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Sommario del 02/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco a Chiese Nord Africa: "Grazie per il vostro coraggio"

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Grazie alla Chiesa in Libia e a tutte le comunità ecclesiali del Nord Africa per il coraggio e la presenza di pace in un’area dove le istanze di maggiore libertà e dignità si stanno affermando anche con “esplosioni di violenza”. È uno dei pensieri espressi da Papa Francesco nel ricevere per la loro visita “ad Limina” i vescovi della Cerna, l’organismo episcopale nordafricano che raggruppa i presuli di Marocco, Algeria, Tunisia e Libia. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Voi siete una periferia” del mondo e voi siete il volto e il cuore con cui Dio arriva alla gente di questa periferia. È paterno il Papa guardando attorno a sé gente che ha rischiato e rischia la vita per difendere il piccolo gregge della Chiesa in zone dove il suono delle campane si mischia alle detonazioni dell’artiglieria.

Il coraggio dei libici
Anche il Nord Africa da anni è diventato terra di conquista di “una maggiore libertà di coscienza”, di “dignità” e, insieme, campo di battaglia di chi i cambiamenti li impone brandendo le armi. Per questo, uno dei primi apprezzamenti ai vescovi nordafricani – tra i molti che ne riserverà – è indirizzato alla Chiesa libica per “il coraggio, la lealtà e la perseveranza”, dice, mostrata da clero, consacrati e laici rimasti al loro posto “malgrado i molti pericoli”. Loro, afferma Francesco, “sono testimoni autentici del Vangelo. Li ringrazio molto e incoraggio voi a proseguire i vostri sforzi per contribuire alla pace e alla riconciliazione per tutta la regione”.

Accettare per unire
Francesco insiste a lungo sulla necessità del dialogo interreligioso per costruire laddove in tanti distruggono. “La fantasia della carità – afferma – è in grado di aprire innumerevoli strade per portare il respiro del Vangelo nelle culture e nei più diversi contesti sociali”. “L'antidoto più efficace contro ogni forma di violenza – osserva – è l'educazione alla scoperta e all'accettazione delle differenze come ricchezza e fecondità”. Dunque, indica ai presuli, “essenziale” è che “nelle vostre diocesi, sacerdoti religiosi e laici siano formati al dialogo ecumenico e interreligioso. E qui, il Papa approfitta per congratularsi per i 50 anni del Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamici (Pisai), peraltro fondato a Tunisi, ricordando pure il lavoro svolto sul campo dall’Istituto Ecumenico “Al Mowafaqa”, con sede invece in Marocco.  

La carità mostra Dio
E l’altra arma infallibile della “Chiesa dell'incontro e del dialogo” è la carità concreta verso chiunque “senza distinzione”. Francesco ringrazia i vescovi nordafricani perché, osserva, “spesso con umili mezzi mostrate l'amore di Cristo e della Chiesa verso i poveri, i malati, gli anziani, le donne in stato di bisogno o i detenuti”, compresi “i molti immigrati africani che cercano nel vostro Paese un luogo di transito o di destinazione”. Anche nel “riconoscere la loro dignità umana – ribadisce – e nel lavorare al risveglio delle coscienze di fronte a un così grande dramma umano, si mostra l'amore che Dio ha per ciascuno di loro”. E un saluto, Francesco lo rivolge anche agli studenti dell'Africa sub-sahariana.

Guardate ai Santi
Non mancano indicazioni di tipo più prettamente pastorale, come l’immancabile richiesta di attenzione alla “formazione permanente” del clero e la gioia per il contributo offerto da religiose e religiosi, specie nell’Anno della Vita Consacrata: fate “risplendere”, chiede loro, “la bellezza e la santità” della vostra vocazione. Modelli cui ispirarsi non mancano certo, sottolinea il Papa, ricordando i grandi Cipriano e Agostino, passando per il Beato Charles de Foucauld, del quale nel 2016 ricorrerà il centenario della morte, e arrivando fino ai giorni nostri alla testimonianza di “quei religiosi che – sostiene – hanno dato tutto a Dio e ai fratelli con il sacrificio della vita”. Francesco conclude notando con piacere come negli ultimi anni molti santuari cristiani siano stati restaurati in Algeria. Accogliendo “tutti” con “benevolenza e senza proselitismo, le vostre comunità dimostrano di voler essere una Chiesa con le porte aperte, e sempre ‘in uscita’”.

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Arcivescovo Tunisi: può arrivare Is, ma restiamo con i cristiani

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Tra i partecipanti all’incontro dei vescovi del Nord Africa con Papa Francesco c'era anche mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi. Ascoltiamo il suo commento raccolto da Marina Tomarro

R. – Per noi è stato un momento molto importante e incoraggiante nello stesso tempo. E’ rimasto impressionato dalla testimonianza di mons. Martinelli, il quale ha detto che finché ci sarà un cristiano in Libia non lascerà la Libia. Ha insistito molto nella sua parola e nelle sue domande sugli immigrati, sulla situazione degli immigrati che partono dal Nord Africa, dalle nostre diocesi, per arrivare o in Spagna - quelli che partono dal Marocco - o in Italia o in altri Paesi. Si è informato su come arrivano, come partono, come vivono nelle prigioni quelli che vengono presi; cosa facciamo noi e cosa fa la Chiesa locale per loro. Ci ha detto chiaramente che siamo la Chiesa dell’accoglienza, parlando della Chiesa del Nord Africa. E questo è ancora il senso vivo del Vangelo: forse non possiamo parlare tanto, ma la nostra testimonianza e la nostra carità verso la gente è la più bella testimonianza e la più bella predica che potremmo fare. Il Papa ci ha incoraggiato moltissimo, dicendoci: “Rimanete. La vostra preghiera, la vostra sofferenza, che è la vostra testimonianza di vita, è molto più importante della parola che potete dire, perché Cristo agisce non tramite la vostra parola, ma tramite la vostra vita.

D. – La situazione dei cristiani in Nord Africa è particolarmente difficile. Cosa sta succedendo?

R. – Abbiamo la Libia, dove  la situazione è tragica e dove i cristiani che sono rimasti con i nostri vescovi vivono una vita di pericolo quotidiano. Il Nord Africa è anche il Marocco, l’Algeria e la Tunisia, dove la nostra testimonianza è basata sulla nostra vita, dove non possiamo fare alcun tipo di proselitismo e dove tutto il nostro apostolato è all’interno delle Chiese. Però abbiamo molti cristiani che sono – come li chiamiamo noi - di passaggio. Siamo una Chiesa dell’accoglienza: noi accogliamo i cristiani che vengono e che sono decine di migliaia; sono gli studenti che vengono a studiare nelle nostre università, sono gli operai che vengono per lavoro e che hanno un contratto di lavoro e che non sono persone fisse. Quello che però ci impressiona è che anche in questi cristiani, che vivono in un mondo musulmano, quando ritornano nel loro Paese dicono: “Abbiamo imparato molto e ritorniamo più ricchi cristianamente, perché abbiamo vissuto con un popolo anche musulmano, che pratica la sua fede, che è convinto nella sua fede nel Dio unico, come il nostro, e che ci ha insegnato molto a mettere Dio al centro della nostra vita”.

D. – C'è il pericolo che in Tunisia possa penetrare l’Is?

R. – Diciamo che finora la situazione è calma e non c’è alcun pericolo. Però sono alla frontiera con la Libia: hanno cercato anche di entrare e 10 giorni fa abbiamo avuto quattro militari uccisi… Però sono ancora lì. Più che dell’Is che vediamo in televisione, abbiamo paura di un Is che entra di nascosto - sia attraverso la frontiera, perché abbiamo una frontiera molto lunga con la Libia, sia via mare e che facciano il giro della Libia e che possono entrare da clandestini in Tunisia – e che stia organizzando delle cellule qua e là che possono provocare pericoli in futuro. Però fino adesso siamo tranquilli e viviamo una vita normale in Tunisia.

D. – Papa Francesco parla dell’importanza del dialogo interreligioso, soprattutto con l’islam…

R. – E’ di base! Perché noi come cristiani viviamo con una comunità musulmana che è tranquilla, che riconosce il lavoro che noi facciamo con loro, tramite la Caritas, tramite le nostre scuole e tramite le nostre opere. Molto spesso siamo invitati agli incontri islamo-cristiani e noi stessi promuoviamo questi incontri islamo-cristiani. E’ molto importante per conoscere e farsi conoscere. Dobbiamo conoscere l’islam, perché ci sono delle persone veramente squisite, che vogliono la pace, che collaborano con noi. E arrivare là con paura è la cosa peggiore che possiamo fare. 

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Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso

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E’ facile giudicare gli altri, ma si va avanti nel cammino cristiano solo se si ha la sapienza di accusare se stessi: è quanto ha detto il Papa riprendendo, dopo gli esercizi spirituali, a celebrare la Messa a Santa Marta con i gruppi. Ce ne parla Sergio Centofanti

Le letture del giorno sono incentrate sul tema della misericordia. Il Papa, ricordando che “siamo tutti peccatori” - non “in teoria” ma nella realtà - indica “una virtù cristiana, anzi più di una virtù”: “la capacità di accusare se stesso”. E’ il primo passo di chi vuole essere cristiano:

“Tutti noi siamo maestri, siamo dottori nel giustificare noi stessi: ‘Ma, io non sono stato, no, non è colpa mia, ma sì, ma non era tanto, eh… Le cose non sono così…’. Tutti abbiamo un alibi spiegativo delle nostre mancanze, dei nostri peccati, e tante volte siamo capaci di fare quella faccia da ‘Ma, io non so’, faccia da ‘Ma io non l’ho fatto, forse sarà un altro’: fare l’innocente. E così non si va avanti nella vita cristiana”.

“E’ più facile accusare gli altri” – osserva il Papa – eppure “accade una cosa un po’ strana” se proviamo a comportarci in modo diverso: “quando noi incominciamo a guardare di quali cose siamo capaci”, all’inizio “ci sentiamo male, sentiamo ribrezzo”, poi questo “ci dà pace e salute”. Per esempio – afferma Papa Francesco - “quando io trovo nel mio cuore un’invidia e so che questa invidia è capace di sparlare dell’altro e ucciderlo moralmente”, questa è la “saggezza di accusare se stesso”. “Se noi non impariamo questo primo passo della vita, mai, mai faremo passi sulla strada della vita cristiana, della vita spirituale”:

“E’ il primo passo, accusare se stesso. Senza dirlo, no? Io e la mia coscienza. Vado per la strada, passo davanti al carcere: ‘Eh, questi se lo meritano’, ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?’. Questo è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono”.

Il Papa sottolinea un’altra virtù: vergognarsi davanti a Dio, in una sorta di dialogo in cui noi riconosciamo la vergogna del nostro peccato e la grandezza della misericordia di Dio:

“’A te, Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono. La vergogna a me e a te la misericordia e il perdono’. Questo dialogo con il Signore ci farà bene di farlo in questa Quaresima: l’accusa di se stessi. Chiediamo misericordia. Nel Vangelo Gesù è chiaro: ‘Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso’. Quando uno impara ad accusare se stesso è misericordioso con gli altri: ‘Ma, chi sono io per giudicarlo, se io sono capace di fare cose peggiori?’”.

La frase: “Chi sono io per giudicare l’altro?” – afferma il Papa – obbedisce proprio all’esortazione di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”. Invece, rileva – “come ci piace giudicare gli altri, sparlare di loro!”. 

“Che il Signore, in questa Quaresima – conclude il Pontefice - ci dia la grazia di imparare ad accusarci”, nella consapevolezza che siamo  capaci “delle cose più malvagie”, e dire: “Abbi pietà di me, Signore, aiutami a vergognarmi e dammi misericordia, così io potrò essere misericordioso con gli altri”.

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Il Papa riceve Irina Bokova e Nechirvan Barzani

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, la direttrice generale dell'Unesco, Irina Bokova, l’osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali Governative a Vienna, mons. Janusz Urbańczyk, e il presidente del Consiglio dei ministri del Governo Regionale del Kurdistan Iracheno, Nechirvan Barzani.

In Messico, il Papa ha nominato vescovo di San Andrés Tuxtla il sacerdote Fidencio López Plaza, del clero della diocesi di Querétaro, finora parroco e vicario episcopale della pastorale. Mons. López Plaza è nato il 28 aprile 1950 a Capullín, diocesi di Querétaro. Ha studiato filosofia e teologia nel seminario della sua diocesi ed il 19 febbraio 1982 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Ha ottenuto la specializzazione in Pastorale e Catechesi nell’Istituto Teologico Pastorale del CELAM a Medellín. Ha fatto anche dei corsi di post-graduated in Sviluppo Comunitario nella Facoltà di Sociologia dell’Università Autonoma di Querétaro. Ha svolto i seguenti incarichi pastorali: Coordinatore della Segretaria Diocesana per l’Evangelizzazione e la Catechesi, professore nel Seminario Conciliare di Querétaro, Parroco di diverse Parrocchie, Responsabile del Decanato di Guanajuato e Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori. Nel triennio 2010-2012 è stato coordinatore dell’Équipe di Base per la Missione Continentale Permanente in Messico e membro del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Messicana. Attualmente è Vicario Episcopale della Pastorale della diocesi di Querétaro e Parroco della Parrocchia di ‘Pentecostés’.

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Presentata la Rete ecclesiale panamazzonica, ispirata dal Papa

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È la nuova iniziativa della Chiesa cattolica per l’Amazzonia: la Rete ecclesiale panamazzonica, Repam, è stata presentata nella Sala Stampa della Santa Sede. Il servizio di Giada Aquilino

E’ nata a settembre 2014, da un incontro a Brasilia tra vescovi della regione amazzonica, sacerdoti, missionari, laici, rappresentanti delle Caritas e delle organizzazioni cattoliche locali, nonché il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. La Rete ecclesiale panamazzonica (www.redamazonica.org), ispirata dalle parole di Papa Francesco alla GMG di Rio de Janeiro del 2013 e dagli insegnamenti di Aparecida, punta ad una custodia responsabile e sostenibile di uno degli ultimi polmoni della Terra, l’Amazzonia appunto, oggi minacciata dalla deforestazione e dallo sfruttamento disordinato delle risorse, con ripercussioni negative sulle popolazioni indigene e non solo. Mauricio López, segretario esecutivo della Repam, che a febbraio scorso ha salutato Papa Francesco a Santa Marta:

“La idea es promover un trajabo conjunto...
L’idea è quella di promuovere un lavoro congiunto. Non possiamo permetterci il lusso di lavorare frammentariamente. Se questa sfida riesce realmente a raggiungere il profondo del nostro cuore, la risposta deve essere congiunta nella Chiesa e anche con gli altri. Quindi è necessario anzitutto un consenso ecclesiale, che è ciò che la Repam vuole animare. Puntiamo alla promozione integrale della persona: i nostri progetti hanno affrontato tematiche primarie riguardanti l’ecologia, che a volte viene trattata come fosse una moda o qualcosa di passeggero. Dobbiamo pensare integralmente, perché la sfida è comune. Poi l’opzione preferenziale per i più poveri e gli esclusi, che Papa Francesco ha segnalato con forza; la difesa dei diritti umani, che ci coinvolge tutti, anche come società; e la riflessione profonda su una realtà che ha sì un’urgenza oggi per questo territorio, ma che ha anche un’urgenza futura, che riguarda tutte e tutti”.

Il Pontefice “ci ha fortemente incoraggiati in questa direzione”, ha sottolineato il cardinale Cláudio Hummes, presidente della Commissione per l’Amazzonia della Conferenza Episcopale del Brasile, che alla presentazione in Sala Stampa della Santa Sede ha inviato un audiomessaggio. La realtà dell’Amazzonia, ha aggiunto, è purtroppo quella di un territorio sempre più devastato e minacciato:

“La deforestazione crescente e in atto da tanto tempo, i grandi progetti dell’agroalimentare, delle centrali idroelettriche, dell’estrazione di petrolio e di altre ricchezze minerali, le monocolture e il cambio climatico pongono sotto grave rischio l’ambiente naturale, la dignità e l’autodeterminazione della popolazione, in modo speciale degli indigeni e degli abitanti poveri sulla riva dei fiumi, dei ‘campesini’, degli afrodiscendenti e perfino degli abitanti poveri delle città locali. Perciò la Chiesa in Amazzonia vuole unirsi in rete per sommare gli sforzi, per incoraggiarsi reciprocamente e avere una voce profetica più significativa a livello internazionale, quando l’Amazzonia e la sua gente sono in questione”.

Sulla stessa linea il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:

“È in gioco la difesa della vita di svariate comunità che, sommate, rappresentano oltre 30 milioni di persone. Esse sono minacciate dall’inquinamento, dal radicale e rapido cambiamento dell’ecosistema dal quale dipendono e dalla mancata tutela di fondamentali diritti umani. Si potrebbe anche aggiungere certi desideri di sperimentazione in questa zona, nella foresta, di nascosto agli occhi del mondo”.

La vastità della regione amazzonica – sei milioni di km quadrati, che abbracciano Guyana, Suriname e Guyana Francese, Venezuela, Ecuador, Colombia, Bolivia, Perù, Brasile – impone un impegno nuovo. Mons. Pedro Ricardo Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo in Perù e presidente del Dipartimento giustizia e solidarietà del Consiglio episcopale latinoamericano:

“La Repam es mas allà de una red semplemente digital...
La Repam è qualcosa che va al di là di una semplice rete digitale: è l’incontro fra persone diverse nell’ampio territorio amazzonico. La Repam è stata creata come risposta di Dio, organica e articolata, a questa necessità sentita e urgente di proteggere la vita delle persone, affinché vivano in armonia con la natura. C’è una vasta e variegata presenza di membri e gruppi della Chiesa, che sono stati e che sono presenti tuttora come agenti pastorali nella Panamazzonia. Riaffermiamo dalla Repam quello che dice Papa Francesco: la Chiesa non è presente in Amazzonia come coloro che hanno già pronte le valigie per andarsene, dopo averla sfruttata. Sin dal principio è presente con missionari, congregazioni religiose, vescovi, sacerdoti e laici e la sua presenza è fondamentale per il futuro della zona. Per questo la Rete Ecclesiale Panamazzonica è chiamata ad essere una vera esperienza di fraternità, una carovana solidale e un pellegrinaggio sacro per rispondere in modo efficace ed organico alle grida del popolo amazzonico presente e futuro”.

In prima linea nella difesa della realtà amazzonica la Caritas Internationalis, che col segretario generale Michel Roy invita a “spegnere i motori e fermarci”:

“Caritas Internationalis, su richiesta dei suoi membri nella regione, si è impegnata al loro fianco perché l’Amazzonia sia protetta in tutte le sue componenti e perché il suo sviluppo avvenga sulla base della ricchezza dei suoi abitanti. Caritas Internationalis è anche impegnata nella lotta al cambiamento climatico, nel suo ruolo di difensore sulla scena internazionale: promuove una visione antropologica nutrita dall’insegnamento sociale della Chiesa e incentrata sulla difesa della dignità umana. Nel portare il messaggio ecclesiale nella sfera politica, Caritas Internationalis promuove i valori 'non negoziabili' della dignità di ogni persona, della giustizia, della solidarietà, della cooperazione e della protezione della natura. A questo titolo Caritas Internationalis prepara il vertice di Parigi e seguirà gli impegni che gli Stati prenderanno per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, ricordando l’urgenza della tutela della Panamazzonia”.

Conversando con i giornalisti, mons. Fridolin Ambongo, presidente della Commissione giustizia e pace dei Grandi Laghi, ha infine raccontato che “nella foresta equatoriale, bande armate stazionano alle zone dove si estraggono i minerali”: le sfide - ha detto - sono le stesse dell’Amazzonia, “se hanno trovato petrolio, diamanti, sicuramente sappiamo che l'indomani ci sarà la guerra”.

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Toso: primato dell'ecologia umana nella prossima Enciclica di Francesco

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“L’umanità non vivrà in pace finché la fame non sarà sconfitta, finché coesisteranno coloro che banchettano quotidianamente e coloro che, alla loro porta o all’altro capo del pianeta, muoiono di fame”. È una delle tesi sostenute nel documento Terra e Cibo, a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, pubblicato in questi giorni dalla Libreria Editrice Vaticana. Sul volume e la prossima Enciclica del Papa incentrata sul tema dell’ecologia, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”: 

R. - Alla base della pubblicazione del volume «Terra e Cibo» stanno più ragioni. Innanzitutto, il fatto che la fame, nonostante si producano generi alimentari sufficienti per tutti, continui a sussistere: centinaia di milioni di persone soffrono la mancanza di cibo; oltre due miliardi hanno carenze nutrizionali. In secondo luogo, l’urgenza di  affrontare nell’immediato futuro la crescita della domanda di un cibo di qualità da una parte e dall’altra la sostenibilità della produzione nel rispetto dell’ambiente. In terzo luogo, vi è anche una ragione interna al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: esso ha già affrontato in passato il problema dello sviluppo equo con la sua riflessione per una migliore distribuzione della terra, la sfida della riforma agraria. A fronte della necessità di considerare le nuove questioni relative alle risorse naturali e al cibo e alla loro vocazione specifica al bene comune della famiglia umana è parso opportuno non ripubblicare le sopracitate riflessioni, ma avviare un nuovo studio delle problematiche sul tappeto nel contesto della globalizzazione e delle sfide che oggi la accompagnano. In quarto luogo, non si intendono trascurare le criticità relative agli investimenti nel controllo della terra al land grabbing.

D. - Sul binomio terra-cibo e dunque risorse-alimentazione, qual è il contributo che può dare la Dottrina sociale della Chiesa?

R.- La risposta alla sua domanda consente di esporre un’altra ragione che sta alla base della pubblicazione. E’ noto che l’Onu si è data alcuni obiettivi importanti per lo sviluppo dei popoli in questo Millennio. In vista anche dell’Expo di Milano 2015, a cui la Santa Sede parteciperà con varie iniziative, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, supportato dal lavoro di parecchi esperti, in questi ultimi anni, ha pensato di offrire il suo specifico contributo, a partire dalla prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa, che implica un discernimento di tipo teologico, antropologico ed etico, oltre che pastorale. E così, nell’arco di circa quattro anni sono stati pubblicati alcuni testi concernenti: la riforma del sistema finanziario e monetario internazionale (2011); l’acqua, quale elemento essenziale per la vita, non riducibile a mera merce (2012); la vocazione dei leaders d’impresa (2012); l’energia, dal punto di vista della giustizia e della pace (2013); la terra e il cibo (2015). I cinque testi si completano e si tengono insieme, formando un insieme di riflessioni fondamentali per l’aggiornamento della stessa Dottrina sociale, per l’impegno delle istituzioni universitarie, degli imprenditori, degli investitori e governanti.

D. - Papa Francesco interviene spesso sui temi dell’ambiente, sottolineando tuttavia che la salvaguardia del creato è un compito del cristiano, non è una battaglia «ideologica». Una sua riflessione?

R. - Per la Chiesa e i suoi pontefici, l’interesse per i temi sociali, compreso quello cruciale della salvaguardia dell’ambiente, non è comandato da ragioni di tipo estrinseco all’identità cristiana o da ragioni meramente strumentali, magari per esercitare semplicemente un peso politico maggiore. L’attenzione ai suddetti temi è espressione della dimensione sociale della fede. In forza del loro inserimento in Cristo, in particolare mediante il battesimo, i credenti sono chiamati a vivere le varie realtà assumendole e orientandole con lo stesso «Amore pieno di Verità» che sussiste nel Figlio di Dio. Nei confronti della questione ambientale le comunità ecclesiali e i credenti sono debitori di un’evangelizzazione che deve annunciare e far testimoniare un nuovo umanesimo, tale da consentire di superare derive ecocentriche, tecnocratiche, neomaltusiane, a scapito del rispetto della vita e dell’ecologia umane. Accanto ad un’ecologia ambientale serve un’ecologia umana, fatta del rispetto della persona. Il rafforzamento della produzione di cibo per garantirne l’accesso a tutti esige, poi, anche un grande impegno sul piano educativo. I cristiani hanno valorizzato e cercato di rispettare la natura ben prima della preoccupazione ambientale nata nel mondo associativo e politica nella seconda metà del ventesimo secolo. I padri della Chiesa, i francescani e i cistercensi non hanno aspettato il cambiamento climatico per occuparsi della natura. Questa è stata al centro della loro sollecitudine proprio perché Cristo ricapitola in sé tutte le cose.

D. - C’è una grande attesa per la prossima Enciclica del Papa proprio sul tema dello sviluppo sostenibile e dell’ecologia. Quali frutti può dare un documento di questo tipo?

R. - Senza dubbio, limitandoci a considerare il mondo ad extra, l’Enciclica di un Pontefice può aiutare a guardare ai temi ecologici e dello sviluppo sostenibile sulla base di un pensiero e di un umanesimo che illuminano sulla bellezza, sulla bontà, sulla verità del creato, inteso innanzitutto come opera di Dio, come «casa comune» per la famiglia dei popoli presenti e futuri. Detto altrimenti, un’Enciclica può offrire, nell’attuale contesto culturale incline a saperi disarticolati, ad ideologie neoindividualistiche, libertarie e neomaterialistiche, nonché mercantilistiche, un approccio sapienziale, unitario, aperto alla Trascendenza, alla fraternità e alla solidarietà e, quindi, alla giustizia sociale. E, inoltre, può offrire una progettualità guidata dal principio della destinazione universale dei beni, dal primato dell’ecologia umana su quella ambientale, da una spiritualità che punta sull’essere e sulla condivisione ma anche sull’affrontare i problemi con coraggio, capacità professionale, innovazione, creatività, partecipando alla stessa opera redentrice di Cristo. Alcuni frutti matureranno lentamente. Oggi vediamo numerosi frutti che germogliano nel mondo imprenditoriale sotto l’ispirazione della Caritas in veritate. Ci vorranno sicuramente alcuni anni per verificare i frutti che saranno prodotti dalla futura Enciclica.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina in apertura, "Antidoto alla violenza"; ai vescovi del Nord Africa in visita «ad limina» il Papa ricorda che la differenza va accettata come ricchezza. E all’Angelus invoca la pace in Siria e in Iraq e la fine delle tensioni sociali in Venezuela. Di spalla, sempre in prima pagina, Maduro attacca Washington, mentre proseguono le proteste a Caracas e in altre città. Sotto, Paesi musulmani contro l’Is; liberi decine di ostaggi cristiani sequestrati dai terroristi in Siria.

A pagina 4, Morte della logica, libertà e offese secondo Claudio Magris, La strada dell’ascolto, dialogo sulle sfide dell’evangelizzazione, di Richard Rouse e Come essere lievito. La teologia del servo sofferente, di George McLean. Sempre in cultura, a pagina 5, "Un antisemitismo metafisico. I Quaderni neri di Martin Heidegger" di Cristiana Dobner.

In ultima pagina, la traduzione in italiano del discorso consegnato dal Papa ai presuli della Conferenza episcopale regionale del nord Africa (Cerna), ricevuti in udienza lunedì mattina, 2 marzo, in occasione della visita «ad limina Apostolorum»; sotto, "Vergogna e misericordia"; la capacità di vergognarsi e accusare se stessi, senza scaricare la colpa sempre sugli altri per giudicarli e condannarli, è il primo passo sulla strada della vita cristiana che conduce a chiedere al Signore il dono della misericordia. È questo l’esame di coscienza suggerito dal Papa nella Messa celebrata lunedì 2 marzo, nella cappella della Casa Santa Marta.

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Oggi in Primo Piano



Iraq, offensiva dell’esercito iracheno per liberare Tikrit dall'Is

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In Iraq è scattata una vasta offensiva condotta dall’esercito, appoggiato da combattenti sciiti e sunniti, per riconquistare Tikrit, città natale dell’ex rais Saddam Hussein e da oltre 9 mesi una delle più importanti roccaforti del sedicente Stato Islamico. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’Iraq schiera oltre 30 mila soldati, artiglieria pesante e aerei per liberare Tikrit. All’operazione partecipano anche combattenti filogovernativi sciiti e sunniti. Per l’esito dell’operazione è cruciale il controllo della principale via di collegamento che conduce in città. L’esercito iracheno sta avanzando anche lungo vie laterali per impedire la fuga dei miliziani dello Stato islamico che da oltre 9 mesi controllano Tikrit. La campagna è stata ordinata, nella notte, dal premier iracheno Haider al-Abadi che ha esortato le forze armate e le milizie alleate a garantire la sicurezza della popolazione della regione di Tikrit, dove sono forti le simpatie da parte della popolazione sunnita per lo Stato islamico. Una circostanza, questa, che ha favorito lo scorso mese di giugno la fulminea offensiva con cui i jihadisti sunniti - arrivati dal nord Iraq, dove avevano conquistato Mosul - hanno preso il controllo della città natale di Saddam Hussein.  

Su questa operazione abbiamo intervistato il prof. Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all'Università di Trieste e direttore della scuola di competizione economica internazionale di Venezia: 

R. – Sicuramente è la prima volta che l’Iraq riprende l’iniziativa nelle proprie mani con una grande offensiva di primavera per riconquistare le città perse nel giugno dello scorso anno, in particolare Tikrit e, a quanto sembra dai piani, anche Mossul. I risultati dipenderanno molto dalle capacità che dispiegheranno sul terreno, le forze riaddestrate dell’esercito iracheno che si erano praticamente squagliate nel momento in cui c’era stato l’attacco dello Stato islamico.

D. - Come è stato possibile ricompattare l’esercito in così breve tempo?

R. - Io esaminerei prima di tutto le motivazioni dello sfaldamento: è un risultato di quasi di una decina di anni di pessima gestione dal premier Al Maliki e della messa ai margini e al bando di tutto quanto era sunnita; naturalmente questo giustificato dal terribile periodo attraversato dagli sciiti sotto Saddam, ma assolutamente poco strategico e poco utile per il Paese stesso. Le forze della coalizione e i consiglieri hanno sicuramente, in questi mesi, svolto un ottimo lavoro ma direi che il lavoro più grande per rianimare quelle che sono oggi le migliori truppe di élite dell’esercito iracheno che si stanno rischierando, è stato svolto dai terroristi stessi. La loro ferocia e la loro disumanità hanno portato molte tribù, non solo le tribù sciite, da sempre contro di loro, e i curdi, ma anche molte delle tribù sunnite - delle unità di volontari sunniti, come a suo tempo riuscì a ottenere il generale Petraeus - a fianco del rinnovato esercito iracheno e a fianco della coalizione. Forse questo è stato l’elemento più determinante: la ferocia, la disumanità e lo spavento che ha provocato lo Stato islamico nelle terre che ha occupato.

D. - Anche perché l’Is lo scorso mese di giugno ha conquistato Tikrit proprio perché aveva anche la simpatia di gran parte della popolazione sunnita. Adesso gli equilibri sembrano cambiati…

R.  – Gli equilibri sono sicuramente cambiati. Quello che non deve mai mancare, ed è fondamentale, è l’appoggio poi delle popolazioni. Si può fare anche un’offensiva da manuale ma se la popolazione resta legata allo Stato islamico e resta legata ai terroristi, alla fine si ottiene poco: non appena le forze militari si ritirano, immediatamente i risultati tendono a svanire. In questo caso, l’offensiva invece probabilmente avrà successo – ripeto - perché quello che in questi mesi è riuscito a fare lo Stato islamico è stato terribile e ha colpito anche i sunniti ex-appartenenti all’esercito di Saddam, le tribù sunnite che in questi anni hanno mal digerito l’incapacità del governo iracheno di andare verso un federalismo, di riportare benessere… Comunque, tutto questo è niente in confronto a quello che li aspetta quando cadono sotto il comando dello Stato islamico.

D. – Un altro elemento cruciale è anche quello del ruolo dei peshmerga curdi che hanno interrotto nei giorni scorsi la principale via di collegamento tra i territori siriani e iracheni dello Stato islamico…

R. – Il ruolo curdo, spesso sottovalutato, è stato invece un ruolo molto importante nel contenimento prima e ora nel sostegno al contrattacco nei confronti dell’Is. Di questo si dovrà tenere conto nei futuri assetti e nei futuri equilibri di quell’area. I curdi si sono conquistati sul campo il diritto se non all’indipendenza - perché questo dipenderà naturalmente dal tavolo negoziale, che probabilmente si presenterà non appena sarà completata questa grande controffensiva di primavera - il diritto a sedersi al tavolo e cominciare a decidere la loro sorte. E di questo la comunità internazionale non potrà non tenere conto.

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Mali, speranze di pace con i Tuareg: in gioco autonomia del Nord

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Un accordo di pace si profila per il Mali, tra il governo di Bamako e i ribelli Tuareg, che da tre anni ormai occupano militarmente le regioni del Nord. La bozza d’intesa è stata firmata ieri ad Algeri, mediata dall’Algeria insieme a delegati di Burkina Faso, Mauritania, Niger, Ciad, Unione Africana, Organizzazione per la cooperazione islamica, comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), Unione Europea e Nazioni Unite. Presenti alla cerimonia della firma anche diplomatici di Stati Uniti e Francia. Roberta Gisotti ha intervistato Enrico Casale, giornalista della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

Una pacificazione comunque lontana per il Mali, i tempi previsti ad Algeri per un accordo definitivo vanno dai 18 ai 24 mesi. L’intesa è stata inoltre rifiutata da diversi gruppi ribelli. Enrico Casale quali possibilità di successo di questa mediazione durata ben otto mesi?

R. – Credo che alla fine anche i gruppi ribelli ostili all’intesa rientreranno. Un accordo di pace può essere infatti proficuo per rilanciare l’area che è stata devastata dalla guerra civile. Il punto nodale sul quale si dovrà ancora trattare è quello dell’autonomia, Scartata l’ipotesi dell’indipendenza i Tuareg chiedano maggiore autonomia, che il governo di Bamako stenta a concedere: nell’accordo che è stato firmato si parla infatti di consulte regionali con poteri, ma non con una vera e reale autonomia.

D. – Nell’accordo si parla pure di trasferire nel 2018 agli enti locali il 30 per cento delle entrate dell’amministrazione di Bamako …

R. – Quella del 30 per cento è una prima idea di autonomia - se non altro finanziaria - che viene garantita. Teniamo presente che le regioni del Nord sono le più sottosviluppate, un po’ perché si tratta  di  un vastissimo  territorio desertico, un po’ perché c’è sempre stata tensione tra Bamako e le regioni del Sud, dove vivono le popolazioni nere africane e il Nord dove vivono in maggioranza le popolazioni tuareg.

D. – Il ruolo della Francia…

R. – Il ruolo della Francia è molto importante, primo perché è l’ex potenza coloniale. In secondo luogo perché ha sempre mantenuto una forte presa sulle sue ex colonie; in terzo luogo perché quell’area è particolarmente strategica – si trova ai confini tra Mali e Niger – perché lì si concentrano grandi risorse naturali; parlo soprattutto dell’uranio ma anche – si dice, anche se non è certo – che siano stati travati dei giacimenti petroliferi.

D. – Qual è la situazione del Mali oggi dal punto di vista umanitario?

R. – Ci sono ancora molti rifugiati all’estero, profughi all’interno del Paese e comunque le zone del Nord non sono ancora totalmente pacificate. I reparti francesi rimangono al Nord per combattere non tanto i Tuareg, quanto quelle cellule di fondamentalismo islamico che si sono inserite nella lotta tra il governo di Bamako e i Tuareg.

D. – Una pace a questo punto desiderata da ambo le parti?

R. – Sì, secondo me si arriverà alla pace, anche se non soddisferà completamente entrambe le parti, perché questa guerra ha veramente messo in ginocchio le regioni del Nord. Va tenuto presente che queste si basavano molto anche sul turismo; pensiamo soltanto alla città di Timbuctu o alle crociere sul fiume Niger … Risorse che sono andate perdute, perché l’instabilità allontana il turismo che è una fonte preziosa per quelle aree. Non solo, ma da parte dei Tuareg c’è anche la volontà di allontanare da sé l’idea che le rivendicazioni delle regioni del Nord appartengano a questi gruppi fondamentalisti islamici. La maggior parte dei Tuareg – penso al Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, uno dei principali movimenti Tuareg – non sono fondamentalisti: sono islamici ma non fondamentalisti, quindi non hanno un ottimo rapporto, anzi per niente buono, con queste frange estremiste che si sono insinuate in questa lotta.

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Ripartono a Ginevra i negoziati sul nucleare iraniano

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Sono ricominciati questa mattina Ginevra i negoziati sul nucleare tra Iran e il team dei cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. Teheran si dice disponibile alla firma, ma chiede lo stop delle sanzioni internazionali. Incontro lampo e senza dichiarazioni alla stampa tra il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, e il segretario di Stato statunitense, John Kerry. Ma quanto si è vicini a un accordo con l’Iran? Elvira Ragosta lo ha chiesto Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies: 

R. – Siamo vicinissimi e lontanissimi al tempo stesso, nel senso che sotto il profilo tecnico i team negoziali hanno di fatto definito i margini dell’accordo. Dove manca ancora invece un risultato concreto è il piano politico, e dove quindi il team del 5+1 e l’Iran non riescono a individuare un meccanismo per concretizzare – almeno fino ad oggi – la portata dell’accordo. Quello che in particolar modo credo sia utile segnalare è come da una parte e dall’altra sia l’Iran, sia gli Stati Uniti siano i veri artefici di questo negoziato. L’Europa è diventata più uno spettatore, anche per la sua incapacità di giocare un ruolo più incisivo. Quindi, è tra i due grandi attori del Golfo Persico e del Nord America che si gioca in questo momento la partita. C’è ovviamente tutta una serie di interessi contrari a che questo accordo veda luce, e questo sia negli Stati Uniti sia in Iran. C’è negli Stati Uniti indubbiamente una componente del Congresso ostile alla definizione dell’accordo e che quindi fa di tutto per rendere difficile il ruolo di Obama nel poter essere credibile di fronte agli iraniani. Ma anche dall’altra parte c’è un insieme di posizioni all’interno, soprattutto dell’industria militare dell’Iran, che non vede di buon occhio l’accordo e che quindi cerca di individuare un meccanismo per rallentarlo o comunque renderlo meno efficace rispetto alla portata che fino ad oggi ci siano aspettati.

D. – Quanto è funzionale l’Iran alla guerra all’autoproclamato Stato islamico, e quanto la comunità internazionale è disposta a cedere sul fronte del nucleare?

R. – L’Iran è in realtà uno dei pochissimi attori – come di dice in gergo – con i “boots on the ground”, ovvero sia che combatte sul terreno le forze dello Stato islamico. Se non fosse stato per l’Iran, probabilmente buona parte della stessa Baghdad sarebbe caduta nelle mani dello Stato islamico nel momento dell’insurrezione e poi della conquista dell’Al-Anbar e delle parti centrali del Paese. Quindi, la rilevanza dell’Iran è senz’altro significativa. Quanto questo possa essere utilizzato come moneta di scambio tra l’Iran e la comunità internazionale è altra faccenda, nel senso che dal punto di vista politico l’Iran non intende concedere spazio di manovra ai sostenitori di una politica cooperativa con l’Occidente nella lotta allo stato islamico, sino a quando non saranno stati compiuti passi concreti e soprattutto progressi sotto il profilo del negoziato. In buona sostanza, quello che la guida tende a limitare è la capacità dei Paesi occidentali di poter chiedere all’Iran un contributo sostanziale in termini operativi contro lo Stato islamico, senza però ricevere dall’altra parte una compensazione politica, economica e tecnologica sotto il profilo del negoziato.

D. – Lei parlava di “forze interne” sia all’Iran sia al Congresso statunitense, contrarie a questo accordo. Ma qual è il ruolo di Israele, in questi negoziati?

R. – Probabilmente, c’è da distinguere tra il ruolo di Israele e il ruolo di Netanyahu. C’è in questo momento, chiaramente, un’azione molto forte per quanto concerne soprattutto l’interesse elettorale che ha spinto anche Netanyahu a portarsi negli Stati Uniti per condurre un’azione mediatica e politica che rischia, però, di essere un boomerang stratosferico, soprattutto nei confronti dei suoi alleati locali, e dall’altra – invece – la posizione del Paese che sicuramente è molto più pragmatica, soprattutto in seno alle forze militari e dell’intelligence, che hanno più volte smentito le affermazioni di Netanyahu, che hanno più volte dimostrato una maggiore cautela nei confronti delle valutazioni sull’Iran e che sembrano, quindi, meno intenzionate a dar vita e a generare un’escalation politica che potrebbe, tuttavia, avere anche ripercussioni dal punto di vista operativo sul terreno.

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Cibo sprecato, la legge che lo trasforma in bene dei poveri

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In Italia, solo nel comparto della ristorazione, l’eccedenza alimentare è di 209 mila tonnellate l’anno. La Legge del Buon Samaritano permette di recuperare in tempi brevi quel cibo che andrebbe buttato da mense e ristoranti e di distribuirlo a chi ne ha bisogno. Al microfono di Elisa Sartarelli, il presidente della Fondazione Banco Alimentare Onlus, Andrea Giussani, che spiega i vantaggi di questa legge e le ulteriori necessità degli operatori: 

R. – La Legge del Buon Samaritano è la legge per la quale 11 anni fa sono state adottate nuove normative, uniche in Europa, allora, e per la prima volta in Italia, per il trattamento e il recupero di alimenti da mense, collettività, ospedali. Sostanzialmente, la novità è questa: fino ad allora, qualsiasi tipo di alimento non servito ai commensali doveva essere buttato, anche se era rimasto in cucina in ottime condizioni di conservazione. Oggi, invece, quindi da 11 anni, c’è la possibilità per le associazioni, per le onlus e per chi fa recupero di alimenti a scopo sociale di recuperare questi alimenti semplicemente con un trattamento igienico, come se fosse un consumatore. Per esempio, rispettando eventuali date di scadenza e attraverso il rispetto dell’igiene della consumazione ma senza nessun tipo di accorgimento particolarmente oneroso nel recupero.

D. – Nella pratica, cosa avviene?

R. – Nella pratica avviene che la onlus si presenta quotidianamente nelle cucine delle mense dove sono state prodotte eccedenze alimentari, quindi non servite, e le recupera trasportandole immediatamente verso strutture caritative – mense per indigenti – nelle quali vengono serviti immediatamente gli stessi alimenti, poche ore dopo.

D. – Se invece si dovesse seguire la vecchia burocrazia, che cosa succederebbe?

R. – In realtà, è una burocrazia che non c’è più. Se fossero applicate normative più stringenti, questo produrrebbe un’enorme caduta delle quantità disponibili e quindi aumenterebbero i rifiuti e la quantità di alimenti che si buttano e toglieremmo una risorsa preziosa di alimenti in perfetto stato di conservazione.

D. – La Legge del Buon Samaritano ha permesso la nascita del Progetto “Siticibo” della Fondazione “Banco Alimentare Onlus”: di cosa si tratta?

R. – E’ un progetto del Banco Alimentare che, sfruttando la possibilità della Legge del Buon Samaritano, raccoglie e recupera alimenti dagli ospedali, dalle scuole, dalle grandi mense delle aziende. Nel 2013, abbiamo recuperato quasi un milione di porzioni che sono state ridistribuite, nel giro di poche ore, a indigenti.

D. – Qualche ulteriore agevolazione farebbe comodo…

R. – Un grande campo di interesse, per noi, è quello di un’attenzione alle normative - come la Legge del Buon Samaritano - ma a quelle normative che a oggi non favoriscono il recupero di alimenti. Si pensi che oggi un’azienda che destina al recupero eccedenze che avrebbe buttato ha lo stesso recupero dell’Iva che se le buttasse: non vi sono vantaggi o sgravi, per esempio, sulle imposizioni per le tasse sui rifiuti. Ciò che noi indichiamo al mondo dei governanti e degli amministratori è che un’agevolazione fiscale ed economica a chi recupera alimenti e li destina socialmente, sarebbe di grandissimo aiuto per evitare lo spreco.

D. – Chi sono le persone che hanno bisogno?

R. – Oggi, in Italia, possiamo dire che non sono più una categoria ben precisa, considerando che le ultime statistiche dicono che i poveri assoluti in Italia sono sei milioni e oltre quattro milioni di loro non sanno come potranno avere un pasto domani. Possiamo dire che soprattutto nelle grandi città ci sono veramente varie tipologie di persone: persone che sono da tempo in condizioni economiche di grande indigenza o persone che hanno avuto traumi, nella loro vita – perdita di lavoro, separazione familiare, gravi problemi di salute e quindi di personale efficienza e produttività – che le hanno ridotte in povertà.

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A Roma Claudia Koll legge la vita di Santa Teresa d'Avila

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Tre letture per conoscere da vicino le storie di alcuni giganti della fede attraverso la voce di attori professionisti. Parte questa sera nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria la rassegna "Ritratti di Santi", organizzata come sempre in Quaresima dal Movimento Ecclesiale Carmelitano. Per tre settimane  consecutive Claudia Koll, Giulio Base e Vincenzo Bocciarelli si alterneranno nella lettura delle agiografie scritte da padre Antonio Maria Sicari. Il servizio di Paolo Ondarza

Festeggia 10 anni la rassegna Ritratti di Santi, appuntamento ormai tradizionale nella Quaresima romana. Questa sera Claudia Koll racconta la vita di Santa Teresa d’Avila, a 500 anni dalla nascita. Emozionante accostarsi alla mistica spagnola accanto alla scultura berniniana che la ritrae in estasi nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, confessa l’attrice:

R. - Per me è come fare un corso di esercizi spirituali perché leggendo e approfondendo il testo, anche direttamente durante la lettura al pubblico, percepisco qualcosa del santo. Ogni volta dico di sì a questa proposta che mi viene fatta proprio perché per me è motivo di crescita.

D. - C’è un aspetto che l’affascina particolarmente di Santa Teresa d’Avila?

R. - Sicuramente l’intelligenza spirituale, partendo anche dal desiderio che aveva fin da bambina di conoscere Dio.

D. - Ritratti di Santi, riproponendo le vite di questi giganti della fede, le attualizza, offrendole in particolare ai giovani, con i quali lei è in costante rapporto nell’accademia che dirige. Sono attratti dai santi?

R. – Sono dei modelli importanti anche per i giovani. Ho visto che quando si studia un personaggio in accademia, si riceve qualcosa da quel personaggio. Se la persona, il personaggio è positivo lascia nel cuore dell’attore dei segni positivi; se chiaramente è un personaggio negativo trasmette della negatività. Ho visto, ad esempio, un ragazzo che aveva problemi di relazioni affettive crescere attraverso il personaggio che interpretava, mentre ho visto il peso che si porta dento un attore quando interpreta un personaggio negativo. Allora, dagli americani abbiamo imparato questo metodo di mettere l’attore di fronte ad una sedia vuota, dialogare con il personaggio e prendere le distanze da questo personaggio negativo proprio per non assorbire i suoi comportamenti, i suoi pensieri negativi …

D. – La sua vicinanza ai giovani che sta raccontato, è bene ricordarlo, avviene in un contesto accademico molto particolare, molto diverso dalle tradizionali accademie …

R. – Sì, la Star Rose Academy è un’accademia fondata dalle Suore Orsoline della Sacra Famiglia che hanno creduto nel progetto di portare la fede nell’arte. L’accademia è ispirata alla Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II, dove c’è questa consapevolezza che l’artista ha una vocazione; è una chiamata anche da parte di Dio quella di essere un artista che porta la bellezza, la gioia, la speranza, la luce nel mondo. Quindi è un progetto ambizioso dove i ragazzi vengono formati in tutte le arti: a cantare, a danzare, a recitare e a impegnarsi ad entrare nel mondo dello spettacolo portando la luce e la bellezza della fede. E’ un impegno ambizioso perché non facile: bisogna avere un po’ della follia di chi è innamorato di Dio. Noi abbiamo delle esperienza belle, forti in accademia.

D. - Ci sono alcune letture che hanno cambiato la sua vita?

R. – Sicuramente il Diario di Santa Faustina. Bisogna dire innanzitutto che è il Signore che cambia il cuore delle persone. Però sicuramene leggendo “Storia di un’anima” di Santa Teresina, ho compreso che dovevo fare un cammino di spoliazione di tante maschere per diventare sempre più semplice davanti a Dio per lasciarmi plasmare da lui. E quindi “Storia di un’anima” è stata la prima lettura importante che ho fatto, chiaramente dopo il Vangelo, la Parola di Dio che è lampada ai nostri passi. Successivamente il Diario di Santa Faustina, che continua a stupirmi per la sua profondità di esperienza: una donna chiamata dal Signore a fare un percorso importante sulla misericordia che ci ha consegnato nel suo diario. Il terzo santo che io desidero conoscere ed approfondire è proprio Santa Teresa D’Avila, Teresa la grande.

D. - Sarà dunque una serata particolarmente significativa questa …

R. - Per me sì, e spero anche per gli altri.

Prossimi appuntamenti, mercoledì 9 marzo con San Giovanni Bosco letto da Giulio Base e lunedì 16 marzo con Enrichetta Alfieri, la suora angelo dei carcerati di San Vittore, letta da Vincenzo Bocciarelli. 

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Nuovo film su Pio XII. La regista: salvò 800 mila ebrei, lo dice la storia

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Nell’anniversario della nascita (2 marzo 1876) e dell’elezione al soglio pontificio (2 marzo 1939) di Eugenio Pacelli, è stato presentato a Roma in anteprima mondiale il film su Pio XII “Shades of Truth” (Sfumature di verità) diretto dalla regista Liana Marabini. La pellicola sarà proiettata a maggio al Festival di Cannes e a settembre a Filadelfia, in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie. Il film, realizzato attraverso testimonianze inedite di alcuni ebrei salvati da Pacelli - di cui è in corso il processo di Beatificazione - vuole mostrare l’inconsistenza della leggenda nera sui silenzi di Pio XII di fronte alla tragedia della Shoah. Protagonista della trama è David Milano, un giornalista italo-americano di origini ebraiche a cui viene affidata un'inchiesta su Papa Pacelli. “È stato lo Schindler del Vaticano” ha dichiarato la regista, ricordando che Pio XII salvò più di ottocentomila ebrei. Ma su quali fonti afferma questa tesi? Ascoltiamo Liana Marabini al microfono di Luca Pellegrini

R. – Tutte le fonti storiche esistenti che sono accessibili a tutti sia per verifica che per informazione. Temo che l’informazione sia bassa per molta gente. Tanto è vero, sappiamo, che da quando sono stati aperti al pubblico gli archivi segreti vaticani, pochissimi dei detrattori sono venuti ad analizzarli. Quindi l’invito anche attraverso il film di venire a farlo.

D. – Quale tipo di reazione si aspetta da parte della comunità ebraica?

R. – Siccome li considero fratelli, perché la nostra religione è ebraico-cristiana e i pilastri della nostra religione, Gesù, Maria, San Giuseppe, erano tutti ebrei, mi auguro che si comportino da fratelli perché i fratelli a volte possono litigare però nulla e niente può togliere il fatto che siano fratelli.

D. – Come nasce il personaggio di David Milano?

R. – Nasce da un personaggio reale, che esiste, che odiava Pio XII, che per puro caso si imbatte in una conversazione e quella conversazione gli apre una specie di finestra dell’anima, una voce interiore, che gli dice: “Stai sbagliando, perché se questa persona pensa diversamente da me hai almeno il dovere di vedere perché pensa diversamente da te”. E questo signore si è messo a studiare tutti i documenti su cui ha potuto mettere le mani, ha cambiato talmente tanto parere, lui, ebreo di New York, che addirittura ha creato una fondazione che in parte è dedicata alla ricerca su Pio XII. E devo dire che mi ha messo a disposizione con molta generosità anche tutti i documenti di cui loro dispongono che sono un’enormità.

D. – Al termine delle proiezione che cosa vorrebbe o auspicherebbe portasse con sé lo spettatore?

R.  – Vorrei portasse con sé il desiderio della gratitudine verso questo grande Papa e anche il desiderio di giustizia perché chi è vittima di ingiustizia soffre moltissimo, soffre di solitudine e di impotenza e ritengo che Pio XII sia vittima di un’enorme ingiustizia e vorrei che lo spettatore portasse via con sé questo: il desiderio di giustizia e di gratitudine.

D.  – Lei non teme le controversie …

R. – Siamo tutti nelle mani di Dio. Naturalmente siamo qua per rispondere a qualsiasi domanda, a qualsiasi dubbio. Penso che la conversazione e la discussione siano la cosa più bella fra esseri umani, quindi che ben venga!

D. – Qual è stato il momento più emozionante per lei nel corso della lavorazione del film?

R. – Sa qual è stata? Il giorno in cui abbiamo girato la scena del Papa con la stella di David cucita sulla veste, perché mai nella mia vita di cineasta ho assistito a tanto silenzio sul set. Per tutta la durata del tournage della scena c’è stato un silenzio, perfino le macchine non facevano i soliti rumori: c’è sempre qualche piccolo fruscio, non c’era nemmeno questo. Era un silenzio emozionante e due componenti della troupe avevano gli occhi umidi e questo per me è stato straordinario.

D. – Certo che è un’immagine molto forte questa…

R. – Sì, è molto forte, ma sentivo anche il bisogno di questo simbolo. Ecco quella veste ci riunisce, non ci divide, non dobbiamo essere divisi su questo. Perché un gentile amico ebreo ha detto, ha espresso proprio sulla stampa un suo parere dicendo: “Eh, sì, ha salvato indubbiamente qualche vita ebraica però avrei voluto che lui dicesse forte e chiara la sua disapprovazione, la sua condanna del nazismo”. Io rispondo a questo amico, dicendo che io preferisco i fatti alle parole e Pio XII ha fatto fatti e preferisco “qualche vita ebraica salvata”, come lui dice – e non era “qualche” ma tantissime –preferisco qualche vita salvata che qualche frase detta chiara e forte, che a volte può essere anche demagogica.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: liberati 19 dei 220 cristiani in mano ai jihadisti

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Nel pomeriggio di ieri, sono stati rilasciati e sono arrivati ad Hassakè 19 dei 220 cristiani assiri presi in ostaggio dai jihadisti del sedicente Stato Islamico che li avevano prelevati durante l'offensiva da loro compiuta il 23 febbraio nell'area dei villaggi cristiani disseminati lungo il fiume Khabur, nella provincia nordorientale siriana di Jazira. “Si tratta di un gruppo esiguo, se paragonato alle centinaia di cristiani ancora prigionieri del Daesh (acronimo arabo usato per indicare l'Is, ndr), ma le trattative continuano per liberare anche gli altri, e abbiamo la speranza che ciò sia possibile” riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi.

La liberazione grazie ai leader delle tribù musulmane locali
I capi delle Chiese e delle comunità locali cercano di tenere aperti i contatti e i negoziati con i miliziani dell'Is attraverso la mediazione di alcuni leader tribali musulmani locali. “Il momento è delicato - spiega l'arcivescovo siriano - e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti”.

No della Chiesa alle milizie cristiane di auto-difesa
A questo proposito, mons. Hindo commenta negativamente il comunicato pubblicato ieri in cui le milizie di auto-difesa presenti in Iraq e legate all'Assyrian Democratic Movement si sono dette pronte a intervenire in territorio siriano per difendere i cristiani di Jazira dagli attacchi jihadisti. “In questo frangente frantumato di guerra - spiega l'arcivescovo - tirar fuori le milizie cristiane può alimentare equivoci e strumentalizzazioni, aumentando i rischi per i rapiti. Se vogliono combattere contro il Califfato, si arruolino con le forze regolari o coi curdi, senza creare altre milizie confessionali”.

I villaggi assiri ancora nelle mani dei jihadisti
I 19 sequestrati rilasciati domenica appartengono al villaggio di Tel Goran. Tra di loro ci sono due donne, una delle quali è incinta e ha dovuto lasciare in mano ai jihadisti una figlia di 6 anni. Intanto le milizie curde e anche l'esercito siriano hanno ripreso il controllo di settori dell’area prossima a Quamishli, ma non hanno ancora provato a recuperare i villaggi assiri della valle dal Khabur. “Da quando è iniziata l'offensiva jihadista su quei villaggi - ripete l'arcivescovo Hindo - le incursioni aeree della coalizione internazionale contro le postazioni dello Stato islamico sono stranamente state sospese”. (G.V.)

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Belgio: vescovi contro estensione dell’eutanasia a casi di demenza

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Un’opposizione chiara e netta contro l’estensione dell’eutanasia alle persone affette da demenza: è quanto scrive la Conferenza episcopale belga (Ceb) in una dichiarazione pubblicata oggi sui due principali quotidiani del Paese, lo “Standaard”, in fiammingo, e “La libre belgique”, in francese. Nel documento, i presuli fanno riferimento alla proposta di legge di ampliamento dell’eutanasia per le persone in condizioni di demenza che abbiano precedentemente indicato le loro volontà in una dichiarazione anticipata.

Un essere umano è sempre una persona, anche in caso di demenza
Ma il contesto attuale è molto complesso, spiegano i presuli: l’invecchiamento della popolazione, infatti, porta ad un aumento dei casi di demenza, di handicap mentale profondo, così come di pazienti in coma o in fase terminale. Prendesi cura di tutti questi malati, sottolinea la Ceb, “risponde ad una scelta puramente etica”, non economica, perché “un essere umano, pur colpito da demenza, rimane una persona fino alla sua morte naturale”. Per questo, continua la dichiarazione, “la dignità umana non può dipendere dal possesso o meno di determinate capacità”, poiché “essa è legata, in modo inalienabile, al semplice fatto di appartenere alla specie umana” e quindi “ogni persona, anche in stato di demenza, merita rispetto e deve ricevere, di conseguenza, le cure appropriate”.

L’uomo non è un’isola, ma vive in relazione e comunione
Quindi, la Ceb si sofferma sul concetto di autonomia della persona, un principio importante – dice – purché non diventi “individualismo eccessivo” e purché ogni atto non sia considerato un bene “per il solo fatto che è il frutto di una scelta autonoma”. “Gli individui non sono isole – ribadiscono i presuli belgi – e ciascun essere umano vive in un ambiente sociale, culturale, storico e relazionale”. Un’autonomia “in relazione ed in comunione”, quindi, “rende molto meglio conto della vera identità e del funzionamento effettivo della libertà” dell’uomo. In un’ottica cristiana, inoltre, “gli esseri umani sono fratelli e sorelle, in quanto legati al medesimo Padre”.

Prendersi cura degli altri, una responsabilità etica
Un altro tema che mette in pericolo la vita umana, prosegue la dichiarazione episcopale, è quello riguardante la così detta “qualità della vita”, della quale “è difficile dare una definizione obiettiva”. Nei confronti delle persone affette da demenza, infatti, “il rischio è di proiettare sul paziente le preoccupazioni e le angosce” di chi gli sta accanto. Al contrario, il primo principio da considerare è quello de “la responsabilità etica di prendersi cura” di simili malati.

Dal 2002, in crescita un “clima eutanasico”
I vescovi belgi, poi, denunciano “il clima eutanasico” che è andato crescendo nel Paese a partire dal 2002, anno dell’entrata in vigore della legge sull’eutanasia per gli adulti. Da allora, sottolinea la Ceb, “i limiti normativi sono stati sistematicamente trasgrediti ed il ventaglio di pazienti che possono rientrare in questa legge non cessa di ampliarsi”, tanto che persino “la sofferenza esistenziale e la fatica di vivere” vi rientrano. Quanto alla “dichiarazione anticipata” richiesta ai pazienti che vogliono un aiuto a morire, i presuli del Belgio ne mettono in luce alcune criticità: un criterio discriminante riguarderebbe, ad esempio, l’impossibilità, da parte di un malato di demenza, a riconoscere i propri familiari, come se “la perdita della capacità cognitiva comportasse anche la perdita dell’identità individuale”. Ma i vescovi si oppongono “risolutamente” ad una simile considerazione, poiché “la perdita di autonomia non è affatto sinonimo della perdita di dignità” della persona umana.

Il livello morale della società si misura dalla cura dei più deboli
Di qui, l’appello affinché la società continui a prendersi cura dei più vulnerabili attraverso tecniche diagnostiche precise e cure palliative adeguate, anche in fase terminale, perché “il livello morale della società si misura in base al trattamento che riserva ai suoi membri più deboli”. E qui i presuli belgi pongono un interrogativo importante: le persone malate potrebbero interpretare l’estensione dell’eutanasia come “un invito a non dimostrarsi egoiste divenendo un peso per gli altri e quindi come un obbligo a morire?”. Ma “mai, in una società autenticamente umana, il nostro prossimo può diventare un peso inutile”, afferma la Ceb.

Aprire la porta della solidarietà, non dell’eutanasia
La risposta da dare, allora, sarà “quella dell’amore”, che “testimonia una solidarietà incondizionata”, perché “non è la porta dell’eutanasia che si deve aprire ulteriormente, ma quella della fraternità e della solidarietà”. (A cura di Isabella Piro)

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Europa: concluso a Parigi Forum di pastorale sociale

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I responsabili di alcune organizzazioni cattoliche europee si sono riuniti a Parigi il 26 febbraio scorso, presso la sede della Conferenza episcopale di Francia, per analizzare insieme alcune delle sfide più significative che esse si trovano ad affrontare nell'ambito della vita sociale dei diversi paesi europei. Queste Organizzazioni – tra cui Caritas Europa, la Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni, il Centro Europeo per le Questioni dei Lavoratori, la Conferenza delle Commissioni di Giustizia e Pace in Europa, insieme alla Comece e al Ccee – hanno condiviso una valutazione sui molteplici bisogni dei cittadini europei, constatando pure l'enorme sforzo che fa la Chiesa cattolica in Europa per rimanere accanto ai più bisognosi attraverso iniziative concrete a livello locale, nazionale, e anche internazionale.

La Chiesa europea chiamata ad assistere i più poveri
Questa constatazione – si legge nel comunicato finale reso noto oggi – è un invito ad approfondire ulteriormente lo spirito di collaborazione tra tutte le persone e organismi che prestano il proprio servizio in campo sociale per il bene altrui. La Chiesa cattolica in Europa ascolta con sollecitudine la voce, spesso angosciata, di chi cerca aiuto, convinta di essere chiamata a fare ancora di più. Seguendo l'incoraggiante esempio di Papa Francesco, la Chiesa in Europa rinnova l’impegno di continuare ad uscire per trovare chi ne ha bisogno e di assistere e accompagnare con generosità le numerosissime persone che cercano aiuto presso le Organizzazioni cattoliche e presso le diverse comunità cristiane, attraverso le quali viene offerto ogni aiuto possibile oltre che il conforto del Vangelo.

Tra le sfide: crisi economica, migranti e disoccupazione giovanile
Alcune delle sfide analizzate durante la riunione hanno riguardato la questione demografica in un'Europa in invecchiamento; la crisi economica, che genera nuovi poveri e tante disuguaglianze inaccettabili; il numero crescente di migranti; le trasformazioni del multiculturalismo; il problema dell’instabilità del lavoro, e soprattutto, la provocante situazione creata dalla disoccupazione giovanile; la fragilità delle famiglie; le guerre e altre forme di violenza, tanto all'interno quanto all'esterno dell'Europa. Queste questioni sociali, pur essendo così diverse, sono legate tra loro, e non possono essere trattate separatamente nella promozione dello sviluppo integrale della persona umana. Un sincero e rispettoso dialogo sociale, che veda tutti ugualmente impegnati, diventa un’urgenza.

Per un'economia che non uccida ma sviluppi il bene comune
Attraverso i suoi numerosi attori, la Chiesa cattolica agisce come custode di un bene che umanizza (cfr. Evangelii gaudium, n. 264) e come promotore di una civiltà dell’amore; esprime preoccupazione per l’attuale situazione e spera che quanti hanno responsabilità politiche, sociali ed economiche si sentiranno parimenti impegnati insieme all’intera società nella ricerca di soluzioni concrete alle realtà sociali difficili dei cittadini europei, per coinvolgere tutti nella promozione di un'economia che non uccida ma che sviluppi il bene comune.

La Chiesa offra la speranza nell'amore di Dio
La missione della Chiesa - conclude il comunicato - è quella di essere come il buon Samaritano, in grado di rendersi vicina a tutti offrendo non solo un conforto momentaneo, ma soprattutto la speranza nell’amore di Dio misericordioso. (I.P.)

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Myanmar. Card. Bo: dialogo fra esercito e milizie etniche

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Il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e primo porporato della storia della Chiesa birmana, lancia un appello congiunto ai vertici delle Forze armate del Myanmar (il Tatmadaw) e alle milizie etniche. Il cardinale - riporta l'agenzia AsiaNews - esorta le parti in lotta a incontrarsi per riprendere i negoziati di pace e mettere così fine a un conflitto armato che imperversa da decenni e ha causato migliaia di vittime e feriti, anche fra i civili. Partecipando al 113mo pellegrinaggio annuale al santuario mariano di Nyaunglebin, nella regione di Bago, nel centro-sud del Paese, assieme a vescovi e sacerdoti birmani, il porporato ha rinnovato il suo messaggio di unità e riconciliazione. Nel contesto delle celebrazioni, egli ha anche liberato alcune colombe quale gesto di pace e armonia fra persone, fedi ed etnie.

Esercito invitato a riaprire colloqui con i gruppi armati
Rivolgendosi ai militari, il card. Bo rinnova con forza l'invito a riaprire i colloqui con i gruppi armati, in particolare il Kachin Independence Army (Kia) e le milizie ribelli Kokang nello Stato Shan. Egli sottolinea che è importante incontrarsi faccia a faccia, per scrivere davvero la parola fine ai conflitti nel Paese. "Le persone stanno soffrendo a causa della guerra - avverte il porporato - e sta all'esercito Tatmadaw, che si considera padre della nazione, guidare i negoziati".

Impegno della comunità cattolica per la pace e riconciliazione
Nei giorni scorsi egli ha incontrato - per la prima volta, nelle nuove vesti di cardinale - oltre 50mila fedeli, provenienti da diverse zone del Myanmar per partecipare al pellegrinaggio mariano. Rivolgendosi alla comunità cattolica, ha rinnovato il proprio impegno per la pace e la riconciliazione fra i diversi gruppi del Myanmar. Infine, egli intende adoperarsi in prima persona per la costituzione di rapporti diplomatici ufficiali fra Santa Sede e Naypyidaw.

La difficile convivenza fra le 135 diverse etnie
Il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. In passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi, fra cui gli Shan e i Kachin nell'omonimo territorio a nord, lungo il confine con la Cina.

L'appello di pace della Chiesa
Divampata nel giugno 2011 dopo 17 anni di relativa calma, la guerra ha causato decine di vittime civili e almeno 200mila sfollati; nell'agosto scorso i vescovi della regione hanno lanciato un appello per la pace, auspicando una soluzione "duratura" al conflitto. (F.K.T.)

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Caritas Filippine: con il Papa contro globalizzazione dell’indifferenza

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In questo tempo di Quaresima la Chiesa cattolica filippina, raccogliendo l'invito di papa Francesco, invita i fedeli a lottare contro la "globalizzazione dell'indifferenza" sostenendo in modo concreto le iniziative umanitarie della Caritas nazionale (Cbcp/Nassa). Mons. Rolando J. Tria Tirona, direttore nazionale della Caritas filippina e arcivescovo di Caceres, sottolinea che "ascoltando i poveri e unendoci nella lotta contro la distruzione dell'ambiente" è possibile contribuire a un migliore sviluppo sociale. Per il prelato il periodo di preparazione alla Pasqua deve essere usato dalla Chiesa, popolo di Dio, per "riflettere sul dramma dei poveri e degli oppressi".

Fede e carità per superare l'indifferenza
Mons. Tirona - riferisce l'agenzia AsiaNews - afferma che la Chiesa gode di molti privilegi, ma al tempo stesso ha il compito di rispondere alle direttive del Pontefice. "Fede e carità" avverte il prelato "devono andare fianco a fianco, se vogliamo superare questa indifferenza". Egli riporta l'esempio della famiglia, che è unita da un "vincolo di solidarietà" e dall'essere "una comunità di amore".

La Chiesa non deve sorprendersi se viene respinta
Nel suo messaggio per la Quaresima, il Papa ha più volte ricordato che Dio non è indifferente al mondo, tanto da sacrificare il proprio figlio per la salvezza dell'umanità. Gesù, ricorda il prelato filippino, è "il varco fra Dio e l'uomo, tra il cielo e la terra". Egli richiama le parole di Francesco, quando afferma che il mondo tende a rinchiudersi in se stesso e non si apre a Cristo. "La mano, che è la Chiesa, non deve sorprendersi se viene respinta, calpestata, ferita". Durante il suo recente viaggio apostolico nelle Filippine (la sola nazione a maggioranza cattolica del continente asiatico), il Papa ha più volte ricordato il bisogno di aiutare i poveri, i bambini e quanti sono stati colpiti dai disastri naturali che si sono abbattuti di recente sul Paese.

Progetti per pescatori, agricoltori e vittime tifone Yolanda
Fra le iniziative promosse in prima persona dalla Caritas filippina vi sono progetti di riforma agraria, di protezione dell'ambiente e sostegno a pescatori e agricoltori sfollati a causa delle calamità naturali, come il tifone Yolanda. A queste si aggiungono le attività alle vittime degli espropri forzati, come avvenuto nell'isola Sicogon a Iloilo. Nel prossimo mese di maggio Cbcp/Nassa terrà l'assemblea generale a Roma, con l'obiettivo - tracciato da papa Francesco - di creare una "Chiesa per i poveri". (R.P.)

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Scandinavia, plenaria dei vescovi su carità e migranti

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Si apre oggi a Essen in Germania l’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale dei Paesi scandinavi cui appartengono Norvegia, Svezia, Finlandia, Scandinavia, Danimarca e Islanda. “I temi in agenda”, spiega all'agenzia Sir la segretaria generale, suor Anna Mirijam Kaschner, “sono l’elezione di nuovo presidente, vice-presidente, consiglio permanente e segretario generale della Conferenza episcopale; un incontro con il segretario generale della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), padre Patrick Daly, che sarà con noi per una giornata e ci informerà sui lavori della Comece”.

L'incontro nella sede della Bonifatiuswerk
 Il 5 marzo i vescovi saranno a Paderborn, presso la sede della Bonifatiuswerk, agenzia caritativa cattolica tedesca che lavora a sostegno dei cattolici che vivono in situazioni di forte minoranza. Nell’incontro con i responsabili della Bonifatiuswerk si discuteranno i progetti in corso nei diversi Paesi nordici e i programmi futuri. Verrà inoltre presentato il volume “Danimarca - Chiesa della diaspora in transizione”.

L'incontro ad Essen con migranti di 91 Paesi
I vescovi, ospiti a Essen fino a venerdì 6 marzo, parteciperanno domani insieme al vescovo di Essen mons. Franz-Josef Overbeck a una solenne concelebrazione nel duomo della città; visiteranno inoltre il Centro sociale San Pietro che lavora a Hochfeld, zona di Essen, in cui risiedono persone provenienti da 91 diverse nazioni. (R.P.)

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Francia: 6 marzo, preghiera ecumenica promossa dalle donne

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“Capite quello che ho fatto per voi?”: è un versetto del Vangelo di Giovanni (Gv 13,12) il tema dell’iniziativa ecumenica che si terrà in tutta la Francia il prossimo 6 marzo. L’evento è promosso dalla “Giornata mondiale di preghiera delle donne” (Jmp), movimento ecumenico nato a Parigi nel 1901, sulla scia di un analogo organismo statunitense, risalente al 1887. Per l’occasione, in oltre trecento località francesi si terrà una celebrazione ecumenica.

In preghiera per le donne delle Bahamas
In particolare, le intenzioni di preghiera saranno rivolte alle Isole Bahamas: apparentemente “isole da sogno – si legge sul sito della Conferenza episcopale francese – le Bahamas presentano molte sofferenze”, come “le donne vittime di violenze coniugali, le mogli abbandonate che si sentono in colpa per i maltrattamenti subiti ed hanno paura di chiedere aiuto, i bambini abusati fisicamente, sessualmente, verbalmente”. Davanti a tale drammatico contesto, dunque, l’obiettivo della Giornata del 6 marzo vuole essere quello di “capire come tradurre concretamente, al giorno d’oggi, l’amore assoluto di Gesù”.

Progetti di sostegno in campo sanitario ed economico
Numerosi, quindi, i progetti che la Jmp vuole promuovere nel corso del 2015 a favore delle donne delle Bahamas: sostenere quelle che lottano contro il cancro al seno, offrendo loro informazioni sulle cure mediche e sulla possibilità di ricorrere ad eventuali protesi; aiutare le vittime di violenze, poiché i crimini contro le donne “rappresentano una delle più perverse e più sistematiche violazioni dei diritti umani nel mondo”; formare le madri di famiglia all’economica domestica, incrementando l’uso dei computer.

Aiuti anche per Haiti, a cinque anni dal terremoto
Ma non solo: la Jmp sostiene anche progetti in altre parti del mondo, come Haiti. Nell’isola distrutta dal sisma del 2010, l’organismo ecumenico porta avanti la ricostruzione del Centro educativo per giovani portatori di handicap ed il restauro di otto orfanotrofi, tuttora privi di mobilio e di acceso all’acqua potabile. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 61

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.