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Sommario del 09/03/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: lo stile di Dio è l'umiltà e il silenzio, non lo spettacolo

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Dio agisce nell’umiltà e nel silenzio, il suo stile non è lo spettacolo: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

Nel Vangelo del giorno Gesù rimprovera gli abitanti di Nazareth per la mancanza di fede: all’inizio – afferma il Papa - viene ascoltato con ammirazione, ma poi esplode “l’ira, lo sdegno”:

“In quel momento, a questa gente, che sentiva con piacere quello che diceva Gesù, ma non è piaciuto quello che diceva ad uno, due o tre, e forse qualche chiacchierone si è alzato e ha detto: ‘Ma questo di che viene a parlarci? Dove ha studiato per dirci queste cose? Che ci faccia vedere la laurea! In che Università ha studiato? Questo è il figlio del falegname e ben lo conosciamo’. E’ scoppiata la furia, anche la violenza. “E lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte”. Volevano gettarlo giù”.

La prima lettura parla di Naamàn, comandante dell’esercito siro, lebbroso. Il profeta Eliseo gli dice di bagnarsi sette volte nel Giordano per guarire e anche lui si indigna perché pensava a un gesto più grande. Poi ascolta il consiglio dei servi, fa quanto detto dal profeta e la lebbra scompare. Sia gli abitanti di Nazareth che Naamàn – osserva il Papa – “volevano lo spettacolo”, ma “lo stile del buon Dio non è fare lo spettacolo: Dio agisce nell’umiltà, nel silenzio, nelle cose piccole”. Questo – sottolinea – a partire dalla Creazione, dove il Signore non prende “la bacchetta magica”, ma crea l’uomo “col fango”. E’ uno stile che attraversa “tutta la storia della salvezza”:

“Quando ha voluto liberare il suo popolo, lo ha liberato per la fede e la fiducia di un uomo, Mosè. Quando ha voluto far cadere la potente città di Gerico, lo ha fatto tramite una prostituta. Anche per la conversione dei samaritani ha chiesto il lavoro di un’altra peccatrice. Quando Lui ha inviato Davide a lottare contro Golia, sembrava una pazzia: il piccolo Davide davanti a quel gigante, che aveva una spada, aveva tante cose, e Davide soltanto la fionda e le pietre. Quando ha detto ai Magi che era nato proprio il Re, il Gran Re, cosa hanno trovato loro? Un bambino, una mangiatoia. Le cose semplici, l’umiltà di Dio, questo è lo stile divino, mai lo spettacolo”.

Il Papa ricorda “anche una delle tre tentazioni di Gesù nel deserto: lo spettacolo”. Satana lo invita a gettarsi dal pinnacolo del Tempio perché, vedendo il miracolo, la gente possa credere in lui. “Il Signore - invece - si rivela nella semplicità, nell’umiltà”. “Ci farà bene in questa Quaresima – conclude Papa Francesco - pensare nella nostra vita a come il Signore ci ha aiutato, a come il Signore ci ha fatto andare avanti, e troveremo che sempre lo ha fatto con cose semplici”:

“Così agisce il Signore: fa le cose semplicemente. Ti parla silenziosamente al cuore. Ricordiamo nella nostra vita le tante volte che abbiamo sentito queste cose: l’umiltà di Dio è il suo stile; la semplicità di Dio è il suo stile. E anche nella celebrazione liturgica, nei sacramenti, che bello è che si manifesti l’umiltà di Dio e non lo spettacolo mondano. Ci farà bene percorrere la nostra vita e pensare alle tante volte che il Signore ci ha visitato con la sua grazia, e sempre con questo stile umile, lo stile che anche Lui chiede a noi di avere: l’umiltà”.

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Papa Francesco riceve il Re e la Regina dei Belgi

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Papa Francesco ha ricevuto, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Re dei Belgi, Sua Maestà Philippe, e la Regina Mathilde, i quali si sono successivamente incontrati con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - sono state rilevate le buone relazioni bilaterali tra il Belgio e la Santa Sede. Ci si è poi soffermati su questioni di comune interesse, quali la coesione sociale, l’educazione dei giovani, il fenomeno delle migrazioni e l’importanza del dialogo interculturale e interreligioso. Sono state poi passate in rassegna alcune problematiche di carattere internazionale, con speciale riferimento alle prospettive future del Continente Europeo”. 

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Papa: no a teologi da museo, ma di frontiera, segno della misericordia di Dio

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La teologia viva sulle frontiere, facendosi carico di tutti i conflitti del mondo. Così Papa Francesco nella lettera al cardinale Mario Aurelio Poli, arcivescovo di Buenos Aires e gran cancelliere della Pontificia Università Cattolica Argentina (Uca), in occasione dei 100 anni della facoltà di Teologia del medesimo ateneo della capitale argentina. Il servizio di Giada Aquilino

Teologi che odorano di strada
Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, “odorano di popolo e di strada”. Lo ha ricordato Papa Francesco, salutando gli alunni e il personale della facoltà, nel centesimo di fondazione in coincidenza - ha aggiunto - con i cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, che “ha prodotto un irreversibile movimento di rinnovamento che viene dal Vangelo”: adesso, ha sottolineato, “bisogna andare avanti”. La riflessione del Pontefice è partita dall’assunto che “insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera”, quella in cui il Vangelo incontra le necessità della gente a cui va annunciato in maniera “comprensibile e significativa”.

Non una teologia da tavolino, ma da frontiera
Dobbiamo quindi “guardarci”, ha aggiunto, da una teologia “che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro”. Essa va “radicata e fondata” sulla Rivelazione, sulla Tradizione, accompagnando quindi i processi culturali e sociali, “in particolare le transizioni difficili”. L’idea di Francesco è dunque quella di una teologia che si faccia carico “anche dei conflitti”: non soltanto quelli “che - ha notato - sperimentiamo dentro la Chiesa”, ma anche quelli “che riguardano il mondo intero e che si vivono lungo le strade dell’America Latina”. L’invito è stato a non accontentarsi “di una teologia da tavolino”: il luogo di riflessione - ha scritto - “siano le frontiere”.

Costruire umanità
È tornata poi un’immagine cara al Pontefice, quella di una Chiesa “ospedale da campo”, per salvare e guarire il mondo, di cui la teologia sia espressione, attraverso la misericordia, che non è “solo un atteggiamento pastorale ma è - ha ricordato - la sostanza stessa del Vangelo di Gesù”. Senza di essa, teologia, diritto e pastorale “corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che - ha spiegato - di natura sua vuole addomesticare il mistero”. Comprendere la teologia, ha aggiunto, “è comprendere Dio, che è Amore”. L’auspicio finale del Pontefice è stato quello di formare all’Università Cattolica Argentina non un “teologo da museo”, non uno studioso che resta a guardare dalla finestra lo svolgersi della storia, non “un burocrate del sacro”, ma “una persona capace di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana”.

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Il cardinale Tauran ha giurato come nuovo Camerlengo

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Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha prestato stamani giuramento nella Cappella Urbano VIII come nuovo camerlengo di Santa Romana Chiesa. Papa Francesco ha presieduto la breve liturgia prevista in questa occasione, leggendo i testi liturgici previsti, senza pronunciare alcun discorso. Il card. Tauran, dopo aver letto il testo del giuramento, ha pronunciato alcune brevi parole di ringraziamento: "Siamo consapevoli - ha detto - dei doveri che ci incombono oggi e domani. Preghiamo perché le nostre negligenze non nascondano mai l’immagine e la testimonianza di questa Sede Apostolica, questa Chiesa di Roma che presiede alla carità. Chi parla a nome di tutti desidera ringraziare Vostra Santità che ha voluto nominarlo Camerlengo di Santa Romana Chiesa. Un’ulteriore manifestazione di fiducia da parte di Vostra Santità. Le assicuro Padre Santo, che secondo quanto da Lei auspicato, saremo sempre attenti a rispettare il diritto, ad agire con sobrietà e a collaborare con tutti i Membri della Curia Romana".

Il camerlengo, ricordiamo, è il porporato che presiede la cosiddetta Camera Apostolica e che svolge l'ufficio di curare e amministrare i beni e i diritti temporali della Santa Sede durante la Sede Vacante: in questo periodo è tra coloro che non decadono dalle loro funzioni e che continuano a svolgere gli affari ordinari, sottoponendo al Collegio dei cardinali ciò che avrebbe dovuto essere riferito al Pontefice. Il cardinale Tauran ha ricevuto la nomina il 20 dicembre scorso e succede nell’incarico al cardinale Tarcisio Bertone.

Al giuramento erano presenti anche il vice-camerlengo, mons. Giampiero Gloder; il prefetto della Casa Pontificia, mons. Georg Gaenswein; il maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, mons. Guido Marini; mons. Giuseppe Sciacca, uditore generale della Camera Apostolica, circa sette-otto chierici e altro personale della Camera Apostolica.

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Francesco a Tor Bella Monaca: i precetti non fanno il cristiano

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Domenica pomeriggio Papa Francesco ha visitato la parrocchia romana di Santa Maria Madre del Redentore, nel quartiere periferico di Tor Bella Monaca. Tanti gli incontri: con i giovani, i malati, i poveri, il Consiglio pastorale. Il Papa ha parlato delle difficoltà sociali del quartiere e ha ricordato che non sono precetti e divieti a fare il cristiano ma l'amore di Gesù. Forti anche le parole del Papa nella Messa. Ce ne parla Fausta Speranza: 

Faccia da cattolico e vita da pagano. Papa Francesco parla di uomini dalla doppia faccia e afferma: "Non possiamo ingannare Gesù, che conosce quello che c'è dentro di noi". Partendo dalla pagina del Vangelo in cui Gesù entra nel Tempio e caccia i mercanti, parla di quanti appaiono in un modo e operano diversamente e ricorda che nel tempio “Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo":  

"Faccio il cattolico, il vicino alla Chiesa, e poi vivo come un pagano? 'Ma Gesù non lo sa, nessuno va a raccontarglielo'. Ma Lui lo sa. 'Lui non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza; egli, infatti, conosceva quello che c’è nell’uomo'. Gesù conosce tutto quello che è dentro il nostro cuore: noi non possiamo ingannare Gesù. Non possiamo, davanti a Lui, fare finta di essere santi, e chiudere gli occhi, fare così, e poi portare una vita che non sia quella che Lui vuole. E Lui lo sa".

Francesco è chiarissimo nella definizione:

"Tutti sappiamo il nome che Gesù dava a questi di doppia faccia: ipocriti".

Quello che allontana Gesù - dice Francesco - è la doppia faccia:

"‘Ma, io vado in chiesa, tutte le domeniche, e io …’: sì, possiamo dire tutto quello. Ma se il tuo cuore non è giusto, se tu non fai giustizia, se tu non ami quelli che hanno bisogno dell’amore, se tu non vivi secondo lo spirito delle Beatitudini, non sei cattolico. Sei ipocrita". 

Francesco chiede a tutti di domandarsi: Gesù ti fidi di me? Io ho una doppia faccia? Dentro ognuno di noi - afferma Francesco - si trova il peccato ma del peccato Gesù non si spaventa:

“Anche dentro di noi ci sono sporcizie, ci sono peccati di egoismo, di superbia, di orgoglio, di cupidigia, di invidia, di gelosie … tanti peccati! Anche, possiamo continuare il dialogo con Gesù". 

Il punto - spiega il Papa - è che se riconosciamo di essere peccatori e apriamo la porta a Gesù, possiamo pulire l'anima: 

"Voi sapete qual è la frusta di Gesù per pulire la nostra anima? La misericordia. Aprite il cuore alla misericordia di Gesù! Dite: ‘Ma, Gesù, guarda quanta sporcizia! Vieni, pulisci. Pulisci con la Tua misericordia, con le Tue parole dolci; pulisci con le Tue carezze”.

Se noi apriamo il nostro cuore alla misericordia di Gesù perché pulisca il nostro cuore, la nostra anima - assicura Papa Francesco - Gesù si fiderà di noi.

Ci sono poi da riferire le parole del Papa negli incontri prima della celebrazione. Rispondendo a una domanda di una bambina sul perchè esiste l'inferno se Dio perdona sempre, il Papa ha affermato che Dio è sempre disposto alla misericordia ma l'inferno è quando una persona rifiuta l'amore di Dio:

"All'inferno non ti mandano ci vai tu, perchè tu scegli di essere lì rifiutando l'amore di Dio".  

Come ha fatto il diavolo che - aggiunge Francesco - è l'unico che siamo sicuri che sta all'inferno". A proposito di moralità, il Papa ha sottolineato che "vivere moralmente è una grazia, una risposta all'amore di Dio", ma bisogna "riconoscere l'amore di Dio che ama per primo". Nell'incontro con il consiglio pastorale, Francesco si è soffermato sulle difficoltà di lavoro del quartiere romano dicendo: la gente di Tor Bella Monaca ha lo stesso difetto che avevano Gesù, Giuseppe e Maria, quello di essere poveri. Ma non era una povertà senza lavoro. Oggi, la bontà - ha affermato - è messa a dura prova se, senza un'occupazione, non si può dare da mangiare ai propri figli. "Tanta gente che è buona - ha detto il Papa - è costretta a fare cose cattive perchè non trova un'altra via". Ricordando l'impegno di tanti animatori della Parrocchia per la gente in difficoltà, Francesco ha sottolineato quanto il diavolo e l'ingiustizia entrino attraverso le dipendenze, sia l'alcool, sia la droga. E ha ribadito: "Voi avete capito questo: sotto la polvere che si può vedere c'è un'anima buona, sempre. E una carezza, una tenerezza, un gesto di sfamare la gente, fa tanto bene".

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Tweet: l’umiltà salva l’uomo; la superbia gli fa perdere la strada

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Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “L’umiltà salva l’uomo; la superbia gli fa perdere la strada”.

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Altre udienze

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Papa Francesco ha ricevuto alcuni presuli della Conferenza Episcopale di Corea, in Visita "ad Limina Apostolorum".

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Tomasi: chi ha più inquinato è più responsabile, non paghino i poveri

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Mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu di Ginevra, è intervenuto nella odierna sessione del Consiglio dei Diritti Umani, in corso nella città elvetica dal 2 marzo scorso. L’intervento del presule si è legato al tema in dibattito oggi: la promozione e la protezione di ogni diritto umano, compreso il diritto allo sviluppo, nel rispetto dell’ambiente.

Tre i punti evidenziati per raggiungere una giustizia comune e distributiva: il contributo di tutti secondo le concrete possibilità economiche e tecnologiche, la condivisione delle conoscenze su accesso e produzione delle risorse fondamentali, l’assunzione di responsabilità nel quadro della “giustizia riparativa”: questo - ha detto - "implica che coloro che hanno beneficiato di più dell'uso di risorse naturali, e hanno quindi inquinato di più l'ambiente, hanno un particolare dovere di lavorare per il suo restauro". A tal proposito, in riferimento ai danni ambientali che potrebbero “interferire” con il godimento dei diritti umani, la Santa Sede – ha ricordato l’arcivescovo – esprime “apprezzamento” per la buona pratica di redigere “rapporti di sostenibilità” riguardanti gli impatti economici, ambientali e sociali causati dalle attività quotidiane delle aziende.

“E’ una questione di giustizia – ha aggiunto - aiutare le persone povere e vulnerabili che soffrono per motivi che in gran parte non sono stati causati da loro e vanno al di là del loro controllo. Un passo concreto potrebbe essere quello di mettere a loro disposizione il meglio della tecnologia che attenui" i danni causati dall'inquinamento. Ora – ha proseguito -  tutti gli occhi sono concentrati sulla Conferenza di Parigi sul clima che si terrà nel prossimo dicembre: “lì, poveri e ricchi saranno vincitori se potremmo raggiungere un accordo su un regime internazionale post-2020, in cui tutte le nazioni del mondo, inclusi i maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra, raggiungeranno un accordo universale vincolante sul clima”.

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Reggente Penitenziera: preti stiano più nel confessionale

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Presso il Palazzo della Cancelleria, a Roma, si svolge dal 9 al 13 marzo il 26.mo Corso sul foro interno della Penitenzieria Apostolica. Il 12 marzo, alle ore 12.00 è prevista l’udienza con il Papa. Tra i temi in esame, la corretta amministrazione del Sacramento della Penitenza, i suoi aspetti canonici, morali e liturgico-pastorali, ma anche i doveri e diritti dei penitenti, etica e genetica. A questo proposito, Fabio Colagrande ha intervistato mons. Krzysztof  Nykiel, reggente della Penitenzieria Apostolica:

R. - Da più di un quarto di secolo durante il periodo quaresimale, che è propriamente il tempo liturgico della riconciliazione e della conversione, la Penitenzieria Apostolica organizza questo Corso perché siamo profondamente convinti che la valorizzazione del ministero penitenziale, soprattutto della confessione, dipende in gran misura anche dai sacerdoti e dalla loro consapevolezza di essere depositari di un ministero prezioso e insostituibile. Il nostro Dicastero, accogliendo i continui inviti che ci vengono da Papa Francesco ad essere misericordiosi e a non avere paura di confidare  nella divina misericordia, intende sottolineare l’importanza che ha per la vita di ogni cristiano il Sacramento della Riconciliazione che, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, “offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione. I Padri della Chiesa presentano questo sacramento come “la seconda tavola [di salvezza] dopo il naufragio della grazia perduta”(cfr. CCC., n. 1446). In questa prospettiva, costituisce senz’altro una delle priorità pastorali, specialmente per i presbiteri in cura d’anime, quella di trascorrere sempre più tempo nel confessionale perché, mediante l’amministrazione di questo sacramento, si hanno tante opportunità per formare rettamente la coscienza dei credenti aiutandoli ad accogliere Cristo nei loro cuori e ad aprirsi alla Sua Presenza sempre capace di trasformare, convertire e fare nuove tutte le cose. Ogni attività pastorale deve saper orientare al confessionale, nel quale, prima e meglio di ogni azione umana, agisce la potenza della grazia che, liberandoci da ogni male, ci restituisce sempre di nuovo la dignità di figli di Dio e membri della Chiesa. Pertanto, destinatari del Corso sono i novelli sacerdoti, i diaconi e i candidati al sacerdozio che frequentano l’ultimo anno del curriculum formativo degli studi in vista del presbiterato. Oggetto particolare del corso sono temi di teologia morale e di diritto canonico, aspetti pastorali e liturgici, condizioni e situazioni particolari di penitenti … Alcune conferenze, altresì, saranno dedicate alle informazioni necessarie per redigere e inviare le domande o i ricorsi da sottoporre alla Penitenzieria Apostolica circa le materie esclusivamente a essa riservate o che utilmente possono essere a essa inoltrate. Ogni giorno i partecipanti possono pur sempre presentare domande di approfondimento ai diversi relatori che si avvicenderanno durante i giorni del Corso.

D. - Lei ha poc’anzi che “ogni attività pastorale deve orientare al confessionale” … ma oggi in diversi paesi soprattutto della nostra Europa cristiana molti fedeli disertano il confessionale. Ci può spiegare quale, secondo Lei, il motivo?

R. - E’ vero. In molti paesi europei pochi sono i fedeli che si accostano con frequenza al sacramento della confessione. Il motivo, secondo me, è da ricercarsi nella diffusione - soprattutto tra i giovani - della perdita del senso del peccato. La causa principale di tale perdita è da individuare fondamentalmente nell’estromissione di Dio dall’orizzonte culturale moderno. Molte persone non mettono più Dio al centro della loro vita. Non gli riconoscono il primato che gli spetta. Le diverse correnti del pensiero moderno (relativismo, ateismo, idealismo, materialismo), proclamando l’assolutizzazione della ragione umana, hanno portato ad una cancellazione di ogni responsabilità morale ed etica. Tutto è lecito. Tutto è permesso. La “mia personale opinione” è la sola verità. Siamo come avvolti da un atmosfera amorale, non esistendo più la frontiera tra vizio e virtù, tra ciò che è buono e ciò che non lo è, tra bene e male. A tal proposito, vorrei ricordare ciò che il Papa emerito Benedetto XVI ha affermato durante la recita dell’Angelus del 13 marzo 2011: “se si elimina Dio dall’orizzonte del mondo, non si può parlare di peccato. Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre; l’ombra appare solo se c’è il sole; così l’eclissi di Dio comporta necessariamente l’eclissi del peccato. Perciò il senso del peccato – che è cosa diversa dal “senso di colpa” come lo intende la psicologia – si acquista riscoprendo il senso di Dio” (cfr. Benedetto XVI, Angelus del 13 marzo 2011). Davvero allora possiamo affermare che la colpa più grave di oggi è quella di non sentirsi peccatori e, quindi, non sentire il bisogno di ritornare a Dio, di convertirsi a Lui, di sperimentare la bellezza del Suo perdono. E’ questa difficoltà dell’uomo moderno a riconoscere il peccato e il perdono che spiega, alla radice, anche le difficoltà della pratica cristiana della confessione o riconciliazione. La Chiesa, allora, oggi più che mai è chiamata a rilanciare la remissione dei peccati e l’annuncio della Divina Misericordia, sempre più grande di ogni peccato, come parte fondamentale della sua azione pastorale e missionaria. Questa riscoperta non può non avvenire  attraverso il sacramento della Penitenza che più di ogni altro sacramento rivela la grandezza, la sublimità e la bellezza dell’amore misericordioso di Dio che è un amore, come ha scritto San Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dives in misericordia, “più potente della morte, più potente del peccato e di ogni male, che solleva l'uomo dalle abissali cadute e lo libera dalle più grandi minacce” (n. 13).

D. - Ma in che modo il Corso sul Foro interno, che è indirizzato soltanto ai sacerdoti, può aiutare tutti anche e soprattutto i christifideles laici nella riscoperta e valorizzazione del sacramento della penitenza?

R. - Grazie per questa domanda che mi consente di precisare un obiettivo molto importante che ogni anno la Penitenzieria si prefigge di raggiungere mediante il Corso che è, appunto, quello di formare sacerdoti che siano sempre più apostoli e missionari della misericordia di Dio. Il nostro Corso ha come fine spirituale e pastorale quello di suscitare nei sacerdoti la consapevolezza di quanto il sacramento della confessione sia indispensabile per il cammino di santificazione personale e per quello dei fedeli laici che sono affidati alle loro cure pastorali. Se un sacerdote ha coscienza della sublimità del sacramento della penitenza, se egli stesso sa riconoscersi peccatore e bisogno continuamente della misericordia di Dio, allora Egli saprà trasmettere questa medesima convinzione a tutti coloro che il Signore ha affidato al suo cuore di pastore e di guida delle anime. La valorizzazione del ministero penitenziale, soprattutto della confessione, dipende molto dai sacerdoti e dalla loro consapevolezza di essere depositari di un ministero prezioso e insostituibile. I sacerdoti sono principalmente gli strumenti della Divina Misericordia. E’ Dio stesso, infatti, che perdona la colpa quando il confessore assolve il fedele che con animo sinceramente contrito si accosta al confessionale. Ogni confessore, dunque, è “educatore di misericordia” perché deve essere capace di aiutare i penitenti a fare una concreta esperienza della Misericordia di Dio. Il Corso sul Foro intende aiutare i sacerdoti ad essere “buoni educatori” di misericordia, degli ottimi pedagoghi che conducono a Cristo! Educare alla misericordia è uno degli aspetti più significativi della vita cristiana che si inserisce nell’orizzonte più ampio, non solo della pastorale della Chiesa, ma delle sfide che caratterizzano il nostro tempo.

D. - Eccellenza, ci pare di capire dalle Sue risposte che il confessionale è un “passaggio obbligatorio” nel cammino di santificazione personale ed ecclesiale … Ci spieghi meglio il perché …

R. - Certamente.  Come sappiamo, l’uomo può scegliere di commettere il male, ma da solo non se ne può liberare. Solo Dio ha il potere di eliminare il peccato del mondo. Solo Lui ci può redimere e salvare. E Dio esercita questo “Suo potere di perdono e di misericordia” attraverso il Sacramento della Penitenza  che “Cristo ha istituito” – come ricorda sempre il già citato Catechismo della Chiesa Cattolica -  «per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale (cfr. CCC., n. 1446). Per i cristiani battezzati l’unico modo per ricevere l’assoluzione dei peccati ed avere così la certezza che Dio ci ha veramente perdonato passa attraverso il Sacramento della Riconciliazione. Infatti, coloro che “si accostano al sacramento della penitenza, ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui; allo stesso tempo si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera” (cfr. Lumen Gentium, n. 11). Come ha ribadito Papa Francesco durante l’udienza generale del 19 febbraio 2014, tutta incentrata sul sacramento della riconciliazione, “Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede, si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù. Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso e risorto” (cfr. Papa Francesco, Udienza generale del 19 febbraio 2014). Ecco spiegato in questo passaggio del discorso del Papa la vera motivazione per cui senza sacramento della confessione non ci può essere vera conversione e santificazione. Anzi aggiungo di più: senza sacramento della confessione non ci può essere vera carità. Solo chi ha sperimentato la misericordia di Dio può provare compassione e carità nei confronti del prossimo.

D. - Eccellenza, il Corso si conclude anche quest’anno con la celebrazione penitenziale presieduta dal Santo Padre nella Basilica di san Pietro che inaugura l’iniziativa pastorale “24 con il Signore” … ci può illustrare brevemente come si svolgerà la celebrazione?

R. - E’ una grande gioia per la Penitenzieria Apostolica concludere il Corso sul Foro interno con la Celebrazione Penitenziale presieduta da Papa Francesco venerdì 13 marzo p. v. nella Basilica Vaticana e che darà l’avvio all’iniziativa “24 ore per il Signore” che prevede per tutta la notte la confessione e l’adorazione eucaristica in alcune chiese del centro di Roma e che è stata estesa a tutte le diocesi e le parrocchie del mondo perché si dedicassero momenti particolari per promuovere il Sacramento della Riconciliazione. Siamo davvero grati al Santo Padre per i suoi continui richiami a non aver paura di accostarsi al sacramento della riconciliazione perché Dio è felice di perdonarci e di accoglierci come suoi veri figli. La Penitenzieria Apostolica metterà a disposizione per l’amministrazione del Sacramento della Confessione, durante la suddetta celebrazione penitenziale, ben 60 confessori di cui la maggior parte sono costituiti dai Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali dell’Urbe, ai quali si aggiungono lo stesso Cardinale Penitenziere Maggiore, il Reggente e gli officiali sacerdoti del Dicastero. Sarà un forte momento di grazia e un occasione favorevole per riflettere la nostra chiamata alla conversione, a cambiare vita e mettere l’amore di Dio al centro del nostro cuore.

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Voices of faith: un premio per donne che aiutano altre donne

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“Donne seminatrici di sviluppo”. E’ il tema dell'evento intitolato "Premio Voices of Faith" che si è svolto ieri pomeriggio in Vaticano. Il riconoscimento è dedicato alle donne che si occupano di promuovere la dignità di altre donne costrette a vivere in condizioni di gravi difficoltà materiali e morali in ogni parte del mondo. Il servizio di Marina Tomarro

Donne che aiutano altre donne ad avere una vita migliore, attraverso l’istruzione e un lavoro che permetta di vivere in maniera dignitosa, mettendo spesso a rischio anche la propria vita. Sono queste le donne premiate da “Voices of faith”. Tante le storie racconte, come quella di suor Marta Pelloni che in Argentina ha dedicato la sua vita a salvare le vittime della tratta. Ascoltiamo la sua testimonianza:

R. – En estos momentos…
Al momento oggi, abbiamo 35 iniziative in varie province e città argentine, create per la sensibilizzazione, perché questa passi alla società, passi per il cuore, per i sentimenti; sono iniziative nell’ambito della tratta, del traffico, dello sfruttamento sessuale e commerciale di ragazze e ragazzi adolescenti, degli abusi sessuali domestici, della violenza di genere e della droga; parliamo di attività con gruppi interdisciplinari formati da assistenti sociali, lavoratrici sociali, avvocati e psicologi, per lavorare gratuitamente, volontariamente. Sono tre figure indispensabili per assistere le vittime in questi ambiti. Fondamentalmente bisogna che siano presenti le forze vive in queste iniziative - la giustizia, la municipalità, il governo, l’educazione, la salute, i giudici, i quartieri, le donne, gli universitari, le Chiese al plurale - perché tutti si sensibilizzino e si impegnino in questi problemi, che sono sociali e che inoltre rappresentano la vita minacciata oggi; lì dove fanno male, nel mondo intero, la tratta e il traffico, il reclutamento delle persone per lo sfruttamento dal punto di vista lavorativo, sessuale, commerciale - la donna si vende: viene comprata e venduta durante il giorno più che la droga - e il traffico di organi. Questo è il dolore del mondo oggi, una vita minacciata.

E fondamentale per molte donne è il ruolo dell’istruzione, come via di fuga da esistenze molto dure. Mary McFarland, insieme alla sua famiglia si reca nei campi profughi di tutto il mondo, per aiutare i giovani ad acquisire un diploma e poter così guardare al futuro con maggior speranza. Ascoltiamo la sua esperienza:

R. – I do this work of higher education at the margins because of this true belief that …
Svolgo la mia opera di educazione superiore per gli emarginati perché sono fermamente convinta del fatto che l’istruzione consente alle persone di vedere il mondo e i problemi in maniera diversa, ci vengono in mente soluzioni nuove … Una cosa ormai è chiara: ci sono oltre 50 milioni di persone costrette a vivere ai margini delle società e con l’educazione superiore possiamo creare il presupposto per cui la loro voce possa essere ascoltata. Come possiamo pensare di trovare soluzioni ai problemi del mondo, senza aver capito che queste persone, che hanno sperimentato le situazioni più gravi, hanno bisogno del supporto dell’istruzione in modo che imparino a comprendere quello che vedono, quello che fanno, quali siano le necessità? Ci sono cose semplici come corsi di agricoltura per le donne, per insegnare loro come seminare e far crescere le colture; affrontare con loro la questione del suolo: come mantenerlo sano … Quindi, nozioni molto pratiche che possono cambiare la loro vita e tutto questo attraverso l’istruzione e la formazione. Un altro aspetto è questo: riceviamo tantissime richieste per scuole elementari; ma se non abbiamo i maestri, possiamo costruire tutte le scuole che vogliamo ma non serviranno a niente. Quindi, con l’educazione superiore prepariamo le persone all’insegnamento per gli studenti delle scuole elementari e superiori in tutti i posti del mondo… Mentre da un punto di vista strettamente egoistico, io imparo tanto quanto imparano gli studenti, perché è veramente fenomenale vederli raccogliere un’idea, un concetto ed elaborarlo.

E tra le premiate anche suor Hatune Dogan, che tramite la sua fondazione che porta il suo nome cerca con tutte le forze di aiutare e salvare le donne perseguitate e rapite nel mondo. Ascoltiamo la sua testimonianza:

R. – My name is Hatune I am born in …
Il mio nome è Hatune e sono nata in un villaggio nella Turchia meridionale. Io ho vissuto la persecuzione sulla mia pelle da parte dei villaggi musulmani vicini, perché eravamo cristiani. Anche se eravamo nel Paese da tempi antichi e le terre erano nostre, siamo stati perseguitati e abbiamo dovuto lasciare il Paese. Sono arrivata così in Germania nel 1985, dove ho studiato e ho creato la Fondazione che si propone di aiutare i poveri, ovunque siano. Siamo oggi presenti in 35 Paesi, contiamo sulla collaborazione di 5 mila volontari e riusciamo a raggiungere oltre 6 milioni di persone povere, tra i più poveri del mondo e tra i perseguitati, con un’attenzione particolare alle ragazze rapite e violentate. In India il nostro impegno è volto a migliorare la posizione delle donne nella società che in quel Paese si trovano a un livello molto basso. Abbiamo selezionato in India 23 scuole professionali per le donne: ogni anno rilasciamo certificati professionali a 2.300 ragazze, e questo le aiuta a vivere.

L’operato di suor Hatun nel corso degli anni  arriva in molti Paesi Africani e tra i lebbrosi del Nepal, ma appena la situazione peggiora in Medio Oriente, decide di tornare lì:

R. – In the Middle East we are working….
In Medio Oriente stiamo lavorando con le ragazze rapite: diamo loro un alloggio, cibo, mezzi di sussistenza in modo che possano vivere, poi le trasferiamo in luoghi più sicuri, perché non siano rapite di nuovo. Cerchiamo di aiutarle, anche di portarle in Europa: queste persone sono tutte traumatizzate … Io personalmente ho conosciuto 262 ragazze che sono finite nelle mani dell’Is, liberate in diversi modi: noi cerchiamo di salvarle, di portarle in Europa in modo che possano ricevere le cure adeguate e tornare a sentirsi di nuovo esseri umani. Molte di loro si suicidano perché non riescono a convivere con l’esperienza che hanno fatto. Ed è per questo che ho bisogno di aiuto, urgentemente. Ho bisogno di aiuto per continuare a salvare le ragazze!

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo “La ragion d’essere della Chiesa”.

La drammatica condizione delle profughe siriane.

Quella sottile differenza tra sviluppo e progresso: anticipazione della relazione dell’arcivescovo di Digione Roland Minnerath sulla novità del magistero sociale di Paolo VI.

Il rogo della discordia: Anna Foa sul conflitto fra Castellio e Calvino secondo Stefan Zweig.

Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo “E se si raccontasse la storia del romanzo?”: delude la trasposizione cinematografica di “Suite francese”.

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Oggi in Primo Piano



Attacchi jihadisti in Iraq, Libia e Nigeria. Raid coalizione in Siria

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Orrore in Libia, dove i jihadisti affiliati allo Stato Islamico hanno decapitato otto guardie a seguito di un attacco ad un campo petrolifero. Nella stessa azione rapiti nove lavoratori, tutti stranieri. E nelle aree del califfato in Iraq è ancora furia iconoclasta contro i siti archeologici. Distrutta e saccheggiata l’antica città di Dur Sarrukin, l'odierna Khorsabad. Proseguono anche i raid della coalizione internazionale sulle roccaforti dell’Is: almeno 30 miliziani integralisti sono stati uccisi in Siria. Il servizio di Marco Guerra: 

L’assalto al campo petrolifero libico di Al Ghani è avvenuto venerdì scorso, ma solo ieri è emersa l’efferatezza con cui è stata compiuta l’azione. Otto delle undici guardie uccise nell’attacco sono state decapitate e sono stati presi in ostaggio nove dipendenti tutti stranieri, fra cui due europei, un austriaco e un ceco. E nonostante le informazioni restino controverse, fonti libiche confermano che Sirte - come da tempo  il 'califfato' di Derna - è in mano al sedicente Stato islamico. Intanto nelle aree controllate dall’Is in Iraq continua la distruzione di antichi siti assiri. Ieri è toccato all’area di Khorsabad, a 20 chilometri a nord di Mosul. Secondo testimoni locali, gli jihadisti hanno rubato gran parte delle antichità e hanno fatto saltare in aria quel poco che hanno lasciato. Si tratta del quarto colpo inferto dal califfato alla storia irachena, dopo gli attacchi a Nimrud, Hatra e al museo archeologico di Mosul. In Siria i raid della coalizione internazionale hanno colpito una raffineria nelle mani dell’Is uccidendo 30 miliziani. Terrore jihadista anche in Nigeria: cinque persone sono morte per un’esplosione al mercato di Borno, nel nord-est, a circa 70 chilometri da Maiduguri, dove nel frattempo è salito a 62 vittime il bilancio dei quattro attacchi congiunti di sabato, mentre militari del Ciad e del Niger hanno attraversato il confine per combattere alcune milizie di Boko Haram. E solo due giorni fa è stato diffuso il video con cui il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha giurato fedeltà allo Stato Islamico e al califfo al Baghdadi. Ma per capire quali punti di contatto ci sono tra le due organizzazioni sentiamo Pietro Batacchi, direttore della rivista italiana "Difesa":

R. – Se guardiamo bene la logica e la dinamica che hanno portato alla dichiarazione di fedeltà al califfato da parte di Boko Haram, si tratta di un epilogo logico, un epilogo abbastanza scontato, per quello che è ed è stato un percorso di Boko Haram, tutto incentrato sull’estremismo e sulla violenza sempre più cieca e settaria. Questo percorso di estremismo verrà anche a breve sancito formalmente, dopo che lo stesso Stato Islamico ha inviato – questa è una notizia assolutamente dell’ultima ora – una delegazione in Nigeria proprio per firmare formalmente questa alleanza. Quindi nell’estremismo, nel settarismo confessionale, volto anche alla sistematica uccisione di persone musulmane, in questo si può ritrovare un punto di comunione con lo Stato Islamico e con il califfato sostanzialmente. Al Qaeda oggi ha attutito molto questi tratti, l'Is tutto questo non lo fa e non lo fa neanche Boko Haram.  Ecco spiegata in parte l’adesione di Boko Haram al califfato.

D. – Negli ultimi giorni anche un attentato in Mali, rivendicato sempre da un gruppo jihadista guidato da un algerino. Poi ci sono le decapitazioni in Libia. Insomma, l’Africa rischia di diventare il nuovo fronte del terrorismo?

R. – L’Africa è il fronte del terrorismo e dello jihadismo ormai da anni. Si tratta di un continente dove sono aperti focolai di insurrezione islamica o terroristica ormai consolidati. Appunto, lei faceva giustamente riferimento al Mali, ma si potrebbe dire anche della Somalia. Peraltro esistono tutte quelle condizioni ideali per la proliferazione dei gruppi jihadisti: dallo scarso controllo dei governi centrali su vaste aree di territorio, alla porosità dei confini, alla diffusa povertà, alla diffusa marginalità sociale, per finire alle dinamiche tribali e confessionali. Per cui, questo è un cocktail micidiale, che già ormai da anni ha fatto sì che diversi gruppi jihadisti e islamisti attecchissero in diverse parti dell’Africa.

D. – Tuttavia, secondo alcuni reportage nel califfato si avvertono le prime crepe alimentate dai bombardamenti internazionali…

R. – Il califfato ha perso terreno, soprattutto in Siria, nell’area di Kobane, dove comunque i raid aerei della coalizione a guida Usa sono stati intensi, più frequenti e più di lunga durata. Ed effettivamente, in una parte del Nord della Siria il califfato sta perdendo terreno. Per il resto, grandi cedimenti non ci sono. In Iraq adesso è in corso l’offensiva delle forze irachene su Tikrit, di cui ancora saldamente detiene il controllo lo Stato Islamico. Nella parte occidentale dell’Iraq il califfato è assolutamente consolidato, per cui questo grande cedimento, a parte – ripeto – in alcune aree del Nord della Siria, non mi pare ci sia ancora adesso.

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La Bce ha iniziato acquisto titoli di Stato: fuori Atene

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La Bce ha iniziato a comprare titoli di Stato tedeschi e italiani avviando così il piano di quantitative easing. Si tratta di una sostanziale iniezione di liquidità,  per combattere la deflazione in Europa. Al momento resta fuori Atene.  La Banca Centrale Europea – ha spiegato il governatore Draghi - ricomincerà ad accettare titoli di Stato ellenici in garanzia solo quando saranno rispettati gli impegni presi nel programma concordato con i creditori internazionali.  La crisi greca resta al centro della riunione dei ministri delle Finanze della zona euro. Da parte sua, il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha dichiarato che nessuna tranche di aiuti verrà versata ad Atene nel mese di marzo. La lista delle riforme richiesta da mesi da Bruxelles e presentata venerdì dal governo Tsipras risulta infatti incompleta. Fausta Speranza ha chiesto un'analisi della situazione a Paolo Guerrieri, docente di Economia internazionale all'Università La Sapienza di Roma: 

R. - Sinceramente la lista delle riforme presentata da Atene presenta forti carenze, perché è molto vaga, molto generica. Tra l’altro, va considerato che dopo la vittoria di Tsipras, la situazione economica in Grecia è peggiorata fortemente: c’è stato un forte deflusso di capitali dalle banche, in qualche maniera anche le casse dello Stato hanno incassato poco. Quindi, perché l’Eurogruppo adesso possa decidere in favore della concessione di quest’ultima tranche di finanziamenti, evidentemente il Governo greco deve presentare qualcosa di molto più consistente. Speriamo che si convinca soprattutto Tspiras, che poi deve condurre la negoziazione, che c’è un interesse reciproco, sia dei Paesi dell’Eurogruppo, tra cui l’Italia, e ovviamente la Grecia, che si raggiunga un accordo; ma bisogna creare le condizioni perché questo mutuo interesse si esprima. E sinceramente, soprattutto le dichiarazioni di questi giorni del ministro delle Finanze Varoufakis, che hanno poi seguito l’accordo di qualche settimana fa, non sono state proprio d’aiuto, perché si continua su questa linea un po’ di sfida all’Europa, di critica radicale, che - intendiamoci - ha degli elementi di verità, perché sappiamo che le politiche del passato non hanno funzionato, e stanno cambiando, infatti. Non per niente, Mario Draghi e la Bce oggi avviano il famoso “quantitative easing”. Ma bisogna avere un diverso approccio. Quindi, speriamo che il governo greco capisca che bisogna che questo negoziato sia condotto in maniera più cooperativa di quanto non sia stato fatto finora.

D. – Diciamo che per la Grecia può passare anche il treno del ”quantitative easing”, che sarebbe stata invece una grossa opportunità per Atene…

R. – Se la Grecia non facesse i compiti a casa, nel senso che se dovesse accettare una linea di sfida e di contrapposizione, le cose si potrebbero mettere molto male: non solo con il “quantitative easing”, ma perché il governo greco rischia una vera e propria bancarotta.

D. – Ricordiamo brevemente che cos’è il “quantitative easing”…

R. – Il “quantitative easing” è una politica monetaria cosiddetta non convenzionale, perché non è la riduzione indiretta dei tassi di interesse, che è quello che fanno le Banche centrali; ma è quello che, prima negli Stati Uniti, poi in Regno Unito, poi in Giappone, e ultima  in Europa,  tutte le Banche centrali hanno fatto: cioè, non potendo ridurre i tassi di interesse ormai a zero, la Banca centrale, per cercare di influire e rendere quindi più favorevole la liquidità, compra direttamente titoli nel mercato secondario - innanzitutto i titoli pubblici, quindi dei vari Stati - e poi  titoli che possano in qualche modo aiutare a raggiungere l’obbiettivo. Quindi è una politica non convenzionale perché, inaugurata dalla Federal Reserve quattro anni fa, è una politica che mira ad acquisti diretti sul mercato. La Banca Centrale Europea l’ha fatto con molto ritardo. Però, ha cominciato ad acquistare titoli sul mercato secondario, e lo farà per 60 miliardi di euro al mese, fino a superare, addirittura, nel settembre 2016, i 1.100 miliardi di euro. Sono cifre imponenti: il volume di acquisti europeo è simile, se non addirittura superiore, a quello che fu messo in campo dalla Federal Reserve. È quindi un passo decisivo, perché si prefigge uno scopo: quello di combattere il pericolo di deflazione, cioè la diminuzione dei prezzi ed il circolo vizioso che una deflazione potrebbe mettere in campo.

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Omicidio Nemtsov: 7 arresti, ma ancora dubbi su movente e mandante

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In Cecenia, dopo l’arresto di 5 sospetti di origine caucasica, sono state fermate altre 2 persone in relazione all’omicidio, a Mosca, del leader dell’opposizione Boris Nemtsov. La pista più accreditata sembra legata alle dichiarazioni di Nemtsov sull'islam dopo la strage perpetrata nella sede del giornale francese “Charlie Hebdo”. Ma i giudici non escludono anche il movente della rapina. Restano, dunque, ancora molti dubbi e ombre dietro l’omicidio di Nemtsov, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco, il giornalista Fabrizio Dragosei, corrispondente da Mosca del “Corriere della Sera”: 

R. - Visto che stiamo parlando di un ex vice primo ministro, francamente pare un po’ strano che ad organizzare tutto sia stato un gruppo di personaggi assolutamente sconosciuti, minori. E che abbiano agito solamente per odio nei confronti di Boris Nemtsov, che aveva commentato la strage fatta a Parigi nella redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo”. Gli amici di Nemtsov, sicuramente, non credono a questa versione e pensano che ci sia dietro qualcosa di più grosso.

D. – Anche se gli inquirenti vantano delle prove, non sono pochi - non solo in Occidente - quanti vedono in questa pista caucasica un capro espiatorio …

R. – Diciamo, per essere precisi, che è molto probabile, ma forse addirittura sicuro, che questi siano effettivamente gli esecutori e, magari, gli organizzatori materiali dell’attentato e dell’omicidio. Ma quello che ancora non viene detto, e quello che lascia perplessi, è il fatto che manchino poi dei mandanti.

D. - Sembra anche non convincente il movente dell’omicidio: secondo i giudici russi, gli assassini avrebbero agito per denaro; altre piste, nei giorni scorsi, hanno portato al malcontento dei nazionalisti russi per le critiche di Nemtsov al ruolo di Mosca nella crisi ucraina, ad una vendetta addirittura per motivi di gelosia, oppure ad un’azione di estremisti islamici. Resta un ventaglio di ipotesi molto ampio…

R. – Rimane un ventaglio molto ampio, dal quale però è esclusa la pista sulla quale puntano invece i colleghi e gli amici di Nemtsov: la pista degli avversari politici anche di alto livello, o di alto profilo, che sembrerebbe quella più logica. Fin dall’inizio, il Presidente Vladimir Putin aveva indicato la teoria della provocazione: cioè un omicidio fatto affinché ricadesse proprio sulle spalle del potere del Cremlino per destabilizzare la situazione russa; gli inquirenti, invece, avevano subito puntato sulla criminalità comune, sulla gelosia, ecc. In questo momento, ci sono addirittura poi due teorie che vengono portate avanti parallelamente: da un lato, c’è questa pista dell’estremismo islamico, favorita dal fatto che uno degli accusati avrebbe confessato; però, dall’altra, l’incriminazione di due arrestati è avvenuta sulla base di alcuni articoli del codice penale russo che parlano invece di tutt’altro, ovvero di un delitto legato a questioni di denaro, di rapina, di criminalità comune. Quindi c’è molta confusione e si ha un po’ l’impressione che non si sia ancora deciso, da parte degli inquirenti, quale sentiero seguire fino in fondo…

D. – L’opposizione, intanto, chiede che Putin venga sentito come testimone…

R. – Questa idea di sentire Vladimir Putin come testimone sembra, francamente, abbastanza ridicola: non porterebbe sicuramente a nulla, e avrebbe semplicemente l’effetto mediatico di mettere in un’aula di tribunale il Presidente russo.

D. – Quali conseguenze potrà avere la vicenda Nemtsov sul futuro politico della Russia e del Presidente Putin?

R. – In realtà, fin dall’inizio, i collaboratori di Putin avevano detto un qualcosa di sicuramente un po’ cinico, ma vero, ovvero che Nemtsov era un personaggio che politicamente contava molto poco. E così purtroppo è anche il suo omicidio. La situazione è tale che l’opposizione a Vladimir Putin in Russia oggi è quasi inesistente e non basta certamente l’omicidio di Nemtsov a rilanciarla.

D. – Per alcuni media americani, invece, l’omicidio di Nemtsov può portare, alla lunga, proprio all’epilogo della parabola politica di Putin…

R. – Questa io la definirei, visto che parliamo di americani - come dicono gli inglesi - un “wishful thinking”, cioè a loro piacerebbe che fosse così. Ma la realtà mi pare ben diversa: Putin gode di un sostegno fortissimo da parte dell’opinione pubblica, e soprattutto in Russia non esiste, non è nato, non è cresciuto un personaggio che possa prendere in mano l’opposizione, coagularla e costituire un vero pericolo per Vladimir Putin. L’opposizione è frantumata e i leader dell’opposizione non riescono neanche a mettersi d’accordo tra di loro: alle ultime elezioni presidenziali si sono presentati in ordine sparso e così, sicuramente, succederà alle prossime. Quindi Putin è forte da un lato e l’opposizione è debolissima dall’altro.

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Giovani di ogni credo nel Convento agostiniano di Tolentino

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Una settimana di convivenza a Tolentino, con i religiosi agostiniani del Convento San Nicola. A sperimentarla, da alcuni anni, sono le classi delle scuole superiori della cittadina marchigiana che a turno – senza trascurare gli impegni scolastici – trascorrono 5 giorni insieme, tra momenti di preghiera, meditazioni e spazi ricreativi. Padre Gabriele Pedicino, religioso agostiniano, ha descritto l’iniziativa al microfono di Tiziana Campisi, che ha poi chiesto a 4 giovani di raccontare la loro esperienza: 

R. – Questa è un’esperienza che è nata nel 2008: inizialmente con i ragazzi del post-Cresima e successivamente, per iniziativa dei ragazzi stessi che facevano parte di questi gruppi, sono state invitate le loro classi scolastiche a vivere momenti di vita comune con la comunità agostiniana, con i sacerdoti della vicaria e della diocesi. Questa esperienza si è poi sempre più diffusa. Iniziamo a settembre e finiamo a giugno ed ogni settimana abbiamo o una classe o un gruppo di post-Cresima.

D. – Com’è scandita la giornata dei giovani nel vostro convento?

R. – La mattina ci svegliamo, facciamo colazione, poi abbiamo un momento preghiera, ascoltiamo il Vangelo e facciamo una preghiera di affidamento. Poi i ragazzi vanno a scuola e al ritorno da scuola – dopo il pranzo – si fa un momento di esame di coscienza; poi c’è la preghiera dell’Angelus e la preghiera dello studente. Nel pomeriggio studiano, un po’ giocano, un po’ scherzano; questo fino alle 17, perché poi si vive insieme la merenda. Poi lo sport o lo studio, a seconda degli impegni che ordinariamente ciascuno ha nella vita di ogni giorno. Dopo la cena, alle 21.00, ci ritroviamo per un momento di formazione; questo lo facciamo ogni sera, chiamando un testimone o facendo noi stessi una catechesi, un confronto, che si conclude con un momento di preghiera.

D. – Melissa ci racconti la tua esperienza?

R. – Io ho iniziato questo cammino appena fatta la Cresima, frequentavo il primo superiore. Sicuramente questa esperienza mi ha aiutata a crescere nella fede. Ma non solo, mi ha aiutata anche a legare e stringere rapporti con persone che non frequentavo. Come in quasi tutte le esperienze e in tutti i cammini, ho avuto anche io i miei alti e miei bassi, ma ho sempre trovato nel convento e nella comunità agostiniana un punto di riferimento, come fosse una casa che è sempre aperta, una casa nella quale – in qualsiasi momento di bisogno – puoi chiedere aiuto e nella quale trovare questo aiuto.

D. – Francesco, tu come hai conosciuto la comunità agostiniana di San Nicola?

R. – L’ho conosciuta grazie a Melissa, che ha proposto questa iniziativa alla nostra classe, chiedendoci se avevamo voglia di vivere una settimana nel Convento di San Nicola, insieme alla comunità e a chi volesse partecipare.

D. – Tu sei credente Francesco?

R. – Diciamo che vivo più una fase di ricerca della religione o comunque di qualche risposta che mi aiuti nella vita.

D. – Adelina parlaci di te …

R. – Io provengo da una famiglia musulmana, sono atea. E quindi al mondo cristiano non mi sono mai avvicinata prima di questa esperienza.

D. – Ma tu cosa ne pensi di questa proposta dedicata ai giovani?

R. – Io penso che sia una grande opportunità che ci danno, anche per avvicinarci tra compagni di classe e per avvicinarci a quello che è il mondo cristiano, la Chiesa, in modo diverso.

D. – Tu non sei cristiana, come vivi questo impatto con il Convento di San Nicola, con i momenti di preghiera che vengono proposti?

R. – All’inizio non volevo partecipare alla convivenza, perché pensavo che fosse qualcosa di troppo religioso. Invece poi i compagni mi hanno convinta e alla fine sono venuta e ho trovato un grande rispetto tra di noi: anche se non si partecipa ai momenti di preghiera non è che vieni visto male.

D. – I tuoi genitori cosa pensano della partecipazione a queste convivenze?

R. – Non sono mai stati contrari, anzi, è una cosa che è piaciuta loro sin da subito e anche loro mi hanno spronato ad andare e ad andare oltre al fatto che si trattava di una convivenza in un convento.

D. – Jacopo, che cosa ti ha lasciato l’esperienza della convivenza?

R. – Sicuramente il ricordo di una splendida settimana. E’ stato anche molto importante il momento della riflessione personale che ci veniva permesso in alcuni momenti della giornata: dopo la colazione, dopo il pranzo e poi il vero e proprio incontro dopo cena.

D. – Che rapporto hai con la religione? Sei credente? Come vedi la Chiesa?

R. – Sono un po’ distaccato da questa istituzione per motivi anche un po’ familiari, che tuttavia non mi hanno influenzato molto. Però non mi sono fatto una concezione tanto positiva… Questa esperienza, tuttavia, mi ha fatto capire molto meglio quale sia la vera vita di dei sacerdoti, dei religiosi, e quindi magari ti ricredi anche.

D. – Proporresti questa esperienza ad altri tuoi amici?

R. – Sicuramente, perché è formativa; sia da un punto di vista collettivo che individuale. E’ una cosa un po’ fuori dagli schemi, che permette quindi di vivere un qualcosa di nuovo. Secondo me sì, vale la pena. Ai giovani rimane misterioso ed ostile, a volte, l’ambiente della Chiesa o quello dei religiosi, ma proprio vivendo questa esperienza possono togliersi molti dubbi ed incertezze che magari hanno riguardo a questo ambiente.

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Giulio Base: la mia voce per raccontare don Bosco

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Alla vita di don Giovanni Bosco, il santo dei giovani, è dedicata la lettura che questa sarà presentata a Roma all’interno della rassegna quaresimale “Ritratti di Santi” nella chiesa di santa Maria della Vittoria. A leggere la biografia scritta dal padre carmelitano Antonio Maria Sicari, sarà Giulio Base che al microfono di Paolo Ondarza descrive il suo rapporto con don Bosco, a duecento anni dalla nascita: 

R. - Sono particolarmente legato a questo santo perché sono nato e cresciuto a Torino quindi mi è molto vicino e molto caro. In un secolo di difficoltà per l’Italia e per tutto il Piemonte è riuscito a portare serenità e aiuto a dei giovani sbandati ed è diventato il simbolo dell’educazione e della formazione della gioventù.

D. - Tra l’altro quest’anno si ricordano i 200 anni dalla nascita di don Bosco e sono tante le celebrazioni, quindi questa sua lettura si inserisce a pieno titolo nei festeggiamenti…

R. - Sì, credo che sia parte di questi festeggiamenti. Spero che si propaghi sempre più la sua voce, il suo modo di educare e formare la gioventù.

D. - Faceva riferimento al contesto storico in cui don Bosco si è trovato a vivere, un contesto – diceva - caratterizzato da difficoltà e anche oggi l’Italia non se la passa bene... Forse ricordare anche un esempio come quello di don Bosco può aiutare le giovani generazioni, ma non solo, a risollevarsi…

R. – Certo! E’ vero noi ci lamentiamo e il periodo non è facile. Ma dobbiamo ricordare che, a metà dell’Ottocento c’erano malattie come il colera che uccidevano migliaia di persone: don Bosco ed i suoi erano fra i pochissimi, se non gli unici, a dare aiuto alle persone. C’è chi è stato peggio di noi e in questo dolore e in queste malattie riusciva a fare qualcosa per il prossimo. Quindi don Bosco davvero è un esempio gigantesco di quello che bisognerebbe fare oggi in un momento in cui, è vero, c’è crisi, ma nessuno di noi, almeno nel nostro Paese vive nelle condizioni di duecento anni fa. E’ uno stimolo a volersi bene gli uni verso gli altri, a rimboccarsi le maniche e cercare di darsi da fare.

D. - Da ormai 10 anni in Quaresima lei sospende il suo lavoro di routine. Quest’anno mette da parte i pattini, vista la sua partecipazione a “Notti sul ghiaccio”, per accostarsi alla figura di un santo: che cosa la motiva nella partecipazione a “Ritratti di santi”?

R. – Mi motiva la meraviglia di condividere insieme all’assemblea dentro una chiesa meravigliosa come santa Maria della Vittoria la vita di un santo. Dietro un santo non c’è mai solo il santino, solo l’icona. Se un uomo, una donna, diventano santi vuol dire che hanno fatto cose meravigliose e l’esempio delle vite di questi uomini e di queste donne davvero ti innalza, davvero ti aiuta a cercare di cambiare. Ed è in Quaresima un appuntamento a cui non rinuncerei più. Non sono io che leggo ciò che è importante, ma è il cuore comune, un sentire comune che si crea tra chi ascolta e chi legge e che ci fa rispecchiare nelle vite di questi uomini e donne di fede. Io non sono altro che uno strumento che testimonia  la vita di un santo. Io valgo quanto le orecchie che mi ascoltano in quel momento.

D. - Mettere a servizio degli altri il talento ricevuto è molto generoso…

R.  – Mah… mi sembra – non lo dico per falsa modestia -,  rispetto a ciò che hanno fatto i santi che leggo, un granellino di sabbia!  Vero è che anche un granellino aiuta a rendere questo mondo più bello, quindi ce la metto tutta!

Ad arricchire la contemplazione nella chiesa romana che conserva l’estasi di Santa Teresa d’Avila scolpita dal  Bernini, questa sera, sarà la presenza del “bastone del pellegrino” appartenuto alla mistica spagnola. Mercoledì la reliquia sarà in Piazza San Pietro all’udienza generale del Papa.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nunzio in Siria: liberate senza riscatto le 52 famiglie cristiane rapite dall'Is

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"Sono stati liberati senza il pagamento di alcun riscatto" i cristiani rapiti dal sedicente Stato islamico (Is) il 23 febbraio scorso in alcuni villaggi del nord-est della Siria, poco distante dal confine con la Turchia e "rilasciati a metà della scorsa settimana, tra il 5 e il 6 marzo". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews il nunzio apostolico in Siria mons. Mario Zenari, il quale riferisce che "52 famiglie per giorni nelle mani dei jihadisti" ora si trovano al sicuro. Ad oggi, aggiunge il prelato, "restano nelle mani dei miliziani ancora 16 persone, la metà delle quali cristiani e gli altri curdi". Intanto la situazione in Siria resta sempre drammatica, con attacchi aerei, colpi di mortaio e scontri a fuoco che si sono susseguiti per tutta la giornata di ieri a Damasco e ad Aleppo, dove si registrano le situazioni di maggiore criticità. 

Il sequestro in un'area strategica
Il rapimento delle famiglie cristiane - almeno 250 persone, ma sui numeri esatti ha sempre regnato l'incertezza, cui si sono aggiunte voci di esecuzioni poi smentite - è avvenuto durante l'offensiva lanciata dall'Is contro villaggi a maggioranza assira del governatorato di Al-Hasakah, nel nord-est. Un'area dall'importanza strategica, perché rappresenta una sorta di ponte fra le terre del Califfato in Siria e Iraq e permette l'apertura di un corridoio con la Turchia per armi, rifornimenti e combattenti.

In fuga dal Paese 5mila assiri
Testimoni locali riferiscono che, in seguito all'offensiva, oltre 5mila assiri - dei 30mila che componevano una delle più antiche comunità cristiane del Medio Oriente - hanno deciso di abbandonare il Paese, scegliendo la via dell'esodo in cerca di un riparo più sicuro. A inizio mese i terroristi hanno liberato un primo gruppo di 19 cristiani, dopo il pagamento di un riscatto di circa 1.700 dollari a testa.

Per il nunzio gli ostaggi usati come "scudi umani"
Interpellato da AsiaNews il nunzio apostolico conferma che "le famiglie cristiane, almeno 52, sono state liberate senza il pagamento di riscatto". Mons. Zenari aggiunge che "dietro il sequestro vi fosse la volontà dei miliziani di usarli come scudi umani", per ripararsi dagli attacchi aerei della coalizione durante il ripiegamento delle forze. 

E' sempre guerra a Damasco ed Aleppo
Parlando della situazione siriana, il prelato conferma che "va male, ieri è stata una giornata dura sia a Damasco che ad Aleppo". "Sentivano aerei sopra le nostre teste - racconta - e sono caduti diversi colpi di mortaio in diversi punti della capitale". Anche i prossimi giorni "non saranno migliori". Scontri e violenze si sono registrati pure nel nord, ad Aleppo, da tempo divisa in settori controllati dalle forze di sicurezza siriane fedeli al presidente Bashar al Assad e da gruppi ribelli.

Fallito il tentativo di mediazione Onu
La scorsa settimana è fallito il tentativo di mediazione per una tregua avanzato dall'inviato Onu Staffan De Mistura. Il diplomatico aveva ipotizzato un temporaneo cessate il fuoco ad Aleppo, per consentire l'ingresso di aiuti umanitari in città ed elaborare al contempo una prima bozza di accordo politico. Tuttavia, i delegati del fronte dei ribelli e dei combattenti islamisti non hanno accettato la tregua proposta dalle Nazioni Unite. "C'era da temere che il tentativo di dialogo fallisse - conclude il nunzio apostolico - ora aspettiamo di vedere cosa succede in futuro, ma non vi sono margini per l'ottimismo".

Gli sfollati interni ed esterni sono quasi 11mila
Dall'inizio della rivolta contro il Presidente siriano Bashar al Assad, nel 2011, oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità l'autoproclamato Stato Islamico; da quel momento ha iniziato una rapida avanzata nei territori della regione, strappando ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad e imponendo un vero e proprio regno del terrore.(D.S.)

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Egitto: assalto armato a chiesa francescana di Kafr el Dawar

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La chiesa copta cattolica di Kafr el-Dawar, dedicata alla Vergine Maria e officiata dai padri francescani, è stata attaccata nelle prime ore del giorno da uomini armati che hanno usato un ordigno esplosivo contro il luogo di culto e hanno ferito con armi da fuoco i due poliziotti posti a guardia all'edificio sacro. Lo riferisce all'agenzia Fides il vescovo Adel Zaki, vicario apostolico di Alessandria per i cattolici di rito latino.

Attacchi per dare l'impressione di un Egitto insicuro
“Secondo le prime ricostruzioni - fa sapere mons. Zaki - l'assalto armato è stato alle tre di stamane, ad opera di uomini a bordo di una jeep. I poliziotti feriti sono stati portati d'urgenza presso l'ospedale cittadino. L'episodio - aggiunge il vescovo cattolico - va collegato ad altri attentati compiuti contro obiettivi diversi, che a mio giudizio mirano a dare l'impressione che l'Egitto sia una nazione insicura e destabilizzata. Forse si intende inviare segnali di questo tipo in vista della Conferenza internazionale di aiuto all'Egitto, in programma a Sharm el Sheikh a partire dal prossimo 13 marzo. Si vuole intimidire, anche per sabotare la ripresa del turismo e degli investimenti stranieri in territorio egiziano”.

La città di Kafr el-Dawar si trova nella regione del Delta del Nilo, nel Basso Egitto, a circa 20 chilometri da Alessandria. (G.V.)

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Nicaragua: messaggio dei vescovi contro indifferenza ed egoismo

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I vescovi della Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen) hanno inviato un messaggio alla comunità nazionale, in occasione della Quaresima, in cui lamentano tra l’altro la crisi dovuta alla violenza politica e alla mancanza di giustizia che regna nel Paese.

Vescovi preoccupati per l'indifferenza della società
"E' preoccupante l'indifferenza che mostra gran parte della nostra società dinanzi ai gravi problemi sociali e politici del Paese" affermano i vescovi nel loro messaggio, pervenuto all’agenzia Fides e diffuso in tutte le diocesi. "Si è generalizzato un modo di fare politica – osservano - secondo cui sembra conti poco la vicinanza al popolo, l'interesse a risolvere i problemi reali e a prendere in considerazione le loro aspettative e le loro opinioni". Inoltre definiscono come "grave il fatto che la pratica politica nel Paese sia dominata dalla dimenticanza del bene comune, dall'ambizione, dall'autoritarismo, dalla illegalità e soprattutto dalla corruzione. Si tratta di un peccato grave" si legge nel messaggio.

Insensibilità contro le classi più deboli della società
Allo stesso modo deplorano l'insensibilità di chi governa e della società in generale dinanzi alla protesta e al dolore degli anziani, dei lavoratori, delle donne, dei giovani e dei contadini: "Ci stiamo abituando ad atti di repressione e di violenza criminale con tonalità chiare di terrorismo, che hanno messo in lutto e nell’angoscia molte famiglie e comunità nelle zone rurali". Il messaggio dedica poi un capitolo ai grandi progetti nazionali che, dicono i vescovi, devono essere messi al servizio della persona umana.

Quaresima: cammino di liberazione da vivere nella preghiera
Nella conclusione, la Cen invita a vivere la Quaresima come un cammino di liberazione per riuscire, insieme, a superare la tentazione dell'indifferenza e dell’egoismo, dedicandosi alla preghiera, personale e comunitaria, per impegnarsi a vivere il Vangelo con la forza delle fede. (C.E.)

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Vescovi Burundi: contrari a terzo mandato presidenziale

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La Chiesa cattolica in Burundi si dichiara contraria ad un terzo mandato per il Presidente Pierre Nkurunziza. La presa di posizione è stata ufficializzata sabato scorso, con una dichiarazione in kirundi, presentata alla stampa da mons. Evariste Ngoyagoye, arcivescovo di Bujumbura e vice presidente della Conferenza episcopale del Burundi.

La Chiesa non vuole che il Paese ricada nelle divisioni
“Dopo un’analisi dell’Accordo di Arusha, in Tanzania e della Costituzione che ne è derivata, interrogando il nostro cuore di cittadini che amano il loro Paese e come pastori della Chiesa che non vogliono vedere il Burundi ricadere nelle divisioni, negli scontri o nella guerra, affermiamo che i burundesi hanno convenuto senza alcuna ambiguità che qualsiasi persona eletta per dirigere il Burundi non può andare oltre due mandati di cinque anni ciascuno” afferma la dichiarazione pervenuta all’agenzia Fides, che è firmata da tutti i vescovi burundesi ed è stata approvata nel corso dell’Assemblea della Conferenza episcopale.

Indetti nove giorni di preghiera per invocare il dono della pace
La Chiesa burundese chiede alla popolazione di respingere ogni forma di intimidazione e “di non offrire un pretesto a coloro che sarebbero felici di impedire lo svolgimento delle elezioni”. I vescovi hanno indetto inoltre una “preghiera di nove giorni, dal 13 al 21 marzo, per chiedere a nostro Signore Gesù di donare al Burundi un’alternanza al vertice, nella serenità e nella pace, attraverso elezioni trasparenti” ha aggiunto mons. Nkurunziza.

Il Presidente cerca di ottenere un terzo mandato
Nel Paese sta montando la tensione in vista delle elezioni presidenziali che si terranno a giugno, precedute a maggio da quelle legislative e comunali. Il Presidente Nkurunziza, che ha ottenuto un primo mandato nel 2005 ed è stato riconfermato con le elezioni del 2010, sta cercando di modificare la Costituzione per presentarsi alle elezioni per ottenere un terzo mandato. Una situazione simile si sta verificando nella vicina Repubblica Democratica del Congo, dove i vescovi locali si sono detti contrari ad un eventuale terzo mandato per il Presidente Kabila. (L.M.)

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Chiese Europa: 'obiezione di coscienza' diritto per bene comune

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“Mentre in Europa, segnata fortemente dal secolarismo e dal liberalismo, si afferma sempre più la tendenza a moltiplicare i diritti degli individui specialmente nell’ambito dell’inizio e fine vita, proporzionalmente la libertà di coscienza - un diritto fondamentale che è alla base della democrazia e dello stato di diritto dei nostri Paesi europei - è messa sempre più a dura prova specialmente in ambito medico ed educativo”.

L'obiezione di coscienza non vuole minare il sistema giuridico
Al termine dell’incontro dei consulenti giuridici delle Conferenze episcopali europee, promosso dal Ccee e svoltosi a Bratislava dal 4 al 6 marzo, una nota finale ripresa dall'agenzia Sir richiama alcuni temi trattati, sottolineando le preoccupazioni espresse nel corso della tre-giorni di studi. “Al contrario - vi si legge - l’obiezione di coscienza non è utilizzata contro qualcuno o con lo scopo di minare il sistema giuridico, ma per il bene comune”. A Bratislava, i consulenti giuridici delle Conferenze episcopali d’Europa si sono confrontati “sulla reale applicabilità dell’obiezione di coscienza alla luce del dibattito in corso negli Stati europei e sulle conseguenze-sfide poste alle istituzioni ecclesiali”. 

L'obiezione di coscienza ha un impatto nel campo etico
L’incontro era ospitato da mons. Stanislav Zvolensky, arcivescovo di Bratislava e presidente della Conferenza episcopale slovacca, che ha aperto i lavori. Mons. Mario Giordana, nunzio apostolico in Slovacchia e Jan Figel, attualmente vice presidente del Parlamento slovacco, hanno salutato i partecipanti durante l’incontro. “L’intervento principale - segnala il Ccee - è stato pronunciato da Marek Šmid, rettore dell’Università di Trnava (Slovacchia) che ha parlato della regolamentazione giuridica dell’obiezione di coscienza”. “Ci sono diverse situazioni nei Paesi dell’Europa. L’elemento comune dei loro sistemi giuridici è che la regolamentazione dell’obiezione di coscienza ha un impatto importante in numerose aree eticamente sensibili.

Obiezione per non andare contro la propria coscienza
Nel caso dei membri della Chiesa cattolica, l’obiezione di coscienza dovrebbe essere stabilita come una possibilità legale che dà alle persone il diritto di rifiutare un compito che risulta in contrasto con i principi generali della dottrina e della morale della Chiesa. Questo non significa il diritto di ignorare le leggi del Paese, bensì consentire alle persone di rispettare le leggi dello Stato e, allo stesso tempo, di non andare contro la propria coscienza”. Il relatore ha spiegato che l’obiezione di coscienza “è nell’interesse dell‘individuo e dello Stato, che intende essere pluralista, democratico e rispettoso dello stato di diritto. Permette ai cittadini di godere del diritto alla libertà di coscienza e di religione, che è uno dei valori fondamentali della società”. 

Obiezione anche nel campo della morale sessuale e del matrimonio
In particolare “gli effetti dell’obiezione di coscienza devono includere l’inviolabilità della vita umana dal concepimento alla morte naturale e anche ai servizi sanitari a essi connessi”. Nel corso del suo intervento a Bratislava, Šmid ha spiegato che “i suoi effetti dovrebbero estendersi anche al campo dell’insegnamento sulla morale sessuale nella scuola pubblica, al matrimonio come comunità di vita di un uomo e una donna e all’esercizio della libertà di religione nella vita pubblica, in particolare attraverso l’uso dei simboli religiosi”.

Obiezione per salvare e proteggere la vita umana
Nel settore sanitario, il diritto all’obiezione di coscienza “non appartiene solo ai medici, ma anche ad altre professioni (ad esempio infermieri, psicologi, assistenti sociali)”. Tale diritto, ha puntualizzato Eva Grey, della St. Elisabeth University of Health and Social Work (Bratislava), “deve essere soprattutto possibile nelle seguenti procedure: aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, ricerca e trapianto di organi”. Tuttavia “l’obiezione di coscienza non può essere in contrasto con il dovere del personale medico di proteggere o salvare vite umane”. (R.P.)

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Filippine: offensiva dell’esercito contro ribelli musulmani

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È di quattro soldati e 56 ribelli musulmani il bilancio delle vittime dell'offensiva lanciata - nel fine settimana - dalle forze di sicurezza di Manila contro alcuni gruppi della guerriglia, che si oppongono all'accordo di pace nel sud delle Filippine. Lo riferiscono fonti militari, secondo cui l'obiettivo dell'assalto erano miliziani del Bangsamoro Islamic Freedom Fighters (Biff) in due diverse cittadine della provincia di Maguindanao, 960 km a sud della capitale. Almeno 80mila gli sfollati, per un'offensiva che proseguirà nei prossimi giorni con maggiore intensità. Fonti locali riferiscono che uno dei miliziani uccisi avrebbe avuto tratti somatici "stranieri" e potrebbe essere fra quelli inseriti nella lista dei potenziali terroristi stilata dagli Stati Uniti. 

L'offensiva dell'esercito continua
Il capitano Joann Petinglay, portavoce dell'esercito - riferisce l'agenzia Asianews - conferma che due giorni di combattimenti hanno causato almeno 14 morti sui due fronti; la battaglia si è concentrata attorno alle cittadine di Datu Piang, Mamasapano e Shariff Saydona, nella Regione Autonoma nel Mindanao Musulmano (Armm). "Stiamo ancora dando la caccia a due unità del Biff" aggiunge il militare, "una di almeno 100 uomini, e l'altra con circa 50". 

La regione chiede autonomia dal governo centrale
Il Bangsamoro è una regione storica delle Filippine composta da una popolazione prevalentemente musulmana, sconquassata da decenni di guerra civile fra il governo centrale e i guerriglieri del Moro (gruppo etnico di fede islamica e primo ispiratore della guerriglia per l'indipendenza) e del Milf (Moro Islamic Liberation Front): questi hanno chiesto nel tempo prima l'indipendenza e poi una sostanziale autonomia dall'esecutivo centrale.

Gruppi estremisti contrastano l'accordo di pace
Il Biff è una fazione di fuoriusciti del Moro Islamic Liberation Front (Milf) che, nel 2012, ha firmato un accordo di pace col governo centrale. Esso prevede la creazione di una entità autonoma musulmana nella regione meridionale di Mindanao, entro la fine del 2016. Sottoscritto da Milf e Manila, esso dovrebbe mettere fine alle violenze, ma gruppi estremisti antagonisti - come il Bangsamoro Islamic Freedom Fighters (Biff) e il Moro National Liberation Front (Mnlf) - hanno tentato a più riprese di ostacolarlo. 

Il massacro di 44 agenti ha innescato una crisi politica nel Paese
Di recente l'esercito filippino ha lanciato un'imponente offensiva, a un mese di distanza dal massacro di 44 agenti di polizia ad opera del Biff, durante una operazione dell'anti-terrorismo che doveva portare alla cattura di sospetti miliziani islamisti. Il raid ha sollevato critiche e innescato la peggiori crisi politica degli ultimi anni, che non ha risparmiato nemmeno il Presidente filippino Benigno Aquino. (R.P.)

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Inizia il giro del mondo senza carburanti di Solar Impulse 2

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Ha preso il via stamane il tentativo di fare il giro del mondo in un aereo che non usa kerosene, ma solo batterie solari. Il Solar Impulse 2 volerà per i prossimi cinque mesi da un continente all'altro, attraversando anche gli oceani Pacifico e Atlantico. L'aereo - riferisce l'agenzia AsiaNews - è partito stamane alle 7.12 (ora locale) dall'aeroporto di Al-Bateen ad Abu Dhabi, guidato da Andre Borschberg, ingegnere svizzero e pilota, che si alternerà alla guida con un altro svizzero, Betrand Picard, famoso per le sue ascensioni in pallone. La loro missione porta con sé il messaggio che è possibile progettare il mondo con energie pulite, combattendo il riscaldamento climatico.

Percorrerà 35mila km ed è atteso ad Abu Dhabi a luglio-agosto
L'aereo è provvisto di 17mila cellule solari distribuite lungo il perimetro delle ali, lunghe 72 metri, quasi quanto quelle di un Airbus A380, ma del peso di sole 2,5 tonnellate. Esso è dotato di batterie al litio per i voli notturni. In totale il velivolo percorrerà 35mila km a una modesta velocità (da 50 a 100 km/h) ed è atteso ad Abu Dhabi per il prossimo luglio-agosto. Dopo l'Oman, dove è ora diretto, vi saranno altre 12 destinazioni fra cui l'India, il Myanmar, e poi - in una sola tappa, la più lunga del viaggio - da Nanchino alle Hawaii.

I rischi del maltempo
Il volo presenta dei rischi: anzitutto perché i piloti devono passare lunghe ore in piena attenzione e senza distrarsi; in secondo luogo perché soprattutto nella traversata degli oceani devono trovare condizioni climatiche favorevoli e questo potrebbe ritardare i loro viaggi. E' possibile seguire in diretta tutto quanto accade nella cabina dal Centro di controllo della missione nel Principato di Monaco, collegandosi al sito "solarimpulse.com".

Un progetto che coinvolge 130 persone
Solar Impulse 2 succede al prototipo Solar Impulse 1, col quale i due piloti hanno fatto i primi esperimenti di volo in Europa, Marocco, Stati Uniti. In totale, le persone coinvolte nell'avventura sono 130: 65 accompagnano i piloti attorno al mondo per le questioni logistiche; 65 saranno a Monaco, al centro di controllo della missione, come metereologi, controllori di volo, ingegneri. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 68

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.