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Sommario del 03/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: facciamo il bene, non la "finta della santità"

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Se si “impara a fare il bene”, Dio “perdona generosamente” ogni peccato. Quello che non perdona è l’ipocrisia, “la finta della santità”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

I finti santi, che anche davanti al cielo si preoccupano di sembrarvi più che di esservi, e i peccatori santificati, che al di là del male fatto hanno imparato a “fare” un bene più grande. Non c’è mai stato dubbio su chi Dio preferisca, afferma Papa Francesco, che pone queste due categorie al centro della sua meditazione.

La macchia si toglie col "fare"
Le parole della lettura di Isaia, spiega all’inizio, sono un imperativo e parallelamente un “invito” che viene direttamente da Dio: “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene” difendendo orfani e vedove. Vale a dire – sottolinea Francesco – “quelli che nessuno ricorda” tra i quali, prosegue il Papa, ci sono anche “gli anziani abbandonati” “i bambini che non vanno a scuola” e quelli “che non sanno fare il segno della Croce”. Dietro l’imperativo c’è in sostanza l’invito di sempre alla conversione:

“Ma come posso convertirmi? ‘Imparate a fare il bene!’. La conversione. La sporcizia del cuore non si toglie come si toglie una macchia: andiamo in tintoria e usciamo puliti… Si toglie col ‘fare’: fare una strada diversa, un’altra strada da quella del male. ‘Imparate a fare il bene!’, cioè la strada del fare il bene. E come faccio il bene? E’ semplice! ‘Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova’. Ricordiamo che in Israele i più poveri e i più bisognosi erano gli orfani e le vedove: fate giustizia a loro, andate dove sono le piaghe dell’umanità, dove c’è tanto dolore… E così, facendo il bene, tu laverai il tuo cuore”.

Perdono al di là di tutto
E la promessa di un cuore lavato, cioè perdonato, viene da Dio stesso, che non tiene la contabilità dei peccati davanti a chi ama concretamente il prossimo:

“Se tu fai questo, se tu vieni per questa strada, nella quale io ti invito – ci dice il Signore – ‘anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve’. E’ una esagerazione, il Signore esagera: ma è la verità! Il Signore ci dà il dono del suo perdono. Il Signore perdona generosamente. ‘Ma io ti perdono fino a qui, poi vedremo l’altro….’ No, no! Il Signore perdona sempre tutto! Tutto! Ma se tu vuoi essere perdonato, tu devi cominciare la strada del fare il bene. Questo è il dono!’.

La trappola dell'apparenza
Il Vangelo del giorno presenta invece il gruppo degli scaltri, quelli “che  - stigmatizza Francesco – dicono le cose giuste, ma che fanno il contrario”. “Tutti – soggiunge – siamo furbi e sempre troviamo una strada che non è quella giusta, per sembrare più giusti di quello che siamo: è la strada dell’ipocrisia”:

“Questi fanno finta di convertirsi, ma il loro cuore è una menzogna: sono bugiardi! E’ una menzogna… Il loro cuore non appartiene al Signore; appartiene al padre di tutte le menzogne, a satana. E questa è la finta della santità. Mille volte Gesù preferiva i peccatori a questi. Perché? I peccatori dicevano la verità su loro stessi. ‘Allontanati da me Signore che sono un peccatore!’: lo aveva detto Pietro, una volta. Uno di questi mai dice questo! ‘Ti ringrazio Signore, perché non sono peccatore, perché sono giusto’… Nella seconda settimana della Quaresima ci sono queste tre parole da pensare, da meditare: l’invito alla conversione,  il dono che ci darà il Signore e cioè un perdono grande, un grande perdono, e la trappola, cioè fare finta di convertirsi, ma prendere la strada dell’ipocrisia”.

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Papa, il programma del viaggio Pompei e Napoli

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Un programma fittissimo quello della visita del Papa il 21 marzo a Pompei e a Napoli. Francesco lascerà il Vaticano alle 7 di mattina e dopo un’ora atterrerà con l’elicottero al Santuario di Pompei, dove sosterà in preghiera.

Con la gente di Scampia
Alle 9, poi, il Pontefice arriverà nel quartiere napoletano di Scampia per un incontro con la popolazione e con le diverse categorie sociali in piazza Giovanni Paolo II. A metà mattinata invece la concelebrazione eucaristica in Piazza Plebiscito nel centro del capoluogo partenopeo. Ma

L'abbraccio ai detenuti
in questa visita c’è anche spazio per un incontro col mondo dell’esclusione: alle 13 infatti, il Pontefice si recherà alla Casa Circondariale “Giuseppe Salvia” a Poggioreale e pranzerà con una rappresentanza dei detenuti. Nel primo pomeriggio la venerazione delle Reliquie di San Gennaro e l’incontro col clero, i religiosi e i diaconi permanenti nel Duomo. Alle 16.15, invece il Papa vedrà alcuni ammalati nella Basilica del Gesù e alle 17 incontrerà i giovani sul lungomare Caracciolo. Alle 18 circa la partenza per il Vaticano.

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Il Papa nomina il nuovo vescovo di San Diego (Usa)

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Negli Stati Uniti, Papa Francesco ha nominato vescovo di San Diego mons. Robert W. McElroy, finora ausiliare di San Francisco. Il presule è nato a San Francisco, California, nell’arcidiocesi omonima, il 5 febbraio 1954. Dopo aver frequentato il “Saint Joseph Minor Seminary”, ha ottenuto il Baccalaureato in Storia presso la “Harvard University” a Cambridge, Massachusetts (1975) e il “Masters” in Storia presso la “Stanford University” a Palo Alto, California (1976). Ha compiuto gli studi ecclesiastici presso il “Saint Patrick Seminary” a Menlo Park, California. Poi ha ottenuto la Licenza in Teologia presso la “Jesuit School of Theology” a Berkeley, California (1985). Successivamente ha ottenuto il Dottorato in Teologia Morale presso l’Università Gregoriana a Roma (1986) e il Dottorato in Scienze Politiche presso la “Stanford University” (1989). È stato ordinato sacerdote il 12 aprile 1980 per l’arcidiocesi di San Francisco. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della “Saint Cecilia Parish” a San Francisco (1980-1982); Segretario personale dell’Arcivescovo John R. Quinn e Cerimoniere (1982-1985); Vicario Parrocchiale della “Saint Pius Parish” a Redwood City (1989-1995); Vicario Generale (1995-1997); Parroco della “Saint Gregory Parish” a San Mateo e Consultore arcidiocesano (1997-2010). Nel 1996 è stato nominato Prelato d’Onore di Sua Santità. Nominato Vescovo titolare di Gemelle di Bizacena ed ausiliare di San Francisco il 6 luglio 2010, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 7 settembre successivo.

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Papa, tweet: Signore, dacci un cuore che sappia amare

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Il cuore si indurisce quando non ama. Signore, dacci un cuore che sappia amare!”.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina e Russia accordo sul gas. Sul terreno ancora morti

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C'è l'intesa sul gas tra Russia e Ucraina, che garantisce le forniture anche all'Ue. Intanto, sul terreno ancora violazioni del cessate-il-fuoco nelle regioni dell’est, mentre l’Onu parla di oltre seimila morti per la guerra in Ucraina. Ieri, telefonata a quattro del cosiddetto “Formato Normandia”. Massimiliano Menichetti

E’ l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad Al Hussein, che presentando il nono rapporto delle Nazioni Unite sul conflitto in corso Ucraina dallo scorso aprile ha denuncia un bilancio di oltre seimila morti e parla di "spietata devastazione della vita dei civili e delle infrastrutture". Nelle ultime 36 ore, si registrano ancora violazioni nell’est del Paese del “cessate-il-fuoco” previsto dagli accordi di Misk. Un soldato di Kiev ha perso la vita, quattro sono rimasti feriti. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha nuovamente lanciato un appello alla Russia affinché "ritiri le proprie truppe" dall'Ucraina. In questo quadro, gli osservatori internazionali dell'Osce, l'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa, hanno ammesso di non essere in grado di verificare il completo ritiro di armi pesanti dalla linea di confine tra l'esercito ucraino e le milizie separatiste della regione orientale di Donetsk. Intanto, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha firmato un decreto attuativo dell'appello all'Onu e alla Ue per il dispiegamento di una forza di pace nell'est del Paese e ieri sera si è tenuto anche un nuovo colloquio telefonico del cosiddetto “Formato Normandia”. Il presidente francese, Francois Hollande, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, e il presidente russo, Vladimir Putin, hanno fatto il punto. Si osservano progressi, dice una nota dell’Eliseo, ma la situazione va migliorata. Intanto, si scioglie, almeno temporaneamente, il nodo del gas tra Russia e Ucraina. Ieri, è stato confermato l’accordo che garantisce le forniture anche all'Ue. Ci sarà un nuovo vertice entro fine mese sulle forniture per l'estate. In sostanza, dopo oltre sei ore di negoziati tra i ministri russo Novak, l'ucraino Demchysyn, e il vicepresidente della Commissione Ue è stata siglata un'intesa che prevede il pieno rispetto del pacchetto invernale sulle forniture di gas concordato lo scorso ottobre, con Naftogaz che s'impegna a rispettare il sistema dei prepagamenti, a ordinare sufficienti quantità di gas per coprire il fabbisogno domestico per marzo a Gazprom e garantire il transito delle forniture all'Ue.

Per un'analisi dell'accordo, abbiamo raccolto il commento del prof. Alberto Clò, economista e supervisor del Rie, Ricerche industriali ed energetiche: 

R. – È vero che stiamo uscendo dalla stagione invernale e quindi i consumi andranno riducendosi, ma è anche vero che negli ultimi mesi se Francia, Italia e Germania non avessero attinto massicciamente dalle scorte accumulate, avremmo avuto dei seri problemi. Gli scontri non vedono né vincitori né vinti, un’intesa invece vede tutti vincitori. L’Europa ha bisogno del gas russo, così come la Russia ha bisogno del mercato europeo.

D. – Parliamo di una situazione che a livello internazionale condiziona l’aspetto energetico, oppure è possibile slegare le due cose?

R. – Teniamo conto del fatto che nel breve termine – in questi casi è un arco di anni – non ci sono alternative. Il primo dovere dell’Europa è assicurarsi le forniture. Nel medio termine il discorso è un altro: quali alternative costruire? Quali infrastrutture ed eventualmente quali nuovi fornitori trovare…

D. – Questo significa che siamo la parte più debole nel confronto con la Russia?

R. – Indiscutibilmente. Qui si misura anche l’incapacità dell’Europa che nonostante abbia presente questo problema da un decennio, non è stata in grado concretamente di porre in essere quelle azioni che nel medio e lungo termine ci avrebbero potuto sottrarre a veri e propri ricatti o all’uso del metano come arma di pressione politica.

D. – Quali concretamente le alternative?

R. – L’Iran, ad esempio, potrebbe essere un’alternativa, ma anche questa soluzione ha i suoi problemi. Altre alternative sono il potenziamento delle importazioni dall’Azerbaigian con il gasdotto Tap – che però incontra a livello nazionale ostilità di ogni genere –  aumentare la produzione interna: nel nostro Paese sarebbe possibile raddoppiare la produzione di gas… Nell’arco di alcuni anni saremo forzatamente dipendenti. Attraverso l’Ucraina passa un gasdotto che sinora riforniva l’Europa di 60-70-80 migliaia di metri cubi di gas. Bisogna essere in grado di porre in essere un accordo tra tutti i "player", che separi la quesitone del transito del metano dalla quesitone politica.

D. – Ma quali sono secondo lei le leve che devono essere utilizzate affinché si realizzi una sfida così positiva?

R. – L’idea potrebbe essere quella di creare un consorzio industriale in cui vi partecipano i grandi importatori europei da Snam a Gaz de France, Eon, la stessa azienda ucraina e Gazprom che controllano, gestiscono questo gasdotto che sinora ha alimentato le esportazioni della Russia. In questa maniera, separeremmo la gestione del gasdotto dai rapporti politici russo-ucraini.

D. – Finora, tutto è gestito con rapporti di forza. Lei propone un cambiamento, una virata di orizzonte?

R. – I rapporti di forza non sono a vantaggio di nessuno. La "realpolitik" del metano non significa sottomettersi ai ricatti, ma se l’Europa in 10-15 anni avesse fatto una cosa sola, avrebbe credibilità. La forza di Putin è lo specchio della latitanza dell’incapacità europea di tradurre buone intenzioni in atti pratici.

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Mattarella a Bruxelles: i profughi interpellano tutta l'Ue

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“Il problema dei profughi è drammatico e interpella tutta l'Unione". Cosi' il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando oggi a Bruxelles il presidente del Parlamento Europeo, Schulz. Ieri, a Berlino, al capo dello Stato italiano sono arrivate le rassicurazioni della cancelliera, Angela Merkel: “Non lasceremo sola l’Italia nella gestione dell’emergenza umanitaria scatenata dalla crisi libica”. Secondo Chiara Favilli, docente di Diritto europeo all’Università di Firenze, il tour di Mattarella potrà essere utile per pianificare azioni più efficaci nella gestione del fenomeno. Paolo Ondarza l’ha intervistata: 

R. – C’è bisogno di una svolta a livello europeo. Per anni, l’Italia ha invocato un maggiore intervento dell’Unione Europea e per anni è stato detto che il numero delle persone che arrivavano in Italia non era tale da poter qualificare gli arrivi come un’emergenza. Tuttavia, la questione ormai è cambiata: l’anno scorso l’Italia ha avuto davvero un aumento considerevole degli arrivi. Si parla di 150-160 mila ingressi nel 2014, peraltro attraverso la via marina che è quella più complessa da gestire.

D. – Finora, l’Italia è stata lasciata sola nella gestione del fenomeno?

R. – Io non direi proprio “lasciata sola”. Tutti gli Stati – se si vanno a vedere i numeri degli ingressi – hanno in questi anni sopportato un grosso sforzo di accoglienza, Germania in testa. Quello che è importante, adesso, è cogliere questa fase – che sembra positiva – di un atteggiamento diverso della Germania e anche degli altri Stati dell’Unione Europea, per individuare azioni diverse.

D. – Riscontra un atteggiamento nuovo da parte della Germania, dell’Unione Europea, proprio in ragione delle mutate condizioni legate alla crisi libica?

R. – Sì, non c’è dubbio che ci sia. Perché la crisi libica, che pure in questi anni c’è sempre stata, purtroppo oggi è scoppiata – un po’ come ci dicevano le previsioni – e quindi questo fa sì che i flussi da quel Paese aumenteranno. In più, consideriamo anche che in questi mesi, nonostante sia stata conclusa la tanto criticata operazione “Mare Nostrum”, i flussi sono continuati, gli sbarchi sono continuati e i morti – ahimé – sono ricominciati…

D. – E quali risultati sta portando “Triton”, in termini di coinvolgimento, di lavoro sinergico europeo, nella gestione del fenomeno?

R. – Guardi, “Triton” è un’operazione propriamente dell’Unione Europea, coordinata dall’agenzia Frontex che è l’agenzia dell’Unione. Le operazioni, però, si basano su una partecipazione volontaria e quindi ciascun Paese decide volontariamente di partecipare: mi sembra che siano circa 20 i Paesi che hanno partecipato. Però, è un’operazione limitata perché il budget di “Triton” è di massimo 3 milioni di euro al mese, mentre invece “Mare Nostrum” costava 9 milioni di euro al mese. Ed è limitata anche, evidentemente, nel tipo di azioni, perché appunto sono operazioni di “controllo delle frontiere”. Quest’azione di controllo delle frontiere, “Triton” la fa bene. Il problema è la ricerca e il salvataggio in mare che “Triton” non può fare, non riesce a fare perché non ha gli strumenti necessari.

D. – Dunque, il fenomeno è aumentato per quanto riguarda la complessità, l’entità. Ma i fondi sono diminuiti…

R. – Esattamente così. “Mare Nostrum”, ripeto, costava 9 milioni di euro al mese, tutti a carico dell’Italia, e invece “Triton”, che è un’operazione condivisa, costa 3 milioni di euro al mese. Qualcosa, evidentemente, non torna…

D. – … nonostante l’emergenza umanitaria e congiuntamente anche al paventato rischio di infiltrazione di jihadisti abbia portato il tema all’attenzione delle Unione Europea...

R. – Sì, il tema è ormai all’ordine del giorno nei Paesi dell’Unione Europea. Quindi, come dice lei giustamente, gli sforzi dovrebbero aumentare, diversificarsi: Dovrebbero essere fatti sforzi più mirati al contenimento dei flussi nei Paesi di provenienza: con una strategia globale, qualche risultato positivo lo si può ottenere. Avere, ad esempio, una ritrovata sintonia con i Paesi dell’Unione Europea, in particolare la Germania, che è comunque un Paese leader dell’Unione, è fondamentale. Ecco quindi che questo viaggio del presidente Mattarella può davvero essere utile per costruire una sintonia che consenta poi di pianificare azioni il più possibile efficaci.

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Caritas: profughi siriani ed eritrei a Milano per ‘evadere’ da Italia

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25 famiglie siriane, oltre 200 persone, insieme ad un’ottantina di eritrei, sono approdate in questi giorni a Milano, sbarcate nelle scorse settimane sulle coste italiane meridionali. Gente stremata e sofferente di passaggio in Italia per raggiungere altri Paesi. Sulla carta sono 'clandestini'. Di loro si sta occupando, tra altre organizzazioni, la Caritas ambrosiana, che lancia un allarme. Roberta Gisotti ha intervistato Oliviero Forti, responsabile Emigrazione della Caritas Italiana: 

D. - Come trattare questi profughi siriani ed eritrei?

R. – Per queste persone c’è una procedura della Legge italiana, nell’ambito del quadro normativo europeo, che prevede la necessaria identificazione una volta entrati nel territorio italiano e quindi l’inserimento nel sistema di accoglienza. Il problema che si è creato fin dall’inizio, da quando abbiamo avuto i primi flussi di siriani e conseguentemente anche di eritrei, ha evidenziato la non volontà da parte di queste persone di farsi identificare perché hanno necessità di raggiungere il Nord Europa, dove hanno parenti e amici che possono certamente dare una rete di sostegno migliore di quella che potrebbero avere in Italia. Però qui c’è da scegliere tra il rispetto di una normativa italiana, ma anche europea, e le esigenze di carattere umanitario. Il problema è, a questo punto, più collegato ad un regolamento  - quello di Dublino - che obbliga queste persone a fare richiesta nel primo Paese d’ingresso. Si sta lavorando  sia a livello di terzo settore, ma anche a livello istituzionale, affinché questo regolamento possa in futuro essere modificato e permettere a queste persone  di trovare un futuro migliore che non sia per forza nel Paese del primo ingresso.

D. – Sappiamo che queste persone arrivano a Milano o in altre località in modo autonomo, quindi vuol dire che sono libere di abbandonare i centri di prima accoglienza …

R. – É evidente, perché sono persone che sulla carta sono bisognose di una protezione internazionale. In questo caso il termine ‘clandestino’ è inesatto, perché comunque devono entrare in una proceduta che prevede l’inserimento in strutture aperte, quindi senza nessun tipo di controllo di carattere restrittivo, come accade in altri casi nei Cie. Questo evidentemente ha creato negli ultimi mesi una tendenza ad abbandonare velocemente le strutture di accoglienza perché - ripeto - l’obbiettivo finale non è certamente l’Italia. Milano è una città di passaggio dove possono riorganizzare il proprio viaggio e lasciare più o meno velocemente l’Italia per raggiungere la Germania, la Svezia o l’Austria.

D. – Sappiamo anche che per lasciare l’Italia, spesso e volentieri, si servono di passaggi offerti da organizzazioni criminali …

R. – Evidentemente è l’unico modo. Non sarebbero da soli in grado di affrontare i viaggi in un territorio che non conoscono, molto vasto, molto controllato. Quindi solamente organizzazioni che storicamente hanno svolto questo tipo di attività sono in grado – anche dietro lauto pagamento - di trasferire queste persone altrove. Qui, ripeto, il problema è più ampio di quello che si vuol spesso far vedere, nel senso che non è tanto l’organizzazione criminale in sé la questione su cui intervenire, perché questo problema verrebbe meno nel momento in cui a queste persone fosse data la possibilità per legge di potersi trasferire in altri Paesi europei, grazie ad attività da parte delle istituzioni di sostegno e accompagnamento in questa scelta. Ad oggi questo purtroppo non è possibile e non è una responsabilità italiana vorrei sottolineare questo: è una quesitone europea proprio perché il regolamento di Dublino è quello che ci ha creato e ci sta creando molti problemi come Paesi di primo ingresso.

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Venezuela- Usa: è braccio di ferro diplomatico

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Continuano a irrigidirsi i rapporti tra Venezuela e Stati Uniti. Caracas ha emesso il divieto di viaggio ad alcuni politici americani e ha convocato il personale diplomatico Usa. Già sabato scorso, il presidente Maduro aveva imposto a Washington la riduzione del numero dei funzionari nel Paese, con l’accusa di fomentare un colpo di Stato. Motivi fondati o scuse? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Marco Di Liddo, analista del Centro studi internazionali (Ce.SI): 

R. – Dobbiamo distinguere in due categorie le ragioni di queste dichiarazioni di Maduro. La prima categoria riguarda la politica interna e la seconda, la politica internazionale. Nel cercare di costruire un consenso che in questo momento è in crisi, Maduro cerca di appellarsi a tutte le risorse propagandistiche e retoriche a cui può attingere. Sicuramente, l’antiamericanismo è una di queste. D'altro canto, parlare di un colpo di Stato è difficile, tuttavia non si può negare che gli Stati Uniti vedrebbero con favore un cambio della leadership politica venezuelana e che con i tanti strumenti diplomatici, economici e di influenza culturale che hanno a disposizione cercano di promuovere.

D. – E’ anche vero che il Venezuela, che versa in una grave crisi economica, ha trovato nella Russia di Putin, in questo momento, un valido aiuto per fronteggiare la depressione. E’ possibile che questa nuova alleanza sia anche alla base di questo irrigidimento dei rapporti con gli Stati Uniti, o è troppo lontana dalla realtà questa interpretazione?

R. – Non la trovo esagerata… Per cercare di mantenere la propria architettura istituzionale e il proprio establishment di potere, la leadership venezuelana cerca dei partner in grado di sostenerla. Naturalmente, in questo dibattito crudo, feroce, in questo rapporto difficile con gli Stati Uniti c’è bisogno di un partner di peso, in grado di dare garanzie. La Russia è un partner in grado di dare determinate garanzie e dal punto di vista del Cremlino, comunque, è importante avere un amico, un alleato, un governo con cui si possa parlare bene in una zona sensibile, come quella dell’America Latina rispetto agli Stati Uniti. Certo è che, in questa relazione, in questo nuovo matrimonio d’interesse che c’è tra Venezuela e Russia, si possono sviluppare diverse strategie congiunte e una di queste potrebbe essere il sostegno venezuelano alle posizioni russe, non solo rispetto alla crisi ucraina, ma anche rispetto a tanti altri dossier di politica internazionale che vedono la Russia e gli Stati Uniti cercare di promuovere soluzioni, interessi e visioni diverse.

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Avviata la Campagna "Baci da Sarajevo" di Sos Villaggi

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E’ partita la campagna #BaciDaSarajevo  promossa per donare un futuro migliore ai bambini della Bosnia. L’iniziativa è dell’associazione Sos Villaggi dei Bambini, presente nel Paese dal 1994 con progetti di accoglienza e sostegno a minori e a famiglie in gravi difficoltà economiche e sociali. Due i villaggi Sos già avviati, a cui si affiancano 3 programmi di rafforzamento familiare e il progetto di prevenzione mobile SuperBus. A vent’anni dal conflitto che ha devastato la Bosnia, sono ancora tante le necessità della popolazione, di cui però non si parla più. Adriana Masotti ha sentito Elena Cranchi, portavoce di Sos Villaggi dei bambini: 

R. - È così: quando scoppiano i conflitti nei Paesi c’è molta attenzione, poi si spengono i riflettori ma rimane l’emergenza. In Bosnia c’è un’emergenza socio-politica incredibile. Abbiamo un tasso di povertà elevatissimo – si attesta al 70% -, la categoria più vulnerabile come sempre è quella dei bambini. Sos villaggi dei bambini si occupa lì, come in tutte le parti del mondo, di bambini privi di cure familiari o che rischiano di perderle. Sono tantissimi, si parla di più di centomila bambini! Il vero problema è che in Bosnia ci sono ancora gli orfanotrofi che sono delle strutture all’interno delle quali vengono buttati tantissimi bambini che poi perdono quelli che sono gli elementi fondamentali per una crescita. Noi li accogliamo, diamo loro un ambiente familiare, diamo dei punti di riferimento, li accompagniamo verso la crescita, ma la cosa più importante che facciamo è quella di ricostruire le famiglie vulnerabili e quindi, in qualche modo, di curare quella crisi che ha portato queste a separarsi e ad abbandonare i bambini.

D. - Oltre alla povertà c’è anche un problema di convivenza tra etnie e religioni diverse che ad un certo punto si sono fatte così male …

R. - Ogni bambino è uguale a prescindere dalla religione, dal colore, dall’etnia … Quindi il valore dell’integrazione e dell’uguaglianza noi lo portiamo avanti in ogni Paese. In Bosnia ci stiamo occupando anche della scolarizzazione dei bambini che è il primo termometro di questa mancanza di integrazione, tanto che i bambini disabili, quelli che vivono nelle zone rurali - quindi appartengono magari a piccole etnie o i bambini rom - non hanno libero accesso all’istruzione. Quello che noi stiamo facendo in questo momento nei Centri sociali che sono a Srebrenica e a Sarajevo e attraverso questo centro sociale mobile  - che di fatto è proprio un bus – è dare sostegno a più di 70mila persone. Significa che andiamo nelle zone per portare aiuto, sostegno psicosociale e non solo, anche pacchi alimentari e igienici a famiglie che in tutti questi anni non sono riusciti ancora ad avere anche solo un’autonomia propria.

D. - Con il progetto “#Baci da Sarajevo” che cosa volete fare in più?

R. - Con questo progetto “#Baci da Sarajevo” vogliamo continuare a dare sostegno di qualità ai cento bambini che accogliamo nel villaggio Sos di Sarajevo.  In questo momento la nostra testimonial, che è la conduttrice radiofonica La Pina, è proprio nel villaggio, e avremo la possibilità anche grazie a lei di raccontare le storie, mostrare le fotografie, di far vedere cosa significhi l’accoglienza. Oltre a questo noi daremo sostegno e rafforzamento familiare a circa 200 famiglie, a più di 400 bambini che sono in difficoltà economica, ai 500 tra bambini e ragazzi che verranno raggiunti da questo SuperBus che porterà educazione, quindi porterà libri, materiale didattico e poi a Srebrenica continueremo invece a rafforzare le famiglie in difficoltà. Ovviamente chiediamo aiuto a chi in questo momento ci ascolta, a chi avrà voglia  di continuare a portare, in questo caso, il futuro a bambini che hanno diritto di averlo in una terra perfettamente dimenticata. Secondo me molti non ricordano neanche più che cosa è accaduto lì, perché 20 anni sono tanti! Noi viviamo in un momento storico in cui un’emergenza mangia un’altra emergenza di cui poi ci si dimentica. Lo dico perché personalmente, quando ho detto che avremmo fatto questa campagna sulla Bosnia, molta gente ha detto: “La Bosnia? Come la Bosnia...” E invece sì, proprio la Bosnia, perché noi siamo presenti in tutti i Paesi non solo quando c’è il conflitto, ma anche dopo, quando le persone non hanno i mezzi per vivere una vita normale e quando tutto il resto del mondo non le guarda più.

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Vangelo e urbanizzazione nel libro "Dio vive in città"

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Come si porta Dio in un contesto urbano? La domanda sta al fondo del libro “Dio vive in città”, opera dello scrittore argentino Carlos Maria Galli ed edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Il volume viene presentato alle 18 a Roma, presso la Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina. Luca Collodi ne ha parlato con l’autore: 

R. – Il libro “Dio vive in città” è un’opera che ho pensato nel corso dI più di 25 anni. Io abito nella città di Buenos Aires, che è circondata da una grande periferia. In totale siamo più 13 milioni di abitanti ed è l’ottavo conglomerato urbano del mondo. Ma l’Argentina non è un caso isolato: in America Latina si dice che la regione latinoamericana, che ha più di 570 milioni di abitanti, sia la regione più urbanizzata del mondo. Qui in Europa, per esempio, il 70% della popolazione è urbana, mentre in America Latina l’80% della popolazione vive in zone urbane. Questo significa che da noi la maggioranza dei cittadini risiede nei nuovi quartieri suburbani, meticci e anche poveri. Questo è il contesto nel quale la Chiesa latinoamericano già dall’anno 1965, e quindi dall’anno della pubblicazione della “Gaudium et Spes”, ha iniziato una riflessione sul fenomeno della urbanizzazione, e poi sulla la cultura urbana e quindi sull’inculturazione urbana del Vangelo. Nel documento di Aparecida, nell’anno 2007, la riflessione è andata avanti verso una nuova pastorale urbana. Questa è la ragione e l’origine della mia opera.

D. – C’è spazio oggi per la presenza della Chiesa in queste grandi città metropolitane? C’è spazio per la presenza di Dio?

R. – Si dice che in questa città moderna, secolarizzata, postmoderna non ci sia un luogo per Dio. Il mio pensiero va invece per un’altra strada. Il titolo del libro “Dio vive in città” è tratto da una affermazione del documento dei vescovi latinoamericani ad Aparecida e manifesta quello che io chiamo una “prospettiva teologale” del tema e questo significa partire dalla centralità di Dio per pensare la città e la pastorale urbana. Noi abbiamo imparato nel vecchio Catechismo che alla domanda “Dov’è Dio?”, la risposta era: “Dio è in cielo, in terra e in tutti i luoghi”. La traduzione attuale di questa verità della nostra fede, sulla presenza di Dio nell’uomo e nel mondo, è: la città, Dio è nella città. La città, con tutte le sue sfumature certamente. Papa Francesco ha preso questa affermazione di Aparecida, ma nella sua Esortazione programmatica “Evangelii Gaudium” ha scritto una frase più personalistica: “Dio vive tra i cittadini”. L’invito è a un nuovo sguardo della fede per trovare o ritrovare la presenza misteriosa e anche reale di Dio nella vita della cultura urbana contemporanea.

D. – Quale deve essere lo sguardo del cristiano verso le istituzioni locali, verso la vita civile?

R. – Nella città, la Chiesa deve fare una nuova apertura, perché la città attuale è un ambito multiculturale. Quindi, la pastorale urbana – secondo me – è affrontare la città nella sua totalità: questo significa soprattutto avvicinarsi, significa anche non analizzare la vita cittadina da fuori, ma da dentro, con simpatia, con vicinanza e compassione. Ma allo stesso tempo, abbiamo bisogno di una conversione pastorale per scoprire le strade nelle quali Dio vuole inviare alla sua Chiesa nella nuova realtà.

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Nella Chiesa e nel mondo



Centrafrica: mons. Nzapalainga visita in carcere due capi miliziani

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“Sono venuto a testimoniare la compassione ai miei figli che attraversano un momento difficile. Sono venuto a dire loro che l’amore di Dio è più forte persino di dove si trovano, non devono cessare di predicare la pace nel loro ambito” ha affermato mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e presidente della Conferenza episcopale centrafricana, che ha incontrato nella prigione centrale di Ngaragba, due capi delle milizie Anti-Balaka, Emotion Brice Namsio e Rodrigue Ngaïbona, quest’ultimo meglio conosciuto come generale Andjilo.

Brice Namisio chiede di cessare le violenze
I due sono stati arrestati per possesso illegale di armi. Le milizie Anti Balaka si sono battute contro gli ex ribelli Seleka nella guerra civile centrafricana. Entrambi i gruppi sono accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Emotion Brice Namsio, che è stato portavoce degli Anti Balaka, ha dichiarato che “la visita di Mons. Nzapalainga è stata una gioia per noi. Lo ringraziamo infinitamente. Il popolo centrafricano ha sofferto troppo. Bisogna cessare le violenze”.

Il generale Andjilo chiede alle autorità di riportare la pace
 Dal canto suo il generale Andjilo si è felicitato perché “da quando sono in prigione nessuno è venuto a trovarmi. Solo mons. Nzapalainga è venuto al nostro capezzale. È un padre per me. Lo ringrazio” ha concluso chiedendo alle autorità centrafricane di riportare la pace nel Paese. Mons. Nzapalainga ha più volte incontrato sia gli ex miliziani Anti Balaka sia gli ex ribelli Seleka in segno di riconciliazione. (L.M.)

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Lesotho: elezioni pacifiche, rispettato appello dei vescovi

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Si sono svolte in un clima pacifico le elezioni legislative in Lesotho, in programma il 28 febbraio. Lo sottolineano, in una nota, gli osservatori elettorali dell’Inter-regional meeting of the bishops of Southern Africa (Imbisa). “Nel visitare i seggi elettorali sia nella capitale, Maseru, sia nelle aree rurali – si legge nella nota - abbiamo visto gli elettori mettersi in coda al mattino presto in attesa dell’apertura dei seggi, i delegati dei diversi partiti politici controllare l’arrivo dei votanti, e la doppia verifica del nome dei votanti. Tutto era ben organizzato”.

Nessuna forma di pressione o di pubblicità indebita
Non si sono verificate, quindi, forme di pressione sugli elettori, né pubblicità indebita elettorale nei pressi dei seggi. I risultati definitivi delle votazioni sono attesi per lunedì 9 marzo, ma dal primo spoglio delle schede sembra in testa il partito del primo ministro uscente, Thomas Thabane.

Appello dei vescovi per una nazione democratica
È stato, dunque, rispettato l’appello della Conferenza episcopale locale che, in un messaggio diffuso a febbraio, aveva invocato votazioni libere, trasparenti e pacifiche. Nel testo, i presuli si richiamavano ai principi fondamentali di una nazione democratica, quali “la sicurezza e la stabilità, il rispetto dei diritti umani fondamentali e delle istituzioni, la libertà di religione e di culto, la tutela dello Stato di diritto e della Costituzione, la giustizia economica, la good governace e la trasparenza”. Inoltre, i vescovi di Maseru ribadivano che il compito primario della politica è la promozione del bene comune, non degli interessi dei singoli, e che è necessario tener conto anche le istanze delle minoranze.

Trovare una soluzione ai conflitti nel Paese
Nel messaggio, poi, i vescovi facevano riferimento al tentativo di golpe risalente al mese di settembre, per il quale anche Papa Francesco aveva invocato una soluzione pacifica, e ricordavano che “le elezioni non significano guerra, uccisioni, conflitti”, ma piuttosto il rispetto “del diritto, della responsabilità e dell’opportunità di ciascun cittadino” di scegliere chi dovrà servire il Paese in Parlamento, per “trovare una soluzione ai conflitti ed all’instabilità della nazione”.

L’importanza di un’informazione etica
Quindi, la Chiesa di Maseru lanciava una serie di appelli: ai leader politici, affinché “mettano da parte le proprie ambizioni, in favore del bene della nazione”; alla popolazione, perché viva “in spirito di tolleranza e di cooperazione”; alle forze di sicurezza, perché “siano non i persecutori, ma i difensori del Paese”. Ulteriori appelli venivano rivolti alla Commissione elettorale, così da avere consultazioni libere e trasparenti, ed ai mass-media: “Nelle vostre mani, avete un’arma letale – affermavano i presuli – che può portare la pace o infrangerla. Vi esortiamo ad attenervi ai fatti ed alla verità, senza diffondere calunnie, perché il vostro dovere è un’informazione basata su principi etici”.

Rispettare le normative elettorali
Infine, la Conferenza episcopale del Lesotho esortava tutti ad “osservare le leggi e le normative elettorali”, invitando sia i futuri vincitori, sia gli sconfitti ad accettare ed a rispettare la volontà popolare, così che “tutti si sentano parte della nazione”. (I.P.)

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Nunzio in Croazia a Pom europee: l'importanza della missione

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“La missione non è un optional, ma piuttosto una dimensione essenziale” della Chiesa. E’ quanto ricordato da mons. Alessandro D’Errico, nunzio apostolico in Croazia, durante la Messa celebrata stamane nel Santuario nazionale Mariano di Marija Bistrica, in occasione dell’Incontro Europeo dei direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in corso dal 1° al 5 marzo a Luznica. Al centro della cinque giorni molti argomenti delicati riguardanti l'attività missionaria della Chiesa in Europa e nel mondo alla luce del Decreto conciliare “Ad Gentes” sull'attività missionaria della Chiesa, dell’Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” del Beato Papa Paolo VI e della “Evangelii gaudium” di Papa Francesco.

L’urgenza di costruire una Chiesa in uscita
E proprio sul Magistero di Papa Bergoglio e sulla missione si è soffermato nella sua omelia mons. D’Errico. “Il mandato missionario di Gesù – ha evidenziato il presule - è alla base del suo programma pastorale” che invita a “prestare dovuta attenzione alle ultime parole che il Maestro affidò ai discepoli”. In particolare, Francesco indica tre campi per l’esercizio di questo impegno evangelizzatore: “C'è anzitutto il campo della pastorale ordinaria, che riguarda i fedeli che frequentano regolarmente le nostre comunità e che si estende specialmente ai Paesi di lunga tradizione cristiana”, come quelli europei. “Anche a queste comunità – ha sottolineato mons. D’Errico - Gesù chiede di andare e di costruire una Chiesa in uscita, che non si limiti semplicemente a conservare un’eredità ricevuta dal passato”, in un atteggiamento di apertura, dialogo, comprensione, con un’attenzione privilegiata alle “periferie del mondo”.

L’evangelizzazione dei lontani
Il secondo campo di evangelizzazione riguarda i lontani: i battezzati che non vivono le esigenze del battesimo, gli agnostici, o gli atei. Anche questo campo - ha rimarcato il presule nell’omelia - richiede molta attenzione da parte delle comunità cristiane: “Se vogliamo essere fedeli alle ultime parole di Gesù dobbiamo avere il coraggio di andare per le vie del mondo, renderci presenti, fare il primo passo”.

La missione “ad gentes” forza trainante dell’evangelizzazione
C'è infine l'ambito più specificamente missionario: la proclamazione del Vangelo a coloro che ancora non conoscono Gesù o l’hanno sempre rifiutato: le nostre comunità cristiane non possono non avvertire “ la necessità e l’urgenza di andare e offrire anche ad essi la gioia del Vangelo”. Questi tre campi di evangelizzazione – ha evidenziato il nunzio - sono strettamente collegati tra loro e in questa prospettiva “la missio ad gentes deve essere la forza trainante, perché l’ansia di evangelizzare ai confini non può non aiutare le comunità a realizzare una pastorale in uscita efficace e un rinnovamento delle strutture e delle opere”.

Il sogno di Papa Francesco di una Chiesa in movimento
Alla luce di ciò – ha affermato in conclusione mons. D’Errico - si può comprendere il sogno di Papa Francesco espresso nella Evangelium Gaudium di “una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa" e cioè di una “Chiesa in movimento, che si apra agli orizzonti del mondo, ad un servizio della comunione e della cultura dell'incontro”. (L.Z.)

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Venezuela: false accuse all’Università cattolica del Tachira

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Sospese fino a nuovo ordine le lezioni presso la Universidad Nacional Experimental del Tachira (Unet), la Universidad de Los Andes (Ula) sede di Táchira e la Università Cattolica di Táchira (Ucat), in seguito agli scontri tra studenti e forze dell'ordine avvenuti nello stato venezuelano la scorsa settimana, durante i quali è morto lo studente Kluiverth Roa di 14 anni. Dalla scorsa settimana un gruppo di giovani si è barricato all’interno della Ula dopo i gravi scontri con la polizia e le forze militari che hanno lasciato 23 feriti, secondo Reinaldo Manrique, presidente del Centro Studenti, il quale ha informato che gli studenti rimangono all'interno del campus "per evitare che l'istituto venga dato alle fiamme".

Unica missione dell'ateneo, formare nuovi professionisti
L’Ucat si è pronunciata con una dichiarazione che "condanna fermamente l'assassinio dello studente Kluiverth Roa e si mostra solidale con il dolore sofferto dalla sua famiglia". Il comunicato, inviato all'agenzia Fides dal Rettore dell'Ucat, padre Javier Yonekura, sottolinea che "le aule accolgono solo studenti e insegnanti impegnati nel lavoro scientifico" e “le dichiarazioni circolate contro l'Ucat sono infondate e non sono coerenti con la missione e il lavoro di un'istituzione che ospita al suo interno più di 10mila persone… il cui unico scopo è di formare nuovi professionisti per il bene comune di Tachira e del Venezuela". Nei giorni scorsi infatti l’Ucat è stata accusata dai mass media, governativi e non, di sostenere e di appoggiare i movimenti studenteschi di rivolta.

Ricordate le parole del Papa all'Angelus
Il comunicato dell’Ucat ricorda, sulla base delle verità fondamentali della fede professate: “abbiamo chiesto di rispettare la dignità umana e i diritti di tutte le persone, nelle loro manifestazioni individuali e comunitarie". Il testo si conclude con le parole pronunciate da Papa Francesco all’Angelus di domenica 1 marzo, in cui esorta tutti “al rifiuto della violenza e al rispetto della dignità di ogni persona e della sacralità della vita umana”. (C.E.)

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Filippine: bruciano gli slum di Manila

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A meno di 24 ore dall’incendio che ha distrutto parte del Parola Compound a Tondo, il principale conglomerato di slum della capitale Manila a ridosso del porto, un altro incendio è scoppiato nel primo pomeriggio di oggi. In questo caso, interessato il molo 2 della stessa area. Un duro colpo per migliaia di abitanti che vivono in condizioni precarie in una vasta zona attorno alla Smokey Mountain, la “Montagna fumante” che in passato era la maggiore discarica a cielo aperto della capitale. Un territorio sovrappopolato da centinaia di migliaia di persone qui raccolte non solo per la loro povertà, ma anche spinti dal crescente costo delle abitazioni altrove.

Coinvolti negli incendi 12 milioni di persone
I tre incendi che hanno devastato 34 zone residenziali nella serata di ieri nella capitale, due a Tondo e una nella baraccopoli di Payatasm nella municipalità di Quezon City hanno seguito di alcune ore un altro incendio che ha privato di un riparo un centinaio di famiglie a Parañaque, sempre nell’area metropolitana della capitale, agglomerato di diverse municipalità per complessivi 12 milioni di abitanti.

Ignote le cause degli incendi
Nessuna vittima finora nei roghi, che hanno provocato danni ingenti e i cui focolai minacciano di riaccendersi impedendo a parte della popolazione evacuata di rientrare. Ignote le cause, in particolare degli episodi dell’area di Tondo, ma l’incremento degli incendi – 630 quelli di varia estensione registrati dall’inizio dell’anno – rappresenta un record le cui cause vanno accertate. Ironia vuole che i roghi di ieri e di oggi si situino all’inizio del mese dedicato nel paese alla prevenzione degli incendi. (C.O.)

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Filippine: seminario alle future madri in difficoltà e alle famiglie

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Aiutare le donne in gravidanza che attraversano un momento di crisi a non abortire, salvare i bambini e costruire famiglie solide. Con questo obiettivo Pregnancy Support Services of Asia (Pssa), una ong internazionale impegnata nel sostegno alle madri in difficoltà, organizza dal 6 all'8 marzo prossimi il suo quarto seminario regionale di formazione ad Antipolo City, nelle Filippine. Il titolo dell’incontro, promosso insieme alla Commissione per la famiglia e la vita dell'arcidiocesi di Manila e all’associazione Coppie per Cristo, sarà “Il tuo cuore oggi”, (“Your Heart Today”)

Promuovere gravidanze sane
Durante il seminario – riporta l’agenzia dei vescovi Cbcpnews - sarà sottolineata l’importanza della vita e dei valori della famiglia oggi per promuovere gravidanze “sane”, di un’assistenza sanitaria responsabile per donne e bambini dello sviluppo forti legami tra le famiglie.

Ridurre gli aborti e rafforzare le famiglie in Asia
L'obiettivo di Pssa è di ridurre gli aborti e rafforzare le famiglie in Asia, creando, sviluppando e sostenendo servizi per la gravidanza. Questi vengono forniti in centri specializzati, dove si fornisce assistenza psicologica alle future madri e si cerca - dove possibile - di prevenire le crisi e di intervenire qualora ne sia in atto una. L'organizzazione è affiliata ad Heartbeat International, associazione internazionale che conta più di 1.800 Centri per le gravidanze, nei quali si forniscono consulenze e servizi di sostegno per spingere le donne in difficoltà a tenere il proprio bambino, anziché interrompere la gravidanza. (L.Z.)

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Usa: vescovi favorevoli a tutela neutralità di rete

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I vescovi degli Stati Uniti salutano con soddisfazione il voto favorevole della Federal Communication Commission (Fcc) per tutelare la cosiddetta Neutralità di rete (Net neutrality). Con una decisione destinata ad alimentare ulteriormente il vivace dibattito in corso nel Paese su questo tema, l’Autorità americana per le comunicazioni ha infatti approvato alcune norme che mettono i servizi di connettività a Internet sullo stesso piano di altri servizi ai cittadini, come le linee telefoniche, la corrente, la televisione e la radio, sottoponendo il web alla stessa disciplina introdotta da Telecommunications Act, la legge americana sulle telecomunicazioni del 1934. In pratica questo significa che tutte le aziende devono avere pari accesso alla Rete, senza discriminazioni di alcun tipo.

Un provvedimento osteggiato dalle tlc
Il provvedimento, approvato con i voti favorevoli di tre esponenti in quota democratica contro due in quota repubblicana, è stato accolto con soddisfazione dalle associazioni per i consumatori e con dure critiche, invece, da parte delle grandi compagnie di telecomunicazione (tlc), per le quali si tratta di una decisione anacronistica di carattere politico.

Per i vescovi le nuove norme della Fcc tutelano anche la Chiesa
Con i primi si schierano i vescovi degli Stati Uniti, secondo i quali la tutela di una Rete aperta senza corsie preferenziali imposte dai provider Internet e dettate da interessi commerciali è fondamentale per permettere ai gruppi religiosi, compresa la Chiesa cattolica, di comunicare on line. In questo senso si esprime una dichiarazione di mons. John C. Wester, presidente della commissione per le comunicazioni sociali della Usccb. “Sin da suo inizio – si legge nella nota - fino alla metà degli anni 2000 ai Provider non era permesso discriminare o manomettere le connessioni Internet. Oggi la Fcc ha ripristinato quelle tutele che sono particolarmente importanti per i produttori di contenuti religiosi che non hanno fini commerciali”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Germania: Plenaria dei vescovi su razzismo e sfida digitale

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La famiglia come centro dell’evangelizzazione, il crescente razzismo e la sfida dell’accoglienza, l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione della nuova comunicazione e dei social network nella Chiesa: sono stati questi i principali temi in discussione all’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), svoltasi ad Hildesheim.Alla conferenza stampa conclusiva — della quale l’agenzia Sir ha diffuso un’ampia sintesi ripresa dall’Osservatore Romano — il presidente della conferenza episcopale, cardinale Reinhard Marx, ha ripercorso i lavori ricordando anche l’analisi effettuata sulle situazioni di crisi mondiale, con riferimento particolare alle minacce provenienti dal cosiddetto Stato islamico e alla guerra in Ucraina.

In primo piano la famiglia in vista del prossimo Sinodo dei vescovi
Si è partiti dalla riflessione sulla famiglia, in vista del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre, prendendo spunto dal nuovo questionario sottoposto ai fedeli di tutto il mondo. “Abbiamo inizialmente rivolto uno sguardo all’Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi dell’ottobre scorso. Dai risultati, divenuti lineamenta per il nuovo confronto, e dai quali si è generato il nuovo questionario, risulta fondamentale che la famiglia ritorni a essere il soggetto vitale dell’evangelizzazione”, ha detto l’arcivescovo di Monaco-Frisinga.

Il tema dell’immigrazione
Altro tema importante affrontato dalla plenaria quello dell’approccio all’immigrazione e della formazione sacerdotale per l’accoglienza di profughi e richiedenti asilo, anche in considerazione di fenomeni xenofobi come Pegida, movimento di piazza contro l'islamizzazione nato a Dresda. Mons. Koch, come vescovo della città tedesca ha lamentato il crescente razzismo in Germania: “Chi incita contro i rifugiati, gli stranieri, gli immigrati e le persone di colore, ha la Chiesa contro”, ha detto. E riferendosi alle sue manifestazioni razziste, ha riferito che Pegida, pur tra problemi organizzativi, prosegue nel suo “radicalismo di destra in parole e stile”. Secondo il presule, la rielezione del suo fondatore Lutz Bachmann, dopo le dimissioni per una foto con baffi e acconciatura in stile Adolf Hitler, “fa temere che la democrazia rappresentativa sia in crisi di legittimità».

Il diritto-dovere della Chiesa di assistere i richiedenti asilo
Sulla questione del diritto all’azione caritativa e di protezione da parte delle comunità ecclesiali locali, i vescovi hanno preso una posizione molto chiara: la Chiesa non rivendica alcun diritto speciale per se stessa, ma se le comunità cristiane ospitano i richiedenti asilo, questo accade in casi specifici, e le discrezionalità di legge e regolamentari debbono essere vagliate per evitare disagio umanitario o addirittura il rischio di violazioni dei diritti umani dopo le fughe dai Paesi di origine. Resta ineludibile — è stato sottolineato — la ricerca della soluzione in collaborazione con le autorità statali. La Chiesa tedesca ha poi varato il primo “Premio cattolico contro la xenofobia e il razzismo», occasione per illustrare l’azione ecclesiale in Germania su questa materia”.

La sfida digitale
Nella sua sintesi dei lavori il cardinal Marx ha più volte sottolineato l'importanza per la Chiesa, non solo quella tedesca, di accogliere la sfida della nuova comunicazione, che attraverso l'uso dei social network può aprire nuove strade di evangelizzazione. La giornata di studio che i vescovi hanno dedicato ad approfondire i temi della pastorale, della teologia e dell'approccio coi fedeli attraverso i media sul web ha dato due indicazioni: da un lato, la Chiesa tedesca vuole stare al passo coi tempi e studia i mezzi migliori per riuscirci. Di qui l’esigenza che la Chiesa “si metta senza indugi a usare i social media e non abbia paura della comunicazione digitale". (L.Z.)

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Portogallo: Settimana della Caritas

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“Un solo cuore, una sola famiglia umana”: con questo tema è in corso da domenica, in Portogallo, la Settimana Caritas 2015. L’evento, che proseguirà fino a domenica 8 marzo, è stato presentato da un messaggio di mons. José Traquina, vescovo ausiliare di Lisbona e responsabile dell’accompagnamento spirituale della Caritas portoghese. Nel documento, il presule sottolinea che la Settimana “è un richiamo alla nostra solidarietà, affinché sia più operativa e generosa, soprattutto in tempo di crisi”.

Non lasciare nessuno nel bisogno
“In Quaresima – scrive mons. Traquina – la Chiesa vive un’occasione di conversione personale e comunitaria”, così che tutti siano “un cuore solo ed un’anima sola”, nella sequela delle prime comunità di Gerusalemme, in cui “nessuno rimaneva nel bisogno ed ogni cosa veniva condivisa”. Una tradizione che oggi, putroppo, spiega il presule, si sta perdendo, di generazione in generazione. Poi, l’ausiliare di Lisbona spiega che  la Settimana Caritas si collega anche alla Campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti”, lanciata nel 2013 da Caritas Internationalis, con il sostegno di Papa Francesco.

Lo scandalo di un miliardo di persone che soffrono la fame
E citando proprio le parole del Pontefice, mons. Traquina ricorda “lo scandalo, a livello mondiale, di un miliardo di persone che oggi soffrono la fame”. Nel corso della settimana, in tutte le diocesi portoghesi si terranno raccolte-fondi per le missioni della Caritas, insieme a conferenze, mostre e donazioni volontarie di sangue. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 62

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.