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Sommario del 18/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: basta guerra in Terra Santa, porre fine a persecuzione cristiani

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Pregate per la pace fra i popoli e per i cristiani perseguitati. E’ l’esortazione rivolta da Papa Francesco ad un gruppo di religiose carmelitane e Suore del Rosario, giunte a Roma da Betlemme e dal Medio Oriente per la Canonizzazione di Miriam di Gesù Crocifisso e Alfonsina Danil Ghattas. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un incontro breve, ma significativo all’insegna della preghiera per la pace di cui è così assetata la Terra Santa. All’indomani della Canonizzazione di quattro consacrate, tra cui due suore palestinesi, il Papa ha voluto ringraziare le religiose convenute dal Medio Oriente per l'evento. Quindi ha affidato loro una missione:

“Pregare le due nuove sante per la pace nella vostra terra, perché finisca questa guerra interminabile e ci sia la pace fra i popoli. E pregare per i cristiani perseguitati, cacciati via dalle case, dalla terra e anche della 'persecuzione con guanti bianchi', la persecuzione e il 'terrorismo bianco', anche il 'terrorismo in guanti bianchi'. E’ nascosta, ma si fa!”

Francesco, che ha voluto pregare l’Ave Maria assieme alle suore per la pace in Terra Santa, ha anche avuto modo di scherzare sull’entusiasmo delle religiose:

“Io sono molto contento di questo pellegrinaggio delle suore per la Canonizzazione delle nuove sante. Il presidente dello Stato di Palestina mi ha detto che era partito dalla Giordania un aereo pieno di suore! Povero pilota… Grazie tante!”.

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Riunione del Papa con i capi dicastero sul Giubileo della Misericordia

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Papa Francesco ha presieduto stamani, nella Sala Bologna in Vaticano, una riunione dei capi dicastero della Santa Sede sul tema dell'Anno Santo della Misericordia. Il Giubileo straordinario inizierà l'8 dicembre 2015, nella Solennità dell’Immacolata Concezione, e si concluderà il 20 novembre 2016, nella Domenica di Cristo Re.

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Tauran: testi islamici, necessaria critica storica

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Occorre vincere la tentazione dello scontro e percorrere la strada del dialogo e della fraternità per sconfiggere l’estremismo islamico, ma serve anche l'uso della critica storica da parte dei musulmani: è quanto afferma il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, commentando l’incontro con i vescovi e i delegati delle Conferenze episcopali per i rapporti con i musulmani in Europa, riuniti in questi giorni in Svizzera. Ascoltiamo il porporato al microfono di Olivier Bonnel

R.  - Nous avons été tous d'accord pour reconnaître…
Siamo stati tutti d’accordo nel riconoscere che la situazione oggi è cambiata e ora è soprattutto condizionata da quanto accade in Medio Oriente e in particolare riguardo all’Is, al Califfato. Abbiamo constato una radicalizzazione dei musulmani, in particolare dei giovani. L’immigrazione irregolare ha favorito e continua a favorire l’arrivo di musulmani in gran numero sul continente europeo. Ci siamo ritrovati tutti d’accordo anche nel riconoscere la sorpresa per il fatto che musulmani nati in Europa, si sono convertiti all’estremismo jihadista. Che cosa significa allora tutto questo? Perché questi giovani vengono sedotti dall’Is? Questa è l’espressione di una frustrazione, di una mancanza di progetti: evidentemente sono giovani che vengono attirati dai soldi che vengono loro offerti dall’organizzazione, ma che sono anche attratti da una sorta di motivazione di vita. Io credo che dovremmo ridare un senso alla vita, alla vita personale e alla vita sociale. Evidentemente il ricorso di alcuni musulmani alla religione per giustificare questi atti abominevoli è assolutamente ingiustificabile. Nessuno li può giustificare!

D. – Lei nota nella comunità musulmana dei progressi riguardo alla rilettura dell’Islam, alla possibilità di interpretare il Corano?

R. – Oui. C'est quelque chose de très discret…
Sì! E’ un qualcosa di molto discreto, quasi un tremito … Effettivamente vediamo sempre più che i giovani, soprattutto i giovani musulmani che hanno accesso alla cultura e all’università, si pongono effettivamente la questione della critica storica.

D. – E’ la questione fondamentale dell’educazione…

R. – Oui, l’éducation est fondamental...
Sì, l’educazione è fondamentale! Io insisto in particolare molto sull’insegnamento della storia. Alla fine la chiave è la scuola e l’università. Questo ci permetterà di superare questa crisi. Credo che il terrorismo non vincerà, ma gli effetti e le conseguenze del terrorismo dureranno ancora a lungo! E’ necessario ridare speranza e senso alla vita dei nostri cittadini. E’ un’ambizione che dobbiamo tutti condividere!

D. – Lei ha detto che continuare a dialogare, anche in contesto di persecuzione può diventare un segno di speranza. In che senso?

R. – Et bien, dans le sens que il y à des jeunes…
Nel senso che ci sono giovani che sono capaci di dare la vita per la loro fede, giovani che sono coerenti e sono in grado di essere testimoni della verità.

D. – Il dialogo è oggi più che mai necessario con il mondo musulmano per evitare la radicalizzazione e lo scontro …

R. – On accepte le dialogue, se bat et on se renforce …
Si accetta il dialogo, ci si confronta e ci si rafforza su questo. Ma la ghettizzazione è sempre una tentazione! Il problema, “la grande questione”, è come far convergere l’essere musulmano e il diventare europeo.

D. – Di fronte alla tentazione di discorsi discriminanti, cosa la Chiesa può portare come parola?

R. – La Parole de Jésus, la parole de la charité, de la fraternité…
La Parola di Gesù, la parola della carità, la parola della fraternità. Non si può essere cristiani e restare chiusi nella Chiesa! Bisogna uscire, andare nelle periferie, il Papa lo dice spesso… Noi abbiamo questa grazia di vivere la diversità nell’unità. E questo è quello che deve essere messo alla portata di tutti. E’ necessario guardarsi, ascoltarsi; cercare di costruire insieme una terra in cui la differenza significhi ricchezza.

D. – I vostri interlocutori musulmani, cosa chiedono alla Chiesa?

R. – Vous savez, les interlocuteurs musulmans sont tellement différents …
Sa, gli interlocutori musulmani sono così differenti… Quelli che abbiamo incontrato in Svizzera sono universitari e quindi è molto facile parlare con loro. Io credo che ci sia un grande apprezzamento in particolare per quanto noi facciamo a livello di educazione, di scuola, di università. Per esempio, il fatto che a Baghdad, in piena guerra, due anni fa i domenicani abbiano creato un istituto di scienze sociali, per me è qualcosa di straordinario! Ci sono delle cose molto belle che si realizzano. Per esempio che ci sono alcune famiglie musulmane a Baghdad che accolgono da più di un anno delle famiglie cristiane… Questo sono cose positive … La questione è il dialogo della vita: è importante e si realizza. Bisogna dirlo…

D. – E si vede sui media?

R. – Non, malheureusement pas
No, sfortunatamente no!

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Il Papa riceve il card. Piacenza

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Il Papa ha ricevuto nel pomeriggio di sabato 16 maggio il card. Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, con il Reggente della Penitenzieria Apostolica, mons. Krzysztof Józef Nykiel.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Donne in tensione: in prima pagina, Lucetta Scaraffia sul discorso del Papa alle religiose e ai religiosi di Roma.

Il segreto dei santi: quattro donne canonizzate da Papa Francesco.

In gioco la forza e la credibilità dell'Europa: primo voto al Consiglio sull'agenda dell'immigrazione.

Sconcerto e coraggio: la testimonianza di Jon Sobrino sulla morte dell'arcivescovo Oscar Romero che sarà beatificato il 23 maggio a San Salvador e che sarà co-patrono della Caritas internationalis.

Anime gemelle: il ministro dell'Interno spagnolo, Jorge Fernández Díaz, su santa Teresa e Giovanni di Palafox.

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Oggi in Primo Piano



Vittoria dell'Is in Iraq: jihadisti conquistano Ramadi

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Nuova offensiva in Iraq dei miliziani del sedicente Stato islamico, che ieri in serata hanno rivendicato il controllo di Ramadi, la città capoluogo della provincia di Al Anbar, 100 chilometri ad Ovest della capitale. E proprio Baghdad e Karbala, la città santa sciita, sono indicate come le prossime imminenti conquiste dei jihadisti, in un videomessaggio del leader dell’Is al Baghdadi, diffuso stamane in Rete. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Assediata da settimane, e in gran parte già occupata, la città di Ramadi nel Sud dell’Iraq è ora pienamente sotto il controllo dei jihadisti, che hanno conquistato anche il comando provinciale delle Forze armate irachene. Migliaia i civili in fuga. Ma il premier Haidar al Abadi - ha riferito in serata la Tv di Stato - ha ordinato alle truppe di non ritirarsi dalla provincia Al Anbar, chiedendo  al tempo stesso tempo alle milizie sciite alleate dell’Iran, di tenersi pronte ad intervenire al fianco delle forze lealiste, come già fatto nella riconquista di Tikrit, la città natale di Saddam Hussein, a Nord di Baghdad. Ma l’intervento dei volontari sciiti rischia di infiammare le tensioni interconfessionali in questa provincia a maggioranza sunnita, dove clan tribali nei giorni scorsi avevano chiesto inutilmente al governo di Baghdad di essere armati per partecipare alla difesa di Ramadi. Le milizie sciite sono inoltre accusate di atrocità contro la popolazione civile sunnita nella riconquista di Tikrit. Da ricordare che, tra il 2013 e il 2014, proprio da una protesta di clan sunniti della provincia di Al Anbar contro il governo centrale di Baghdad, a guida sciita, aveva preso il via la spirale di violenza che ha portato i jihadisti del cosiddetto Stato Islamico ad impadronirsi di gran parte del Nord e dell’Ovest dell’Iraq.

Dunque quali scenari si aprono? Risponde Paolo Maggiolini, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), esperto di Medio Oriente: 

R. - Parlare di un’imminente occupazione di Baghdad è probabilmente eccessivo. Sebbene, da dicembre 2014 ad oggi, Ramadi rappresenti la vittoria sul campo di Is strategicamente più importante, sia per quanto riguarda uno scenario futuro - perché Ramadi interrompe idealmente una linea possibile di collegamento tra la Giordania, l’Iraq e la Siria nell’ottica di operazioni militari contro lo Stato islamico - sia perché conquistare il capoluogo della provincia di Al Anbar - la più popolosa e da dove era partita l’operazione statunitense "Surge" nel 2007, con la quale attraverso l’alleanza con le tribù arabe sunnite irachene si era riusciti a ristabilire un controllo, un ordine nella regione - spiega chiaramente il significato dell’importanza del colpo inferto dall'Is.

D. – Il premier iracheno al Abadi ha allertato le milizie sciite, in parte alleate con l’Iran, di tenersi pronte per riconquistare Ramadi come già fatto con Tikrit. E, stamane è arrivato a Baghdad il ministro degli Esteri iraniano Dehgan. Quali rischi in questa alleanza sciita rispetto alla popolazione sunnita in Iraq?

R. - I rischi sono chiaramente quelli di forzare ulteriormente la logica dello scontro settario; d’altra parte purtroppo in questo momento si vive la contraddizione di un Esercito nazionale delle Forze di sicurezza irachene che, obiettivamente, non sono in grado sul campo di raggiungere gli obiettivi che sono stati posti: cioè non solo fermare o congelare il fronte con Is ma respingerlo. Quindi le milizie sciite sono necessarie in questa fase di scontro. È però evidente - questo lo si è visto già a Tikrit - il rischio che in una fase convulsa di guerra queste milizie sciite portino avanti delle strategie sul campo anche differenti da quella che necessariamente il governo centrale deve avere, di scontro però contemporaneamente di riconciliazione con la popolazione locale. E’ chiaro che collegando ciò con quello che è appena avvenuto a Ramadi, questa situazione di difficoltà sembra aumentare.

D. - Difficile in questo contesto - mi sembra di capire - fare delle previsioni se non osservando le operazioni militari sul campo …

R. - Il problema è che l’aspetto militare in questo momento è prevalente, però al tempo stesso gli aspetti militari non devono far dimenticare che una soluzione a lungo periodo può avvenire soltanto attraverso la riconciliazione politica e un nuovo patto sociale. Quindi l’aspetto di difficoltà è che nonostante i colpi che sono stati inferti all'Is sullo scenario di Tikrit e le notizie della morte dei suoi leader Abu Alaa al-Afri o di Abu Sayyaf più recentemente, questa organizzazione si presenta come un soggetto capace di adattarsi o comunque di mantenere una certa resistenza. Dall’altra parte le forze irachene sul campo hanno maggiore difficoltà e tutto questo aumenta ancora di più il dilemma di come affrontare efficacemente un problema che si pone sia nell’ambito militare che in quello politico.

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Burundi: giro di vite contro opposizioni dopo fallito golpe

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In Burundi, nella sua prima apparizione pubblica dopo il golpe dei militari dei giorni scorsi, il presidente Pierre Nkurunziza – appena rientrato nel suo Paese - ha parlato di emergenze internazionali senza fare alcun accenno al fallito golpe né alle proteste che hanno investito il Burundi dal 26 aprile dopo il suo annuncio a candidarsi per un terzo mandato presidenziale.  Di tensioni e rischi nel Paese Fausta Speranza ha parlato con Angelo Turco, docente di geopolitica dell’Africa all’Istituto IULM: 

R. - Il presidente uscente ha sempre ignorato le manifestazioni di piazza come tentativo di golpe, e anzi, fin da fine aprile-inizio maggio, ha cominciato a parlare di manovre oscure effettuate da gruppi terroristici esterni contro le istituzioni del Burundi. Quindi, non particolarmente contro di lui, ma contro il Burundi.

D. – Intanto, però, ha preso misure e ha avviato un giro di vite contro i traditori…

R. – È molto preoccupante, perché - di fatto - noi non sappiamo veramente nulla della sorte degli alti ufficiali coinvolti nel tentativo di golpe cui abbiamo assistito, anche se questi alla fine si sono arresi, e non hanno provocato nessuno spargimento di sangue. Il timore che ci sia una giustizia sommaria in atto o in prospettiva è un timore reale.

D. – Nkurunziza ha invocato il rischio terrorismo, perché il Paese è impegnato con l’Unione Africana contro i jihadisti in Somalia…

R. – In questi casi tutti i fantasmi vengono un po’ agitati. Naturalmente in tutta l’Africa, appena si può, si tende a convogliare all’interno di un orizzonte securitario tutti i problemi possibili e immaginabili. Perché? Perché la copertura – diciamo così – “terroristica” è quella che consente di occultare i problemi politici e le responsabilità degli uomini politici, che quei problemi non sanno affrontare e non sanno risolvere. Per esempio, adesso, fa molto comodo dirottare l’attenzione dei media e l’attenzione del dibattito pubblico, africano e internazionale, di nuovo sul terrorismo, dimenticando un fatto centrale della situazione in Burundi: l’ennesimo tentativo di un presidente della Repubblica di sconvolgere gli assetti costituzionali, in questo caso appellandosi ad un cavillo giuridico, per perpetuare - di fatto - il proprio potere con un terzo mandato, al di là dei limiti fissati con la Costituzione. Questa è molto chiara nello spirito, se non proprio nella lettera, con i riferimenti a due mandati consecutivi anche in base agli accordi di Arusha.

D. – Un Paese dove si comincia a parlare di fuga: fuga di bambini, fuga di persone. Sul piano geopolitico dell’area che cosa può significare questa destabilizzazione che speriamo rientri - ma, insomma, preoccupa - del Burundi?

R. – Può significare una ripresa su larga scala della instabilità di tutta l’area dei Grandi Laghi. Ricordiamoci che è prossima la partita elettorale che giocherà Paul Kagame per il Rwanda; ricordiamoci che è prossima la partita elettorale che si giocherà in Congo. E, se in Rwanda le cose sembrano calme – perché la mano ferma di Kagame qualcosa ha ottenuto sotto questo profilo – in Congo, Joseph Kabila non è mai riuscito veramente a pacificare la situazione interna, che resta molto, molto precaria, specialmente nella zona orientale.

D. – Dunque sarebbe devastante una destabilizzazione del Burundi…

R. – Sarebbe un fatto molto grave, che aprirebbe uno scenario di instabilità, e che potrebbe, a sua volta, sfociare in un processo di violenza che oltretutto fa parte, malauguratamente, della tradizione storica e politica recente della regione dei Grandi Laghi.

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Discriminazioni contro i cristiani: nei Paesi Osce non diminuiscono

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I crimini di odio contro i cristiani oggi non sono commessi solo in Africa, Medio Oriente e Asia. Anche in Occidente infatti ogni anno si segnalano centinaia di casi di chiese profanate, statue distrutte o decapitate, simboli religiosi banditi, aggressioni verbali o fisiche ai danni di laici e consacrati. Se ne parla oggi a Vienna nel corso della seconda Conferenza internazionale dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa dedicata al tema “Prevenire e combattere l’intolleranza e discriminazione contro i cristiani”. Paolo Ondarza

Episodi di intolleranza anti-cristiana non sono diminuiti secondo delegazione Santa Sede
Per la seconda volta l’Osce dedica all’odio anticristiano una conferenza internazionale. La prima fu a Roma nel 2011, ma rispetto ad allora episodi di intolleranza e discriminazione non sono diminuiti, denuncia la delegazione della Santa Sede a Vienna. Caricature e opere d’arte offensive, sentenze che imbavagliano i cristiani sui temi di  vita e famiglia, aggressioni come quella da parte delle Femen ai danni del card. Rouco Varela, simboli religiosi banditi. L’odio anticristiano è spesso sottaciuto, spiega il sociologo Massimo Introvigne, organizzatore della conferenza di quattro anni fa in qualità di rappresentante Osce per la lotta a razzismo, xenofobia e intolleranza religiosa:

R. – Le statistiche, che pure l’Osce cerca di compilare, sappiamo tutti che non sono complete, perché molti di questi casi non sono affrontati dagli Stati, dai governi; e anche nei rapporti, che gli Stati partecipanti all’Osce sarebbero tenuti a inviare ogni anno sui crimini di odio, mentre i crimini di odio contro altre categorie – e questa è una cosa giusta naturalmente e quindi nessuna critica! – sono elencati dettagliatamente, quelli contro i cristiani, qualche volta, sono trascurati o dimenticati.

Mancato rispetto dell'obiezione di coscienza
D. – C’è poi il diritto all’obiezione di coscienza, spesso calpestato…

R. – Nella maggior parte dei Paesi dell’area Osce si riconosce il diritto dei medici cristiani all’obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto, però questo diritto in molti Paesi non è esteso ai farmacisti nei confronti delle pillole abortive. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso che non vi è obiezione di coscienza per una funzionaria comunale che si era rifiutata in Inghilterra, sulla base della sua fede cristiana, di officiare, prima ancora che la Gran Bretagna introducesse il matrimonio omossessuale, una cerimonia di unione civile fra persone dello stesso sesso. Negli Stati Uniti ci sono molti casi in cui non si riconosce neppure il diritto a dei privati - fioristi, pasticceri e fotografi ... - di rifiutarsi di prestare i loro servizi per ragioni di coscienza in occasioni di matrimoni fra persone dello stesso sesso.

Libertà religiosa, pietra miliare per tutela di altre libertà
D. - Professore, perché questi casi possono configurarsi come intolleranza, discriminazione contro i cristiani? Se volessimo leggerla da un altro punto di vista ci sono diritti che confliggono…

R. – Molti casi di violazione dei diritti oggi rimandano ad un conflitto di diritti. Casi come quello famoso del New Mexico, relativo ad una fotografa che è stata condannata per essersi rifiutata di fotografare il matrimonio tra due donne, mostra poi che questa libertà assoluta d’espressione, anche d’espressione artistica, poi di fronte a certi diritti – oggi molto di moda – viene meno. Certamente la libertà religiosa non è l’unico diritto, ma bisogna che la libertà religiosa non sia considerata la “parente povera” rispetto a tutti gli altri diritti. Anzi vi sono dichiarazioni internazionali che considerano la libertà religiosa la pietra miliare su cui si costruiscono molte altre libertà. Si tratta di sedersi ad un tavolo - credenti di diverse religioni e credenti e non credenti - e di stabilire le “regole del gioco”.

Serve più dialogo tra le religioni, tra credenti e non credenti
D. – Quindi dialogo come soluzione…

R. – Certamente ci sono delle misure tecniche che noi possiamo prendere per combattere i crimini di odio e di intolleranza contro i cristiani: misure giudiziarie, misure legislativi… Però io penso che il dialogo fra fede e ragione, fra le varie religioni, fra credenti e non credenti non sia l’unica chiave, ma sia una delle chiavi per prevenire e reprimere crimini di odio contro i cristiani e contro chiunque altro.

No a fondamentalismo e laicismo
Fondamentalismo e laicismo, dunque, sono i due estremi da evitare per costruire una società davvero rispettosa dei diritti di tutti. 

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Cento vescovi all'Ue: stop a guerre legate alle risorse minerarie

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Il Parlamento europeo esaminerà domani la proposta di legge sulla trasparenza nelle importazioni di minerali provenienti dalle zone di guerra. Per l’occasione, oltre cento vescovi hanno lanciato un appello agli europarlamentari perché varino una legge in grado “di porre fine alle guerre legate alle risorse, che hanno rappresentato il 40% di tutti i conflitti globali degli ultimi 60 anni”. I presuli definiscono “intollerabile” il fatto che “alcune compagnie europee sono complici di abusi”. Da parte loro, alcune Ong, laiche e cattoliche, hanno chiesto con una petizione al Parlamento Europeo misure ben più rigorose rispetto alla legge in esame. Ascoltiamo in proposito Enrico Casale, membro dell’ufficio comunicazione Magis-Italia, la rete di missioni sostenute dai Gesuiti. L’intervista è di Federica Bertolucci: 

R. - La questione dei minerali insanguinati è un problema che non nasce adesso. Oggi questi minerali vengono estratti in zone di conflitto e vengono esportati verso i Paesi in cui ci sono le produzioni di particolari dispositivi che utilizzano questi minerali. In particolare, la situazione più critica è quella della Repubblica Democratica del Congo perché qui esistono giacimenti di minerali particolarmente preziosi: l’oro, il tantalio, che insieme alla columbite forma il coltan che viene utilizzato nei nostri computer, nei nostri telefonini; e poi stagno e tungsteno che vengono estratti in miniere abusive in cui lavorano uomini, donne e soprattutto bambini. Queste miniere vengono sfruttate da alcune milizie che si combattono all’interno del Congo e che sono sostenute dai Paesi confinanti. Questa situazione è quindi causa di guerra: un conflitto che ha causato circa tre milioni e mezzo di morti negli ultimi venti anni. Per questo, per bloccare questo sistema, gli Stati Uniti hanno approvato nel 2010, la Dodd-Frank, una legge che obbliga gli importatori di questi materiali a dichiarare da dove questi provengono.

D. - Qual è l’obiettivo della petizione che alcune ong, tra cui i gesuiti di Alboan e Magis-Italia, presentano al Parlamento europeo?

R. - L’obbiettivo è fare pressione sugli europarlamentari affinché approvino un testo nel quale diventi obbligatorio per gli importatori dichiarare la provenienza di questi minerali. Il testo che arriverà in Parlamento europeo e che verrà discusso la prossima settimana è molto fragile perché non c’è un obbligo da parte dell’Unione Europea, ma soltanto un inivito a segnalare la provenienza di questi minerali. Successivamente verrebbero pubblicate delle liste con i nomi delle imprese e i luoghi da dove esse si forniscono. Ma è troppo poco: l’obbiettivo è fare pressione sul Parlamento affinché approvi una legge più vincolante.

D. - La Comunità internazionale si sta muovendo?

R. - Da più tempo si sta cercando di porre fine a questi conflitti, quindi, per esempio, esiste una missione Onu nella Repubblica Democratica del Congo che si muove con molta difficoltà in questo teatro. Gli interessi in queste regioni sono molto forti: ci sono spinte interne da parte del governo congolese che non fa nulla per intervenire - e forse non ne ha anche i mezzi - e riprendere il controllo su queste regioni da parte degli Stati stranieri che hanno forti interessi su queste regioni: Rwanda, Burundi, Uganda, Kenya, Tanzania e così via. Poi soprattutto le compagnie minerarie che in questo modo riescono ad ottenere dei minerali preziosi a prezzi bassi e senza dovere le royalty a chi effettivamente ne possiede i diritti, cioè la Repubblica Democratica del Congo.

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Francesco e le sfide per i consacrati in un libro di padre Spadaro

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“Illuminate il futuro”. E’ il titolo di un volume curato da padre Antonio Spadaro che racconta la conversazione di Papa Francesco con i superiori generali degli Istituti religiosi maschili, avvenuta alla fine della loro 82.ma assemblea generale. Il libro, pubblicato da Ancora Editrice e nelle librerie dal 21 maggio, contiene anche una riflessione del direttore di “Civiltà Cattolica” su un intervento che l’allora vescovo Bergoglio tenne al Sinodo sulla Vita Consacrata, convocato da Giovanni Paolo II nel 1994. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Antonio Spadaro di soffermarsi sul libro e sul rapporto di Francesco con i religiosi, nel contesto dell’Anno della Vita Consacrata: 

R. - Il Papa ha desiderato parlare apertamente, con grande franchezza e parresia - come lui ama dire - con i superiori generali degli ordini religiosi. Quindi, questo che viene pubblicato non è il testo di un discorso. Anzi, il Papa ha detto chiaramente che non aveva alcuna intenzione di fare discorsi o ascoltare discorsi. È il testo di una conversazione: quindi viva, vivace, non rigida. E allora, durante quest’anno, l’Anno della Vita Consacrata, abbiamo deciso di rendere pubblico questo testo in forma di libro, perché questo permette la meditazione attenta sul significato della vita religiosa nei nostri tempi.

D. – Quali sono i punti fondamentali che Papa Francesco mette a fuoco guardando alle sfide che oggi vivono i religiosi e le religiose?

R. – Direi innanzitutto un desiderio: il fatto di non rendere il carisma rigido e uniforme. Tutto il discorso del Papa è stato all’insegna della flessibilità, dell’attenzione, dell’ascolto: l’invito ai religiosi a sentirsi parte della Chiesa, di tutta la Chiesa, quindi del popolo fedele di Dio in cammino. Poi è stato un discorso di grandi sfide e quindi le enumero anche, nel saggio che scrivo, alla fine della conversazione. Un tema molto propositivo, in cui invita i religiosi non solo ad essere radicali – perché, dice il Papa, “tutti i cristiani devono essere radicali” – ma ad essere profeti; quindi – come dice il titolo – “a illuminare il futuro”. C’è un modello di Chiesa che viene fuori da questa conversazione: una Chiesa non chiusa in sé stessa, ma in profondo dialogo e ascolto delle esigenze reali, anche di quelle – come dice il Papa – “che noi non riusciamo neanche a comprendere”.

D. - Il volume propone anche una riflessione sull’intervento che l’allora vescovo Bergoglio pronunciò al Sinodo sulla Vita Consacrata del 1994: cosa si ritrova di quell’intervento in quello che vediamo oggi in Papa Francesco?

R. – Innanzitutto diciamo che è un intervento che nasce dall’esperienza, perché Papa Francesco è un religioso gesuita, quindi parla della vita religiosa per esperienza personale e diretta. Allora, nel 1994, parlava come vescovo ausiliare di Buenos Aires; e un tratto fondamentale di quel suo brevissimo discorso era proprio quello di considerare la vita religiosa all’interno della vita del popolo di Dio. Quindi non in maniera astratta, come una bolla isolata di devozione o come se il carisma fosse qualcosa di diverso e di separato rispetto alla vita ordinaria della Chiesa. Questi temi, in realtà, Papa Francesco li sta declinando adesso da Pontefice. Quindi, quel testo del 1994, che pubblichiamo nel volume, è un testo di riferimento che ci aiuta a comprendere anche come Papa Francesco intenda la vita religiosa, anche da Pontefice.

D. – Questo volume si rivolge naturalmente ai religiosi, alle religiose, peraltro appunto nell’anno della Vita Consacrata, ma non solo. Quali frutti si aspetta in chi leggerà, in chi si accosterà a queste pagine?

R. – Certamente la conversazione è stata fatta con delle persone precise: cioè i superiori generali degli ordini religiosi. E tuttavia, da questo discorso, emerge appunto una visione di Chiesa, non semplicemente una visione della vita religiosa. È un discorso di ampio respiro, molto attento alla realtà. Quindi, diciamo che è un discorso che si rivolge a tutti, non solo ai religiosi; i contenuti sono importanti per comprendere questa stagione della Chiesa, soprattutto in un momento in cui a volte sono difficili da comprendere perfino le sfide. Ecco, in questo il Papa Francesco è capace di dire con chiarezza qual è la direzione della Chiesa: che è una direzione di apertura  radicalmente missionaria, aperta alle grandi sfide.

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Icom promuove la Giornata Internazionale dei Musei

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Ogni anno, dal 1977, l'International Council of Museums (Icom) celebra la Giornata internazionale dei musei, un importante appuntamento di condivisione internazionale dei valori fondamentali del museo. Il tema dell’edizione del 2015 è “­ Musei per una società sostenibile” sul ruolo che essi possono avere nel costruire una società sostenibile. Il progresso di una società rispettosa dell’ambiente richiede nuovi modi di agire e di pensare e i musei svolgono un ruolo importante nella promozione dello sviluppo sostenibile. Federica Bertolucci ha intervistato Daniele Jalla, presidente di Icom Italia: 

R. – La Giornata internazionale dei musei esiste dal 1977 ed è una iniziativa che l’International Council of Museums organizza in tutto il mondo per affrontare tra specialisti, operatori museali e il pubblico un tema di attualità. Quest’anno il tema è: “I Musei per una società sostenibile”. L’anno prossimo, quando si svolgerà a Milano la 24.ma conferenza mondiale di Icom sarà: “Musei e paesaggi culturali”.

D. – Il tema dell’edizione del 2015 è “Musei per una società sostenibile” ed è dedicato al ruolo che i musei possono avere nel costruire una società eco-sostenibile. Perché questa scelta?

R. – Il tema della sostenibilità è diventato un tema mondialmente rilevante, da tutti i punti di vista. La presenza dell’uomo in un mondo, che è sempre più piccolo rispetto alla popolazione mondiale, pone dei problemi di sostenibilità in senso generale. Abbiamo cercato di affrontare questo tema in Italia da diversi punti di vista: focalizzando, oggi a Venezia, la questione della sostenibilità dei musei e del patrimonio culturale. A Torino, nei prossimi giorni, il tema della sostenibilità ambientale nei musei e come essi possano fare un’educazione alla sostenibilià. Terzo tema che si sta dibattendo, e a livello nazionale, è quello della sostenibilità del patrimonio culturale. Il patrimonio culturale ha un costo di mantenimento, di conservazione, di valorizzazione, che raramente è compensato dagli introiti.

D. – Una delle maggiori sfide globali è adattare i modi di vivere della società in rapporto alla natura e scuotere l’opinione pubblica è fondamentale. Qual è l’interesse che avete riscontrato nelle persone e anche da parte dei musei che aderiscono all’iniziativa?

R. – Esiste una sostenibilità urbana, delle grandi metropoli, in cui gli elementi di spreco diventano sempre più temi che hanno un’attenzione nella popolazione stessa. Dunque, i musei possono promuovere un’educazione e quelli che soprattutto hanno una valenza storico-scientifica, naturalistica, tecnologica. Ma, in generale, i musei che hanno a cuore il patrimonio culturale possono individuare dei modelli di gestione che riducano i costi complessivi. Per questo noi pensiamo che dei musei che partecipano alla tutela del patrimonio artistico, alla sua conservazione anche al di fuori di essi, sia un modello che consentirebbe di unire tutela e valorizzazione in maniera virtuosa.

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Frosinone in A. Mons. Spreafico: il denaro non è tutto

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A Frosinone la promozione in serie A della locale squadra di calcio ha fatto esplodere di entusiasmo un’intera città. Per la prima volta nella lunga storia della società ciociara, il Frosinone accede al massimo campionato di calcio italiano. Ma quale significato ha questo successo sportivo per una realtà come quella della città laziale? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al vescovo della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, mons. Ambrogio Spreafico

R. - Questa è una provincia martoriata per tanti motivi: l’inquinamento, la Valle del Sacco, le industrie che chiudono, la disoccupazione. Siamo in un momento abbastanza difficile. C’è molto pessimismo, molto spirito di rassegnazione. La Chiesa, in questo scenario, cerca di essere vicina alla gente. Credo che questo momento - anche di entusiasmo, di positività - un po’ incoraggi. Non è certamente la soluzione dei problemi, però il fatto che ci sia anche un entusiasmo della gente va colto per fare in modo che sia anche un impegno da parte di ciascuno. Così come ha fatto il patron del Frosinone, che in questi anni si è impegnato per costruire una squadra. Tra l’altro, molti giovani vengono proprio dalla provincia, quindi anche questo è un fatto significativo. Il presidente del Frosinone non ha speso tanti soldi per gli ingaggi, ma ha lavorato perché nascessero da questa terra delle risorse che potessero contribuire, dopo tanti anni, a questo bel momento.

D. - Questo clima di entusiasmo può accompagnare uno spirito nuovo…

R. – Certamente non basta la promozione nella serie maggiore del campionato per cambiare la vita, però credo che questo possa dare un po’ di speranza. Credo che noi  - lo dico come vescovo, ma anche pensando alla nostra Chiesa - dobbiamo cogliere anche questo momento per aiutare la gente a capire che l’entusiasmo si coltiva cambiando se stessi e mettendosi dalla parte di Gesù e del Vangelo. Credo che in questo noi abbiamo anche un compito.

D. - In una terra martoriata, il Frosinone calcio è un po’ l’espressione di una dimensione piccola ma sana …

R. - Direi di sì. Io sono amico di Maurizio Stirpe che è il proprietario del Frosinone calcio. E’ un uomo che con la sua famiglia si è impegnato per anni proprio in questa direzione. Quindi c’è un vivaio molto buono di giovani per far capire come anche nel sacrifico, con pochi mezzi e anche con poca spesa rispetto alle grandi società della Serie A, si possa ottenere qualcosa. Il denaro non è tutto nella vita e devo dire che una cosa bella che ha fatto il presidente è questa: gli avevo chiesto nel mese di dicembre, quando abbiamo aperto una mensa per i poveri, un aiuto come ogni tanto gli chiedo per le iniziative della nostra chiesa diocesana. E lui mi ha detto: “Io ho pensato di fare questo: siccome noi riceviamo delle multe perché i nostri tifosi qualche volta sono un po’ arrabbiati, allora io farò questa proposta ai tifosi. Ogni volta che non prendete una multa, noi diamo l’equivalente per la mensa per i poveri della diocesi”. E così è stato. Quindi, anche questo forse ha contributo a dare un senso bello a questo momento. So che vorrà sottolinearlo quando si faranno i festeggiamenti per questa promozione.

D. - Il Frosinone può essere anche un esempio per le altre squadre - anche per le big del calcio italiano - su come leggere veramente lo sport …

R. - Penso di sì. Adesso non voglio entrare nelle polemiche suscitate nel passato su questa piccola città, la cui squadra viene promossa in Serie A, però credo che sia così, anche perché effettivamente c’è una logica nel come è stato impostato il lavoro del Frosinone calcio. E’ la logica di promuovere anche risorse locali, quindi di far crescere giovani, persone affinché si possano appassionare al calcio ovviamente, ma anche a costruire se stessi in maniera pulita. Credo che questa sia una cosa bella. E’ un piccolo esempio.

D. - Dunque appassionarsi veramente al calcio… Lei andrà allo stadio a vedere il Frosinone?

R. - Ho promesso al presidente che andrò sicuramente ai festeggiamenti, farò almeno una "comparsa", cresime permettendo! Dovrò andarci almeno un volta. Sono stato un giocatore di basket, il calcio non mi ha mai appassionato ma qui mi sono appassionato a questi giovani che hanno dato un po’ di speranza agli altri.

D. - Quindi, per concludere: “Forza Frosinone!”

R. – Si, “ Forza Frosinone!”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nepal: nuove vittime. Gli aiuti della chiesa locale

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Il bilancio del sisma di magnitudo 7.8 aggravato da quello meno potente ma pure dagli effetti assai gravi del 12 maggio, è salito a 8.567 morti. Gli ultimi dati diffusi dal ministero dell’Interno confermano anche che il distretto più colpito è quello di Sindhupalchowk, con 3.423 decessi accertati finora, seguito dalla capitale Kathmandu con1.214 e Nuwakot con 1.045. Più di 22.000 i feriti.

Distrutte quasi 500mila abitazioni
​A completare un quadro sommario della tragedia nepalese - riporta l'agenzia Misna - sono le 488.788 abitazioni distrutte e le 267.282 danneggiate in misura più o meno grave. Un bilancio che, come per le operazioni di soccorso, è reso precario anche dei continui tremori, 240 quelli di magnitudine superiore al 4º grado nelle tre settimane dalla scossa principale.

Appello per la rinascita del Paese
Le necessità di un Paese già disperatamente povero e che dovrà affrontare un futuro ricco di incognite ma anche di potenzialità offerte dalla rinascita sotto tutela internazionale, guardano già oltre l’immediato. L’emergenza resta ancora sotto-finanziata, con solo il 14% dei fondi necessari stimati in 423 milioni di dollari per i prossimi tre mesi resi disponibili dai donatori, ma le autorità premono ora sull’acceleratore della ricostruzione. Il primo ministro Sushil Koirala ha lanciato ieri l’appello per contributi pari a 2 miliardi di dollari per avviare la rinascita del Paese con un costo totale previsto tra 5 e 10 miliardi di dollari. Koirala ha ribadito “che riabilitazione e ricostruzione sono prioritarie e per questo speriamo che i nostri amici si faranno avanti con generosità per aiutarci”. 

La Chiesa locale presta soccorso e distribuisce aiuti
Le chiese cattoliche del Paese, inclusa la cattedrale dell’Assunzione a Lalitpur (Kathmandu), la chiesa di Baniyatar e quella di Godavari – riferisce l'agenzia AsiaNews - sono in pieno servizio. Oltre a raccogliere fondi per i sopravvissuti, organizzano squadre di volontari per prestare soccorso e distribuire aiuti. Celebrando ieri la Messa padre Bijaya Toppo, sacerdote cattolico, ha detto: “Tutto noi dovremmo offrire aiuto umanitario alle vittime del terremoto, secondo le nostre capacità. Siamo cattolici e diversi da altri, perché il nostro servizio non è discriminatorio: testimoniamo la presenza di Gesù con la preghiera e con il lavoro”. Padre Ignatius Rai, parroco della cattedrale dell’Assunzione a Kathmandu, spiega: “La Chiesa e le organizzazioni cattoliche stanno lavorando nei distretti più colpiti, come Gorkha, Nuwakot, Dhading, Dolakha, Sindhupalchowk e Okhaldhunga. Facciamo del nostro meglio, ma le nostre risorse sono limitate e i nostri soli sforzi non sono sufficienti per aiutare la popolazione”. (C.O. - C.S.)

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Assemblea mondiale Pax Christi: lotta non violenta per la pace

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La lotta per una pace sostenibile, fondata sulla giustizia, l’inclusione e l’accettazione della diversità, attraverso la non violenza attiva ispirata dal Vangelo e dalla Dottrina sociale della Chiesa: è questo il faro che ha sempre guidato e che continuerà a guidare l’azione di Pax Christi nei prossimi anni. E’ quanto sottolineato nella “Dichiarazione di Betlemme” che ha concluso ieri nella cittadina palestinese, l’Assemblea mondiale del movimento nel suo 70° anniversario di fondazione. 150 delegati di una trentina di Paesi del mondo hanno partecipato all’evento  dal titolo “Pilgrims on the path to peace” (“Pellegrini sul sentiero verso la pace”).

La non violenza attiva efficace alternativa alla violenza estremista
Fondato in Francia nel 1945 sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale e presente oggi in tutti e cinque i continenti, Pax Christi ha esteso nel tempo il suo raggio di azione ai temi della giustizia, dello sviluppo, della solidarietà e della difesa del Creato, sempre all’insegna della non violenza attiva quale efficace alternativa alla violenza estremista e alla militarizzazione. La pratica della non violenza attiva – sottolinea la Dichiarazione di Betlemme – rappresenta ancora oggi la strada maestra da seguire per la pace in un mondo segnato più che mai dalla povertà, dall’esclusione, dalla disperazione e dal sentimento della mancanza di futuro che pervade tanti giovani attirandoli ad ideologie estremiste.

Investire nei giovani e nelle donne per la pace
E proprio sui giovani Pax Christi sta investendo molte sue energie e speranze. “Nei prossimi cinque anni - si legge nella dichiarazione finale – proporremo alternative all’estremismo; condivideremo la nostra ricca spiritualità con i giovani di un mondo secolarizzato; incoraggeremo campagne ed esperienze; promuoveremo il dialogo e la cooperazione tra le generazioni e la leadership dei giovani nell’organizzazione”. Non meno cruciale nella soluzione pacifica dei conflitti – continua il testo - è il ruolo delle donne.  Per questo Pax Christi rafforzerà la sua rete di rapporti con le organizzazioni femminili impegnate nella causa della pace, ascolterà le loro esperienze e si farà paladina dei diritti delle donne e della parità di genere presso le più alte istanze internazionali.

Fedele alla sua missione, il movimento intensificherà infine la sua collaborazione con attivisti per la pace musulmani, ebrei e di altre religioni e convinzioni, a sottolineare il ruolo centrale delle religioni per la pace. (A cura di Lisa Zengarini)

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Libano. Card. Raï: elezione presidente non solo questione cristiana

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Lo stallo di un anno nell'elezione del nuovo presidente libanese rappresenta un “fallimento” per la vita politica nazionale e un'offesa alla “dignità” della nazione libanese. Lo ha ribadito il patriarca maronita Boutros Bechara Raï nel corso dell'omelia pronunciata durante la Messa celebrata ieri presso la sede patriarcale di Bkerkè. 

Fare prevalere la "coscienza nazionale"
Secondo il primate della Chiesa maronita, l'impasse nell'elezione del nuovo presidente – carica che il complesso sistema istituzionale libanese riserva a un cristiano maronita – non è una “questione cristiana” e non chiama in causa solo le divisioni tra i politici cristiani presenti nei vari schieramenti, ma è l'effetto della contrapposizione tra i diversi blocchi e della loro incapacità a mettere da parte i propri interessi di parte e far prevalere il senso di condivisa “coscienza nazionale”.

Il patriarca Rai si appella alle forze politiche per trovare un accordo
La scorsa settimana, si è conclusa senza esito anche la 23esima sessione parlamentare convocata per eleggere il successore dell'ex presidente Michel Sleiman, il cui mandato si è concluso un anno fa. Già la scorsa settimana, come riferito dall'agenzia Fides, il card. Raï aveva richiamato le forze politiche libanesi a trovare il consenso per l'elezione di un nuovo presidente prima del 25 maggio, giorno in cui sarà raggiunto il primo anno di vacanza della carica presidenziale. (G.V.)

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Egitto. Vescovo copto cattolico: no a pena capitale

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La condanna a morte dell'ex Presidente egiziano Mohamed Morsi sta suscitando forti reazioni in Egitto e in altri Paesi, a partire dalla Turchia. A guidare proteste e a minacciare ritorsioni per la sentenza considerata ingiusta sono i Fratelli Musulmani, l'organizzazione islamista a cui apparteneva l'ex Presidente deposto nel giugno 2013 dopo che aveva raggiunto democraticamente il potere un anno prima.

Il 2 giugno il pronunciamento del Gran Mufti di al Azhar
“La reazione degli islamisti - riferisce all'agenzia Fides Anba Kyrillos William, vescovo copto cattolico di Assiut - ha già assunto connotati violenti. Mentre sembra che tra la popolazione prevalga l'appoggio alla sentenza. Il popolo non ha dimenticato le sofferenze patite quando Morsi era Presidente. Adesso si attende il pronunciamento del Gran Mufti di al Azhar, che il prossimo 2 giugno potrà confermare la sentenza o chiedere che la condanna stabilita sia mutata in altre pene meno gravi, come la detenzione a vita”. 

La Chiesa rimane contraria alla pena di morte
La pena capitale comminata a Morsi interpella anche le coscienze dei cristiani egiziani: “La Chiesa - aggiunge a Fides il vescovo copto cattolico di Assiut - rispetta l'indipendenza del potere giudiziario, ma ritiene che la vita sia un bene inviolabile in ogni caso, e rimane contraria alla pena di morte. Sta di fatto che questo tipo di condanna è ancora contemplato nell'ordinamento giuridico egiziano”.

I cristiani accolgono i criteri della misericordia e della compassione
Al riguardo, Anba Kyrillos riferisce all'agenzia Fides un episodio emblematico. “Ricordo che quando l'ex Presidente Hosni Mubarak era stato condannato all'ergastolo, i Fratelli Musulmani, allora al potere, chiedevano un nuovo processo perchè fosse condannato a morte. Ricordo la moglie di un ministro che era venuta da noi per un incontro, e poi aveva visitato le suore di Madre Teresa e aveva chiesto loro cosa pensavano di quella questione. Loro le parlarono della compassione che suggerisce di accantonare la pena capitale in ogni occasione, e dicendo questo fecero molto arrabbiare la moglie del ministro. Secondo lei, Mubarak doveva pagare con la vita le cose gravi che aveva commesso. In quell'occasione - conclude Anba Kyrillos - ho potuto toccare con mano la differenza tra lo sguardo cristiano, che accoglie i criteri della misericordia e della compassione anche nella prassi giudiziaria, e una mentalità che potrei definire 'vetero-testamentaria', dove vige solo la logica dell'occhio per occhio, dente per dente”. (G.V.)

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Cile: mons. Goic guida commissione ex prigionieri politici-governo

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Poco più di un mese è durato lo sciopero della fame effettuato da 117 ex prigionieri politici, suddivisi in gruppi in diverse località del Paese, che chiedono, tra l'altro, l'aumento delle pensioni, che sono inferiori rispetto al salario minimo, in contrasto con gli accordi internazionali relativi al risarcimento delle persone che hanno subito abusi commessi dalla dittatura militare.

Mons. Goic guiderà la commissione
Dopo 36 ore di trattative, i leader del gruppo sono riusciti, sabato scorso, ad arrivare ad un accordo con il governo. Il portavoce del gruppo, rappresentante regionale e presidente nazionale dell'Associazione dei prigionieri politici, David Quintana, ha riferito secondo una nota pervenuta a Fides, che si formerà una Commissione, presieduta dal vescovo di Rancagua, mons. Alejandro Goic Karmelic. Fin dal principio della vicenda, la Chiesa si era infatti interessata a questa causa attraverso mons. Alejandro Goic, arcivescovo di Concepción, la cui cattedrale era stata occupata da alcuni ex prigionieri politici in sciopero della fame.

Tra i punti dell'accordo la questione delle pensioni
Di questa nuova Commissione faranno parte anche rappresentanti dei Ministeri dell'Interno e delle Finanze, insieme alla direttrice dell'Istituto dei diritti umani, Lorena Frias. I punti principali dell'accordo raggiunto prevedono la creazione di questa Commissione, che entrerà in funzione alla fine del mese, le indennità e l’approvazione delle pensioni. Per oggi è prevista la firma dell'accordo e così anche i 16 ex prigionieri politici di Rancagua abbandoneranno la stanza nel santuario situato a fianco della cattedrale. (C.E.)

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Congo: preghiere per la pace nel Nord Kivu

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Le confessioni religiose del Nord Kivu hanno organizzato dei momenti di preghiera per invocare la pace nella provincia nell’est della Repubblica Democratica del Congo, in preda alle ripetute violenze da parte di diversi gruppi armati. L’iniziativa fa parte di una serie di azioni organizzate del Coordinamento della Società Civile del Nord Kivu, di mobilitazione della popolazione del Nord Kivu per esprimere solidarietà agli abitanti di Beni, Rutchuru, Masisi e Goma, “vittime – riferisce l’agenzia Fides - di massacri ripetuti, di rapimenti e di altri crimini atroci commessi dall’Adf-Nalu e da altri fuori legge”.

I crimini della guerriglia contro la popolazione congolese
L’Adf-Nalu è un gruppo di guerriglia nato dall’unione di due precedenti movimenti che si battono contro il governo ugandese, l’Allied Democratic Forces e il National Army for the Liberation of Uganda, ma che da due decenni si è installato nel Nord-Kivu, dove commette continui crimini contro la popolazione congolese.

Incontri di preghiera per ricordare le persone uccise
​Tra le altre iniziative promosse dalla Società civile, il 22 maggio ogni confessione religiosa presente nella regione organizzerà un incontro di preghiera per ricordare le persone uccise. Da ottobre 2014 oltre 350 persone sono state uccise nella provincia in attacchi attribuiti all’Adf-Nalu. Gli ultimi, che hanno causato 23 morti, sono avvenuti il 13 maggio, durante la visita del Ministro dell’Interno giunto appositamente per cercare di calmare gli animi della popolazione esasperata. (L.M.)

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Bartolomeo I convoca il secondo summit di Halki sull'ambiente

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Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha convocato il summit di Halki II sull'ambiente e l'ecologia, che dall'8 al 10 giugno sarà ospitato dalla Scuola teologica dell'isola di Halki e sarà intitolato “Teologia, Ecologia e Parola: un colloquio sull'ambiente, la letteratura e le arti”. Lo riferiscono fonti ufficiali del patriarcato ecumenico, riprese dall'agenzia Fides.

Scopo del summit: approfondire le radici letterarie e filosofiche
La Conferenza internazionale dedicata all'ambiente, patrocinata in collaborazione con la Southern New Hampshire University, si inserisce nella lunga tradizione di iniziative e sessioni di studio e approfondimento – iniziate con il Simposio internazionale su religione, scienza e ambiente svoltosi nel 1995 a Patmos, l'isola dove fu scritta l'Apocalisse - dedicate dal patriarcato ecumenico alla questione della salvaguardia del creato su impulso del patriarca Bartolomeo e del metropolita Ioannis di Pergamo, universalmente considerato tra i massimi teologi cristiani viventi. “L'obiettivo del convegno – spiega lo stesso patriarca ecumenico in un messaggio di saluto diffuso dai media del patriarcato - è quello di approfondire le radici letterarie e filosofiche della nostra preoccupazione per una gestione dell'ambiente equilibrata e sostenibile”.

Al metropolita Ioannis la relazione d'apertura
Tra i relatori figurano letterati come Terry Tempest Williams e teologi come l'anglicano Timothy Gorringe. I loro interventi - spiega il primus inter pares dei primati ortodossi – aiuteranno a riaffermare la necessità di tutelare l'ambiente valorizzando in particolare la bellezza del creato come dono di Dio e costante sorgente d'ispirazione del genio artistico. La relazione d'apertura sarà affidata al metropolita Ioannis. Per il mese di giugno è prevista anche la pubblicazione dell'enciclica di Papa Francesco dedicata alla questione ambientale. (G.V.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 138

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.