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Sommario del 15/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a vescovi Centrafrica: promuovere pace e dialogo

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Nel vostro Paese, turbato dalla violenza, siete chiamati a favorire il dialogo e la coabitazione pacifica tra gruppi di etnie e religioni diverse. E’ la viva esortazione rivolta da Papa Francesco ai vescovi del Centrafrica, ricevuti in udienza in occasione della visita ad Limina. Il Pontefice, che ha anche ribadito l’importanza del celibato sacerdotale e della formazione umana dei seminaristi, ha poi invitato i presuli a difendere le famiglie ferite dalla povertà, dalle separazioni e dalla colonizzazione ideologica. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un popolo che soffre a causa delle violenze e che cerca nel Vangelo la speranza per un futuro di pace. Francesco si rivolge con parole accorate ai vescovi del Centrafrica, che ringrazia per la loro testimonianza coraggiosa, assicurando la sua vicinanza a quanti patiscono “da troppi mesi una situazione difficile e dolorosa”. Al tempo stesso, il Papa si dice convinto che proprio quando “l’odio e la violenza si scatenano” i cristiani sono chiamati a “rispondere con il perdono e l’amore”.

La Chiesa del Centrafrica promuova il dialogo e la coabitazione
Francesco chiede dunque ai vescovi del Centrafrica di avere un ruolo “profetico” nel processo di transizione istituzionale in corso. In particolare, esorta i presuli a testimoniare i “valori fondamentali della giustizia, della verità, della probità che sono alla base di ogni rinnovamento, promuovendo il dialogo e la coabitazione pacifica tra i membri delle differenti religioni ed etnie, favorendo anche la riconciliazione e la coesione sociale che è una chiave per l’avvenire”. Un impegno particolare, sottolinea, deve essere svolto nella formazione delle coscienze dei laici, affinché forti della Dottrina Sociale della Chiesa, possano assumere le proprie responsabilità per trasformare la società secondo il Vangelo e preparare “un futuro felice per il popolo”.

Proteggere la famiglia dalle minacce che la destabilizzano
Una parte del discorso del Pontefice è stata poi dedicata alle famiglie che, annota, “sono le prime vittime delle violenze e che sono troppo spesso destabilizzate o distrutte in ragione dell’allontanamento di uno dei coniugi”, della “povertà, della discordia, delle separazioni”. E’ fondamentale, ribadisce il Papa, che la famiglie siano “protette e difese” anche come luogo dove si apprende la cultura del “perdono, della pace e della riconciliazione” di cui il Centrafrica ha tanto bisogno. Dal Papa dunque l’incoraggiamento ai vescovi a “prestare alla pastorale familiare tutta l’attenzione che merita e a non scoraggiarsi davanti alle resistenze provocate dalle tradizioni culturali, dalla debolezza umana o dalle nuove colonizzazioni ideologiche che si diffondono ovunque”.

Impegnarsi nella formazione dei sacerdoti con misericordia
Il Papa non manca, inoltre, di rivolgere il pensiero alla formazione dei sacerdoti, esortando i pastori a stare sempre loro vicini. In particolare, invita i vescovi centrafricani ad agire “con misericordia” difronte alle defaillances dei loro preti, “a lasciare la porta aperta”. La sanzione, commenta, è “a volte certamente necessaria ma deve essere l’ultimo strumento”. Parlando dei seminaristi, Francesco mette l’accento sull’importanza della formazione spirituale, intellettuale e comunitaria. Tuttavia, chiede di non trascurare la formazione umana e affettiva, “affinché i futuri sacerdoti siano capaci di vivere il proprio impegno al celibato, sul quale non può essere accettato alcun compromesso”. Il Papa ringrazia infine la Chiesa locale per le tante opere di carità e di promozione umana in favore dei bisognosi e rivolge un pensiero speciale ai religiosi e alle religiose affinché, nell’Anno della Vita Consacrata, trovino “un’occasione di approfondimento della loro vocazione e della loro unione con Cristo”.

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Il Papa: le comunità paurose e senza gioia non sono cristiane

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Le comunità paurose e senza gioia sono malate, non sono comunità cristiane: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Chi ha paura non ha la libertà di guardare avanti
“Paura” e “gioia”: sono le due parole della liturgia del giorno. “La paura – afferma il Papa - è un atteggiamento che ci fa male. Ci indebolisce, ci rimpiccolisce. Anche ci paralizza”. Una persona che ha paura “non fa nulla, non sa cosa fare”. E’ concentrata su se stessa, affinché “non le succeda qualcosa di male”. E “la paura ti porta a un egocentrismo egoistico e ti paralizza”. “Un cristiano pauroso è una persona che non ha capito quale sia il messaggio di Gesù”:  

“Per questo Gesù dice a Paolo: ‘Non avere paura. Continua a parlare’. La paura non è un atteggiamento cristiano. E’ un atteggiamento – possiamo dire – di un’anima incarcerata, senza libertà, che non ha libertà di guardare avanti, di creare qualcosa, di fare del bene … no, sempre: ‘No, ma c’è questo pericolo, c’è quell’altro, quell’altro …’. E questo è un vizio. E la paura fa male”.

Per una comunità paurosa tutto è vietato
“Non avere paura è chiedere la grazia del coraggio, del coraggio dello Spirito Santo che ci invia”:

“Ci sono comunità paurose, che vanno sempre sul sicuro: ‘No, no, non facciamo questo, no, no, questo non si può, questo non si può …’. Sembra che sulla porta d’entrata abbiano scritto ‘vietato’: tutto è vietato per paura. E tu entri in questa comunità e l’aria è viziata, perché è una comunità malata. La paura ammala una comunità. La mancanza di coraggio ammala una comunità”.

Distinguere paura e timor di Dio
La paura – precisa poi il Papa - va distinta dal “timore di Dio”, che “è santo, è il timore dell’adorazione davanti al Signore e il timore di Dio è una virtù. Ma il timore di Dio non rimpiccolisce, non indebolisce, non paralizza: porta avanti, verso la missione che il Signore dà”.

Un cristiano senza gioia non è cristiano
L’altra parola della liturgia è la “gioia”. “Nessuno potrà togliervi la vostra gioia” dice Gesù. E “nei momenti più tristi, nei momenti del dolore” – sottolinea il Papa – la gioia “diviene pace. Invece, un divertimento nel momento del dolore diviene oscurità, diviene buio. Un cristiano senza gioia non è cristiano. Un cristiano che continuamente vive nella tristezza, non è cristiano. E un cristiano che, nel momento delle prove, delle malattie, di tante difficoltà, perde la pace, qualcosa gli manca”:

“La gioia cristiana non è un semplice divertimento, non è un’allegria passeggera; la gioia cristiana è un dono, è un dono dello Spirito Santo. E’ avere il cuore sempre gioioso perché il Signore ha vinto, il Signore regna, il Signore è alla destra del Padre, il Signore ha guardato me e mi ha inviato e mi ha dato la sua grazia e mi ha fatto figlio del Padre … E’ quella la gioia cristiana. Un cristiano vive nella gioia”.

Comunità paurose e senza gioia sono malate
“Anche una comunità senza gioia – aggiunge il Papa - è una comunità ammalata”: forse sarà una “comunità divertente”, ma “ammalata di mondanità. Perché non ha la gioia di Gesù Cristo”. Così “quando la Chiesa è paurosa e quando la Chiesa non riceve la gioia dello Spirito Santo, la Chiesa si ammala, le comunità si ammalano, i fedeli si ammalano”. Il Papa conclude con questa preghiera: “Innalzaci, Signore, verso il Cristo seduto alla destra del Padre”, “innalza il nostro spirito. Toglici ogni paura e dacci la gioia e la pace”.

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Papa Francesco riceve il presidente della Romania

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Papa Francesco ha ricevuto nel Palazzo Apostolico Vaticano il presidente della Romania, Klaus Werner Iohannis, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - svoltisi nel venticinquesimo anniversario del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Romania, avvenuto il 15 maggio 1990, si è parlato dei rapporti bilaterali, caratterizzati da una proficua collaborazione, nonché delle relazioni tra le autorità statali con le comunità cattoliche locali, e della buona convivenza tra minoranze. Nel prosieguo della conversazione sono stati affrontati temi che interessano diverse regioni del mondo”.

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Due sante palestinesi. Padre Bader: speranza per una terra che soffre

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Più di 2 mila persone da tutta la Terra Santa: è la delegazione guidata dal Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, che domenica in Piazza San Pietro parteciperà alla canonizzazione delle beate originarie della terra di Gesù, Maria Alfonsina Danil Ghattas e Maria di Gesù Crocifisso. Le due religiose saranno proclamate sante da Papa Francesco assieme alle beate Giovanna Emilia De Villeneuve e Maria Cristina dell’Immacolata Concezione. In Piazza ci saranno il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, e una rappresentanza israeliana. Stamani nella Sala Stampa della Santa Sede, il briefing per presentare le figura delle due suore della Terra Santa. Il servizio di Giada Aquilino

In una regione in cui “siamo circondati dalla guerra e dalla morte”, Dio ci manda “due donne sante a guidarci” e Papa Francesco, nell’Anno della Vita Consacrata e nel mese di maggio dedicato a Maria Vergine, ci propone queste due figure femminili che “ci chiamano a pregare affinché Dio renda i cuori, le menti e le anime più miti”. Così padre Rifat Bader, direttore del Centro cattolico per gli studi e i media di Amman, in Giordania, ha presentato suor Maria Alfonsina Danil Ghattas, fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme, vissuta tra il 1843 e 1927, e suor Maria di Gesù Crocifisso, Carmelitana Scalza, vissuta tra il 1846 e 1878. Delle prime due sante palestinesi dell’epoca moderna padre Bader ha voluto mettere in luce che sono al contempo due sante arabe. Per la loro intercessione sono guariti un ingegnere di Galilea e un bambino siciliano, che domenica saranno presenti in Piazza San Pietro. Il giorno successivo, lunedì, il Patriarca Twal presiederà una Messa di ringraziamento nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore, in lingua araba. Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, rispondendo ai giornalisti, ha precisato che la recente intesa - a livello di Commissione bilaterale - sul testo dell’Accordo globale tra Santa Sede e Stato di Palestina - ancora da firmare dalle rispettive autorità - e le canonizzazioni di domenica “sono indipendenti” e quindi i due eventi non possono essere messi in relazione. Le canonizzazioni, ha aggiunto padre Lombardi, saranno seguite via satellite anche in diverse località dello Stato di Palestina, dove - ha spiegato padre Bader - i cristiani sono il 2% della società. Sul significato della canonizzazione delle due religiose per tutta la Terra Santa, ascoltiamo padre Rifat Bader:

R. - Gesù Cristo è venuto in questa terra, gli apostoli vivevano qui con Gesù: allora è normale avere dei nuovi santi. È veramente una benedizione di Dio per tutti gli uomini della Terra Santa. Per la Palestina, è un atto di incoraggiamento del Santo Padre verso questa terra che soffre, in una regione sempre “infuocata”. Ma speriamo che questa canonizzazione possa essere un incoraggiamento di fede per i cristiani e un segno di speranza per tutti i cittadini.

D. - Sono originarie della Terra Santa: ma come possiamo definirle?

R. - Sono suore, consacrate, ma sono anche cittadine di una terra che storicamente si chiama Palestina. Adesso Terra Santa significa anche “due popoli”. Noi arabi, palestinesi, giordani, riconosciamo queste sante come frutto della civiltà araba-cristiana, che è qui da tanti anni. È davvero una speranza per i palestinesi, perché loro soffrono tantissimo. Questa speranza - anche con la presenza in Piazza San Pietro del presidente Mahmoud Abbas dopodomani - sarà pure un incoraggiamento per i palestinesi, affinché possano avere il loro Stato libero. Ma questa non è una festa politica, è una festa spirituale, di fede, per i cristiani prima di tutto, ma anche per tutti i cittadini della regione, affinché abbiano sempre quell’umiltà e quella semplicità con la quale queste sante vivevano, mai con la forza o con le armi.

D. - Madre Maria Alfonsina è la fondatrice delle Suore del Rosario, che è l’unica congregazione autoctona di Terra Santa, ancora oggi fortemente presente. Chi era e qual è l’insegnamento che ha lasciato?

R. - Maria Alfonsina, seguendo la volontà della Vergine Maria, ha fondato questa congregazione. È una presenza veramente grandiosa adesso, soprattutto nel campo dell’educazione, con tante scuole in Giordania, in Palestina, in Israele, in Libano. E’ una missione educativa per i musulmani e per i cristiani, perché la loro scuola è aperta a tutti i cittadini, senza discriminazione. Questo è anche un esempio di dialogo per dire che noi siamo sempre aperti a dare un servizio educativo, positivo alle nostre società arabe.

D. - Questa congregazione è rivolta alle donne arabe. Dal punto di vista della promozione della donna, che esempio ha dato?

R. - Ai tempi di questa santa, la donna era messa ai margini della società. Parliamo dunque di un coraggio veramente straordinario. Alla fine si è scoperto che la Vergine Maria aveva chiesto a questa suora di fondare la congregazione.

D. - Parliamo di suor Mariam di Gesù Crocifisso, carmelitana scalza: che esempio ha dato?

R. - Era una donna analfabeta che ha capito che la forza di Dio passa dall’umiltà, dalla semplicità evangelica. Ma si può parlare di questa suora come esempio della gente che soffre a causa dell’estremismo: un giovane voleva farle cambiare religione, lei si rifiutò e questo ragazzo provò ad ucciderla. Ma la Madonna, la Vergine Maria, l’ha sempre slavata. Questo è un esempio della sofferenza che abbiamo anche nella religione del Medio Oriente. Soffriamo ancora a causa dell’estremismo, ma speriamo che le religioni siano sempre un segno di riconciliazione e di pace. La religione non deve mai essere usata per la violenza: è un esempio di semplicità, di umiltà e di pace.

D. - In piazza con lei e con la folta comunità di Terra Santa domenica ci sarà anche il presidente palestinese Abbas, come ha anticipato. Lo ricordiamo per esempio nella preghiera per la pace in Medio Oriente a giugno dell’anno scorso con Papa Francesco: c’era anche il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, e l’ex presidente israeliano Shimon Peres. Che esempio ne può nascere per il dialogo in questo momento?

R. - Non soltanto in Terra Santa, fra palestinesi e israeliani, ma per tutto il Medio Oriente, in Siria, in Iraq, in tutti gli altri Paesi, abbiamo bisogno della riconciliazione e della preghiera. Queste due sante ci danno veramente questo coraggio.

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Il card. Tagle è il nuovo presidente di Caritas Internationalis

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L’assemblea di Caritas internationalis, in corso a Roma, ha eletto come nuovo presidente il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila. Succede al cardinale honduregno Rodriguez Maradiaga. All’assemblea, che si svolge sul tema “Una sola famiglia umana: prendersi cura del Creato”, partecipa anche il teologo peruviano Gustavo Gutierrez. Il sacerdote ha spiegato che la nozione centrale della teologia della liberazione è quella dell’opzione preferenziale per i poveri: si tratta – ha detto – di vedere l'importanza dei poveri nella Chiesa. Ascoltiamo il teologo al microfono di Stefano Leszczynski

R. – Abbiamo coscienza che sia un fatto molto importante. E questo ora lo sappiamo meglio rispetto al passato. Allo stesso tempo anche la teologia ha dato un contributo per comprendere che questa lotta è una lotta per la giustizia e la giustizia è al centro del messaggio cristiano.

D. – La questione ambientale e la questione della povertà, come si legano tra di loro?

R. – L’incontro è in realtà molto complicato, perché coinvolge la questione della morte e la questione della vita: l’ultimo significato della povertà è la morte, una morte prematura, una morte ingiusta; e anche il cambiamento climatico, in questa stessa prospettiva, comprende la vita e la morte. La mia risposta in questo momento è certamente teologica. Ma è molto importante che siano in relazione, perché la questione è globale.

D. – Lei ha detto che l’opzione preferenziale per i poveri rappresenta il 90 per cento della teologia della liberazione: oggi che significato assume la teologia della liberazione?

R. – Lo stesso! Ricordare che il primato dei poveri è missione della Chiesa: questa decisione di solidarietà con i poveri. Papa Francesco ripete questo, sempre!

D. – Ma è qualcosa che deve rimanere nell’ambito della Chiesa o deve toccare tutta la società, anche la società civile e politica?

R. – Tutti i valori importanti del messaggio cristiano sono umani: quindi, sì! L’amore è umano, la giustizia e il rispetto per gli altri sono umani… Tutto questo non è proprietà privata della Chiesa! E’ molto umano. Ma Gesù è molto umano!

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Il "Treno dei Bambini" torna dal Papa il 30 maggio

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Sabato 30 maggio approderà da Papa Francesco il nuovo “Treno dei Bambini”, organizzato ogni anno dal “Cortile dei Gentili” e rivolto a bambini coinvolti, loro malgrado, in situazioni disagiate. Quest’anno, il treno messo a disposizione per la terza volta dalle Ferrovie dello Stato, arriverà nella stazione del Vaticano con a bordo i figli e le figlie di detenuti e detenute provenienti da Roma, Civitavecchia, Latina, Bari e Trani.

Quest’anno il Cortile dei Bambini ha scelto come tema quello del “Volo”, perché vuole offrire ai più piccoli che vivono con le loro madri una quotidianità fatta di carcere e allontanamento dagli altri  fratelli e a quelli che vivono la separazione dalla loro mamma detenuta, una giornata per “volare via” ed evadere con la fantasia dalla realtà con cui sono costretti a fare i conti.

Il treno raggiungerà la stazione del Vaticano intorno alle 10.40 e i piccoli con i loro accompagnatori raggiungeranno la sala «Nervi» dove a mezzogiorno  in punto accoglieranno Papa Francesco con tanti aquiloni colorati, sempre per rimanere coerenti al tema del “Volo”, che come scrive il cardinale Gianfranco Ravasi, è il «simbolo dei possibili passaggi tra l’interno del carcere, dove vivono le mamme e l’esterno dove stanno i figli».

Il Cortile dei Gentili ringrazia il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, Ladisa  S.p.A. e Ferrero S.p.A. che anche  quest’anno hanno permesso “di fornire ai più fragili della società gli strumenti culturali, alternativa al disagio sociale che vivono, e di regalargli, sul piano  pedagogico, l’incontro e il confronto con il cambiamento”.

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Emozione tra i poveri per il concerto in Aula Paolo VI

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Grande emozione ieri pomeriggio in Aula Paolo VI per i duemila poveri che hanno partecipato al concerto per le opere di carità di Papa Francesco. E’ stato il maestro Daniel Oren a dirigere l’Orchestra Filarmonica Salernitana e il Coro della Diocesi di Roma in un particolare omaggio a Dante nei 750 anni dalla sua nascita. C’era per noi Benedetta Capelli

La musica intensa accarezza le vite ferite dei duemila poveri che affollano l’Aula Paolo VI. Profughi, senza tetto, disabili sono in prima fila perché per loro Papa Francesco ha voluto questo particolare omaggio a 750 anni dalla nascita di Dante. La poesia ed i personaggi del sommo poeta come Ulisse, Francesca da Rimini e Beatrice guidano le scelte musicali. E’ la rappresentazione del cammino dell’uomo: dalla selva oscura del peccato fino alla grazia dell’incontro con Dio. E’ la stessa strada percorsa dai tanti che sono lì seduti, rapiti dalla bacchetta del maestro Daniel Oren e dall’interpretazione del coro della diocesi di Roma guidato da mons. Marco Frisina. Mons. Diego Ravelli, capoufficio dell’Elemosineria Apostolica:

R. - Questa iniziativa è una nota di carità che semina speranza, gioia nel cuore di tutti. I poveri siamo ciascuno di noi. Nel pentagramma della vita, la sinfonia, la nota, l’armonia più bella è quella della carità. È solo questa la musica che sa cambiare il cuore di tutti e rinnovarci nel profondo. L’impegno è costante; tra quello che facciamo nel nostro ufficio, quindi la carità silenziosa, fatta di piccoli gesti che dicono l’amore del Papa e poi anche queste iniziative che - come ha detto proprio Papa Francesco nella Cappella Sistina - vogliono esser semplicemente una carezza. E tante volte la carezza è davvero quel gesto capace di dare gioia e speranza.

Tra i settemila presenti, i poveri si riconoscono dal sorriso che rivolgono a chi li accompagna al posto d’onore, a chi li ha portati lì, idealmente a Papa Francesco. Le difficoltà di ogni giorno svaniscono appena le luci si fanno più basse e la musica cresce. E’ un regalo davvero inatteso quello che hanno appena ricevuto:

R. - Io mi chiamo Omar e vengo dalla Somalia. Sono arrivato qui nel 2003 con i barconi. Eravamo 15 persone. Siamo stati quasi sei giorni nel Mediterraneo senza benzina, senza acqua, senza niente da mangiare. Una nave cargo che è passata ha notato che eravamo in difficoltà e ha chiamato la guardia costiera italiana che ci ha accompagnato fino a Lampedusa. Prima lavoravo, ero a Pordenone, ho lavorato per Electrolux. Si stava bene ma l’azienda ha fallito e ho perso il lavoro. Mi sono trasferito qui a Roma e ho vissuto con grandi difficoltà perché non avevo niente. Ero in strada. Poi ho trovato una famiglia che si chiama “Caritas” e loro mi hanno accolto, mi hanno messo nelle loro strutture e adesso vivo bene con loro. Adesso è la mia famiglia.

R. - Io mi chiamo Roberto.

D. – Hai questa bella maglia con scritto “Siamo una delle famiglie che prega per te”…

R. - E’ una delle maglie che regalano a Papa Francesco, che lui ci regala qui, alle docce che ha fatto sotto il Colonnato di San Pietro. Io sono un abitué e quando non lavoro do una mano come volontario perché anche se vivo per strada mi diverte dare una mano agli altri.

D. - Qual è la tua storia?

R. - Dopo la morte di mia madre mi sono anche allontanato un po’ dalla Chiesa. Dal ’97 ho cominciato a fare questa vita, ho ascoltato gente che non dovevo ascoltare e ho avuto un po’ di problemi con la giustizia… Non ho mai rubato, non sono mai stato in galera. Dal 2000 son qui a Roma.

D. – Papa Francesco ha pensato ai poveri per questo concerto, per la visita in Sistina, per le docce… Cosa pensi di lui?

R. – Io l’ho incontrato proprio nella cappella Sistina. Non so come raccontarlo perché bisogna proprio esserci. Quando ci ha fatto la sorpresa di venire e di parlarci sentivo che lui era quasi più emozionato di noi a parlare e si sentiva che aveva un nodo alla gola … Per me non è un Papa, è uno di noi.

D. – Oggi come vivi, sei in strada?

R. - Sì, dormo qui vicino alle mura. Ogni tanto ho qualche lavoretto che un’amica, che mi aiuta da 7 anni, mi ha procurato. Lavoro in un parco giochi a Villa Ada. Non prendo tanto però ho il necessario per vivere e per aiutare un amico che dorme vicino a me.

D. – Oggi cosa ti aspetti dalla tua vita, cosa chiedi alla tua vita?

R. – Non chiedo tanto. Avere un piccolo lavoro, una stanza dove la sera quando finisco di lavorare posso ritirarmi, guardare la televisione, mangiare qualcosa. Questo. Non bevo dal 1979 e sto bene. Vedo gli altri che bevono e non risolvono niente.

Accanto ai poveri ci sono le persone che ogni giorno condividono le loro fatiche. Sono i volontari della Caritas, della Comunità di Sant’Egidio, dell’Ordine di Malta e tanti altri. Claudio gestisce due case famiglia: “La Gabbianella” di Roma e “La Coccinella” di Velletri. Accompagna 14 disabili  al concerto in Aula Nervi:

R. - Questo è innovativo rispetto al passato ed è rivolto proprio agli umili, ai più poveri. È un gesto bello.

D. - I suoi ospiti chiedono di Papa Francesco?

R. - Sì, uno in particolare; si chiama Andrea: lo chiama in continuazione.

D. - Per fare un lavoro come il vostro, che motivazione devi avere?

R. - Per fare un lavoro come il nostro, la motivazione deve essere profonda. È un lavoro particolare e anche in questo periodo di crisi noi continuiamo a lavorare. Ad esempio nella casa famiglia di Velletri non percepiamo stipendio, non percepiamo ancora la liquidazione da parte della Regione. La motivazione è forte per continuare a portare avanti questo progetto.

D. - E non abbandonare queste persone che hanno bisogno …

R. - Non in questo momento, anche se ne hanno tanto bisogno; persone che non hanno più parenti, genitori, … soli. Da quasi dieci anni vivono in questa casa ed ora non si sa quale sarà il loro futuro. noi stiamo lottando per restare aperti.

Annamaria presta il suo servizio nella Comunità Matteo XXV di Roma, è in Aula Paolo VI con i molti poveri che aiuta:

R. - Oggi ce ne sono più di cento. Ce ne dovrebbero essere 150. La domenica ce ne sono moltissimi; 150 donne e gli altri sono tutti uomini. La mattina entrano, fanno la doccia, fanno colazione, hanno i panni puliti, si cambiano, poi c’è la Messa cattolica alla quale partecipano anche gli ortodossi. Ma in chiesa da noi entrano anche i musulmani; ci diamo la mano per scambiarci la pace. Da noi è così, tutti entrano senza discriminazione, senza divisioni. Poi c’è il pranzo. In inverno facciamo un doppio turno.

D. - Questo invito per il concerto come è stato accolto?

R. - Benissimo. Noi eravamo tutti entusiasti da subito, anche i poveri; quelli che indossano il cappellino sono tutti nostri. Qualcuno magari non ce l’ha ma ce ne sono molti! C’è molto entusiasmo.

“Voi per noi non siete un peso. Siete la ricchezza senza la quale i nostri tentativi di scoprire il volto del Signore sono vani”. E’ la frase del Papa stampata sul libretto del concerto, parole che Pino sente particolarmente sue:

R. - Non è solo lui a farci sorprese, siamo anche noi che le facciamo a Papa Francesco. Lui ci chiama a dovere, ci ha fatto ritornare in Chiesa. Come si dice? “La Chiesa è povera” e lui va d’accordo con i poveri, lo fa capire a tutti i costi.

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Pompili nuovo vescovo di Rieti, Nolè arcivescovo di Cosenza

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Papa Francesco ha nominato nuovo vescovo di Rieti mons. Domenico Pompili, del clero della diocesi di Anagni-Alatri, sotto-segretario della Conferenza Episcopale Italiana e direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali. Succede a mons. Delio Lucarelli, che lascia per raggiunti limiti di età.

Mons. Domenico Pompili è nato a Roma il 21 maggio 1963 ed è stato ordinato sacerdote il 6 agosto 1988 per la diocesi di Anagni-Alatri. Ha conseguito la Licenza (1990) e il Dottorato (2001) in Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma. Dopo l’ordinazione presbiterale, dal 1988 al 1999 ha svolto dapprima il ministero nella diocesi di Anagni-Alatri in qualità di Segretario particolare del Vescovo e Direttore dell'Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali. È stato contestualmente Parroco a Vallepietra (Rm). Dal 2000 al 2006 ha svolto il ruolo di Vicario Episcopale per la pastorale, continuando ad essere Direttore dell’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali e Assistente unitario dell’Azione Cattolica diocesana. Inoltre è stato Parroco nella Concattedrale di Alatri (2000-2005). Nell’ottobre 2005 è stato nominato Aiutante di Studio della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana, con incarichi presso Sat 2000 e Radio in-Blu. Dal 2007 è Direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana e, dal 2009, è Sotto-Segretario della stessa. Inoltre è Segretario della Fondazione Comunicazione e Cultura, Membro del Consiglio di Amministrazione del quotidiano Avvenire, Docente Incaricato di Teologia Morale presso l'Istituto Teologico Leoniano di Anagni, dove insegna dal 1990.

Sempre in Italia, il Papa ha nominato nuovo arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano mons. Francescantonio Nolè, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, finora vescovo di Tursi-Lagonegro. Succede a mons. Salvatore Nunnari, che rinuncia per raggiunti limiti di età.

Mons. Francescantonio Nolè è nato a Potenza il 9 giugno 1948. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali a Ravello nel 1959, ha frequentato la scuola media nel Seminario dell’Ordine prima a Ravello e poi a Nocera Inferiore. Ha frequentato gli studi ginnasiali a Portici e dopo l’anno di Noviziato ha proseguito gli studi liceali a S. Anastasia. Inviato quindi a Roma al Collegio internazionale “Seraphicum” per gli studi filosofico-teologici, vi ha conseguito il Baccalaureato. Nella Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale, Sezione S. Luigi – Posillipo, ha ottenuto la Licenza in Teologia Morale. Infine ha conseguito la Laurea in Pedagogia all’Università di Cassino. Ha emesso la professione solenne il 1° novembre 1971. È stato ordinato sacerdote il 2 settembre 1973.

Ha ricoperto i seguenti uffici e ministeri: Rettore del Seminario minore dei Frati Minori Conventuali di Nocera Inferiore (1973-1976); Rettore del Seminario Minore di Benevento (1976-1982 e 1991-1992); Parroco e Cappellano della Scuola Agenti di Custodia a Portici (1983-1991); Direttore del Centro Missionario Nazionale dei Frati Minori Conventuali (1992-1994); Ministro Provinciale della Provincia religiosa di Napoli (1994-2000). È stato inoltre: Assistente ecclesiastico della FUCI di Benevento; Assistente ecclesiastico della Gioventù francescana, dei Gruppi famiglia e dei Medici Cattolici di Nocera-Sarno; Docente di Lettere e di Psicologia della Vita religiosa nel Seminario di Benevento; Docente di Teologia Morale negli Istituti Superiori di Scienze Religiose di Napoli e Capua; Docente di Religione nell’Istituto Magistrale di Benevento. Ha tenuto conferenze, esercizi spirituali e missioni, oltre ad aver collaborato a varie pubblicazioni e riviste. Il 4 novembre 2000 è stato eletto alla sede vescovile di Tursi-Lagonegro e ordinato vescovo il 10 dicembre successivo. In seno alla Conferenza Episcopale Italiana è Membro della Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata.

 

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Altre udienze di Papa Francesco

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Il Papa ha ricevuto stamani il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; e il Signor Daniel Ramada Piendibene, Ambasciatore dell’Uruguay, in visita di congedo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Come si risponde all'odio e alla violenza: ai vescovi della Repubblica Centroafricana il Papa indica la strada del perdono e della riconciliazione.

Senza paura: messa a Santa Marta.

Arditi filologi: Antonio Paolucci sui cataloghi della Galleria palatina.

Felice Accrocca sul frate che sussurrava ai cavalli: cinquecento anni fa nasceva Felice Porri da Cantalice.

Da Pippicalzelunghe agli orrori della guerra: Gabriele Nicolò sui diari di Astrid Lindgren.

Il sogno diventato realtà: il cardinale Timothy Michael Dolan a cinquant'anni dalla "Nostra aetate".

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Oggi in Primo Piano



Caos in Burundi. Un missionario: siamo stanchi, vogliamo la pace

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Caos in Burundi, dove i ribelli dell’ex capo dei servizi segreti Niyombare che hanno tentato il golpe contro il presidente Nkurunziza, si sono arresi dopo 24 ore di scontri e decine tra morti e feriti. Almeno due gli ufficiali arrestati, mentre sono riprese le manifestazioni dell’opposizione. Tra la gente c’è il panico per le ripercussioni che potrebbero scattare: sono già 105 mila, secondo l’Onu, i profughi rifugiatisi nei Paesi vicini. Atteso il discorso del presidente Nkurunziza. La testimonianza del padre saveriano Claudio Marano, raggiunto telefonicamente a Bujumbura da Gabriella Ceraso: 

R. - E’ un guaio molto grosso, speriamo che il presidente riesca ad attirare l’attenzione e a dare risposte. Così senz’altro non si può andare avanti, nel senso che le manifestazioni non sono manifestazioni, sono distruzioni che danno poi la possibilità alla polizia di intervenire e sparano con le pallottole "normali"; quindi morti, feriti, arresti, macchine bruciate…

D. – Cosa pensa sia necessario? Che la comunità internazionale medi per un dialogo?

R. – Il Burundi da solo non ci arriverà mai. La comunità internazionale deve assolutamente mettersi insieme, perché se gli americani dicono una cosa, se la comunità europea ne dice un’altra, se l’Onu ne dice un’altra ancora, se l’Unione Africana ne tira fuori un’altra, è una cosa impressionante! Chiedono al Burundi di mettersi insieme, ma loro non si mettono insieme!

D. – La gente nel frattempo come vive?

R. – Nella disgrazia più assoluta. La gente non riesce a trovare da mangiare, non riesce ad andare a lavorare, non riesce ad andare a scuola, non riesce a curarsi. Già il Burundi è uno dei Paesi più poveri del mondo. In questa situazione per la gente è una catastrofe.

D. – Il golpe almeno da come lo vede lei, è un’esperienza totalmente chiusa? Che segno ha lasciato?

R. – Una grande paura, perché adesso è il "momento di passare ai massacri", nel senso che i quartieri che hanno protestato probabilmente subiranno restrizioni enormi.

D. – Qual è stato lo spirito con cui la gente ha assistito a questo colpo di Stato?

R. – Il Burundi è due cose: il Burundi è la città di Bujumbura, il Burundi è l’interno del Paese. Questo è molto chiaro. L’interno del Paese è in mano al Cndd, il partito del presidente, ed è manipolato come vogliono dal partito al potere. A Bujumbura non è così; è una città, è la capitale dove tutta la gente studia, la gente si interessa, dove insomma c’è la possibilità di parlare. La città era veramente festosa, festante per questa situazione di cambiamento, perché l’unica cosa che si chiede è questo, riuscire a rimettere il Paese in ordine! Chiaramente non si fa questo passando da una violenza all’altra, è logico, però penso che molti sono delusi da questa situazione. Aspettiamo veramente che presidente faccia qualcosa di positivo.

D. – La speranza che ci possa essere per le elezioni una voce alternativa ad Nkurunziza sussiste o no?

R. – No, Nkurunziza non accetterà mai lasciare il potere. Speriamo che lo Spirito intervenga là dove l’uomo non può intervenire!

D. – Padre, vuole fare un appello per il Paese, per la gente in base a quello che il suo cuore le detta in questo momento?

R. – Chiederei a tutti di aiutarci a vivere in pace; cerchiamo di fare qualcosa che sia veramente estremamente positivo per riuscire a mettere tutti insieme. Il dialogo è una cosa straordinaria; bisogna assolutamente rimetterlo in auge e cercare di vedere dove fino ad ora la cosa non ha funzionato, perché sono 60 anni che il Burundi passa dai massacri, alle dittature, alle guerre,… non è possibile: bisogna cambiare qualcosa. Aiutateci soprattutto a vivere in pace. Questa è la cosa essenziale.

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Medio Oriente: Netanyahu ottiene la fiducia. Mahmoud Abbas dal Papa

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Attesa per l’incontro di domani in Vaticano tra Papa Francesco e il presidente palestinese Mahmoud Abbas, intanto in Israele il nuovo governo di Benyamin Netanyahu ha ottenuto la fiducia alla Knesset ma con una maggioranza di appena 61 voti a favore e 59 contrari. Per placare gli animi Netanyahu ha detto che punterà ad una riforma istituzionale che consenta al Paese una maggiore governabilità. “Non è un governo, è un circo” tuona Isaac Herzog, leader dell’opposizione laburista. Ma allo stato dei fatti, esiste la possibilità perché la coalizione - composta da ben cinque liste, tutte di destra - riesca a tenere? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Giorgio Bernardelli esperto dell’area: 

R. – E’ un governo debole ed è una debolezza frutto del modo in cui Benjamin Netanyahu ha vinto le elezioni: con un grosso successo personale avuto, però, a discapito sostanzialmente dei suoi alleati, dei partiti minori della destra, che sono i suoi naturali alleati. Questi hanno fatto sostanzialmente pagare il conto nel momento della formazione del governo: il risultato è, appunto, questa maggioranza estremamente risicata.

D. – Netanyahu ha messo le mani avanti e ha detto che cercherà di allargare la base della coalizione che punterà poi ad una riforma istituzionale che consenta maggiore governabilità. Però ha incontrato subito lo stop del leader del partito laburista, che non sembra essere molto disponibile in questo senso…

R. – Credo che sia sostanzialmente solo una possibilità perché questa strada – di un governo di unità nazionale - oggi abbia una qualche possibilità di vedersi realizzata e cioè l’uscita di scena di Netanyahu come capo del governo. Forse con un altro esponente del Likud l’Unione sionista potrebbe accettare, ma non certamente oggi, di andare a sostenere una maggioranza debolissima come quella che sta guidando Benjamin Netanyahu.

D. – Tra l’altro Netanyahu, oltre alla carica di premier, manterrà anche il dicastero degli Esteri. Pensando alla crisi nell’area, ma anche alla politica estera di Israele, come leggere questo fatto?

R. – E’ da leggere più in chiave di politica interna che di politica internazionale e dei rapporti con i palestinesi. Netanyahu vuole tenersi aperta una carta, vuole in qualche modo avere un ministero importante da spendere, ma nel programma di questo governo non c’è alcun riferimento – ad esempio – al negoziato con i palestinesi. E’ proprio un tema espulso dall’agenda! Il rischio di questo governo - con numeri davvero molto risicati, ma molto compatto da un punto di vista ideologico – è che nelle prossime settimane ci siano dei tentativi di colpi di mano, soprattutto sulla questione degli insediamenti. Io mi aspetto nelle prossime settimane un fiorire di gare, di bandi, di costruzioni nella Cisgiordania… Questo, però, ovviamente creerà nuovi attriti con la comunità internazionale, portando Israele in una posizione di isolamento ancora più forte.

D. – Domani il presidente palestinese Mahmoud Abbas incontrerà in Vaticano Papa Francesco, che ovviamente continua il suo forte impegno per la pace. Che cosa ci si aspetta da questa visita?

R.  – Certamente è un segno importante, anche perché segue alla svolta di questi ultimi giorni con la conclusione del negoziato sull’accordo bilaterale con lo Stato della Palestina, che da un punto di vista diplomatico è comunque un’indicazione chiara della volontà della Santa Sede di continuare, invece, a sostenere quella prospettiva della soluzione dei "due popoli, due Stati" al conflitto israelo-palestinese. Detto questo, però, io credo che vada sottolineato soprattutto il legame tra questo incontro e l’evento di domenica della canonizzazione delle due sante palestinesi, perché dice anche un po’ la strada che la Santa Sede sta percorrendo rispetto a questa questione dello Stato palestinese: la Santa Sede sostiene non un qualsiasi Stato palestinese, ma uno Stato palestinese che riconosca pienamente il diritto alla libertà religiosa e primariamente anche la possibilità per le comunità cristiane di vivere in libertà all’interno di questo contesto.

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Italia fanalino di coda in Europa per le politiche familiari

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Le politiche familiari continuano ad essere marginali in Italia: un punto per cento in meno di Pil rispetto agli altri paesi europei. Per questo, nella giornata internazionale della famiglia, il Forum chiede una netta inversione di tendenza. Anche il presidente Mattarella, in un messaggio, auspica che questo istituto sia "posto al centro delle politiche sociali", perché "fornisce un contributo decisivo”. Alessandro Guarasci: 

Spesso molto proclamata, ma nei fatti poco difesa. E’ da anni che la famiglia vive un momento difficile. C’è chi vorrebbe includere in questo istituto unioni tra persone dello stesso sesso, dimenticando che invece esso nasce dall’incontro tra un uomo e una donna. Ma anche la famiglia tradizionale non gode di ottima salute, come dice il presidente del Forum delle Associazioni Familiari Francesco Belletti:

“Abbiamo un debito di politiche familiari molto grave nel Paese. Ci manca un punto di Pil sulle politiche per la famiglia e per l’infanzia. In Europa siamo al 2,2 per cento e noi siamo all’1,4. Vuol dire 15-17 miliardi che potrebbero essere investiti sull’equità fiscale, sul sostegno alle famiglie giovani e sui bambini. Di questo probabilmente il Paese dovrebbe rendersene conto. Quindi noi facendo una giornata sull’alleanza tra le generazioni vogliamo mettere proprio a tema questo”.

Il governo però promette di ridisegnare il welfare familiare. Il bonus bebè è un primo passo. Ora, compatibilmente con i conti pubblici, pensiamo al quoziente famiglia, dice il sottosegretario al Welfare Franca Biondelli:

“Questo è un orizzonte da perseguire. In ogni legge di stabilità e anche in questa ci sarà sicuramente una particolare attenzione. Gli incontri di questa settimana col dipartimento della famiglia stanno a indicare questa volontà. E’ un valore aggiunto e forse in questi ultimi anni forse ci siamo un po’ dimenticati”.

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Consulta ammette diagnosi preimpianto. Gambino: è selezione genetica

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E’ illegittima la legge che vieta l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili, ma portatrici di patologie genetiche. E’ questa, secondo indiscrezioni riprese da fonti di stampa, la decisione presa dalla Corte Costituzionale in merito alla norma inserita nella legge 40 sulla procreazione assistita. Il pronunciamento si riferisce a due procedimenti avviati da due coppie portatrici di anomalie genetiche. Ora bisogna attendere le motivazioni della sentenza. Su questo provvedimento della Consulta, Amedeo Lomonaco ha chiesto un commento al giurista Alberto Gambino: 

R. – Si dice che ci sono alcune coppie che tecnicamente possono procreare, ma poiché hanno delle patologie genetiche che sono trasmissibili ai figli, in questo caso avrebbero una sorta di "sterilità sociale", non biologica. Quindi, per queste coppie, ci si pone il problema se anziché concepire naturalmente - con la possibilità che il feto abbia queste patologie e la coppia poi possa ricorrere un domani all’interruzione della gravidanza – queste coppie si possano considerare come quelle affette da sterilità e quindi consentire loro l’accesso alle tecniche di fondazione e a questo punto, di conseguenza, ammettere questa cosiddetta diagnosi preimpianto che può monitorare lo stato di salute dell’embrione.

D. – Quali derive può aprire questa diagnosi preimpianto?

R. – Derive di due tipi. Occorre intanto fare attenzione che la diagnosi preimpianto non vada comunque a menomare l’embrione. Bisogna poi capire cosa poi comporta come conseguenze, perché - ahimè - la possibilità di rilevare patologie sono infinite, ma non è detto affatto che queste si riverberino poi sul feto e sul bambino una volta nato. Ci sono tantissimi casi di piccole patologie. A cosa possano poi condurre? Al rifiuto di quell’embrione?

D. – Questa è un decisone figlia di una società che tende a creare nuovamente e continuamente pseudo diritti. Dopo quello ad avere comunque un figlio, si vuole aggiungere anche questo: avere un figlio sano...

R. – Questo in realtà, già per gran parte è stato superato dalla legge 194: con una legge che consente l’interruzione della gravidanza, soprattutto dopo il terzo mese dove ci sono delle lesioni psico-fisiche della donna provocate anche dalle patrologie che può avere il feto. Già in quella legge c’era questo bilanciamento che sacrificava la vita umana in nome di una “perfezione” che in quel caso poteva non esserci. Quindi la legge 40 inevitabilmente si confronta con quella legge 194 e sembrerebbe che oggi i giudici costituzionali abbiano trovato una via d’uscita che però, evidentemente, significa l’eliminazione di quell’embrione che non ha tutte le qualità biologiche come dovrebbe essere.

D.  – Dopo questo ulteriore passaggio la legge 40 è demolita o il suo impianto generale resta in parte ancora coerente?

R. – La Legge 40 aveva un’altra impostazione; non era un assegnare dei diritti ad avere dei figli, ma piuttosto voleva rimuovere alcuni ostacoli per chi questi figli non li poteva avere. Invece, soprattutto con l’apertura alla fecondazione eterologa che significa avere un figlio geneticamente non proprio, si apre la possibilità anche di scegliere i figli attraverso, a questo punto, la diagnosi preimpianto. Qui il tema è delicatissimo perché rischiamo di aprire ad una selezione anche di quelli che sono i tratti genetici dei figli, l’intelligenza e tutta una serie di riferimenti. Davvero, non vorremmo fosse così.

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A Roma un incontro che guarda al Convegno ecclesiale di Firenze

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“Il Servo del Signore e l’umanità degli uomini”. Questo il titolo del convegno a Roma e promosso dal gruppo Abele e dalla rivista "Il Regno", in collaborazione con Azione cattolica italiana, Caritas italiana, Cnca, Reti della carità e Movimento dei Focolari, in vista del V Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana, che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre prossimo e avrà come tema “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”. Il servizio di Elvira Ragosta

Trasformare gli umanesimi negati in umanesimi riusciti, partendo dal Vangelo. È la sfida del Convegno ecclesiale di Firenze, cui parteciperà anche Papa Francesco, dopo una preliminare tappa a Prato. “Il Papa - ricorda mons. Galantino - ci ha insegnato che il Vangelo è vero ed è possibile, per questo bisogna uscire, annunciare il volto autentico di Dio, abitare il mondo in cui viviamo con condivisione piena ed educare i giovani, molti dei quali sono oggi condannati ad un autismo culturale”. Il commento di mons. Nunzio Galantino:

"Mi auguro che i protagonisti di questo convegno non siano solamente le associazioni cattoliche, ma che siano tutti coloro i quali intanto impattano con tante forme di umanesimo negato e che quindi abbiano voglia di dare il loro contributo perché questi umanesimi negati possano diventare umanesimi riusciti".

Verso il Convegno di Firenze partendo dai poveri è l’esortazione del fondatore del gruppo Abele, don Luigi Ciotti:

"Dobbiamo ribadire con forza che nella storia di chi fa più fatica la povertà materiale, ma anche quella spirituale, quella di senso, di significato, dobbiamo essere capaci di andare incontro alle persone e di riconoscere questo volto di Dio, questo umanesimo. Poi qui stiamo anche incontrando la storia di chi fa più fatica con la situazione di marginalità, le situazioni più estreme, che chiede alla Chiesa di fare la propria parte come continua a fare, però vogliamo anche lottare perché si affermino veramente la dignità, i diritti, la giustizia per le persone".

"Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo", questo il titolo dell’intervento della teologa Serena Noceti, che ha partecipato alla prima giornata del convegno romano:

"Il titolo è tratto dalla Lettera ai Filippesi, al capitolo due, ed apre quel famoso inno cristologico che ci presenta la vicenda, le scelte, le opzioni fondamentali di Gesù, la sua scelta di svuotare se stesso, di abbassarsi, di assumere il posto e il contesto, la condizione di coloro che vivono nel limite senza diritti. È una presentazione di quale sia il volto di Dio, il volto dell’uomo che critica ini maniera radicale ogni narcisismo, ogni pretesa di vincere, di affermarsi, di realizzarsi attraverso una forma di dominio sull’altro e sugli altri".

 

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi europei-islam: questione centrale la libertà di coscienza

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Accompagnare il processo di integrazione dell’Islam in Europa perché sia in grado di far propri i valori fondamentali che fondano le civiltà europee, a partire dal rispetto per la libertà di coscienza che è una “questione centrale”. È questa la grande “sfida” e il compito che la Chiesa cattolica europea vuole assumersi. È don Andrea Pacini, esperto di dialogo con l’islam e coordinatore per il Ccee di questa rete, a tracciare le conclusioni dell’incontro su Islam e radicalizzazione, che ha riunito in Svizzera dal 13 al 15 maggio, 35 vescovi e delegati delle conferenze episcopali europee. 

Islam in Europa: tra chiusure e dialogo
“Ci sono in atto all’interno dell’islam europeo almeno due grandi tendenze - spiega don Pacini -: una tendenza che è di tipo neo-tradizionale ed ha maggiori difficoltà ad aprirsi ad una relazione di integrazione nel contesto europeo, senza con questo essere violento. Un’altra tendenza altrettanto importante anche se meno organizzata ma che comincia ad esprimersi, è invece persuasa della necessità di una apertura ad un dialogo che porti ad una integrazione all’interno dell’islam di valori fondamentali come la libertà di coscienza e più in generale il recupero di una dimensione di libertà nella sfera religiosa personale e comunitaria. La grande questione è vedere come queste due tendenze evolveranno”.

Chiesa deve accompagnare il processo d'integrazione
“Come Chiesa cattolica - ha quindi detto l’esperto del Ccee - siamo persuasi di non poter pensare o agire ovviamente al posto dei musulmani. Quello che è e sarà l’islam è compito loro. Compito nostro è accompagnare in maniera attiva ed efficace questo dibattito di integrazione rendendoci disponibili all’ascolto, al dialogo, all’interazione in un atteggiamento di prossimità che nello stesso tempo propone quei valori fondamentali che permettono di vivere in maniera pacifica e fruttuosa la convivenza e tra questi la libertà di coscienza è certamente una questione centrale”. 

Una comunità religiosa, sicura della sua fede, non ha paura dell'altro
Un punto su cui si è molto insistito qui in Svizzera è l’importanza della formazione religiosa “per educare le nostre rispettive comunità di fedeli ad una relazione che non sia timorosa dell’altro. Una comunità religiosa che è serenamente consapevole di se stessa, non ha bisogno di vedere nell’altro un nemico per essere un nemico”.

Non tutti i musulmani condividono una lettura radicale dell'islam
E sulla paura per l’Islam, don Pacini ha detto: “Non possiamo negare che fenomeni di radicalismo violento stiano avvenendo all’interno dell’islam. Quello che sta avvenendo nei Paesi del Nord Africa e talora anche in Europa, è una preoccupazione giustificata. Nello stesso tempo bisogna anche essere consapevoli del fatto che in Europa già abitano da molti decenni circa 20 milioni di musulmani e circa 2 milioni in Italia e il fatto che non emergano tensioni particolarmente gravi, dimostra che non tutti condividono una simile lettura radicale e che è possibile costruire itinerari di vissuto condiviso”. (R.P.)

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Patriarca caldeo a Teheran: l'Iran sostiene il popolo iracheno

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Il governo della Repubblica islamica d'Iran “non esita a sostenere il popolo e il governo iracheni, perchè i due Paesi condividono la stessa storia e la stessa civiltà”. E' questa l'impressione raccolta dal patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphael I, nel corso della sua visita iniziata il 12 maggio in Iran, dove il primate della Chiesa caldea si tratterrà fino al prossimo 22 maggio. Lo riferiscono all'agenzia Fides, fonti del patriarcato caldeo. 

A Teheran incontro interreligioso
A motivare la visita del patriarca caldeo è stato anche l'invito rivolto a lui e ad altri leader religiosi non musulmani, da Yonsei Ali - presidente iraniano incaricato per le nazionalità e le minoranze religiose – e da Mohammad Shariamatdari, vice-presidente iraniano per gli Affari esecutivi. I due rappresentanti del governo di Teheran e il patriarca Luis Raphael, insieme all'arcivescovo caldeo di Teheran, Ramzi Garmou, hanno preso parte mercoledì scorso a un incontro che ha visto anche la partecipazione di un rabbino e di rappresentanti della Chiesa armena apostolica, e della Chiesa Assira d'Oriente.

L'Iran condanna il terrorismo in Iraq 
In margine all'incontro, lo Sheikh Yonsei Ali ha ribadito che l'Iran “sostiene l'integrità territoriale e la sovranità nazionale di tutti i Paesi della regione”, messa oggi in pericolo dai “gruppi terroristi e estremisti”, e si è augurato “che il popolo iracheno riesca a espellere i gruppi estremisti e a ristabilire la sicurezza”. Il leader iraniano ha anche confermato l'intenzione del suo ufficio di promuovere periodici incontri con rappresentanti delle diverse comunità religiose. 

Patriarca invoca il dialogo tra cristiani e musulmani e tra sciiti e sunniti
Nell'intervento pronunciato durante l'incontro, il primate della Chiesa caldea ha contestato le operazioni di propaganda che dipingono l'Iran come un Paese chiuso e retrogrado, ha ricordato il ruolo delle comunità cristiane autoctone nella costruzione della civiltà della regione e ha richiamato il “ruolo influente” che l'Iran potrà assumere a sostegno della stabilità regionale anche sul terreno del dialogo inter-religioso, per favorire la convivenza e la collaborazione tra cristiani e musulmani e soprattutto la riconciliazione tra musulmani sciiti e sunniti. Solo così – ha sottolineato il patriarca – si potrà uscire dalla spirale di guerre e conflitti che stanno insanguinando la regione e fanno soffrire popoli interi. 

Cristianesimo religione di carità; l'islam religione di misericordia
​“Il cristianesimo” ha detto tra l'altro il patriarca “è una religione di carità, e anche l'islam è una religione di misericordia. Dio ci giudicherà tutti da come saremo stati caritatevoli e misericordiosi gli uni con gli altri”. Al termine dell'incontro Ali Yonsei ha donato al patriarca un quadro raffigurante Maria che porta in braccio Gesù Bambino. I cattolici caldei oggi presenti in Iran sono circa 13mila, e la loro cura pastorale è affidata a otto sacerdoti, compresi due di origine iraniana. (G.V.)

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Nepal: per i terremotati è emergenza ospedali

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Migliaia di persone rimaste ferite nel “Grande terremoto” in Nepal sono in fila davanti ai pochi ospedali rimasti in piedi, nella speranza di essere curate. Secondo il ministero della Salute, 300 ospedali sparsi nei 14 distretti colpiti dal sisma – inclusa la capitale Kathmandu – hanno riportato gravi danni strutturali, e almeno la metà è stata rasa al suolo. Letti, strumenti e medicinali - riferisce l'agenbzia AsiaNews - iniziano a scarseggiare.

Le testimonianze dei feriti
Sanju Thapa, del distretto di Dolakha, è in fila per essere ammessa al Bir Hospital di Kathmandu: “Ho perso i miei genitori; io, mio marito e la mia bambina di 3 anni abbiamo gravi ferite alla testa e al petto. Sono due giorni che aspettiamo di essere ricoverati, ma l’ospedale dice che non ci sono abbastanza letti e materiali per farci entrare. Mi preoccupa anche la mancanza di denaro, non so se potrò permettermi le medicine quando toccherà a me. Molti malati ricoverati prima di noi continuano a dire che stanno finendo le scorte”. Chintamani Pokhrel è in una situazione simile. Ha problemi al fegato, spiega, “ma l’ospedale dice che la macchina per la dialisi non è disponibile. Sono già sette giorni che aspetto. Se non verrò curato oggi, potrei morire. Che posso fare e dove dovrei andare? La situazione è la stessa in tutti gli ospedali di Kathmandu”.

La presenza delle organizzazioni cristiane
Shanta Bahadur Shrestha, segretario del ministero della Salute, ha dichiarato questa mattina: “Le nostre capacità [di assistenza] si sono ridotte in modo notevole perché molti medici sono morti, tante strutture ospedaliere sono crollate e decine di macchinari e scorte medicinali sono state danneggiate. Abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Per fortuna – ha aggiunto – tra gli stranieri vi sono molte organizzazioni cristiane, che stanno fornendo cure alle vittime attraverso le loro cliniche mobili. Siamo grati: se non fossero qui, la nostra situazione sarebbe ancora più drammatica”.

I feriti si curano sotto le tende
Anil Kumar Mishra, docente e capo dell’Unità epatica del Bir Hospital, spiega: “Il disastro ha superato ogni nostra stima. Almeno 450 letti del nostro ospedale sono distrutti. Tutte le sale operatorie sono chiuse. Medicinali e strumenti sono danneggiati. Cerchiamo di curare le persone nelle tende. Migliaia di persone vengono qui per ricevere trattamenti, ma abbiamo mezzi davvero scarsi”.

La presenza e l'aiuto dei sacerdoti cattolici
Intanto, molti Paesi da tutto il mondo hanno inviato squadre di medici in Nepal. Tra questi, le più attive vengono da Stati Uniti, Italia, Cina e India. L’ambasciata indiana in Nepal ha riferito che l’esercito ha inviato 18 team medici, due ospedali da campo a Lagankel e a Sinamangal (45 letti ciascuno). Finora hanno curato 3.638 persone, eseguito 183 operazioni chirurgiche e dimesso oltre 71 pazienti. Anche molte organizzazioni cristiane e cattoliche stanno dirigendo cliniche mobili. Padre Bijaya Toppo, gesuita, spiega: “I nostri sacerdoti sono venuti da molti Paesi per portare strumenti, scorte medicinali e aiuto, soprattutto sostegno psicologico alle vittime e ai bambini”. (C.S.)

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Pakistan: vescovi condannano attacco alla comunità ismailita

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“L’uccisione di persone innocenti solo a causa della loro fede è un crimine inaccettabile. Il governo ha il dovere di individuare i colpevoli e condurli davanti alla giustizia”: è quanto dichiara una nota della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi pakistani all’indomani del massacro in cui hanno perso la vita 47 fedeli ismailiti (anziani, uomini, donne e bambini) e 24 sono rimasti feriti, avvenuto a Karachi mercoledì scorso. I fedeli erano in viaggio su un bus verso il loro luogo di culto (il tempio “Jamaat Khana”) quando sei assalitori in moto hanno assaltato il mezzo con armi da fuoco, compiendo una strage. L’attentato è stato poi rivendicato dai talabani pakistani.

La Chiesa chiede sicurezza per le minoranze religiose
Come riferisce l'agenzia Fides, il presidente della Commissione “Giustizia e Pace”, mons. Joseph Arshad, il direttore nazionale, padre Emmanuel Yousaf, e il direttore esecutivo, il laico cattolico Cecil Chaudhry, esprimono sdegno e condanna “per l’orribile attacco”. Estendendo il cordoglio alle famiglie delle vittime e a tutta la comunità ismaelita, essi “pregano per le famiglie delle vittime perché Dio dia la forza di sopportare questa perdita irreparabile”, auspicando anche “la pronta guarigione dei feriti”. I rappresentanti della Commissione chiedono al governo federale e provinciale “di adottare misure serie ed efficaci per prevenire tali atrocità e garantire maggiore sicurezza a tutte le minoranze religiose in Pakistan”.

In Pakistan gli ismailiti sono una piccola minoranza
​L’Ismailismo è una corrente dell'Islam sciita. I suoi membri sono chiamati anche “settimani” perchè riconoscono come legittima successione quella del settimo Imam, Ismail. In Pakistan, su 180 milioni di abitanti al 96% musulmani (divisi tra un 70% di sunniti e un 30% di sciiti), gli ismailiti sono una piccola minoranza di circa 500mila persone. (P.A.)

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Il card. Salazar Gómez nuovo presidente del Celam

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Il card. colombiano Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà, è il nuovo presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), l’organismo ecclesiale che riunisce le Conferenze episcopali dei Paesi dell’America Latina e del Caribe che ha sede proprio nella capitale colombiana. Nella giornata di ieri - riporta l'agenzia Sir - sono stati resi noti i risultati delle votazioni che si sono svolte mercoledì pomeriggio a Santo Domingo, durante l’Assemblea generale del Celam. 

Il nuovo presidente succede a mons. Carlos Aguiar Retes
Il card. Salazar Gómez, eletto dai vescovi latino-americani per il quadriennio 2015-2019, sarà affiancato da due vicepresidenti: mons. Carlos Maria Collazzi, vescovo di Mercedes (Uruguay) e Dom Jose Belisario Da Silva, arcivescovo di Sao Luis de Maranhao (Brasile). Il nuovo presidente succede a mons. Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico). 

Chi è il card. Salazar Gómez
​ Il card. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo metropolita di Bogotá, è nato nella capitale colombiana il 22 settembre 1942. Il 20 maggio 1967 è stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Ibagué. Nel 1992 Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Cúcuta e nel 1999 arcivescovo di Barranquilla. Nel 2008 è stato eletto presidente dei vescovi della Colombia, incarico confermatogli per un secondo triennio nel 2011. Nel frattempo, l’8 luglio 2010, Benedetto XVI lo ha trasferito alla sede metropolitana di Bogotà. È stato creato cardinale nel Concistoro del 24 novembre 2012. 

Il fenomeno dei migranti al centro dell'Assemblea del Celam
La 35.ma Assemblea ordinaria del Celam si conclude oggi a Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana. Sono ventidue le Conferenze episcopali del Sudamerica e dei Caraibi che fanno parte del Consiglio. L'incontro ha per tema il bilancio dell’ultimo quadriennio e l’indicazione delle priorità pastorali per il continente dal 2015 al 2019. Uno degli argomenti di riflessione è il fenomeno dell’emigrazione che, secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, si presenta come “molto grave” in tanti Paesi americani, tuttavia esiste la coscienza da parte della Chiesa della necessità di accompagnare i migranti. (R.P.)

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Vescovi Africa orientale: media, imprescindibili per la Chiesa

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“Senza l’uso dei social network, la Chiesa non sarà presente nel mondo della ‘generazione digitale’, ovvero nel mondo dei giovani”: è questo il monito che arriva dal seminario sulle comunicazioni sociali, in corso a Nairobi, in Kenya, e destinato ai responsabili della comunicazione dell’Amecea (Associazione dei membri delle Conferenze episcopali nell’Africa orientale).

Accelerare l’avvio di infrastrutture e tracciare nuove strategie mediatiche
Duplici gli obiettivi dell’incontro, spiega il direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali dell’Amecea, mons. Charles Kasonde: “Creare un forum di discussione per accelerare l’avvio di infrastrutture ed opportunità nell’ambito della tecnologia della comunicazione” e “tracciare nuove strategie mediatiche per promuovere l’evangelizzazione” perché “è tempo di valutare come si può procedere, nel modo migliore, verso l’obiettivo primario della diffusione e condivisione dell’informazione”.

Usare nuove tecnologie per promuovere nuova evangelizzazione
Importante, in quest’ambito, il ruolo dei moderni mezzi di comunicazione: “Stiamo vivendo – sottolinea padre Fabian Pikiti, coordinatore pastorale dell’Amecea – nell’era del mondo digitale e la Chiesa non può rimanere distaccata da questa realtà”. Quindi “è tempo, per la Chiesa, di trovare il modo per ottimizzare l’uso delle tecnologie nella comunicazione, in modo da promuovere l’evangelizzazione”: infatti, “poiché l’annuncio del Vangelo riguarda la proclamazione della Parola di Dio a scopo di salvezza, le nuove tecnologie devono diventare uno strumento efficace affinché la Chiesa raggiunga questo scopo”.

Guardare ai giovani, utenti dei social network
​Di qui, il richiamo a porre particolare attenzione al mondo giovanile, utente per eccellenza dei social network, e la sottolineatura, per tutti coloro che operano nei dipartimenti di comunicazione delle Conferenza episcopali dell’Amecea, ad approfondire la conoscenza e le possibilità offerte dai nuovi mass-media. Il Seminario - che si concluderà oggi - vede partecipanti provenienti da Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia. L’evento si tiene a pochi giorni dalla Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra domenica prossima, 17 maggio. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 135

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.