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Sommario del 22/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: lasciamoci guardare da Gesù per cambiare il cuore

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Qual è oggi lo sguardo di Gesù su di me? Papa Francesco ha svolto la sua omelia mattutina a Casa Santa Marta, soffermandosi sul dialogo tra Gesù e Pietro narrato dal Vangelo odierno. Di qui, il Pontefice ha sviluppato una riflessione su tre sguardi del Signore sull’Apostolo: lo sguardo dell’elezione, quello del pentimento e infine quello della missione. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Gesù risorto prepara da mangiare per i suoi discepoli e, dopo aver mangiato, inizia un intenso dialogo tra Gesù e Pietro. Francesco ha svolto la sua omelia partendo da questa immagine proposta dal Vangelo odierno e subito ha confidato che, nella preghiera, gli è venuto nel cuore come fosse “lo sguardo di Gesù su Pietro”. Il Papa rileva così di aver “trovato” tre sguardi differenti nel Vangelo: di elezione, di pentimento, di missione.

Il primo sguardo, l’entusiasmo
All’inizio del Vangelo di Giovanni, ha rammentato, quando Andrea va da suo fratello Pietro e gli dice: “Abbiamo trovato il Messia!”, c’è uno sguardo di entusiasmo. Gesù fissa il suo sguardo su di lui e dice: “Tu sei Simone, figlio di Giona. Sarai chiamato Pietro”: “E’ il primo sguardo, lo sguardo della missione”. C’è, dunque, il “primo sguardo: la vocazione e un primo annuncio della missione”. “E com’è l’anima di Pietro in quel primo sguardo? – si chiede il Pontefice - Entusiasta. Il primo tempo di andare con il Signore”.

Il secondo sguardo, il pentimento
Poi, il Papa sposta lo sguardo in avanti alla notte drammatica del Giovedì Santo, quando Pietro rinnega Gesù per tre volte: “Ha perso tutto. Ha perso il suo amore” e quando il Signore incrocia il suo sguardo piange:

“Il Vangelo di Luca dice: ‘E Pietro pianse amaramente’. Quell’entusiasmo di seguire Gesù è diventato pianto, perché lui ha peccato: lui ha rinnegato Gesù. Quello sguardo cambia il cuore di Pietro, più di prima. Il primo cambiamento è il cambio di nome e anche di vocazione. Questo secondo sguardo è uno sguardo che cambia il cuore ed è un cambio di conversione all’amore”.

Poi, ha soggiunto, c’è lo sguardo dell’incontro dopo la Risurrezione. “Sappiamo che Gesù ha incontrato Pietro, dice il Vangelo, ma – ha osservato il Papa – non sappiamo cosa hanno detto”.

Il terzo sguardo, la missione
Quello del Vangelo di oggi, ha affermato, “è un terzo sguardo: lo sguardo è la conferma della missione, ma anche lo sguardo nel quale Gesù” chiede conferma sull’amore di Pietro. E per tre volte il Signore chiede a Pietro la “manifestazione del suo amore” e lo esorta a pascere le sue pecore. Alla terza domanda, Pietro “rimase addolorato, quasi piange”:

"Addolorato perché per la terza volta gli domandava ‘Mi vuoi bene?’. E gli dice: ‘Ma, Signore, Tu sai tutto. Tu sai che Ti voglio bene’. Rispose Gesù: ‘Pasci le mie pecore’. Questo è il terzo sguardo, lo sguardo della missione. Il primo, lo sguardo dell’elezione, con l’entusiasmo di seguire Gesù; il secondo, lo sguardo del pentimento nel momento di quel peccato tanto grave di avere rinnegato Gesù; il terzo sguardo è lo sguardo della missione: ‘Pasci i miei agnelli’; ‘Pascola le mie pecore’; ‘Pasci le mie pecore’”.

Lasciamoci guardare da Gesù
Ma, ha detto il Papa, “non finisce lì”. “Gesù va più avanti” e a Pietro dice: “Tu fai tutto questo per amore, e poi? Sarai incoronato re? No”. Gesù predice a Pietro che anche lui dovrà seguirlo sulla via della Croce:

“Anche noi possiamo pensare: qual è oggi lo sguardo di Gesù su me? Come mi guarda, Gesù? Con una chiamata? Con un perdono? Con una missione? Ma, sulla strada che Lui ha fatto tutti noi siamo sotto lo sguardo di Gesù. Lui ci guarda sempre con amore. Ci chiede qualcosa, ci perdona qualcosa e ci dà una missione. Adesso Gesù viene sull’altare. Ognuno di noi pensi: ‘Signore, Tu sei qui, tra noi. Fissa il Tuo sguardo su me e dimmi cosa debbo fare; come devo piangere i miei sbagli, i miei peccati; quale sia il coraggio con il quale devo andare avanti sulla strada che Tu hai fatto per primo”.

In questa giornata, ha concluso Papa Francesco, ci farà bene rileggere questo dialogo con il Signore e pensare “allo sguardo di Gesù su di me”.

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Francesco: lo Spirito Santo dia fortezza ai cristiani perseguitati

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Papa Francesco ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “Signore, manda lo Spirito Santo a dare consolazione e fortezza ai cristiani perseguitati”. Il servizio di Sergio Centofanti

Ancora una volta Papa Francesco rompe il silenzio sulle persecuzioni anticristiane che oggi avvengono nel mondo. Il tweet riporta l’hashtag #free2pray, cioè “liberi di pregare”, motto della campagna lanciata dalla Conferenza episcopale italiana per fare della Veglia di Pentecoste di questo sabato sera un «grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza” con i fratelli e le sorelle “perseguitati a causa della loro fede in Cristo”. Si calcola che siano almeno 150 milioni i cristiani che stanno subendo violenze o discriminazioni. L’iniziativa della Veglia coinvolge tutte le diocesi dell’Italia ma si sta diffondendo in tutto il mondo.

Papa Francesco ha rilanciato la proposta nell’udienza generale di mercoledì scorso, invitando a ricordare quanti sono “esiliati o uccisi per il solo fatto di essere cristiani. Sono martiri!” - ha detto - auspicando che questo momento di preghiera “accresca la consapevolezza che la libertà religiosa è un diritto umano inalienabile, aumenti la sensibilizzazione sul dramma dei cristiani perseguitati nel nostro tempo e che si ponga fine a questo inaccettabile crimine”.

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Papa Francesco in visita ad alcuni dicasteri della Curia

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Alle ore 9 di questa mattina, Papa Francesco si è recato in visita ai Dicasteri della Curia Romana ubicati in Piazza Pio XII, 3.

Nel pomeriggio di ieri, Francesco ha ricevuto in udienza il card. Dominique Mamberti, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; mons. Héctor Rubén Aguer, arcivescovo di La Plata (Argentina); mons. Juan Rubén Martínez, Vescovo di Posadas (Argentina).

In Francia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Viviers presentata da mons. François Blondel per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Viviers  il rev.do Sacerdote Jean-Louis Balsa, fino ad ora Vicario generale della diocesi di Nice.

Il Papa ha nominato nunzio apostolico a Malta mons. Mario Roberto Cassari, arcivescovo titolare di Tronto, finora nunzio apostolico in Sud Africa, Botswana, Lesotho, Namibia e Swaziland.

In Svizzera, il Papa ha nominato Abate Ordinario dell’Abbazia territoriale di Saint-Maurice il rev.do P. Jean César Scarcella, C.R.A., finora Priore e Vicario Generale della medesima Abbazia, nonché Maestro dei Novizi.

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Beatificazione Romero. Amato: opzione per i poveri evangelica non ideologica

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Domani a San Salvador, alle 18 ora italiana, nella Plaza del Divino Salvador del Mundo, sarà beatificato l’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero Galdámez, assassinato in odio alla fede il 24 marzo 1980 da un killer degli squadrone della morte mentre celebrava la Santa Messa. A rappresentare Papa Francesco, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Ascoltiamo il porporato al microfono di Roberto Piermarini

Il martirio di Romero ebbe una lunga preparazione
R. - Papa Francesco riassume bene l'identità sacerdotale e pastorale di Romero, quando lo chiama «vescovo e martire, pastore secondo il cuore di Cristo, evangelizzatore e padre dei poveri, testimone eroico del Regno di Dio, Regno di giustizia, di fraternità e di pace». Romero era, infatti, un sacerdote buono e un vescovo saggio. Ma soprattutto era un uomo virtuoso. Amava Gesù, lo adorava nell'Eucaristia, amava la Chiesa, venerava la Beata Vergine Maria, amava il suo popolo. Il suo martirio non fu una improvvisazione, ma ebbe una lunga preparazione. Giovane seminarista a Roma, poco prima dell'ordinazione sacerdotale, scriveva nei suoi appunti: «Quest'anno farò la mia grande consegna a Dio! Dio mio, aiutami, preparami. Tu sei tutto, io sono nulla e, tuttavia, il tuo amore vuole che io sia molto. Coraggio! Con il tuo tutto e con il mio nulla faremo questo molto».

La svolta dopo l'uccisione di padre Rutilio Grande
D. - Spesso si parla di una conversione di Romero più aperto all'aspetto sociale del suo ministero…

R. - In realtà, una svolta nella sua vita di pastore mite e quasi timido fu l'uccisione, il 12 marzo 1977, di padre Rutilio Grande, sacerdote gesuita salvadoregno, che aveva lasciato l'insegnamento universitario per farsi parroco dei campesinos, oppressi ed emarginati. Fu questo l'evento che toccò il cuore dell'arcivescovo Romero, che pianse il suo sacerdote come poteva fare una madre con il proprio figlio. Si recò subito ad Aguilares per la Messa di suffragio, passando la notte piangendo, vegliando e pregando per le tre vittime innocenti, per padre Rutilio e i due contadini che lo accompagnavano. I campesinos erano rimasti orfani del loro padre buono. Romero ne volle prendere il posto. Nella sua omelia l'arcivescovo disse: «La liberazione che il padre Rutilio Grande predicava è ispirata dalla fede, una fede che ci parla della vita eterna, una fede che ora egli col suo volto rivolto al cielo, accompagnato dai due campesinos, mostra nella sua totalità, nella sua perfezione: la liberazione che termina nella felicità in Dio, la liberazione che sorge dal pentimento del peccato, la liberazione che si fonda su Cristo, l'unica forza salvatrice».

A difesa della Chiesa, al fianco del popolo oppresso
D. - Sembra quindi che da quel giorno il suo linguaggio sia diventato più esplicito nel difendere il popolo oppresso e i sacerdoti perseguitati, incurante delle minacce che quotidianamente riceveva…

R. - Sì. «Ritenni un dovere — egli scrive — collocarmi decisamente alla difesa della mia Chiesa e al fianco del mio popolo tanto oppresso e vessato». Le sue parole, però, non erano un incitamento all'odio e alla vendetta, ma un'accorata esortazione di un padre ai suoi figli divisi, che venivano invitati all'amore, al perdono e alla concordia. Contemplando la bellezza della natura e lo splendore del paesaggio salvadoregno, l'arcivescovo soleva dire che il cielo deve iniziare qui sulla terra. Guardava alla sua cara patria così tormentata con la speranza nel cuore. Sognava che un giorno sulle rovine del male avrebbe brillato la gloria di Dio e il suo amore.

La sua opzione per i poveri non era ideologica ma evangelica
D. - Cosa dire della sua vicinanza ai contadini e ai poveri del suo paese?

R. - La sua opzione per i poveri non era ideologica ma evangelica. La sua carità si estendeva anche ai persecutori ai quali predicava la conversione al bene e ai quali assicurava il perdono, nonostante tutto. Era abituato a essere misericordioso. La generosità nel donare a chi chiedeva era - a detta dei testimoni - munifica, totale, sovrabbondante. A chi domandava, dava. Qualche volta diceva che se gli restituissero i soldi che aveva distribuito, si sarebbe ritrovato milionario.

Romero appartiene al vento di santità che soffia sul continente americano
D. – Un altro esempio di santità per l’America Latina!

R. – Sì, Romero è un'altra stella luminosissima che si accende nel firmamento spirituale americano. Egli appartiene alla santità della Chiesa americana. Grazie a Dio sono molti i santi di questo meraviglioso continente. Papa Francesco, recentemente, ne ricordava alcuni. Oltre a Fra Junipero Serra, che sarà canonizzato il 23 settembre prossimo a Washington D.C., il Santo Padre elencava tanti altri santi e sante che si sono distinti con diversi carismi: Rosa da Lima, Mariana di Quito, Teresita de los Andes; Toribio di Mogrovejo, Fran9ois de Laval, Rafael Guizar Valencia; Juan Diego e Kateri Tekakwhita; Pedro Claver, Martín de Porres, Alberto Hurtado; Francesca Cabrini, Elisabeth Ann Seaton e Catalina Drexel; Francisco Solano, José de Anchieta, Alonso de Barzana, María Antonia de Paz y Figueroa, José Gabriel del Rosario Brochero e martiri come Roque González, Miguel Pro e Oscar Arnulfo Romero. Ma sono tanti i santi e i martiri americani che pregano davanti al Signore per i loro fratelli e sorelle ancora pellegrini in quelle terre. Il Beato Oscar Romero appartiene a questo impetuoso vento di santità che soffia sul continente americano, terra di amore e di fedeltà alla buona notizia del Vangelo.

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Giustizia e Pace: a Roma, conferenza su donne e sviluppo sostenibile

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Sono oltre 100 i partecipanti provenienti da tutto il mondo alla seconda Conferenza internazionale sulle donne, che si è aperta questa mattina a Roma, promossa dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace insieme all’Unione mondiale delle organizzazione femminili cattoliche (Umofc) e all’Alleanza mondiale delle donne per la vita e la famiglia (Wwalf). L’incontro che si concluderà domenica ha come filo conduttore il tema “Donne verso l’agenda per lo sviluppo post-2015: quali sfide dagli obiettivi di sviluppo sostenibile?”. Il servizio di Marina Tomarro: 

Sono 17 i nuovi Obiettivi del Millennio che saranno rinnovati a settembre dall’Assemblea delle Nazioni Unite, obiettivi dove le donne hanno un ruolo importante, anche se nuove sfide come le moderne schiavitù non vengono considerate abbastanza. La riflessione di Olimpia Tarzia, presidente dell’Alleanza mondiale delle donne per la vita e la famiglia:

“La donna è teoricamente presente in questi obiettivi, ma è presente in maniera assolutamente deformata, perché si considera solo un aspetto, che non coinvolge la sua vita vera. Faccio degli esempi: il primo obiettivo è sconfiggere la povertà. Ovviamente è un obiettivo importante, però non possiamo non tenere conto della tremenda pratica dell’utero in affitto, che si basa sullo sfruttamento della povertà delle donne e che è una nuova schiavitù. Le pari opportunità: come si pensa di realizzarle se non mettendo in campo una reale tutela sociale della maternità, se non, cioè, consentendo alla donna di poter essere libera di scegliere di poter vivere il suo progetto di vita”.

Ma il ruolo della donna diventa sempre più importante per la pace nel mondo anche tra le differenti religioni. Ne è convinta Rita Moussalem del Centro per il dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari:

R. - La donna ha un grande ruolo all’interno del dialogo interreligioso, via per la pace. Prima di tutto, perché la donna educa generazioni e quindi può educare naturalmente all’apertura verso l’altro; poi, per la sua capacità profonda di ascolto è capace di contenere l’altro, quindi di aprire vie a volte chiuse nel rapporto con gli altri, che sono diversi da noi; e poi sottolineerei la sua capacità di amare e di soffrire, di generare e quindi di perdonare. Sono elementi importantissimi per qualsiasi dialogo e ancora di più per un dialogo interreligioso.

D. – In che modo aiutare le donne ad avere un ruolo più importante riguardo al dialogo interreligioso, secondo lei?

R. – Mi sembra che abbiamo fatto un bel percorso e la situazione della donna sia migliore rispetto al passato. In certi Paesi, per esempio, anche del Medio Oriente - come la Giordania, il Libano… - la donna ha un ruolo molto importante a questo livello; un po’ meno, dove adesso abbiamo queste ideologie purtroppo, che non hanno niente a che fare con la religione, perché lì non viene “schiacciata” solo la donna, ma viene “schiacciata” la persona. Dove, invece, l’ambiente è “normale” la donna sta facendo tanta strada e questa strada direi che sia da fare non solo al livello delle altre religioni, ma anche al livello dello stesso cristianesimo. E’ un cammino quindi che si sta facendo, perché la donna è autrice della vita, ed è un cammino che penso pian piano darà molti più frutti.

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Koch: ancora presto per un "trialogo" tra ebrei, cristiani e musulmani

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Si è concluso a Washington, presso la Catholic University of America, un simposio sulla “Nostra Aetate”, in occasione del 50.mo anniversario della Dichiarazione conciliare sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Analizzatto, in particolare, il dialogo con ebrei e musulmani. All’evento, sono intervenuti tra gli altri, il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e il card. arcivescovo di New York Timonthy Dolan. La nostra inviata Philippa Hitchen ha sentito il cardinale Kurt Koch:

R. – Das Thema des Symposiums  …
Il tema del simposio ci ha fatto meditare su quali effetti abbia avuto la “Nostra Aetate” negli ultimi 50 anni. Naturalmente, è stato importante ricordare quale fosse il contenuto di questa Dichiarazione, che ha riconosciuto nuovamente quali profondi legami esistano tra la religione ebraica e la Chiesa cattolica, che abbiamo un’eredità comune che dobbiamo approfondire. Ovviamente è stata ribadita la condanna di ogni forma di antisemitismo. Io poi avevo preso l’impegno personale di dimostrare come tutti i Papi che hanno regnato dopo il Concilio Vaticano – Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – sono assolutamente fondati sulla “Nostra Aetate” e come abbiano approfondito e sostenuto la profonda convinzione dello stretto legame tra ebraismo e cristianesimo. Giovanni Paolo II ha espresso questo concetto con parole molto belle: il rapporto tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo non è un rapporto esteriore, ma interiore e in realtà fa parte dell’identità della Chiesa cattolica. Ed è bello osservare come tutti i Papi hanno seguito e approfondito questa linea. La grande sfida sta nel fatto che la “Nostra Aetate” ormai influisce sempre più sulla vita quotidiana della Chiesa e quindi che questa nuova visione della prossimità tra ebrei e cattolici possa portare frutti nella vita quotidiana.

D. – Avete parlato del dialogo religioso tra cristiani ed ebrei; eppure, le questioni politiche sono sempre strettamente intrecciate. Recentemente, leader ebrei hanno espresso preoccupazione per il riconoscimento vaticano dello Stato di Palestina…

R. – Also zunächst einmal haben wir in der römischen Kurie die klare Unterscheidung, dass …
Intanto, nella Curia abbiamo una chiara differenziazione: la nostra Commissione è competente per i rapporti religiosi e teologici con l’ebraismo, mentre tutti i rapporti diplomatici e politici sono di competenza della Segreteria di Stato. Per questo, quindi, mi sono concentrato sugli aspetti teologici. Per quanto riguarda la sua domanda, sono un po’ sorpreso di questa reazione: Papa Francesco, infatti, aveva invitato i due presidenti di Israele e Palestina a venire a Roma, nelle Pentecoste dello scorso anno, per pregare per la pace, quindi in realtà un chiaro riconoscimento di quello che la Santa Sede persegue da sempre, e cioè che una soluzione dei problemi del Medio Oriente può fondarsi solamente sulla costituzione di due Stati.

D. – Quale sono i suoi auspici, quando guarda al futuro di questo dialogo? Pensa che sia prevedibile nel prossimo futuro un dialogo tra cristiani, musulmani ed ebrei, le tre religioni abramitiche?

R. – Bisher hatten wir bilaterale Dialoge gehabt, also zwischen der katholischen Kirche und den Juden …
Finora abbiamo avuto sempre colloqui bilaterali, cioè tra la Chiesa cattolica e gli ebrei, tra la Chiesa cattolica e i musulmani … Forse è ancora presto per un “trialogo” tra ebrei, musulmani e cristiani, perché proprio per noi cristiani le differenze sono molto evidenti. L’islam è una religione nata dopo il cristianesimo ma che al tempo stesso si intende come completamento del cristianesimo, mentre invece l’ebraismo è la “madre”, il fondamento sul quale poggia il cristianesimo, sul quale noi poggiamo. Per questo non si possono porre questi due dialoghi sullo stesso piano. E’ vero che oggi ci piace parlare di un “ecumenismo abramitico”, ed è anche giusto, perché tutte e tre le religioni fanno riferimento ad Abramo. Ma dall’altro lato, è vero anche che abbiamo una diversa interpretazione – cristiana, musulmana, ebraica – di Abramo, e questo deve rientrare nel dialogo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, "Palmira in ostaggio. L’Is impedisce ai civili di fuggire. Miliziani jihadisti all’offensiva anche in Iraq".

Di spalla, La denuncia della Croce rossa:  devastante in Nigeria la crisi umanitaria.

Nella pagine della cultura "Le discariche delle meraviglie: la vita quotidiana nell’Egitto greco-romano" un articolo di Marco Beck sul tesoro documentario dei papiri di Ossirinco.

"Le passioni degli altri. Una prospettiva fuori dalla religione" di Sergio Massironi.

"Economia francescana. Un convegno sulla dottrina sociale della Chiesa e il mondo degli affari", di Domingo Sugranyes Bickel.

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Oggi in Primo Piano



Siria nel caos: sconcerto per il rapimento di padre Mourad

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L’amministrazione Obama non  prevede un cambio di strategia in Siria e Iraq, nonostante l’avanzata del sedicente Stato Islamico nei due Paesi, con la conquista di Palmira e  Ramadi. Popolazione in fuga, decine i morti, alcuni decapitati, ma i caccia della Coalizione internazionale continuano a sganciare bombe sui covi dei jihadisti. Forte la preoccupazione nella comunità cristiana per il rapimento, nei pressi di Homs, di padre Jacques Mourad. Cecilia Seppia:

L’ultimo contatto di padre Jaques Mourad con la sua comunità di Mar Musa, la stessa fondata dal gesuita Paolo Dall’Oglio a sua volta sequestrato due anni fa, risale alle 12 di ieri 21 maggio. Il sacerdote è stato rapito a Qaryatayn - piccola città della Siria centrale ad un centinaio di chilometri da Palmira - dove da dodici anni guidava la parrocchia siro-cattolica locale ed era priore del monastero Mar Elias. Padre Mourad si trovava assieme ad un suo collaboratore quando due uomini armati col volto coperto a bordo di moto si sono accostati alla sua auto.  La Siria intanto continua a cadere pezzo dopo pezzo nelle mani dei jihadisti di Al Baghdadi: 9 province conquistate per 95 mila Km quadrati, comprese le zone petrolifere in cui si trovano almeno una sessantina di pozzi. Tra le ultime città sotto il controllo dell’Is c’è Palmira, la "perla del deserto", gioiello archeologico ma anche centro strategico le cui colonne antichissime sono state distrutte: decine di cadaveri per le strade, corpi decapitati e le truppe di Damasco in fuga, insieme alla popolazione. Violenza anche da parte dei ribelli del fronte al-Nusra, legato ad Al Qaeda, che hanno occupato un ospedale nella provincia di Idlib, costringendo le truppe di Assad alla ritirata. La Coalizione a guida Usa continua però a fare la sua parte anche in Iraq, dove l’Is ha preso Ramadi e demolito un’antica Chiesa di Mosul, 18 i raid aerei eseguiti nelle ultime 24 ore sui due Paesi mentre Washington rimarca con forza: nessun cambio di strategia, no ad un dispiegamento su larga scala di militari americani.

Sul rapimento di padre Jaques Maourad, Cecilia Seppia ha sentito mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco: 

R. – Padre Jacques Mourad è un sacerdote siro-cattolico dell’arcieparchia di Homs ed è anche monaco della comunità di Mar Musa, la comunità di cui è fondatore padre Paolo Dall’Oglio. Quando è stato sequestrato era dal monastero di  Mar Elias a Qaryatay, una località a circa 140 km a nord-est di Damasco, e non si sa dove lo abbiano portato. So che quelli della sua comunità di Mar Musa si sono subito attivati per fare quello che è possibile fare in questi casi, ricorrendo ad influenti autorità religiose del luogo, come pure ad autorità militari che sono nei dintorni.

D. – Lei conosce personalmente padre Jacques Mourad, quindi immagino anche la preoccupazione forte, l’apprensione di queste ore?

R. – Lo conosco molto bene, personalmente. E’ un ottimo sacerdote, di profonda spiritualità e di grande carità: sostiene dei progetti di assistenza umanitaria a tutte le persone, sia cristiane che musulmane. Quella zona dove si trova, ormai da qualche anno, è una zona complessa: ci sono diversi gruppi armati. Da quello che so, però, padre Jacques Mourad era molto stimato da tutti - sia dai cristiani che dai musulmani – per la sua apertura, la sua carità, e aveva cercato anche di mettere pace in questa zona, la zona di Qaryatay, cercando di far dialogare le varie parti in contrasto le une con le altre. Voglio sperare che sia presto rilasciato. Non sappiamo - almeno finora non si sa niente – né da chi sia stato prelevato, da quale gruppo, né per quali scopi.

D. – Ricordiamo anche che padre Mourad al momento del rapimento stava lavorando per predisporre la sua parrocchia ad accogliere i profughi che arrivano da Palmira, caduta ormai nelle mani dello Stato Islamico. Ma questo triste evento ci porta anche a ricordare gli altri ecclesiastici rapiti in Siria…

R. – Sì, vorrei ricordare i due vescovi ortodossi, per i quali sono passati già due anni, un mese fa, e i tre sacerdoti, tra cui padre Paolo Dall’Oglio. Questo sarebbe il sesto ecclesiastico scomparso, sequestrato. Vorrei anche dire in questa occasione che questi sei ecclesiastici, ottimi ecclesiastici, rientrano nel numero di quelle circa 20 mila persone che, nel corso di questi quattro anni, sono scomparse e di cui non si sa nulla. In gran parte sono siriani, ma c’è anche qualche straniero. E’ una sofferenza enorme, quindi, per tantissime famiglie, e questi 20 mila vanno ad aggiungersi poi alle vittime, ai morti e a tutto quello che è successo in questi ultimi quattro anni di questo terribile conflitto.

D. – A tal proposito, il presidente Obama ieri ha detto che non ha intenzione di cambiare strategia: la comunità internazionale continua con l’opera diplomatica. Ma secondo lei, c’è bisogno di un cambio di passo per la Siria, per l’Iraq, per quello che sta succedendo in quell’area?

R. – Credo che tutti si trovino a corto di idee e di programmi. Questo conflitto, che è sorto come un conflitto siriano, è andato coinvolgendo sempre più tutti i Paesi dell’area. Lo paragonerei ad uno scacchiere, il cui gioco può avere degli effetti domino devastanti in tutta la regione. Pensiamo al tormento, al ciclone che ha colpito l’Iraq, che ha colpito lo Yemen ed altri Paesi nella zona. E’ quindi, una cosa molto complessa, complicata. Occorre che la Comunità internazionale raddoppi gli sforzi e le strategie.

D. – All’udienza generale il Papa ha ricordato nuovamente l’appello per i cristiani, i perseguitati, e ha ribadito la necessità in Siria, in particolare nel contesto del Medio Oriente, di non fomentare la violenza. Come sono accolti questi appelli?

R. – Siamo molto, molto riconoscenti per tutti questi appelli, direi anche molto concreti, del Santo Padre Francesco. E spero che abbiano un seguito, che possano produrre dei frutti. C’è bisogno di fermare il flusso di armi e cominciare un’opera di riconciliazione. E i cristiani qui credo abbiano una missione particolare: di aiutare e fare da ponte tra le varie contrapposte posizioni e fazioni.

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Colombia: esercito bombarda le Farc, almeno 18 morti

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È di almeno 18 morti tra i guerriglieri il bilancio di un’operazione militare dell’esercito colombiano contro un accampamento delle Forze armate rivoluzionarie (Farc) a Cauca, nel sud-ovest del Paese. Un mese fa, il presidente Santos aveva ordinato la ripresa dei bombardamenti sospesi come segnale di buona volontà nel processo di pace. Al microfono di Roberta Barbi, il giornalista esperto dell’area e autore del libro “L’impero della cocaina”, Andrea Amato, offre una chiave di lettura su quanto accaduto: 

R. - Quello che dice il governo è che è stata un’operazione per catturare il comandante Javier, e che si cercava di recuperare un minorenne rapito. In realtà, è palesemente un atto di rappresaglia, dopo l’imboscata che ha portato all’uccisione di undici militari dell’esercito colombiano, circa un mese fa, proprio nella regione di Cauca. Non a caso è stato fatto esattamente nella stessa regione, quindi anche per dare un segnale al territorio.

D. - I bombardamenti dell’esercito colombiano sui campi delle Farc erano appunto ripresi il 15 aprile. A febbraio, però, erano ripresi anche i colloqui a Cuba.  A che punto è, dunque, il processo di pace?

R. – Secondo me, in alto mare. Tre anni fa, quando erano iniziati i negoziati di pace a Cuba, avevo detto che non ci credevo molto, perché sia le Farc che il governo forse questa pace non la vogliono. Gli unici che la vogliono sono i cittadini colombiani, ma il governo, molto spesso in questi 50 anni, ha usato la guerra alle Farc come foglia di fico per nascondere corruzioni o scandali di ogni genere. Le Farc, a loro volta, avrebbero, subito dopo la pace, una serie di problemi: in primo luogo di legittimazione politica - perché dovrebbero a quel punto entrare in un processo democratico, e difficilmente riuscirebbero ad avere un grosso consenso elettorale - in secondo luogo, ci sarebbe poi anche un problema di gestione di decine di migliaia di guerriglieri, che sono per lo più nati e cresciuti nella foresta, e che dovrebbero essere inseriti nella società colombiana.

D. – Possiamo, dunque, dire che si entra nel vivo di una nuova fase di combattimenti?

R. – Sì, è probabile, perché a questo punto sia Santos che i vertici delle Farc hanno tutti i pretesti per far saltare i trattati e per continuare a fare ciò che fanno da 50 anni. Purtroppo, credo che si riapra un’altra stagione o che riprenda la stagione degli scontri tra il governo e le Farc.

D. – Pochi giorni fa il Consiglio di Stato colombiano ha stabilito che le Farc non sono un gruppo terroristico, ma parte di un conflitto che si combatte nel Paese da 50 anni: questa decisione apre un nuovo spiraglio per la soluzione del conflitto?

R. – Non credo, perché il governo colombiano si fa forte del maggiore alleato, ma soprattutto del maggiore "sponsor", finanziatore dello Stato - gli Stati Uniti - che credo non abbia nessuna intenzione di riconoscere una forza rivoluzionaria marxista come interlocutore.

D. – Finora nei negoziati sono stati raggiunti solo accordi parziali su temi quali terra e sviluppo rurale, partecipazione politica degli insorti, droga e narcotraffico. Quali nodi ci sono ancora da sciogliere?

R. – La legittimazione politica. Penso che i vertici delle Farc, se anche pensano veramente a un reinserimento nella vita civile, vorrebbero delle garanzie oltre il voto, e quindi la legittimazione democratica dell’elezione. Probabilmente, chiedono una presenza permanente nella vita politica colombiana, al di là delle elezioni per mantenersi comunque vivi sulla scena.

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Corruzione, rimane nodo prescrizione. Per Renzi Italia patria legalità

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Sono per lo più positivi i commenti alla legge sulla corruzione approvata ieri in modo definitivo alla Camera dei Deputati. Rimane però irrisolto il nodo della prescrizione. Per il premier Matteo Renzi comunque l’Italia torna ad essere la patria della legalità. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

Un passo in avanti, anche se si poteva fare di più. Ne sono convinti il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Anna Canepa, come la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. Un plauso anche dal fondatore di "Libera" don Luigi Ciotti che, però, auspicava maggiore chiarezza sul tema dei beni confiscati alle mafie. Aumentano le pene, fino a dieci anni, ma il vero nodo è la prevenzione, come afferma il prof. Alberto Vannucci, esperto di corruzione:

“Nella legge, a dire il vero, c’è quantomeno un tentativo di introdurre una sorta di conflitto virtuoso di interessi tra il corrotto e il corruttore, prevedendo uno sconto significativo di pena per il partecipante allo scambio corrotto, che decida di collaborare con la giustizia”.

E poi c’è la prescrizione, che in sostanza rimane immutata. La norma attuale ha ancora vari problemi, denuncia Vannucci:

“Pone un incentivo forte agli imputati a difendersi non all’interno del processo, quindi cercando di mostrare l’innocenza dei propri difesi, ma a difendersi dal processo, cioè cercando di allungare il più possibile i tempi, per arrivare appunto al nulla di fatto della prescrizione. Quello che veniva richiesto, infatti, quello che molti magistrati suggerivano, era quello di prevedere, ad esempio, che la prescrizione si interrompesse dopo la condanna di primo grado o dopo il rinvio a giudizio”.

Torna poi il falso in bilancio. Dubbi dai commercialisti. Il commento di Andrea Foschi, componente del Consiglio nazionale:

"Bisognava essere chiarissimi a intendere cosa vuol dire 'falso in bilancio'. Se noi scorriamo la norma, non c’è scritto cos’è un bilancio falso. Innanzitutto, bisogna definire quando è stato fatto, quali erano le norme in quel momento, quali erano le condizioni di mercato in quel momento. L’unico modo per poter chiarire cosa poteva essere definito come 'falso' era utilizzare i principi contabili, nel momento in cui la norma mi diceva che poteva essere considerato falso un bilancio perché non venivano utilizzati i principi contabili italiani emanati dall’Oic, che è l’organismo italiano di contabilità. Ma nel momento in cui uno adotta corretti principi contabili, i fondi neri o ci sono o non ci sono. Ora trovare fondi neri o meno esula da come è fatto un bilancio, perché il fondo nero in bilancio non c’è".

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Giornata Mondiale della Biodiversità per uno sviluppo sostenibile

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Con tavole rotonde e altre numerose iniziative si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata internazionale della diversità biologica, promossa dalle Nazioni Unite. L’evento ricorre nel giorno in cui, nel 1992, a Nairobi, è stata stilata la Convenzione sulla diversità biologica, poi sottoscritta da molti Paesi nella successiva Conferenza di Rio De Janeiro. Quest’anno le differenti manifestazioni declineranno il tema “Biodiversità per lo sviluppo sostenibile”. Il servizio di Eugenio Murrali

Facile dire “biodiversità”, una parola che, però, porta in sé tanti significati. Il termine si riferisce infatti alla ricchezza della natura, con il suo numero a tutt’oggi inafferrabile di specie animali e vegetali, ma biodiversità è anche cultura umana, varietà paesaggistica e alimentare. La perdita di questo tesoro, con i suoi ecosistemi, oltre a creare un enorme danno economico mette a serio rischio quelli che gli scienziati chiamano i “servizi della natura”: la purezza dell’aria e dell’acqua, la regolazione del clima e delle maree, l’equilibrio della flora e della fauna. Solo in Italia negli ultimi anni, sono state dichiarate estinte sei specie di vertebrati su 672, mentre 161 sarebbero in pericolo. Delle risorse della biodiversità e di quanto il mosaico della vita sia messo a repentaglio dalla loro diminuzione ci parla l’ecologo Carlo Blasi, professore dell’Università La Sapienza di Roma: 

R. - Ci sono 25 hotspot di biodiversità e sono le zone tropicali, nell’area mediterranea, tutte quelle zone dove fa caldo e piove molto. Quando dalla fascia tropicale si va verso il nord del pianeta, logicamente, c’è un trend di riduzione di biodiversità. Noi abbiamo un problema fortissimo in questo momento che è l’aumento delle aree urbane: questi agglomerati urbani, se non vengono governati, logicamente rappresentano un grosso problema per la biodiversità. Poi grossi problemi li abbiamo in tutte le zone ad altissima biodiversità, come sono le foreste tropicali e le foreste pluviali, dove l’uomo cerca di anteporre altro all’importanza della conservazione della biodiversità, che ci potrà dare dei servizi straordinari... Pensi solo in campo medico quante cose si stanno scoprendo e quanto ancora conosciamo poco la nostra biodiversità. Distruggere quegli ecosistemi a vantaggio di produzioni di legname o produzioni di coltivazioni semplici - come caffè, canna da zucchero, eccetera - è un pericolo terribile. L’inquinamento delle acque è un altro grandissimo problema nei confronti della perdita delle biodiversità.

D. - L’estinzione di specie animali e vegetali a cosa espone il pianeta e l’uomo?

R. - Gli ecologi sanno che nel mondo tutti sono molto utili. Tutti. Che sia un topolino, un orso… Nel nostro Pianeta e nel nostro ecosistema non c’è niente o nessuno che non serva a niente. Il messaggio che viene dalla natura è interessantissimo: grande solidarietà e grande competizione. In molti casi, oggi, noi perdiamo flora e fauna, perdiamo delle specie e non sappiamo neanche cosa abbiamo perso come possibilità applicativa. Faccio un esempio per capire meglio. In campo agricolo, in questo momento, siamo tutti molto preoccupati della riduzione del numero della api: le api sono fondamentali per l’impollinazione e quindi, se noi vogliamo le mele, ci deve essere qualcuno che porti ed eserciti questa attività di favorire l’impollinazione. Perdere specie significa ridurre la qualità dei servizi della natura, perché questi due elementi non vanno mai separati: biodiversità e servizi per la natura. Tutti mi chiedono cosa si possa fare per il cambiamento climatico, io rispondo sempre: “Teniamo alta la biodiversità”. Ogni volta che riduciamo la biodiversità, rendiamo il sistema più fragile, ogni volta che aumentiamo la biodiversità, lo rendiamo più forte.

D.- L’Expo di Milano ha posto molto l’accento sulla biodiversità; anche lei parteciperà alle manifestazioni. Su cosa volete insistere?

R. – Tutti punteranno l’attenzione sull’esigenza di conservare la biodiversità e di conservarne anche i servizi. In più, però, Expo dirà una cosa ulteriore: dobbiamo conservare la biodiversità, dobbiamo garantire un’alimentazione sana e non basta sana: un'alimentazione sana e coerente con le caratteristiche dei luoghi.

D. – Si stanno facendo passi avanti nella conservazione della diversità biologica?

R. – Mediamente nel mondo si registrano delle cose positive, però purtroppo non dappertutto, perché la conservazione della biodiversità è molto legata alla sviluppo della pace nel mondo. La Convenzione mondiale di Rio – la Cbd, sulla diversità biologia – del ’92 parlava di approccio ecosistemico, ma parlava anche di una distribuzione equa delle risorse. Non possiamo pensare di conservare la biodiversità, se i popoli sono in guerra, se ai popoli si portano via le loro risorse.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: 106 incriminati per l’omicidio dei due cristiani arsi vivi

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“E’ un passo avanti verso la giustizia. Speriamo e auspichiamo che sia fatta giustizia in un caso che ha sconvolto la comunità cristiana in Pakistan”: così padre Waseem Walter, direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, commenta all’agenzia Fides la notizia che un tribunale antiterrorismo ha incriminato ufficialmente 106 persone per l'omicidio di una coppia cristiana, Shahzad e Shama Masih, linciati e bruciati vivi dopo essere stati accusati di blasfemia a novembre del 2014 nella città di Kot Radha Kishan, in Punjab.

Tre capi religiosi delle moschee locali sono accusati di aver istigato la folla
I due avevano quattro figli e Shama era incinta. Sono stati segregati, percossi e bruciati in un forno di mattoni da un folla di musulmani che li accusavano di aver bruciato pagine del Corano. L'incidente suscitò l'indignazione internazionale. Secondo la ricostruzione basata su alcune testimonianze acquisite dal tribunale, tre capi religiosi delle moschee locali sono accusati di aver istigato una folla di circa 400 musulmani a linciare i due coniugi, dopo aver rinvenuto alcune pagine del Corano bruciate nei pressi della loro abitazione. La folla avrebbe chiesto a Masih e alla moglie di convertirsi all'islam o di affrontare le conseguenze di un’azione di blasfemia. I due si sono rifiutati. Sono stati rinchiusi e sequestrati per una notte, poi dati in pasto alla folla che li ha uccisi.

Un passo fondamentale per mostrare che la giustizia in Pakistan è uguale per tutti
Le 106 persone accusate ieri sono state condotte dinanzi al giudice di Lahore fra rigorose misure di sicurezza. Si ritiene che altri 32 sospetti siano ancora a piede libero. Il tribunale ha confermato l’incriminazione per l'omicidio. Non tutti si sono dichiarati colpevoli. Secondo la polizia, oltre ai tre imam Mohammad Hussain, Arshad Baloch e Noorul Hassan, anche Yousaf Gujjar, il padrone della fornace di mattoni, ha incitato la folla. Come appreso da Fides, gli avvocati cristiani ritengono questo processo un passo fondamentale per mostrare che la giustizia in Pakistan è uguale per tutti e non fa discriminazioni quando le vittime appartengono alle minoranze religiose. (P.A.)

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Vescovi filippini: accogliere i migranti è un obbligo morale

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Anche se le Filippine "non sono obbligate legalmente" ad accogliere i migranti che cercano asilo, “c’è un dovere morale a proteggerli dal male da cui stanno fuggendo, e a non rimpatriarli in modo forzato. Per tutti i precetti di moralità e di decoro, c’è l’obbligo di non lasciarli alla spietatezza delle intemperie in alto mare”. Lo ha scritto in una lettera circolare destinata alla Chiesa filippina mons. Socrates B. Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan e presidente della Conferenza episcopale. 

Storia delle Filippine ricca di episodi di ospitalità 
Nel messaggio - riferisce l'agenzia AsiaNews - il prelato ha ricordato come la storia delle Filippine sia ricca di episodi di accoglienza – soprattutto di profughi vietnamiti negli anni ’70 e ’80 – che hanno portato del bene: “Una volta, la nostra terra era splendente non solo per luoghi turistici ma perché abbiamo accolto i rifugiati con l’ospitalità che ci ha resi famosi in tutto il mondo”. "A quel tempo il nostro Paese ha agito come una specie di stazione secondaria – ricorda Villegas – perché i nostri ospiti del Vietnam hanno trovato presto la loro strada verso altre parti del globo. Uno di essi ha fatto carriera accademica ecclesiastica ed è diventato preside della facoltà di Teologia presso una Pontificia università di Roma. È stato un capitolo glorioso della nostra storia, e ringraziamo Dio del fatto che molti dei nostri sacerdoti e religiose abbiano avuto il privilegio di servirli”.

La Chiesa pronta ad abbracciare profughi che arrivano da terre travagliate
L’arcivescovo nota con dolore che una nuova generazione di boat-people (circa 3mila rohingya dal Myanmar e profughi bangladeshi) stanno cercando asilo sulle coste filippine: “Molti di loro hanno perso la vita per cercare un luogo sicuro. Hanno navigato per mare stanchi, affamati, disperati, molti portando in braccio i cadaveri dei figli”. “Dio ci dà la possibilità ancora una volta di fasciare le ferite del corpo e dello spirito – afferma Villegas – e abbracciare con solidarietà i nostri fratelli e sorelle che arrivano da terre travagliate”.

La Chiesa elogia il governo filippino
Secondo l’arcivescovo, l’atteggiamento dei Paesi del sud-est asiatico che hanno rifiutato di dare asilo ai rifugiati è deprecabile: “In molti casi le guardie costiere rimorchiano i barconi ricolmi di fratelli e sorelle malati e affamati, lasciandoli al largo ad affrontare le intemperie e spesso, purtroppo, a morire!”. Il presule elogia l’atteggiamento del governo filippino, che ha dato la disponibilità a dare ospitalità ai rifugiati. Anche se le risorse economiche non permettono di accogliere tutti come residenti permanenti, Villegas ha ricordato che c’è sempre posto per gli esausti e gli oppressi per riposare sulle coste filippine, prima di riprendere il loro viaggio. (R.P.)

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Conferenza sul clima di Parigi: incontro di leader religiosi

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Non è questo il tempo per cedere ad una “inquietudine impotente”. È piuttosto il tempo di agire con “speranza” per “invertire la rotta” perché la crisi è grave e l’impatto del cambiamento climatico sulla vita degli uomini sulla terra è violento. È questo il messaggio che i leader delle religioni in Francia hanno lanciato ieri a Parigi nel corso di una conferenza stampa organizzata a margine del colloquio promosso nella sede del Senato francese in vista della Conferenza internazionale Cop21 che si svolgerà a fine novembre a Parigi. 

Sul clima, momento favorevole per invertire la rotta
Schierati in prima linea in questo impegno per la salvaguardia del creato - riporta l'agenzia Sir - ci sono il vescovo cattolico mons. Lean-Luc Brunin (Conferenza episcopale francese), il metropolita ortodosso Emmanuel, il gran rabbino di Francia Haim Korsia, l’imam Anouar Kbibech del Consiglio francese del culto musulmano, Francois Clavairoy, presidente della Federazione protestante di Francia. “Siamo in un momento favorevole - ha detto il vescovo di Le Havre, mons. Brunin - per invertire la rotta. Per dire che un altro avvenire è possibile, per mobilitare tutte le forze positive della società per progredire insieme”. La Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico offre quindi un’occasione preziosa per “sensibilizzare su questi temi l’opinione pubblica”. 

Molte iniziative nel mondo per la salvaguardia del pianeta
​Si stanno mobilitando su questo fronte media e forze politiche. Molte iniziative in Francia e nel mondo si stanno promuovendo per il pianeta. Come il “digiuno” che viene osservato ogni primo del mese e che per iniziativa di un ragazzo filippino, sta coinvolgendo in tutto il mondo migliaia di persone. I leader delle religioni hanno scelto proprio il 1° di luglio (tempo in cui i musulmani stanno vivendo in pieno il digiuno del Ramadan) per consegnare al Presidente francese Hollande una dichiarazione solenne sul clima e sull’impegno degli uomini e delle donne di fede. 

Attesa per l'enciclica del Papa sull'ambiente
“Ma la gente - osserva il vescovo Brunin - guarda ai fenomeni in atto nel nostro pianeta con preoccupazione. Occorre allora passare dall’inquietudine impotente alla presa di consapevolezza che un cambiamento è possibile”. C’è molta attesa qui a Parigi per la pubblicazione in giugno dell’enciclica di Papa Francesco sull’ecologia. “L’insistenza del Papa - ha detto Brunin - è che la questione ecologica non può essere disgiunta dalla questione dello sviluppo e dalla attenzione ai poveri”. È la prima volta che le religioni si ritrovano attorno al tema dell’ambiente. Il gran Rabbino di Francia Korsia ha fatto notare ai giornalisti che quanto sta accadendo oggi è “il segno di una vera laicità”. (R.P.)

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Vescovi Croazia: verità nel 70.mo del massacro di Bleiburg

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Scoprire la verità per rilanciare la speranza e l’unità nazionale: questo il cuore dell’accorato appello lanciato dal card. Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria e presidente della Conferenza episcopale croata, intervenuto alle commemorazioni del massacro di Bleiburg. In questa cittadina, situata in Austria, infatti, settant’anni fa, nel 1945, le milizie di Tito uccisero numerosi croati. Una tragedia che ha segnato la storia della Croazia, ha detto l’arcivescovo di Zagabria, perché volutamente taciuta e dimenticata fino al 1990, anno della caduta del comunismo. Per questo, il porporato ha esortato le istituzioni ed i fedeli croati a cercare la verità che “come dice Gesù, la verità ci renderà liberi”.

Non restare bloccati nel passato, ma aprirsi alla verità ed alla speranza
“Nel nostro Paese, solcato dal sangue – ha detto il porporato – è importante non restare bloccati nel passato, costantemente esposti all’odio ed alle ideologie alimentate dal male, bensì cercare la verità per permettere alla speranza di parlare, perché senza di essa non c’è possibilità di futuro”. Il punto di partenza di tutto ciò, ha spiegato il presidente dei vescovi croati, devono essere “i valori della democrazia e dell’unità”, così che la società croata possa crescere “libera ed unita, desiderosa di progresso, giustizia e pace, lontana da ogni tipo di totalitarismo”. Di qui, il monito del porporato a non permettere che “nuove ideologie portino nuove divisioni”, perché “i credenti sono chiamati, in fedeltà al Vangelo, a testimoniare sempre nuove strade di unità”.

Purificare la memoria dall’odio e dalla vendetta
Poi, il card. Bozanić ha citato le parole di Giovanni Paolo II, pronunciate in Croazia il 3 ottobre 1998, in occasione della beatificazione del card. Aloizije Stepinac: “Perdonare e riconciliarsi vuol dire purificare la memoria dall’odio, dai rancori, dalla voglia di vendetta; vuol dire riconoscere come fratello anche colui che ci ha fatto del male; vuol dire non farsi vincere dal male, ma vincere col bene il male”. Di qui, l’appello conclusivo del card. Bozanić: “Non siamo venuti a Bleiburg per tornare al passato, ma per pregare per la nostra patria, le nostre famiglie, i nostri giovani. Solo così, infatti, diventeremo più attenti ed impegnati nella ricerca della verità che libera”. (I.P.)

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Mattarella in visita a Civiltà Cattolica richiama l’importanza del dialogo

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La Civiltà Cattolica ha ricevuto, ieri sera, la visita privata del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella. Il capo dello Stato è stato accolto dalla comunità della rivista dei gesuiti ed ha salutato personalmente tutti i padri. Dopo il saluto di benvenuto del direttore, padre Antonio Spadaro, Mattarella ha rivolto alla comunità un discorso molto personale, in cui ha fatto riferimento alla sua esperienza di lettore della rivista dalla metà degli anni Settanta ad oggi. Notando l’intreccio tra la storia del quindicinale e l’Italia sin da prima dell’Unità, il presidente ha sottolineato l’importanza di una frase presente nel primo editoriale della rivista: "Una Civiltà Cattolica non sarebbe cattolica, cioè universale, se non potesse comporsi con qualunque forma di cosa pubblica".

Mattarella sottolinea l'importanza di vivere il dialogo
In tempi molto diversi dai nostri con sensibilità diverse, si legge su “Gesuiti News”, questa frase appare di grande attualità e modernità. Mattarella, inoltre, ha richiamato il suo recente incontro con Papa Francesco e il suo appello, rivolto a “Civiltà Cattolica”, di vivere il dialogo, il discernimento e le frontiere. Il presidente ha inoltre risposto ad alcune domande che i padri gesuiti hanno posto su vari temi di attualità politica ed economica, in un clima di grande familiarità. Sergio Mattarella si è quindi fermato a cena con la comunità dei gesuiti prima di far ritorno al Quirinale. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Santa Rita: premiate donne protagoniste di storie di pace e perdono

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La Chiesa celebra oggi la memoria di Santa Rita da Cascia. Una folla di fedeli nella cittadina umbra ha preso parte questa mattina alla solenne celebrazione, nel sagrato della Basilica dedicata alla taumaturga agostiniana, presieduta dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve. Al termine del pontificale è stata recitata la supplica alla “santa dei casi impossibili” cui è seguita la benedizione delle rose, fiori per tradizione legati alla storia di Rita. Mercoledì notte è arrivata sul sagrato della Basilica di Santa Rita, la Fiaccola della pace, accesa il 13 marzo a Dbayeh, in Libano, gemellata con Cascia per promuovere la pace fra i popoli. Giovedì pomeriggio, invece, nell’ambito delle celebrazioni dedicate a Santa Rita, è stato consegnato il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2015, da 27 anni conferito a quattro donne contraddistintesi per i loro valori etici e morali o per aver ricalcato le virtù della religiosa agostiniana. Hanno ricevuto una pergamena da padre Alejandro Moral, priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino, Claudia Francardi, Lucia Fiorucci, madre Agnese Grasso (per conto delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto) e Franca Pergher.

Claudia Fracardi
Vedova di Antonio Santarelli, carabiniere morto dopo circa un anno di coma il 25 aprile del 2011, in seguito ad un’aggressione in un posto blocco, Claudia Francardi insieme alla madre dell’aggressore ha compiuto un percorso di perdono e riconciliazione ed ha fondato l’associazione «AmiCainoAbele», per aiutare quanti vivono situazioni simili.

Madre Agnese Grasso e le suore della Sacra Famiglia
Le suore della Sacra Famiglia di Spoleto vengono premiate per aver posto al centro del loro apostolato la famiglia e perché, come Santa Rita, si adoperano per essere portatrici di pace.

Lucia Fiorucci
Tenacia, accettazione della croce, carità e servizio al prossimo sono i valori ritiani incarnati da Lucia Fiorucci che ha trasformato la sofferenza per la morte della figlia, vittima di un incidente stradale, in speranza per altre vite, attraverso la donazione degli organi della giovane e opere solidali portate avanti con l’Associazione “EL.BA. onlus”, ma ha anche saputo abbandonarsi a Dio nel dolore causatole da un cancro al seno.

Franca Pergher
Franca Pergher è stata scelta come “donna di Rita” per aver perdonato l’autore dell’incidente che ha cambiato per sempre la vita del figlio, Alessandro, colpito alla testa all’età di 6 anni da una trave di cemento armato. È stata scelta perché si prende cura di lui da 42 anni e per aver affrontato con fiducia in Dio, la morte del marito e la propria malattia, la leucoencefalite. (T.C)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 142

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.