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Sommario del 21/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa alla Polizia: difendere deboli, contrastare violenti e corrotti

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L’Italia ha bisogno di persone che la “servano con disinteresse, generosità e continuità”. E’ uno dei passaggi del discorso di Papa Francesco ai familiari delle vittime e dei caduti in servizio della Polizia di Stato, ricevuti in Vaticano. Il Pontefice ha ringraziato le forze dell’ordine per l’impegno contro violenti e corrotti, per l’accoglienza dei migranti e l’opera di contrasto ai trafficanti. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un’udienza per dire grazie a chi ogni giorno mette a rischio la proprio vita per difendere i cittadini e la democrazia. E’ lo spirito che ha animato l’udienza di Francesco ai familiari dei caduti della Polizia di Stato, che il Papa ha elogiato per “l’attaccamento alle istituzioni”.

Contrastare criminalità organizzata e terrorismo
Il Pontefice ha definito quella del poliziotto un’autentica missione ricca di “valori di speciale rilevanza per la vita civile”:

“Mi riferisco allo spiccato senso del dovere e della disciplina, alla disponibilità al sacrificio, fino, se necessario, a dare la vita per la tutela dell’ordine pubblico, per il rispetto della legalità, per la difesa della democrazia e il contrasto della criminalità organizzata o del terrorismo”.

“La collettività – ha aggiunto – vi è debitrice della possibilità di condurre una vita ordinata e libera dalle prepotenze dei violenti e dei corrotti”. Un’esistenza “impegnata su questo fronte e centrata in questi ideali – ha detto ancora – presenta un alto valore presso il Signore, e ogni sacrificio accolto per amore del bene verrà da Lui premiato”. Parole, ha detto, che hanno un significato particolare per i “parenti delle vittime dei violenti, i quali, trovando nelle forze dell’ordine l’ostacolo più arduo ai loro disegni efferati, spesso si scagliano contro di esse”.

Testimoniare valori cristiani contro cultura del provvisorio
“Chi, giorno dopo giorno – ha proseguito – assume la serietà e l’impegno del proprio lavoro e lo pone a disposizione della comunità, e specialmente di chi è nel pericolo o si trova in situazioni di grave difficoltà, ‘esce’ verso il prossimo e lo serve”. Ed ha invitato i parenti delle vittime a contemplare Gesù sulla Croce per “trovare la forza del perdono e il conforto” per affrontare le proprie croci:

“La testimonianza dei valori cristiani è ancora più eloquente in questo tempo, nel quale, allo slancio generoso di tanti, spesso non fa seguito la capacità di incanalarlo in un impegno coerente e costante. Nel nostro tempo risulta infatti più facile impegnarsi in qualcosa di provvisorio e di parziale”.

Grazie a chi accoglie i migranti e contrasta i trafficanti
L’azione svolta dalle forze di Polizia, ha osservato, richiama invece “qualcosa di solido nel tempo, che, pur nel mutare delle situazioni contingenti, presenta una costante che attraversa le varie epoche: quella di garantire per tutti i cittadini la legalità e l’ordine, e con questi beni la possibilità di fruire di tutti gli altri”:

“Inoltre, in questi anni l’azione della Polizia si trova a dare un contributo decisivo per gestire l’impatto con la corrente di profughi che arrivano in Italia cercando rifugio da guerre e persecuzioni. Siete “in prima linea” sia nell’accoglienza iniziale dei migranti, sia nell’opera di contrasto verso i trafficanti senza scrupoli”.

Servire Italia con disinteresse e generosità
“Cari fratelli e sorelle – ha concluso – siate fieri del vostro lavoro e continuate a servire lo Stato, ogni cittadino e ogni persona in pericolo”. Nel “difendere i deboli e la legalità – ha detto – troverete il senso più vero del vostro servizio e sarete di esempio al Paese, che ha bisogno di persone che lo servano con disinteresse, generosità e continuità”.

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Francesco: grazia e lotta dei cristiani, essere una cosa sola

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Le sue “piaghe” sono il “prezzo” che Gesù ha pagato perché la Chiesa fosse unita per sempre a Lui e a Dio. I cristiani di oggi sono chiamati a chiedere la grazia dell’unità e a lottare perché fra loro non si insinui lo “spirito di divisione, di guerra, di gelosie”. Questa la riflessione di Papa Francesco alla Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

“La grande preghiera di Gesù”: che la Chiesa sia unita, che i cristiani “siano una cosa sola”, come Gesù lo è con suo Padre. E accanto “la grande tentazione”: non cedere all’altro “padre”, quello della “menzogna” e della “divisione”. Papa Francesco si immerge nell’atmosfera del Cenacolo e nella densità delle parole che Cristo pronuncia e affida agli Apostoli prima di consegnarsi alla Passione, proposte dalla liturgia.

Il prezzo dell’unità
È consolante, osserva Francesco, sentire Gesù dire al Padre di non voler pregare solo per i suoi discepoli ma anche per quelli che crederanno in Lui “mediante la loro parola”. Una frase ascoltata tante volte, per la quale il Papa chiede un supplemento di attenzione:

“Forse, noi non siamo abbastanza attenti a queste parole: Gesù ha pregato per me! Questo è proprio fonte di fiducia: Lui prega per me, ha pregato per me... Io immagino – ma è una figura – com’è Gesù davanti al Padre, in Cielo. È così: prega per noi, prega per me. E cosa vede il Padre? Le piaghe, il prezzo. Il prezzo che ha pagato per noi. Gesù prega per me con le sue piaghe, col suo cuore piagato e continuerà a farlo.

I volti della divisione
Gesù prega “per l’unità del suo popolo, per la Chiesa”. Ma Gesù “sa – afferma Francesco – che lo spirito del mondo” è “uno spirito di divisione, di guerra, di invidie, di gelosie, anche nelle famiglie, anche nelle famiglie religiose, anche nelle diocesi, anche nella Chiesa tutta: è la grande tentazione”. Quella che porta, dice, alle chiacchiere, a etichettare, a bollare le persone. Tutti atteggiamenti, indica il Papa, che questa preghiera chiede di bandire:

“Dobbiamo essere uno, una sola cosa, come Gesù e il Padre sono una sola cosa. Questa è proprio la sfida di tutti noi cristiani: non lasciare posto alla divisione fra noi, non lasciare che lo spirito di divisione, il padre della menzogna entri in noi. Cercare sempre l’unità. Ognuno è come è, ma cerca di vivere in unità. Gesù ti ha perdonato? Perdona tutti quanti. Gesù prega perché noi siamo uno, una sola cosa. E la Chiesa ha tanto bisogno di questa preghiera di unità”.

Unità, è grazia non “colla”
Non esiste, scherza Francesco, una Chiesa tenuta insieme dalla “colla”, perché l’unità che chiede Gesù “è una grazia di Dio” e “una lotta” sulla terra. “Dobbiamo fare spazio allo Spirito – conclude Francesco – perché ci trasformi come il Padre è nel Figlio, una sola cosa”:

“E un altro consiglio che Gesù ha dato in questi giorni di congedo è di rimanere in Lui: ‘Rimanete in me’. E chiede questa grazia, che tutti noi rimaniamo in Lui. E qui ci indica perché, lo dice chiaramente: ‘Padre, voglio che quelli che mi hai dato, anch’essi siano con me dove sono io’. Cioè, che questi rimangano là, con me. Il rimanere in Gesù, in questo mondo, finisce nel rimanere con Lui ‘perché contemplino la mia gloria’”.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: la signora Rudo Mabel Chitiga, ambasciatore di Zimbabwe presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il signor Joel Musa Nhleko, ambasciatore di Swaziland presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; il card. Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna.

In Spagna, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Mérida-Badajoz, presentata da mons. Santiago García Aracil, per sopraggiunti limiti d’età. Gli succede mons. Celso Morga Iruzubieta, finora Arcivescovo Coadiutore della medesima arcidiocesi.

In Francia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Belfort-Montbéliard, presentata da mons. Claude Schockert per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Belfort-Montbéliard  il rev.do Sacerdote Dominique Blanchet, finora Vicario generale della diocesi di Angers.

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Papa, tweet: alcuni silenzi di Dio si capiscono con la Croce

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Ci sono silenzi di Dio che non si possono capire se non guardando il Crocifisso”.

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Vaticano, conferenza donne e Agenda Onu sviluppo post-2015

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“Donne verso l’agenda per lo sviluppo post-2015: quali sfide dagli obiettivi di sviluppo sostenibile?”. Sarà il tema della seconda Conferenza internazionale sulle donne, organizzata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace insieme all’Unione mondiale delle organizzazione femminili cattoliche (Umofc) e all’Alleanza mondiale delle donne per la vita e la famiglia (Wwalf). L’evento, ospitato a Roma da domani a domenica prossima nel The Church Village (già Domus Pacis) è stato presentato stamani nella Sala Stampa Vaticana dal cardinale Peter K. A. Turkson, presidente del dicastero vaticano, da Olimpia Tarzia e da Maria Giovanna Ruggeri, presidenti delle due associazioni femminili promotrici. Il servizio di Roberta Gisotti

Un anno cruciale per la comunità internazionale: sarà infatti approvata a settembre dall’Assemblea dell’Onu l’Agenda per lo sviluppo sostenibile post-2015 che rinnoverà gli obiettivi del Millennio per i prossimi 15 anni. Diciassette nuovi obiettivi che hanno rilevanti implicazioni per le donne, ha sottolineato il cardinale Peter Turkson:

“Sebbene, indubbiamente, si siano compiuti progressi notevoli a favore della causa delle donne in molti Paesi, specialmente negli ambiti dell’educazione, della rappresentanza politica e della partecipazione economica, ancora molto resta da fare”

Oltre 100 i partecipanti alla Conferenza, di ogni continente, più donne che uomini, di contesti culturali e sociali diversi, per confrontarsi sulle questioni femminili emergenti. Si parlerà di modernità e teoria cosiddetta del "gender", di surrogazione della maternità, di educazione e diritti, di alleanza con l’uomo, di dialogo interreligioso, di vecchie e nuove forme di schiavitù, di povertà, di violenze e femminicidi.

Ma non solo una panoramica sulle problematiche più urgenti per le donne, né solo uno spazio di denuncia. La Conferenza vuole essere altro, ha sottolineato il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:

“Si prefigge anche, e oserei dire, soprattutto di offrire un contributo che possa essere di utilità, anche nel quadro delle negoziazioni in corso per la nuova agenda per lo sviluppo post-2015”.

Da qui l’importanza che le donne cattoliche facciano sentire la propria voce all’interno della comunità internazionale, ha sollecitato il porporato. Ma non è facile farsi ascoltare, ha lamentato Olimpia Tarzia, a nome dell’Alleanza mondiale delle donne – non solo cattoliche – per la vita e la famiglia, presente in 50 Paesi:

“Sono temi fondamentali, non solo per noi donne, ma per la Chiesa e per la società tutta, come la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, quale primo diritto umano e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, quale soggetto sociale, civile, giuridico, educativo ed economico ed unico, vero baluardo della tenuta sociale: questioni di cui non troviamo traccia alcuna nei 17 obiettivi che l’Onu pone per il nuovo millennio”.

Così anche Maria Giovanna Ruggeri, per conto dell’Unione mondiale delle organizzazione femminili cattoliche – fondata nel 1910, oggi 5 milioni di iscritte – ha evidenziato le sfide da cogliere:

“Noi vogliamo lavorare con tanti uomini e donne di buona volontà per percorrere vie di solidarietà e di fraternità, per imparare a percepire i volti, soprattutto dei più poveri, in cui come credenti vedere il volto del Signore”.

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Card. Sandri: in Iraq ho visto cristiani sofferenti ma pieni di fede

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E' sempre grave la condizione dei cristiani nelle aree di conflitto in Medio Oriente. A questo proposito sentiamo la testimonianza del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, da poco rientrato da una missione in Iraq. L'intervista è di Elvira Ragosta

R. – E’ stato per me un viaggio veramente molto significativo, perché ho potuto avvicinare la realtà della Chiesa cattolica in Iraq e la realtà di tanti cristiani e soprattutto di alcuni vescovi delle altre Chiese che vivono e che operano lì e ho potuto portare una parola di vicinanza e di incoraggiamento. Nonostante tutto quello che sta succedendo non bisogna far morire la speranza: bisogna tenerla sempre viva.

D. – Lei ha incontrato anche molti profughi…

R. – Ho visitato diverse case con profughi e ho potuto non solo portare una parola di conforto, ma soprattutto ho potuto apprendere da loro, vedere come loro - nonostante tante sofferenze - mantengano la serenità e la pace: vivono in condizioni precarie e in condizioni molto elementari, ma piene di fede e di speranza. Vedere certi cattolici, cristiani, siro-cattolici sfollati di Qaraqosh di Mosul che vivono con le loro famiglie, con dignità, con povertà, con austerità è veramente un esempio per tutti noi.

D. – Cosa le chiedevano queste persone come prima cosa?

R. – La loro vita era una parola, una richiesta di aiuto, di solidarietà da parte di tutto il mondo e in particolare del mondo cattolico.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In difesa dei deboli e della legalità: il Papa sottolinea l'impegno della polizia per i migranti e contro i trafficanti.

Cristiana Dobner su una donna ebrea: alla ricerca di Maria nella storia.

Il ponte sul fiume Tyne: da Newcastle, Cristian Martini Grimaldi sulla persecuzione dei sacerdoti cattolici in Inghilterra.

La penombra delle diagonali: Pietro Petraroia illustra il nuovo allestimento della Pietà Rondanini.

Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "Frère Luc sono io": l'attore Michael Lonsdale racconta la sua fede.

L'ultima risata: Gabriele Nicolò su David Letterman che, dopo 33 anni, lascia il suo show, il più famoso negli Stati Uniti.

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Oggi in Primo Piano



Irlanda, referendum su nozze gay

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Sì o no alle nozze gay: domani, venerdì 22 maggio, l’Irlanda è chiamata a pronunciarsi attraverso un referendum. Primo Paese al mondo dove una decisione simile che incide sulla Costituzione, viene delegata al popolo. Sarà sufficiente la maggioranza semplice. E' già dal 2010 che in Irlanda sono in vigore le unioni civili che garantiscono protezione legale alle coppie gay ma la vittoria del 'si' equiparerebbe le unioni omosessuali ai matrimoni in cui esiste una complementarietà tra uomo e donna. Nel referendum, ignorato l'impatto rilevante sulla tutela dei minori.  Alla vigilia del voto Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente a Dublino l’arcivescovo Diarmuid Martin

R. – Si tratta di un referendum, di una consultazione popolare, per – se passa il sì - cambiare la Costituzione dell’Irlanda e introdurre un nuovo paragrafo che prevede che tutti possano contrarre matrimonio, senza fare riferimento al loro sesso. Dunque, anche matrimonio tra persone dello stesso sesso. Sarebbe la prima volta, nel mondo, che la definizione del matrimonio viene cambiata attraverso un referendum. In Irlanda, la Costituzione si può cambiare solamente con un referendum popolare e questo nuovo paragrafo verrebbe inserito in maniera definitiva nella Costituzione irlandese.

D. – Quali riflessioni lei ha voluto sollevare?

R. – Con i vescovi, qualche mese fa, abbiamo pubblicato un documento sulla natura del matrimonio. Poi abbiamo pubblicato una lettera pastorale intitolata “Il matrimonio è importante, pensate bene prima di cambiarlo”, in cui abbiamo spiegato quali fossero gli elementi da considerare. L’elemento principale, per me, è la complementarietà che esiste tra uomo e donna. Noi tutti siamo creati o uomo o donna e c’è questa complementarietà: uomo e donna; marito e moglie; padre e madre. Questa complementarietà è una cosa unica ed essenziale alla definizione del matrimonio. Il matrimonio non è solamente una cosa personale: il matrimonio appartiene alla società, alla stabilità della società, alla intergenerazionalità della società. E i bambini hanno diritto ad una mamma e ad un papà, per quanto questo sia possibile. Queste sono le linee che noi sottolineiamo. La campagna è guidata soprattutto dai laici cattolici, e non direttamente dai vescovi, anche se i vescovi hanno scritto riflessioni che sono state riportate dai giornali principali e, ieri sera, alla televisione nazionale. Ma il cambiamento è sostenuto da tutti i partiti politici.

D. – Un dibattito, dunque, che a livello politico non vede voci discordanti?

R. – Non vede voci discordanti nei partiti politici, che sono tutti a favore del cambiamento.

D. – Invece, tra la popolazione c’è dibattito?

R. – C’è un dibattito anche nelle comunità, nelle case. Per ora, naturalmente, ci sono delle previsioni, ma non sono del tutto sicure. In questo momento è difficile un pronostico.

D. – Si può rispondere ai diritti delle persone omosessuali senza cambiare la definizione di matrimonio?

R. – Io credo che sarebbe possibile rispondere alle esigenze, e anche ai diritti delle persone omosessuali, senza cambiare la definizione del matrimonio. Lo si potrebbe fare attraverso altre formule giuridiche, che potrebbero essere anche inserite nella Costituzione. Il governo, però, ha deciso di andare avanti solo su questo binario. Io, nei miei interventi, ho sempre parlato delle sofferenze che le persone omosessuali hanno avuto qui in Irlanda per la nostra cultura e ho chiesto sempre il dibattito, ma un dibattito  rispettoso e dignitoso, ed in generale questo è stato rispettato.

D. – La sua preghiera alla vigilia di questo referendum?

R. – Noi chiediamo a tutti di pregare per il futuro del matrimonio come istituzione naturale, non solamente come sacramento. Certamente, quello che succede in Irlanda potrebbe avere ripercussioni in molti altri Paesi, che cercherebbero di seguire l’esempio. Preghiera anche che, soprattutto dopo il Sinodo di ottobre, qui in Irlanda si intensifichi e si rafforzi la pastorale del matrimonio e della famiglia, per mantenere una tradizione di famiglie sane e per salvaguardarle. Immaginiamo difficoltà e per esempio alcune conseguenze che questo cambiamento nella Costituzione potrebbe avere sul modo di insegnare la dottrina cattolica del matrimonio.

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Siria, Is occupa Palmira e Usa promette missili a Baghdad

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In Siria, fonti locali annunciano che l’Is ha imposto il coprifuoco su Palmira, città sede di un antico sito archeologico patrimonio dell’Unesco e ormai sotto il controllo dei miliziani del sedicente Stato islamico. Sostenitori dell'Is hanno pubblicato su alcuni profili Twitter le foto dei cadaveri dei militari di Bashar Assad e di civili legati e decapitati, ma l'autenticità delle immagini non è stata verificata da fonti indipendenti. Intanto, in Iraq, dopo la caduta di Ramadi l’amministrazione statunitense annuncia l’invio di missili a sostegno delle forze armate di Baghdad. Ma come va interpretata la strategia, non solo militare, dei jihadisti che colpisce anche i simboli artistici e culturali? Elvira Ragosta lo ha chiesto a Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi all’Università cattolica di Milano: 

R. – Purtroppo, questo fa parte proprio dell’ignoranza di questi tagliagole che dicono di voler instaurare il Califfato ma non sanno neanche cosa sia stato il Califfato. Perché sia in Siria che in Iraq il Califfato è stato grande quando ha non solo rispettato, ma valorizzato anche gli apporti di tutte le culture, anche precedenti a quella islamica. Quindi, si tratta soltanto di un’ideologia distruttiva e veramente senza radici, che purtroppo però può avere un certo successo perché va a riempire un vuoto spaventoso che ormai da anni espone la popolazione civile a condizioni di vita insopportabili.

D. – E mentre il 50% della Siria è in mano al sedicente Stato islamico, in Iraq dopo la caduta di Ramadi gli Stati Uniti annunciano l’invio di 1.000 missili anticarro a sostegno delle Forze armate irachene…

R. – Sì, la situazione di questo Paese è veramente catastrofica, in quanto sappiamo che dopo la caduta del regime sono stati fatti molti errori, per cui si è entrati in una guerra civile che ormai dura da dieci anni e dalla quale non si vede l’uscita. Ho paura che siano interventi comunque tardivi e che continuano a giocare sull’opzione militare che fino ad adesso non si è dimostrata risolutiva.

D. – Secondo lei, serve un cambio di strategia internazionale?

R. – Io credo che quello che blocca è che non si sa esattamente quello che potrebbe succedere dopo la vittoria degli uni o degli altri e non tanto la impossibilità di eliminare l’Is. Sono soltanto 20-30 mila mercenari e c’è una coalizione di 60 Paesi contro di loro. Evidentemente è tale l’incertezza, forse anche gli altri giochi e interessi locali in campo che impediscono una vera azione… Però, si perpetua una situazione, ripeto, intollerabile. Per esempio, in Siria non ci sono i grandi pozzi di petrolio che ci sono nel nord e nel sud dell’Iraq, però mi pare che anche quando ci sono grandi ricchezze, vedi Libia, ormai siamo a un tale livello di disorganizzazione e mancanza di coordinamento che non si riesce a fare nulla di sensato nemmeno quando ci sono in gioco interessi di questa entità.

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In Sud Sudan "situazione feroce", testimonianza di un missionario

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Drammatiche le testimonianze raccolte dall’Unicef in Sud Sudan: in due settimane, decine di bambini uccisi, violentati o rapiti e reclutati. Accade nella serie di attacchi nello Stato dell'unità del Sud Sudan teatro di sanguinosi scontri tra le forze governative e i ribelli legati all’ex vice presidente Riek Machar. Tanto che Croce Rossa, Ong e missionari hanno dovuto lasciare il territorio. Eugenio Murrali ha intervistato un missionario che da anni opera nel Paese, al quale per ragioni di sicurezza garantiamo l’anonimato: 

R. – Da dopo Pasqua c’è stato un deteriorarsi della situazione. Il governo cerca di fare di tutto per prendere lo Stato dell’Unità, perché lì ci sono i pozzi di petrolio: perciò è di importanza vitale.

D. – Qual è la situazione che vive la popolazione in questo momento?

R. – La situazione è terribile, perché mentre il governo avanza brucia tutte le case e la gente è obbligata ad abbandonare i suoi luoghi. Adesso siamo all’inizio della stagione delle piogge e anche all’inizio della stagione della semina. Il problema più grave sarà quindi quello della fame e della mancanza di protezione. I prezzi sono diventati così alti che per la gente è impossibile comprare: solo pochi possono accedere alle banche e avere valuta pregiata, tutti gli altri non possono farlo, quindi vivono una situazione disastrosa. Poi, nei mercati, difficilmente si trovano quelle cose che normalmente si possono trovare a Giuba, anche se a prezzi alti, e quindi vivono solo di quello che possono portare le organizzazioni umanitarie. Finora, anche il Wfp (Programma Alimentare Mondiale) e la Croce Rossa hanno aiutato con il cibo; adesso, se la gente deve scappare nelle paludi o nelle foreste, rimane praticamente senza niente. Questo è il primo punto: molti moriranno di fame, soprattutto i bambini, che già sono malnutriti. Il secondo aspetto è l’abuso delle donne, la violenza fatta alle donne: le prime che ci rimettono sono donne e ragazze. In passato, hanno violentato persino bambine di 12 anni o anche donne di 60 e più anni. È una situazione veramente feroce.

D. – Cosa vi ha portato a decidere di allontanarvi?

R. – Abbiamo sentito che la prima linea non riusciva più a tenere ed erano arrivati fino a Koch. Le notizie dicevano che avevano già bruciato parecchi villaggi, avevano ammazzato giovani e portato via ragazze. Quindi, anche in accordo con le altre Ong, abbiamo pensato che fosse l’unica cosa possibile da fare.

D. – Questo è uno scontro etnico tra Dinka e Nuer o è uno scontro legato invece, più che altro, a questioni economiche? Qual è il vero pomo della discordia?

R. – Naturalmente la questione è sorta per discordie politiche. Prima ci sono state parole di rivalità. Dopo l’eccidio di Juba del 15 dicembre 2013, con più di 18mila civili Nuer uccisi, senz’altro è diventata una questione tribale. Non bisogna dimenticare gli inizi: anzi, la stampa tende a dimenticare. Per esempio, anche quando il governo ha preso Leer lo scorso anno, Leer è stata bruciata completamente. Tra gennaio e aprile, sono state ammazzate più di 400 persone e nessuno ne parla. Poi parlano dell’eccidio che c’è stato a Bentiu, ma dimenticano che prima ci sono stati altri eccidi. E naturalmente la legge della vendetta, che non è certamente né cristiana né buona, ha le sue conseguenze. Un governo di unità nazionale è l’unico che possa creare le condizioni per stilare una costituzione, preparare le elezioni e coinvolgere tutte le altre tribù nella discussione dei problemi del Sud Sudan. Senza questo, il problema torna a essere solo tra Nuer e Dinka o tra Dinka e Nuer. E naturalmente sappiamo molto bene che la filosofia Dinka è che i Dinka sono nati per governare: “Born to run”. Ora, partendo da questo presupposto, credo che un governo del genere non lascerà aperture per una soluzione del problema.

D. – Cosa potrebbe far capire meglio la situazione di precarietà, di violenza, di dolore che si vive in Sud Sudan in questo momento?

R. – Certamente quello che fa più soffrire è vedere che una generazione di giovani viene distrutta, sia da una parte sia dall’altra, in una guerra fratricida che non ha ragione di esistere. Questo è ciò che fa più male al cuore, soprattutto a noi che siamo lì, presenti, per dare una speranza, per aiutare la gente a vivere in pace e per creare una comunità di fratelli e sorelle dove l’amore possa unire le varie tribù.

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Card. Bagnasco: indebolire la famiglia è un colpo alla società

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La teoria del genere si sta diffondendo soprattutto nelle scuole e coinvolge l'impostazione generale del senso della vita. È uno di passaggi fondamentali del comunicato finale dell'assemblea della Cei, chiusasi oggi in Vaticano, e che ha anche rinnovato i vertici delle commissioni episcopali. C'era per noi Alessandro Guarasci: 

Sensibilità ecclesiale è la parola che è tornata più di frequente in questa assemblea della Cei. I vescovi hanno accolto l'invito del Papa a vivere tra la gente, ma hanno anche rimarcato i “nodi antichi e nuovi del Paese”: ovvero, la piaga della disoccupazione, la tragedia dei migranti, i tentativi legislativi di equiparare il matrimonio e l’istituto familiare ad altre unioni. Dunque, il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco ha ribadito che "indebolire la famiglia significa indebolire la società":

"E quindi la tenuta della società dipende innanzitutto, lo sostengo sempre, non dalle buone leggi, che ci vogliono, sicurezza, stabilità, etc., ma dalla famiglia, che è veramente questa scuola primaria e questa palestra fondamentale in cui le persone adulte e giovani, piccoli, imparano e si allenano continuamente a dialogare, a capirsi, a conoscersi, a sostenersi".

No poi alla "teoria del gender". I vescovi hanno chiesto a pastori e famiglie di fare attenzione a quanto viene insegnato nelle scuole, trovando anche "norme per contrastare una tale deriva ideologica". Un accenno inoltre al clima politico perché, ha detto il cardinale Bagnasco, c'è bisogno di un'etica pubblica perché "senza etica pubblica non si fanno buone leggi". Altro tema caldo la riforma della scuola, e qui il presidente della Cei ha invitato a "non farsi prendere dalla fretta per arrivare in fretta a concludere", chiedendo che per un'operazione così decisiva ci sia "un tempo piu' disteso". 

Forniti poi i dati dell'8 per mille. C'è da notare un live calo nel 2015, con un ammontare di 995 milioni e 462 mina euro. Un calo dovuto alla diminuzione del gettito fiscale, a un lieve ridimensionamento delle firme, oltre a un ricalcolo della cifra dello scorso anno e che quindi ha avuto effetti sull'erogato di quest'anno.

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Terrorismo. Card. Montenegro: fermare barconi non è soluzione

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Abdelmajid Touil, il marocchino arrestato due giorni fa per l'attentato al Museo del Bardo di Tunisi, sarebbe stato in Italia sia nel giorno della strage che in quelli precedenti e successivi. E' quanto è stato accertato dalla Procura di Milano in base ai registri della scuola e alle testimonianze dei docenti. Questa mattina nella sua informativa alla Camera il ministro dell'interno Alfano si era difeso da chi chiedeva le sue dimissioni:  "Non si è mai escluso che l’Italia sia a rischio terrorismo", ha detto. A scatenare le polemiche era stato il fatto che Touil fosse giunto in Italia a febbraio a bordo di un barcone. Paolo Ondarza ha chiesto un commento al cardinale Francesco Montenegro, eletto ieri dall’Assemblea Generale della Cei, presidente di Caritas Italiana: 

Fermare i barconi, non è risolutivo. Serve una politica più capace
R. – Non tutti i terroristi verranno con i barconi, ne sono convinto. Che poi qualcuno abbia potuto fare questo è possibile, ma non credo che questo ora significhi “Fermiamo i barconi!”. Tanti terroristi abitano già in questa Europa e in questa terra, quindi cosa facciamo? Non facciamo più nascere nessuno? E se qualcuno per venire in questa terra e fare quello che vuol fare prende l’aereo, fermiamo gli aerei? Credo che non sia soltanto gridando “Al lupo, al lupo!” che risolveremo i problemi. Ci vuole una politica che sia capace e uno Stato che sappia difendersi. Il problema è che, purtroppo, certe cose si stanno affrontando a pois - un po’ una cosa e un po’ l’altra - e non nella loro globalità.

Serve una legislazione che permetta di affrontare il problema nella sua complessità
D. – Al giovane marocchino sbarcato a febbraio scorso in Sicilia era stato subito intimato di lasciare l’Italia entro 15 giorni. Poi in realtà nessuno ha controllato che lo facesse, tant’è che è poi potuto tornare clandestinamente. Al provvedimento di espulsione non è seguita una una conseguenza pratica…

R. – La conseguenza pratica è lo Stato che deve assumerla. Perché se io dico ad una persona “vattene!”, l’accompagno all’uscio della porta e poi non mi interesso o non ho le possibilità e la capacità di essere sicuro che vada via, i rischi continueranno sempre… Qui è la maturità di uno Stato: ci vuole una legislazione che ti permette davvero di affrontare questo problema in maniera globale. Non si può dire soltanto “non vogliamo gli stranieri”; perché gli stranieri quando ci fanno comodo li vogliamo, se portano denaro e ci fanno divertire…

No ad allarmismi, non si possono ignorare immigrati
D. – Quindi occorre un approccio globale alla questione, senza semplificazioni da una parte e senza allarmismi dall’altra…

R. – Sì, io ritengo che gli allarmismi facciano comodo ad alcuni, però con l’allarmismo tu non affronti il problema. Ecco, allora, che tutto ciò che si è fatto fino adesso per l’immigrazione non credo che sia stato fatto affrontando il problema globalmente: un po’ sulle emozioni, quando ci sono i morti, quando muoiono in gran numero; un po’ con delle leggi che cercano di tamponare… Si sta vedendo l’egoismo dell’Europa, che ha paura di affrontare il problema. Si parla di 230 milioni di migranti nel mondo e questo alcuni lo chiamano il “sesto continente”: un mondo senza un continente non è completo! Non possiamo far finta che non ci siano.

Card. Montenegro: di nuovo alla guida di Caritas Italiana con gioia e preoccupazione
D. – L’Assemblea generale della Cei l’ha rieletta presidente di Caritas Italiana. Come accoglie questo nuovo incarico?

R. – Non è tanto nuovo, perché è vecchio! Ritorno in Caritas… Mi viene chiesto di continuare a dare attenzione alle povertà e al mondo della sofferenza. Con gioia, perché è un servizio; con preoccupazione, perché è un mondo dove purtroppo ci sono tanti problemi e tante difficoltà…  affrontarli non sempre è facile, ma c’è la volontà di fare la mia parte.

Occorre più attenzione ai poveri 
D. – Lei era già stato presidente di Caritas Italiana dal 2003 al 2008. Oggi si configurano nuove emergenze e nuove sfide rispetto ad allora...

R. – Sì, senz’altro tante nuove povertà sono diventate ormai vecchie e tante vecchie povertà sono diventate nuove: oggi c’è gente che viene a cercare il pane, viene a cercare la medicina o il vestito… Purtroppo la situazione economica e sociale è difficile, perché la povertà prende il sopravvento. Non sempre la politica dà la giusta attenzione ai poveri. Quindi bisogna lottare insieme perchè questa fascia di gente, che è purtroppo sostanziosa, possa riavere la gioia di una dignità e possa anche essere ascoltata e aiutata.

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Rebibbia, detenuti commossi davanti alla Madonna di Fatima

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Si è conclusa ieri pomeriggio la visita della Madonna Pellegrina di Fatima, ai detenuti della Casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso di Roma. Per tre giorni gli ospiti del carcere hanno avuto la possibilità di pregare e di rivivere le emozioni provate in occasione della recente visita di Papa Francesco. Il servizio di Davide Dionisi

L'impossibilità degli ospiti di Rebibbia di recarsi a Fatima ha fatto sì che la Madonna si facesse “pellegrina” tra coloro che abitualmente la pregano o per i tanti curiosi che hanno sentito solo parlare di Lei. Per la prima volta, la statua è stata portata in visita ai detenuti della Casa circondariale Nuovo Complesso, assistiti dal Cappellano don Roberto Guernieri. L'iniziativa è stata promossa dell'Apostolato Mondiale di Fatima, l’Associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio. Iniziativa provvidenziale perché giunta alla vigilia del Giubileo della Misericordia, secondo mons. Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, che ha presieduto la messa del pomeriggio.

“Ha un grande significato di preparazione, secondo me. Tutte le carceri, come gli ospedali e altri luoghi di prova, di sofferenza, di pena, sono luoghi dove la misericordia si tocca con le mani. E in preparazione all’Anno Santo della Misericordia il passaggio della Madonna può essere un viatico, una preparazione molto importante, che fa sentire tutti quanti protagonisti di una nuova stagione, nella quale il perdono e la rinascita si ottiene tramite la Mamma Celeste”.

Secondo il cappellano, don Roberto Guernieri, è stato un evento, quello del pellegrinaggio della Vergine, in continuità con la visita di Papa Francesco a Rebibbia:

“Sembra proprio che Papa Francesco abbia preparato questa visita, quando è venuto qui. Questi nostri fratelli, che sono qui in carcere, hanno aspettato questi tre giorni in un modo veramente particolare. Tutti abbiamo bisogno della intercessione, della protezione della Vergine Maria, ma certamente nei momenti più difficili, più disperati, più tristi della giornata, della sera, quando c’è la malinconia del fatto di non avere nessuno vicino e quando tutte le luci si spengono e, soprattutto, quando non sanno e sappiamo dove sbattere la testa, ci sono certamente dei punti di riferimento spirituali che rimangono e che accendono ancora la voglia di andare avanti, come questa presenza particolare, che durerà per parecchio tempo sicuramente”.  

L’emozione della tre giorni nella testimonianza di Antonella Viali, responsabile dell’Apostolato Mondiale di Fatima per l’Italia Centrale:

“Le emozioni provate sono state tantissime. Per esempio, ho trovato le mamme con i bambini piccoli. Mi sembrava, non so, di fare quasi una passeggiata a Piazza Navona, perché è un carcere meraviglioso. E’ tenuto benissimo, custodito bene. C’erano giardini, aiuole, bambini che correvano e che facevano il picnic. Una cosa bellissima. Poi, ho visto che questa Madonna è stata seguita con tanta gioia, con tanta devozione. C’era gente che piangeva, che sorrideva. A me piace portare questa Madonnina proprio in questi luoghi, per dare appunto questa gioia, questa speranza”.

Il messaggio della Madonna di Fatima, il suo invito a pregare e a chiedere perdono è risuonato oggi nel carcere di Rebibbia. Ed eventi come questi aiutano a ritrovare la giusta strada. Ne è convinto Fabio, uno degli ospiti:

“E’ stata una esperienza bellissima. E’ un’emozione bellissima partecipare a questa celebrazione ed anche prepararla. Per me, infatti, e per i nostri compagni, la fede è molto importante: ci aiuta ad andare avanti nei momenti difficili. In questo luogo, molti di noi si sono avvicinati di più alla fede. E preparare questo evento, insieme agli altri volontari, è stata un’emozione veramente grande, soprattutto vedere i compagni, che vengono qui a Messa, per vedere la Madonna di Fatima. Abbiamo avuto tanti eventi qui ed è venuto anche il Santo Padre, il Giovedì Santo, ed io sono stato uno dei fortunati a cui ha lavato i piedi. E’ una chiusura, quindi, molto bella questa della Madonna”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Papa Francesco in Bosnia: in 70 mila allo stadio per la Messa

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Saranno circa 70 mila i fedeli che parteciperanno alla Messa celebrata da Papa Francesco allo stadio Kosevo di Sarajevo, uno dei momenti forti della visita pastorale del Papa alla capitale bosniaca il prossimo 6 giugno. “Oggi scade il termine ultimo per inoltrare la richiesta di ingresso allo stadio” e, dice all'agenzia Sir mons. Ivo Tomasevic, portavoce e segretario generale della Conferenza episcopale di Bosnia e Erzegovina, “le richieste sono tante e riempiremo lo stadio. Il 25 maggio comincerà la distribuzione dei biglietti. 

Presenti 30 vescovi e 1.000 sacerdoti
A concelebrare la Messa saranno circa trenta vescovi, non solo bosniaci ma anche dalla Croazia, guidati dal cardinale arcivescovo di Zagabria, Josip Bozanić, dalla Macedonia e dalla Serbia. Oltre mille i sacerdoti finora registrati. Durante la Messa canterà un coro composto da circa 1.700 cantori. A fare la parte del leone nelle iscrizioni i pellegrini croati, circa 22mila, molti dei quali sono quelli fuggiti dalla Bosnia durante il conflitto”. 

C'è attesa per l'incontro con i giovani
Altro evento della visita pastorale che sta registrando un altro numero di adesioni è quello con i giovani che avrà luogo nel centro diocesano giovanile “Giovanni Paolo II”: “4mila i giovani iscritti, solo mille dei quali potranno vedere il Papa da vicino, nel grande salone interno. Tutti gli altri - spiega il portavoce - seguiranno l’incontro attraverso dei megaschermi posti all’esterno. Tra loro anche giovani di altre fedi. 

L'incontro in cattedrale con il clero, religiosi, religiose e seminaristi
Saranno almeno 600 i sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi che incontreranno il Papa in cattedrale che per l’occasione sarà svuotata dai banchi per fare più spazio. Molti di più quelli che resteranno all’esterno e che vivranno il momento attraverso megaschermi”. I preparativi non riguardano solo la Chiesa locale ma anche le istituzioni. Presso l’aeroporto internazionale della città, dove Papa Francesco sarà accolto al suo arrivo, sono in corso, secondo quanto riferito dal direttore dell’aeroporto, Ivan Velican, lavori di risistemazione degli ambienti e di implementazione delle misure di sicurezza.

Si cerca di aumentare i posti letto. Misure per la gestione del traffico
​E si fanno già sentire gli effetti positivi della visita del Papa sul piano turistico: “Sono in arrivo - dichiara Asja Hadžiefendić-Mešic dell’ufficio turistico di Sarajevo - turisti e fedeli non solo dalla Croazia ma anche dall’Italia, dalla Germania, dalla Slovenia e dall’Austria. Particolare attenzione sarà dedicata alla gestione del traffico. Sulle strade della capitale, diretti verso la stadio, sono previsti circa 1.000 bus. Il consiglio dell’organizzazione è quello di “muoversi in tempo per non rimanere imbottigliati nel traffico. Lo stadio aprirà i cancelli almeno due ore prima l’inizio della Messa prevista alle ore 11”. A 500 volontari il compito dell’accoglienza dei fedeli in arrivo. (R.P.)

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Nepal: prosegue opera della Chiesa per le vittime del sisma

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“L’opera di solidarietà della Chiesa cattolica prosegue, specie nei distretti più remoti. Nei giorni scorsi abbiamo avuto una riunione di coordinamento con tutti i sacerdoti, suore, religiosi impegnati nel soccorso delle vittime, con i rappresentanti della Caritas e con il vescovo. Abbiamo messo a punto un piano d’azione comune per aiutare le persone colpite dal sisma con misure a breve termine e a lungo termine. Si inizia a pensare alla ricostruzione. Il vicariato ha pianificato gli interventi per aiutare il maggior numero di famiglie possibile e il nostro obiettivo è di venire incontro alle esigenze di circa 2.000 famiglie”. E’ quanto racconta all’agenzia Fides padre Silas Bogati, pro-vicario apostolico del Nepal.

La testimonianza cristiana in Nepal, oggi, passa attraverso le opere di misericordia
“Sono appena tornato dal distretto di Gorkha per monitorare la situazione” riferisce a Fides padre Bogati. “Lì ci sono i padri Salesiani che si sono dati molto da fare per l’assistenza ai senza tetto. Abbiamo fornito materiali di soccorso a 2.235 famiglie nei villaggi di Mucchok e Sourpani. Il personale cattolico, preti, religiosi e laici, si sta adoperando alacremente: molti stanno giungendo anche dall’India per aiutarci in questo slancio di carità e solidarietà”. Il sacerdote conclude: “la Caritas, grazie agli aiuti internazionali, sta fornendo aiuti di vario genere in molti villaggi. La gente ci ringrazia ed esprime profonda gratitudine. La testimonianza cristiana in Nepal, oggi, passa attraverso le opere di misericordia e compassione verso persone che hanno perso i propri cari, che hanno perso la casa e tutte le loro proprietà. Devono ricominciare da zero. Il nostro sostegno non mancherà”.

Bilancio dei morti salito a oltre 8.600
​Il bilancio delle vittime del terremoto del 25 aprile scorso ha raggiunto in Nepal quota 8.631 vittime, con 21.838 feriti. Lo ha reso noto oggi il Ministero dell’Interno a Kathmandu. La polizia nepalese ha reso noto che continuano le ricerche di 346 dispersi, di cui 106 stranieri. Per quanto riguarda i danni alle strutture abitative, il sisma principale e le centinaia di repliche hanno danneggiato 462.646 case, la metà nella regione centrale del Paese. (P.A.)

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Burundi: i vescovi chiedono il rinvio del voto

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Rimane alta la tensione a Bujumbura, capitale del Burundi, dove non si fermano le proteste contro la decisione del Presidente Pierre Nkurunziza di presentarsi alle elezioni per un terzo mandato. Il Presidente ha annunciato che le elezioni legislative e locali del 26 maggio sono state posticipate al 5 giugno, mentre è stata confermata la data del 26 giugno per quelle presidenziali, nonostante gli appelli lanciati da più parti per il loro posticipo.

Per i vescovi non è garantita la sicurezza
Anche i vescovi locali hanno chiesto di rinviare il voto attraverso un messaggio che porta la data del 12 maggio e solo ora è pervenuto all’agenzia Fides. “Allo stato attuale delle cose, se questa situazione perdura, le elezioni che ci attendiamo, tranquille per tutti, fatte nella trasparenza, senza intimidazioni e inclusive, non sono possibili” affermano i vescovi. “La sicurezza non è garantita e non ci sono radio che possono rilanciare le idee e i programmi di tutti. Alcuni membri della comunità internazionale hanno congelato gli aiuti destinati alle elezioni. Pensate che queste elezioni siano giuste e valide per tutti e che i risultati siano credibili e accettabili per tutti?”.

Chiesa libertà di stampa e riapertura delle radio non governative
I Pastori della Chiesa cattolica chiedono alle autorità di restaurare la sicurezza e la libertà di stampa per tutti, in particolare permettendo la riapertura delle radio non allineate con il governo; chiedono infine ai dimostranti di evitare violenze. Se queste condizioni non saranno rispettate i vescovi “dichiarano apertamente che la nostra Chiesa non sarà in grado di accompagnare il processo elettorale attraverso l’invio di osservatori elettorali o con l’invio di sacerdoti nei diversi organi locali della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (Ceni)”. “La Chiesa non può sostenere o accompagnare un processo elettorale che, visibilmente, non è consensuale e i cui risultati rischiano di dividere i cittadini invece di riconciliarli” concludono i vescovi. (L.M.)

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Egitto: la polizia libera i quattro copti rapiti

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Un'operazione delle forze di polizia ha portato alla liberazione dei quattro giovani copti che erano stati rapiti la notte tra domenica 17 e lunedì 18 maggio mentre tornavano, a bordo di un'auto, da una visita al santuario della Vergine Maria di Jabal al-Tair, presso la città di Salamut, nella provincia egiziana di Minya. Fonti copte riprese dall'agenzia Fides confermano l'arresto di almeno due membri della banda di rapitori. I sequestrati erano tenuti in un casale isolato, in una zona montagnosa non lontana dal luogo del rapimento, che è stata raggiunta dalle ricerche a tappeto compiute dalla polizia.

I rapiti hanno subito maltrattamenti e minacce di morte
Al momento dell'irruzione dei poliziotti, avvenuta all'alba di ieri, alcuni sequestratori sono riusciti a fuggire. I quattro rapiti, una volta liberati dalla catene di ferro che li tenevano legati, hanno dichiarato di aver subito maltrattamenti fisici e di essere stati continuamente minacciati di morte, se i loro parenti non avessero pagato il riscatto richiesto di 600mila lire egiziane. Tre dei quattro rapiti sono sposati con figli. Le famiglie hanno ringraziato le forze di polizia che hanno permesso ai loro cari di tornare vivi a casa. (G.V.)

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Vescovi Colombia: no alla disumanizzazione della società

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Promuovere e difendere la dignità ed i diritti di ogni persona, contrastando così la progressiva disumanizzazione della società: è l’esortazione della Conferenza episcopale colombiana (Cec), contenuta in una nota diffusa ieri. Nel documento, in particolare, si fa riferimento a recenti decisioni della Corte costituzionale del Paese, in favore dell’aborto e dell’eutanasia. Ribadendo che ogni persona umana è creata ad immagine e somiglianza di Dio, i presuli sottolineano la necessità di “perseguire il bene integrale dell’essere umano”, un compito che società e Stato devono portare avanti insieme.

Solidità del Paese si basa sulla difesa della vita, diritto fondamentale
La Cec denuncia, poi, “con profondo dolore” i quotidiani “attentati contro la dignità e contro i diritti di milioni di colombiani, specialmente i più svantaggiati”, perché “all’ingiustizia, alle disuguaglianze ed alla violenza si aggiunge una crescente erosione dei valori etici e morali in diversi ambiti sociali”. Di qui, la critica dei presuli alle decisioni della Corte costituzionale su aborto ed eutanasia che non hanno contribuito alla “solidità etica” del Paese, la quale “deve basarsi indubbiamente sulla difesa della vita come diritto fondamentale di ogni essere umano”.

Garantire a medici cattolici possibilità di seguire principi etici
“La Chiesa cattolica – prosegue la nota – vuole ancora una volta ribadire la sua ferma disapprovazione a questo grave smarrimento etico e morale. È gravissimo che diritti fondamentali come quello alla vita, alla libertà di coscienza o di religione, sanciti dalla Costituzione, siano ingiustamente limitati da organismi che dovrebbero essere garanti della Carta costituente stessa”. I vescovi ricordano, inoltre, il rispetto che la Chiesa cattolica ha sempre avuto nei confronti dell’ordinamento giuridico, “base fondamentale della società” e per questo chiedono al governo di garantire agli organismi cattolici, soprattutto a quelli medico-sanitari, “la possibilità di poter svolgere il proprio lavoro nella piena osservanza dei propri valori ed ideali”.

La vita è dono di Dio
“Incoraggiamo tutti gli operatori sanitari – scrive la Cec - a portare avanti, senza sosta, l’impegno per la tutela della vita di tutti i malati, soprattutto di coloro che si trovano in condizioni critiche ed apparentemente senza speranza”. Infine, i presuli di Bogotà esortano “tutti i cittadini di buona volontà” a “difendere la vita ed a proclamarla come dono di Dio e diritto fondamentale di ogni essere umano”.

23 maggio, Marcia per la vita contro eutanasia
A tal proposito, la Cec sostiene la nona edizione della Marcia per la vita, in programma il 23 maggio in 26 città della Colombia. Organizzata dalla piattaforma sociale “Uniti per la vita”, l’iniziativa ha per tema “Lasciamoli vivere!” e si schiera nettamente contro la pratica dell’eutanasia. “Nessuna persona può essere considerata un errore ed è inaccettabile pensare di poter uccidere qualcuno”, ha detto il nunzio apostolico in Colombia, mons. Ettore Balestrero, sottolineando che “nel volto di ogni uomo si vede il volto di Gesù”. (I.P.)

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Nigeria. Mons. Kaigama: appello a contrastare egoismo sociale

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I nigeriani devono cambiare mentalità, passando dall’egoismo alla promozione del bene comune: questo, in sintesi, l’appello lanciato nei giorni scorsi dal mons. Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale cattolica della Nigeria (Cbcn). “Mentre chiediamo una buona governance a coloro che abbiamo votato, nell’esercizio delle loro funzioni – ha detto il presule – dobbiamo anche chiedere un cambio di mentalità in tutti i cittadini”, a qualunque categoria sociale o professionale appartengano, affinché si passi dalla difesa “dell’egoismo personale o degli interessi strettamente regionali alla promozione del bene comune di tutti”.

Corruzione e fondamentalismo religioso, malattie del Paese
Mons. Kaigama ha poi puntato il dito contro “le malattie che affliggono lo sviluppo della Nigeria, tra cui il fallimento della leadership, la corruzione, il tribalismo ed il fondamentalismo religioso” e per questo ha esortato i fedeli ad essere “voce profetica” contro “la distorsione dell’opera di Dio”. “I veri profeti – ha spiegato il presule – devono pregare per il progresso del Paese, piuttosto che impegnarsi in diatribe politiche, e devono preoccuparsi di aiutare i cristiani ad essere veramente sale e luce della Nigeria, a gloria del nome di Dio”.

No a pregiudizi ed antagonismi, pregare per la riconciliazione nazionale
​Per ricostruire il Paese, ha concluso il presule, occorre “diminuire l’odio ed i sospetti tra i gruppi etnici e politici, così come anche tra i cristiani, a volte divisi da un preoccupante antagonismo, e pregare per il perdono e la riconciliazione nazionale, affinché cadano le barriere del pregiudizio”. Mons. Kaigama ha lanciato il suo appello ad Onitsha, nell’omelia per la consacrazione episcopale di mons. Denis Chidi Isizoh, vescovo ausiliare della città. La Messa è stata presieduta nella Basilica della Trinità dal card. Francis Arinze, nigeriano e prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Alla celebrazione hanno preso parte 56 vescovi locali, il nunzio apostolico nel Paese, l’arcivescovo Augustine Kasujja, e numerosi rappresentanti governativi. (I.P.)

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Israele sospende i bus separati per i palestinesi

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Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha ordinato la sospensione degli autobus separati per manovali palestinesi, tra Tel Aviv e la Cisgiordania. La proposta – che avrebbe dovuto diventare operativa a partire da ieri – era stata ideata dal ministro della Difesa Moshe Yaalon per proteggere i coloni e aveva scatenato - riporta l'agenzia Misna - innumerevoli critiche da parte delle associazioni per i diritti dei palestinesi.

La direttiva definita "apartheid" e "umiliazione superflua"
L’ong Peace Now aveva chiaramente parlato di ‘apartheid’ mentre il leader dell’opposizione laburista Isaac Herzog aveva affermato che la separazione tra israeliani e palestinesi sui mezzi pubblici “è una umiliazione superflua ed una macchia sull’immagine del nostro Stato e dei nostri cittadini”. Parole di condanna sono giunte anche da Gideon Saar, ex ministro degli interni del Likud.

I gravi disagi per i lavoratori palestinesi in Israele
​Secondo la direttiva, i palestinesi non avrebbero potuto più viaggiare sugli stessi autobus usati dagli israeliani. Non solo. I lavoratori palestinesi che si recano in Israele sarebbero dovuti tornare in Cisgiordania attraversando gli stessi posti di blocco da cui erano passati all’andata. In seguito alle nuove misure, aveva scritto il quotidiano israeliano Haaretz, i tempi di spostamenti per i lavoratori palestinesi avrebbero potuto allungarsi anche di due ore. La misura avrebbe dovuto essere attuata a livello sperimentale per tre mesi. (A.d.L.)

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Ue: sì a tracciabilità minerali prezioni per non alimentare guerre

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Si calcola che siano 800mila le medie, piccole e micro imprese Ue interessate alla “tracciabilità” dei minerali preziosi provenienti dalle regioni di guerra, che il Parlamento europeo intende concretizzare con una legge comunitaria. Dopo il voto di ieri in prima lettura (procedura di codecisione) a Strasburgo - riferisce l'agenzia Sir - il provvedimento passa ora per competenza al Consiglio Ue. 

Misure per evitare guerre, violazioni diritti umani, sfruttamento dei lavoratori
I metalli in questione (provenienti in particolare da Repubblica Democratica del Congo e regione dei Grandi laghi) sono soprattutto stagno, tungsteno, coltan, tantalio e oro, impiegati per realizzare beni di consumo o prodotti semilavorati in vari settori: elettronica, industria automobilistica, industria aerospaziale, illuminazione, macchinari industriali, gioielleria. “Gli importatori Ue dovrebbero essere obbligati - spiega una nota dell’Europarlamento - a ricevere la certificazione comunitaria per garantire che non alimentino conflitti, violazioni dei diritti umani”, sfruttamento dei lavoratori e delle risorse soprattutto nelle zone di guerra. 

La legge chiesta da oltre 100 vescovi e Ong cattoliche
Per l’occasione, oltre cento vescovi avevano lanciato un appello agli europarlamentari perché varino una legge in grado “di porre fine alle guerre legate alle risorse, che hanno rappresentato il 40% di tutti i conflitti globali degli ultimi 60 anni”. I presuli definiscono “intollerabile” il fatto che “alcune Compagnie europee sono complici di abusi”. Da parte loro, alcune Ong, laiche e cattoliche, hanno chiesto con una petizione al Parlamento Europeo misure ben più rigorose rispetto alla legge in esame.

L'approvazione del testo
​Il testo è stato approvato durante la plenaria con 402 voti favorevoli, 118, contrari, 171 astensioni. I deputati “chiedono anche alla Commissione di concedere un supporto finanziario, attraverso Cosme”, programma Ue per la competitività delle Pmi, “alle micro e piccole-medie imprese che desiderano ottenere la certificazione”. (R.P.)

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Rovigo: al via il Festival Biblico

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“Ricordare, abitare e nutrire” sono le parole-chiave su cui si svilupperà il Festival Biblico a Rovigo che, nella sua seconda edizione, da oggi a domenica 24 maggio offrirà occasioni di confronto, riflessione, festa e preghiera a persone di tutte le fasce di età e dalle diverse sensibilità. Ad aprire l‘evento, oggi, sarà il teologo Ermes Ronchi, nella sede del Tempio della Rotonda. L‘Accademia dei Concordi ospiterà la conversazione con Umberto Curi, filosofo e docente emerito dell‘Università di Padova. 

Tre Lectio magistralis
Il Salone del Grano della Camera di Commercio ospiterà invece le tre Lectio magistralis: quella di domani con Daniele Biacchessi (caporedattore di Radio 24) e don Antonio Sciortino (direttore di “Famiglia Cristiana”), quella di sabato con Laura Boella (professore di filosofia morale), Alberto Oliverio (neuroscienziato) e Andrea Lavazza (studioso di scienze cognitive) e quella della domenica, il dialogo con Vittorio Robiati Bendaud (direttore tribunale rabbinico del Nord Italia), Kamel Layachi (imam) e Lidia Maggi (pastora evangelica e biblista). 

Per i giovani il tema dell'ecologia
Il Teatro don Bosco aprirà le porte ai giovani per una conversazione col filosofo e formatore Michele Visentin sul tema dell‘ecologia interiore. Il duomo-chiesa concattedrale sarà la sede per la Veglia di Pentecoste, durante la quale porterà la sua testimonianza Ernesto Olivero, fondatore del Sermig all‘Arsenale della Pace di Torino. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 141

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.