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Sommario del 07/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco a Cl: carisma è fuoco vivo di Dio non un’etichetta

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Tenete vivo il fuoco del vostro incontro con la misericordia di Gesù e non pensate al carisma che condividete come a “un museo dei ricordi”. Sono due delle indicazioni che Papa Francesco ha dato ai membri di Comunione e Liberazione, incontrati in massa in Piazza San Pietro, a 60 anni dall’inizio del Movimento fondato da don Luigi Giussani. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Un fuoco scoppiettante e non uno strato di nobile cenere, da conservare con cura. Papa Francesco usa questa e un’altra mezza dozzina di immagini per spiegare che un carisma – in quanto dono di Dio – è e sarà sempre un dono che produce vita, anche a distanza di anni, e mai un polveroso monumento alla memoria, sbiadito e inerte.

Una Persona, non un’idea
Il carisma in questione è quello che condividono le almeno 80 mila persone, aderenti al Movimento Comunione e Liberazione, che riempiono Piazza San Pietro e danno calore a una mattina che della primavera ha ancora solo la luce. Francesco fa un lungo giro in papamobile tra la Piazza e Via della Conciliazione prima di mettersi in piedi davanti alla folla e confidare subito il “bene” che don Giussani ha fatto alla sua persona e al suo sacerdozio. In particolare, per quel suo insistere sull’esperienza dell’“incontro”, “non con un’idea, ma con una Persona”, con la “carezza della misericordia di Gesù”:

“La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No. Questa non è la morale cristiana, è un’altra cosa questa. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura 'ingiusta' secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me”.

“Essere decentrati”
Francesco batte a lungo sull’essenza di un carisma che 60 anni fa accese in don Giussani “l’urgenza” di “ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo”, creando così un corpo ecclesiale innervato dal Vangelo:

“Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù: Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere ‘decentrati’: al centro c’è solo il Signore!”.

Né guide da museo né adoratori di ceneri
E poi, osserva il Papa, “il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata” e fedeltà al carisma “non vuol dire ‘pietrificarlo’”, giacché – ribadisce – è solo “il diavolo quello che ‘pietrifica’”:

“Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – ‘significa tenere vivo il fuoco,  e non adorare le ceneri’. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!”.

Sinceri e “in uscita”
E da questa libertà, conclude Francesco, nascono “braccia, mani, piedi”, mente e cuori a servizio “di una Chiesa ‘in uscita’:

“‘Uscire’ significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una ‘spiritualità di etichetta’: ‘Io sono CL’ questa è l’etichetta; e poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una Ong”.

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I giovani di Cl: l'incontro con Gesù riempie di senso la vita

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Sin dalle prime ore del mattino Piazza San Pietro è stata invasa gioiosamente da decine di migliaia di aderenti a Comunione e Liberazione, giunti da tutto il mondo per incontrare Papa Francesco. Ascoltiamo i loro commenti raccolti da Marina Tomarro: 

R. - Far parte di Comunione e Liberazione vuol dire avere una prospettiva di vita secondo una concretezza e indicazioni precise perché il cristianesimo non è un’etichetta: è una possibilità di vivere in modo più pieno la propria vita.

D. - Don Giussani diceva sempre che è fondamentale l’incontro con la persona di Gesù Cristo. Questa sua esortazione quanto è stata importante nella sua vita?

R. - E’ stata importante attraverso l’incontro con persone che hanno testimoniato Gesù. E anche adesso, nella compagnia di amici, nelle persone che noi frequentiamo, per riconoscere la presenza di Gesù in loro.

D. - Il modello di vita cristiana è quello che cerco di attuare sia, coi miei limiti, dentro al lavoro e nella costruzione della mia famiglia, ed anche come scopo educativo nella crescita dei miei figli.

D. - Come ti chiami?

R. – Marta.

D. – Quanti anni hai?

R. – 12.

D. – Cosa vuol dire per te fare parte di Comunione e liberazione? Sei molto giovane…

R. – Sì, vuol dire stare insieme agli amici e condividere con loro le nostre emozioni.

R. – Siamo qui perché se non facessimo parte di Comunione e Liberazione non saremmo una famiglia. Probabilmente non ci saremo neanche mai incontrati. E poi perché nella vita abbiamo capito che nella vita è importante seguire Qualcuno e questa è la strada che il Signore ha scelto per noi.

D. - Nella sua vita quotidiana il far parte del movimento cosa vuol dire?

R. - Vuol dire poter contare su una concretezza che si traduce proprio anche nei volti delle persone che mi sono accanto e che vivono questa esperienza e che mi aiutano a ricordarmi la mia appartenenza a Cristo.

D.  – La figura di don Giussani cosa vuol dire per lei?

R.  – E’ stato il primo maestro di fede che ho realmente incontrato nella mia vita.

R. - Io lo ho incontrato tramite i suoi amici, amici stretti: sacerdoti che hanno iniziato con lui questa esperienza. Per cui, per me è un maestro che imparo a conoscere tramite i testi ma che posso conoscere anche attraverso le persone che sono stati suoi amici, che hanno imparato da lui questo metodo di affrontare la vita che dà gusto a ogni cosa.

R. – Vuol dire aver fatto un incontro che ha cambiato completamente la mia vita riempiendola del significato che solo l’incontro con Gesù Cristo può portare.

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Messa del Papa a 50 anni dalla riforma liturgica del Concilio

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50 anni fa, il 7 marzo 1965, Paolo VI si recava nella parrocchia romana di Ognissanti per celebrare per la prima volta la Messa in italiano e con l’altare rivolto verso i fedeli, secondo le norme liturgiche stabilite dal Concilio Vaticano II. Per commemorare l’anniversario, il Papa presiede alle 18.00 una celebrazione eucaristica nella stessa chiesa. Al microfono di Davide Dionisi, ricorda il significato di quell’evento don Flavio Peloso, superiore generale degli Orionini, che oggi come ieri reggono la chiesa di Ognissanti: 

R. – Fu chiaro intento del Concilio e quindi delle indicazioni della riforma e poi lo disse chiaramente Paolo VI, proprio in quel 7 marzo del 1965, definendo “memorabile” quella data: lo scopo è per rendere intellegibile e far capire la preghiera e per rendere possibile una partecipazione attiva dei fedeli al culto della Chiesa, creare e facilitare questo dialogo, questo incontro tra il popolo di Dio e il suo Dio. Ecco, questo è stato lo scopo principale. Quindi un motivo pastorale che si inserisce in quel più ampio dialogo Chiesa-mondo che il Concilio Vaticano II ha promosso.

D. – Quali sono state, secondo lei, le difficoltà dei sacerdoti?

R. – Le difficoltà sono state tante, ognuno avrà vissuto le proprie. Le due grandi novità evidenti in quella celebrazione del 7 marzo 1965 furono il fatto della lingua italiana e il fatto della celebrazione verso il popolo. Sono due grandi capovolgimenti, innovazioni, dopo secoli e secoli di unità della lingua latina per tutti i popoli; e anche questo segno di rivolgersi verso il popolo che significava un’unità anche assembleare davanti al Signore, con il Signore in mezzo, che ha portato a un ri-orientamento piano, piano al di là delle strutture delle Chiese, ma un orientamento anche spirituale. Tanti adattamenti, la novità, ogni cambio in sé porta degli adattamenti, vorrei dire, affettivi prima ancora che spirituali, che pastorali. Senza dubbio, l’obiettivo di favorire il dialogo tra il popolo di Dio e il suo Dio, questo è stato al centro e questo, come disse Paolo VI nell’Angelus di quella domenica, questo ha aiutato ad affrontare, l’ha definito, un “sacrificio” che la Chiesa ha compiuto, della propria lingua, del latino e dell’unità del linguaggio dei vari popoli, ma - disse – “questo sacrificio valeva la pena ed è per voi fedeli, perché possiate unirvi meglio alla preghiera della Chiesa”.

D. – La Costituzione conciliare sulla riforma liturgica richiamò anche alla conciliazione fra sana tradizione e legittimo progresso. A 50 anni di distanza, secondo lei, questa conciliazione è avvenuta?

R. – Credo proprio di sì. Evidentemente le sensibilità possono essere anche diverse. Ma, innanzitutto, più che conciliazione tra sana tradizione e innovazione, progresso, già nel concetto di tradizione c’è il concetto di progresso, perché “traditio” vuol proprio dire consegnare e consegnare a chi viene. E’ chiaro che poi c’è un certo legame a forme, a valori che fanno da contorno, perché la liturgia è un fatto teologico, è un fatto ecclesiale ma è anche un fatto umano in cui la persona con la sua storia, la sua cultura, è coinvolta. Quindi, che ci siano impazienze da una parte sull’innovazione o anche sofferenze per qualcosa di caro che viene a mutare, questo fa parte del cammino umano di ogni realtà. Io sono a capo di una congregazione, anche in una congregazione avviene questo, e tanto più nella Chiesa, nella liturgia, nella sacra liturgia della Chiesa, questo avviene. Però, mi pare che sia saldamente vigilato l’equilibrio tra fedeltà a quanto ricevuto e fedeltà a coloro a cui si trasmette, è saldamente vigilato dal ministero della Chiesa attraverso il ministero del Papa, delle Congregazioni. In questo c’è una grande tranquillità e serenità di camminare nella fedeltà che si rinnova, una fedeltà creativa, fedele alla santa tradizione.

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Nomina episcopale nelle Antille Francesi

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata in udienza il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

In Martinica, nelle Antille Francesi, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Fort-de-France, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Michel Méranville. Al suo posto, il Pontefice ha nominato padre David Macaire, dell’Ordine dei Predicatori, finora priore del Convento dei Domenicani di La Sainte-Baume, Tolone, in Francia. Il neo presule è nato a Hexagonale (Francia) da genitori della Martinica il 20 ottobre 1969. La famiglia è rientrata a Martinica quando lui aveva soltanto quattro mesi di vita, ed egli ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza nelle Antille. Dal 1972 al 1984 ha studiato a Morne-Rouge, presso il Liceo Cattolico retto dalle Suore Domenicane Missionarie di Nostra Signora di La Délivrande. In seguito ha lavorato per 6 anni alla Direction Départementale de l’Équipement (DDE) di Martinique. Ha anche fatto parte del Movimento Carismatico Cattolico. All’età di 21 anni ha cominciato a frequentare i PP. Domenicani. Dopo un anno di discernimento nel Foyer Vocazionale san Domenico Savio, in Martinica, ha deciso di entrare nella Provincia Domenicana di Tolosa, in Francia. Nel 1994 ha iniziato il Noviziato a Marsiglia e il 17 settembre 1995 ha emesso la Professione temporanea nell’Ordine dei PP. Predicatori. Ha seguito la formazione filosofica a Bordeaux e quella teologica a Tolosa, conseguendo la Licenza in Teologia e in Diritto Canonico. Nel 1998 ha emesso la Professione Perpetua. È stato ordinato sacerdote il 23 giugno 2001. Dopo l’Ordinazione, ha ricoperto i seguenti incarichi: (2001 – 2006) Cappellano di alcune scuole, docente di Teologia presso il Seminario maggiore di Bordeaux, Consigliere Spirituale dell’Équipe Notre Dame e maestro dei Fratelli studenti Domenicani; (2007– 2011)  priore del Convento dei Domenicani nell’Arcidiocesi di Bordeaux e Membro del Consiglio Presbiterale della medesima Chiesa locale; dal 2011 priore del Convento dei Domenicani di La Sainte-Baume, Tolone, e Membro del Consiglio Provinciale.
L’Arcidiocesi di Fort-de-France (1967), ha una superficie di 1.080 kmq e una popolazione di 390.371 abitanti, di cui 312.296 cattolici. Ci sono 47 Parrocchie, servite da 54 sacerdoti  (44 diocesani e 10 Religiosi),  12 diaconi permanenti, 9 Fratelli, 142 suore e 4 seminaristi.

In Italia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia per raggiunti limiti di età all’ufficio di ausiliare di Roma presentata da mons. Paolo Schiavon , vescovo titolare di Trevi.

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Papa, tweet: costruiamo la vita di fede su Cristo roccia

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Costruiamo la nostra vita di fede sulla roccia, che è Cristo”.

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Lettera del Papa sui cristiani nascosti in Giappone

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Dal 14 al 17 marzo prossimi la Chiesa giapponese celebrerà il 150.mo anniversario della scoperta dei “cristiani nascosti” del Giappone, i fedeli che dopo 250 anni di persecuzioni furono finalmente liberi di professare la loro fede. Per l’occasione si recherà a Nagasaki il cardinale Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato, nelle Filippine - inviato speciale del Santo Padre per quest’occasione - al quale Papa Francesco ha scritto una lettera per accompagnarlo nella sua missione. Il servizio di Roberta Barbi:  

Un invito ai fedeli a partecipare a questa festa della Chiesa giapponese, ma anche un omaggio ai tanti martiri che hanno donato la propria vita per la sua sopravvivenza. Papa Francesco, impartendo la propria Benedizione Apostolica alle prossime celebrazioni in Giappone, ricorda la testimonianza dei tanti cristiani giapponesi, che riuscirono a tenere la loro fede viva nonostante i secoli bui: una storia dalla quale tutti possiamo imparare, come già aveva sottolineato nel corso dell’Udienza generale del 15 gennaio 2014:

“È esemplare la storia della comunità cristiana in Giappone. Essa subì una dura persecuzione agli inizi del secolo XVII. Vi furono numerosi martiri, i membri del clero furono espulsi e migliaia di fedeli furono uccisi. Non è rimasto in Giappone nessun prete, tutti sono stati espulsi”.

Accadeva nel 1597, appena una cinquantina di anni dopo l’arrivo in Giappone dei Gesuiti prima e di Francescani e Domenicani poi, perché lo shogun credeva che dietro il loro apostolato ci fossero velleità di conquiste militari. Da allora i cristiani divennero “kakure”, nascosti: vivevano nelle catacombe, e non essendoci più sacerdoti, erano i padri di famiglia a battezzare i figli e a trasmettere loro la fede. Ci furono anche molti morti in odium fidei: si ricordano fra i tanti i 26 martiri uccisi a Nagasaki e i 188 che persero la vita nella seconda ondata di persecuzioni, tra il 1603 e il 1639, donne, bambini, intere famiglie. Ma la comunità resistette, mimetizzando i propri simboli dietro a quelli buddisti e risorgendo a nuova vita solo nel 1865, quando il Giappone riaprì le porte ai missionari francesi, che il Venerdì Santo si ritrovarono a celebrare davanti a diecimila fedeli, come ha ricordato anche il Papa:

“Erano sopravvissuti con la grazia del loro Battesimo! Questo è grande: il Popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti. E avevano mantenuto, pur nel segreto, un forte spirito comunitario, perché il Battesimo li aveva fatti diventare un solo corpo in Cristo: erano isolati e nascosti, ma erano sempre membra del Popolo di Dio, membra della Chiesa”.  

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Papa confesserà alcuni fedeli in Basilica venerdì 13 marzo

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Il Papa chiuso nel confessionale in ascolto di una fila di penitenti. È quando accadrà venerdì 13 marzo, alle ore 17, nella Basilica di San Pietro, quando Francesco presiederà il Rito per la Riconciliazione di più persone con la confessione e l’assoluzione individuale.

La conferma è stata data dal Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, mons. Guido Marini.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina in apertura, "Come il fiore del mandorlo. Papa Francesco ricorda don Giussani e la sua teologia dell’incontro con Cristo. E invita Comunione e liberazione a essere protagonista di una Chiesa in uscita"

Di spalla, sempre in prima pagina, "Salute femminile priorità internazionale. Nuove strategie dell’Organizzazione mondiale della sanità". Sotto, "Passi avanti nel dialogo sulla crisi libica. Ottimista il negoziatore dell’Onu Bernardino León".

A pagina 4, "Quando ridono le carte. Pubblicato in facsimile il Dante Gradenighiano" di Antonio Paolucci e  "Il Manzoni di Thomas Mann. Un libro intervista dedicato all’italianista Ezio Raimondi scomparso un anno fa" di Silvia Guidi.

Sempre in cultura, a pagina 5, "Più donne in Vaticano. I dati dell’Ufficio personale", "Pioniere della scienza: Maria Gaetana Agnesi e Laura Bassi" di Flavia Marcacci e un articolo sulla storia delle suore del Cottolengo di Silvia Gusmano.

A pagina sette, “Pensiero unico e capacità di andare controcorrente. Don Giussani secondo un sessantottino” di Piero Sansonetti, un brano tratto dal libro “Un’attrattiva che muove. La proposta inesauribile della vita di don Giussani”, a cura di Alberto Savorana uscito in questi giorni nell’ambito delle iniziative per il decimo anniversario della morte del fondatore di Comunione e liberazione.

In ultima pagina, il testo integrale del discorso rivolto da Papa Francesco al movimento, ricevuto nella mattina di sabato 7 marzo, e un articolo dedicato alle parole pronunciate in quest'occasione da don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL.

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Oggi in Primo Piano



Libia. Card. Montenegro su blocco navale: no a logica respingimenti

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L’Italia faccia un blocco navale davanti alla Libia con l’aiuto dell’Onu. Lo chiede l'inviato speciale delle Nazioni Unite nel Paese nordafricano Bernardino Leon. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni risponde che c’è già una presenza della Marina italiana e che "se ci sarà un accordo" a Rabat tra le fazioni libiche l'Europa dovrà “rafforzare la presenza navale di controllo e di salvataggio in mare”. Alessandro Guarasci ha sentito il cardinale Francesco Montenegro, a capo della commissione Cei per le migrazioni: 

R. – Io credo che continua la logica del respingimento, quando ci siamo resi conto che questa marea non si può fermare. Quindi, ora fare un blocco, credo che significhi assumersi una responsabilità enorme! Questa gente è scappata dalla propria patria perché vuol vivere meglio, e noi diciamo loro: “Ora fermatevi!”.

D. – Secondo lei, che cosa manca in questo momento? Una seria azione politica anche europea verso la Libia, per far sì che le varie fazioni trovino un accordo?

R. – Io ritengo che noi stiamo pagando in parte la logica dell’indifferenza che ha guidato un po’ l’Europa e gli altri Paesi. Perché, quando ci siamo accorti che questo flusso non poteva essere fermato, là ci volevano quelle norme e quelle leggi che avrebbero potuto permettere un’accoglienza diversa. Invece, siamo stati tutti al balcone. L’Italia ha affrontato il problema con i suoi mezzi e ha cercato di fare sempre il meglio, anche se limitato perché questo problema è di tutti.

D. – Sono mancati canali umanitari certi. Insomma, il problema è stato affrontato all’ultimo, secondo lei?

R. – Sì: per me bisognava affrontare prima determinati problemi e avere più serenità nell’affrontarli. Sa, quando io mi vedo 10-11 mila stranieri in un’isola come Lampedusa, mi devo chiedere come e perché. Ma l’Europa s’è girata quando ci sono stati i morti; i morti continuano, ma continuiamo a fare accademia …

D. – Secondo lei, il quadro sarebbe stato diverso con “Mare Nostrum” rispetto a “Triton”, che ha essenzialmente il compito di vigilare sui confini europei?

R. – Ma “Triton” non si poggia sul piano “difendiamo i confini”? L’accoglienza non è mai un atteggiamento di difesa, è un andare incontro e vedere in che modo poter sistemare. A noi sta venendo la paura di tutte queste persone che ci sono, che stanno arrivando: ma queste persone vogliono andare in Europa, sono poche quelle che si vogliono fermare in Italia …

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Sud Sudan. Falliti negoziati di pace, rinviati "sine die"

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Falliti gli sforzi per la pace in Sud Sudan, scosso da un sanguinoso conflitto dal 2013. Non è stato raggiunto l’accordo, ad Addis Abeba, tra il governo di Salva Kiir e i ribelli guidati dall’ex vice presidente Riek Machar. Il dato più preoccupante è che non è stata fissata una nuova data per futuri negoziati, come sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, lo storico corrispondente del “Corriere della Sera” e direttore di africa-express.info, Massimo Alberizzi: 

R. – Sono stati rimandati “sine die”: Riek Machar, ma soprattutto, il presidente Salva Kiir hanno posto condizioni inaccettabili l’uno per l’altro e quindi è fallito tutto. E’ fallito tutto mentre la popolazione continua a morire e la guerra continua. La popolazione continua a morire di stenti perché in questi casi le popolazioni civili sono quelle che soffrono di più. I combattenti muoiono molto meno. Il problema è proprio questo: ormai non è stato fissato un altro round di colloqui e quindi è tutto sospeso. Ovviamente, i mediatori cercheranno di ricucire, però con condizioni precise. Per esempio, la condizione che era venuta a galla, e che era tenuta riservata e segreta dall’Unione Africana, era che sia Salva Kiir sia Riek Machar avrebbero dovuto rinunciare a occupare un posto nel prossimo governo di coalizione, evidentemente. Ma non hanno accettato. Ecco, questo è l’oggetto del contendere: soprattutto questo.

D. – E dunque, allo stato attuale sembra difficile ricucire lo strappo tra ribelli e governo. Ci sono però margini di trattativa?

R. – Diciamo che in questo momento è tutto bloccato: siamo a zero. Siamo tornati al 15 dicembre 2013, quando appunto è scoppiata la guerra. Ovviamente, immagino che dei margini di manovra esistano, nel senso che in qualche modo se ne possono anche creare al momento. Però, in questo momento non vedo niente che possa chiarire l’aspetto negoziale della questione.

D. – E quale può essere il ruolo del Sudan in questa crisi?

R. – Il Sudan appoggia un giorno uno un giorno l’altro, cercando di sostenere tutti e due, ma risulta poi inaffidabile per entrambi – senza contare che hanno problemi interni molto grandi in questo momento in Sudan. Io direi che sono altri gli attori regionali che potrebbero avere un ruolo: in primo luogo l’Uganda, poi il Kenya e anche l’Etiopia.

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Mons. Szyrokoradiuk: solidarietà internazionale per l'Ucraina

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Ucraina: i separatisti russi hanno annunciato oggi di aver completato il ritiro delle loro armi pesanti dalla linea del fronte. Intanto l’Unione Europea vigila sulle regioni orientali del Paese e, secondo il segretario generale dell'Osce "il cessate il fuoco sostanzialmente tiene nonostante alcune violazioni". Le sanzioni europee contro la Russia continuano ad essere uno strumento flessibile: lo ha ribadito l'alto rappresentante dell’Ue per gli Esteri, Federica Mogherini, ma - ha sottolineato il ministro degli Esteri lettone Rinkevics - perchè la pressione su Mosca aumenti, occorre riscontrare "un grave deterioramento della situazione". In una discussione tra i 28 ministri degli Esteri al Consiglio Ue informale di Riga si è parlato soprattutto su come l'Unione Europea può aiutare l'attuazione dell'accordo di Minsk", e su come contribuire "in modo più efficace" al sostegno umanitario all’Ucraina. Sulla situazione nel Paese, Adriana Masotti ha raccolto la testimonianza di mons. Stanislav Szyrokoradiuk, vescovo latino di Kharkiv-Zaporizhia e direttore della Caritas ucraina, in questi giorni a Castelgandolfo per partecipare al Convegno dei Vescovi amici del Movimento dei Focolari: 

R. – Prima di tutto, voglio sottolineare che in Ucraina non esiste nessuna guerra civile: nella diocesi che guido come vescovo, ci sono sette regioni. Questo conflitto si svolge in due di queste regioni, ma questo non è un conflitto tra ucraini, solo aggressione da parte della Russia. Adesso abbiamo più di 10.000 soldati che sono venuti dalla Russia. Se si trattasse di un problema soltanto ucraino, lo avremmo risolto già tanti mesi fa; ma questo non è un problema solo tra ucraini. L’Ucraina adesso è molto unita, siamo insieme, tutta l’Ucraina. Viviamo nelle 24 regioni del Paese e ricordo ancora: questo conflitto riguarda solo due regioni che sono vicine alla Russia, e perciò confidiamo nella solidarietà dell’Europa, nella solidarietà cristiana e, come ha detto anche il Papa, preghiamo insieme.

D – Dove sta, allora, la possibilità di una soluzione del conflitto?

R. – Io penso che senza l’aiuto dell’Europa, senza embarghi ad esempio, non è possibile risolvere questo problema. L’Ucraina, rispetto alla Russia, è troppo debole e quindi per noi è molto difficile da soli.

D. – Quali sono le necessità della gente, attualmente?

R. – Il problema grande è di carattere umanitario. Ci sono già molti morti di fame, in queste regioni e per noi è molto difficile aiutare, perché la linea di fuoco è chiusa, noi non possiamo andare lì. Io penso che con le sue sole forze l’Ucraina non possa risolvere questa situazione e quindi confidiamo nell’aiuto internazionale.

D. – In questo contesto è possibile parlare di dialogo tra cattolici e ortodossi?

R. – Il problema non è tra cattolici e ortodossi: non è questo, il problema. Cattolici e ortodossi, insieme preghiamo per la pace. La Chiesa romana cattolica è più pro-Europa, ma il dialogo è possibile, tutto è possibile, ma manca la pace, manca la pace. Nella situazione attuale, questo dialogo non è possibile. Però, tutti insieme vogliamo aiutare la nostra gente e facciamo tutto il possibile. Io sono responsabile della Caritas: facciamo tantissimi progetti sociali per aiutare i profughi e tanti altri. Adesso, ci sono oltre un milione di profughi solo dalle due regioni di Lugansk e di Donetsk.

D. – Lei in questi giorni sta vivendo un clima tutto diverso, dove al centro c’è la fraternità. Come tornerà poi nella sua terra?

R. – Tornerò arricchito da questa spiritualità. Io sono francescano e per me è sempre stata molto importante l’educazione o formazione permanente per i sacerdoti, anche per vescovi. Adesso mi mancano queste riunioni, ma qui ho trovato una spiritualità molto, molto profonda e anche tanta fraternità e questo è molto importante per noi vescovi. Mi piace molto: è la mia prima volta, ma non credo che sarà l’ultima … 

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Convegno a Roma sui rischi della teoria del gender

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No alla promozione nelle scuole della teoria del gender, che nega la distinzione tra uomo e donna in base al sesso biologico. Se ne parla oggi e domani a Roma nel convegno dal titolo “Sapere per educare: affettività, sessualità, bellezza”. L’incontro, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, vuole esortare docenti, educatori e genitori a prendere coscienza degli attacchi, attraverso tali teorie, alla famiglia naturale e cristiana e al benessere di bambini e ragazzi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Giusy D’Amico, sposa, madre, insegnante, e presidente dell’associazione “Non si tocca la famiglia”: 

R. - Stiamo entrando in un tempo di grande confusione sull’identità sessuale. Stiamo proponendo ai nostri figli, ai nostri alunni, qualcosa che è molto lontana da quella che è la bellezza delle differenze sessuali maschio-femmina, uomo-donna. Questa ricaduta sta avendo effetti gravi nell’istruzione scolastica. In qualche modo, abbiamo dato in appalto l’educazione dei nostri figli ed è qualcosa su cui dobbiamo riflettere e che dobbiamo riprenderci con una certa urgenza, prima che ci sfugga completamente di mano un controllo che, per diritti costituzionali, spetta in fase prioritaria alla famiglia e ai genitori.

D. - Perché è urgente aprire oggi con franchezza un dibattito su questi temi?

R. - Perché sta entrando nelle nostre istituzioni scolastiche una proposta educativa che, in fondo, propone una visione asessuata dell’uomo. Non intendiamo discriminare nessuno, né aprire riflessioni su argomenti che oggi non interessano. Oggi ci interessa rivalutare la bellezza della differenza sessuale, la bellezza della famiglia naturale. Questo progetto di decostruzione dei ruoli non ci piace. Ci sembra lontano da quella che è, invece, l’educazione per i figli, che hanno diritto a una madre e a un padre, a sapere da chi sono stati generati, perché non vi è identità senza origine. Pensiamo che questo sia un tempo nel quale non si può più stare in una sorta di calderone, dove tutto è uguale a tutto, ma vogliamo che i nostri figli abbiano possibilità di riscoprire un’affettività, che, riteniamo, sia legata a questa bellezza delle differenza.

D. - Al contrario secondo lei, è la normalità oggi che viene discriminata?

R. - Assolutamente sì, c’è una sorta di eterofobia che sta cavalcando un po’ l’onda di quelle che sono le mode. Non ci dimentichiamo che dietro tutta la realtà di queste proposte educative, così discusse, ci sono delle lobby economico-politiche fortissime. Ci sono interessi legati a convenzioni internazionali, a tutto ciò che poi riguarda il tema delle teorie di genere, su tutto quello che è il campo delle adozioni, dei matrimoni omosessuali, delle cliniche per il cambiamento di sesso, per tutta la “gestazione di sostegno”, che oggi sembra non si possa chiamare “utero in affitto”… Noi non vogliamo sottostare a queste mode: vogliamo creare attraverso questa tavola rotonda una riflessione in merito, vogliamo creare delle coscienze ferme. I bambini che vivono in questo contesto crescono confusi, non hanno chiarezza sulla loro identità sessuale. Non si può dire a un bambino che nasce maschio, che non sarà uomo, che non sarà donna, ma che sarà quello che vuole essere...

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Giornata Musei Ecclesiastici: scoprire l'arte dimenticata

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Scoprire la ricchezza contenuta nei Musei ecclesiastici. E’ l’obiettivo della Giornata dedicata a questi musei che si tiene oggi e domani. Più di cento musei, di collezione varia ma di proprietà ecclesiastica, apriranno le loro  porte. Anna Zizzi ha intervistato la presidente dell’Associazione Musei Ecclesiatici italiani, Domenica Primerano

R. – Abbiamo pensato che proponendo ingressi gratuiti o ridotti e iniziative studiate ad hoc si aveva l’occasione di far entrare nei nostri musei persone che normalmente non frequentano questi istituzioni perché, lo ricordiamo, c’è un grave pregiudizio nei confronti dei nostri musei. Un pregiudizio che molto spesso impedisce alle persone di entrarci. Ci equiparano a sagrestie polverose, sempre chiuse. I nostri musei non sono più sagrestie polverose, ma sono luoghi nei quali sempre più spesso  lavorano persone che hanno competenze specifiche e che quindi organizzano le diverse istituzioni come qualsiasi altro museo contemporaneo. I Musei ecclesiastici sono di proprietà della Chiesa e, al loro interno, conservano collezioni prevalentemente storico-artistiche, ma ci sono anche musei naturalistici. Quindi, sono musei di collezione varia ma di proprietà ecclesiastica. Il discorso per quanto riguarda il museo religioso è diverso: contiene solo collezioni di tipo religioso, ma può essere anche di proprietà altra rispetto alla Chiesa.

D. – Quali sono gli obiettivi di questa giornata?

R. – Sono quelli di far conoscere la realtà di questi “musei cancellati”, così come li abbiamo chiamati. Sono musei snobbati dalla maggior parte delle persone e quindi vogliamo che le persone entrino nelle nostre istituzioni e comprendano quale sia la nostra peculiarità.

D. – In questa occasione, i Musei ecclesiastici apriranno le loro porte: quali sono le attività proposte?

R. – Sicuramente in gran parte dei musei ci saranno visite guidate gratuite, iniziative studiate ad hoc, percorsi che, ad esempio, mettono in evidenza le figure femminili nell’ambito dei Santi... Ci sono iniziative anche di tipo musicale, teatrale, per i bambini, per le famiglie, quindi c’è un po’ di tutto. È un modo per accogliere i visitatori con iniziative che li intrattengono ma che, allo stesso tempo, fanno conoscere loro realtà che magari non sono così vicine.

D. – Quali sono i musei che sarà possibile visitare?

R. – Andando sul sito dell’Amei – Associazione Musei Ecclesiastici italiani – è possibile trovare l’elenco delle istituzioni che aderiscono a questa iniziativa. Sono più di cento i musei che hanno aderito: in questa lista si possono consultare gli orari, le iniziative collegate alla giornata e quindi chiunque può, visitando il nostro sito, informarsi su ciò che il museo più vicino propone.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella terza domenica di Quaresima la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù caccia i mercanti dal tempio, gettando a terra il denaro dei cambiamonete e rovesciandone i banchi. Ai venditori di colombe dice:

«Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Con questa terza domenica entriamo nel vivo del tempo di Quaresima. Nell’antichità, queste tre domeniche (illuminate dal Vangelo della Samaritana, del cieco nato e della risurrezione di Lazzaro), accompagnavano i catecumeni nelle loro ultime tappe di scrutinio e di preparazione alla Veglia Pasquale, per ricevere il sigillo battesimale che li costituiva figli di Dio. L’anno B ci guida con tre diversi passi del Vangelo, ma non dovremmo perdere questa dinamica pasquale. Il brano del Vangelo di oggi racconta il viaggio che Gesù, come ogni pio israelita, compiva tre volte all’anno a Gerusalemme (per la Pasqua, a Pentecoste e alla festa delle Capanne). Nel tempio – come in ogni luogo religioso – si svolge il ritmo di sempre con i sacrifici da compiere, gli animali da comprare, i soldi da spendere... Gesù ha iniziato la sua attività messianica, è pieno di zelo per il Signore e per la sua casa: denuncia e scaccia tutto questo mercimonio religioso, perché non si faccia della casa del Padre suo un mercato. È una parola estremamente forte anche per noi: se vogliamo incamminarci verso la Pasqua, se vogliamo che la Pasqua sia una nuova consacrazione della nostra vita al Signore, anche noi dobbiamo accogliere la denuncia che il Signore ci fa oggi: la mia casa non può essere un mercato, un miscuglio di religione e di apostasia, di cielo e di terra, di cose di Dio e di soldi, per edificare noi stessi: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). Dio non si coniuga mai con la violenza, ma neppure con il denaro. Viene la Pasqua, viene il Signore ad abitare nel suo vero tempio: il nostro cuore.

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa, vescovi: Siria terra di disperati, il mondo si muova

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La crisi in Siria è giunta a un “punto di non ritorno”: lo scrive il Servizio per i Migranti ed i rifugiati della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), dopo una visita compiuta in Medio Oriente alla fine del 2014 e sulla quale ieri ha pubblicato un rapporto. Intitolato “Rifugio e speranza al tempo dell’Isis: l’urgente bisogno di protezione, aiuto umanitario e soluzioni durature in Turchia, Bulgaria e Grecia”, il documento guarda al dramma dei rifugiati siriani in questi tre Paesi europei.

Il mondo si muova
Nel rapporto, i presuli sottolineano che ormai i rifugiati della crisi siriana sono quasi quattro milioni, rendendo difficile, per i Paesi della regione, gestirne il flusso. “Senza un maggiore aiuto internazionale – si legge nel testo – troveremo siriani, in fuga dagli estremisti, costretti a tornare indietro, verso il pericolo”. Di qui, l’appello alla “comunità internazionale affinché, guidata da Europa e Stati Uniti, incrementi i suoi aiuti per prevenire una crisi umanitaria”.

Le popolazioni sono sempre più disperate
Il rapporto mette, inoltre, in luce le difficoltà che i siriani devono affrontare nei loro viaggi verso l’Europa, che molti intraprendono, pericolosamente, anche via mare. Allo stesso tempo, i Paesi confinanti con Siria e Iraq stanno mostrando segni di tensione e attuando nuove politiche, più restrittive, in relazione ai confini nazionali. “È apparso chiaramente, dal nostro viaggio – continua il rapporto – che lo spazio di protezione per i siriani, nella regione, si sta restringendo, mentre le persone sono sempre più disperate”.

A rischio i bambini e le minoranze religiose
Quindi, il documento della Chiesa statunitense sottolinea “l’impatto che la crisi in Siria sta avendo sui bambini, il cui numero è di circa 2 milioni, quasi la metà del totale dei rifugiati siriani”. Tra loro, spiega il rapporto, “ci sono minori non accompagnati che hanno particolare bisogno di protezione”. “Stiamo assistendo all’esodo della nuova generazione siriana – ribadisce il documento episcopale – con poche speranze per il futuro”. La delegazione ha, inoltre, espresso “grave preoccupazione per il dramma delle minoranze religiose, tra cui quella cristiana, che diventano un obiettivo degli estremisti”.

Implementare politiche per soluzioni durature
“Senza una risposta plateale a questa crisi umanitaria senza precedenti – conclude il rapporto – continueremo a vedere sofferenza e morte tra i siriani, soprattutto tra i più vulnerabili”. Infine, il documento riporta una serie di raccomandazioni per risolvere la crisi: in particolare, alla comunità internazionale viene suggerito di “implementare politiche in grado di massimizzare la capacità di ogni nazione di fornire soluzioni durature attraverso l’integrazione o il reinsediamento mirato”, “implementare lo status di richiedente asilo nell’Ue, senza legarlo ad un determinato Paese europeo”, avviare un monitoraggio sui rifugiati per offrire loro “assistenza tecnica e ricongiungimenti familiari”; aumentare la quota di rifugiati, non solo siriani, ma anche afghani, iracheni ed africani, accettati nei vari Paesi, in particolare in Turchia. (I.P.)

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Filippine, vescovi: riforma agraria è questione di equità

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Approvare senza ulteriori rinvii le leggi 4296 e 4375 per consentire la piena applicazione della riforma agraria, il "Carp" (Comprehensive Agrarian Reform Program - Carp) tuttora incompiuta nelle Filippine. È il corale appello rivolto ai membri del Congresso dai vescovi filippini in una lettera inviata nei giorni scorsi al presidente, Benigno S. Aquino III. I due provvedimenti, che attendono ancora l’approvazione dei due rami del Congresso, prevedono il rinnovo dei poteri e degli stanziamenti necessari al Dipartimento per la Riforma (Dar) e l’istituzione di una Commissione ad hoc per verificare l’applicazione della legge e sanzionare le violazioni che impediscono l’effettiva assegnazione  dei terreni.

No concentrazione delle proprietà terriere
Non estendere il Carp e non assicurare l’acquisizione delle terre “equivale a privare almeno un milione di contadini del loro diritto a diventare proprietari dei campi che arano, a condividere in modo equo i frutti del loro lavoro e trovare una strada per uscire dalla povertà”, afferma la lettera firmata da 81 presuli, tra i quali il presidente della Conferenza episcopale (Cbcp), mons. Socrates B. Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan. “Significa inoltre che il Paese non è riuscito a porre fine all’ingiusta concentrazione della proprietà terriera nelle mani di pochi e quindi a permettere una crescita inclusiva”, aggiungono i presuli, che chiedono ai parlamentari di non lasciare morire nel silenzio la riforma “prima che la liberazione e l’emancipazione dei coltivatori  sia portata a termine”.

La Chiesa da anni in campo per la riforma agraria
Da anni, la Chiesa filippina si batte a favore dei contadini poveri e di una distribuzione più equa della terra. Le aree rurali del Paese pagano infatti l'eredità storica di una forte concentrazione delle proprietà terriere: le riforme del 1988 e del 1998, fortemente osteggiate dalle lobby dei latifondisti, non hanno risolto la questione agraria nel Paese, con un conseguente aumento delle tensioni sociali nelle campagne. Un primo importante risultato della battaglia della Chiesa è stata l’estensione della Carp nel 2009, anche se la ridistribuzione delle terre procede ancora a rilento. Nella loro lettera, i vescovi filippini denunciano che un totale di 708.000 ettari di terre coltivate attendono ancora di essere distribuiti, mentre tra un milione e un milione e mezzo di ettari che il Dar dichiara di avere assegnato non sono ancora entrati in possesso dei nuovi proprietari. (L.Z.)

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Vescovo di Yucatán: una buona famiglia richiama grandi donne

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“La famiglia e la donna, costruendo la pace”: si intitola così il messaggio diffuso da mons. Emilio Carlos Berlie Belaunzarán, arcivescovo di Yucatán, in Messico, in occasione di due ricorrenze significative: la Giornata nazionale della famiglia, celebrata ilo scorso primo marzo, e la Giornata internazionale della donna che ricorre l’8 marzo. “Celebrare le famiglie e le donne – scrive il presule – ci offre l’opportunità di valorizzare lo stretto rapporto che esiste tra loro, soprattutto nella trasmissione della vita e nell’educazione della persona. Una buona famiglia, infatti, richiama alla mente grandi donne”.

Una preghiera per le famiglie perseguitate
Quindi, lo sguardo di mons. Berlie Belaunzarán si allarga alle tante famiglie e donne cristiane che soffrono nel mondo, a causa delle persecuzioni e delle violenze, in particolare quelle provocate dal narcotraffico; per questo, il presule esorta i fedeli a pregare e a essere solidali con coloro che “vivono sulla propria pelle le persecuzioni e la mancanza di sicurezza”. Un’altra preghiera viene richiesta anche per quelli che “abusano delle popolazioni e delle comunità, affinché Dio tocchi i loro cuori e mantengano un sentimento di umanità e di solidarietà”. “La violenza genera solo tristezza e disperazione – ribadisce il presule messicano – mentre la fede incoraggia a costruire la pace”.

Genitori e impegno educativo
Ma le preghiere dell’arcivescovo di Yucatán si elevano in particolare per le famiglie, affinché siano “comunità di vita, amore e fede in cui si impara ad accettarsi e comprendersi reciprocamente, lavorando per il bene comune”. Anche i figli sono al centro degli auspici del presule, che prega affinché “non cadano nella trappola della superficialità e dei piaceri materiali”, ma “diano valore alla vita ed al loro corpo, in quanto doni di Dio”. Allo stesso tempo, i genitori vengono invitati “a non scoraggiarsi, pensando di aver fallito nel nobile impegno di costruire una famiglia e di educare i figli”. E ancora, un’ulteriore invocazione viene rivolta al Signore “per la Chiesa, affinché tutti i battezzati siano segni efficaci della sua presenza di  amore e di servizio”, liberi dall’egoismo grazie “all’aiuto del perdono”.

Lavorare tutti insieme per la pace
Infine, il presule non manca di porre in risalto gli aspetti positivi della realtà messicana, come le tante famiglie animate “dalla fede nel Signore”, le numerose opere sociali, i tanti missionari, le prove di altruismo e di attenzione nei confronti di malati, anziani, bambini orfani. “Ringraziamo Dio – conclude mons. Berlie Belaunzarán – che ha permesso a tanti genitori di educare i propri figli alla gratitudine, al servizio ed alla testimonianza”, così da “lavorare tutti insieme per la pace”. (I.P.)

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Irlanda. Lanciata campagna ecumenica raccolta sangue e organi

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Incoraggiare la donazione di sangue e di organi in Irlanda. E’ l’obiettivo della nuova campagna ecumenica “Flesh and Blood”, lanciata in questi giorni nella cattedrale cattolica di San Patrizio di Armagh, dal primate cattolico irlandese Eamon Martin e dall’arcivescovo anglicano della Chiesa d’Irlanda Richard Clarke.

La cultura della donazione poco diffusa tra gli irlandesi
La cultura della donazione è ancora poco diffusa tra gli irlandesi: solo il 3% della popolazione infatti dona sangue, mentre sono necessari ogni settimana tremila donatori. Una unità di sangue dura solo 35 giorni. Inoltre, ogni donatore di organi può potenzialmente aiutare altre nove persone. Di qui l’urgenza di sensibilizzare l’opinione pubblica. “Questa campagna ci chiama tutti a riconoscere importanza di essere donatori di organi o di sangue e ci sfida ad rispondere a questa necessità con generosità e amore”, spiega mons. Martin.

800 persone in attesa di trapianto d‘organo in Irlanda
Secondo Eddie Rooney, presidente del Comitato dell‘Irlanda del Nord per la donazione di sangue nella Repubblica d’Irlanda e in Irlanda del Nord ci sono circa 800 persone in attesa di trapianto d‘organo, mentre sono 96 mila coloro che ogni anno ricevono trasfusioni di sangue. La campagna “Flesh and Blood” prenderà ufficialmente il via il 6 marzo. (L.Z.)

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Burkina Faso. Giornata cristiana del cinema

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“La Chiesa continua a giocare un ruolo importante nella promozione del cinema che difende i valori umani e spirituali”: nella Giornata cristiana del cinema, svoltasi recentemente, nel Burkina Faso, il cardinale Philippe Ouedraogo si è rivolto con queste parole a cineasti e cinefili partecipanti al 24.mo Festival Panafricano del Cinema di Ouagadougou, Fespaco, il cui tema di quest’anno è “Cinema africano: produzione e diffusione nell’era del digitale”. Nella cattedrale della capitale burkinese, il porporato ha presieduto la tradizionale Messa di apertura della rassegna cinematografica offrendo una riflessione sullo slogan della Giornata cristiana del cinema “Chiesa e Cinema: un’occasione perduta?” e sottolineando che la Chiesa ha qualcosa da dare al cinema, così come il cinema ha qualcosa da dare alla Chiesa Famiglia di Dio.

I media devono essere voce dei senza-voce
“Come universi culturali nuovi a servizio della comunicazione, con i loro linguaggi e soprattutto con i loro valori e controvalori specifici, cinema e media in generale – ha detto l’arcivescovo di Ouagadougou – hanno bisogno di essere evangelizzati. Si pone allora una grande sfida: come permeare questa nuova civiltà di veri valori etici del Vangelo della salvezza portati da Gesù Cristo?”. Per il porporato,  i media devono sforzarsi di essere “la voce dei senza-voce, perché ovunque la dignità umana sia riconosciuta a chiunque” e perché l’uomo sia sempre al centro di tutti i programmi politici”. “I media devono svolgere la loro funzione profetica denunciando i mali e le ingiustizie", ha aggiunto il cardinale Ouedraogo. Che ha soggiunto: "Prendendo spunto dai principi cristiani e dalla dottrina sociale della Chiesa, i cristiani che lavorano professionalmente nel mondo dei media, devono diffondere il Bene, il Vero, il Bello e contribuire all’evangelizzazione del mondo”. (T.C.)

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Hong Kong. Inaugurata casa di formazione dei Salesiani

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Nel giorno della festa dei Santi martiri salesiani, Luigi Versiglia e Callisto Caravario, il 25 febbraio, l’Ispettoria salesiana cinese ha inaugurato e benedetto ad Hong Kong la “Casa di Nostra Signora” nel Seminario Salesiano Missionario. Per l’occasione, è intervenuto Don Pascual Chávez Villanueva, rettor maggiore emerito. Nel suo discorso, riferisce l’agenzia salesiana Ans, Don Chávez ha detto che quella terra è stata scelta da San Luigi Versiglia e poi edificata dal Servo di Dio, don Carlo Braga. Perciò, ha spiegato, si tratta di un luogo sacro per la presenza salesiana in Cina; infine ha ricordato i giovani poveri e bisognosi e il martirio di don Versiglia.

Punto di riferimento anche per i missionari
La nuova casa servirà ad ospitare gli aspiranti, i neo-salesiani e i missionari. Nel benedirla il Rettor maggiore emerito ha detto di voler benedire anche tutti coloro che la abiteranno e i benefattori che hanno contribuito a costruirla. Don Lanfranco Fedrigotti, Ispettore, ha quindi raccontato di come San Luigi Versiglia scelse e acquistò il terreno nel periodo 1927-1930, mentre passeggiava assieme a mons. Enrico Valtorta, all’epoca vicario apostolico di Hong Kong.

Realizzazione del sogno di Don Bosco
Don Simon Lam, responsabile del comitato di costruzione, ha poi ribadito come nessuno potesse fermare il sogno di Don Bosco: il progetto di Dio ha infatti toccato il cuore di un ex allievo per sostenere il progetto di costruzione, e in seguito anche quello dell’architetto; e per finire ha incoraggiato tutti i presenti – circa 120 membri della Famiglia Salesiana locale – ad andare spesso a quella casa, per visitare, incontrare e incoraggiare i Salesiani.

Spazi pronti ad accogliere più di venti studenti
La Casa di Nostra Signora consta di un centro spirituale giovanile, di varie camere per giovani salesiani e missionari e di aule per svolgere attività e realizzare programmi giovanili. In totale, può ospitare 26 persone.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 66

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.