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Sommario del 17/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco proclama quattro nuove sante, testimoni della carità verso tutti

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Dimorare in Cristo, uniti a Lui come i tralci alla vite, per portare molto frutto, cioè amore. Così, in sintesi, il Papa, nella Solennità dell’Ascensione, durante la Messa per la proclamazione di quattro nuove sante: la religiosa francese Giovanna Emilia De Villeneuve, le due suore palestinesi Maria Alfonsina Danil Ghattas e Maria di Gesù Crocifisso e la religiosa napoletana Maria Cristina Brando. In questo giorno di festa per la Chiesa universale Francesco ha sottolineato, davanti ad una Piazza San Pietro gremita di fedeli, che l’esempio luminoso dei santi “interpella” tutti ad essere testimoni di Cristo. Sono arrivati dal Medio Oriente oltre duemila cristiani. In Piazza San Pietro anche il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, e una delegazione israeliana che il Papa ha salutato al termine della celebrazione. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Carità verso tutti per testimoniare la Resurrezione di Cristo
Piazza San Pietro immersa nella luce della fede irradiata in ogni parte del mondo. Quattro nuove Sante - afferma Papa Francesco - indicano da oggi la via del cielo: 

"Rimanere in Dio e nel suo amore, per annunciare con la parola e con la vita la risurrezione di Gesù, testimoniando l’unità fra di noi e la carità verso tutti. Questo hanno fatto le quattro sante oggi proclamate". 

Fondiamo la nostra fede sulla testimonianza oculare degli Apostoli
Il Papa ha tracciato lo splendore della testimonianza dei santi, indicando il legame con Cristo che passa attraverso i secoli, il compito della Chiesa missionaria e l’esperienza “diretta e stupenda della Risurrezione” di Gesù che ebbero gli Apostoli, sulla cui testimonianza oculare fondiamo la nostra fede, e che interpella tutti:

"A imitazione degli Apostoli, infatti, ogni discepolo di Cristo è chiamato a diventare testimone della sua Risurrezione, soprattutto in quegli ambienti umani dove più forte è l’oblio di Dio e lo smarrimento dell’uomo".

Suor Giovanna Emilia, francese, tutta per i poveri e gli sfruttati
Una testimonianza che chiama alla permanenza nell’amore di Cristo, e questo – ha evidenziato il Papa – è il “segreto dei santi: dimorare in Cristo, uniti a Lui come i tralci alla vite, per portare molto frutto”:

“E questo frutto non è altro che l’amore. Questo amore risplende nella testimonianza di suor Giovanna Emilia de Villeneuve, che ha consacrato la sua vita a Dio e ai poveri, ai malati, ai carcerati, agli sfruttati, diventando per essi e per tutti segno concreto dell’amore misericordioso del Signore”.

Suor Brando, napoletana: pane spezzato per i lontani
La relazione con Gesù Risorto – ha aggiunto - è l’atmosfera in cui vive il cristiano e nella quale trova la forza di restare fedele al Vangelo, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni: 

“Rimanere nell’amore: questo ha fatto anche suor Maria Cristina Brando. Ella fu completamente conquistata dall’amore ardente per il Signore; e dalla preghiera, dall’incontro cuore a cuore con Gesù risorto, presente nell’Eucaristia, e di lì riceveva la forza per sopportare le sofferenze e donarsi come pane spezzato a tante persone lontane da Dio e affamate di amore autentico".

Suor Baouardy, palestinese, strumento d'incontro con musulmani
“Un aspetto essenziale della testimonianza da rendere al Signore risorto è l’unità tra di noi, suoi discepoli - ha aggiunto Francesco – unità che è “immagine di quella che sussiste tra Lui e il Padre”. Ed è grazie all’azione dello Spirito Santo che “prendono forza la nostra missione e la nostra comunione fraterna”. “Da esso - ha suggerito -  scaturisce sempre nuovamente la gioia di seguire il Signore nella via della sua povertà, della sua verginità e della sua obbedienza; e quello stesso amore chiama a coltivare la preghiera contemplativa:

"Lo ha sperimentato in modo eminente suor Maria Baouardy che, umile e illetterata, seppe dare consigli e spiegazioni teologiche con estrema chiarezza, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo. La docilità allo Spirito Santo l’ha resa anche strumento di incontro e di comunione con il mondo musulmano".

Suor Danil Ghattas, palestinese, testimone di mitezza e unità
Così pure suor Maria Alfonsina Danil Ghattas ha ben compreso che cosa significa irradiare l’amore di Dio nell’apostolato, diventando testimone di mitezza e di unità:

"Ella ci offre un chiaro esempio di quanto sia importante renderci gli uni responsabili degli altri, di vivere l’uno al servizio dell’altro".

Come io sono testimone di Cristo risorto?
Un empio luminoso quello delle quattro nuove sante che interpella, però, anche la nostra vita cristiana invitandoci a “dimorare nell’amore di Dio”:

"Come io sono testimone di Cristo risorto? E' una domanda che dobbiamo farci ... Come rimango in Lui, come dimoro nel suo amore? Sono capace di “seminare” in famiglia, nell’ambiente di lavoro, nella mia comunità, il seme di quella unità che Lui ci ha donato partecipandola a noi dalla vita trinitaria?".

Appello alla riconciliazione e alla convivenza fraterna
Vibrante l'appello del Papa al Regina Coeli. Guardando alle quattro nuove sante e ai loro territori di origine ha esortato alla missionarietà, a non perdere la speranza, alla pace:

"Per loro intercessione, il Signore conceda un nuovo impulso missionario ai rispettivi Paesi di origine. Ispirandosi al loro esempio di misericordia, di carità e di riconciliazione, i cristiani di queste terre guardino con speranza al futuro, proseguendo nel cammino della solidarietà e della convivenza fraterna".

Il pensiero del Papa per il nuovo don Luigi Caburlotto
Poi il pensiero del Papa è andato a ieri, a Venezia dove è stato proclamato beato il sacerdote Luigi Caburlotto, parroco, educatore e fondatore delle Figlie di San Giuseppe. “Rendiamo grazie a Dio – ha concluso - per questo esemplare Pastore, che condusse un’intensa vita spirituale e apostolica, tutto dedito al bene delle anime.

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La festa dei fedeli palestinesi in Piazza San Pietro

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Tantissimi i fedeli, non solo cristiani, presenti oggi in Piazza San Pietro per assistere alla Messa di Canonizzazione. Numerosi i pellegrini palestinesi giunti dal Medio Oriente per le due nuove sante originarie di Gerusalemme e di un villaggio in Galilea. Sulle emozioni di questa giornata, sentiamo alcune testimonianze raccolte da Elvira Ragosta

D. - Padre Jamal, lei accompagna un gruppo di seminaristi: da dove venite?

R. – Veniamo dal Patriarcato latino di Gerusalemme. E’ una giornata bellissima! Con centinaia, migliaia di palestinesi cristiani che sono venuti dalla Palestina per celebrare qui una festa bellissima. E’ un segno di speranza per noi, per noi che viviamo momenti difficili in Terra Santa. E’ un segno di speranza, perché adesso abbiamo due nuove sante palestinesi.

D. – Voi venite da dove?

R. – Da Genova.

D. – Con un gruppo di cresimandi?

R. – Sì, cresimandi. 23 pullman di cresimandi.

D. – Riguardo alle canonizzazioni?

R. – Esempi da seguire per questi ragazzi, che noi diamo sempre e indichiamo quando facciamo le catechesi.

R. – Per me e per tutte le persone che sono qui, penso che sia un momento molto importante nella vita perché assistere a questo evento della canonizzazione di queste quattro donne è prima di tutto un incoraggiamento per noi a perseverare nella fede, cercando sempre di gustare la dolcezza della fede. Credo che così facendo potremo sempre trovare la forza, anche tramite l’intercessione di questi nostri santi, di perseverare in questo cammino di fede.

R. – Bellissimo, anche perché ci sono persone da tutto il mondo e soprattutto moltissimi palestinesi cristiani, insieme ai musulmani. Ci sono anche molti musulmani… Una giornata molto, molto bella!

R. – E’ comunque sempre un’emozione stare qua, perché sentire la voce del Papa è emozionante. E poi quando ci sono queste celebrazioni ancora di più…

R. – Una giornata emozionante per noi palestinesi, perché è un grande messaggio di pace.

R. – C’è un dialogo ormai storico. Non è mai stato in discussione e oggi lo dimostra: musulmani e cristiani palestinesi insieme per questo evento della canonizzazione.

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Il Papa prega per il Burundi: no alle violenze

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Al Regina Caeli, Papa Francesco ha elevato la sua preghiera per il Burundi, che continua a vivere momenti di grave tensione dopo il fallito golpe di questi giorni. Queste le sue parole: 

“Vorrei anche invitare a pregare per il caro popolo del Burundi, che sta vivendo un momento delicato: il Signore aiuti tutti a fuggire la violenza e ad agire responsabilmente per il bene del Paese”.

Dopo il fallito golpe, cinque generali sono stati arrestati. Ma nella capitale Bujumbura ci sono state nuove proteste. Decine di manifestanti sono scesi per le strade protestando contro la decisione del presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato, in violazione alla Costituzione. I militari li hanno dispersi. Il capo di Stato, apparso per la prima volta in pubblico a Bujumbura dopo il putsch, durante una conferenza stampa ha parlato della possibilità di un leggero rinvio delle elezioni in programma per fine maggio. Ha quindi denunciato i pericoli dell'estremismo islamico. Intanto, circa 100.000 persone, la maggior parte dei quali donne e bambini, sono fuggite verso i Paesi vicini dei Grandi Laghi, tra cui Tanzania, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Si prevede che il numero di rifugiati aumenti. A denunciarlo è l'Unicef. "Molti bambini che arrivano alle frontiere sono in cattive condizioni di salute, sono non accompagnati o sono stati separati dalle loro famiglie. Hanno urgente bisogno di aiuto, cibo e protezione".

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Giornata Comunicazioni Sociali. Il Papa: comunicare bellezza famiglia

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Questa domenica si celebra la 49.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema "Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro, nella gratuità dell’amore". Il servizio di Sergio Centofanti

Famiglia, primo luogo dove impariamo a comunicare
Nel suo messaggio per la Giornata, diffuso il 23 gennaio scorso, Papa Francesco ricorda che la famiglia è il “primo luogo dove impariamo a comunicare”, sin dal grembo materno. L’incontro mamma-bambino è “la nostra prima esperienza di comunicazione” che accomuna tutti. “Non esiste la famiglia perfetta – osserva - ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva”. Anzi, il perdono “è una dinamica di comunicazione” e la famiglia “diventa una scuola di perdono” perché è il luogo in cui ci si vuole bene oltre i limiti “propri e altrui”.

Guidare, non lasciarsi guidare dalle tecnologie
In questo contesto, i media, “ormai irrinunciabili” – dice Papa Francesco - possono ostacolare la comunicazione in famiglia se significano “sottrarsi all’ascolto, isolarsi dalla compresenza fisica” ma possono anche favorirla se “aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani” e “a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro”. Per questo è necessario guidare le tecnologie anziché farsi “guidare da esse”.

Famiglia non sia terreno di battaglie ideologiche
La famiglia – si legge ancora nel messaggio - “continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione in crisi”, aldilà di come tendono a volte a presentarla i media, quasi fosse un modello “astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato”. Non sia dunque terreno di "battaglie ideologiche". La famiglia più bella “è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli”. Promuovendo la famiglia - conclude il Papa -  “non lottiamo per difendere il passato ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro”.

Ma qual è la particolarità del Messaggio del Papa per questa Giornata? Fabio Colagrande lo ha chiesto a don Enrico Cassanelli, docente di teoria e tecnica del linguaggio televisivo, e a Paola Springhetti, docente di giornalismo. Entrambi insegnano presso la Pontificia Università Salesiana: 

R. - Quella di aver spostato nella Giornata mondiale della comunicazione il tema non tanto sui mezzi, sulle modalità, quanto piuttosto sui soggetti della comunicazione:  è una rivoluzione veramente interessante. Se chi comunica non è consapevole di questo suo potere, di questa sua possibilità, tutto il resto, le tecniche, gli ambiti, gli strumenti sono secondari.

D. - Come viene raccontata oggi la famiglia, secondo lei?

R. - Purtroppo non è un quadro consolante, perché normalmente si ricercano immagini di famiglia possibilmente trasgressive per incuriosire le persone o comunque irreali oppure modelli di famiglia utopici che servono alla pubblicità per vendere un prodotto e non per veicolare un modello relazionale possibile alle persone comuni.

D. - Paola Springhetti, qual è la chiave particolare del messaggio di quest’anno incentrato sulla famiglia?

D. - È un messaggio da una parte molto semplice, dall’altra molto intenso che arriva al cuore del problema. Oggi credo che la sfida sia davvero quella di riuscire a raccontare questa famiglia, a renderla un soggetto ancora desiderato - in realtà è molto desiderato, anche se spesso lo si nega - ma comunicarne tutta la bellezza e il fatto che vale anche la pena impegnarsi per costruirla anche se magari a volte può sembrare difficile.

D. - Nel messaggio del Papa leggiamo: “I media tendono a volte a rappresentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o da attaccare invece che una realtà concreta da vivere”. Questo è un problema?

R. - Sì, credo che questo sia effettivamente un grosso problema. In realtà ognuno di noi ha sperimentato che la famiglia è una costruzione quotidiana che si mettendo un mattoncino dopo l’altro, facendo la manutenzione dei rapporti fra i membri della famiglia stessa, coltivando il dialogo, essendo disponibili all’ascolto degli altri, cercando di condividere davvero la vita e le esperienze. In questo senso, ogni famiglia è diversa dall’altra, però tutte le famiglie sono uguali perché sono il luogo dove le diversità si incontrano e si aiutano vicendevolmente a crescere.

D. - I mezzi di comunicazione aiutano la comunicazione in famiglia o interferiscono negativamente?

R. - Una volta l’immagine prevalente era questa: tutti i membri della famiglia seduti sul divano davanti alla televisione. Oggi l’immagine è quest’altra: ognuno nella propria stanza o magari anche davanti alla televisione, però con uno schermo in mano oltre a quello televisivo; che poi sia un cellulare, un tablet, un videogioco, però di fatto c’è questa estrema frammentazione. Allora si può vivere tutto questo valorizzando le potenzialità dei vari strumenti di comunicazione. Su WhatsApp i membri della famiglia scherzano, condividono le cose, si tengono in contatto anche quando non si è vicini fisicamente e questo è il lato positivo; però, se quando si è insieme ognuno sta su WhatsApp con altre persone, allora qualcosa non funziona. Oggi serve davvero una grossa informazione per i genitori e più in generale per gli educatori, perché ci aiutino ad usare gli strumenti di comunicazione per stare insieme e per comunicare fra di noi, oltre che per comunicare la famiglia al mondo. Bisogna saper scegliere e fare questa operazione che non è scontata. Qui però passa il crinale: da una parte c’è la capacità di usare gli istrumenti di comunicazione per i propri fini e dall’altra c’è il lasciarsi trascinare dagli strumenti di comunicazione in un isolamento che sicuramente porta la famiglia a disgregarsi.

D. - Don Enrico, come la televisione ha influito nelle relazioni famigliari?

R. - Mentre la televisione rappresentava una finestra sul mondo - anche se chi citava questa espressione la metteva tra virgolette perché non sempre era una vera e propria finestra – con la neotelevisione questa finestra si è opacizzata; è diventata uno specchio: le persone guardano la televisione non perché sono interessati agli altri come persone differenti da loro, ma quanto per specchiarsi - in qualche maniera - nelle altre persone, confrontarsi, rivaleggiare … Quindi, questo offuscamento è stato secondo me molto pericoloso. In una sua lettera del ’91 – la lettera pastorale molto famosa “Il lembo del mantello” di Martini – che in qualche modo è nella filigrana del discorso del Papa di quest’anno, c’è una terza metafora che a me sembra molto interessante che è far si che il mezzo di comunicazione sociale non sia la finestra, non sia assolutamente specchio, ma diventi una porta che apre al contatto con gli altri: l’informazione è sana, costruttiva, se fa sì che le relazioni si fortifichino all’interno – prima di tutto – del nucleo famigliare e poi sia anche uno stimolo a uscire a confrontarsi con gli altri, a dialogare e magari  - in qualche caso - ad impegnarsi concretamente per chi si trova in difficoltà. In questo senso allora la comunicazione sociale acquisisce il suo valore reale anche secondo le indicazioni del Papa.

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Oggi in Primo Piano



Jihadisti si ritirano da Palmira, uccisi 4 capi in raid americano

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Sono una trentina tra i miliziani del sedicente Stato islamico e 47 tra i soldati governativi, le vittime della sanguinosa battaglia di ieri intorno al prezioso sito archeologico di Palmira, in Siria, dal quale sembra che i jihadisti stiano battendo in ritirata. Il servizio di Roberta Barbi: 

Avrebbero lasciato l’intera area a nord di Palmira, mantenendo solo il controllo di un villaggio nei dintorni, i miliziani dell’Is, che da giorni stavano avanzando verso la “sposa del deserto”, come fu soprannominata la splendida città siriana patrimonio dell’Unesco per la cui sorte in questi giorni ha tremato tutto il mondo. Il prezzo della battaglia di ieri, però, è stato alto, con decine di vittime da entrambe le parti. Tra i morti anche alcuni capi del movimento: oltre ad Abu Sayyaf, anche il viceministro della Difesa, il responsabile della comunicazione e un quarto leader non ancora identificato. E mentre l’Is procede conquistando un sito petrolifero vicino a Tadmur e infuriano gli scontri nell’area di Shaer, dove si trova un giacimento di gas recentemente riconquistato dalle forze lealiste, un consigliere del governo riconosciuto di Tobruk rivela alla Bbc l’infiltrazione di jihadisti tra i profughi che arrivano in Europa sui barconi in partenza dalle coste libiche. Già mesi fa Frontex aveva avvertito della possibile presenza di terroristi sulle rotte migratorie del Mediterraneo, finalizzata alla progettazione di attentati nel Vecchio Continente.  

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Alla deriva e senza soccorso: la tragedia del popolo Rohingya

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Una catastrofe umanitaria si consuma nel silenzio internazionale: quella del popolo Rohingya. A migliaia sono alla deriva nel mare delle Andamane, a bordo di navi di fortuna, dopo la fuga dalla Birmania, dopo essere stati abbandonati dai trafficanti e dopo essere stati respinti da Malaysia, Thailandia e Indonesia. Il premier malese si è rivolto al governo birmano, invitandolo a farsi carico di una questione che lo riguarda direttamente. E’ in Birmania che vivono 1,3 milioni di Rohingya, gruppo etnico poverissimo di fede musulmana, non riconosciuto come minoranza, sistematicamente discriminato, al quale non è mai stata concessa la cittadinanza. E’ da lì che queste persone fuggono, sono circa seimila abbandonati in mare in cerca di un approdo. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Montessoro, docente di Storia dell’Asia all’Università di Milano: 

R. - Nessuno vuole i membri di una comunità emarginata e poco influente semplicemente perché, in tutti i Paesi dell’area, è inaccettabile l’afflusso di decine di migliaia, di centinaia di migliaia di persone completamente sradicate, che, di fatto, non hanno né in Birmania-Myanmar, una speranza di insediamento in termini continuativi, né possono tornare in Paesi da cui, in altre epoche, sono emigrati. Tutti i Paesi dell’area hanno politiche sull’emigrazione decisamente restrittive e hanno situazioni interne decisamente difficili, sotto il profilo socio-economico. Dovrebbero tornare in Bangladesh, ma si tratta di un afflusso migratorio che è avvenuto molto tempo fa e dunque, da questo punto di vista, non tornano in un Paese lasciato dai loro antenati. E d’altra parte sono un problema per la stabilità di alcune regioni del Myanmar.

D. – Sembra davvero impossibile immaginare che un nuovo corso birmano possa finalmente riconoscere come minoranza quella dei Rohingya…

R. – La situazione delle minoranze etniche in Myanmar è una situazione del tutto particolare. Bisogna considerare che i birmani veri e propri sono i due terzi della popolazione del Paese. Vi è un terzo, più del 30 per cento della popolazione, che non appartiene all’etnia Bamar, quella principale, quella birmana vera e proprio. Questo terzo della popolazione appartiene a 135 gruppi etnici diversi, con caratteristiche culturali, linguistiche, molto diverse le une dalle altre. Per cui non c’è la possibilità di costituire uno Stato. Alcuni gruppi, più numerosi, i Kachin, Shan, Karen, hanno l’ambizione di avere un proprio Stato, e dal 1948, in vari modi, animano anche forme di resistenza armata. Per cui il Myanmar, la Birmania di ieri, non è affatto un Paese unitario, al governo centrale sfugge una parte consistente della popolazione e del territorio. Questa situazione fa da sfondo a qualsiasi processo di trasformazione. La possibilità di pacificare il Paese, trovando un accordo con le minoranze etniche, è assai problematica. Se, per ipotesi, vi fosse fra qualche mese, dopo le elezioni che si terranno alla fine dell’anno, un governo capeggiato da Aung San Suu Kyi, non ci sarebbe comunque, di per sé, la speranza di giungere in tempi brevi ad una soluzione di un problema che è di tipo etnico e che ha una valenza nazionale. Il caso dei Rohingya è ancora più particolare: si tratta di una minoranza che non ha legami ancestrali con la terra, che non è riconosciuta come membro di una comunità, pur multi-etnica, e dunque non ha alcun diritto. Per di più, sono legati a una componente religiosa specifica, quella musulmana, che non ha, nell’universo buddista-birmano, alcun legame, alcuna simpatia.

D. – Human Rights Watch ha accusato la Malaysia, la Tailandia e l’Indonesia di giocare un ping-pong umano. Mi sembra a questo punto che la fine di questa partita sia già segnata, tragicamente segnata…

R. – I governi dei Paesi che lei ha citato sono ostili ad accogliere profughi che costituirebbero un problema e che costituirebbero anche un precedente, per la verità abbastanza grave. Si tratta di problemi difficilmente risolvibili. In Asia sud-orientale non vi è alcun governo che sia disposto a concedere alcunché, per ragioni interne, perché questi Paesi sono meno dotati di infrastrutture, o comunque di una ricchezza economica per accogliere qualcuno che è semplicemente una zavorra, un peso. Per cui, adotteranno senz’altro politiche sgradevoli e disumane. E la denuncia che fanno gli organismi umanitari internazionali è una denuncia sacrosanta.

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Giornata contro l'omofobia ... ma diritto difenda tutti

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Oggi l'Unione Europea celebra la Giornata internazionale contro l’omofobia. Tuttavia, spesso, sotteso al giusto obbiettivo di sradicare attacchi contro le persone omosessuali, si nasconde il tentativo di introdurre leggi ispirate alla teoria del gender e quindi finalizzate a snaturare il concetto di umano e di famiglia. "Ambiguo" è anche il termine “fobia” come spiega Laura Palazzani, docente di filosofia del diritto all’Università Lumsa di Roma e membro dell’European Group on Ethics in Science and New Technologies. L'intervista è di Paolo Ondarza: 

Omofobia, termine ambiguo
R. – Ovviamente la persona omosessuale non deve essere oggetto di odio, come chiunque non deve essere oggetto di odio. “Fobia” è un termine che si usa prevalentemente nell’ambito psicologico e indica un atteggiamento di avversione irrazionale nei confronti di qualcuno. Quindi è un termine che, siccome è usato soprattutto in relazione al diritto, è poco adatto e un po’ ambiguo.

D. – Anche perché si può provare una avversione irrazionale o una fobia, di qualsiasi tipo, senza per questo compiere un atto discriminatorio…

R. – Certo, è esattamente questo. Quello che non mi è chiaro è perché ci sia un’attenzione internazionale su questo termine, con specifico riferimento ad una serie di azioni che vengono raccomandate agli Stati da un punto di vista giuridico.

Dall'omofobia al reato di opinione
D. – Tant’è che c’è il rischio che laddove si vada a legiferare sull’omofobia - è il caso del ddl Scalfarotto – possa configurarsi un reato di opinione…

R. – Esatto. Quando ci troviamo di fronte ad un atto violento nei confronti di un omosessuale, si pensa sempre che sia un atto violento perché quell’individuo è un omosessuale, mentre l’intenzione dei vari atti di odio, di avversione e così via, può essere diversa. Ogni individuo deve essere tutelato, a prescindere dalla sua condizione specifica.

Gay "protetti", anziani e disabili no?
D. – Inserire un aggravante per il reato di omofobia, senza che esista una uguale disposizione per altre pericolose forme di discriminazione, ai danni ad esempio di categorie deboli come anziani o disabili, può costituire un paradosso legislativo?

R. – Penso di sì, perché la violenza è qualcosa da cui dobbiamo essere protetti dal diritto. Tutti, però, dobbiamo essere protetti dal diritto. Dal mio punto di vista quello che dovrebbe essere fatto sempre è educare i cittadini al rispetto degli altri e chiaramente anche al rispetto delle persone omosessuali.

D. – Cioè non devono esserci categorie deboli di serie A e di serie B…

R. – Non ci devono essere.

Teorie gender
D. – La visione relativista dell’indifferentismo sessuale, pilastro della teoria del gender, vorrebbe una piena equiparazione legislativa tra etero e omosessuali, anche riguardo a matrimonio e adozione. Quale rilevanza ha, per il diritto, il riferimento al concetto di natura umana: la distinzione antropologica tra “essere” - l’identità sessuale - e “agire” - la pratica omosessuale?

R. – Le teorie gender cercano di non fare alcuna distinzione rispetto alle scelte dell’individuo. Io penso che invece il diritto debba fare una distinzione tra chi vive e esperisce la propria identità nel corpo e, soprattutto, la relazione con l’altro. L’eterosessualità è giuridicamente da difendere, perché è la condizione di possibilità della procreazione, che è il fondamento della società.

D. – E sostenere questo non è discriminazione, nel senso negativo del termine… 

R. – No, non è discriminazione, perché è quel tipo di relazione che consente alla società di esistere. Per quanto riguarda le coppie omosessuali, noi sappiamo che sono costitutivamente sterili. Esiste una differenza oggettiva tra una coppia eterosessuale e una coppia omosessuale, che è appunto l’apertura alla possibilità della procreazione. E credo che questo elemento sia un elemento fondamentale. Per il diritto c’è una differenza oggettiva.

Eterofobia?
D. – C’è chi oggi parla di eterofobia, citando casi di violenza verbale o fisica ai danni di chi sostiene che la famiglia sia esclusivamente quella costituita da un uomo e da una donna.

R. - Io penso che nella misura in cui si riconosce l’omofobia, si debba necessariamente riconoscere anche l’eterofobia. In ogni caso, per me, essenziale è che vada tutelata la persona omosessuale ma, perché no, anche la persona eterosessuale. Dobbiamo, cioè, evitare di sbilanciare il diritto specificando una categoria particolare, perché rischieremmo veramente di introdurre una discriminazione.

Colonialismo ideologico
D. – In nome della lotta all’omofobia, il “colonialismo ideologico gender”, per usare un’espressione del Papa, entra nelle aule scolastiche, spesso senza contraddittorio e senza il consenso dei genitori, consenso tutelato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo…

R. – Io credo che portare avanti questo tipo di linea educativa sia fortemente aggressivo, possiamo dire, nei confronti di chi vuole portare avanti un’altra linea educativa, che è la linea educativa della corrispondenza sex-gender e della importanza della famiglia, costituita da un uomo e da una donna. Sarebbe assurdo immaginare che chi difende quella che è la linea su cui si fonda anche la nostra Carta costituzionale, possa essere accusato di un reato, perché sostiene un’idea diversa rispetto a quelle delle teorie gender.

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Salone Torino: presentato volume su sacerdoti martiri del nazismo

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Presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino, il volume “Martiri per amore”, di Chiara Genisio edito dalle Paoline. Il libro si sofferma sulle figure di don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, uccisi il 19 settembre 1943 a Boves, in Piemonte, nella prima strage nazista in Italia. Il 31 maggio è stata aperta la Causa di Beatificazione dei due sacerdoti. Il libro ha la postfazione dell’attuale parroco di Boves, don Bruno Mondino, che si è molto prodigato per tenere viva la memoria dei due sacerdoti. Alessandro Gisotti ha chiesto a Chiara Genisio come nasce l’idea di raccontare la testimonianza eroica di questi due preti rimasti con il proprio gregge fino al sacrificio della vita: 

R. - Me ne sono occupata come giornalista del quotidiano "Avvenire". Le Paoline hanno letto il mio articolo al riguardo ed hanno intravisto che poteva esserci una bella storia da raccontare: la figura di questi due preti don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, uno quasi cinquantenne e l’altro poco più che ventenne, morti durante questa strage a Boves in Piemonte per salvare, per aiutare i loro parrocchiani i loro compaesani, poteva diventare un esempio per molti. Così il libro è nato, grazie all’aiuto anche dei bovesani che hanno raccolto in questi anni moltissime testimonianze di quel tragico giorno del 19 settembre del 1943, la prima strage nazista  in Italia. In questo modo ho potuto raccontare che cosa è accaduto quel giorno e soprattutto chi sono questi due personaggi: due preti normali ma che in un momento drammatico della loro vita e della vita del loro Paese sono rimasti dove dovevano essere.

D. - Evangelicamente si può dire: due pastori che sono rimasti a proteggere il gregge contro i lupi fino al sacrificio della vita …

R. - È proprio così, tant’è che ora è in corso la causa di Beatificazione per martirio - per la gente di Boves e per molti altri lo sono già -, perché uno dei segni è che loro con questa talare nera vennero presi di mira dai nazisti e colpiti proprio nel momento in cui il viceparroco, il più giovane, don Mario Ghibaudo stava benedicendo il corpo di uno dei suo compaesani appena ammazzato per mano di un nazista.

D. - Quanto è forte ancora il ricordo ma soprattutto la testimonianza di questi due sacerdoti ?

R. - È ancora molto forte anche perché si può dire che Boves dopo quella strage è nata una seconda volta, perché proprio sulle orme di questi due grandi sacerdoti la comunità ha percorso la strada del perdono e non quella dell’odio, tant’è che Boves pur essendo una piccola città nel cuore del Piemonte con poco più diecimila abitanti è stata la sede della prima Scuola di pace. Questa comunità ha continuato ad interrogarsi e a cercare di trarre dal male segni di speranza e di bene al punto che ha ritrovato dove stato seppellito Peiper - il maggiore nazista che all’epoca ordinò la strage di Boves - ed ha iniziato un percorso di pace di conciliazione con la comunità dove quest’uomo è sepolto, in Baviera. È un po’ come dire che da questo luogo del Piemonte giunge un messaggio universale per tutti noi: lavorare per la pace è possibile e doveroso.

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Celebrazioni in tutto il mondo per i 750 anni dalla nascita di Dante

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Mostre, convegni, concerti e spettacoli di danza, lectio magistralis e perfino una summer school: sono questi gli ingredienti che comporranno le celebrazioni per il 750.mo anniversario della nascita di Dante Alighieri, avvenuta a Firenze tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265. Un programma denso con 187 eventi in Italia e 173 all’estero che vedono al centro soprattutto Firenze, Roma, Ravenna e Verona. Il 14 maggio scorso nel capoluogo toscano si è svolta una rievocazione storica con la grande sfilata dei gonfaloni. Tanti anche i protagonisti della scena culturale internazionale che si cimenteranno nella lettura dantesca della Divina Commedia. Cecilia Seppia

“Gli angeli nel cielo parlano italiano", diceva Thomas Mann, e se questa nostra è la lingua più bella, la quarta più studiata nel mondo nelle università e nelle accademie, per gran parte si deve a lui. Durante di Alighiero degli Alighieri, il poeta talmente noto da essere conosciuto con il solo nome di Dante. Nasce a Firenze nel 1265,  tra l’ultima decade di maggio e la prima di giugno da famiglia nobile, frequenta gli ambienti letterari più importanti del tempo, si forma alla scuola “cortese” del Dolce Stil Novo avendo come amici e maestri Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia. Guelfo, di parte bianca, nel 1300 viene eletto priore del capoluogo toscano: si batte per la libertà e il suo ardore politico diventa un tratto distintivo del carattere, affiora dalla carta il suo sapersi coinvolgere nell’avvenire sociale di una città straziata da diverse fazioni, così come la fede cattolica, nonostante i contrasti sulla visione politica del tempo; fede totale e senza il minimo dubbio fondata sul Vangelo, a tal punto da meritarsi un’Enciclica commemorativa di Benedetto XV. 

Ancora, nel suo genio poetico, c’è l’amore per Beatrice: prima terreno, umano, poi talmente puro da essere eguagliato a Dio. Lei che saluta, ed ogni lingua “divien tremando muta” mentre gli occhi che le sono intorno “non l’ardiscon di guardare”. Infine la sintassi, tutta sostantivo e verbo, priva di compiacenze eppure perfettamente rispondente al "bello stile". Nelle sue opere si percepisce ogni lato, ogni sfumatura, soprattutto la schiettezza e la sincerità dell’ispirazione: un cuore puro e nuovo e quella fervida immaginazione che lo tiene alto da terra e vagabondo nel regno dell’aldilà. Regno che egli descrive nella sua Divina Commedia: apoteosi della poesia, ma coi personaggi che si staccano dal foglio per venirci incontro e con la trama unica e drammatica del viaggio, paradigma di ogni autentico tragitto dell’umanità. 

A 750 anni dalla nascita del Sommo Poeta si ricordano però tutte le sue opere, dalla "Vita Nova" al "Convivio", fino al" De Vulgari Eloquentia", dal "De Monarchia" alle "Rime": la grande bellezza di parole a cui il tempo invece di oblio regala gloria, facendoci riappropriare ogni volta dell’identità culturale italiana. “Diamo onore a Dante - ha detto di recente Papa Francesco, definendolo “poeta di speranza” - arricchiamoci della sua esperienza per attraversare le tante selve oscure ancora disseminate nella nostra terra e compiere felicemente il nostro pellegrinaggio nella storia”.

Ma quanto conosce oggi la gente Dante Alighieri? Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Federica Bertolucci

D. – Chi è Dante Alighieri?

R. – E’ …

R. – E’ un grande poeta italiano. Ha scritto la Divina Commedia!

R.  – Lo so, ma non mi viene da dire subito… Davanti a lei non mi viene.

R. – Un poeta.

D. – Si ricorda qualcosa?

R. – No!

D. – Chi è Dante Alighieri?

R. – Il padre della lingua italiana!

R. - E’ una persona… morta…

D. – La Divina Commedia di che parla?

R. – … di Lucia? No?

D. – Ti ricordi qualcosa? Un verso?

R. – “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura, ché la retta via era smarrita”. Oppure: “La bocca levò dal fiero pasto”, il conte Ugolino. Mi è piaciuto studiarlo e lo ho letto con piacere.

R. – E’ il sommo poeta.

D. – Vi ricordate qualcosa di lui?

R. – Niente!

R. – Uno dei più grandi scrittori italiani; autore della Divina Commedia. Insomma, un patrimonio per noi.

D. – Ti ricordi qualcosa? Un verso?

R. – “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”…

R. – Vorrei ritornare a studiarla… A casa mia c’è stata sempre la Divina Commedia!

R. – “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. E’ grande! Ci dà la speranza e ci indica come dobbiamo vivere. Dante è la nostra anima. E’ l’essenza, è la vita. E’ il mio amore!

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Nella Chiesa e nel mondo



Morsi condannato a morte, Usa preoccupati. Bomba contro chiesa

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“Profonda preoccupazione” per la sentenza di condanna a morte dell'ex presidente egiziano Morsi, emessa ieri, è stata espressa dal Dipartimento di Stato americano, che si è affrettato a precisare di essersi spesso opposto ai processi di massa “condotti in modo non compatibile con lo stato di diritto”. Dure le critiche anche del presidente turco Erdogan: “Così si torna all’antico Egitto – ha tuonato da Istanbul – sfortunatamente l’Occidente continua a non voler vedere il golpe di al Sisi”. “Una sentenza che infrange ogni illusione residua d’indipendenza e imparzialità del sistema giudiziario egiziano”, è l’opinione in merito del vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa, che ha chiesto il rilascio di Morsi e l’istituzione di un nuovo procedimento a suo carico. “Una condanna non valida, che non c’interessa”, l’ha definita, infine, il figlio dell’ex presidente, Osama Morsi, ribadendo la posizione della famiglia che ieri non si è neppure recata in tribunale per sottolineare la non legittimità del processo.

Condanna di altri 105 imputati
Assieme al leader dei Fratelli Musulmani, deposto nel luglio del 2013, sono stati condannati altri 105 dei 130 imputati, tra i quali anche 70 palestinesi miliziani di Hamas infiltratisi in Egitto per liberare i propri confratelli. Già un mese fa Morsi era stato condannato a 20 anni di carcere in un altro dei processi per i quali è costretto alla sbarra. La sentenza di condanna ora passerà al vaglio del Gran Muftì che esprimerà un parere segreto e potrebbe essere confermata il 2 giugno prossimo, ma anche in caso di conferma sarà ancora appellabile.

 

L’evasione di massa da Wadi el Natroun
L’episodio di cui Morsi è stato ritenuto colpevole e che gli è valso la condanna alla pena capitale, è l’evasione di massa dalla prigione di Wadi el Natroun, a nord del Cairo, il 28 gennaio 2011, appena tre giorni dopo la sommossa popolare che nel febbraio di quell’anno avrebbe portato al rovesciamento dell’allora presidente Mubarak. Il bilancio ufficiale di quella vicenda è di un morto tra le guardie carcerarie e diversi feriti, ma secondo alcuni media ce ne sarebbero molti di più. Per questi fatti, assieme a Morsi, è stato condannato a morte anche la Guida suprema della Fratellanza, Mohamed Badie.

Eseguite sei condanne a morte contro jihadisti
Dopo l’annuncio della condanna a morte, ieri tre giudici e il loro autista (un quarto giudice è rimasto ferito) sono stati uccisi a el Arish, nel nord della penisola del Sinai, ma già stamattina in merito a questi fatti sono state eseguite sei condanne a morte contro altrettanti jihadisti del gruppo estremista Ansar Beit al-Maqdis, affiliato al sedicente Stato Islamico (Is). Secondo alcuni, infatti, questi gruppi sarebbero frange terroristiche dei Fratelli Musulmani, responsabili della deriva di violenza presente in Egitto, per cui la Fratellanza è già stata messa al bando nel dicembre 2013.

Bomba contro chiesa copta
Inoltre, sempre ieri, la facciata della chiesa copta di San Giorgio nel villaggio di Tamia, nel governatorato di Faiyum, un centinaio di km a sud del Cairo, è stata distrutta da un ordigno artigianale esploso senza causare vittime. I copti sono una cospicua minoranza cristiana nell’Egitto musulmano. (R.B.)

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Yemen. Tregua sempre più debole, 10 morti nella notte a Taiz

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Vacilla sempre più la tregua di cinque giorni – che dovrebbe scadere questa sera – in Yemen, proposta dall’Arabia Saudita e formalmente accettata dai ribelli Houthi per consentire la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione civile. Solo questa notte gli scontri avvenuti nelle città di Taiz e di Dhalea tra i ribelli sciiti e le forze fedeli al presidente in esilio Hadi, hanno causato la morte di almeno 10 persone. Oggi, intanto, il rappresentante dell'Onu nel Paese, Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha lanciato un appello affinché il cessate il fuoco venga prolungato per altri cinque giorni.

I termini del cessate il fuoco
La tregua era scattata lo scorso martedì sera alle 23, per far fronte alle esigenze umanitarie di una popolazione stremata e in una situazione “catastrofica”, come è stata definita dall’Onu, che ha contato ben 1500 vittime dall'inizio del conflitto. Nonostante questo, però, e nonostante l’interruzione dei raid aerei dall’Arabia Saudita – dove è fuggito il presidente yemenita Hadi – si è continuato a mietere vittime sul campo: 62, tra cui 23 civili, solo nella giornata di ieri.

La conferenza di Riad
È prevista per domani, data di scadenza del cessate il fuoco, una conferenza nella capitale saudita, indetta dal presidente yemenita Hadi all’inizio di maggio per promuovere un dialogo sulle condizioni in cui versa il Paese. I ribelli fedeli all’ex presidente Saleh, però, hanno già annunciato che non prenderanno parte all’incontro, anche se alcuni esponenti del partito di Saleh, negli ultimi giorni, sono passati dall’altra parte, giurando fedeltà a Hadi.(R.B.)

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Afghanistan. Bomba in aeroporto a Kabul, 3 morti

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Sono almeno tre le vittime e 16 i feriti di un attentato effettuato dai talebani oggi all’aeroporto internazionale di Kabul Kaia, in Afghanistan. Secondo il comunicato di rivendicazione degli estremisti islamici, però, sarebbero state colpite almeno 12 persone, tutte straniere. Nel mirino dei terroristi, infatti, un convoglio dell’Eupol, la missione di polizia europea nel Paese, il cui mandato è stato recentemente esteso fino al 2016.Tra i morti accertati un contractor di nazionalità britannica che sedeva all'interno del veicolo.

Escalation di violenza nel Paese
Sale la tensione in Afghanistan: l’autobomba esplosa stamani nel principale scalo della capitale, infatti, è solo l’ultimo di una serie di atti che sono tornati a insanguinare il Paese negli ultimi giorni. Solo ieri, infatti, un ordigno è scoppiato nel campus di un’università di Kabul ferendo due persone, mentre questa mattina una bomba è esplosa nel quartiere di Kart-e-Now, ma per fortuna non ci sono vittime (R.B.)

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Nigeria. Attacco a Damarutu, estremisti usano bimba kamikaze

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È di almeno 8 morti e 33 feriti, di cui circa 7 in gravissime condizioni, il bilancio - non ancora definitivo – dell’attentato kamikaze avvenuto ieri in un mercato all’aperto accanto alla stazione degli autobus di Damarutu, capitale dello Stato di Yobe, nel nord-est della Nigeria. La maggior parte delle vittime sarebbero donne, bambini e venditori ambulanti. L’attacco non è stato ancora rivendicato, ma si pensa sia opera del gruppo estremista islamico di Boko Haram, attivo nel Paese.

Il racconto dei testimoni oculari
Secondo alcuni testimoni oculari, il kamikaze che si è fatto esplodere sarebbe stata una ragazzina tra i 10 e i 13 anni che indossava il tradizionale hijab e che i poliziotti avrebbero fatto passare tranquillamente ai controlli. Immediatamente dopo si sarebbe fatta saltare in aria. “Era una ragazzina talmente piccola che nessuno avrebbe pensato venisse utilizzata per un atto così crudele”, riferiscono i testimoni, ma purtroppo Boko Haram non è nuovo all’uso di giovanissimi come kamikaze.

Il conflitto in Nigeria
L’attentato è avvenuto il giorno successivo all’annuncio, da parte delle autorità dello Stato di Borno, che Boko Haram ha preso il controllo della città di Marte, ma sarebbe solo l’ultimo di una lunga serie, questa settimana. Contro i fondamentalisti il governo locale sta sferrando un’offensiva supportata da truppe internazionali, ma la situazione avrebbe incontrato uno stallo nella foresta di Sambisa, dove i ribelli musulmani si nascondono disseminando mine e trappole esplosive. Nei 6 anni di rivolta islamica si calcola che migliaia di persone innocenti siano rimaste uccise – 10mila solo l’anno scorso – mentre oltre un milione e mezzo di nigeriani sono stati cacciati dalle loro case. (R.B.)

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La Chiesa boliviana lancia colletta per la visita del Papa

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Mancano due mesi al viaggio apostolico di Papa Francesco in Bolivia, previsto dall’8 al 10 luglio, e nella Chiesa locale ferve già l’attesa del Pontefice. Domenica scorsa, infatti, in tutte le parrocchie e le cappelle del Paese, è stata lanciata una colletta nazionale per finanziare i preparativi, in modo da poter accogliere il Papa nel modo migliore.

Sostenere la Chiesa per accogliere il Papa nel modo migliore
“Come Chiesa – afferma padre José Fuentes, uno degli organizzatori della visita papale – tutti collaboriamo nel sostenere economicamente la visita del nostro Pastore Universale e quando collaboriamo riceviamo la benedizione del Signore”. “Speriamo di riuscire a realizzare mega-schermi, sistemi di amplificazione e diverse strutture che occorrono per la visita del Papa, perché la Chiesa boliviana è una Chiesa povera e ha bisogno di essere sostenuta finanziariamente”, ha aggiunto il sacerdote.

Pronto il sito web ufficiale della visita
Intanto, è stato lanciato il sito ufficiale della visita pontificia: raggiungibile all’indirizzo www.franciscoenbolivia.org la pagina si apre con una fotografia del Pontefice, sormontata dalla scritta “Con Francesco, annunciamo la gioia del Vangelo”. Nelle diverse sezioni, il sito offre una biografia approfondita del Papa, numerose informazioni sul servizio di volontariato organizzato per la visita, collegamenti diretti all’account ufficiale pontificio su Twitter, @Pontifex, edalla pagina Facebook della Chiesa boliviana creata per l’occasione. In home page, inoltre, è disponibile anche il testo di una preghiera dei vescovi boliviani per la visita papale.

Tre giorni densi di incontri ed eventi
Da ricordare che Papa Francesco arriverà in Bolivia provenendo dall’Ecuador, Paese che visiterà dal 6 all’8 luglio. A La Paz, il Pontefice arriverà alle 16.15 dell’8 luglio; quindi il programma prevede: alle 18 la visita di cortesia al capo di Stato, Evo Morales, nel Palazzo del Governo e alle 19 l'incontro con le autorità civili nella Cattedrale di La Paz. Alle 20 il Pontefice partirà in aereo da La Paz per Santa Cruz de la Sierra, dove arriverà alle 21.15. In questa città, giovedì 9 luglio, alle 10 è prevista la Messa nella piazza del Cristo Redentore, alle 16 l'incontro con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi nella scuola don Bosco, alle 17.30 la partecipazione all’Incontro Mondiale dei Movimenti popolari nel centro fieristico Expo Fiera. Venerdì 10 luglio, sempre a Santa Cruz de la Sierra, alle 9.30 il Papa visiterà il Centro di rieducazione Santa Cruz-Palmasola e alle 11 incontrerà i vescovi della Bolivia nella chiesa parrocchiale di La Santa Cruz. Alle 12.45, è prevista la cerimonia di congedo all'aeroporto, da dove il Pontefice partirà alle 13 per Asuncion, in Paraguay. Qui, il Papa si fermerà fino al 12 luglio, mentre il 13 farà rientro in Vaticano. (I.P.)

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Messico. Appello dei vescovi a partecipare alle elezioni del 7 giugno

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“La politica è interesse di tutti. Votiamo e partecipiamo!”: si apre così il messaggio dei vescovi messicani membri della Commissione Giustizia, pace, riconciliazione, fede e politica (Jprfp), diffuso in vista delle elezioni legislative del prossimo 7 giugno. In particolare, nel documento, i presuli sottolineano che “il Messico vive il processo elettorale nel mezzo di una profonda crisi di credibilità della maggioranza delle istituzioni e dei politici”, in quanto “la corruzione e la violenza dilagano, la povertà non diminuisce e la mancanza di accesso ai servizi sanitari, educativi e tecnologici aumenta la sproporzione tra privilegiati ed emarginati”. In questo contesto, evidenzia la Jprfp, “i cittadini percepiscono che i partiti politici non stanno offrendo proposte chiare e concrete per migliorare la situazione”.

Votare con libertà e responsabilità
Di qui, l’esortazione dei presuli messicani a ricordare che “il voto è un diritto e un dovere” e l’appello congiunto rivolto a cinque categorie sociali: innanzitutto, ai cittadini, affinché analizzino e confrontino i programmi dei candidati, così da essere sicuri della loro “onestà nel mantenere le promesse”. Tale confronto, è il monito dei vescovi, “deve essere portato avanti rispettando i punti di vista e le decisioni degli altri”. Sempre alla cittadinanza, viene chiesto di “votare responsabilmente e liberamente, senza permettere la compravendita dei voti”. Ai sacerdoti, così come ai consacrati e agli operatori pastorali laici, invece, si ribadisce l’importanza di “continuare a promuovere la dignità della persona e il rispetto dei diritti umani e politici, conformemente alle leggi nazionali e al Codice di Diritto canonico”.

I mass media siano a servizio del Paese con la verità
Un ulteriore appello viene rivolto ai candidati, affinché assumano “un comportamento etico-politico sensibile alle necessità dei messicani, giusto e rispettoso dello Stato di diritto”. Infine, vengono chiamati in causa anche i mass media: a loro i vescovi ricordano “la grande opportunità che hanno di servire il Paese informando i cittadini con la verità, così che possano esercitare nel modo migliore il loro diritto al voto”. “Votiamo il 7 giugno! – è l’esortazione della Jprfp – E se notiamo qualche anomalia, denunciamola alle autorità!”.

Progresso del Paese parte da giustizia e pace 
Infine, la Chiesa messicana ricorda che “attraverso le elezioni, si è protagonisti della costruzione del Paese”; per questo, bisogna “restare uniti, partecipare e sostenere il lavoro delle autorità legittimamente elette, vigilando ed esigendo che portino a compimento le promesse fatte in campagna elettorale e che ascoltino e prestino attenzione ai bisogni del popolo”. “Non lasciamo solo nelle mani dei politici il destino del nostro Messico”, conclude il messaggio, innalzando una preghiera alla Vergine di Guadalupe affinché aiuti i fedeli ad “approfondire la fede e a cercare il progresso della patria tramite le vie della giustizia e della pace”. (I.P.)

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Usa: Sinodo e famiglia al centro della Plenaria dei vescovi

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Si terrà dal 10 al 12 giugno a Saint Louis la Sessione primaverile della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb). Tra i temi in primo piano, il 14.mo Sinodo ordinario dei vescovi sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, e i preparativi all’Incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia,  al quale presenzierà Papa Francesco durante il suo viaggio apostolico negli Stati Uniti a settembre.

In primo piano il Sinodo e l’incontro mondiale delle famiglie
Il presidente della Usccb mons. Jospeh Kurtz presenterà una sintesi dei risultati emersi dalle consultazioni effettuate nelle diocesi sui Lineamenta, il documento preparatorio dell’Assemblea sinodale inviato a tutte Chiese particolari nel mondo. I vescovi ascolteranno, inoltre, le relazioni svolte da tre coppie sul tema del matrimonio e della famiglia e una sulla trasmissione del Vangelo ai giovani. Mons. Salvatore Cordileone, presidente della sotto-commissione episcopale per la promozione della difesa del matrimonio, aggiornerà i presuli sulle iniziative dell’episcopato in vista dell’attesa sentenza della Corte Suprema sulla ridefinizione legale del matrimonio.

Tra gli altri temi la prossima enciclica sull’ecologia
Altri importanti temi in agenda, saranno la prossima enciclica di Papa Francesco sull’ecologia, la riforma dell’immigrazione per la quale da tempo premono i vescovi americani,  la discussione del piano di azione pastorale nazionale 2017-2010; la presentazione di nuove  risorse digitali a disposizione delle diocesi e l’aggiornamento del documento quadriennale dei vescovi intitolato “La formazione delle coscienze per una cittadinanza fedele”, dedicato alla responsabilità politica dei cattolici. (L.Z.)

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“Radio Misericordia”, la web-radio della Chiesa in Senegal

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Si chiama “Radio Misericordia” l’emittente radiofonica su web lanciata dalla Chiesa cattolica del Senegal che propone momenti di preghiera, omelie, testimonianze, ma anche musica religiosa e riflessioni su tutto ciò che riguarda la vita cristiana. L’emittente è raggiungibile dal sito dell’informazione cattolica senegalese, www.seneglise.sn. Creata dall’Ufficio per l’Informazione e la comunicazione dell’arcidiocesi di Dakar, con il sostegno tecnico di un gruppo di giovani ingegneri cattolici del Paese, “Radio Misericordia – si legge sul sito - è nata nel contesto della nuova evangelizzazione in cui la comunità cristiana del Senegal ha un grande bisogno di comunicare”.

Promuovere valori evangelici e impegno delle comunità cristiane
“L’emittente – spiega l’Ufficio – si pone come missione la promozione dei valori evangelici e l’impegno delle comunità cristiane. In futuro, si prevede la trasmissione anche di programmi relativi a temi sociali come l’educazione, l’agricoltura, l’economia e lo sviluppo sostenibile”. Da ricordare che la Chiesa cattolica del Senegal dispone già, dall’ottobre 2014, di una radio locale, “Radio Speranza”, co-finanziata dall’arcidiocesi di Dakar e dall’associazione degli imprenditori e dei dirigenti delle aziende cattoliche del Paese. (I.P.)

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Vescovo di Cordoba: Prima Comunione non è festa consumistica

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La celebrazione della Prima Comunione, per un bambino, non deve essere una festa sociale o puramente consumistica: è quanto scrive mons. Demetrio Fernández, vescovo di Cordoba, in Spagna, in una lettera pastorale ai fedeli, in vista delle celebrazioni della Prima Comunione, che si tengono, solitamente, nel mese di maggio. “È bello incontrarsi, condividere questa gioia con tutta la famiglia – spiega il presule – tuttavia, il modo migliore per aiutare i bambini è comprendere la Verità che si celebra”. Per questo, “il regalo più bello che i comunicandi possano ricevere è che i loro genitori si accostino al Corpo di Cristo, dopo aver fatto una confessione sincera, frutto di una vera conversione”.

Il vero regalo è l’incontro con Gesù
In Spagna, nel 2014, sono state celebrate 245.427 Prime Comunioni. La spesa media, per famiglia, è stata di circa 2500 euro ciascuna. Per questo, mons. Fernández esorta a “evitare di sommergere i bambini di regali materiali”, perché “il migliore, unico e insostituibile dono che possano ricevere è Gesù e nessun' altra cosa deve distrarre la loro attenzione, nel giorno della Prima Comunione”. Di qui, l’appello del presule a “non rendere i bambini vittime di una società consumistica che soffoca noi e che può soffocare anche loro nel momento prezioso dell’esperienza della prima Eucaristia”.

Gesù, il migliore amico che ci resta accanto per sempre
Tale sacramento, continua il vescovo di Cordoba, “rappresenta un momento felice nella vita di ogni cristiano”, un “giorno indimenticabile, di grazia speciale da parte di Dio”, il quale si accosta ad ogni bambino per fargli capire che “lo ama, che è sempre disposto a perdonarlo, che desidera la sua felicità sia nella vita terrena che in quella celeste”. La lettera del presule si conclude con l’esortazione ad aiutare i bambini a vivere “un’esperienza felice incentrata su Gesù Cristo come il migliore degli amici, Colui che ci introduce per sempre nella vita con Dio”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 137

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.