (I.P.)

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Migliaia di profughi rohingya sbarcano in Sumatra e Malaysia

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Un altro sbarco questa mattina di almeno 1.800 boat people in fuga dal Myanmar e dal Bangladesh, dopo i quasi 600 individuati nella notte tra sabato e domenica e sbarcati ieri sulle coste della provincia di Aceh. Le imbarcazioni sui cui stavano viaggiando da almeno settimane dopo avere lasciato le coste thailandesi, stavano andando alla deriva nel mare presso le coste nord-occidentali di Sumatra prima di essere localizzate e scortate agli approdi. Negli ultimi casi, quattro barconi con un migliaio a bordo, portate a arenarsi sui bassi fondali prospicienti l’isola malese di Langkawi. Per le autorità indonesiane, che si trovano davanti a un flusso crescente di fuggiaschi, si tratterebbe di rohingya, popolazione musulmana in maggioranza stanziata in Myanmar ma ai quali il governo birmano non riconosce la cittadinanza.

Difficoltà per il recupero dei profughi
Come descritto da Steve Hamilton, vice-responsabile della sede indonesiana dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, i 573 profughi che sono sbarcati nella prima mattinata di ieri si trovavano su due imbarcazioni separate per gli uomini e per le donne. Alcuni hanno avuto bisogno di cure mediche, tutti erano stremati dalla traversata e dalla mancanza di cibo. Per essi, e per i nuovi arrivati di oggi, l’assistenza risulta difficoltosa, sia per le difficoltà a raggiungere con aiuti adeguati l’area dello sbarco, sia perché nessuno tra i profughi parla indonesiano o inglese. Si prevedono nuovi sbarchi, già forse in giornata e al pattugliamento del mare tra Sumatra e Malesia partecipano insieme mezzi militari e pescherecci.

Profughi in mano a bande di trafficanti di esseri umani
La situazione dei fuggiaschi rohingya, in parte provenienti dai campi profughi in Bangladesh dove vivono in condizioni disperate, sta facendosi sempre più difficile. Non solo il loro esodo, sollecitato dalle violenze subite in Myanmar nell’ultimo triennio, è ora in mano a bande di trafficanti di esseri umani, ma la crescente attenzione internazionale – dopo la scoperta di fosse comuni in Thailandia presso il confine malese e di una realtà che va oltre quanto prima conosciuto o percepito di violenza, sfruttamento e morte – li mette ora a rischio di ritorsioni e di abbandono.

Almeno 7mila profughi sono in balia del mare
​Sono almeno 100.000 su forse un milione complessivi, i rohingya che hanno tentato la fuga via mare per raggiungere la musulmana Malesia e la sempre musulmana Indonesia, spesso con la prospettiva di tentare l’approdo nella lontana Australia. Al momento, gli osservatori del loro esodo stimano che tra 7.000 e 8.000 si trovino in balia del mare, parcheggiati dai trafficanti negli Stretti di Malacca in attesa che l’attenzione sulla loro sorte cali. (C.O.)

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Portogallo: Settimana della vita contro aborto ed eutanasia

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“Vita con dignità, opzione preferenziale per i poveri”: si intitola così la Settimana della Vita che si è aperta ieri in Portogallo, su indizione della Conferenza episcopale locale. L’iniziativa si concluderà il 17 maggio, informano i vescovi, e vuole “richiamare la necessità di combattere l’aborto e l’eutanasia” e di porre maggiore attenzione a situazioni di povertà, di malattia o alle famiglie in difficoltà. “Oggi – dice Luis Reis Lopes, responsabile del Dipartimento nazionale della Pastorale familiare – vediamo che la dignità umana viene messa in discussione. Quindi, in linea con la dottrina della Chiesa, dobbiamo avere uno sguardo speciale per le situazioni di povertà, di malattia, di bisogno ed anche per i bambini, affinché si valorizzi una cultura della vita e si prevenga una cultura della morte”.

Dare speranza alle persone in difficoltà
“Viviamo in tempi molto difficili – continua Luis Reis Lopes – in cui la gente ha bisogno di sentire una parola di speranza. Per questo, dobbiamo essere in sintonia con il desiderio del Papa di ‘andare alle periferie’ esistenziali e materiali degli uomini”. Molte persone, infatti, continua il responsabile della Pastorale familiare, “hanno bisogno di attenzione e di vicinanza”. Nel corso della Settimana della vita, saranno avviate molte iniziative nelle diocesi portoghesi, tutte ispirate da un apposito vademecum realizzato dalla Conferenza episcopale, in cui si riportano spunti di riflessione, preghiere e meditazioni sul tema della difesa della vita. Da ricordare, inoltre, che il 15 maggio ricorre anche la Giornata internazionale della famiglia, indetta dall’Onu, un evento che offrirà ulteriori occasioni di approfondimento dell’argomento.

L’auspicio di una società ed un’economia attente alla famiglia
Auspicando anche il coinvolgimento dei laici, Lopes ribadisce che la Settimana della vita “non ha solo un carattere celebrativo, ma rappresenta anche un impegno nella risoluzione di problematiche”: di qui, l’appello per “una società ed un’economia che siano più favorevoli alla famiglia” e che pongano fine alla precarietà lavorativa, così da permettere ai giovani di sposarsi e di “costruire famiglie numerose”.

Aborto, attentato contro la vita
Evidenziando, infine, il dramma delle donne che subiscono pressioni, sul lavoro, affinché non rimangano incinte, Lopes ribadisce che “l’aborto è un attentato contro la vita; per questo, essa va difesa in tutte le sue forme”. Allo stesso tempo, “bisogna dare una maggiore dignità alla famiglia, così che venga rispettata e valorizzata e sia in grado di combattere ogni forma di violenza esistente nella società”. (I.P.)

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Perù: appello alla pace dei vescovi per scontri a Islay

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Scontri accesi in Perù, nella provincia di Islay: da diverso tempo, gli abitanti della zona stanno protestando contro il progetto minerario “Tía María”, destinato all’estrazione di oro e altri metalli. Ma l’ipotesi di una miniera a cielo aperto desta preoccupazione per l’ecosistema della regione, in particolare per la salvaguardia delle falde acquifere e della qualità dell’aria. La protesta degli abitanti ha provocato, finora, alcune vittime e diversi feriti in scontri con la polizia.

Necessario agire subito in difesa della vita e della giustizia
Di fronte a questa drammatica situazione, la Conferenza episcopale del Perù ha diffuso una nota ufficiale in cui si chiede “una profonda riflessione che porti ad un’azione tempestiva in difesa della vita, della costruzione della pace e della giustizia”. “Siamo consapevoli dell’importanza di un progetto come quello di Tía María – scrivono i vescovi – perché esso implica investimenti di alto livello per l’economia della regione e del Paese, con la conseguente creazione di posti di lavoro, importanti opere di infrastrutture, insieme al contributo che darà alle risorse pubbliche e quindi in favore della qualità della vita”.

Salvaguardare il Creato per uno sviluppo sostenibile e solidale
Tuttavia, la Chiesa di Lima mostra preoccupazione per le popolazioni della provincia di Islay dedite, per lo più, al settore agricolo: “L’agricoltura va protetta – spiegano i presuli peruviani – perché aiuta l’alimentazione, crea posti di lavoro, migliora l’economia delle famiglie, della regione e del Paese”. E nella valle di fiume Tambo, per favorire le coltivazioni, “è necessario tutelare le acque, sia di superficie che del sottosuolo, insieme alla qualità dell’aria e della terra, tutti elementi essenziali per raggiungere i necessari livelli di produttività”. “Il nostro sguardo – continua la nota episcopale – deve includere il bene comune, la salvaguardia del Creato, uno sviluppo che sia davvero umano, sostenibile e solidale”.

Mai più violenze! Si torni al dialogo!
Di qui, il rammarico “profondo” che i vescovi peruviani esprimono riguardo agli episodi di violenza  verificatisi, in particolare per la morte di alcune persone. “Mai più vittime! – è l’accorato appello dei presuli – Mai più violenza! Chiediamo alle forze dell’ordine ed alla popolazione civile di ribadire il rispetto dei diritti umani e della pace”, perché “è assolutamente necessario ritornare al dialogo, con la buona volontà di tutte le parti in causa che devono partecipare al ristabilimento della pace”.

Ricostruire la pace nel Paese
​Infine, la Chiesa di Lima manifesta la sua volontà di “approvare e sostenere le iniziative per ristabilire il dialogo e la costruzione della pace” nel Paese e chiede l’intercessione di Maria, Regina della pace, affinché aiuti la riconciliazione nazionale del Perù. (I.P.)

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Papua N.G.: Lettera dei vescovi per i “Giochi del Pacifico”

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“La Chiesa riconosce lo sport come uno degli strumenti delle moderne società che aiuta le persone a realizzare il loro potenziale umano, costruisce i legami di comunità” e promuove valori come “fiducia reciproca e responsabilità”: è quanto affermano i vescovi della Conferenza di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone in una Lettera pastorale diffusa in vista della XV edizione dei Giochi del Pacifico, che si terranno a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, dal 4 al 18 luglio 2015.

Lo sport allontana da attività antisociali come violenza e criminalità
Nel testo della Lettera, inviato all'agenzia Fides, si afferma: “Lo sport contribuisce alla salute e al benessere fisico e mentale. Insegna alle persone, in particolare ai giovani, competenze e capacità. Quando i giovani vengono coinvolti nella pratica sportiva, dedicano energie allo spirito di squadra e vivono insieme in un ambiente sano, dimenticando attività antisociali come la violenza e la criminalità. Lo sport – proseguono i vescovi – unisce le persone in modi nuovi: genitori, insegnanti e volontari”. Inoltre la pratica sportiva tocca senza discriminazione donne e uomini, si nota. E speciali competizioni sportive “sono aperte ad atleti disabili”: questo è un altro segno molto positivo.

Vescovi condannano ogni forma di violenza, sul campo e sugli spalti
​Lo sport, afferma la Lettera - firmata dal vescovo Arnold Orowae, presidente della Conferenza episcopale - da un lato “apre al mondo esterno”, in quanto si vedono in gara atleti di tutte le nazionalità, dall’altro aumenta “l’orgoglio nazionale”, quando un atleta del proprio paese vince una competizione. Il testo prosegue: “Quando tali interazioni offrono divertimento, competitività, abilità e definizione degli obiettivi, vi è un ambiente fertile per lo sviluppo personale. Lo sport forma il carattere. Insegna la disciplina e il gioco secondo il rispetto delle regole. Promuove valori come equità, fermezza e coraggio morale: è un meraviglioso spazio in cui aiutare i giovani a crescere”. Scongiurando e condannando ogni forma di violenza, sul campo e sugli spalti, i vescovi concludono con le parole di san Paolo ai Corinzi (1 Cor 9,25): “Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; noi, una incorruttibile”. (P.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 131

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.