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Sommario del 12/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Caritas. Card. Maradiaga: da Papa approccio etico su Creato

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"Una sola famiglia umana, custodire il creato". È il tema della 20.ma Assemblea generale di Caritas Internationalis. In occasione dell’apertura dei lavori, da oggi fino a domenica, Papa Francesco celebra nel pomeriggio, alle 17.30, la Messa nella Basilica Vaticana. Stamani, presso la Sala Stampa della Santa Sede, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione dell’evento che riunisce le Caritas di tutto il mondo. Sono intervenuti il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, Michel Roy, segretario generale dell’organizzazione, il teologo padre Gustavo Gutiérrez e l’esperto di agricoltura di Caritas India, Haridas Varikottil. Il servizio di Giada Aquilino

Non solo una riunione per definire piani e rafforzare vincoli, ma un’opportunità per “rispondere all'invito di Papa Francesco a creare una Chiesa povera e per i poveri”. Questo il senso dell’Assemblea generale di Caritas Internationalis - che si apre oggi con la Messa del Pontefice in San Pietr - nelle parole del suo presidente, il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga. D’altra parte - ha proseguito il porporato che termina in questi giorni due mandati quadriennali al vertice della federazione che riunisce oltre 160 organizzazioni nel mondo e che eleggerà a breve un nuovo presidente - il tema dedicato a "Una sola famiglia umana, custodire il creato" è legato al fatto che il 2015 è un anno cruciale: il vertice sui cambiamenti climatici a Parigi, il rilancio degli Obiettivi del millennio per lo sviluppo e soprattutto la prossima Enciclica di Papa Francesco dedicata all'ecologia:

“Sappiamo certamente che l’approccio del Santo Padre non è un approccio scientifico. Faccio una parentesi: di recente sono stato negli Stati Uniti e ho già sentito critiche all’Enciclica, senza che sia stata pubblicata. L’ideologia, infatti, specialmente riguardo all’ambiente, alla Creazione, è molto fortemente legata a una visione del capitalismo che non vuole rinunciare a danneggiare l’ambiente per non rinunciare ai guadagni. E ho sentito critiche che veramente non hanno senso. Come si può criticare una cosa che non si conosce? C’è, però, tristemente questo atteggiamento in tante persone. Credo che l’approccio del Santo Padre sarà basicamente etico, dal punto di vista dell’etica, che poi è il nostro. C'è tanta discussione sul riscaldamento della terra, "è scientifico, non è scientifico". Ma basta il senso comune. Ci farà riflettere. Penso che questo non sarà un documento in più e che sarà molto importante che tutti noi lo si prenda a cuore. A proposito della globalizzazione dell’indifferenza di cui ha parlato il Papa, sarebbe tragico che - di fronte a problemi come questi - i cristiani rimanessero indifferenti”.

La questione, ha proseguito, non è soltanto quella del “riscaldamento del pianeta, ma anche avere giustizia per il Creato, difendere la dignità umana e sostenere i popoli per proteggere la Creazione”. “Non abbassiamo la guardia - ha poi esortato - sulle povertà spirituali” nelle società contemporanee. Lo sguardo, ai lavori dell’Assemblea, sarà dunque rivolto al “mondo che soffre”: è in corso - ha ricordato - “una guerra terribile, con molta indifferenza”, assistiamo a “persecuzione e morte dei cristiani”, intorno a noi persiste la fame. Quindi, non si possono dimenticare il Medio Oriente, la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan, l'Ucraina e, non ultimo, il Nepal scosso nelle ultime ore da un altro terribile terremoto. A guidarci nell’impegno a “proseguire uniti e conservare i poveri al centro dei nostri cuori”, ha quindi aggiunto, sicuramente quella luce “nel firmamento della Chiesa” che è mons. Oscar Arnulfo Romero: “In America Latina - ha riferito il cardinale honduregno - siamo davvero “riconoscenti” per la sua prossima beatificazione.

Il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy, ha annunciato che la federazione acquista un nuovo membro, il 165.mo: il Sud Sudan. Quindi, ha citato le altre emergenze del pianeta. Ad esempio, i 21 tifoni che hanno investito le Filippine in un anno. Tra le priorità dell’assemblea Caritas, ne ha messa in luce una in particolare:

“The first orientation is to have the Church…
Il primo orientamento è quello che la Chiesa sia una Chiesa povera per i poveri. Questo tema, in qualche modo, non è nuovo, ma è venuto molto avanti grazie a Papa Francesco. La Caritas è la Chiesa e nella Chiesa ha un ruolo speciale da giocare, per far sì che l’intera Chiesa sia coinvolta con i poveri”.

Il teologo peruviano, padre Gustavo Gutierrez, ha sottolineato che oggi ancora non siamo nell'epoca della “ post-povertà” e ha spiegato che la teologia “è una riflessione sulla pratica della carità, sulla compassione, sulla misericordia, sulla giustizia. Vista in questo modo - ha chiarito - può aiutare chi è impegnato concretamente nella pratica della giustizia e della carità”. A proposito della “teologia della liberazione” ha precisato:

“Credo che la nozione centrale della teologia della liberazione sia quella che potremmo chiamare ‘opzione preferenziale per i poveri’. Questo è il 90% della teologia della liberazione. Credo sia più chiaro adesso, grazie alla testimonianza di Papa Francesco. Ma nella questione non è tanto importante la ‘teoria della liberazione’, ma vedere l'importanza dei poveri adesso nella Chiesa e, credo, il fatto di andare di nuovo a cercare l’insegnamento dei Vangeli. È veramente ciò che conta, che è importante: questo andare verso le periferie. E questo è un tempo opportuno”.

Un esempio concreto dell’impegno Caritas è venuto da Haridas Varikottil, a proposito dell’agricoltura in India:

“One priority topic is…
Uno dei temi prioritari è la fame e la campagna ‘One human family, food for all’, cominciata nel dicembre 2013, ha l’obiettivo di radunare tutti i partner ad un solo scopo: ridurre la fame. Non fornendo cibo alle persone, ma promuovendo agricoltura, aziende agricole familiari, aziende agricole integrate. Cosa facciamo? Insegniamo alle persone come promuovere un’agricoltura sostenibile. Insegniamo loro anche come conservare, proteggere, gestire le risorse. E li guidiamo pure a mobilitare le risorse del governo”.

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Nomina episcopale in Argentina

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In Argentina, Papa Francesco ha nominato mons. Ariel Edgardo Torrado Mosconi, vescovo coadiutore della diocesi di Nueve de Julio, traferendolo dall’incarico di ausiliare di Santiago del Estero. Il presule è nato il 18 gennaio 1961 nella località 25 de Mayo, provincia di Buenos Aires. Nel 1983, dopo aver frequentato il corso di Ingegneria con specializzazione in Agronomia, entrò nel Seminario di Buenos Aires. Ivi ottenne il baccelierato in Teologia e, in seguito, conseguì la Licenza in Teologia morale.  Ordinato presbitero il 17 novembre del 1990, fu prima vicario parrocchiale e nel 1992 divenne “prefetto” e poi vice-rettore del Seminario di Buenos Aires, sino al 1999. Lo stesso anno fu nominato parroco di San Bernardo e nell’anno 2005 è stato nominato parroco di San Isidro Labrador, membro del Consiglio presbiterale e del Collegio dei Consultori, Segretario esecutivo della Vicaria di educazione, della Commissione episcopale di Liturgia e Assessore dell’Istituto di Cultura dell’Università Cattolica Argentina. Il 22 novembre 2008 è stato nominato Vescovo titolare di Vico di Pacato ed Ausiliare della diocesi di Santiago del Estero, ricevendo l’ordinazione episcopale il 13 dicembre successivo. Nella Conferenza Episcopale Argentina è membro della Commissione Episcopale dei Ministeri e della Liturgia.

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Papa, tweet: sopportiamo difetti di altri come Gesù i nostri peccati

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Perché ci risulta tanto difficile sopportare i difetti degli altri? Dimentichiamo che Gesù ha sopportato tutti i nostri peccati?”.

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Card. Mamberti: pace, impegno centrale per diplomazia S. Sede

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Il contributo della diplomazia nel mantenimento della pace a partire dalle aree oggi più problematiche, come il Mediterraneo. Se ne è parlato a Roma in occasione della presentazione del 10.mo Master universitario dell’Università Lumsa, sulle relazioni internazionali. Al fianco degli Stati anche la diplomazia della Santa Sede, che ha come obiettivo primario la pace, la quale, come ripete Papa Francesco, senza dialogo, rispetto dei diritti umani e carità non ha futuro. Tra gli interventi anche quello del cardinale Dominique Mamberti,  prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, per anni responsabile dei Rapporti con gli Stati della Santa Sede. Gabriella Ceraso lo ha intervistato: 

R. – La diplomazia vaticana ha una lunga storia al servizio della pace e questo, del resto, è conforme al mandato di Cristo: “Beati gli operatori di pace”. Ma ha trovato lungo i secoli diversi modi di attuazione e oggi vediamo, nell’attualità, che il contributo è riconosciuto ed evidente con Papa Francesco.

D. – Innanzitutto l’uomo per la diplomazia vaticana, più che la politica e i suoi equilibri…

R. – Sì, assolutamente la difesa della dignità della persona umana è proprio un perno per non dire il perno della diplomazia vaticana e, naturalmente, la ricerca e la costruzione del bene comune.

D. – Si può considerare un fallimento della diplomazia questa ipotesi europea di un’azione militare in Libia?

R. – La diplomazia deve esplorare tutti i modi per far rispettare la dignità della persona, naturalmente nel rispetto del diritto internazionale e con l’obiettivo superiore sempre di mantenere la pace. Infatti, tante volte il Santo Padre l’ha detto: con la guerra non si va da nessuna parte.

D. – L’apertura americana a Cuba. Possiamo dire che questo sia l’ultimo positivo traguardo e successo, anche della diplomazia vaticana: cosa pensa delle prospettive che si aprono ora?

R. – I rappresentanti diplomatici della Santa Sede sono sempre stati presenti e penso si sia costruita lungo gli anni una relazione di fiducia. Ma penso, e tutti l’hanno sottolineato, che l’impegno personale del Santo Padre sia stato molto importante e dobbiamo essergli grati.

D. – Il Papa parla spesso di una terza guerra mondiale a pezzi: quali sono i fronti che preoccupano di più la diplomazia vaticana?

R. – Il Medio Oriente è per noi una piaga aperta in particolare per la situazione dei cristiani e per i rischi che questa situazione fa correre alla stabilità non solo della regione, ma di tutto il mondo.

D. – Lei ha detto che la tutela della libertà religiosa insieme all’educazione e alla carità sono le linee guida della diplomazia vaticana: di fronte all’avanzata dell’estremismo islamico, che nulla rispetta della libertà religiosa, c’è ancora spazio per il dialogo in un’azione diplomatica?

R. – E’ un po’ astratto dire “un dialogo con l’islam”. Quello che bisogna fare è un dialogo con gli esponenti dell’islam, i credenti dell’islam, e certamente anche, per quanto è possibile, sviluppare azioni comuni con loro, in particolare a favore della pace, dello sviluppo, dell’educazione.

La decima edizione del Master universitario di secondo livello della Lumsa porterà nei prossimi anni la foormazione di giovani "Esperti in politica e in relazioni internazionali". Con quali priorità in un contesto di un Ateneo cattolico? Gabriella Ceraso ne ha parlato col rettore della Lumsa, il prof. Francesco Bonini: 

R. – La priorità è una solida formazione ad ampio raggio sui temi fondamentali della politica e delle relazioni internazionali e anche una concreta esperienza delle stesse, attraverso workshop, stage, e attraverso l’incontro con protagonisti della politica e delle relazioni internazionali. Il Master si intitola “Esperti in politiche e relazioni internazionali”: esperti significa coloro che sanno accompagnare la presa della decisione e accompagnare la gestione delle politiche pubbliche tanto a livello nazionale che locale, che internazionale.

D.  – Quindi, giovani che potranno essere collocati in ambiti e attività politiche, in ambiti diversi della società e operare grazie alle loro conoscenze. La vostra è anche un’Università cattolica: c’è anche un’attenzione particolare ad alcuni aspetti che possono caratterizzare figure come queste?

R. – Un’attenzione alle comunità, quindi un’attenzione a una visione della società ispirata al principio di sussidiarietà. E poi anche un’attenzione al radicamento e all’effettività dei diritti. Questi sono due temi trasversali, che poi si declinano nella concretezza della formazione: sia la formazione di carattere teorico sia invece le attività più applicate.

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Mons. Auza: armi nucleari non garantiscono pace e sicurezza

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In termini di pace e di sicurezza mondiali, pesa più un dollaro speso per programmi di sviluppo umano o per programmi di sviluppo nucleare in senso bellico? La Santa Sede non ha dubbi e il suo portavoce all’Onu di New york, l’arcivescovo Bernardito Auza, lo ha riaffermato nei giorni scorsi al cospetto degli esperti che stanno rinegoziando il Trattato di non proliferazione nucleare, soffermandosi sulle somme “dispendiose” spese per gli armamenti, che così non possono essere utilizzate per “rimediare alle miserie che affliggono il nostro mondo di oggi”.

Pace e armi, binomio impossibile
In coerenza con la Dottrina della Chiesa e il Magistero dei Papi in merito – a partire da Pio XII e più ancora da Giovanni XXIII quando la crisi nucleare dei missili a Cuba conferì alla questione una portata planetaria – mons. Auza ha ammonito i governi a non puntare tutto sulla forza degli arsenali. “Sarebbe ingenuo e miope – ha detto il rappresentante vaticano – se cercassimo di assicurare la pace mondiale e la sicurezza attraverso le armi nucleari piuttosto che passando per lo sradicamento della povertà estrema, per un’assistenza sanitaria e un’istruzione accessibili a tutti, e promuovendo istituzioni e società pacifiche tramite il dialogo e la solidarietà”.

L’ingiusto divario
Inoltre, denunciando un sostanziale stallo sui negoziati che dovrebbero ridisegnare il Trattato di non proliferazione – spostandone l’equilibrio verso l’auspicato e finora irrealizzato “disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale” – mons. Auza ha stigmatizzato il fatto che i Paesi storicamente in possesso delle armi nucleari, non avendo mai smantellato fino in fondo i propri arsenali, hanno finito per rendere “struttura di classe” permanente ciò che in fase di creazione del Trattato avrebbe dovuto essere temporaneo, un “ingiusto status quo” che divide i Paesi possessori di armamenti nucleari da quelli che non li posseggono.

Falsi deterrenti
Il rappresentante pontificio ha affrontato anche il capitolo della “deterrenza”. Paolo VI, ha ricordato, la definì una “tragica illusione” e in generale la Chiesa ha sempre insistito, in particolare dal Vaticano II in qua, sul fatto che l’accumulo di armi di distruzione di massa non è un sistema per garantire la sicurezza. Anche per ciò che riguarda il terrorismo e la possibilità che possa dotarsi di armi nucleari, la deterrenza – ha asserito mons. Auza – non può essere sostenuta e portata ad esempio.

Il desiderio di Francesco
Il presule ha concluso citando un auspicio di Papa Francesco, che lo scorso dicembre si è detto “convinto che il desiderio per la pace e la fraternità radicato nel profondo del cuore umano darà i suoi frutti in modi concreti per garantire che le armi nucleari siano vietate, una volta per tutte, a vantaggio della nostra casa comune”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina in apertura, "L’Onu cerca una rotta per il Mediterraneo. Aperto il confronto sul soccorso ai migranti.

Di spalla, "In Nepal nuova scossa di terremoto. Almeno trentacinque le vittime”.

Sotto, “Impegno internazionale per l’unità libica. Tensione tra il Parlamento di Tobruk e la Turchia" A pagina 4, "Pio XI distruttore di libri. Aspetti inediti di un Papa bibliofilo" di Paolo Vian e "Quando papà mi raccontava Gaudí. I novant’anni dell’architetto catalano Jordi Bonet "di Chiara Curti.

Sempre in cultura, a pagina 5, “La convergenza originaria. Habermas e il rapporto tra fede e ragione” di Gian Enrico Rusconi e  "Quanto ebraismo nell’infinito. Leopardi e lo studio della Bibbia" di Laura Novati.

In ultima pagina, “In cerca del volto. Rileggere la Via Crucis alla luce della Sindone” di Yoannis Lahzi Gaid.

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Oggi in Primo Piano



Nepal, paura per il nuovo sisma. Il racconto di un testimone

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Il Nepal, già in ginocchio per il terremoto del 25 aprile scorso, oggi ha subito una nuova forte scossa di terremoto che purtroppo ha fatto altre vittime oltre alle ottomila già accertate. Il servizio di Federica Bertolucci

Una scossa di 7.4 gradi della scala Richter alle 12.35 ora locale, di poco inferiore a quella devastante del 25 aprile scorso, ha colpito il Nepal. Oltre che nella capitale, il sisma è stato avvertito anche a New Delhi in India e a Dacca, in Bangladesh. La scossa ha provocato a Kathmandu il crollo di diversi palazzi, già lesionati. Purtroppo, si segnalano diverse nuove vittime. Quelle sinora accertate sono quattro. Abbiamo raggiunto telefonicamente Alberto Luzzi, volontario dell’Associazione “Viva il Nepal” :

R. – Stavamo lavorando in un sito tra i più colpiti. Si tratta di un piccolo cortile, un quartierino storico, dove purtroppo ci sono stati 26 decessi e un centinaio di feriti, quindi le famiglie sono molto toccate. Ora, queste case sono rimaste praticamente con muri pericolanti e il lavoro che stiamo cercando di fare, con l’aiuto di un po’ di tecnica, è di risolvere quelle situazioni che possono creare ulteriori danni. Eravamo, quindi, in una casa e stavamo sostanzialmente facendo cadere dei muri. E’ arrivato il terremoto e chiaramente c’è stato un grande panico. Il sito dove eravamo è crollato. Noi siamo riusciti ad andare via. Tanto shock, tanta paura e tanta desolazione nel vedere la popolazione scioccata. Siamo stati due ore nel campo con le persone e la disperazione era generale. Dormiranno tutti all’aperto. Qui, a Kathmandu, stanno attrezzando degli alloggi di fortuna nei parchi.

D. – Quindi, la nuova scossa ha ulteriormente peggiorato la situazione?

R. – Decisamente. La scossa è stata fortissima. Ero quasi dell’idea che il Nepal cominciasse ad avviarsi un po’ verso la normalità, ma oggi dico che non è così. Con questa ulteriore scossa ho visto il terrore: hanno chiuso tutti i negozi. E’ tutto chiuso, non c’è luce elettrica in questo momento. La gente è raccolta a gruppi nei parchi, all’aperto. E’ terrorizzata. C’è un senso di paura generalizzata.

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India: ancora casi di stupri e omicidi contro donne e bambine

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Ennesima agghiacciante notizia di violenze alle donne dall’India. Nello Stato centro-orientale di Chhattisgarh, un uomo si è vendicato di una donna sposata che è riuscita a sfuggire al suo tentativo di stupro, dando fuoco e uccidendo alle sue due nipoti che erano con lei. Solo due giorni fa, questa volta alla periferia est di New Delhi, una ragazzina di 15 anni, dopo essere stata violentata e ricattata per otto mesi da un suo vicino di casa, è stata bruciata viva dallo stesso aguzzino. Per  cercare di capire le dinamiche di un fenomeno che risulta sempre più grave, Fausta Speranza ha intervistato Stefano Caldirola, docente di Storia dell’India all’Università di Bergamo: 

R. – Io non credo che ci sia un problema di aumento del numero di violenze. Io credo che questo problema della violenza sulle donne sia un problema che la società indiana ha da parecchio tempo. Ma ritengo che sia aumentata, da un lato, la consapevolezza della natura del problema. Un tempo gran parte di questi casi non venivano denunciati e, soprattutto, nei villaggi le questioni legate alla famiglia, al clan, alla casta, erano questioni di cui non si parlava, autentici tabù. Oggi, invece, è cresciuta la consapevolezza, ma non solo quella delle donne, anche quella delle caste più basse, che comporta molto spesso la denuncia di questi crimini. Dall’altro lato, ritengo che ci sia anche una maggiore penetrazione dei mass media nella società indiana, anche in quella rurale, e questo aiuta la denuncia e aiuta a far emergere dei casi che un tempo probabilmente non avremmo mai letto sui giornali.

D. – Ma si tratta di un fenomeno che si intreccia con quello delle caste o parallelo?

R. – Definire che esista sempre un intreccio tra episodi di violenza sulle donne e questione castale è sicuramente sbagliato, perché la maggior parte delle violenze avvengono in famiglia, come del resto nella maggior parte dei luoghi del mondo. Ci sono violenze che non c’entrano nulla con la questione della casta. Indubbiamente, però, c’è la questione del conflitto e della tensione tra caste, che esiste soprattutto in alcuni Stati del Nord – penso a quelli della piana gangetica da cui arrivano le più recenti notizie di efferate violenze nei confronti delle donne – che hanno indubbiamente un’influenza in questo. La violenza sessuale, infatti, è da sempre stata una sorta di arma ampiamente utilizzata di solito dalle caste più alte per "regolare" le caste più basse, per "mettere al loro posto"  le caste più basse. E questo indubbiamente è un problema che esiste. Infatti, i casi recenti lo dimostrano.

D. – C’è maggiore consapevolezza da parte del mondo femminile, maggiore consapevolezza dei media, ma anche maggiore consapevolezza della politica?

R. – Sì, ci sono oggi molti movimenti politici che rappresentano anche le caste più basse e che quindi danno più coraggio alle persone per denunciare eventuali casi e danno più consapevolezza. Questo si intreccia con altri movimenti, altri cambiamenti che ci sono nella società più profonda dell’India. C’è ancora molto da fare, perché anche il mondo politico indiano, che poi alla fine inevitabilmente è lo specchio del Paese, ha tante voci al suo interno, ha tante posizioni diverse. Ricordo quando ci fu lo stupro efferato di Delhi, che finì sulle prime pagine di tutti i giornali: ci furono alcuni politici che, non dico giustificarono il fatto, ma divisero la colpa ugualmente tra aggressori e vittima, che è una cosa assolutamente intollerabile!   

D. – Si muove qualcosa anche sul piano legislativo, però…

R. – Fino a questo momento, in realtà, negli ultimi anni abbiamo avuto interventi della legislazione sia relativi all’inasprimento delle pene, per quanto riguarda lo stupro, sia anche una generale inclusione di reati di violenza sessuale all’interno delle cosiddette atrocità – con un’orrenda traduzione dall’inglese - perpetrate nei confronti delle caste più basse: il Dalit atrocity act, che appunto tende a punire ogni tipo di violenza fatta proprio in nome della discriminazione di casta, all’interno della quale rientrano anche le violenze sessuali.

D. – Sul piano internazionale ci sono diverse dichiarazioni in difesa della donna. L’India ha ratificato queste prese di posizione internazionali?

R. – Sì e no. C’è stata una forte polemica sui giornali indiani proprio la settimana scorsa, relativa alla necessità o meno da parte dell’India – che è dibattuta in questi giorni – di ratificare, ad esempio, quello che viene definito come “stupro all’interno del matrimonio”, che appunto è contenuto all’interno di queste dichiarazioni a livello internazionale, ma che l’India è restia a ratificare. E ancora un ministro del governo indiano ha detto che a suo parere non dovrebbe ratificare questo trattato, perché la concezione della famiglia in India è diversa rispetto a quella che c’è nel resto del mondo, andando in questo modo parzialmente a giustificare gli stupri che vengono commessi dal marito nei confronti della moglie.

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Giornata dell'infermiere, testimonianza dai Paesi dell'Ebola

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Si celebra oggi la Giornata internazionale dell’infermiere. La data ricorda il 12 maggio 1820, giorno in cui nacque Florence Nightingale, fondatrice delle Scienze infermieristiche moderne. Una professione talvolta non adeguatamente valorizzata, che invece è strategica nel rapporto medico paziente, tanto più se il contesto è infestato da una epidemia. Miguel Lupiz, infermiere italo argentino, ha svolto missioni con Medici Senza Frontiere in Niger, Colombia, Repubblica Centrafricana e, per l'emergenza Ebola, in Sierra Leone e Guinea. Tornato a metà aprile in Italia, sta per partire per l'Afghanistan. Antonella Palermo gli ha chiesto di raccontarci la sua esperienza tra i contagiati dal temuto virus: 

R. – E’ stato molto diverso da tutte le altre: due mesi estremamente intensi, molto, molto duri. Molte persone arrivavano da noi al centro e morivano dopo poche ore, ma l’importante era che quelle poche ore fossero comunque ore degne di essere vissute da esseri umani.

D. – La paura?

R. – La paura c’è. Sarei stupido a dirti di no. Siamo protetti da protocolli ferrei. Noi abbiamo una zona di “high-risk”, fuori da lì per noi è una “low-risk”, cioè non è una “no-risk”. Non puoi mai abbassare la guardia: è uno dei motivi per cui le missioni che facciamo laggiù sono missioni più brevi, perché altrimenti lo stress diventa molto, molto elevato.

D. – Ci vuoi raccontare un incontro particolare, una situazione particolarmente difficile?

R. – Una particolarmente difficile è stata con una ragazza alla quale ho dato assistenza, mi ricordo, in una tenda. Quella ragazza, purtroppo, stava arrivando in fase terminale, iniziava ad avere emorragie diffuse, quindi, l’abbiamo tutta sistemata, lavata… A un certo punto, l’ho messa seduta sul letto e iniziava a perdere sangue dal naso e dalla bocca, però sorrideva ancora e mi diceva che stava molto meglio… Allora l’ho rimessa un po’ a posto e poi l’ho rimessa a letto. Mi ha detto: “Ci vediamo più tardi?” e io le ho detto: “Sì, ci vediamo più tardi”. Poi, quando sono tornato l’ho ritrovata e ha avuto giusto il tempo di stringermi la mano ed è morta lì. Ci ha segnato. Anche se fai missioni dure, dove alla fine niente ti viene risparmiato, però Ebola è risultata essere una nemica veramente crudele. Ma rimane il numero delle persone che abbiamo salvato garantendo una buona alimentazione, garantendo loro dei vestiti, che sono cose che a volte passano in secondo piano. In realtà, ci sono mille sfaccettature, ci sono le famiglie, gli amici, i parenti, le persone che sono state a contatto… Ed è un lavoro oserei dire mastodontico.

D. – Immagino che in quelle circostanze la soglia che distingue il lavoro del medico e il lavoro dell’infermiere si assottigli sempre di più: è così?

R. – Brava. Somministri le cure con i medici, i medici lavano i pazienti, si fermano a chiacchierare con loro, a giocare con i bambini… Noi spesso facevamo delle entrate insieme agli psicologi proprio per stare vicini alle persone, per cercare un contatto, anche se era un contatto protetto. Scrivevamo il nome sulla fronte perché le persone ci potessero riconoscere… Occhi negli occhi: tu lo cerchi, loro lo cercano… è decisamente terapeutico.

D. – Che situazione hai lasciato?

R. – Io ho fatto i salti di gioia quando ho sentito che la Liberia era “Ebola-free”. Allo stesso tempo, non bisogna abbassare la guardia. Perché? Perché in Sierra Leone comunque alcuni casi ci sono ancora e in Guinea, quando sono venuto via, al Centro avevamo circa 24 pazienti di cui 13 positivi.

D. – Cosa serve?

R. – In Guinea, soprattutto una sensibilizzazione ancora maggiore della popolazione, gli “health promoters”, che sono le persone che vanno a parlare nelle comunità, a spiegare quello che devono fare. L’Ebola si affronta e si batte così.

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Ccee: incontro in Svizzera su dialogo con l’islam, presente Tauran

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Al via domani all’abbazia di San Maurizio in Svizzera una due giorni di confronto dei vescovi d’Europa sul tema del dialogo con l’islam. L’evento, promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), vedrà la partecipazione del card. Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero per il Dialogo Interreligioso. I lavori, a cui prenderà parte anche l’accademico musulmano Omero Marongiu-Perria, saranno guidati dal card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux. Sull’importanza di questo appuntamento, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo don Andrea Pacini, coordinatore del gruppo di lavoro “Islam in Europa” del Ccee, e moderatore dell’evento in Svizzera: 

R. – Si tratta non di un evento episodico, occasionale, ma gestito all’interno di un percorso di studio e di confronto con finalità poi pastorali nei diversi Paesi europei, che è iniziato all’interno del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Cccee) già sei anni fa. Di fatto, questo è il quarto seminario: ogni due anni teniamo un seminario dedicato alle questioni dell’islam, su temi che variano. Ci sarà anche per la prima volta nel corso di questi anni l’intervento di un rappresentante delle comunità musulmane francesi, Omero Marongiu-Perria, su un tema molto delicato quanto scottante, e cioè: “Esiste ed è in corso un radicalismo dell’islam anche nel contesto europeo?”. E’ la domanda che noi ci rivolgiamo.

D. – Ci sono iniziative per cercare di disinnescare queste forme di radicalismo?

R. – La nostra domanda è: posto che il jihadismo sta esprimendo se stesso in maniera forte, politicamente e anche militarmente, anche con apporti – i famosi “foreign fighters”, i combattenti stranieri che vengono dall’Europa, almeno in una certa proporzione – la nostra domanda è: proprio perché la Chiesa intende sviluppare le relazioni di dialogo con le componenti musulmane presenti all’interno di questi territori europei, in che misura una possibile radicalizzazione – almeno di una parte dei musulmani presenti in Europa – possa incidere sulle comunità musulmane presenti e possa incidere sulle relazioni con la Chiesa e, in maniera più ampia, con la società? Questo è il punto di domanda; il dialogo, perché sia efficace, deve essere avveduto, informato e conoscere l’interlocutore!

D. – Papa Francesco dimostra, con la sua testimonianza, l’importanza del dialogo e dell’esperienza, anche con gesti particolarmente forti. Ecco: questa via dell’esperienza è un qualcosa che i vescovi d’Europa hanno sperimentato e che pensano di implementare?

R. – In Europa, la scelta è stata quella del cosiddetto “dialogo della vita”. Il dialogo della vita è proprio quello che lei ha chiamato dialogo attraverso l’esperienza. Cioè, si tratta di fatto di favorire il più possibile degli spazi di incontro consapevole tra fedeli cattolici e musulmani, appartenenti alla fede islamica, che vivono nel contesto europeo che in vario modo entrano in rapporto con al Chiesa, in particolare a livello territoriale. Quindi il dialogo della vita è un dialogo che vuole essere anche molto capillare. Si può svolgere in vari modi: uno che io ritengo particolarmente interessante, che è tipico soprattutto dell’esperienza francese, è l’avere promosso ormai da diversi anni, almeno in alcune grandi diocesi – ho presente in particolare la diocesi di Lione ma anche la diocesi di Marsiglia – incontri annuali di riflessione su tematiche di tipo sociale ma che richiedono una riflessione etica e religiosa, tra preti cattolici e imam musulmani che operano nel medesimo territorio.

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Milano. La Diocesi prepara Ufficio per accogliere i separati

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Nasce nella diocesi di Milano un Ufficio per accogliere e accompagnare gli sposi cattolici, o coniugati con fedeli cattolici, che sono giunti alla scelta di separarsi o vivono già l'esperienza della separazione. Aprirà l'8 settembre e vivrà una fase di sperimentazione di tre anni. L'idea è dell'arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, che ha appena firmato il decreto istitutivo. Responsabile dell'ufficio sarà mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della diocesi milanese. Fabio Colagrande lo ha intervistato: 

R. – L’Ufficio ha le sue radici proprio nell’esperienza sinodale in corso. Il cardinale Scola ha maturato questa decisione, che è sua, che è personale, e che ha presentato alla diocesi proprio durante il Sinodo, quando si è accorto che da molti padri e alla fine dalla quasi totalità – perché le mozioni sono state votate con un numero molto alto – si parlava di rimettere al centro la famiglia come soggetto dell’esperienza di fede e si chiedeva una particolare attenzione alle famiglie ferite. Allo stesso tempo, il cardinale diceva che riceveva dalla base, dai fedeli, più di una volta, questo riscontro: la fatica per chi stava vivendo come famiglia un momento di difficoltà a rivolgersi direttamente a un tribunale e chiedeva invece al vescovo di esercitare il suo ruolo di pastore e il suo ruolo paterno. Ecco allora l’idea dell’Ufficio: un ufficio pastorale che deriva direttamente dalla paternità del vescovo, che si vuole affiancare a queste persone per aiutarle a leggere quella situazione, a capire come il futuro sia sempre davanti a loro, perché Dio continua ad amarli e allo stesso tempo aiutarli a leggere con gli strumenti che la Chiesa dà la loro situazione per costruire passi possibili.

D. – A chi aprirà le porte questo Ufficio?

R. – Ovviamente, l’Ufficio non nasce sul nulla e non nasce dal nulla: il cardinale ringrazia e riconosce tutto il lavoro che fa la pastorale familiare di base, che fanno i consultori. Per cui, l’Ufficio si limita e si concentra sulle persone che stanno vivendo un momento di forte crisi coniugale, che hanno già deciso la separazione o si stanno orientando per la separazione. L’idea è proprio che l’Ufficio metta a fuoco quel momento e inizi con loro un dialogo su tutti i fronti, che permetta loro di ricostruire anche la loro esperienza di vita. Ecco perché l’Ufficio è stato assegnato al mio vicariato, perché io sono incaricato anche della pastorale familiare. L’idea è di armonizzare questo Ufficio con tutti gli strumenti che già abbiamo proprio per aiutare le persone che ci incontrano a capire e a gustare la tenerezza di Dio, che si fa vicina anche in questi momenti di sofferenza.

D. – Qualche giornale, mons. Bressan, ha titolato polemicamente “l’arcidiocesi di Milano aiuta le coppie a separarsi”. Come replica?

R. – No. Anzi, noi vorremmo fare il contrario. La diocesi di Milano aiuta tutti i fedeli a leggere e a discernere nel quotidiano, con le sue gioie e le fatiche, che cosa vuol dire continuare a seguire il Signore. Ecco perché l’Ufficio partirà ufficialmente l’8 settembre, anche se abbiamo già iniziato la sua costruzione proprio perché nel momento in cui si aprirà possiamo davvero essere operativi e aiutare le persone, che è quello che ci interessa.

D. – Uno dei primi obiettivi di questo Ufficio sarà, quando è possibile, una riconciliazione tra le coppie in crisi…

R. – Certo, con molto realismo. Però, l’idea è di aiutarli a vedere che il matrimonio è sicuramente un dono di grazia e che come tale è giusto salvaguardare, anzi nutrirlo. Allo stesso tempo, però, rimanendo realisti, perché la separazione addirittura è un istituto previsto dal Codice di Diritto Canonico: aiutarli quindi a leggere cosa voglia dire in quel momento nella loro vita continuare a essere fedeli al Signore, servirlo e soprattutto anche continuare a nutrire la Chiesa, come hanno iniziato a fare con il loro matrimonio e, allo stesso tempo, essere nutriti e sostenuti dalla Chiesa, fare l’esperienza della Chiesa madre.

D. – Nella linea del Magistero di Papa Francesco e delle indicazioni che sono finora uscite dal Sinodo, questo Ufficio – dove ve ne siano le condizioni – cercherà di agevolare anche l’accesso ai percorsi canonici per lo scioglimento del matrimonio…

R. – Per la nullità o lo scioglimento del matrimonio, esatto. Anche questo è un obiettivo per togliere qualsiasi aspetto di eccessiva giuridicità a quel percorso. L’idea, effettivamente, è che l’Ufficio vuole far vedere quelle due vie come possibili strumenti e non come un ulteriore aggravio in una situazione già difficile, ma semmai come un percorso che aiuta a ricostruire, anche spiritualmente, la vita dei fedeli.

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Il Patriarca Tawadros al "Festival delle Religioni 2015" a Firenze

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Anteprima oggi a Firenze della seconda edizione del “Festival delle Religioni” che si svolgerà dal 15 al 17 maggio. L’iniziativa, sottotitolata #andiamoltre, gode del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e vuol offrire un’occasione di riflessione sull’attualità internazionale segnata negli anni recenti da scontri e nuovi conflitti, nella convinzione che la pluralità sia un valore non un pretesto per distruggere l’altro. Moltissimi gli ospiti di diverse appartenenze culturali, politiche e religiose che daranno vita ai dibattiti. Protagonisti dell’anteprima il Patriarca latino di Gerusalemme, mons, Fouad Twal, il rabbino Steinsaltz e il Patriarca copto-ortodosso Tawadros II. Al microfono di Adriana Masotti, l’ideatrice dell’evento, Francesca Campana Comparini

R. - Noi abbiamo cominciato un discorso lo scorso anno e ci siamo ritrovati incontrandoci su ciò che ci divide proprio perché siamo convinti che la pluralità sia un valore e non un pericolo. Detto questo, gli scenari mondiali dagli ultimi mesi sono cambiati, quindi oggi è necessario compiere un passo in avanti e dare un messaggio forte. Ecco perché abbiamo dato questo titolo nuovo, “Andiamo oltre”, che significa oltre il fanatismo, oltre la mortificazione della vita, della razza, delle idee, dell’uomo.

D. – Il programma del festival è veramente ricchissimo, attraversato sempre da questo filo rosso dell’andare oltre. Qualche esempio: oltre le ragioni della ragione, oltre la distruzione e quindi l’immortalità della bellezza, oltre divisioni e propaganda tra sunniti e sciiti, oltre lo scontro mediante la forza della compassione e tanto altro. Su tutto questo ci sarà il confronto tra visioni e punti di vista diversi…

R. – Assolutamente. Il nostro obiettivo è proprio questo: svelare le diversità. Ovviamente il nostro obiettivo non è rendere una finta fratellanza, no! Ognuno ha la sua specificità, la sua unicità che va mantenuta e va custodita, potremmo dire. Detto questo abbiamo un orizzonte comune e quindi ecco perché è obbligatorio andare oltre.

D. – Perché Festival delle Religioni? Perché mettere in campo le religioni nell’affrontare tanti temi di attualità? Hanno un ruolo particolare per voi?

R. - Assolutamente sì, le religioni orientano, influiscono sulle dinamiche politiche, economiche e sociali non da qualche giorno, ma da sempre, dacché ci sono. Ecco perché è fondamentale rendersi consapevoli di questi movimenti, proprio di questa struttura, direi radicale, in tutti gli aspetti del nostro vivere. Quindi non si può non tenere conto delle religioni.

D. – Oggi l’anteprima del Festival con la presenza tra gli altri del Patriarca copto-ortodosso Tawadros II, la voce più rappresentativa dei cristiani perseguitati dall’estremismo islamico... 

R.  – Papa Tawadros è la voce dei martiri di questo secolo, quello che vogliamo dare al lui è un segno di solidarietà: donargli un briciolo della nostra speranza per fargli capire che noi come Festival delle Religioni, come fiorentini, ci siamo e siamo solidali con i drammi che accadono in Medio Oriente.

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Settimana del mondo unito: "I giovani vogliono la pace"

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“Dove non c’è giustizia non c’è pace”, ha affermato ieri Papa Francesco incontrando i bambini della “Fabbrica della pace”. Un messaggio di fratellanza condiviso anche dai "Giovani per un Mondo Unito" e dai ragazzi di "Run4Unity", che durante "Settimana Mondo Unito" hanno promosso iniziative per la pace in diversi Paesi, tra cui Siria, Israele, Congo Kinshasa, ma anche in nazioni europee. Eugenio Murrali ha sentito una delle promotrici, Patricia Silva, del Movimento dei Focolari: 

R. – Il messaggio che la “Run4Unity” e la "Settimana Mondo Unito" hanno lanciato è che la pace è possibile, ma che dipende da ciascuno di noi e che può incominciare vivendo la regola d’oro: fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te e non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.

D. – Che tipo di iniziative sono state svolte per favorire, per "inventare la pace"?

R. – Noi siamo convinti che la strada per costruire la pace sia il dialogo. Per questo in ogni comunità i ragazzi, i giovani e gli adulti hanno voluto manifestarsi in favore della pace cercando di preparare questa giornata con ragazzi e giovani cattolici, evangelici, cristiani, musulmani, ebrei. In Germania, i giovani e i ragazzi hanno fatto questa corsa, questa camminata per la città, visitando diversi luoghi simbolo di preghiera: sono andati in una moschea, al tempio indù, si sono fermati lì a pregare, con ogni gruppo, anche a Betlemme si sono ritrovati cristiani e musulmani nella piazza della Basilica della Natività e lì hanno manifestato il loro desiderio di pace.

D. – I giovani di “Run4Unity” sono impegnati anche durante il resto dell’anno, però, per questa costruzione della pace…

R. – Sì, sono impegnati durante tutto l’anno. Il 3 maggio hanno svolto questa iniziativa in 170 città del mondo, coinvolgendo anche tutti coloro con i quali durante l’anno avevano lavorato, ma invitando anche altri a vivere con loro durante l’anno questa proposta, trasformando i loro ambienti e vivendo questa regola d’oro anche attraverso attività solidali e andando alla ricerca di quelli che chiamiamo “punti grigi” della città, in cui manca il dialogo e manca l’amore, per colorarli con l’amore.

D. – All’interno dei gruppi c’è anche un intenso dialogo tra religioni?

R. – Sì, sì. Ci sono anche giovani e ragazzi che appartengono ad altre Chiese cristiane e ad altre religioni. Per questo è possibile generare questi spazi di condivisione, queste giornate come il “Run4Unity”, e anche progetti condivisi.

D. – Quale è stata la risposta dei ragazzi?

R. – Sono stati loro a spingere gli adulti a impegnarsi nell’organizzazione di questa attività, di questa iniziativa. Per esempio in Congo, a Kinshasa, uno dei ragazzi ha invitato i suoi compagni, ed erano 70: loro sono quelli che hanno la convinzione, perché guardano con altri occhi la realtà e vedono che è possibile la pace. Anche in Portogallo hanno partecipato 900 giovani, che si sono ritrovati in una cittadella del Movimento per fare questa camminata, questa corsa, esprimendo così al loro Paese che vogliono la pace. Ci sono state delle manifestazioni molto partecipate e numerose. La staffetta si è conclusa al Cairo, in Egitto, con l’evento “Living peace”, che si è svolto il 4-5-6 maggio e che ha coinvolto circa 150 mila bambini e ragazzi, fino ai 22 anni, di 200 scuole e università nazionali e internazionali e adulti di 103 nazioni, con lo scopo di testimoniare, soprattutto al Medio Oriente, l’impegno di vivere la pace in prima persona.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Usa: sistema migratorio è un'industria disumana

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Una radicale riforma del sistema di detenzione degli immigrati clandestini per proteggere i più vulnerabili, come i richiedenti asilo e le famiglie, nel rispetto della legalità. E’ l’appello rivolto alle autorità dalla Conferenza episcopale statunitense (Usccb) nel rapporto “Aprire le sbarre che imprigionano la dignità umana: un piano per trasformare il sistema di detenzione degli immigrati negli Stati Uniti”.

Il dramma delle famiglie separate
Il documento, preparato dal Servizio per i migranti e i rifugiati della Usccb, in collaborazione con il Centro Studi sulle migrazioni (Cms), illustra le informazioni raccolte nei Centri di detenzione in diversi Stati dell’Unione e nelle strutture cattoliche che assistono gli immigrati: parrocchie, mense per i poveri e opere caritative. Informazioni che evidenziano una situazione drammatica e disumana e i gravi limiti dell’attuale sistema: migliaia di persone entrate illegalmente nel territorio americano detenute come criminali; famiglie divise; bambini traumatizzati dalla separazione dai genitori; situazioni di segregazione e disperazione.

I limiti di un sistema punitivo spesso affidato alla gestione di privati
Secondo i dati ufficiali del Dipartimento per la sicurezza nazionale (Dhs),  sono 400mila gli immigrati clandestini rinchiusi ogni anno nei Centri detentivi degli Stati Uniti: tra questi numerosi richiedenti asilo, vittime del traffico di esseri umani e della tortura, giovani madri con figli, affidate spesso a strutture private a scopo di lucro. Di qui l’urgenza evidenziata dai vescovi di riformare l’intero sistema, con particolare riguardo ai richiedenti asilo, i cui diritti sono di fatto negati, come denunciato anche dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e dall’Albo degli avvocati americani (Aba). Un’esigenza morale che interpella le autorità, ma anche i cattolici.

Non criminalizzare gli immigrati
Nell’introduzione al rapporto, i vescovi Eusebio Elizondo e Nichoas Di Marzio, rispettivamente presidente e membro della Commissione episcopale per i migranti,  chiedono in particolare ai fedeli e a tutte le persone di buona volontà di premere per la riforma delle politiche migratorie negli Stati Uniti e “di sopperire ai bisogni materiali, sociali e spirituali delle famiglie separate a causa della detenzione ed espulsione dei propri cari e di fare in modo che le loro comunità non traggano profitto dalla miseria causata dalla criminalizzazione e segregazione degli immigrati” L’Antico Testamento e il Vangelo, sottolineano, “ci ricordano che essere discepoli di Cristo richiede solidarietà verso gli ultimi, compreso lo straniero incarcerato”.

Ridurre il ricorso alle misure detentive
Dopo un’ampia analisi dei dati e dei casi emersi dalla ricerca, il documento conclude con una serie di proposte di riforma: a cominciare  dalla realizzazione di un’indagine preliminare del Congresso per valutare il rapporto costo-benefici  dell’attuale sistema e dalla drastica riduzione del ricorso indiscriminato alle misure detentive a favore di soluzione più umane che tengano conto dei singoli casi. (A cura di Lisa Zengarini)

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Filippine: Chiesa per ratifica accordo di pace per Mindanao

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Centinaia di cristiani e musulmani hanno manifestato ieri a Manila per chiedere l’immediata ratifica del Basic Bangsamoro Law (Bbl), l’accordo siglato un anno fa tra il Governo filippino e gli indipendentisti del “Moro Islamic Liberation Front” (Milf) per la pace a Mindanao.  Dopo l’uccisione il 25 gennaio di 43 poliziotti caduti in uno scontro a fuoco con le milizie del Milf  e del Biff (Bangsamoro Islamic Freedom Fighters) a Mamasapano, nella provincia di Maguindanao, sono cresciute in questi mesi le pressioni per modificare il testo della legge di ratifica che dovrebbe porre fine all’annoso conflitto armato tra Manila e gli indipendentisti musulmani. Una modifica - riferisce l'agenzia Ucan - che annacquerebbe le concessioni fatte dall’Esecutivo e alla quale si oppongono i fautori della pace, tra i quali la Chiesa.

Il card. Quevedo: il Bbl base per una pace durevole a Mindanao
Cancellare alcune clausole dell’accordo significherebbe rendere la regione autonoma Moro “meno autonoma”, ha avvertito in un’intervista all’agenzia Ucan il card. Orlando Quevedo, presidente del gruppo interreligioso Amici della pace”, secondo il quale il riconoscimento di questa autonomia “è un’ottima base per una pace giusta e durevole nella regione”. Sulla stessa linea diverse organizzazioni della società civile di Mindanao che premono perché il Congresso non si lasci condizionare dagli eventi dello scorso gennaio e dalle pressioni contrarie di una parte dell’opinione pubblica. Il voto finale del Congresso è atteso per il 14 maggio. (L.Z.)

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India. Villaggio attaccato da estremisti indù: cristiani in fuga

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I cristiani sono fuggiti da un villaggio nello stato di Assam, nel Nord-est dell'India, dopo l’attacco di circa cento estremisti indù che hanno ferito 18 fedeli, tre dei quali gravemente. Tra i feriti gravi - riferisce l'agenzia Fides - vi è una bambina di sette anni. I militanti, armati di spade, bastoni e pietre hanno attaccato nei giorni scorsi i cristiani nel villaggio di Amtola, nel distretto di Golpara. “In questo momento non ci sono cristiani nel villaggio, tutti sono fuggiti” ha detto il rev. David Boro, che si trova a Guwahati, capitale dello Stato. “Le famiglie cristiane ora sono al sicuro, i feriti sono in ospedale”. Gli estremisti, prosegue “non accontentandosi dell’aggressione, hanno distrutto le abitazioni di queste famiglie cristiane”.

Gli aggressori non hanno risparmiato donne e bambini
I fedeli sono preoccupati soprattutto per la bambina di sette anni, Pranita Rabha, che ha subito gravi lesioni al torace e al cranio, e che ora si trova in ospedale a Guwahati. “Gli aggressori non hanno risparmiato donne e bambini: li hanno picchiati senza pietà” riferiscono i fedeli.

La brutalità dell'incidente è stata scioccante
​Le ostilità contro i cristiani di una comunità protestante locale sono iniziate l'anno scorso e dal dicembre 2014 gli episodi di violenza contro i cristiani del villaggio sono stati cinque. Secondo i primi riscontri, gli anziani del villaggio hanno istigato i militanti indù contro i fedeli. Secondo il rev. Vijayesh Lal, della “Evangelical Fellowship of India”, “la brutalità dell'incidente è stata scioccante. Il modo in cui i bambini sono stati malmenati mostra un alto livello di odio”. I cristiani nello Stato di Assam sono circa il 3% della popolazione, a maggioranza tribale. (P.A.)

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Ghana. Appello leader cristiani: giovani rimanete in Africa

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“Siamo rattristati dalle notizie di così tanti migranti africani che periscono nei deserti dell’Africa settentrionale e nel Mediterraneo e facciamo appello agli Stati e ai governi africani perchè adottino delle misure preventive per frenare questa minaccia. Chiediamo con forza ai governi africani di fare tutto quello che possono per creare le necessarie condizioni socio-economiche e politiche e le opportunità di impiego per la nostra brulicante gioventù disoccupata.

I posti fuori l'Africa non garantiscono conforti e piaceri
Incoraggiamo i giovani africani a rimanere nel loro Paese natale e a lavorare duramente per guadagnare il proprio pane quotidiano. Non devono credere che l’Europa e altri posti al di fuori dell’Africa garantiscano automaticamente conforti e piaceri”. Lo scrivono, in un messaggio congiunto, la Conferenza episcopale del Ghana e il Christian Council of Ghana (Ccg), al termine del loro incontro.

Appello per salvare l'economia del Paese
​I leader cristiani del Ghana, riferisce l'agenzia Fides, si dichiarano “sorpresi dalla notizia che il Ghana è di fronte al rischio reale di cadere nella categoria dei Paesi altamente indebitati in difficoltà (High Debt Distress Countries, Hddc) del Fondo Monetario Internazionale sulla base dei prestiti eccessivi accesi dal Ghana, che sono stimati a circa 76 miliardi di Ghana Cedis (17.542 miliardi di Euro), a dicembre dello scorso anno”. Quindi i leader cristiani scrivono: “facciamo appello al governo perché faccia tutto quello che può per salvare l’economia del nostro Paese”, affinché non ripiombi nella categoria degli Hddc, dalla quale era uscito da poco. Infine esprimono la speranza che gli emendamenti alle legge sulle entrate petrolifere porteranno maggiori benefici ai cittadini del Paese. (L.M.)

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Costa d'Avorio: Plenaria vescovi su riconciliazione nazionale

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La pacificazione tra i leader politici; l’unità all’interno dei partiti; il disarmo; il perseguimento della verità; una giustizia equa e il perdono: sono queste le condizioni per una vera riconciliazione nazionale in Costa d’Avorio. E’ quanto scrivono i vescovi del Paese africano nel loro messaggio in vista delle prossime elezioni politiche previste quest’anno. Un test importante dal quale dipende la stabilizzazione della pace raggiunta  dopo la nuova grave crisi post-elettorale che tra il 2010 e il 2011 aveva precipitato il Paese in un nuovo sanguinoso conflitto costato la vita a 3mila persone.

I rischi della diffidenza reciproca tra Governo e opposizione
Ad ispirare il messaggio, pubblicato ieri al temine della loro 101ª assemblea plenaria a Taabo, la preoccupazione per la situazione del Paese sul quale continuano a pendere persistenti tensioni etniche e politiche. Nonostante i progressi compiuti dalla Commissione Dialogo Verità e Riconciliazione (Cdvr),  sostituita a marzo dalla nuova Commissione nazionale per la riconciliazione e l’indennizzazione delle vittime (Conariv) – sottolineano i vescovi -, resta ancora molto dar fare: persiste, infatti, la diffidenza reciproca tra Governo e opposizione, che non esitano a strumentalizzare le divisioni etniche, alimentate anche dalla questione agraria ancora irrisolta.

La vera riconciliazione passa attraverso il dialogo
​I presuli sottolineano quindi che la vera riconciliazione passa attraverso il dialogo tra i nemici di ieri; l’impegno dei partiti per l’unità e la pace; il disarmo delle fazioni; la verità sui passati conflitti; la giustizia per le vittime e la richiesta di perdono da parte dei responsabili delle violenze.  Di qui innanzitutto l’appello ai leader politici a dare l’esempio ai propri militanti, “testimoniando in prima persona i valori umani e democratici che propongono nei loro programmi elettorali”. Questo significa rispetto per l’avversario  e fair play.  Analogamente, anche i militanti “dovranno dare prova di tolleranza, accettando il diritto ad avere opinioni diverse e trattando con equanimità gli avversari”.

Appello a giornalisti e giovani
I vescovi ivoriani si rivolgono quindi ai giornalisti affinché non contribuiscano con i  loro articoli ad accendere gli animi e ai giovani perché non si facciano strumentalizzare dai politici. Infine, l’appello alle autorità religiose: il loro compito – affermano -  è “di ricordare ai leader politici il vero senso del loro impegno che è prima di tutto un servizio alla comunità”.

L’assemblea dei vescovi della Costa d’Avorio si è tenuta dal 4 al 10 maggio. Tra i principali punti all’ordine del giorno, oltre alla riconciliazione nazionale, le celebrazioni dell’Anno della Vita consacrata. (L.Z.)

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Sudafrica: aiuti dei vescovi per vittime di attacchi xenofobi

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La Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc), ha stanziato 100mila Rand a favore delle vittime degli attacchi xenofobi che nelle scorse settimane hanno insanguinato la città di Durban, insieme ad altre città. La somma, consegnata all’Ufficio per la pastorale dei rifugiati dell’arcidiocesi di Durban, è stata fornita dalla Bishops’ Foundation, una fondazione speciale istituita dai vescovi con il compito di gestire le donazioni alla Chiesa per le sue attività pastorali e caritative. Gran parte dei fondi saranno destinati a finanziare un centro di accoglienza per rifugiati nel cuore della città

Violenze condannate dai vescovi
Le violenze erano esplose lo scorso aprile dopo che la stampa locale aveva riportato alcune affermazioni, poi ritrattate, del re degli Zulu, Goodwill Zwelithini, contro la presenza di immigrati nel Paese.  I vescovi hanno condannato gli attacchi chiedendo al Governo di fermare i responsabili,  ma anche di affrontare le cause sociali delle tensioni. All’origine degli scontri, infatti, le frustrazioni di ampie fasce della popolazione sudafricana alle prese con la disoccupazione e gravi difficoltà economiche, mentre cresce l’immigrazione da Paesi in difficoltà come Somalia, Etiopia, Zimbabwe, Malawi e Mozambico, che rappresentano oggi circa il 10% degli abitanti in Sudafrica. Ad esasperare il clima anche la criminalità. (L.Z.)

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Svizzera: no dei vescovi alla diagnosi pre-impianto

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La Conferenza episcopale svizzera (Ces) rifiuta la modifica della Costituzione in vista dell’autorizzazione alla diagnosi pre-impianto (Dpi). Lo rende noto una dichiarazione ufficiale diffusa ieri dalla Ces. “La popolazione svizzera – si legge nel documento - si pronuncerà il 14 giugno prossimo sulla modifica della Costituzione federale destinata ad aprire la porta alla diagnostica pre-impianto. I vescovi svizzeri rifiutano fermamente questa modifica della Costituzione”.

La Dpi non guarisce dalle malattie ed apre all’eugenetica
Pur sottolineando che le premesse alla base della richiesta modifica sono “tragiche”, perché “c’è la sofferenza di una coppia suscettibile di trasmettere una malattia genetica grave” al proprio figlio, i presuli elvetici lanciano un allarme:  “Il metodo della Dpi viene presentato come soluzione a questo problema concreto”, mentre in realtà esso pone ulteriori gravi questioni: “con la Dpi, infatti, non si guarisce una malattia, ma la si evita eliminandone il portatore e ciò è ingiustificabile”. Inoltre, spiegano i vescovi elvetici, “la Dpi necessita della produzione volontaria di embrioni che verranno poi selezionati e questo si chiama eugenetica”, ovvero la messa in atto di “una selezione per mezzo della quale ci si attribuisce il diritto di decidere chi merita di vivere e chi no”.

Embrione è una persona umana, va tutelato
“La massima protezione dell’embrione umano, che deve essere considerato come una persona – spiega ancora la Chiesa svizzera - è assicurata al meglio dall’attuale Costituzione federale, la quale, all’articolo 119, precisa che “al di fuori del corpo della donna possono essere sviluppati in embrioni solo tanti ovociti umani quanti se ne possono trapiantare immediatamente”. Quindi, se questo articolo della Costituzione verrà modificato secondo la proposta del Parlamento, allora “il congelamento di embrioni sarà implicitamente autorizzato. E la crioconservazione pone gravi problemi etici, perché lede direttamente la dignità umana”.

Rispettare la dignità umana di ciascuno
​“Votare no alla modifica della Costituzione e quindi alla Dpi – conclude la nota episcopale - significa riconoscere che la dignità di ogni essere umano deve essere rispettata e preservata il più possibile nel nostro Paese”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 132

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.