Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 16/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ai religiosi: siate gioia e dono di Dio nel mondo

◊  

La vita di clausura “non è un rifugio”, ma un “campo di battaglia” aperto sul mondo. Ogni suora è un’“icona” della Chiesa, vescovi e religiosi devono collaborare in diocesi per “fare l’armonia della Chiesa”. Sono alcuni dei pensieri espressi da Papa Francesco nel lungo incontro avuto con migliaia di religiosi della diocesi di Roma, radunati in Aula Paolo VI nell’ambito dell’Anno dedicato alla Vita Consacrata. Dopo il saluto del cardinale vicario, Agostino Vallini, il Papa ha risposto a braccio alle domande poste da alcuni religiosi – in rappresentanza dei circa 25 mila sul territorio capitolino – e riguardanti vari aspetti della loro vita comunitaria e apostolica. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Il contemplativo si nasconde in Dio, non si nasconde dal mondo. La prima risposta di Papa Francesco ai religiosi che affollano l’Aula Paolo VI in un’atmosfera di intensa familiarità, inframmezzata da applausi e molti sorrisi, è una sorta di teologia della “grata”. Non quella “portatile”, dice Francesco con un filo di ironia, riferendo di una suora di clausura che in una lettera gli aveva comunicato di aver abbandonato il chiostro per la vita attiva. Ma neanche quella grata che somiglia più a un muro, certe volte impenetrabile e sordo al resto dell’umanità che vive fuori il perimetro del convento:

“’Ma Padre, le notizie possono entrare in monastero?’. Devono! Ma non le notizie – diciamo – dei media chiacchieroni… Le notizie di cosa succede nel mondo, le notizie per esempio delle guerre, delle malattie, di quanto soffre la gente. Per questo una delle cose che mai, mai dovete lasciare è un tempo per sentire la gente! Anche nelle ore di contemplazione, di silenzio… Alcuni monasteri hanno la segreteria telefonica e la gente chiama, chiede preghiera per questo, per l’altro: questo collegamento è importante con il mondo!”.

Il convento non è un rifugio
La riflessione del Papa era stata innescata da una domanda incentrata sul “delicato equilibrio” fra nascondimento e visibilità. L’equilibrio, afferma Francesco, non consiste tanto nel bilanciare i singoli aspetti della vita monastica, quanto nel vivere bene la “tensione” tra due chiamate: quella “di Dio verso la vita nascosta” e quella “di Dio di farsi visibili in qualche modo”:

“Perché la vostra vocazione non è un rifugio: è andare proprio in campo di battaglia, è lotta, è bussare al cuore del Signore per quella città (...) Ma tante grazie vengono dal Signore in questa tensione tra la vita nascosta, la preghiera e il sentire le notizie della gente (…) Ci sono anche monasteri che si occupano mezz’ora al giorno, un’ora al giorno di dare da mangiare a coloro che vengono a chiederlo e questo non va contro il nascondimento in Dio. E’ un servizio, è un sorriso. Il sorriso delle monache apre il cuore! Il sorriso delle monache sfama più che il pane quelli che vengono”.

Una consacrata è una madre
La seconda risposta si sofferma sulla “maternità della donna consacrata”. “C’è nella consacrazione femminile – osserva Francesco – una dimensione sponsale”, che porta ad assimilare l’amore di una suora per Cristo all’amore nel matrimonio con le medesime “qualità di perseveranza, di fedeltà, di unità, di cuore”:

“Le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna. Non dimenticare che la Chiesa che è femminile: non è 'il Chiesa', è 'la Chiesa'. E per questo la Chiesa è sposa di Gesù. Tante volte dimentichiamo questo e dimentichiamo questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Chiesa, questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Madonna. La fedeltà, l’espressione dell’amore della donna consacrata, deve – ma 'deve' no… sì 'deve', ma non come un dovere, ma per connaturalità – rispecchiare la fedeltà, l’amore, la tenerezza della Madre Chiesa e della Madre Maria”.

L’amore concreto, bontà e verità
Un amore tenero ma anche concreto, precisa il Papa, poiché una suora, sostiene, “non può darsi il gusto di un amore sulle nuvole”. Concreto come la pagina delle Beatitudini – che Francesco definisce “la prima Enciclica della Chiesa” – e concreto come il capitolo 25 del Vangelo di Matteo sul Giudizio universale. Due brani con i quali, indica, si può vivere da consacrati “perché tutto il programma è lì”:

“La concretezza è la qualità di questa maternità delle donne, delle suore. Amore concreto. Quando una suora incomincia con le idee, troppe idee, troppe idee… Ma cosa faceva Santa Teresa? Quale consiglio dava Santa Teresa, la grande, alla superiora? ’Ma dalle una bistecca e poi parliamo’. Farla scendere alla realtà. La concretezza e la concretezza dell’amore è molto difficile (...) La concretezza della bontà, dell’amore, che perdona tutto! Se deve dire una verità, la dice in faccia, ma con amore… Che prega prima di fare un rimprovero e poi chiede al Signore che vada avanti con la correzione. E’ l’amore concreto!”.

Tappabuchi e padroni
Il Papa conosce a menadito le situazioni critiche della vita comunitaria e dopo averle accennate nella seconda risposta le riprende in modo più approfondito nella terza. Un convento può nascondere, dice, “gelosie, invidie”, critiche verso i superiori. E anche sul territorio può manifestarsi una certa “concorrenzialità” tra diocesi o magari tra Congregazioni e la collaborazione tra un vescovo e un Istituto religioso della sua diocesi può essere non facile. Francesco al solito va diritto al punto e ricordando di appartenere a entrambe le categorie, episcopale e religiosa, e dunque di capire “ambedue le parti”, annuncia che proprio per dare un contributo in questa direzione la Chiesa sta pensando di ripristinare “un vecchio documento”, il “Mutuae Relationes”, che tratta delle “relazioni fra il religioso e il vescovo”. Un testo che già il Sinodo del ’94 aveva chiesto di riformare, finora invano:

“E’ vero, l’unità fra i diversi carismi, l’unità del presbiterio, l’unità col vescovo… E questo non è facile trovarlo: ognuno tira per il suo interesse, non dico sempre, ma c’è questa tendenza: è umana… C’è un poco di peccato dietro, ma è così (...) Ma si deve lavorare per il lavoro comune (…) Così si fa la Chiesa. Il vescovo non deve usare i religiosi come tappabuchi, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro”.

Festa sì, chiasso no
La terza risposta era però partita con un pensiero sul tema della “festa”, suggerito dallo spunto di una domanda. “È una delle cose che noi cristiani dimentichiamo”, osserva Francesco, mettendo però in chiaro che il modo di fare festa è quello descritto al Capitolo 26 del Deuteronomio, ovvero il credente che porta le sue primizie a Dio, lo ringrazia per la sua bontà, poi torna a casa e fa festa condividendo i suoi beni con quelli che non hanno famiglia, i vicini ma anche gli schiavi:

“La festa è una categoria teologica della vita. E non si può vivere la vita consacrata senza questa dimensione festosa. Si fa festa. Ma fare festa non è lo stesso di fare chiasso, rumore… Fare festa è quello che è in quel brano che ho citato. Ricordatevi Deuteronomio 26. C’è il fine di una preghiera: è la gioia di ricordare tutto quello che il Signore ha fatto per noi; tutto quello che mi ha dato; anche quel frutto che io ho lavorato e faccio festa”.

Il mistero dell’obbedienza
La quarta, lunga, risposta si apre con le parole di gratitudine del Papa per padre Gaetano Saracino, giunto 45 anni fa all’Istituto Penale Minorile Casal del Marmo per rimanervi 2-3 mesi come cappellano e poi rimastovi per una vita. Padre Gaetano ha fatto questo per obbedienza, ha sottolineato Francesco, mettendo cioè in pratica la qualità che più ha caratterizzato la vita di Gesù in terra:

“Il Mistero di Cristo è un mistero di obbedienza e l’obbedienza è feconda. E’ vero che come ogni virtù, come ogni posto teologico, luogo teologico, può essere tentata e diventa, non so, un atteggiamento disciplinare... Ma l’obbedienza nella vita consacrata è un mistero. E così come ho detto che la donna consacrata è l’icona di Maria e della Chiesa, possiamo dire che l’obbedienza è l’icona della strada di Gesù. Quando Gesù si è incarnato per obbedienza, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla croce e alla morte. Il mistero dell’obbedienza non si capisce se non alla luce di questa strada di Gesù; il mistero dell’obbedienza è un assomigliare a Gesù nel cammino che Lui ha voluto fare. E i frutti si vedono”.

Un “carisma dei laici”
Poi, il Papa passa a evidenziare la vita consacrata come “dono di profezia”. La vocazione, ribadisce, “non è un arruolamento di gente che vuol fare quella strada” ma “è il dono al cuore di una persona” e questo dono, sottolinea Francesco, “non sempre è apprezzato e valorizzato nella sua identità e specificità”. E un problema nasce quando questa identità viene smarrita da un religioso o una religiosa e si rende necessario trovare una “persona saggia” che accompagni i consacrati in crisi:

“Non è facile trovare un uomo con rettitudine e intenzioni e che quella direzione spirituale, quella confessione non sia una bella chiacchera fra amici, ma senza profondità o trovare quelli rigidi, che non capiscono bene dove sia il problema, perché che non capiscono la vita religiosa... Io, nell’altra diocesi che avevo, sempre consigliavo alle suore che venivano a chiedere consiglio: ‘Ma dimmi, nella tua comunità o nella tua congregazione, non c’è una suora saggia, una suora che viva il carisma bene, una buona suora di esperienza? Fai la direzione spirituale con lei!’. 'Ma è donna!...’. ‘Ma è un carisma dei laici’. La direzione spirituale non è un carisma esclusivo dei presbiteri: è un carisma dei laici”.

Donne e Chiesa, genio e ruolo
Francesco spiega la diversa natura del ruolo di confessore da quello di direttore spirituale – al primo, dice, si dicono i peccati, al secondo “cosa succede” nel cuore – ed è fondamentale – indica – che i direttori di anime siano ben formati anche alla luce delle moderne “scienze umane”, purché “senza cadere nello psicologismo”. Infine, le ultime considerazioni sono ancora per le religiose e, più in generale, per la presenza delle consacrate nella Chiesa che rappresentano “l’80%” della vita religiosa. La questione, più volte sollevata, riguarda il ruolo che Francesco distingue dalla funzione. “È una grande cosa – riconosce – che le donne “vengano promosse” ai vertici della Chiesa, ma c’è di più:

“Quando mi dicono: ‘No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!'. Sì possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. E’ più più profondo (…) L’essenziale del ruolo della donna va – lo dirò in termini non teologici – nell’aiutare che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa: andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo, ma deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile”.

Il giovane sorriso di 97 anni
L’ultimo saluto, ma un saluto simbolo, Papa Francesco lo rivolge a una suora di 97 anni. Ho “scambiato con lei due o tre parole – racconta – mi guardava con gli occhi limpidi, mi guardava con quel sorriso di sorella, di mamma e di nonna. In lei voglio rendere omaggio alla perseveranza nella vita consacrata”.

inizio pagina

Papa incontra Mahmoud Abbas: coraggio nel processo di pace

◊  

Ripresa del negoziato e assunzione di “decisioni coraggiose” per la pace, con l’appoggio internazionale. È quanto hanno auspicato Papa Francesco e il presidente dello Stato di Palestina, Mahmoud Abbas, durante l’incontro avvenuto in Vaticano.

Nel corso dei “cordiali colloqui”, informa una nota ufficiale, “è stata manifestata grande soddisfazione per l’intesa raggiunta sul testo di un Accordo comprensivo tra le Parti circa alcuni aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina, che sarà firmato in un futuro prossimo”.

Per quanto riguarda poi il processo di pace con Israele, è stato espresso “l’auspicio che si possano riprendere i negoziati diretti tra le Parti per trovare una soluzione giusta e duratura al conflitto. A tale scopo – prosegue il comunicato – si è ribadito l’augurio che, con il sostegno della Comunità internazionale, Israeliani e Palestinesi prendano con determinazione decisioni coraggiose a favore della pace”. Riferendosi infine ai conflitti “che affliggono il Medio Oriente”, è stata riaffermata “l’importanza di combattere il terrorismo, è stata sottolineata la necessità del dialogo interreligioso”.

Dopo il colloquio con il Papa, il presidente palestinese ha incontrato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

Mahmoud Abbas parteciperà domani alla canonizzazione di due Beate palestinesi, per la quale ha ringraziato Papa Francesco.

inizio pagina

Altre udienze e nomine

◊  

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina il cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana; mons. Alberto Bottari de Castello, Arcivescovo tit. di Oderzo, Nunzio Apostolico in Ungheria; mons. Nicola Girasoli, Arcivescovo tit. di Egnazia Appula, Nunzio Apostolico in Trinidad e Tobago, Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Dominica, Giamaica, Grenada, nella Repubblica Cooperativistica della Guyana, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vincenzo e Grenadine, Suriname; Delegato Apostolico nelle Antille; il dottor Jean-Baptiste de Franssu, Presidente del Consiglio di Sovrintendenza dell’Istituto per le Opere di Religione.

Il Santo Padre ha nominato Amministratore Apostolico dell’Amministrazione Apostolica di Atyrau (Kazakhstan) il Rev.do Sacerdote Dariusz Buras, del clero della diocesi di Tarnów (Polonia), finora Vicario parrocchiale della chiesa cattedrale di Oslo (Norvegia). Il Rev.do Dariusz Buras è nato il 16 novembre 1971 a Skrzyszów, nella diocesi di Tarnów. Dopo aver conseguito la maturità, negli anni 1991-1992 ha studiato chimica e scienze politiche presso l’Università di Wrocław. Successivamente, è entrato nel Seminario Maggiore di Tarnów. E’ stato ordinato Sacerdote per la medesima Diocesi il 30 maggio 1998. Dal 1998 al 2000 è stato vicario parrocchiale della parrocchia della Santissima Trinità a Rzezawa. In seguito, ha svolto il ministero pastorale quale sacerdote Fidei donum a Ternopil’ in Ucraina dal 2000 al 2002 e ad Atyrau in Kazakhstan dal 2002 al 2006. Per l’anno accademico 2006-2007 è stato Direttore Spirituale del Seminario Maggiore Interdiocesano di Karaganda (Kazakhstan). Nel 2007, rientrato in Polonia, è stato nominato Direttore Spirituale del Centro di Formazione Missionaria di Varsavia. Al contempo, ha approfondito gli studi presso l’Università del Cardinale Stefan Wyszynski di Varsavia, conseguendo la Licenza in Teologia spirituale. Dal 2010 svolge il ministero pastorale in Norvegia, ultimamente in qualità di Vicario parrocchiale della chiesa cattedrale di Oslo nonché di responsabile per la formazione permanente dei sacerdoti della diocesi di Tarnów in servizio in Norvegia. Oltre al polacco, conosce il russo, l’ucraino e l’inglese.

Papa Francesco ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace il Rev.do Padre Timothy Radcliffe, O.P., Direttore del Las Casas Institute of Blackfriars in Oxford, per studi su giustizia sociale e diritti umani (Inghilterra).

inizio pagina

Tweet: meglio Chiesa ferita ma presente sulla strada, che Chiesa malata

◊  

Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Meglio una Chiesa ferita ma presente sulla strada, che una Chiesa malata perché chiusa in sé stessa”.

inizio pagina

Maradiaga: Francesco vuole Caritas e Curia per la gente, non burocratizzate

◊  

Si chiude oggi a Roma l’assemblea generale di Caritas Internationalis che ha eletto come nuovo presidente il cardinale filippino Luis Antonio Tagle. Stamani, il cardinale Pietro Parolin ha presieduto una Messa per i partecipanti nella quale ha sottolineato che la Caritas deve sempre avere “ansia per il bene della persona”, specie per chi soffre. Il segretario di Stato vaticano ha poi sottolineato che non può esistere una Caritas “senza una relazione vitale con la Chiesa” evidenziando che “nessuna strategia o accordo con finanziatori nazionali e internazionali” può far deviare la Caritas dalla sua “dimensione ecclesiale”, perché ne va della propria identità. Durante l’assise, è stato proclamato co-patrono dell’organismo caritativo il futuro Beato Oscar Romero. A margine dei lavori, Alessandro Gisotti ha intervistato il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente uscente di Caritas Internationalis dopo due mandati, e coordinatore del Gruppo di cardinali per la riforma della Curia, istituito da Papa Francesco: 

R. - Vedendo  il tanto bene che si fa nel mondo attraverso Caritas non posso fare a meno di ringraziare il Signore e di sperimentare una grandissima gioia. Ho avuto il privilegio di visitare i cinque continenti, di partecipare a riunioni regionali dove ho potuto toccare con mano il bene enorme che fa la Caritas nel mondo e questa senz’altro è una grande gioia. Inoltre rivolgo un augurio affinché possa continuare a crescere. Non dobbiamo dimenticare che la Caritas funziona quando le parrocchie funzionano, quando la diocesi funziona! Non è un organismo burocratico ma è il coordinamento della tanta vita che c’è nelle parrocchie e nelle diocesi.

D. - Quali sono secondo lei le sfide più importanti che attendono Caritas Internationalis nei prossimi anni?

R. - Ci troviamo davanti ad una guerra in atto in diversi posti. Siamo quasi in una Terza guerra mondiale dispersa in diversi continenti, in diversi Paesi. La guerra in Siria, ad esempio, ci dà tanto dolore per l’indifferenza di quasi tutto il modo. Sono già quasi cinque anni di guerra, questo perché continua la vendita di armi che è un scandalo nel mondo! Un’altra sfida: quella dei migranti e delle reazioni a volte razziste nel trattare queste persone come se fossero delinquenti, nemici. Penso che il mondo debba convertirsi. Questo non è un atteggiamento cristiano! Certamente ogni Paese ha il diritto di organizzare l’accoglienza dei migranti secondo le proprie possibilità. Però non bisogna reagire come se la migrazione fosse una malattia.

D.- In queste tante sfide Caritas Internationalis potrà contare ora sull’intercessione di un nuovo patrono, il Beato Oscar Romero …

R. - Certamente l’assemblea si è raccomandata all’intercessione del futuro Beato Oscar Romero ed anche di Madre Teresa di Calcutta e San Martin de Porres.

D. - Il Papa nella Messa di apertura dell’assemblea ha detto che Caritas Internationalis non deve pensare che “basta essere ben organizzata per svolgere la sua missione”. Si può dire che questo vale anche per la riforma della Curia?

R. – Certamente! Il Santo Padre sta sempre con noi nella riforma della Curia; lui è presente a tutte le sessioni. Sappiamo che lui sa le cose. Dunque certamente è un grande e buon augurio. Lui conosce il lavoro della Caritas; era un grande fautore della Caritas quando era arcivescovo di Buenos Aires, ma tante volte “sfidava” la Caritas stessa a non essere semplicemente burocrazia, ma ad essere soprattutto sul terreno e cercare la gente concreta.

D. - Un’altra cosa che ha detto il Santo Padre nella Messa di apertura è questa: “Caritas è sempre in periferia”. Ora dopo un presidente dell’Honduras un presidente proveniente dalle Filippine. In qualche modo rispetto a Roma - se così vogliamo dire che è il centro - si sottolinea l’importanza delle periferie! Che augurio si sente di fare al cardinale Tagle?

R. - So che lui continuerà questo impegno enorme per i poveri. Lui lo vive, non che ne parli, ma lo vive concretamente. Il mio augurio è che possa continuare con grande amore a servire il mondo nella Caritas Internationalis.

inizio pagina

Beatificazione di don Caburlotto, apostolo dei giovani a Venezia

◊  

La Chiesa di Venezia in festa, questa mattina, per la cerimonia di Beatificazione di don Luigi Caburlotto, veneziano doc e fondatore delle Figlie di San Giuseppe, che tanto, nella sua vita, si occupò di educazione. A presiedere il rito solenne in Piazza San Marco, in rappresentanza del Santo Padre, il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato. Il servizio di Roberta Barbi: 

“Per me soldi e chiodi sono un tutt’uno”. Così don Luigi Caburlotto, il nuovo Beato, era solito dire, convinto com’era che la carità non fosse mai in eccesso nel cuore umano. Nato da una famiglia di gondolieri nel 1817 in quella Venezia dove crebbe, si fece sacerdote, amò ed educò - la città che tutta, oggi, lo celebra - è il secondo parroco veneziano a essere beatificato in pochi anni, segno della vitalità di questa Chiesa. Incontrando per strada tanti ragazzi senza disciplina e senza futuro, indirizzò la sua vocazione verso un ministero dedito all’educazione: “Gli educatori – diceva – devono vedere tutto, correggere poco, castigare pochissimo, ma devono vestirsi di Gesù”. Fino alla direzione del prestigioso istituto di beneficenza Manin, lo portò questo suo innato talento, evidenziato anche dal Santo Padre, come ricorda il cardinale Amato:

“Nella Lettera Apostolica di Beatificazione, Papa Francesco chiama il Beato Luigi Caburlotto, «eminente educatore dei giovani, apostolo infaticabile della carità evangelica e maestro fedele della dottrina cattolica». Sono tutte qualifiche encomiabili, che hanno radice nella sua santità di parroco dinamico, ricolmo di carità pastorale e di saggezza educativa”.

Era da soli sei mesi a San Giacomo dall’Orio – parrocchia dove rimase 23 anni - quando scoppiarono i moti del ’48. Povertà e dolore ovunque. Una volta, per consentire a un muratore di partecipare alla Messa pasquale, don Luigi gli fece dono delle sue scarpe seminuove, perché quello non le aveva. La sofferenza di quegli anni divenne linfa vitale per una scuola di carità in parrocchia, che sbocciò alla fine in una nuova famiglia religiosa: le Figlie di San Giuseppe. Così - afferma il cardinale Amato - don Luigi, formava le suore:

“«Figlie, molto guadagnate col dire in ogni evento: 'Volontà di Dio, paradiso mio'»; «Bisogna tener sempre Iddio nel cuore, idee buone nella mente, i rispetti umani sotto i piedi»; «Dolcezza, dolcezza, dolcezza. Con la dolcezza si fanno i santi»”.

Gesù era al centro della vita del nuovo Beato, al quale ben si addice l’immagine del “prete-pastore”, come ha sottolineato il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia nel suo intervento di ringraziamento al termine della celebrazione, evidenziando la “carità pastorale che ha connotato l’intero corso della vita e del ministero di don Caburlotto, divenendo una vera benedizione per quanti lo incontrarono”. Ecco qualche altra pennellata del cardinale Amato a completarne il ritratto:

“Le testimonianze di coloro che lo conobbero sottolineano lo spirito di fede. In ogni circostanza egli aveva l'abitudine di giudicare situazioni, problemi e persone alla luce della volontà di Dio”.

inizio pagina

Famiglia: presentato il progetto artistico che girerà il mondo

◊  

Musica e catechesi, arte e teologia, insieme, per rimettere al centro dell’attenzione la bellezza dell’amore tra uomo e donna, della famiglia e dei valori che queste realtà evocano. In questo consiste il progetto che prenderà il via il 28 maggio a Barcellona, dal titolo "Il Grande Mistero. Il Vangelo della famiglia scuola di umanità per i nostri tempi", prodotto da CitySound & Events di Milano. A presentarlo nella Sala Stampa vaticana, mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, curatore della realizzazione, e il maestro Andrea Bocelli. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Un progetto che ci porta al centro della catechesi e degli interessi della Chiesa in questo momento, la famiglia, l’unione di uomo e donna, capolavoro creato da Dio, che sin dalla prima pagina della Bibbia è salutato come “molto bello”. Ed è proprio da questo "stupore di Dio" che prende il via la "serie di eventi che annuncerà al mondo, spesso individualista e malato di solitudine", ha detto mons Vincenzo Paglia, "la buona notizia della famiglia":

“Abbiamo intenzione di recarci nelle piazze e nelle cattedrali cattoliche, ma anche in quelle ortodosse e in quelle luterane e protestanti, perché la famiglia è un tesoro prezioso per tutti, nessuno escluso, e noi vorremmo, con la sapienza biblica e la straordinaria capacità artistica del maestro Bocelli, dire al mondo che questo mistero grande è anche molto bello, non è solo possibile: è bello.”

Si parte il 28 maggio da uno dei luoghi di preghiera voluti dal Papa in vista del prossimo Sinodo sulla famiglia d'autunno, che è la Sagrada Familia di Barcellona: “Uno spazio di bellezza fede e speranza che conduce l’uomo a Dio” ha spiegato l’arcivescovo, il cardinale Lluís Martínez Sistach:

“Con la bellezza, la musica e il pensiero si vuole offrire la bellezza e la trascendenza del mistero della famiglia cristiana, che consiste in una intima comunità di vita e d’amore tra i coniugi, tra i genitori e i figli e tra i fratelli tra loro, nel seno di una famiglia più grande, nell’ambito della società e della Chiesa. Le grandi virtù, i valori cristiani della famiglia, oggi sono molto necessari e molto urgenti. Non possiamo dimenticare che il Vaticano II, parlando del matrimonio e della famiglia, ci dice che il bene delle persone, della società e della Chiesa, è strettamente legato alla prosperità della comunità coniugale e familiare. L’umanità si gioca molto sulla famiglia”.

Meditazioni e musica anche in altre tappe significative. Quelle note sono: Filadelfia, in occasione della Giornata mondiale delle famiglie, il 26 settembre, Cracovia e Betlemme. Ancora mons Vincenzo Paglia:

“Questa cittadina di Betlemme, la più piccola tra le città di Giuda, sia colei invece che possa dire al mondo intero che la famiglia salva tutti noi, se è ispirata dall’amore del Signore, se accoglie quella straordinaria vocazione e missione che Dio diede alla prima famiglia all’inizio della storia umana: custodire il Creato e moltiplicare i legami di solidarietà e di fraternità a tutta la società umana, partendo da quella della propria casa”.

Ambasciatore della famiglia in questo viaggio, sarà Andrea Bocelli:

“Quando si parla della famiglia, bisognerebbe pensare alla famiglia dalla parte dei figli, di noi come figli, di noi che siamo vissuti tutti quanti nella famiglia, siamo nati all’interno di una famiglia. Perché quando la si guarda invece dal punto di vista dell’essere coniugi, dell’essere partner, subentra il nostro istinto alla libertà, il nostro desiderio di libertà, il nostro orgoglio personale, l’ego, tutte cose che ci fanno dimenticare quanto è stata importante per noi la famiglia quando siamo stati bambini, e quanto continua ad esserlo oggi per i nostri bambini”.

Insieme a Bocelli, si esibiranno cori e orchestre di tutto il mondo in un repertorio sacro, nell’ambito delle chiese, ben più ampio all’esterno, secondo un progetto preciso, ha sottolineato Marco Tibaldi consulente teologico del progetto:

“Questo è molto in consonanza con quanto Papa Francesco sta invitando a fare: ad uscire dalle Chiese per incontrare gli uomini, lì dove sono, e fare questo invito a tutti”.

I brani scelti avranno legami con la catechesi letta e meditata e con l’arte raffigurata nelle piazze e nelle chiese scelte come scenario. I biglietti sono gratuiti e acquistabili sul sito www.ilgrandemistero.com.

inizio pagina

Al via "La Musica dei Musei", rassegna di concerti in Vaticano

◊  

Da ieri sera e fino alla fine di ottobre, per tutta la durata delle aperture notturne dei Musei Vaticani, con il biglietto di ingresso si potrà assistere anche ad una esclusiva rassegna di concerti: 14 occasioni per una sosta musicale nei percorsi museali grazie alla collaborazione con l’Accademia di S.Cecilia, la Banda dell’Esercito e il Comitato nazionale italiano musica. Appuntamento ogni venerdì, alle 20.30 nella splendida cornice del Cortile della Pigna. Il servizio di Gabriella Ceraso

I Musei Vaticani vogliono ribadire il concetto che la musica, come l’immagine, ha una forza evocativa che avvicina ciascuno di noi a Dio, è per questo che quando il portone si aprirà ogni venerdì sera sulle sculture e gli affreschi, tra i capolavori di Michelangelo, Raffaello e Pinturicchio ci saranno anche il jazz, le colonne sonore dei film e tanto repertorio classico e popolare, rigorosamente dal vivo. Ad accettare la sfida anche i giovani allievi dei corsi dei perfezionamento dell’Accademia di S.Cecilia, guidati dai maestri Giovanni Sollima, Andrea Oliva e Benedetto Lupo. E poi la banda dell’Esercito e due grandi come Nello Salza, la tromba più nota del cinema italiano, e i jazzisti Tony Pacella e Bepi D’Amato con il loro omaggio a Duke Ellinghton. Una sosta di circa un’ora di ascolto e poi di nuovo al museo per continuare il percorso. Ma non solo: anche quest’anno tornano i tour tematici che condurranno i visitatori in un viaggio alla scoperta dell’immagine della musica e dei suoi strumenti nella storia della pittura. A guidarli la musicologa Ala Botti Caselli, consulente esterna dei Musei:

“Nei Musei Vaticani è chiaro che la sacralità della musica è particolarmente forte; però poi c’è tutto il fuori dalla Chiesa: immagini totalmente profane e infinite curiosità. Penso al ritratto di Voltaire, che è una delle mie passioni: certamente non era un cattolico fervente! E con lui figure che hanno avuto molto a che fare col mondo della musica”.

Tre i percorsi proposti ai visitatori:

"Uno più antico, quindi di tutta la statuaria grandiosa e tutti i lasciti legati alla musica che vengono dall’antica Grecia e da Roma; un altro che è, invece, il Rinascimento, la Pinacoteca e quindi tutte le immagini e gli sviluppi degli strumenti musicali nell’arco di 3-4 secoli; e poi, finalmente, l’appartamento Borgia che ospita la collezione di arte religiosa moderna”. 

Quindi, appuntamento ogni venerdì dal 15 maggio al 30 ottobre alle ore 20.30 con "La Musica dei Musei" al Cortile della Pigna in Vaticano. 

inizio pagina

Il Programma indiano della Radio Vaticana celebra 50 anni

◊  

Una Messa nella cappella di Palazzo Pio, celebrata dal padre Lisbert D’Souza, consigliere generale e regionale Assistente per l’Asia Meridionale della Compagnia di Gesù, e poi un momento di festa e di presentazione di nuove iniziative. È il modo scelto dalla redazione del Programma indiano della Radio Vaticana di celebrare i 50 anni dalla sua fondazione. Il prologo alla sua nascita è nel 1958, quando l’emittente pontificia lancia una sezione Inglese per l’Asia del Sud. Quando nel 1964 Papa Paolo VI si reca in India, in occasione del Congresso Eucaristico Mondiale (la prima in assoluto compiuta da un Pontefice) e considerate le variegate culture e lingue di quel vasto continente, nel maggio 1965 venne inaugurata una sezione apposita per l’India. Inizia, così la trasmissione in lingua Malayalam, affiancata da quelle in Hindi, la lingua nazionale di India, e Tamil. Una nuova tappa storica si verifica nel 1985, quando Giovanni Paolo II compie la sua prima visita in India, dal 31 gennaio all’11 febbraio. Dal 7 gennaio di quell’anno, la Radio Vaticana inaugura una trasmissione giornaliera in Hindi, Tamil, Malayalam ed Inglese per una durata di 15 minuti ciascuna, poi cresciuti a venti nel 1993, diventando un programma giornaliero. Il ’93 è anche l’anno del lancio programma in lingua urdu “La porta è aperta”. Andrà in onda fino al primo settembre 2013.

Lingua inglese
Dopo i primi 10 minuti a settimana di programmazione per l’Asia del Sud avviati nel 1958, diretti dal padre gesuita Thomas O’Donnell, la nascita della Sezione indiana in coincidenza con il viaggio di Paolo VI a Bombay nel 1965 porta all’avvio di una trasmissione serale di dieci minuti in inglese. I minuti per i programmi speciali mattutini dal gennaio 1986 diventano 15, con il viaggio in India di Giovanni Paolo II della mattina, mentre 6 minuti sono dedicati alle notizie della sera. Poi, dal 23 settembre 1993, il servizio inglese passa a 20 minuti giornalieri, con replica la mattina successiva.

Lingua Malayalam
Tutti le trasmissioni in Malayalam del pongono al centro il Santo Padre e la Santa Sede, con particolare attenzione al messaggio del Papa in occasione dell’Angelus e dell’Udienza Generale. Ma il Programma Malayalam si occupa anche di temi legati alla Sacra Scrittura, ai documenti  ecclesiastici, insieme a servizi per i giovani, le Omelie e le riflessioni sulla Liturgia domenicale. Le nuove tecnologie digitali e la diffusione di varie piattaforme di comunicazione amplia la diffusione del lavoro in lingua Malayalam,  compreso con l’ascolto on demand delle trasmissioni andate in onda. Per lo stesso idioma viene lanciata una newsletter settimanale il 1 maggio 2011, giorno della Beatificazione di Giovani Paolo II.

Lingua Tamil
Molti dei 77 milioni di persone Tamil sparse oggi nel mondo ascoltano i programmi della Radio Vaticana nella propria lingua. Riscontri via lettere, mail e telefonate arrivano da ascoltatori in India, Sri Lanka, Malaysia, Singapore, Francia, isole Fiji, i Paese del Golfo, gli Stati Uniti e il Canada. La maggior parte di questi ascoltatori  non sono cristiani ma hindu, musulmani e buddisti. Dal 2009, la Sezione Tamil invia notizie quotidiane tramite mail. Tra l’altro, il mensile cattolico dei vescovi del Tamilnadu, “Nam Vaazhvu” pubblica i notiziari in Tamil della Radio Vaticana in ogni edizione. Ogni anno, inoltre, membri della Sezione Tamil organizzano un incontro degli ascoltatori in India per sentire le opinioni e incontrare le persone che la ascoltano.

Lingua Hindi
Nel mondo, sono circa 600 milioni le persone di lingua Hindi. Col progressivo aumento della durata dei programmi, il Programma indiano ha cominciato a stabilire alcuni uffici nel Subcontinente indiano per facilitare un maggior contatto con gli ascoltatori. Ancora oggi, questi uffici ricevono la posta dagli ascoltatori e la rimandano a Roma grazie alla Nunziatura Apostolica di Nuova Delhi. I nostri uffici in India, inoltre, stampano e inviano i bollettini mensili agli ascoltatori, gratuitamente. Il primo ufficio è stato creato a Chennai, nel 1982; poi sono stati creati l'ufficio di Colombo in Sri Lanka e l'ufficio di Kochi in Kerala. Oggi, il programma Hindi della Radio Vaticana è di 20 minuti quotidiani, con replica al mattino successivo ed è diviso in due parti: la prima è un approfondimento di 14 minuti, la seconda è un notiziario di 6 minuti. Sul web l’approdo avviene nel 2009 grazie al padre gesuita, Justin Tirkey. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Udienza ai religiosi e alle religiose della diocesi di Roma.

Dialogo via per la pace: udienza al presidente dello Stato di Palestina.

La persona prima di tutto: il cardinale segretario di Stato a Caritas internationalis.

Nel cuore dei poveri: Jean Vanier sul significato dello "stare con" le persone più deboli.

Per colmare i tasselli vuoti del mosaico: Antonella Lumini recensisce il saggio di teologia biblica "La tenerezza grembo di Dio amore"

Sotto una nuova luce: Gabriele Nicolò sull'iniziativa del museo del Prado di dotarsi di un sofisticato impianto di illuminazione.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



L'Is vicino a Palmira. Il Patriarca Younan: siamo in agonia

◊  

Un altro sito archeologico antichissimo quello siriano di Palmira rischia di essere distrutto dalla furia dello Stato islamico. Le truppe di Assad hanno compiuto raid nella zona contro postazioni jihadiste assicurando di aver inviato rinforzi anche via terra per difendere la città. 23 le persone uccise nel corso degli scontri, tra queste anche 9 bambini. Il conflitto in Siria si protrarrà oltre il 2017 e la soluzione deve arrivare dal Medio Oriente, secondo il presidente Usa Obama. Al microfono di Cecilia Seppia la preoccupazione del patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan: 

R. - Palmira, che in siriaco vuol dire “il miracolo”, perché fu costruita nel deserto, una così bella città, sicuramente rischia di essere distrutta da questi barbari. Voi adesso vi preoccupate, però io, che sono il patriarca, nonché gli altri capi religiosi, siamo preoccupatissimi per la sorte dei nostri in questi due Paesi. Noi non vogliamo che questi due Paesi, la Siria e l’Iraq, diventino solamente dei siti archeologici. Io sono in contatto con il vescovo lì e con i preti: dicono che hanno una paura che non si può descrivere per quello che succederà loro. Stiamo anche contattando quei responsabili per difendere i nostri villaggi, perché abbiamo villaggi non lontano da Palmira che sono esposti a queste invasioni.

D. – Gli Stati Uniti chiedono che la soluzione di questa crisi arrivi dal Medio Oriente; ma come si fa, Sua Beatitudine, come si può risolvere questo conflitto?

R. – C’è in questi Paesi – come dire – un’ecatombe che non sappiamo davvero quando finirà. Ma non si può, non si può imporre una democrazia “all’occidentale” a Paesi, a popoli che non hanno nessun elemento di questa democrazia. E poi ci sono alcune potenze occidentali che continuano a mandare delle armi a questo Stato Islamico, cosiddetto “Daesh”. Lì bisogna agire.

D. – E ovviamente questo temporeggiare anche della comunità internazionale, questo cercare delle soluzioni che forse non sono valide per questi popoli, in realtà poi ricade sui più fragili, sui più deboli, come al solito…

R. – Noi cristiani, che siamo rimasti minoranza accanto alle altre minoranze non musulmane, stiamo subendo tutte queste conseguenze orribili, perché queste bande di terroristi barbari non credono né alla democrazia né al pluralismo. Basta dirci delle bugie! Noi stiamo pregando la Madonna, pregando, pregando, specialmente questo mese. Abbiamo bisogno della Madonna per proteggere sia la Siria e l’Iraq, e anche il Libano, perché noi già sentiamo quelle tensioni tra sciiti e sunniti che se non si risolvono una volta per tutte, si rifletteranno su tutti i Paesi. Noi stiamo vivendo un’agonia purtroppo, e non abbiamo che la grazia e la forza di Dio che possano aiutarci.

D. – Vuole lanciare un appello alla comunità internazionale, attraverso i nostri microfoni, a chi ha la possibilità di fare qualcosa, ai potenti, come dice spesso Papa Francesco?

R. – Cercate di risolvere i vostri problemi con più tolleranza, con l’accettazione degli altri, ma non fomentate la violenza. Noi chiediamo alla maggioranza cristiana, cattolica, che è piuttosto in silenzio, di guardare la situazione con più energia e con più coraggio e di dire che questa situazione non si risolve così. Si deve essere più interessati a aiutare le parti in conflitto, a più dialogo, a più riconciliazione. Il Vicino Oriente non è lontano dall’Europa: il Mediterraneo deve essere una via per l’Europa, un ponte.

inizio pagina

Colletta Cei per il Nepal: preoccupazione per arrivo monsoni

◊  

Una colletta per la popolazione del Nepal: è l’iniziativa promossa dalla Conferenza episcopale italiana, che ha chiesto a tutte le parrocchie di destinare le offerte raccolte durante le funzioni di domani, domenica 17 maggio, all’emergenza umanitaria seguita al terremoto e aggravata dall’imminente arrivo dei monsoni. Eugenio Murrali ha chiesto ad Alberto Luzzi, dell’associazione “Jay Nepal”, quali siano al momento le maggiori urgenze per la popolazione: 

R. - Parliamo di oltre 20 milioni di senza tetto. A oggi mi sembra che nella media, da un punto di vista del cibo, loro abbiano delle scorte, quindi non ci troviamo di fronte a una carestia. Io credo che l’emergenza sia in questo momento abitativa. Geometri e architetti nepalesi hanno messo a disposizione un campione, un esempio di riparo che è fatto con dei mattoni, con una tettoia in lamiera e che può sembrare una casetta. Questo può essere un passaggio che va oltre la tenda. La tenda è una cosa buona, ottima, se è possibile bisogna mandarne. Ma la tenda dura uno, due, tre mesi, è esposta anche al vento… Quindi, laddove c’è la possibilità di collegarsi con qualcosa sul terreno, è meglio dare delle costruzioni con dei materiali che un domani le comunità possono riciclare, anche per ricostruirci poi le loro case definitive: credo che sia un’indicazione importante, forse una delle cose più utili da fare in questo momento.

D. – Oltre 8 mila vittime, 65 mila feriti, più di 2 milioni e mezzo di sfollati: a tre settimane dalla scossa che il 25 aprile scorso ha colpito il Nepal, cosa sono riusciti a fare i soccorsi? Quali sono le maggiori difficoltà?

R. – L’impatto della devastazione è enorme e le difficoltà di soccorso oggi sono proprio nel rimuovere queste case pericolanti. Nell’emergenza si sono attivati i militari. C’è il governo che sta cercando di fronteggiare la situazione, ma parliamo di un qualcosa che già per un Paese organizzato e sviluppato sarebbe difficilissimo da gestire. Possiamo immaginare un Paese poverissimo come il Nepal, privo di strutture, con una struttura statale relativamente giovane, in formazione da 20-30 anni. Noi vediamo militari senza guanti prestarsi a fare dei lavori che non farebbe mai nessuno, in condizioni di assoluta insicurezza. Quindi questa è una delle cose in questo momento più difficili. Servirebbero squadre di esperti in grado di dare delle indicazioni precise su come rimuovere le macerie, come mettere in sicurezza queste città dove – purtroppo – ogni giorno qualcuno si fa male, perché le case continuano a cadere a prescindere dalle scosse di terremoto. Oramai viviamo in città che sono pericolanti, fatiscenti e che, probabilmente, nel mondo occidentale sarebbero transennate e non ci si potrebbe avvicinare a 20 metri. Noi invece qua vediamo la gente, i bambini, gli anziani, le persone circolare e mettersi a rischio tutti i giorni.

D. – Oggi in Nepal sta piovendo, la stagione dei monsoni è alle porte. Pensa sia opportuno ricordare alla comunità internazionale di fare in fretta, di non dimenticare il Nepal, anche se l’attenzione mediatica sta scendendo?

R. – L'attenzione mediatica si è esaurita e rischia anche di perdersi la comprensione dell’ecatombe che è accaduta qui. L’urgenza c’è, proprio per anticipare la stagione delle piogge. Durante le piogge, sarà più difficile tutto. Immaginiamo proprio quello che dicevo prima: gli edifici che non sono interamente crollati, ma sono oramai fatiscenti e, con le infiltrazioni d’acqua del monsone, cadranno inevitabilmente. Quindi, se non riusciamo a dare un tetto, una soluzione alle famiglie, alcune di queste inevitabilmente, se il terremoto non si fa sentire, torneranno a utilizzare delle case che rischiano poi di diventare un’ulteriore tragedia.

D. – Qual è la situazione dei bambini?

R. – Io oggi ero proprio in uno dei centri più colpiti qui nella valle di Kathmandu, dove la seconda scossa di terremoto tra l’altro ha aggravato ulteriormente la situazione.  E vedevamo che il problema principale adesso è anche psicologico. Questi sono bambini terrorizzati, che hanno vissuto il terremoto sia come dramma diretto, ma hanno anche visto gli adulti, i familiari, impreparati. E quindi immaginiamo per un bambino piccolo trovarsi di fronte alla terra che trema, la gente che urla, le case che cadono. Questo è un Paese tuttora impaurito: la seconda scossa ha in qualche modo rotto quel momento di recupero, per cui si pensava: “Bene è successo, è stata una tragedia, adesso guardiamo avanti”. Ora hanno tutti paura che riaccada. Si vede negli occhi degli adulti e si vede chiaramente anche negli occhi dei bambini.

inizio pagina

Accoglienza migranti: la testimonianza del sindaco di Pozzallo

◊  

Secondo sbarco nel giro di 24 ore a Pozzallo in Sicilia. Stamani con la nave "Foscari" sono approdati 98 migranti in maggioranza provenienti da Guinea, Senegal e Gambia. Diversi i casi di scabbia riscontrati. Ieri erano arrivati a bordo del pattugliatore della marina militare tedesca "Hessen" 294 persone di nazionalità eritrea, tra loro 38 donne e 8 minori. Tre donne in gravidanza di cui una al nono mese e un bambino di pochi mesi sono stati ricoverati in ospedale. Tutti i profughi sono stati trasferiti nel Centro di prima accoglienza di Pozzallo che nei giorni scorsi era stato svuotato. E’ costante, dunque, l’impegno del comune siciliano, che conta 19 mila abitanti, nei confronti dei nuovi arrivati. Il nostro inviato Olivier Bonnel ha intervistato il sindaco, Luigi Ammatuna

R. – Pozzallo è la città dell’accoglienza e della solidarietà. La cittadinanza risponde bene, non si è mai lamentata, malgrado la presenza di circa 28 mila migranti – che non sono pochi – arrivati alla banchina del nostro porto. I cittadini non si sono mai lamentati di questo flusso di persone che è arrivato dall’altra parte del Mediterraneo, da una situazione drammatica, e la gente comprende che sono persone che scappano dalla guerra, dalla fame, dalla miseria e per questo è disponibile a dare accoglienza.

D. – Come lei personalmente ha vissuto questi ultimi mesi, con i numerosi migranti sbarcati al porto a poche centinaia di metri da qui?

R. – Io lo vivo bene, anche se impegno più del 60 per cento del tempo a fare accoglienza, a fare funzionare bene il Centro e quindi distolgo molto tempo che potrei dedicare alla mia città. Però, lo faccio con tanto amore perché comprendo e mi accorgo personalmente che sono persone che hanno bisogno di aiuto. Spesso ho avuto scontri con chi vorrebbe che li respingessimo. Ho detto sempre: “Evidentemente, avete visto le immagini in televisione e avete visto qualche foto sui giornali. Fate l’esperienza di venire sulla banchina del porto, quando arrivano queste persone. Arrivano persone … intanto, bisogna guardarli negli occhi. Arrivano donne che hanno in braccio bambini di pochissimi mesi, arrivano persone bruciate dal sole, arrivano persone inzuppate di acqua di mare, specie in inverno, e quindi infreddoliti, scalzi, martoriati da sevizie che hanno ricevuto … E non so se una persona che si trovasse sulla banchina, sul posto, avrebbe il coraggio di dire a queste persone: “No, tornatevene indietro”. Un’altra considerazione che io faccio spesso è quella del fatto che nel 2014 a Pozzallo sono arrivati circa 1.100 minori non accompagnati. Se ci sono famiglie, se c’è un papà e una mamma che prende un ragazzo di 10-11 anni, lo prende e lo mette sul barcone sapendo che rischia la vita, che non è sicuro che arrivi dall’altra parte del Mediterraneo, o che se arriva probabilmente non lo rivedrà per tutta la vita, penso che ci saranno motivazioni importanti, perché altrimenti un papà e una mamma non si separano dal figlio. Quindi, se si riesce a capire questo, fare accoglienza diventa “molto semplice”. Ma con “questa” mentalità. Se diventa un peso, se non si capiscono queste cose, sicuramente diventa una sofferenza. Per me non è stata una sofferenza: è una gratificazione. Io sono orgoglioso di essere sindaco di questa città che riesce ad accogliere queste persone. Ci sono stati momenti di sconforto, ci sono stati momenti in cui mi sono sentito solo, non sentivo vicina Roma, non sentivo vicina Bruxelles.

D. – Ma cosa vuol dire: che non si sente sostenuto dalle autorità, sia italiane sia europee, nell’accoglienza di questo grande numero di persone?

R. – Ma, vede, l’Europa ha sempre fatto finta di non accorgersene; ha sempre girato lo sguardo da un’altra parte per far finta di non sapere cosa succedesse in Italia. Tutte queste persone, non possono arrivare solo al porto di Pozzallo, a Porto Empedocle, a Augusta, qualche volta a Palermo … Queste persone devono essere accolte in tutti i comuni rivieraschi dell’Italia. Non è concepibile che un comune di 19 mila abitanti possa accogliere 28 mila persone: non ha gli strumenti per farlo! Noi l’accoglienza al porto, sulla banchina del porto, la facciamo con dei volontari. I volontari sono mamme e papà di famiglia, sono persone che lavorano e quindi se devono fare volontariato non possono farlo perché le mamme devono accudire alle famiglie e i papà devono andare a lavorare, le donne devono andare a lavorare. Non può essere fatto in questo modo! Il nostro Centro di prima accoglienza può ospitare 180 persone: noi non ospitiamo meno di 600, 500, 400 persone! Quindi, l’impegno che profondiamo ogni giorno, giorno dopo giorno, specie in questo periodo che gli sbarchi si susseguono, non ci danno il tempo di poter tirare il fiato e di ripartire.

D. – Ha un messaggio da inviare soprattutto alle autorità europee, che di recente a Bruxelles hanno parlato della migrazione?

R. – L’Europa deve adoperarsi – e un riferimento lo faccio anche all’Onu – deve adoperarsi per fare cambiare la situazione in questi Stati dove ci sono la guerra e la miseria. L’Europa e l’Onu devono intervenire dove c’è la guerra: non con le armi, ma con la diplomazia, per cercare di fare finire le guerre in quei Paesi e quindi creare le condizioni affinché queste persone non scappino. Dove, invece, c’è carestia, dove c’è fame, creare le condizioni per non farli partire, spendendo, investendo in quei territori. L’Europa, il mondo intero, in quei Paesi hanno preso: in passato hanno sempre preso. E’ arrivato il momento di dare qualche cosa. All’Europa in particolare dico di accogliere questi migranti: non possono essere lasciati soli in Italia. Se li distribuiamo tra di noi, probabilmente alleviamo i problemi in ogni Stato.

E ad occuparsi dei migranti che arrivano sulle coste siciliane è anche l’organizzazione umanitaria “Medici senza frontiere”. Olivier Bonnel ha sentito Chiara Montaldo, il medico che da Pozzallo coordina i progetti nell’isola: 

R. – Sì, gli ultimi sbarchi sono stati impegnativi ma purtroppo non sono i primi né gli ultimi: è una situazione che continuiamo a vivere ormai da tanto. Ed è per questo che accanto alla tristezza di continuare a vedere persone che sono costrette a questo viaggio, si instaura anche un sentimento – se vogliamo, con una brutta parola – di “rabbia” nel vedere che, nonostante questo fenomeno sia cronico, l’approccio è sempre e ancora troppo emergenziale e quindi vedere che sia a livello locale, nazionale, sia a livello europeo, più ampio, purtroppo non sono stati fatti grandi passi avanti. Ultimamente c’è forse qualche movimento e quindi se non altro l’idea di avere un’azione più coordinata tra i vari Stati europei: speriamo che in effetti si concretizzi in azioni reali. Speriamo che questo avvenga, perché purtroppo negli ultimi anni siamo andati molto a rilento nel migliorare la gestione di una situazione cronica.

D. – Voi avete lanciato un’azione di salvataggio con due navi che vanno per mare proprio per salvare e accogliere queste persone. Questo l’avete fatto perché state ancora aspettando che le autorità facciano qualcosa di più?

R. – L’abbiamo fatto con due obiettivi, essenzialmente. Uno, salvare quante più vite possibile. Ci rendiamo conto benissimo che probabilmente è una goccia nel mare, perché non abbiamo la presunzione di salvare tutte le persone. Però, per noi una vita è sempre una vita, se riusciamo a salvarla. Il secondo obiettivo è, appunto, accendere i riflettori su questa situazione perché, per quello che ho detto, per troppo tempo nonostante tutti sapessero della situazione, sono stati fatti pochi passi avanti; le persone sono ancora obbligate a fare questo viaggio e quindi è un’azione un po’ provocatoria per cercare di risvegliare le coscienze di chi si occupa di politiche internazionali. Noi non siamo un’organizzazione di soccorso né politica, ma un’organizzazione medico-umanitaria, e questa è una crisi umanitaria. Centinaia e migliaia di persone che muoiono perché non hanno alternative, non hanno vie legali per viaggiare, per noi è una situazione inaccettabile ed equivale a una crisi umanitaria. Il fatto di incrementare la nostra attività anche con attività che esulano un po’ dal nostro mandato originario, ha proprio questo scopo: di puntare ulteriormente i riflettori nella speranza che ci siano azioni concrete nel migliorare la gestione.

inizio pagina

Cannes: protagonista il film "Mia Madre" di Nanni Moretti

◊  

Il Festival di Cannes saluta Woody Allen e accoglie "Mia Madre" di Nanni Moretti, in un sabato che propone una riflessione sul tema della perdita e del lutto anche nell'altro film in concorso, "The Sea of Trees". Il servizio di Miriam Mauti

E a Cannes arrivò il giorno di Nanni Moretti, amatissimo dal Festival che nel 2001 l'ha premiato con la Palma d'oro per "La stanza del figlio". E quest'anno Moretti torna in croisette ancora con un film che riflette sulla perdita. "Mia Madre" è appunto la storia di due fratelli e di come affrontano la imminente morte della madre, professoressa di lettere, esattamente come la madre che il regista ha perso nel 2010. Moretti si ritaglia un ruolo in ombra, e affida quello da protagonista ad un alter ego femminile. Una regista, Margherita Buy, alle prese con un film, una figlia adolescente e la difficoltà di dire addio alla madre: “Questo può essere considerato un film in prima persona - racconta il regista - un’evoluzione dei miei film sotto la forma del diario. Ma non misuro il tasso di autobiografia nei miei film. Sicuramente in 'Mia Madre' ci sono temi, toni, sentimenti che sento miei e che avevo piacere di raccontare. Ma non ho mai pensato che il protagonista dovesse essere un uomo, un regista, io. Ho sempre pensato dall’inizio a una donna". Un film che racconta il senso di inadeguatezza che spesso si prova davanti alla morte, davanti agli eventi che cambiano radicalmente la nostra vita. Temi che trovano una eco anche nell'altro film in concorso quest'oggi a Cannes, "The Sea of Trees", nel quale Gus Van Sant porta una star Oscar come Matthew McConaughey alle pendici del Monte Fuji, in Giappone, nel profondo di una foresta, "The Sea of Trees", dove il protagonista intraprende un viaggio spirituale, che lo porterà a ridare significato alla vita, e ad accettare la perdita della moglie.

inizio pagina

Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

◊  

Nella Solennità dell’Ascensione, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, poco prima di ascendere al cielo, invita gli apostoli ad andare in tutto il mondo e proclamare il Vangelo a ogni creatura:

“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti

Celebriamo oggi la solennità dell’Ascensione del Signore: il mistero della Pasqua si riveste di gloria. Cristo è innalzato alla destra del Padre. La festa odierna ci fa contemplare in pienezza Cristo Gesù che ritorna, per così dire, al luogo della sua gloria: alla destra del Padre, ma vi ritorna ora come vero Uomo, con una vera carne d’uomo, seppure glorificata, oltre che come vero Dio. Questa gloria del Figlio di Dio diventa ora, a pieno titolo, gloria del Figlio dell’uomo e quindi dell’uomo. Della carne dell’uomo. Per questo la Chiesa proclama solennemente: “Credo la risurrezione della carne” e per questo ha sempre rivestito di onore e di rispetto il corpo dell’uomo; sino a tempi recenti non ha permesso la cremazione (oggi la tollera ma non la raccomanda), pratica invece abbastanza comune a molti popoli. Il corpo dell’uomo è destinato alla gloria: non solo fa orrore tanto spregio del corpo in tanta violenza, tanto aggressiva come gratuita, propria del nostro tempo  e di cui è piena la televisione ed anche i film dei bambini, ma fa orrore anche il disprezzo del corpo della donna nella pubblicità, il disprezzo del corpo dell’uomo in pratiche sessuali avvilenti, ma anche l’abuso di tanti tatuaggi e piercing che tolgono valore, dignità e santità al corpo di tanti giovani. Contempliamo oggi il Signore, con il suo corpo risorto e glorificato, alla destra del Padre, ma che non ci ha abbandonati, perché da lì accompagna la sua Chiesa, intercedendo per noi il dono dello Spirito Santo, guadagnato con la sua Pasqua. Contemplando il corpo glorioso del Signore, impariamo ad onorare e rispettare anche il nostro corpo in attesa della sua glorificazione.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Malta: donazione organi è atto di carità, no a commercio

◊  

La donazione degli organi è un regalo e come tale deve restare lontana da ogni tipo di costrizione o di mentalità commerciale: questo, in sintesi, il contenuto del documento presentato dalla Conferenza episcopale di Malta al governo locale, in vista dell’elaborazione di una nuova legge sulla donazione di organi e tessuti. Il testo dei vescovi, denominato “Position Paper”, è stato redatto da un gruppo di esperti in campo medico, psicologico, filosofico e teologico, approvato dalla Chiesa locale, con l’obiettivo di “contribuire al dibattito pubblico” sulla questione. La “Position” è stata presentata dall’arcivescovo di Malta, mons. Charels Scicluna, al Segretario parlamentare Chris Fearne, durante un incontro svoltosi nella sede della Curia, il 13 maggio scorso.

Donazione organi si deve basare su principi di carità e solidarietà
Suddiviso in cinque punti, il documento ribadisce che “la decisione di una persona di donare gli organi dovrebbe essere sempre l’espressione di generosità e altruismo spontanei, poiché si tratta di un atto di donazione”. In questo senso, “una persona non può ricevere un dono da un’altra che non ha liberamente acconsentito alla donazione” e quindi “senza il libero consenso, tale pratica diventa sinonimo di prendere e acquisire, piuttosto che di dare e ricevere”. “La donazione di organi è giustificata dai principi di carità e solidarietà”, ribadisce la Chiesa di La Valletta.

Necessario sistema “opt-in” con consenso libero ed informato del donatore
Di qui, la sottolineatura dell’importanza di un sistema “opt-in”, in cui ci sia la manifestazione previa del consenso da parte del donatore perché il suo opposto, “l’opt-out”, “preclude alle persone la possibilità di esprimere liberamente la propria decisone riguardo alla donazione di organi e tessuti, minando, così, la dimensione di dono, la quale richiede il consenso libero ed informato della persona”. Nel sistema “opt-out”, infatti, si corre il rischio di far perdere significato al concetto di “donazione” e di mancare di rispetto al donatore deceduto. Non solo: tale sistema potrebbe spaventare i cittadini che percepirebbero lo Stato come “il proprietario” dei loro corpi.

No al principio di “proprietà” del corpo
Il terzo punto del documento, quindi, solleva alcuni interrogativi etici: il primo riguarda “il paradigma di proprietà, utilizzato nel sistema della donazione degli organi”. Si tratta di “un principio inadeguato – afferma la Chiesa maltese – poiché il corpo umano non è una proprietà né del singolo individuo, né dello Stato”. Il secondo punto ribadisce che “la donazione di organi e tessuti provenienti da persone viventi può essere giustificata esclusivamente per ragione terapeutiche, come l’emergenza e la probabilità che il trapianto abbia successo”.

Traffico di organi contrario dignità umana
Mons. Scicluna sottolinea ancora che “la commercializzazione del corpo umano va contro la dignità e l’integrità umana” e che per questo “la remunerazione economica, nell’ambito della donazione di organi, deve essere proibita”. Il documento episcopale richiama, poi, la necessità di assegnare gli organi ai pazienti in attesa di trapianto “in base alla giustizia distributiva” e alle “relative necessità dei malati”. In un ulteriore capitolo della “Position” i vescovi rimarcano con forza che “il criterio più adeguato per accertare la morte di una persona è la morte cerebrale e del tronco cerebrale, con relativa perdita completa e irreversibile di tutte le funzioni vitali”. Per questo, “la pratica di espiantare organi da corpi in cui il cuore ha cessato di battere solleva interrogativi su quando staccare il respiratore artificiale”.

Perplessità sull’espianto di organi da bambini anencefalici
Altro punto critico riguarda la soglia dell’età per registrarsi ufficialmente come donatore di organi: “La proposta di considerare i 12enni legalmente competenti al riguardo – sottolineano i presuli – non è in linea con gli studi psicologici e non riflette la normativa maltese in materia di minori”. Alcune obiezioni vengono, infine, sollevate sull’espianto di organi da “neonati anencefalici”, per i quali è necessario riflettere sull’applicabilità dei criteri della morte cerebrale.

Tutelare il principio della donazione
Il documento episcopale si conclude con alcune raccomandazioni affinché “il concetto di donazione di organi, essendo un dono volontario, sia tutelato e protetto”. Di qui l’auspicio dei vescovi maltesi affinché “la nuova legislazione rafforzi il sistema opt-in, assicurando una gestione più efficace della materia”. (I.P.)

inizio pagina

Vescovi Repubblica Dominicana: famiglia è Chiesa domestica

◊  

“La mia famiglia e io serviremo il Signore”: la Commissione nazionale Famiglia e vita della Conferenza episcopale dominicana ha riflettuto su questo tema durante il primo corso nazionale di Pastorale familiare, svoltosi recentemente. All’incontro – informa una nota dei vescovi – hanno preso parte circa 150 agenti pastorali del settore, provenienti da tutte le diocesi del Paese. A tenere il corso è stato padre Antonio José Velázquez Delgado, segretario del Dipartimento Famiglia, vita e giovani del Consiglio episcopale latinoamericano.

Promuovere famiglie incentrate in Cristo
“Questo corso – prosegue la nota – fa parte del programma di formazione per gli agenti pastorali che lavorano alla promozione di famiglie incentrate in Cristo, promotrici dello sviluppo sociale, cercando di rafforzare i buoni rapporti tra i membri di una stessa famiglia, avvicinandola al modello che la Chiesa spera e anela, di fronte alle grandi sfide della società contemporanea”. Tra i temi trattati dal convegno, i vari aspetti della famiglia nella post-modernità, la perdita della sua identità di fronte al crescente individualismo, la necessità della nuova evangelizzazione, la pastorale della Chiesa per le famiglie irregolari, il ruolo del sacerdote nella pastorale familiare.

Mostrare alle famiglie la speranza che deriva da Dio
“La Chiesa – scrivono ancora i vescovi – consapevole del bisogno urgente di dare adeguata attenzione pastorale alla vita familiare in ogni sua tappa, cerca di offrire risposte alle necessità di evangelizzazione delle famiglie di oggi, portando avanti, con coraggio e gioia, la sua opera pastorale, testimoniando la vita e la sana dottrina, mostrando alle famiglie la speranza in Dio, che può sanare il cuore dell’uomo peccatore”.

Aiutare la famiglia, Chiesa domestica
“Gli agenti di pastorale familiare – conclude la nota – cercano di aiutare la famiglia ad incontrarsi nella fede come Chiesa domestica, affinché, attraverso l’impegno a essere comunità di fede, amore e vita, possa superare ogni forma di individualismo e di egoismo, diventando così lievito di comunione e partecipazione” nella vita comunitaria. (I.P.)

inizio pagina

I vescovi del Kenya: no a violenze ideologiche anticristiane

◊  

Un accorato appello a porre fine alle violenze nel Paese e un’esortazione a combattere ideologie contrarie alla dottrina cristiana e alla cultura africana: ruota su questi due punti il comunicato finale della plenaria della Conferenza episcopale del Kenya, tenutasi a Nairobi nei giorni scorsi. Nel documento, i presuli definiscono questi due argomenti “questioni che destano grande preoccupazione”. Riguardo alle violenze, i presuli ricordano l’attacco terroristico avvenuto il 2 aprile scorso presso l’università di Garissa, nel quale sono morte 148 persone: “Uccisioni insensate – le definiscono i vescovi - questi omicidi, inclusi quelli che hanno come obiettivo mirato i cristiani, sono inaccettabili”.

Appello al governo: eserciti il suo mandato costituzionale
Rivolgendosi, poi, al governo, la Chiesa di Nairobi nota, con rammarico, che “è stato fatto veramente poco” per porre fine a simili violenze, tanto che “lo stesso tragico circolo di morte continua”. “I keniani sono preoccupati e disperati – dicono i presuli – mentre il governo sembra assolutamente incapace di offrire soluzioni durature per contrastare una condizione perenne di insicurezza”. Mettendo, quindi, in guardia dall’esacerbarsi dei conflitti, dovuti anche “alla scoperta del petrolio” in alcune zone del Paese, i vescovi sottolineano che non cesseranno di chiedere alle istituzioni “la piena attuazione del mandato costituzionale e la tutela di tutta la popolazione, perché un governo che non riesce a proteggere la sua gente perde di legittimità”.

Tolleranza zero contro la corruzione
“Non possiamo restare a guardare mentre i keniani continuano a perdere la vita a causa dell’insicurezza” nazionale, si legge ancora nel messaggio, perciò “questi omicidi devono assolutamente fermarsi”. “Bisogna compiere azioni decisive – affermano i presuli – oltre ad avviare meccanismi risolutivi dei conflitti come il disarmo, il rafforzamento economico e la promozione di iniziative di pace a livello locale”. Un ulteriore appello viene, poi, lanciato, affinché si ponga fine alla corruzione, dilagante ormai “non solo nell’economia, bensì nell’intero Paese”. “Tolleranza zero”, chiedono i vescovi a tale riguardo, chiedendo alle istituzioni la sospensioni dai pubblici uffici di quei funzionari sospettati di corruzione, e l’avvio di processi “veloci, giusti e decisivi”. “Uniamoci per porre fine alla corruzione e salviamo il nostro Paese”, è il monito.

No al matrimonio tra persone dello stesso sesso
Quindi, la Chiesa di Nairobi si dice “contrariata dalla recente decisione dell’Alta Corte di permettere la registrazione di un’associazione di gay e lesbiche”. Un atto, evidenziano i presuli, che finisce per essere “un attacco deliberato per introdurre in Kenya ideologie contrarie al cristianesimo e all’Africa” e che rappresentano “una minaccia alla famiglia”. Tanto più che, ricordano i presuli, “la Costituzione non consente la legalizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso”. “Non permetteremo – continuano i presuli – che il nostro Paese diventi terreno fertile per ideologie straniere che perseguono interessi economici e per questo respingiamo, categoricamente, questo genere di ideologie”.

Lo Stato tuteli la vita dei cittadini
Il messaggio si conclude con l’appello ai fedeli a “pregare”, mentre dal canto loro i presuli assicurano che continueranno a “ricordare al governo il suo mandato costituzionale di proteggere la vita e provvedere ai servizi essenziali dei cittadini”. (I.P.)

inizio pagina

Usa: 22 maggio, Giornata di preghiera per la gente del mare

◊  

Sostenere, ricordare e pregare per i marinai, i pescatori, il personale dei porti e tutti coloro che operano nell’industria marittima: questo l’obiettivo della Giornata di preghiera per la gente del mare che la Chiesa degli Stati Uniti celebra il prossimo 22 maggio. La data coincide con la Giornata marittima nazionale del Paese, istituita nel 1933.

Dare voce a chi lavora lontano dai propri cari
“Papa Francesco – scrive in un messaggio mons. J. Kevin Boland, promotore dell’Apostolato del Mare – ha esortato tutti coloro che operano per il benessere dei marinai e delle loro famiglie ad ‘essere voce’ di chi lavora lontano dai propri cari ed affronta situazioni pericolose e difficili”. Di qui, l’incoraggiamento del presule affinché ogni diocesi statunitense celebri la Giornata di preghiera.

90 per cento dei beni mondiali trasportato via mare
“Attualmente – informa una nota della Conferenza episcopale degli Stati Uniti – il 90 per cento dei beni mondiali viene trasportato via mare e via acqua. Circa 1,2 milioni di marinai lavora, nel mondo, in 10mila imbarcazioni mercantili”. A loro è dedicato l’Apostolato del Mare, il servizio di pastorale per l’assistenza spirituale dei marinai e delle loro famiglie. Istituita nel 2005, la Giornata di preghiera per la gente del mare verrà ricordata anche con una Santa Messa presieduta da mons. Boland nel Santuario dell’Immacolata Concezione di Washington. (I.P.)

inizio pagina

Comece: progressi in Ue contro tragedie dell'immigrazione

◊  

“Un progresso significativo nella lotta contro le ripetute tragedie del Mediterraneo”. Così il segretario della Comece, padre Patrick H. Daly, saluta l’Agenda europea sull’immigrazione. Il programma, approvato nei giorni scorsi dalla Commissione Europea, oltre a triplicare i fondi di Frontex, prevede la creazione di un sistema temporaneo di quote per ridistribuire tra gli Stati membri richiedenti asilo che già si trovano nell'Ue e un meccanismo per assorbire in due anni 20mila profughi dai campi rifugiati mediorientali. Dal sistema delle quote potranno, peraltro, chiamarsi fuori Danimarca, Gran Bretagna e Irlanda che hanno già manifestato la loro contrarietà.

La politica migratoria dell’Ue oggi lontana dai parametri di una società civile
“Se fossero adottate dagli Stati membri - ha dichiarato il segretario della Comece - le proposte tradurrebbero nei fatti l’impegno alla solidarietà tra gli Stati membri e darebbero sollievo all’inaccettabile sofferenza umana subita da uomini e donne in cerca di asilo nel nostro continente. E’ il motivo per il quale – ha aggiunto – essi dovrebbero esaminarle nel quadro di una riforma generale dell’attuale politica migratoria, da tutti considerata lontana dai parametri di una società civile”. 

Coordinare le politiche migratorie e con quelle per lo sviluppo
Padre Daly ha inoltre invocato la necessità di coordinare le politiche migratorie con quelle per lo sviluppo in collaborazione con i Paesi di provenienza degli immigrati. (L.Z.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 136

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.